I - IL SISTEMA DELLE DIMORE
DIVINE Che gli Æsir
dispongano di una loro fortezza, o di un certo numero di regni e/o dimore, è più
volte affermato nella
Ljóða Edda,
anche se i poemi eddici ignorano per lo più il toponimo
Ásgarðr.
Il
Grímnismál ci offre una particolareggiata trattazione della cosmologia celeste. Tratta delle dimore divine,
svela i dettagli della Valhǫll,
enumera i fiumi cosmici, presenta le creature che dimorano sul frassino
Yggdrasill, elenca i destrieri degli dèi e i
nomi di
Óðinn. Non è un testo facilmente
accessibile, come buona parte della poesia eddica, e molte strofe presentano
difficoltà testuali sui quali critica e filologia si
sono accaniti fin dai tempi di Sophus Bugge e Jacob Grimm. Non è nemmeno chiaro
quale sia il limite, nel poema, tra sapienza mitologica e rielaborazione
poetica: non conosciamo le intenzioni del suo compositore, che sembra voler fare
poesia ed erudizione insieme. Abbiamo come guida la
Prose Edda
di Snorri, che ci permette di farci largo tra le asperità del poema ma ci
impone allo stesso tempo i preconcetti del suo autore. Tenuto conto di queste
difficoltà, il
Grímnismál rimane tuttavia un testo particolarmente prezioso,
perché ci
permette di abbozzare un'uranografia norrena.
Ci interessano qui, in particolare, le strofe
[4-8] e [11-17], le
quali enumerano le dodici – che poi a conti fatti sono tredici – dimore celesti
in cui abitano i principali tra Æsir e
Vanir. È un passo
piuttosto lungo ma importante, e lo riportiamo per intero escludendo le strofe
[9-10] che trattano della
Valhǫll:
Land er heilagt er ek liggja sé ásom ok álfom nær; en í Þrúðheimi skal Þórr vera, unz um rjúfaz regin.
|
Sacra è la terra ch'io stendersi vedo agli
Æsir e agli
Álfar vicina. In
Þrúðheimr vi sarà
Þórr finché non crolleranno gli dèi. |
Ýdalir heita, þar er Ullr hefir sér um gǫrva sali. Álfheim Frey gáfo i árdaga tívar at tannfé. |
Ýdalir
si chiama il luogo dove Ullr ha costruito per sé una corte.
Álfheimr
a Freyr donarono in principio gli dèi per il suo primo dente. |
Bær er sá inn þriði, er blið regin silfri þǫkðo sali; Valaskjálfr heitir, er vélti ser áss i árdaga. |
Altra dimora è la terza che gli dèi soavi con argento ricoprirono a farne una
corte. Valaskjálf si chiama quel [palazzo] che costruì per sé l'áss al principio dei tempi. |
Søkkvabekr heitir enn
fjórði, en þar svalar knego
unnir yfir glymja;
þar þau Óðinn ok Sága
drekka um alla daga
glǫð or gullnom kerom. |
Søkkvabekkr si chiama la
quarta, là dove possono gelide onde sopra scrosciare. Là
Óðinn
e Sága bevono tutti i giorni, lieti, in coppe d'oro. |
Glaðsheimr heitir enn
fimti, þars en gullbjarta Valhǫll við of þrumir; en þar Hroptr kýss hverjan dag vápndauða vera.
|
Glaðsheimr si chiama la
quinta in cui splendente d'oro la vasta
Valhǫll
si trova; e là
Hroptr sceglie ogni giorno gli uomini caduti nella mischia. |
[...] |
[...] |
Þrymheimr heitir enn
sétti, er Þjazi bjó, sá inn ámátki jǫtunn;
en nú Skaði byggvir,
skír brúðr goða, fornar tóptir fǫður. |
Þrymheimr
si chiama la sesta dove Þjazi
viveva, quel detestabile gigante. Ora Skaði
risiede,
pura sposa degli dèi, nell'antica dimora del padre. |
Breiðablik ero in sjundo,
en þar Baldr hefir
sér um gerva sali,
á því landi er ek liggja veit fæsta feiknstafi. |
Breiðablik
è la settima là dove
Baldr ha per sé innalzato una corte. In quella terra dove io so che si trovano pochissime rune malvagie. |
Himinbjǫrg ero en átto,
en þar Heimdall kveða valda véom; þar vǫrðr goða drekkr í væro ranni
glaðr inn góða mjǫð. |
Himinbjǫrg è l'ottava là dove
Heimdallr – dicono – governi i templi. Là la sentinella degli dèi beve nella comoda dimora, lieto, il divino
mjǫðr. |
Fólkvangr er inn níundi,
en þar Freyja ræðr
sessa kostom i sal;
halfan val hon kýss hverjan dag
en hálfan Óðinn á. |
Fólkvangr è la nona, là dove
Freyja stabilisce i posti al banchetto. La metà dei caduti ella sceglie ogni giorno; l'altra metà spetta a
Óðinn. |
Glitnir er inn tíundi,
hann er gulli studdr
ok silfri þakðr it sama;
en þar Forseti byggir flestan dag
ok svæfer allar sakir. |
Glitnir è la decima, sorretta da pilastri d'oro e d'argento ancora ricoperta. Là
Forseti abita la maggior parte del giorno e appiana tutte le contese. |
Nóatún ero en ellipto, en þar Njǫrðr hefir
sér um gǫrva sali, manna þengill enn meins vani hátimbroðonm hǫrgi ræðr.
|
Nóatún è l'undicesima là dove
Njǫrðr ha per sé innalzato una corte. Degli uomini sovrano il
vanr immacolato su imponenti templi regna. |
Hrísi vex ok há grasi Víðars land viði; en þar mǫgr of læzk
af mars baki frækn at hefna fǫður.
|
Cespugli crescono ed erba alta nella boscosa terra di
Víðarr. Là si farà il ragazzo in groppa ai destrieri abile a vendicare il padre. |
Ljóða Edda
> Grímnismál [4-8,
11-17] |
Questa lista delle dimore divine espone realtà tra
loro molto diverse, come si evince dai termini
che definiscono i vari toponimi: heimr, «mondo», vangr,
«campo», dalir, «vallata», bjǫrg, «montagna», skjálf, «rocca»,
tún, «fortezza». Più precisamente,
Þrúðheimr,
Ýdalir,
Álfheimr,
Breiðablik,
Fólkvangr
e la terra senza nome di Víðarr sono dei
vasti territori. Valaskjálf,
Søkkvabekkr
e Glitnir sono degli edifici.
Glaðsheimr sembra essere un
territorio (ma Snorri afferma sia un edificio).
Nóatún
è una fortezza sul mare e Þrymheimr
un territorio o una fortezza tra i monti.
Himinbjǫrg
è, infine, una montagna con una rocca sulla vetta.L'enumerazione
del Grímnismál
prende l'avvio con
Søkkvabekkr,
che viene detta essere la quarta dimora. Contando a ritroso,
Valaskjálf
è la terza, Álfheimr la seconda e
Ýdalir
la prima. Rimane fuori dal conto Þrúðheimr,
che apre l'elenco.
Difficile capire la ragione di questo disservizio. Se però ci atteniamo all'ermeneutica della
strofa [4],
Þrúðheimr
potrebbe essere interpretato come il nome complessivo del regno celeste, comune ad
Æsir ed
Álfar, con
Þórr
preposto a sua difesa:
Land er heilagt er ek liggja sé ásom ok álfom nær; en í Þrúðheimi skal Þórr vera, unz um rjúfaz regin.
|
Sacra è la terra ch'io stendersi vedo agli
Æsir e agli
Álfar vicina. In
Þrúðheimr vi sarà
Þórr finché non crolleranno gli dèi. |
Ljóða Edda
> Grímnismál [4]
|
Sembra infatti curioso che il
Grímnismál conceda un'intera strofa a quasi ogni singola dimora
divina, mentre
Þrúðheimr ha per sé una
sola semistrofa [helming]. A meno che, appunto, la strofa
[4]
non riguardi nel suo complesso la «sacra terra» [land heilagt] degli
Æsir e degli
Álfar, e che
questa non sia appunto Þrúðheimr.
Ipotesi purtroppo problematica. Nella
Prose Edda,
Snorri afferma a più riprese che
Þrúðheimr
o Þrúðvangar sia il
regno appartenente a
Þórr, quindi non identificabile con il mondo divino nel suo complesso. Rimane
il dubbio che Snorri abbia travisato la strofa
[4]
e, d'altra parte, in
Grímnismál
[24] è detto sia
Bilskírnir il palazzo di
Þórr. Non sappiamo di quali altre fonti disponesse Snorri, oltre ai poemi eddici
a noi pervenuti, ed è arduo valutare quale grado di conoscenza ne avesse. |
II - ÁSGARÐR NELLA LJÓÐA EDDA Il toponimo «Ásgarðr» è pressoché
ignoto ai poemi eddici. Nella
Vǫluspá, ad esempio, quando si parla
della guerra tra le due stirpi divine, si cita una borg ása, una «rocca degli
Æsir», il cui recinto di legno sarebbe stato infranto
dai Vanir.
Brotinn vas borðveggr borgar ása, knáttu vanir vísgpá vǫllu sporna. |
Infranto il riparo di legno della rocca degli
Æsir minacciosi poterono i
Vanir porre il piede in campo. |
Ljóða Edda
>
Vǫluspá [4] |
La parola borg trova la sua radice in byrgja «rinchiudere», e non
è lontana da berg «colina» e bjarga «difendere». Diffusa in tutte
le lingue germaniche e tuttora presente in molti toponimi europei (cfr.
anglosassone burg, burh, inglese borough, burgh;
antico alto tedesco puruc, purc; da cui tardolatino burgus,
italiano borgo, francese bourg), questa parola indica un castello,
una cittadella fortificata, solitamente posta in cima a un'altura e ben difesa.
Può essere tradotta come «città», ma ancor meglio, «rocca».
Il suo contenuto semantico può dare un'immagine della rocca degli
Æsir, così come veniva concepita nella Scandinavia alto-medievale.
Il
Grímnismál
è il poema che più di ogni altro descrive il mondo e le dimore divine. Esso,
però, come abbiamo detto,
esordisce trattando non di una città, ma di una terra abitata dagli
Æsir, pur senza fornirne un nome:
In seguito, il poema descrive il mondo degli
Æsir, ma invece di una cittadella,
come abbiamo visto, abbiamo tredici tra regni e fortezze,
citati uno per uno dal testo
(Grímnismál [4-17]):
- Þrúðheimr, regno di
Þórr;
- Ýdalir, una
vallata dove Ullr ha costruito una sua dimora;
- Álfheimr,
il mondo degli elfi, donato a Freyr;
- Valaskjálfr, dimora che
Óðinn ha costruito per sé;
- Søkkvabekkr,
edificio sommerso dalle acque, dove s'incontrano
Óðinn
e Sága;
- Glaðsheimr,
territorio in cui si trova la sala di
Valhǫll;
- Þrymheimr, l'antica dimora di
Þjazi, poi ereditata da
Skaði;
- Breiðablik,
terra in cui Baldr ha costruito una sua
dimora;
-
Himinbjǫrg, montagna in cima
alla quale Heimdallr sta di sentinella;
- Fólkvangr,
territorio dove
Freyja accoglie la sua parte di caduti
in battaglia;
- Glitnir,
edificio adibito a tribunale degli dèi, a cui attende
Forseti;
- Nóatún, fortezza
dotata di un porto, dimora di Njǫrðr;
- Una terra boscosa appartenente a
Víðarr.
Il testo descrive poi, con dovizia di dettagli, la
Valhǫll e le meraviglie
che vi si trovano; aggiunge il nome del palazzo posseduto da
Þórr,
Bilskírnir; enumera i fiumi cosmici,
descrive la fauna del frassino Yggdrasill, elenca le
valkyrjur e gli heiti di
Óðinn. Il testo cita anche il ponte arcobaleno
Bilrǫst, che
Þórr
non può attraversare perché brucerebbe sotto i suoi passi. L'impressione
generale è che i regni divini si trovino in cielo, in un mondo lontano e
inaccessibile agli esseri umani.
Nonostante le generose descrizioni offerte dal
Grímnismál, esso non nomina mai il toponimo
Ásgarðr.
Il problema è forse risolto ipotizzando che l'Ásgarðr
di Snorri sia qui sostituito dal suo edificio principale,
Glaðsheimr, il quale
era – c'informa Snorri – il tempio dedicato a tutti gli dèi. Abbiamo dunque un
complesso di dodici regni celesti, dedicati ciascuno
presieduto da una divinità, più un tredicesimo che, secondo logica, dovrebbe
essere Glaðsheimr. Peccato che, nell'enumerare le dodici case divine, il
Grímnismál
conti Glaðsheimr per quinta e lasci invece fuori
Þrúðheimr.
Il toponimo «Ásgarðr» viene citato espressamente soltanto nell'Hymiskviða
e nel Þrymskviða che, tra i poemi
mitologici compresi nel Codex Regius [R], sono probabilmente i due
più tardi, risalenti all'xi secolo, un'epoca in cui la
letteratura gnomico-sapienziale dei þulir aveva lasciato il posto alle
ballate mitologiche. Nella prima citazione, Þórr
e Týr si stanno recando alla dimora di
Hymir:
Nella seconda, Loki mette
Þórr
in guardia dai rischi che corrono gli Æsir se il suo martello non verrà recuperato:
Þegar munu jǫtnar Ásgarð búa... |
Presto gli jǫtnar abiteranno
Ásgarðr... |
Ljóða Edda
>
Þrymskviða [18] |
Se il toponimo Ásgarðr non compare mai nei poemi eddici, la
rocca degli Æsir viene però nominata per la prima volta da Þorbjǫrn
dísarskáld,
scaldo islandese vissuto tra il x
e l'xi secolo, in un
helming conservato
nello Skáldskaparmál:
|
III -
LO SVILUPPO DI ÁSGARÐR IN SNORRI Nella dizione «Ásgarðr» la
letteratura popolare tende a identificare l'intero mondo divino.
Capita, sfogliando testi frettolosi o materiale fantasy,
trovare le dimore gli
Æsir trattate come fossero edifici di una «città» chiamata
Ásgarðr.
In realtà, le dimore divine sono citate nel
Grímnismál come regni a sé stanti e, nello stesso testo, non
si fa alcun riferimento ad Ásgarðr.
Questo toponimo viene sviluppato solo nella
Prose Edda, anche se il lettore della
Ljóða Edda
è portato a proiettarvi le nozioni apprese da Snorri.
Solo la
Vǫluspá,
come abbiamo visto, cita frettolosamente una borg ása, «rocca degli
Æsir»:
Brotinn vas borðveggr borgar ása, knáttu vanir vísgpá vǫllu sporna. |
Infranto il riparo di legno della rocca degli
Æsir minacciosi poterono i
Vanir porre il piede in campo. |
Ljóða Edda
> Vǫluspá [24]
|
Di cosa sta parlando la
Vǫluspá?
E perché il
Grímnismál non cita a sua volta questa «rocca degli
Æsir»?
Abbiamo a che fare con tradizioni e contesti differenti o forse, semplicemente, non
riconosciamo i riferimenti comuni ai due testi?
Al contrario di quanto rileviamo nei poemi eddici, il toponimo «Ásgarðr»
è invece ben attestato in tutta la
Prose Edda e nelle opere pseudo-storiche di Snorri, dov'è più
volte definito la «rocca» [borg] degli dèi. Forse
non sarà inutile precisare che Ásgarðr, «recinto degli
Æsir»,
non è un nome proprio ma, come buona parte della terminologia del
mito nordico, una circonlocuzione descrittiva, non troppo diversa
dal borg ása di
Vǫluspá
[24].
Snorri principia il racconto della
Prose Edda
proprio con il viaggio di re
Gylfi nella rocca degli
Æsir.
Hann byrjaði ferð sína til Ásgarðs ok fór með laun ok brá á sik gamals
manns líki ok dulðisk svá. [...]. En er hann kom
inn í borgina, þá sá hann þar háva hǫll, svá at varla mátti hann sjá yfir hana.
Þak hennar var lagt gyltum skjǫldum svá sem spánþak. |
[Gylfi] mise in
cammino verso Ásgarðr e viaggiò in incognito, camuffato da
vecchio così da non farsi riconoscere. [...]. Quando
Gylfi entrò nella rocca, vide una
hǫll talmente alta che a stento ne
scorgeva la sommità. Il tetto era ricoperto di scudi dorati disposti come
tegole. |
Snorri
Sturluson: Prose Edda >
Gylfaginning
[2] |
Come scopriremo in seguito,
Gylfi si trova di fronte all'aula di
Valhǫll. Snorri non descrive il
percorso compiuto dal sovrano svedese, e ci si può chiedere come abbia fatto a
raggiungere Ásgarðr a piedi,
se questa si trovava effettivamente in cielo. In realtà, Snorri intende in
questo conteto
la fortezza degli Æsir secondo la concezione pseudostorica, che la situa sul suolo terrestre, a volte
addirittura identificandola (come vedremo) con la Troíē omerica.
Ma torniamo a re Gylfi. Entrato nella
Valhǫll egli viene condotto al
cospetto di tre sovrani,
Hár,
Jafnhár e
Þriði, che si dicono ben disposti a rispondere a tutte le sue domande. Egli
chiede chi sia il sommo e più antico degli dèi, e la risposta collega questo
personaggio alla rocca di Ásgarðr:
Sá heitir Allfǫðr at
váru máli, en í Ásgarði inum forna
átti hann tólf nǫfn. Eitt er
Allfǫðr, annat er Herran eða
Herjan, þriðja er Nikarr eða
Hnikarr, fjórða er Nikuz eða
Hnikuðr, fimta Fjǫlnir, sétta Óski,
sjaunda Ómi, átta Bifliði eða
Biflindi, níunda Sviðarr, tíunda
Sviðrir, ellipta Viðrir, tólfta
Jálg eða Jálkr. |
Egli è chiamato
Allfǫðr nella nostra lingua,
ma anticamente in
Ásgarðr aveva dodici nomi. Il
primo è Allfǫðr, il secondo
Herran o
Herjan, il terzo
Nikarr o
Hnikarr, il quarto
Nikuðr o
Hnikuðr, il quinto
Fjǫlnir, il sesto
Óski, il settimo
Ómi, l'ottavo
Bifliði o
Biflindi, il nono
Sviðurr, il decimo
Sviðrir, l'undicesimo
Viðrir, il dodicesimo
Jálg o
Jálkr. |
Snorri
Sturluson: Prose Edda >
Gylfaginning
[3] |
Si tratta ovviamente di Óðinn. Quell'«anticamente»
[inum forna] lo colloca, insieme alla rocca di
Ásgarðr,
in un'epoca anteriore: come vedremo Snorri sta pensando, nella sua
interpretazione evemeristica, al tempo dei miti omerici.
A questo punto della narrazione, Snorri passa dalla cornice
pseudostorica all'esposizione mitologica, che è l'argomento del
Gylfaginning, e descrive la creazione del mondo. Dopo aver ucciso
Ymir, i figli di
Borr (Óðinn,
Vili e
Vé) creano, a partire
dal suo corpo smembrato, il cielo, la terra e il mare; al centro dell'universo
stabiliscono il Miðgarðr, destinato ai figli degli uomini.
Dopo di ché, innalzano la loro fortezza:
Þar næst
gerðu þeir sér borg í miðjum heimi
er kallaðr er Ásgarðr. Þat kǫllum
vér Troja. Þar bygðu guðin ok
ættir þeira ok gerðusk þaðan af
mǫrg tíðindi ok greinir bæði á
jǫrðu ok í lopti. Þar er einn
staðr er Hliðskjálf heitir, ok þá
er Óðinn settisk þar í hásæti, þá
sá hann of alla heima ok hvers
manns athǿfi ok vissi alla hluti
þá er hann sá. |
Poi [i figli di
Borr] costruirono
per loro, nel centro del mondo, una rocca [borg] che fu chiamata
Ásgarðr, che noi chiamiamo Troia. Là abitano gli dèi e le loro
stirpi e da allora molti avvenimenti e vicissitudini sono accaduti sia in cielo
che in terra. Là c'è un posto chiamato
Hliðskjálf e, quando
Óðinn s'insediò là nell'alto seggio, vide
tutto il mondo, gli atti di ogni uomo, e comprese tutto ciò che vide. |
Snorri
Sturluson: Prose Edda >
Gylfaginning
[9] |
Subito dopo, trattando dei figli di
Óðinn e
Frigg, Snorri allarga l'inquadratura,
aumentando la complessità dell'insieme:
Ok af þeira ætt
er sú kynslóð komin er vér kǫllum
Ása ættir, er bygt hafa Ásgarð
hinn forna ok þau ríki er þar
liggja til, ok er þat allt
goðkunnig ætt. |
E dalla loro discendenza venne la stirpe
degli Æsir, che ha popolato l'antica
Ásgarðr e quei regni che le appartengono, ed è una stirpe che
possiede sapienza divina. |
Snorri
Sturluson: Prose Edda >
Gylfaginning
[9] |
Dunque, Ásgarðr è una fortezza,
una rocca [borg], la principale del paese
degli
Æsir. Da essa dipendono dei territori e dei regni da
essa distinti, probabilmente da identificare con le dodici dimore divine citate in
Grímnismál [4-17].
“Cosa fece Allfǫðr quando
Ásgarðr fu
costruita?” chiede in seguito re Gylfi. La risposta che
Snorri mette in bocca ad Hár è una lunga descrizione di
Ásgarðr
ai tempi dell'età aurea.
Í upphafi setti hann
stjórnarmenn í sæti ok beiddi þá
at dǿma með sér ørlǫg manna ok
ráða um skipun borgarinnar. Þat
var þar sem heitir Iðavǫllr í
miðri borginni. Var þat hit fyrsta
þeira verk at gǫra hof þat er sæti
þeira standa í, tólf ǫnnur en
hásætit þat Allfǫðr á. Þat hús er
bezt gǫrt á jǫrðu ok mest, allt er
þat innan ok útan svá sem gull
eitt. Í þeim stað kalla menn
Glaðsheim. Annan sal gǫrðu þeir,
þat var hǫrgr er gyðjurnar áttu,
ok var hann allfagrt hús. Hann
kalla menn Vingólf. Þar næst gǫrðu
þeir þat at þeir gǫrðu hamar ok
tǫng ok steðja ok þaðan af ǫll tól ǫnnur, ok því næst smíðuðu þeir
málmstein ok tré ok svá gnógliga þann
málm er gull heitir, at ǫll
búsgǫgn ok ǫll reiðigǫgn hǫfðu þeir
af gulli, ok er sú ǫld kǫlluð
gullaldr... |
All'inizio [Óðinn]
stabilì i seggi dei governatori e ordinò loro di decretare il destino degli
uomini e di deliberare sulle disposizioni della rocca. Questo accadde nel campo
chiamato Iðavǫllr, nel mezzo della città. La loro prima opera fu la costruzione di
quella corte ove stanno i loro dodici seggi insieme all'altro, l'alto seggio
che appartiene ad Allfǫðr.
Questo edificio è il migliore costruito sulla terra e il più grande. Qui tutto, dentro e fuori, appare come oro puro. Questo posto gli
uomini lo chiamano Glaðsheimr. Essi costruirono un'altra sala: il santuario che
andò alle dee, meraviglioso. Questo edificio gli uomini lo chiamano
Vingólf. In
seguito costruirono un edificio ove posero delle fucine, poi fecero martelli,
tenaglie, incudini e tutti gli altri utensili. Quindi lavorarono il metallo, la
pietra e il legno e v'era in tale abbondanza quel metallo che si chiama oro che
ebbero tutti i loro arnesi e le loro suppellettili d'oro. Quel tempo fu chiamato
età dell'oro... |
Snorri
Sturluson: Prose Edda >
Gylfaginning
[14] |
Questa scena, Snorri la trae – insieme a molti elementi della sua descrizione
– da un laconico passo della
Vǫluspá:
Hittusk æsir á Iðavelli, þeirs hǫrg ok hof há timbruðu; afla lǫgðu, auð smíðuðu, tangir skópu ok tól gerðu. |
Convennero gli
Æsir in
Iðavǫllr, loro che altari e templi alti innalzarono; focolari accesero, crearono ricchezze, tenaglie fabbricarono, ingegnarono utensili. |
Ljóða Edda
>
Vǫluspá [7-8] |
Il verbo impiegato per la costruzione degli edifici
è timbra, che indica propriamente l'erezione di edifici in legno. I primi
palazzi costruiti sono definiti, dalla
Vǫluspá,
hǫrg e hof. Il fatto
che i due termini allitterino fa pensare a un'espressione formulare. Si tratta
di luoghi di culto, tradizionalmente tradotti con «altari» e «templi». In particolare, il termine
hǫrgr sembra legato, in letteratura, a culti femminili (Vingólf è definita
hǫrgr in
Gylfaginning [14]).
In quanto alla parola hof, inizialmente indicante un tempio o un santuario, è venuta
in seguito a indicare la corte di un signore. (Meli 2008).
Dunque, Ásgarðr viene concepita dagli dèi come fosse il
loro stesso tempio celeste, archetipo nello spazio mitico di tutti i luoghi di
culto che gli uomini attribuiranno loro nel corso della storia. Basti pensare
che quando gli
Æsir si trovano nella necessità di neutralizzare il lupo
Fenrir, sul quale si accentravano rovinose profezie,
scelgono di non ucciderlo per non oltraggiare col suo sangue la santità delle
loro dimore (Gylfaginning [34]). Ora, può
sembrare strano che siano gli dèi stessi a edificare i loro propri luoghi di
culto. Si ricorda in proposito che, nella vicenda pseudostorica tratteggiata da
Snorri nell'Ynglinga saga, sono gli stessi
Æsir, una volta giunti nel nord Europa, a proporsi agli uomini come dèi
ed a istituire il loro stesso culto (Ynglinga saga
[5 | 8-9]).
È a questo punto, probabilmente, che scoppia la guerra tra
Æsir e
Vanir. I
Vanir,
secondo i frettolosi accenni della
Vǫluspá, infrangono la palizzata di legno che circonda la città degli
Æsir e la invadono, violandola con la loro presenza. La versione storicizzata presente nella
Ynglinga saga è più realistica:
Óðinn fór með her á hendr Vǫnum, en þeir
urðu vel við ok vǫrðu land sitt, ok hǫfðu ymsir sigr; herjuðu hvárir á land
annarra ok gerðu skaða... |
Óðinn partì con l'esercito per combattere
i Vanir, ma essi resistettero bene e difesero la
loro terra. La vittoria toccò un po' agli uni e un po' agli altri; gli uni e gli
altri saccheggiarono il paese avversario arrecando danni... |
Snorri
Sturluson: Ynglinga saga [4] |
Difficile quantificare questi «danni». Certamente, il recinto di legno che
circondava Ásgarðr si era rivelato drammaticamente
insufficiente. Perciò, terminata la guerra, gli
Æsir decidono di erigere una roccaforte di pietra, in modo da rendere la
loro cittadella inespugnabile. Il racconto della costruzione della mura di
Ásgarðr,
probabilmente già implicato in
Vǫluspá
[25-26],
è narrato da Snorri in
Gylfaginning [42]:
Þat var snimma í ǫndverða bygð
goðanna, þá er goðin hǫfðu sett
Miðgarð ok gert Valhǫll, þá kom þar
smiðr nǫkkvorr ok bauð at gera þeim
borg á þrim misserum svá góða at
trú ok ørugg væri fyrir bergrisum
ok hrímþursum þótt þeir komi inn
um Miðgarð... |
Si era agli inizi, nei primi tempi in cui gli dèi si erano insediati nella loro
dimora, quando avevano appena stabilito
Miðgarðr e costruito
Valhǫll. Un giorno giunse un artigiano che offrì loro di costruire in tre
misseri una cittadella così ben fatta da essere solida e protetta contro
i giganti di montagna e i giganti di brina, anche qualora fossero arrivati fino
in
Miðgarðr... |
Snorri
Sturluson: Prose Edda >
Gylfaginning [42] |
Si comincia così a profilare una topografia di
Ásgarðr. È
una fortezza protetta da robuste mura di pietra. È situata al centro del mondo o
addirittura in cielo, senza che le due cose siano necessariamente in
contraddizione, visto che gli dèi sono in grado di spostarsi da un mondo
all'altro sia a piedi che sui loro carri, sia galoppando nell'aria in groppa ai loro cavalli
o volando nei loro travestimenti da falchi o da cigni. In un apposito capitolo, viene
anche spiegato che Bifrǫst, il ponte arcobaleno, è la
via che conduce dalla terra al cielo
(Gylfaginning [13]).
Il ponte termina sulla rocca di Himinbjǫrg,
residenza di Heimdallr
(Grímnismál [13]); questo luogo, situato
á himins enda,
«alla fine del cielo», sembra essere l'ingresso per il mondo celeste.
Þar er enn sá
staðr er Himinbjǫrg heita. Sá
stendr á himins enda við
brúarsporð, þar er Bifrǫst kemr
til himins. |
C'è anche
quel luogo chiamato Himinbjǫrg, che
si trova alla fine del cielo, sulla soglia del ponte, là dove
Bifrǫst giunge nel firmamento.
|
Snorri
Sturluson: Prose Edda >
Gylfaginning
[17] |
Hann býr þar
er heita Himinbjǫrg við Bifrǫst.
Hann er vǫrðr guða ok settr þar
við himins enda at gæta brúarinnar
fyrir bergrisum. |
[Heimdallr]
abita in quel posto chiamato Himinbjǫrg, presso
Bifrǫst. Egli è il guardiano degli
dèi: risiede lassù, alla fine del cielo, per vegliare sul ponte l'arrivo dei
giganti di montagna. |
Snorri
Sturluson: Prose Edda >
Gylfaginning
[27] |
Una volta superato
Himinbjǫrg,
giunti sotto le mura di Ásgarðr, si ergono di fronte i
cancelli di Ásgrindr, i quali sono di solito aperti, tanto che il gigante
Hrungnir li supera al galoppo senza nemmeno accorgersene
(Skáldskaparmál
[24]). In caso di emergenza, i
cancelli vengono serrati. Il gigante
Þjazi li oltrepassò precipitando dall'alto e si
schiantò nel cortile all'interno della fortezza, dove venne ucciso dagli
Æsir
(Skáldskaparmál
[3]).
Al centro di Ásgarðr vi è il campo di
Iðavǫllr, che è il luogo più antico della cittadella,
dove gli Æsir si erano riuniti all'inizio del tempo per dare inizio alla
costruzione della fortezza. Vi sono poi i due santuari di
Glaðsheimr e
Vingólf,
dedicati rispettivamente agli æsir e alle ásynjur. Curiosamente, solo
Glaðsheimr compare nel novero delle dimore divine fornito in
Grímnismál [4-17], dove se ne parla come fosse il
territorio in cui sorge la Valhǫll,
confondendosi in parte con il concetto snorriano di
Ásgarðr.
È in
Glaðsheimr dove, secondo Snorri,
si trovano i dodici troni degli dèi, più l'alto seggio di
Óðinn. In quanto a
Vingólf, pare avere
uno statuto speciale, perché in un altro passo della sua
Edda, Snorri la identificata con
Gimlé, residenza escatologica di tutti gli uomini
giusti, posta in un cielo superiore
(Gylfaginning [3]).
Al proposito, quando Gylfi chiede quali altri luoghi
importanti si trovino in cielo, Hár gli elenca alcune delle dimore divine già citate nel
Grímnismál. Sono i regni che dipendono da
Ásgarðr,
a cui Snorri aveva accennato in
Gylfaginning [9]:
Margir staðir eru þar
gǫfugligir. Sá er einn staðr þar
er kallaðr er Álfheimr. Þar byggir
fólk þat er Ljósálfar [...]. Þar er enn sá
staðr er Breiðablik er kallaðr, ok
er engi þar fegri staðr. Þar er ok
sá staðr er Glitnir heitir ok eru
veggir hans ok stoðir allar ok
stólpar af rauðu gulli, en þak
hans af silfri. [...]. Þar er enn mikill
staðr er Valaskjálf heitir. Þann
stað á Óðinn, þann gǫrðu guðin ok
þǫkðu skíru silfri, ok þar er
Hliðskjálfin í þessum sal, þat
hásæti er svá heitir. Ok þá
Allfǫðr sitr í því sæti, þá sér
hann um alla heima. |
Molti gloriosi posti esistono. Vi è un
luogo chiamato Álfheimr, dove abita quel popolo detto dei
Ljósálfar [...]. C'è inoltre un posto chiamato
Breiðablik
e non ve ne sono di più belli. Ancora c'è quel luogo chiamato
Glitnir,
i cui muri, stipiti e colonne sono di oro rosso, mentre il suo tetto è
d'argento. [...]. C'è poi
un grande posto che si chiama Valaskjálf, che appartiene a
Óðinn. Lo fecero gli dèi e lo ricoprirono di argento puro; in quella sala si
trova Hliðskjálf, l'alto seggio, così come è chiamato, e quando
Allfǫðr siede su quel trono egli vede tutto il mondo.
|
Snorri
Sturluson: Prose Edda >
Gylfaginning [17] |
Nei capitoli successivi, Snorri tratta in dettaglio tutti gli dèi e le dee,
citando anche molti particolari delle loro singole dimore
(Gylfaginning [20-36]). Snorri tratta poi
della Valhǫll, uno dei luoghi
principali di Ásgarðr, alla cui voce rimandiamo per i dettagli
(Gylfaginning [38-41]).
Per quanto non venga detto espressamente, sembra ovvio che
Ásgarðr
arderà insieme al resto dei nove mondi, nelle fiamme del
ragnarǫk. Esaurito l'incendio universale, coloro che tra gli dèi sono
sopravvissuti, si riuniscono di nuovo in
Iðavǫllr. Il luogo dove, al principio del tempo, gli
Æsir si erano riuniti per principiare la costruzione di
Ásgarðr, sembra essere l'unico ad
esistere ancora, nel nuovo ciclo cosmico. Non sembra esservi più traccia dei
palazzi e delle dimore degli dèi. È citata soltanto
Gimlé, altra dimora escatologica, che però
sembra essere estranea ad Ásgarðr:
Á sunnanverðum
himins enda er sá salr er allra er
fegrstr ok bjartari en sólin, er
Gimli heitir. Hann skal standa þá
er bæði himinn ok jǫrð hefir
farisk, ok byggja þann stað góðir
menn ok réttlátir of allar aldir. |
Nella parte
meridionale del cielo c'è quella sala, più bella e più splendente del sole, che
si chiama
Gimlé. Essa resisterà quando cielo e terra
saranno entrambi caduti e ivi abiteranno gli uomini buoni e giusti di tutte le
epoche. |
Snorri
Sturluson: Prose Edda >
Gylfaginning [17] |
In quanto alle altre dimore divine precedentemente citate, esse
non si trovano in
Ásgarðr, ma in altri luoghi del mondo celeste. Un'esplicita indicazione ci viene fornita dalla letteratura
pseudostorica, come ora vedremo. |
IV - ÁSGARÐR NELLA LETTERATURA EVEMERISTICA L'interpretazione
pseudo-storica
di Ásgarðr
trova il suo paradigma in un brevissimo accenno della
Prose Edda
di Snorri, dove ha però quasi l'aria di un intruso, o forse di un refuso.
Þar næst
gerðu þeir sér borg í miðjum heimi
er kallaðr er Ásgarðr. Þat kǫllum
vér Troja... |
Poi [i figli di
Borr] costruirono
per loro, nel centro del mondo, una rocca [borg] che fu chiamata
Ásgarðr, che noi chiamiamo
Troja... |
Snorri
Sturluson: Prose Edda >
Gylfaginning [9] |
In tutto il resto dell'Edda,
che ha carattere mitologico, Ásgarðr si trova stabilmente in cielo. Ma in questa frase, che
sembra redatta sulla base di un'ideologia storiografica, è invece posta al centro del mondo e
addirittura identificata con la Troíē omerica. Che la frase non sia
un'interpolazione è sia suggerito dal fatto che la troviamo in tre
manoscritti su quattro (il passo manca soltanto nel Codex Uppsaliensis [U]),
sia anche e soprattutto dal fatto che riflette un'opinione che Snorri manifesta in altre opere.
Solo, stupisce di trovarla appuntata
in un testo mitologico, in contraddizione con quanto detto nel contesto.
L'idea ha la base nella concezione evemeristica, cara agli storiografi
medievali, per la quale le divinità pagane erano in realtà sovrani ed eroi del
lontano passato, poi divinizzati e venerati dal popolo ignorante. È questa
l'interpretazione che Snorri dà nei suoi testi pseudostorici, l'Ynglinga
saga e il
Formáli dell'Edda,
a cui possiamo aggiungere la cornice del
Gylfaginning.
Nell'Ynglinga saga,
Snorri esordisce con un
resoconto geografico, proiettando il lettore nelle desolate distese della Svíþjóð inn mikla, o «grande Svezia», che altri non è che la Russia. A sud
di essa si trova lo Svartahaf (il Mar Nero). Questo, e il suo tributario,
il fiume Tanais o Tanakvísl (il Don), dividono l'Európá dall'Ásíá. Ed è
appunto giocando sulla paraetimologia Æsir/Ásíá, che Snorri localizza la
sede originaria degli dèi, sulle sponde orientali del Don, ed è lì, nell'antica Scizia, al confine tra l'attuale Ucraina e il Caucaso russo, che egli colloca il
loro regno, Ásaheimr, e la loro
capitale, Ásgarðr.
Fyrir austan Tanakvísl í Asía var kallat
Ásaland eða Ásaheimr, en hǫfuðborgin, er var í landinu, kǫlluðu þeir Ásgarð. En
í borginni var hǫfðingi sá, er Óðinn var kallaðr; þar var blótstaðr mikill. Þat
var þar siðr, at tólf hofgoðar váru œztir; skyldu þeir ráða fyrir blótum ok
dómum manna í milli. Þat eru díar kallaðir eða dróttnar; þeim skyldi þjónostu
veita ok lotning alt fólk. |
La terra ad oriente del fiume Don, in Asia,
era detta Ásaland o
Ásaheimr,
e la capitale del paese fu detta Ásgarðr. Nella fortezza c'era
un capo che si chiamava
Óðinn. Era quello luogo di solenni
sacrifici. Era la regola che dodici sacerdoti del tempio fossero i capi
preminenti che prendevano le decisioni circa i sacrifici e i giudizi fra gli
uomini; essi erano detti díar o drótnar. A loro tutto il popolo
doveva tributare servizio e venerazione. |
Snorri
Sturluson: Ynglinga saga [2] |
Affiora qui il medesimo sistema che avevamo già incontrato nel racconto
mitologico. Ásgarðr è un luogo di particolare
sacralità, in cui
Óðinn presiede a un collegio di dodici
capi, i díar «dèi» o drótnar «signori», a cui sono attribuite funzioni di
sacerdoti e giudici. È ovvio che in un contesto storico non si può
parlare di vere e proprie divinità (per quanto la parola díar, mutuata
dal celtico, sia assai trasparente) ma è evidente che ai dodici sacerdoti di
Ásgarðr,
nell'Ynglinga saga, corrispondono i dodici
troni degli
Æsir, in
Gylfaginning [14]
(e, per analogia, ai dodici nomi che «anticamente»
Óðinn
aveva in Ásgarðr, in
Gylfaginning [3])
In un capitolo successivo, Snorri è un po' più preciso riguardo la
collocazione del regno di Óðinn. Egli scrive:
Fjallgarðr mikill gengr af landnorðri
till útsuðrs; sá skilr Svíþjóð hina miklu ok ǫnnur ríki. Fyrir sunnan fjallit er
eigi langt til Tyrklands; þar átti Óðinn eignir stórar... |
Una grande catena montuosa si estende da
nord-est verso sud-ovest, dividendo la Svíþjóð inn mikla dagli altri regni. A sud
delle montagne non c'è una grande distanza dal Tyrkland. Là
Óðinn aveva grandi possedimenti... |
Snorri
Sturluson: Ynglinga saga [4] |
|
Mappamondo a «O-T». |
British Library. Ms. C-5933-06; Royal 12 F. IV; f.135v. |
Snorri ha in mente l'orbe terrestre secondo la concezione espressa dai
geografi medievali: un mondo tripartito tra Asia, Africa ed Europa. L'immagine è
quella dei mappamondi medievali «O-T», dove il mondo è
di forma
circolare e l'Asia occupa metà del disco. Il Nilo, il Mediterraneo e il
Mar Nero s'incontrano al centro del cerchio, formando una caratteristica T
e dividendo tra loro i tre continenti.
La «grande catena montuosa» [fjallgarðr mikill] a cui accenna Snorri,
sono i monti Urali, i quali sembrano chiudere
Ásaheimr a est. Poiché i
territori posseduti da
Óðinn comprendono la regione tra la
sponda orientale del Tanakvísl (il Don) e il Tyrkland (la Turchia),
la città di Ásgarðr dovrebbe sorgere – secondo le ipotesi
geografiche di Snorri – in punto vicino al centro del mondo, sul lato «asiatico»
dello Svartahaf (il Mar Nero, che nella cartina è il braccio sinistro della T). Questo
spiegherebbe anche il breve inciso di
Gylfaginning [9] che pone
Ásgarðr al centro
del mondo [í miðjum heimi].
Il seguito della narrazione di Ynglinga saga
narra della guerra tra goli Æsir e i
Vanir, il cui territorio di
Vanaheimr viene collocato da Snorri
sempre lungo il Don, probabilmente ad ovest di
Ásaheimr. Conclusa
la guerra,
Óðinn abbandona la sua terra e, per
sfuggire all'espansione romana, conduce gli
Æsir
verso il nord Europa: nel Danmǫrk e poi in Svíþjóð. Qui,
Óðinn fonda dei regni, crea un sistema di
leggi e, dopo aver equamente diviso il potere tra i suoi dodici capi (Baldr,
Njǫrðr,
Freyr,
Heimdallr,
Þórr...),
istituisce il suo stesso culto.
A questo punto, Snorri spiega che gli uomini del nord cominciarono a
distinguere tra un mondo umano e uno divino, tanto che presero a distinguere la Svíþjóð dalla Svíþjóð inn mikla, chiamando l'una
Mannheimr, «mondo degli
uomini», e l'altra Goðheimr, «mondo degli dèi» (Ynglinga
saga [8]), proprio perché gli Æsir
erano arrivati da laggiù. Il dettaglio è necessario in quanto, nell'ottica del
testo, gli Æsir sono un popolo
terreno e Ásaheimr
è semplicemente il paese da cui provengono. Il passaggio da
«Ásaheimr»
a «Goðheimr» sancisce, nelle intenzioni di Snorri, la trasformazione di un
dato prettamente storico in una verità mitologica. L'autore aggiunge:
Óðinn varð sóttdauðr í Svíþjóð; ok er
hann var at kominn bana, lét hann marka sik geirsoddi ok eignaði sér alla
vápndauða menn; sagði hann sik mundu fara í Goðheim ok fagna þar vinum sínum. Nú
hugðu Svíar, at hann væri kominn í hinn forna Ásgarð, ok mundi þar lifa at
eilífu. Hófst þá at nýju átrúnaðr við Óðin ok áheit. |
Óðinn
morì di malattia in Svíþjóð. Quando fu vicino alla morte, si fece segnare con la
punta della spada e dichiarò suoi tutti gli uomini uccisi dalle armi, poi disse
che sarebbe andato in Goðheimr per accogliervi i suoi amici. Così gli
Svedi
pensarono che egli fosse tornato nell'antico
Ásgarðr
per vivervi in eterno. Si accrebbe allora la fede in
Óðinn
e l'invocazione a lui. |
Snorri
Sturluson: Ynglinga saga [9] |
In questo modo, pur fornendo una geografia e una storia «realistiche» su
Ásgarðr,
Snorri giustifica lo sviluppo del pensiero cosmologico e mitologico dei
popoli del nord, fornendo anche un'interpretazione della religione vichinga e
delle credenze sulla Valhǫll quale dimora
ultraterrena destinata ai caduti in battaglia. È interessante che Snorri
definisca Ásgarðr hinn forni («l'antica
Ásgarðr») questa
proiezione di una capitale ormai perduta in uno spazio mitico. La stessa
espressione ricompare nella
Prose Edda,
dove si dice che
Óðinn sposò
Frigg
e che i loro figli, i sapienti Æsir, «popolarono l'antica
Ásgarðr e quei regni che le
appartengono» [er bygt hafa Ásgarð
hinn forna ok þau ríki er þar
liggja til] (Gylfaginning [9]).
La medesima lettura storicizzante del mito scandinavo ricompare nel prologo
introduttivo della
Prose Edda,
dove Snorri si premura di illustrare la «realtà storica», prima di intraprendere
l'imponente trattazione mitologica che sarà l'argomento del
Gylfaginning. L'interpretazione
evemeristica è qui ancora più decisa. Se nell'Ynglinga
saga, egli si era limitato a collocare
Ásgarðr
a est del fiume Tanakvísl e ad assegnare a Óðinn dei generici possedimenti nel
Tyrkland, qui identifica tout-court la capitale
degli Æsir con la
Troíē omerica,
giustificando così il solitario accenno di
Gylfaginning [9].
Nær miðri verǫldinni var gǫrt þat
hús ok herbergi er ágætast hefir
gǫrt verit, er kǫlluð var Troja, þar
sem vér kǫllum Tyrkland. Þessi
staðr var miklu meiri gǫrr en aðrir
ok með meira hagleik á marga lund
með kostnaði ok fǫngum, er þar váru.
Þar váru tólf konungdómar ok einn
yfirkonungr, ok lágu mǫrg þjóðlǫnd
til hvers konungdóms. Þar váru í
borginni tólf hǫfuðtungur. Þessir
hǫfðingjar hafa verit um fram alla
menn, þá er verit hafa í verǫldu,
um alla manndómliga hluti. |
Vicino al centro del mondo fu innalzata
quella dimora che divenne famosissima, la quale fu chiamata
Troja, nella terra che noi chiamiamo Tyrkland. Questa città fu costruita
molto più grande di altre e con maggiore abilità, con maggiore dispendio di
mezzi e fatica di quanto fosse stato fatto fino ad allora. Dodici regni vi erano
con un solo re supremo ed ampie tenute appartenevano a ciascun regno. C'erano in
città dodici comandanti, i quali superavano gli altri uomini che vi sono al
mondo in tutte le umane abilità. |
Snorri
Sturluson: Prose Edda >
Formáli [3] |
Non si fa qui menzione di
Ásgarðr, ma è ovvio che Snorri
sta parlando della rocca degli Æsir. La descrizione è ancora più
precisa di quanto non sia nell'Ynglinga saga
e, in controluce, persino i dettagli mitologici affiorano con maggiore
evidenza. Anche se in questo passo l'interpretazione evemeristica ha trasformato il mito in
storia e la cosmologia in geografia, possiamo ancora intravedere il profilo del materiale originale. I «dodici regni» [tólf konungdómar]
che dipendono da «Troja», corrispondono alle
dodici dimore del
Grímnismál.
La città [staðr] principale, che nel
Formáli è
Troja, è la maschera pseudostorica dietro cui Snorri individua l'Ásgarðr
di cui tratterà nell'Edda. Ai «dodici comandanti» [tólf hǫfuðtungur] corrispondono
gli dèi destinati a occupare i dodici troni
che, secondo lo Snorri mitografo, si trovavano nel palazzo di
Glaðsheimr. Il «re supremo» [konungdóms] di
Troja, che è
a capo dei dodici comandanti, corrisponde all'Óðinn
mitologico, identificato a sua volta con Príamos, il cui seggio dominava dall'alto i dodici troni degli dèi
(Gylfaginning [14]).
Scrive ancora Snorri:
Ok svá mikill kraptr fylgði þessum
mǫnnum at mǫrgum ǫldrum síðar, þá
er Pompeius einn hǫfðingi Rómverja
herjaði í austrhálfuna, flýði utan
Óðinn ór Asía ok hingat í
norðrhálfuna, ok þá gaf hann sér ok
sínum mǫnnum þeira nǫfn ok kallaði
Príamum hafa heitit Óðin, en
dróttning hans Frigg, ok af því tók
ríkit síðan nafn ok kallaði Frigía
þar sem borgin stóð. Ok hvárt er
Óðinn sagði þat til metnaðar við
sik, eða þat hafi svá verit með
skipti tungnanna, þá hafa þó margir
frœðimenn haft þat fyrir sannenda
sǫgn, ok þat var lengi ævi eptir at
hverr sem mikill hǫfðingi var tók
sér þar dœmi eptir. |
E così tanto
potere accompagnò questi uomini per molti anni in seguito, che quando Pompeius, un
condottiero romano, attaccò le regioni ad est,
Óðinn
fuggì dall'Ásíá e da lì andò verso
nord, e quindi diede a se stesso e ai suoi uomini i loro nomi, e disse che
Príamus
fosse chiamato
Óðinn e
la sua regina Frigg, e da essa quel regno in seguito fu chiamato Frigía,
dove si trovava la città. Sia che Óðinn
avesse raccontato queste cose di sé per orgoglio, o che queste cose fossero
state modificate a causa del mutare delle lingue, comunque molti saggi uomini lo
avrebbero ritenuto vero, e per molto tempo ancora ogni grande condottiero seguì
il suo esempio. |
Snorri
Sturluson: Prose Edda >
Formáli [3] |
Segue, con maggiori libertà genealogiche, la stessa vicenda già riferita
nell'Ynglinga saga, con la migrazione degli
Æsir nel nord Európá, l'esordio del loro culto e quindi la proiezione
della loro antica capitale in uno spazio non più geografico ma mitico. In quest'ottica,
non è così assurdo che Ásgarðr
(anzi, Ásgarðr hinn forni, l'«antica Ásgarðr»)
venisse identificata con Troíē, visto che molti popoli medievali, così come i
Romani prima di loro, facevano risalire la loro etnogenesi agli stessi Troiani.
Evidentemente, il mito classico era considerato più autorevole, nonché
storicamente più attendibile, di quello scandinavo. Non importa.
L'interpretazione evemeristica getta luce sui dettagli scombinati dei poemi
eddici, e l'una e l'altra lettura si sorreggono a vicenda e forniscono un quadro
preciso e rassicurante sull'antico regno degli dèi. |
V - DODICI (PIÙ UNO)
|
Valhǫll
(✍ XVII sec.) |
Dal ms. ÁM 738 4°,
Edda oblongata,
Stofnum Árna Magnússonar, Reykjavík (Islanda). |
Museo [Edda
Oblongata]► |
Il regno degli Æsir
sembra caratterizzato da una numerazione
ricorrente di dodici dimore, divinità o comandanti. A volte, questi dodici
elementi sono retti da un tredicesimo, che li sovrasta e li governa. Ma facciamo
il punto della situazione:
-
Ljóða Edda:
Grímnismál. Dodici sono le dimore
degli dèi, ciascuna governata da una divinità. Rimane fuori dal computo
Þrúðheimr,
retta da Þórr, il quale si dedica alla
difesa dell'intero sistema celeste. Nella quinta dimora,
Glaðsheimr, si trova la
Valhǫll.
-
Prose Edda:
Gylfaginning. In
Ásgarðr
si trova il santuario di
Glaðsheimr, nel quale sono i troni dei dodici dèi, dominati dal seggio di
Óðinn.
Nella rocca si trova anche la
Valhǫll. Snorri cita alcune
delle dimore divine ma non si occupa di contarle.
-
Prose Edda:
Formáli. Nell'antichità,
Troja (Ásgarðr)
governava su dodici regni. Nella reggia, il re supremo era fiancheggiato da dodici
capi.
- Ynglinga saga. In
Ásgarðr,
capitale di Ásaheimr,
c'era un capo chiamato Óðinn.
Sotto di esso erano dodici sacerdoti supremi.
Nei suoi vari esiti, il sistema è abbastanza coerente ed è facile risalire a
un archetipo in cui il regno divino era composto da dodici dimore celesti, ognuna retta da una
divinità, e tutte quante erano dominate da un santuario principale, sacro
all'intero pántheon. Óðinn
sovrastava i dodici dèi, così come il santuario governava le dodici dimore. Questo
del dodici più uno è un sistema piuttosto ricorrente in molte tradizioni:
si pensi ai dodici figli di Yaʿăqōḇ, ai dodici apostoli di
Yēšûʿ, ai dodici
paladini di Charlemagne nelle chansons de geste. Quale proiezione astronomica, si
può citare lo zodiaco che rotea attorno al polo celeste, o l'anno che governa
sui dodici mesi.
Pur rientrando in quest'ordine di idee, i vari esiti del sistema scandinavo
presentano però molte incoerenze, difficili da superare. In Snorri, la dimora
centrale è Ásgarðr,
con il suo palazzo di
Glaðsheimr, dove si trovano i dodici seggi degli dèi e l'alto trono di
Óðinn.
Nel Grímnismál, invece,
Glaðsheimr è solo la quinta delle dodici
dimore, per quanto abbia certamente uno status speciale, essendo la sede
della
Valhǫll.
In quanto alle divinità coinvolte, il
Grímnismál
ne cita dodici: Þórr,
Ullr,
Freyr,
Sága,
Skaði,
Baldr,
Heimdallr,
Freyja,
Forseti,
Njǫrðr,
Víðarr. Infatti
Glaðsheimr
è retta da Hroptr,
epiteto di Óðinn, a cui è già attribuita
la potestà su Valaskjálf.
Nel Grímnismál,
Óðinn
sembra una sorta di primus
inter pares. È uno dei dodici æsir, e regge la sua dimora personale.
Ma allo stesso tempo, governa
Glaðsheimr.
Nella
Prose Edda,
quando
Gangleri domanda quali siano gli dèi a cui
gli uomini dovrebbero credere, si sente rispondere: «Dodici sono i divini
Æsir» [Tólf eru æsir
goðkunnigir] (Gylfaginning [20]).
Segue una bella esposizione dei principali numi, che occupa interamente i
capitoli [20-33]. Ma se contiamo le figure
descritte,
scopriamo
che sono quattordici: Óðinn,
Þórr,
Baldr,
Njǫrðr,
Freyr,
Týr,
Bragi,
Heimdallr,
Hǫðr,
Víðarr,
Váli,
Ullr,
Forseti e
Loki. L'ultimo nome possiamo
escluderlo dal computo. Rimangono tredici divinità, e poiché i troni in
Glaðsheimr sono dodici
più uno, bisogna pensare che appartengano ad essi.
La differenza principale con l'elenco del
Grímnismál,
è che Snorri enumera unicamente delle divinità maschili, mentre nel poema eddico
ve ne sono sia maschili che femminili. Ma Snorri corre ai ripari, elencando
delle ásynjur da opporre agli æsir, e anche qui ne presenta quattordici:
Frigg,
Sága,
Eir,
Gefjun,
Fulla,
Freyja,
Sjǫfn,
Lofn,
Vár,
Vǫ́r,
Syn,
Hlín,
Snotra e
Gná. Prudentemente, associa alle dee un santuario che si affianchi a
quello maschile. Scrive che, subito dopo la costruzione di
Glaðsheimr,
gli dèi...
...annan sal gǫrðu þeir,
þat var hǫrgr er gyðjurnar áttu,
ok var hann allfagrt hús. Hann
kalla menn Vingólf. |
...costruirono un'altra sala: il santuario che
andò alle dee, meraviglioso. Gli uomini lo chiamano
Vingólf.
|
Snorri
Sturluson: Prose Edda >
Gylfaginning [14] |
Nella
Prose Edda,
Vingólf non ha una fisionomia
precisa: ora è il santuario delle dee, ora accoglie i caduti in battaglia, ora è
addirittura una dimora escatologica destinata a sopravvivere al
ragnarǫk, segno che Snorri sta
pasticciando il suo materiale.
Insomma, è complicato far stare insieme le nostre fonti. Anche se il
panorama è abbastanza preciso sul piano generale, i dettagli sono tra loro
incongruenti. Snorri ha rielaborato il suo materiale per costruire un sistema
apparentemente coerente, ma dimostra di non aver compreso molti dettagli. Nondimeno, ci ha presentato un mondo divino, nei suoi personaggi e
nelle sue dimore, assai sfaccettato e affascinante. |
VI - GLAÐSHEIMR, ÁSGARÐR,
VALHǪLL: RELAZIONI E DIFFERENZE Il
Grímnismál, come abbiamo visto, evoca una «sacra terra» comune
agli
Æsir e agli
Álfar, ed
enumera le dodici
dimore divine, tredici con
Þrúðheimr. Ciascuna di esse è dedicata a
una singola divinità, tranne la quinta dimora,
Glaðsheimr, che è detta essere il luogo in cui si trova
la
Valhǫll
e in cui
Hroptr (Óðinn) sceglie ogni giorno i
caduti degni di accedervi. È evidente che
Glaðsheimr
detiene un ruolo speciale nel computo delle dimore divine.
Glaðsheimr heitir enn
fimti, þars en gullbjarta Valhǫll við of þrumir; en þar Hroptr kýss hverjan dag vápndauða vera.
|
Glaðsheimr si chiama la quinta [dimora] in cui splendente d'oro la vasta
Valhǫll
si trova; e là
Hroptr sceglie ogni giorno gli uomini caduti nella mischia. |
Ljóða Edda
>
Grímnismál [8] |
Il termine
Glaðsheimr vuol dire «mondo
della gioia». È un composto in heimr, «mondo, patria, casa», termine che
in norreno ha un significato quasi esclusivamente cosmologico. Nella letteratura
mitologica, -heimr identifica le
regioni che compongono l'universo e caratterizza i nomi di
alcuni degli jǫrðar nío: Álfheimr,
Niflheimr,
Jǫtunheimr,
Múspellsheimr, etc. Nel
Grímnismál,
Glaðsheimr ha quindi i
connotati di un mondo a sé stante – forse una sorta di paradiso celeste – e
Valhǫll
è l'edificio che vi sorge.
A dispetto di quanto suggerito nel
Grímnismál, però, Snorri
afferma che Glaðsheimr non sia un mondo, o un territorio celeste, bensì un
edificio [hús], il primo costruito dagli dèi in
Ásgarðr affinché serva loro da
santuario [hof].
Var þat hit fyrsta
þeira verk at gǫra hof þat er sæti
þeira standa í, tólf ǫnnur en
hásætit þat Allfǫðr á. Þat hús er
bezt gǫrt á jǫrðu ok mest, allt er
þat innan ok útan svá sem gull
eitt. Í þeim stað kalla menn
Glaðsheim. |
La loro prima opera fu la costruzione di
quella corte ove stanno i loro dodici seggi insieme all'altro, l'alto seggio
che appartiene ad Allfǫðr.
Questo edificio è il migliore costruito sulla terra e il più grande. Qui tutto, dentro e fuori, appare come oro puro. Questo posto gli
uomini lo chiamano Glaðsheimr.
|
Snorri
Sturluson: Prose Edda >
Gylfaginning [14] |
Snorri sta cercando di coordinare in un sistema coerente le notizie fornite
dai
poemi eddici, aggiungendovi le sue interpretazioni personali. Egli trasforma
Glaðsheimr
da mondo a edificio. Ma il Glaðsheimr dell'Edda
sembra avere più o meno le funzioni che avrà
Ásgarðr
nella Prose Edda,
se non altro perché è il luogo in cui si trova il salone di
Valhǫll. Allorché re
Gylfi accede nella
rocca di Ásgarðr,
quella che trova subito davanti a sé è la
Valhǫll
col suo tetto di scudi dorati
(Grímnismál [8]). Ma il rapporto che Snorri stabilisce tra
Ásgarðr
e la Valhǫll è meglio esplicitato
in un capitolo successivo, dove si narra il mito della costruzione delle mura
di Ásgarðr. Così inizia il racconto:
Þat var snimma í ǫndverða bygð
goðanna, þá er goðin hǫfðu sett
Miðgarð ok gert Valhǫll, þá kom þar
smiðr nǫkkvorr ok bauð at gera þeim
borg á þrim misserum svá góða at
trú ok ørugg væri fyrir bergrisum
ok hrímþursum... |
Si era agli inizi, nei primi tempi in cui gli dèi si erano insediati nella loro
dimora, quando avevano appena stabilito
Miðgarðr e costruito
Valhǫll. Un giorno giunse un artigiano che offrì loro di costruire in tre
misseri una cittadella così ben fatta da essere solida e protetta contro
i bergrisar e i hrímþursar... |
Snorri
Sturluson: Prose Edda >
Gylfaginning [42] |
La Valhǫll sembra essere un
edificio isolato, che ha perciò bisogno di una muraglia che lo cinga e lo protegga. È
quanto il gigante si accinge a fare e completerà nel giro di sei mesi. È
evidente che è proprio la costruzione di questa cinta muraria a individuare la
rocca [borg] che sarà chiamata Ásgarðr,
«recinto degli
Æsir». Quindi, in un certo senso, la
Valhǫll
precede la stessa Ásgarðr. Anzi, in
questo passo, Valhǫll
sembra addirittura prendere il posto di
Glaðsheimr come
primo
palazzo della
cittadella divina. Dunque, oltre a trasformare
Glaðsheimr in un edificio,
Snorri sembra identificarlo in parte con la
Valhǫll.
D'altra parte, il fatto che Snorri descriva
Glaðsheimr
fatto «come oro puro» [sem gull
eitt] (Gylfaginning [14]),
è una evidente sovrapposizione con il motivo della
Valhǫll
«splendente d'oro» [gullbjarta]
(Grímnismál [8]).
|
VII - LA VALHǪLL: L'ASPETTO DEL SALONE Le fonti che descrivono nei dettagli la
Valhǫll, la dimora dei
guerrieri caduti in battaglia, sono essenzialmente due: il
Grímnismál, che dedica al
vasto salone
una decina di strofe, e la
Prose Edda
di Snorri che, citando e spiegando il complesso poema, dipinge un vivido quadro
della Valhǫll, ricco di dettagli e
sfumature. Come abbiamo visto, il
Grímnismál esordisce con un elenco delle dodici – in realtà tredici
– dimore degli Æsir,
a ciascuna delle quali è dedicata una strofa. Arrivato alla quinta
dimora, Glaðsheimr, il poema la
definisce come il luogo in cui si trova il vasto salone di
Valhǫll, splendente d'oro. A quel punto, l'elenco
delle dimore divine s'interrompe e seguono due strofe – piuttosto ermetiche –
che aggiungono alcuni pittoreschi dettagli del salone, dopodiché il
Grímnismál riprende il novero delle
dimore divine:
Glaðsheimr heitir enn
fimti, þars en gullbjarta Valhǫll við of þrumir; en þar Hroptr kýss hverjan dag vápndauða vera.
|
Glaðsheimr si chiama la quinta [dimora] in cui splendente d'oro la vasta
Valhǫll
si trova; e là
Hroptr sceglie ogni giorno gli uomini caduti nella mischia. |
Mjǫk er auðkent þeim er til Óðins koma
salkynni at sjá: skǫptom er rann rept, skjǫldom er salr þakiðr,
brynjom un bekki strát. |
È assai riconoscibile per quelli che vengono a
Óðinn, l'aspetto del salone: da lance il tetto è sorretto, da scudi il salone è coperto, da corazze le panche son tratte. |
Mjǫk er auðkent þeim er til Óðins koma
salkynni at sjá: vargr hangir fyr vestan dyrr ok drúpir ǫrn yfir.
|
È assai riconoscibile per quelli che vengono a
Óðinn, l'aspetto del salone: un lupo è appeso dinanzi all'ingresso occidentale e si leva l'aquila sopra. |
Ljóða Edda
>
Grímnismál [8-10] |
Nella strofa [8], la
Valhǫll
viene definita come il luogo dove
Hroptr (Óðinn)
accoglie i guerrieri caduti in combattimento, da lui scelti sui
campi di battaglia del mondo. La strofa [9]
fornisce l'aspetto del salone, tutto improntato a un'estetica guerresca e
marziale:
non sono colonne, ma lance, a sostenere il tetto, e questo è a sua volta
ricoperto di scudi e non di tegole; le lunghe panche sono ricavate da corazze.
Meno comprensibile è la strofa [10]: perché vi è un
lupo sopra l'ingresso della
Valhǫll? E cosa rappresenta
l'aquila che vola sopra il salone? Non abbiamo altri riferimenti testuali a
questi due strani dettagli.
Snorri descrive il pittoresco salone nel secondo
capitolo della sua
Edda. Quando re
Gylfi
accede ad Ásgarðr,
trova infatti, davanti a sé, un palazzo immenso e meraviglioso.
En er hann kom
inn í borgina, þá sá hann þar háva hǫll, svá at varla mátti hann sjá yfir hana.
Þak hennar var lagt gyltum skjǫldum svá sem spánþak. [...] |
Quando [Gylfi] entrò nella rocca, vide una
hǫll talmente alta che a stento ne
scorgeva la sommità. Il tetto era ricoperto di scudi dorati disposti come
tegole. [...] |
Þar sá hann mǫrg gólf ok margt
fólk, sumt með leikum, sumir
drukku, sumir með vápnum ok
bǫrðusk. Þá litaðisk hann um ok þóttu
margir hlutir ótrúligir þeir er
hann sá. |
Là egli vide molte stanze e una gran folla di gente; alcuni giocavano, altri
bevevano, altri, armati, si battevano. Gylfi si guardava intorno e molto di quel che vedeva gli sembrava
incredibile. |
Snorri
Sturluson: Prose Edda >
Gylfaginning [2] |
Se re Gylfi non può
ancora sapere di trovarsi di fronte alla
Valhǫll, la cosa non sfugge al lettore dell'Edda. Snorri
non può esimersi di giustificare la sua descrizione esibendosi in una nota erudita: «Così
dice Þjóðólfr ór Hvíni, che la Valhǫll era coperta di scudi» [Svá segir Þjóðólfr inn hvinverski at Valhǫll var skjǫldum þǫkð]
(Gylfaginning [2]).
E cita alcuni versi tratti da un poema scaldico:
Á baki létu blíkja, barðir váru grjóti, Sváfnis salnæfrar seggir hyggjandi. |
Sul dorso facevano splendere, mentr'eran da pietra colpiti, le tegole della sala di
Sváfnir, credendo di essere astuti. |
Snorri
Sturluson: Prose Edda >
Gylfaginning
{2} = Hrafnsmál [11]
|
Ma Snorri sbaglia attribuendo il brano allo
scaldo Þjóðólfr ór Hvínir (860-935). Esso è tratto dal Hrafnsmál, il «Discorso del corvo», di Þorbjǫrn Hornklofi (± 855-920). Nell'ingegnosa
kenning, Sváfnir, «[colui che] addormenta»,
è
Óðinn, la «sala di
Sváfnir» è la
Valhǫll, e le «tegole della
sala di Sváfnir» sono gli scudi, che i
guerrieri di re Haralðr hárfagri – a cui è dedicato il poema – si sono issati sul dorso per difendersi dalle pietre
con cui vengono bersagliati dai nemici.
Un'altra affascinante descrizione della
Valhǫll, Snorri la fornisce nel primo capitolo dello
Skáldskaparmál,
allorché Ægir si mette in viaggio per
Ásgarðr,
per partecipare al banchetto degli dèi.
Ok um kveldit, er drekka skyldi, þá lét Óðinn bera inn í hǫllina
sverð, ok váru svá bjǫrt at þar af lýsti, ok var ekki haft ljós annat meðan við
drykkju var setit. Þá gengu æsir at gildi sínu ok settusk í hásæti tólf æsir,
þeir er dómendr skyldu vera ok svá váru nefndir [...]. Ægi þótti gǫfugligt
þar um at sjásk, veggþili ǫll váru þar tjǫlduð með fǫgrum skjǫldum. Þar var ok
áfenginn mjǫðr ok mjǫk drukkit. |
All'imbrunire, quando era ora di bere,
Óðinn portò nella
hǫll delle spade
così splendenti che da esse emanava luce e non vi furono altri lumi mentre si
svolgeva il convivio. Giunsero dunque gli Æsir
a banchetto e presero posto nei troni i dodici che dovevano essere
giudici [...]. Ad Ægir parve meraviglioso ciò
che vedeva attorno a sè. Tutti i rivestimenti erano ricoperti di bellissimi
scudi. C'era anche un idromele inebriante e molto se ne bevve. |
Snorri
Sturluson: Prose Edda >
Skáldskaparmál [1] |
Dove si trova la
Valhǫll?
Grímnismál
[8] asserisce si trovi in
Glaðsheimr. Come abbiamo
visto, questo luogo, il «mondo
della gioia», sembrerebbe essere una regione celeste. Se non ché Snorri afferma
sia un edificio, di fatto il primo costruito dagli dèi in
Ásgarðr,
e lo descrive tutto d'oro zecchino
(Gylfaginning
[14]). Vi è una contraddizione, non facilmente risolvibile affermando che
Glaðsheimr fosse un
edificio e la Valhǫll una delle sue
sale. Tutte le descrizioni della
Valhǫll
disegnano il profilo di un edificio a sé stante, fornito di un tetto, di un gran
numero di porte, persino di un cancello. Snorri, dunque, non solo interpreta
erroneamente le sue fonti affermando che
Glaðsheimr sia un edificio, ma vi
sovrappone alcuni dettagli caratteristici della
Valhǫll, come il fatto che sia
d'oro. Ricapitolando, mentre, nel
Grímnismál
Glaðsheimr è il territorio in cui sorge
Valhǫll,
in Snorri Glaðsheimr e la
Valhǫll vengono
più o meno a confondersi.
In un altro capitolo della sua opera, Snorri ci narra il mito della
costruzione delle mura di Ásgarðr. Egli esordisce
affermando che, al principio del tempo, gli dèi avevano innalzato la
Valhǫll,
che qui sembra prendere il posto di
Glaðsheimr come primo edificio della
cittadella divina. Solo più tardi, con la costruzione della possente cinta
muraria, il
luogo sarebbe divenuto una vera e propria rocca [borg], meritandosi il
nome di Ásgarðr
(Gylfaginning
[42]).
Nella Ljóða Edda
compaiono pochi altri riferimenti alla
Valhǫll, e si tratta sovente di dettagli poco comprensibili. Ad esempio,
nel Grímnismál c'è una sequenza di due strofe che sembra narrare dell'arrivo dei guerrieri defunti ai cancelli
della
Valhǫll:
Þýtr þund, unir þjóðvitnis fiskr flóði í; árstraumr
þikkir ofmikill valglaui at vaða. |
Il
Þund rumoreggia, nuota di «Þjóðvitnir il pesce» nell'onda. Il vortice si mostra periglioso al guado delle schiere dei caduti. |
Valgrind heitir, er stendr velli á heilǫg fyr helgom durom;
forn er sú grind, en þat fáir vito, hvé hón er i lás lokin.
|
Valgrind si chiama quel che s'erge sul campo, sacro dinanzi alle sacre porte; antico è quel cancello: e in pochi sanno come funzioni il chiavistello. |
Ljóða Edda
>
Grímnismál
[21-22] |
Non abbiamo qui le spiegazioni di Snorri. Il
Þund sembra essere un fiume che
sia necessario guadare per arrivare alla
Valhǫll, ma di esso non si
parla altrove, così come non sappiamo chi sia Þjóðvitnir,
né che cosa sia il suo «pesce» ①. Del cancello di Valgrind, parimenti, non si
parla altrove: sembra sia necessario oltrepassarlo per arrivare alle porte di
Valhǫll.
Nello
Skáldskaparmál è pure citato un boschetto (o un albero) chiamato
Glasir,
dalle foglie dorate, che si troverebbe dinanzi alle porte di
Valhǫll. Snorri, al riguardo,
cita alcuni versi da un poema andato perduto:
Hví er gull kallat barr eða lauf Glasis?
Í Ásgarði fyrir durum Valhallar stendr lundr, sá er Glasir er kallaðr, en lauf
hans allt er gull rautt, svá sem hér er kveðit, at... |
Perché l'oro è detto «foglie» o «fronde di
Glasir»? In
Ásgarðr,
davanti alle porte di
Valhǫll, sta un boschetto chiamato
Glasir, e tutte le sue fronde sono di
fulvo oro, perciò qui si dice che... |
Glasir stendr með gullnu laufi
fyrir Sigtýs sǫlum. |
Glasir sta con le sue fronde dorate dinanzi alle sale di
Sigtýr. |
Sá er viðr fegrstr með goðum ok mǫnnum. |
Questa foresta è la più bella tra gli dèi e
gli uomini. |
Snorri
Sturluson: Prose Edda >
Skáldskaparmál [42
{108}]
Ljóða Edda [fragmenta]
> VII |
Tra le notazioni enigmatiche del salone, possiamo segnalare
un passo della
Voluspá,
dove si dice che, quando Baldr fu ucciso,
Frigg pianse la
«sventura della
Valhǫll» [vá Valhallar]
(Voluspá [33]),
espressione che potrebbe nascondere significati sottili.
Infine, nell'incipit dell'Hyndluljóð,
così Freyja desta la vǫlva
Hyndla:
Vaki mær meyja, vaki mín vina,
Hyndla systir, er í helli býr; nú er rǫkkr rǫkkra,
ríða vit skulum til Valhallar ok til vés heilags.
|
Svegliati, fanciulla tra le fanciulle! Svegliati,amica mia, sorella
Hyndla che abiti nella caverna! È ora la tenebra delle tenebre: cavalchiamo verso
Valhǫll e i santi
templi! |
Ljóða Edda
>
Hyndluljóð
[1] |
|
VIII - LA VALHǪLL: I SUOI OSPITI
Nella sua
Prose Edda, Snorri ci ricorda innanzitutto che il salone di
Valhǫll viene assegnato da
Óðinn ai guerrieri uccisi in battaglia, e sottolinea un legame di
adozione
tra il dio e coloro che, caduti valorosamente nella mischia, sono divenuti suoi figli:
Hann heitir
ok Valfǫðr, þvíat hans óskasynir
eru allir þeir er í val falla. Þeim
skipar hann Valhǫll ok Vingólf, ok
heita þeir þá Einherjar. |
[Óðinn] si chiama anche
Valfǫðr perché sono suoi figli adottivi tutti coloro che cadono uccisi. A
loro assegna
Valhǫll e
Vingólf, ed essi si
chiamano
Einherjar. |
Snorri
Sturluson: Prose Edda >
Gylfaginning [20] |
Riguardo all'esistenza che gli
Einherjar conducono nella
Valhǫll, è
Gylfi
stesso – dissimulato sotto il nome di
Gangleri – a chiedere lumi al suo
anfitrione Hár. Che cosa mangiano gli
Einherjar? Che cosa bevono? Chi li serve? E
cosa fanno quando non sono a banchetto? Il
Grímnismál è la fonte da cui Snorri trae le sue informazioni e cita ogni volta le
strofe del poema, a prova della correttezza del suo racconto, dandone al
contempo preziose spiegazioni.
Sappiamo così che vi sono, nella
Valhǫll, tre
animali: un porco, una capra e un cervo, a cui il
Grímnismál
dedica altrettante strofe. Queste ultime sarebbero rimaste piuttosto ostiche se Snorri
non ne avesse fornito colorite esplicazioni, così da rispondere alle
domande di re Gylfi. La prima di esse, isolatamente citata
dal poema in coda al novero delle dimore divine, dice:
Snorri spiega:
Þá mælti Gangleri:
“Þat segir þú
at allir þeir menn er í orrostu
hafa fallit frá upphafi heims eru
nú komnir til Óðins í Valhǫll.
Hvat hefir hann at fá þeim at
vistum? Ek hugða at þar skyldi
vera allmikit fjǫlmenni”. |
Quindi disse
Gangleri: “Tu dici che tutti gli uomini
che sono caduti in battaglia dall'inizio del mondo sono ora giunti nella
Valhǫll, da
Óðinn. Cos'ha egli da offrire loro per sostentarli? Immagino che là vi sia
una folla immensa”. |
Þá svarar Hár:
“Satt er þat er þú segir, allmikit
fjǫlmenni er þar, en miklu fleira
skal enn verða, ok mun þó oflítit
þykkja þá er úlfrinn kemr. En
aldri er svá mikill mannfjǫlði í
Valhǫll at eigi má þeim endask
flesk galtar þess er Sæhrímnir
heitir. Hann er soðinn hvern dag
ok heill at aptni. En þessi
spurning er nú spyrr þú, þykki mér
líkara at fáir muni svá vísir vera
at hér kunni satt af at segja.
Andhrímnir heitir steikarinn, en
Eldhrímnir ketillinn”. |
Rispose quindi
Hár: “Ciò che dici è vero. Una
grande folla si trova là e diverrà
ancora più grande, ma sembrerà
comunque troppo piccola quando
arriverà il lupo. Mai però la
moltitudine di
Valhǫll sarà grande abbastanza
da finire la carne di quel
cinghiale che si chiama Sæhrímnir.
Esso viene cotto ogni giorno, ma
alla sera è di nuovo intero.
Riguardo a ciò che ora domandi,
credo proprio che pochi siano
abbastanza sapienti da rispondere
correttamente. Andhrímnir si chiama
il cuoco ed Eldhrímnir il
calderone”. |
Snorri
Sturluson: Prose Edda >
Gylfaginning [38] |
Per quanto riguarda la capra e il cervo, essi compaiono, nel
Grímnismál, in due strofe affiancate, anch'esse piuttosto ermetiche.
I due animali sono detti trovarsi «nella sala di
Herjafǫðr» [á hǫllo
Herjafǫðrs], dove brucano le fronde di un albero – mai citato altrove – chiamato
Læraðr.
Heiðrún heitir geit, er stendr hǫllo á [Herjafǫðrs] ok bítr af læraðs limom;
skapker fylla hón skal ins skíra
mjaðar, knáat sú veig vanaz. |
Heiðrún
si chiama la capra che si erge sulla sala [di
Herjafǫðr] e bruca le fronde del
Læraðr. Il calderone riempirà lei di quel chiaro idromele, un liquore che non può mancare. |
Eikþyrnir heitir hjǫrtr, er stendr á hǫllo
Herjafǫðrs ok bítr af Læraðs limom; en af hans hornom drýpr i Hvergelmi,
þaðan eigo vǫtn ǫll vega. |
Eikþyrnir
si chiama il cervo che si erge sulla sala di
Herjafǫðr e bruca le fronde del
Læraðr. Dalle sue corna cadono gocce in
Hvergelmir, da cui prendono le acque ogni via. |
Ljóða Edda
>
Grímnismál [25-26] |
Poiché
Herjafǫðr, il «padre delle
schiere», è
Óðinn, possiamo bene immaginare che la sala in questione sia la
Valhǫll, pur non espressamente
citata. È la stessa conclusione di Snorri, che v'imbastisce
sopra un dialogo deliziosissimo:
Þá mælti Gangleri: “Hvat hafa
einherjar at drykk þat er þeim
endisk jafngnógliga sem vistin,
eða er þar vatn drukkit?” |
Quindi chiese
Gangleri: “Per gli
Einherjar c'è qualcosa da bere che
possa bastare per accompagnare il loro cibo, oppure là si beve acqua?” |
Þá segir Hár: “Undarliga spyrðu nú,
at Allfǫðr mun bjóða til sín
konungum eða jǫrlum eða ǫðrum
ríkismǫnnum ok muni gefa þeim vatn
at drekka, ok þat veit trúa mín at
margr kemr sá til Valhallar er dýrt
mundi þykkjask kaupa vatnsdrykkinn
ef eigi væri betra fagnaðar þangat
at vitja, sá er áðr þolir sár ok
sviða til banans. |
Disse quindi
Hár: “È strano che tu
adesso chieda se
Allfǫðr possa chiamare a sé
regnanti, jarlar e altri uomini di rango e dar loro da bere acqua. E in fede
mia, tanti giungerebbero a
Valhǫll pensando di aver pagato a caro
prezzo quell'acqua da bere, se non vi fosse un miglior desco a cui sfamarsi per
chi in precedenza ha sofferto atroci dolori nel momento della morte. |
Annat kann ek þér þaðan segja.
Geit sú er Heiðrún heitir stendr
uppi á Valhǫll ok bítr barr af
limum trés þess er mjǫk er
nafnfrægt, er Léraðr heitir, en ór
spenum hennar rennr mjǫðr sá er
hon fyllir skapker hvern dag. Þat
er svá mikit at allir einherjar
verða fulldruknir af”. |
Posso raccontarti ancora una cosa. Quella capra che si chiama
Heiðrún sta nella parte alta di
Valhǫll e mangia le bacche dai rami di quel famosissimo albero chiamato
Léraðr. Dalle sue mammelle l'idromele scorre copioso, tanto che ogni giorno
ne riempie un barile. Questo è così grande da ubriacare tutti gli
Einherjar”.
|
Þá mælti Gangleri: “Þat er þeim
geysihaglig geit. Forkunnar góðr
viðr mun þat vera er hon bítr af!” |
Quindi parlò
Gangleri: “È proprio una capra utile per
loro. Dev'essere poi prodigioso l'albero da cui bruca”. |
Þá mælti Hár: “Enn er meira mark at
of hjǫrtinn Eirþyrni, er stendr á
Valhǫll ok bítr af limum þess trés,
en af hornum hans verðr svá mikill
dropi at niðr kemr í Hvergelmi, en
þaðan af falla ár þær er svá heita... |
Quindi disse
Hár: “Ancora più notevole è il
cervo
Eikþyrnir: anche lui si trova
in
Valhǫll e bruca i rami
dell'albero. Dalle sue corna
stillano tantissime gocce che
cadono in
Hvergelmir e da qui nascono i fiumi che così si chiamano... |
Snorri
Sturluson: Prose Edda >
Gylfaginning [39] |
La meraviglia di
Gylfi/Gangleri
è la stessa del lettore, e Snorri la orchestra con l'abilità di un
romanziere moderno. Più tardi, il protagonista pone una domanda della quale,
almeno in teoria, dovrebbero già conoscere la risposta, visto che si trova sul
posto e
sta già assistendo a quanto accade giornalmente nella
Valhǫll.
Þá mælti Gangleri: “Allmikill mannfjǫlði er í Valhǫll, svá njóta
trú minnar at allmikill hǫfðingi
er Óðinn er hann stýrir svá miklum
her. Eða hvat er skemtun
einherjanna þá er þeir drekka eigi?” |
Quindi parlò
Gangleri: “Un'enorme folla si trova nella
Valhǫll. E per quanto posso comprendere,
Óðinn è un grandissimo condottiero, lui che comanda un esercito così grande.
Ma qual è il passatempo degli
Einherjar quando non bevono?” |
Hár segir: “Hvern dag þá er þeir
hafa klæzk, þá hervæða þeir sik ok
ganga út í garðinn ok berjask ok
fellr hverr á annan. Þat er leikr
þeira. Ok er líðr at dǫgurðarmáli,
þá ríða þeir heim til Valhallar ok
setjask til drykkju, svá sem hér
segir”. |
Disse
Hár:
“Ogni giorno, dopo essersi vestiti, si armano ed escono nel cortile, dove
lottano e si abbattono l'un l'altro. Questo è il loro svago. Quando si avvicina
l'ora del dagverðr,
allora tornano alla Valhǫll, la
loro casa, e siedono a bere”. |
Snorri
Sturluson: Prose Edda >
Gylfaginning [40] |
La fonte, qui, non è più il
Grímnismál, ma il
Vafþrúðnismál:
Allir einherjar Óðins túnum í hǫggvask hverjan dag. Val þeir kjósa ok ríða vígi frá, sitja meir um sáttir saman.
|
Gli
Einherjar tutti alla corte di
Óðinn ogni giorno si battono. Il caduto essi scelgono
dalla battaglia ritornano, poi in concordia siedono insieme. |
Ljóða Edda
>
Vafþrúðnismál
[41] |
Hár continua
quindi il suo racconto, spiegando che le
Valkyrjur hanno il
compito di servire da bere agli
Einherjar
(Gylfaginning
[36]). Ma la curiosità di Gylfi/Gangleri
sembra inesauribile: alla sua meraviglia immaginando l'affollamento che deve
esservi dinanzi alle porte di
Valhǫll,
Hár gli chiede:
“Perché non chiedi piuttosto quante porte ci siano in
Valhǫll o
quanto grandi?”
(Gylfaginning
[40]). La risposta alla domanda retorica formulata da
Hár,
viene però fornita da un'ulteriore strofa del
Grímnismál,
citata da Snorri:
Fimm húndruð dura ok um fjórom tøgom,
svá hygg ek at Vallhǫllo
vera; átta hundruð einherja ganga senn ór einom
durom, þá er þeir fara at vitni
at vega. |
Cinquecento porte e ancora quaranta credo vi siano nella
Valhǫll; ottocento
Einherjar usciranno insieme da ciascuna porta quando andranno a
battersi col lupo. |
Ljóða Edda
>
Grímnismál
[24] |
Riguardo al numero di porte della
Valhǫll, cinquecentoquaranta o
seicentoquaranta, a seconda del significato che si voglia dare a húndruð
(parola che originariamente indicava il «centinaio» di dodici decine e solo
in epoca tarda il «centinaio» di dieci
decine), abbiamo dato altrove una possibile interpretazione. ①
|
IX - LA VALHǪLL: ISTRUZIONI D'ACCESSO
Con il poema eroico Helgakviða Hundingsbana ǫnnur
entriamo finalmente dal punto di vista del guerriero caduto in battaglia che viene ammesso al
grande salone. Il nobile e valoroso Helgi, ucciso a tradimento dal
cognato Dagr, sale nella
Valhǫll e viene ben
accolto da
Óðinn, il quale gli affida importanti
incarichi nella dimora celeste. Subito, Helgi destina
Hundingr, il suo antico nemico, anch'egli nella
Valhǫll, a fungere da servo
degli altri guerrieri. Sappiamo così che tra gli
Einherjar vigevano distinzioni di
rango.
En er hann kom til Valhallar, þá bauð
Óðinn honum ǫllu at ráða með sér. Helgi kvað: |
E quando [Helgi]
giunse nella
Valhǫll,
Óðinn lo invitò a prendere tutte le
decisioni insieme a lui. Disse Helgi: |
Þú skalt, Hundingr, hverjum manni
fótlaug geta ok funa kynda, hunda binda, hesta gæta,
gefa svínum soð, áðr sofa gangir. |
Tu dovrai,
Hundingr, a ogni uomo lavare i piedi e accendere il fuoco, legare i cani, custodire i cavalli, dare la broda ai maiali prima di andare a dormire. |
Ljóða Edda
>
Helgakviða Hundingsbana ǫnnur [39] |
Intanto, sulla terra, il tumulo di Helgi viene visitato ogni giorno
dall'inconsolabile vedova Sigrún, la quale era stata una
valorosa valchiria. Una sera, al
tramonto, ella vede lo spettro di Helgi in piedi accanto
al suo luogo di sepoltura. È una scena di grande effetto. I due si parlano
e, piangendo, la donna afferma di volere essere seppellita accanto allo sposo defunto.
Helgi le annuncia che questo suo
desiderio si sarebbe presto avverato e le dipinge l'esistenza che essi, di nuovo
riuniti, avrebbero condotto nella
Valhǫll. Quindi
Helgi si congeda, dicendo che è giunto il momento
per lui di tornare alla sua dimora celeste.
Vel skulum drekka dýrar veigar,
þótt misst hafim munar ok landa; skal engi maðr
angrljóð kveða, þótt mér á brjósti benjar líti;
nú eru brúðir byrgðar í haugi, lofða dísir,
hjá oss liðnum. |
Berremo di buon vino sorsi preziosi anche se perdemmo terre e valore. Non canterà nessuno canti di morte anche se ferite letali vedrà sul mio petto: ora le spose giacciono vicine, nel tumulo, donne di guerrieri, accanto a noi, trapassati. |
Mál er mér at ríða roðnar brautir,
láta fǫlvan jó flugstíg troða; skal ek fyr vestan
vindhjalms brúar, áðr Salgófnir sigrþjóð veki. |
Tempo è per me di cavalcare per strade vermiglie; livido il mio cavallo calpesterà sentieri del cielo; percorrerà ad occidente i ponti della volta celeste, prima che
Salgófnir risvegli i vittoriosi. |
Ljóða Edda
>
Helgakviða Hundingsbana ǫnnur [46] e [49] |
D'altra parte, nella redazione evemeristica dell'Ynglinga
saga, l'Óðinn pseudostorico traccia una serie di leggi che hanno tutta l'aria di
rispecchiare i più antichi costumi scandinavi. Egli dà molta
importanza ai rituali funerari perché, leggiamo, da essi dipendeva lo status
del defunto nella
Valhǫll.
Svá setti hann, at alla dauða menn
skyldi brenna ok bera á bál með þeim eign þeirra; sagði hann svá, at með
þvílíkum auðǿfum skyldi hverr koma til Valhallar, sem hann hafði á bál; þess
skyldi hann ok njóta, er hann sjálfr hafði í jǫrð grafit: en ǫskuna skyldi bera
út á sjá eða grafa niðr í jǫrð. En eptir gǫfga menn skyldi haug gera til
minningar; en eptir alla þá menn, er nǫkkut mannsmót var at, skyldi reisa
bautasteina; ok hélzt sjá siðr lengi síðan. |
[Óðinn]
stabilì che tutti i morti dovessero essere cremati e posti sul rogo con i loro
averi. Disse che ognuno sarebbe giunto nella
Valhǫll con le ricchezze che
aveva sulla pira e che vi avrebbe usufruito anche di ciò che personalmente aveva
sotterrato. Le ceneri dovevano essere portate via sul mare o essere sepolte
nelle viscere della terra. In ricordo degli uomini eminenti si sarebbe eretto un
tumulo, e per tutti coloro che avessero mostrato qualità di veri uomini si
sarebbero innalzate pietre sepolcrali; questo uso fu da allora conservato a
lungo. |
Snorri
Sturluson: Ynglinga saga [8] |
Nella Njáls saga
troviamo questo significativo scambio di battute, in cui un giovane impugna
l'alabarda di suo padre prima della battaglia, in modo che, morendo, possa
portarla alla
Valhǫll e riconsegnarla al proprietario:
Eftir það tóku þeir vopn sín þá er allir
menn voru í rekkjum. Hǫgni tekur ofan atgeirinn og sǫng í honum hátt. |
Quindi presero le loro armi, appena tutti
si trovarono nei loro giacigli. Hǫgni prese l'alabarda, che mandò il suo canto. |
Rannveig spratt upp af æði mikilli og
mælti: “Hver tekur atgeirinn þar er eg bannaði ǫllum með að fara?” |
Rannveig si alzò di scatto, furiosa, e
chiese: “Chi impugna l'alabarda? Ho proibito a tutti di avvicinarsi a quell'arma!” |
“Eg ætla,” segir Hǫgni, “að færa fǫður
mínum og hafi hann til Valhallar og beri þar fram á vopnaþingi”. |
“Voglio portarla a mio
padre” disse Hǫgni. “Dovrà averla con sé nella
Valhǫll, quando si verrà al
convegno delle armi!” |
Njáls saga [79] |
Nella stessa saga, troviamo anche una preziosa
indicazione del fatto che, come
Óðinn accoglieva i valorosi guerrieri
nella
Valhǫll, altri poteva escluderli se giudicati immeritevoli di tale onore.
Di fronte alla visione di un tempio arso e spogliato, uno dei personaggi della
saga commenta:
“Maðr mun brennt hafa hofið en borið út
goðin. En goð hefna eigi alls þegar. Mun sá maðr braut rekinn úr Valhǫllu og þar
aldrei koma er þetta hefir gert.” |
“Deve essere stato un uomo a incendiare il
tempio e a portare fuori gli idoli. Ma gli dèi non hanno fretta di vendicarsi.
Sarà escluso dalla
Valhǫll l'uomo che ha compiuto
questo, e per sempre.” |
Njáls saga [88] |
Che la morte non fosse esattamente
una livella, per coloro che cadevano in battaglia, e che nella
Valhǫll
venissero mantenute le distinzioni di rango e ricchezza di cui i
defunti avevano goduto in vita, ci viene confermato anche dalla letteratura scaldica.
Nel poema anonimo Eiríksmál, il «discorso per Eiríkr»,
panegirico scritto per commemorare la morte del re di Nóregr, Eiríkr blóðøx,
«ascia di sangue», avvenuta nel 954,
Óðinn e
Bragi
attendono nella
Valhǫll il trionfale arrivo del defunto sovrano.
Trepidanti, i due æsir invitano i mitici eroi Sigmundr e
Sinfjǫtli ad accogliere personalmente il
sopraggiunto.
Kvað Óðinn: |
Disse
Óðinn:
|
“Hvat's þat drauma? hugðumk fyr dag rísa
Valhǫll at ryðja fyr vegnu fólki; vakðak Einherja,
baðk upp at rísa, bekki at stráa, bjórker at leyðra,
valkyrjur vín bera, sem vísi kœmi. |
Che sogni sono questi? Mi è parso di alzarmi all'alba a sgombrare la
Valhǫll per ospiti in arrivo. Ho svegliato gli
Einherjar, gli ho chiesto di levarsi a impagliare le panche e lavare le brocche della birra e alle
Valkyrjur, di portare vino come se stesse per venire un principe. |
Erum ór heimi hǫlða vánir
gǫfugra nǫkkurra, svá's mér glatt hjarta”. |
Sono gonfio di attese: per l'arrivo dal mondo di un uomo straordinario mi esulta dentro il cuore”. |
Kvað Bragi: |
Disse
Bragi: |
“Hvat þrymr þar sem þúsund bifisk eða mengi til mikit? Braka ǫll bekkþili sem myni Baldr koma eptir í Óðins sali”. |
Cos'è questo fracasso? È il calpestio di mille o di una folla immensa? Tutte le panche stridono: sembra che
Baldr ritorni nella sala di
Óðinn”. |
Kvað Óðinn: |
Disse
Óðinn:
|
“Heimsku mæla skalat enn horski Bragi, þvít þú vel hvat vitir; fyr Eiríki glymr, es hér mun inn koma jǫfurr í Óðins sali. |
Non raccontare storie,
Bragi, sei troppo saggio. La verità la sai; Eiríkr causa il frastuono: sta per entrare un principe nella sala di
Óðinn. |
Sigmundr ok Sinfjǫtli, rísið snarliga
ok gangið í gǫgn grami, inn þú bjóð, ef Eirekr sé,
hans es mér nú ván vituð”. |
Sigmundr e
Sinfjǫtli, alzatevi in fretta e andate incontro al re. Pregatelo di entrare, se si tratta di Eiríkr; la mia attesa è per lui”. |
Eiríksmál [1-4] |
Chiaramente ispirato a quest'ultimo, è l'Hákonsmál,
il «discorso per Hákon», dove lo scaldo Eyvindr Finnsson skáldaspillir crea una situazione analoga per
commemorare Hákon goði, il «buono», fratello di
Eiríkr blóðøx, morto nella battaglia di Stǫrð (960). Il poema è molto
pittoresco nel descrivere le fasi nella
battaglia sostenute da Hákon, sia dal punto di vista dei mortali, sia da quello delle potenze
soprannaturali che stabiliscono le sorti
dei guerrieri. Il poema inizia con una strofa in cui
Óðinn invia le
Valkyrjur sul campo di battaglia per decidere chi, dei sovrani
impegnati nello scontro, sarà destinato a salire nella
Valhǫll:
Nel corso di una tremenda battaglia, in cui il poeta intreccia visioni
laceranti dove il fragore delle armi si mescola al galoppo delle
Valkyrjur, il re cade ucciso insieme a un
gran numero dei suoi uomini e, ritrovandosi avviato sulla strada per la
Valhǫll,
è per un momento sgomento e contrariato.
Perché questa sconfitta? Egli meritava la vittoria! Ma le
valchirie Gǫndul e Skǫgul
gli fanno comprendere, con pochi accenni, che il suo vasto esercito arricchirà
quello degli
Einherjar.
Sö́tu þá dǫglingar með sverð of togin,
með skarða skjǫldu ok skotnar brynjur; vasa sá herr
í hugum ok átti til Valhallar vega. |
Ecco accasciati i principi, con le spade sguainate, con gli scudi spaccati, e le cotte stracciate. Disperato l'esercito, si era ormai avviato sulla via per la
Valhǫll. |
Gǫndul þat mælti, studdisk geirs skapti:
“Vex nú gengi goða, es Hö́koni hafa með her mikinn
heim bǫnd of boðit”. |
Prese a parlare
Gǫndul, appoggiandosi all'asta: “S'arricchisce la schiera divina, se Hákon è oggi invitato con il suo immenso esercito nelle dimore dei potenti”. |
Vísi þat heyrði, hvat valkyrjur mæltu
mærar af mars baki; hyggiliga létu ok hjalmaðar sö́tu
ok hǫfðusk hlífar fyrir. |
Ma ode il signore le parole che le
Valkyrjur si scambiano in tono profetico, dai loro cavalli sedute elmo in testa e lo scudo davanti. |
“Hví þú svá gunni” kvað Hö́kon, “skiptir, Geirskǫgul?
Vö́rum þó verðir gagns frá goðum”, «Vér því vǫldum” kvað Skǫgul,
at þú velli helt, en þínir fíandr flugu. |
“Perché in tal guisa stabilisci” disse Hákon, “l'esito dello scontro,
Geirskǫgul? Io merito dagli dèi la vittoria!” “Noi ti abbiamo permesso” disse
Skǫgul, “di occupare il terreno e abbiamo messo i tuoi nemici in fuga”. |
“Ríða vit skolum”, kvað hin ríkja Skǫgul,
“grǿnna heima goða, Óðni at segja, at nú mun allvaldr koma
á hann sjalfan at séa”. |
“Ma ora risaliamo”, aggiunse maestosa
Skǫgul, “alle verdi dimore degli dèi per annunciare a
Óðinn che è in viaggio per incontrarlo il sovrano in persona!” |
Eyvindr Finnsson skáldaspillir:
Hákonsmál [9-13] |
Allora Óðinn manda
Hermóðr e
Bragi ad
accogliere il sovrano. Re Hákon, ancora tutto insanguinato per le ferite ricevute in battaglia, sbircia
da lontano il minaccioso volto di Óðinn
ed è piuttosto restio ad avanzare. Ma Bragi lo
rassicura:
“Herja grið skalt þú allra hafa, þigg þú at ásum ǫl. Jarla bági, þú átt inni hér átta brǿðr” kvað Bragi. |
“Godrai la stessa pace di tutti gli
Einherjar. Accetta la birra degli
Æsir. Nemico degli
jarlar, troverai in questa casa otto fratelli tuoi”, disse
Bragi. |
“Gerðar órar”, kvað hinn góði konungr,
“viljum vér sjalfir hafa; hjalm ok brynju skal hirða vel,
gótt es til gǫrs at taka”. |
“Le nostre armature”, rispose il buon re, “preferiamo tenercele; l'elmo e la corazza vanno tenuti da conto ed è utile averli sottomano”. |
Eyvindr Finnsson skáldaspillir:
Hákonsmál [14-17] |
Alcuni di questi versi sono citati, tra l'altro, nella
Hákonar saga Góða, la «Saga di Hákon
goði», dove si descrive il funerale pagano di re Hákon, destinato ad aprire
al sovrano norvegese la strada per la
Valhǫll.
|
X - IL MONDO DEGLI DÈI IN TERRA
Nel lessico popolare, Ásgarðr viene di solito identificato
tout-court con il mondo
degli dèi. È d'altra parte un termine in garðr. Come
Miðgarðr è il «recinto degli uomini»,
Ásgarðr è il
«recinto degli dèi». Un'interpretazione abbastanza ovvia ma, in fondo,
superficiale. Intanto, il toponimo «Ásgarðr»
compare solo in Snorri: invano lo cercheremo nella
Ljóða Edda, dove, come abbiamo visto,
troviamo altre figurazioni (Glaðsheimr
sembra assolverne le funzioni). Se in
Vǫluspá
[24]
si cita una «rocca degli Æsir» [borg ása], nel
Grímnismál le dimore divine sono dodici, anzi, tredici.
Nella cosmologia nordica e nel vago sistema dei «nove mondi», sembrerebbe
logico che anche il mondo degli dèi, nel suo complesso, abbia una sua identità
specifica. Purtroppo al riguardo i testi sono piuttosto sfuggenti. Nella
Ljóða Edda troviamo solo vaghe allusioni, come per esempio nel
Grímnismál, dove leggiamo:
Si sente qui l'esigenza di un termine cosmologico più ampio e rigoroso di quanto non sia
«Ásgarðr»,
ma questo non viene mai fornito nella letteratura mitologica. Dobbiamo tornare
ancora una volta ai testi pseudostorici. Nell'Ynglinga saga,
Snorri trasforma gli dèi in condottieri ed eroi dell'antichità e, giocando sulla paraetimologia
Æsir/Ásíá, localizza la
loro sede originaria sulle sponde orientali del Tanakvísl (il Don), ed è lì che egli colloca il
loro antico regno...
Fyrir austan Tanakvísl í Asía var kallat
Ásaland eða Ásaheimr, en hǫfuðborgin, er var í landinu, kǫlluðu þeir Ásgarð. En
í borginni var hǫfðingi sá, er Óðinn var kallaðr... |
La terra a oriente del fiume Tanakvísl, in
Ásíá,
era detta Ásaland o
Ásaheimr,
e la capitale del paese fu detta Ásgarðr. Nella fortezza c'era
un capo che si chiamava
Óðinn... |
Snorri
Sturluson: Ynglinga saga [2] |
Possiamo chiederci da dove Snorri abbia tratto i termini
Ásaland e
Ásaheimr. Li ha coniati lui per
l'occasione, o li ha desunti dalla mitologia? E in quest'ultimo caso, perché i
due termini non vengono mai citati, non solo nella
Ljóða
Edda,
ma nemmeno dallo stesso Snorri nella
Prose
Edda?
L'impressione è che lo scrittore islandese abbia introdotto questi due termini
solo nel
momento in cui ne ha avuto la necessità. Il materiale mitologico che Snorri
aveva tratto dai poemi eddici, e che si era limitato a illustrare in modo più o
meno rigoroso nella Prose
Edda,
viene pesantemente interpretato e manipolato per gli scopi dell'Ynglinga saga. Nel trasformare
il mito in storia, Snorri razionalizza
il suo materiale e lo colloca in realtà geografiche concrete, ragionando quindi in funzione di regni e città.
Saremmo del tutto giustificati se togliessimo a termini come
Ásaland e
Ásaheimr qualsiasi fondamento
mitologico. Il fatto sospetto, però, sta in questa curiosa duplicazione del
termine in due sinonimi o quasi-sinonimi: Ásaland eða Ásaheimr,
come se Snorri abbia avuto uno scrupolo nell'utilizzare un termine desunto
dalla cosmologia pagana e abbia cercato di edulcorarlo aggiungendone un altro più
pertinente. L'impressione è che Ásaheimr, «mondo degli
Æsir»,
abbia un'origine mitologica, essendo un termine in -heimr. Al contrario,
Ásaland, «terra degli
Æsir», sembra essere la dizione storicizzata che Snorri sovrappone a quella mitica,
come per rassicurare il lettore che il mitico Ásaheimr fosse soltanto un
Ásaland;
in altre parole, che il mondo celeste degli
Æsir, di cui favoleggiavano le leggende precristiane,
fosse stato nella realtà storica il regno terreno di un popolo dallo stesso
nome.
Il passaggio da storia a mito, Snorri lo illustra in un passo
successivo dello stesso libro, dove spiega come gli uomini del nord cominciarono a
distinguere tra un mondo umano e uno divino, chiamando l'uno Mannheimr, «mondo degli uomini», e l'altro
Goðheimr, «mondo degli dèi»
(Ynglinga
saga [8]). Dopodiché...
Ok er
hann var at kominn bana, lét hann marka sik geirsoddi ok eignaði sér alla
vápndauða menn; sagði hann sik mundu fara í Goðheim ok fagna þar vinum sínum. Nú
hugðu Svíar, at hann væri kominn í hinn forna Ásgarð, ok mundi þar lifa at
eilífu. |
Quando [Óðinn] fu vicino alla morte, si fece segnare con la
punta della spada e dichiarò suoi tutti gli uomini uccisi dalle armi, poi disse
che sarebbe andato in Goðheimr per accogliervi i suoi amici. Così gli
Svíar pensarono che egli fosse tornato nell'antico
Ásgarðr
per vivervi in eterno. |
Snorri
Sturluson: Ynglinga saga [9] |
Giustificando in questo modo la nascita del paganesimo scandinavo, Snorri
intende spiegare qui come Ásaland o
Ásaheimr
– il territorio storico da cui sarebbero venuti gli
Æsir – si fosse trasformato, nella
coscienza dei popoli del nord, nel Goðheimr,
il «mondo degli dèi» della religione pagana (Ynglinga saga [8]). In realtà, Snorri ci fornisce una precisa indicazione
mitologica che ci permette di dare una connotazione cosmologica al regno degli
dèi scandinavi, suggerendo la concezione originaria di un mondo divino o
Ásaheimr. |
XI - LE DIMORE DIVINE E LO ZODIACO Le complesse
figurazioni cosmologiche esposte nel
Grímnismál
hanno suggerito a molti studiosi delle possibili letture astronomiche. Perché il
frassino Yggdrasill e le bizzarre
creature che lo abitano non potrebbero essere delle costellazioni? Sono stati
fatti molti tentativi per rintracciare tra le stelle il falco
Veðrfǫlnir, lo scoiattolo
Ratatoskr o il serpente
Níðhǫggr. Il guaio è che, a parte i
nomi di pochi asterismi trasmessi dalle saghe, poco o nulla sappiamo
dell'astronomia vichinga. E per quanto ingegnose, certe ipotesi sono destinate a
rimanere fini a sé stesse.
In particolare, la dettagliata enumerazione delle dodici dimore celesti
effettuata dal
Grímnismál
sembra particolarmente significativa ai sensi di un'interpretazione zodiacale.
Non è un'ipotesi peregrina. La divisione dell'eclittica in dodici
«segni» era sicuramente ben conosciuta anche nella Scandinavia medievale, per
quanto ignoriamo come fossero disegnate le costellazioni e cosa rappresentassero
esattamente. Ciò non ha impedito al filologo Marcello Meli, in un suo
affascinante studio, di associare ogni dimora divina a un segno
zodiacale.
Le sue proposte sono le seguenti:
- Ýdalir (Ullr)
→ Sagittarius ♐
- Álfheimr (Freyr)
→ Capricornus ♑
- Valaskjálf (Óðinn)
→ Aquarius ♒
- Søkkvabekkr (Sága)
→
Pisces ♓
- Glaðsheimr (Hroptr)
→ Aries ♈
- Þrymheimr (Skaði)
→
Taurus ♉
- Breiðablik (Baldr)
→
Gemini ♊
- Himinbjǫrg (Heimdallr)
→
Cancer ♋
- Fólkvangr (Freyja)
→
Leo ♌
- Glitnir (Forseti)
→
Virgo ♍
- Nóatún (Njǫrðr)
→
Libra ♎
- Þrúðheimr (Þórr)
→
Scorpio ♏
Perlopiù Meli non giustifica le relazioni che imbastisce, ma per alcune
avanza delle ipotesi interessanti.
Ad esempio, Álfheimr corrisponderebbe a
Capricornus
perché in dicembre, quando si trova in questo segno, il corso giornaliero del
sole appare basso sull'orizzonte, e giacché Freyr è una divinità
legata alla fertilità, a Meli sembra ovvio associarlo al solstizio d'inverno. Al perfetto contrario,
Breiðablik,
il cui nome significa «vasto
splendore», viene associato a Gemini perché in giugno, quando si trova in questo segno,
il sole è alto e fulgido in cielo, e il luminoso
Baldr sembra incarnare perfettamente
l'equinozio d'estate. Ma non tutte le interpretazioni avanzate da Meli sono
stagionali. Ýdalir, ad esempio,
viene associato a Sagittarius semplicemente perché
Ullr è un dio-arciere, così come l'immagine tradizionale del segno zodiacale. Il salone di
Søkkvabekkr
è associato a Pisces poiché coperto dalle onde. Meno chiaro perché
Þrymheimr sia Taurus e
Nóatún Libra, ma si noti
la sottigliezza che localizza le due dimore in punti diametralmente opposti
dello zodiaco, dando una
giustificazione astronomica al mito del difficile ménage matrimoniale di
Njǫrðr e
Skaði.
(Meli 2004)
Seppure affascinante, il giochino di Meli lascia in realtà il tempo che
trova. Per quanto l'ipotesi non sia affatto infondata, non vi è alcuna chiave univoca
che ci permetta di associare le dodici dimore ai segni dello zodiaco.
Ad esempio, non c'è ragione per cui
Baldr debba
rappresentare il solstizio d'estate. In qualità di dio che muore e rinasce,
signore della futura età aurea, Baldr
potrebbe essere associato anche al
solstizio d'inverno, esattamente come è accaduto a Yēšûʿ e per le medesime ragioni. Da un punto di vista
puramente simbolico, il «vasto splendore»
Breiðablik
può rappresentare il motivo del ritorno della luce il 22 dicembre
(antica celebrazione del Sol Invictus), e
quindi corrispondere a Capricornus.
Ma anche
Søkkvabekkr
potrebbe essere un perfetto candidato per Capricornus. Nel sud della Norvegia, il 22
dicembre, il sole sorge intorno alle 10.00 e tramonta verso le 14.00: la costellazione di
Capricornus non sale praticamente mai sopra l'orizzonte. Quale dimora sommersa dalle acque,
Søkkvabekkr si presterebbe assai bene a simboleggiare un segno che non
«emerge».
Assai interessante è la rocca di
Himinbjǫrg, che Snorri ci dice essere il varco d'accesso
per entrare in cielo. Come interpretare questo motivo dal punto di vista
astronomico? Himinbjǫrg potrebbe
corrispondere a uno dei due punti d'intersezione dell'eclittica con
l'equatore celeste, punti tradizionali di passaggio dalla terra al cielo, che si trovano rispettivamente
in Virgo e in Pisces.
Alternativamente, se identifichiamo il ponte Bifrǫst con la Via Lattea,
Himinbjǫrg potrebbe
collocarsi là dove questa incontra l'eclittica, quindi presso Taurus o Gemini.
Non scordiamo, infine, che
Heimdallr viene esplicitamente
associato con Aries. Come si vede, è facile gioco trovare moduli di
identificazione tra le dimore celesti degli
Æsir e i segni dello zodiaco. La serie di identificazioni operate da Meli presenta infine una piccola
forzatura. Lo studioso ha escluso la terra senza
nome di Víðarr (che pure il
Grímnismál
assicura essere la dodicesima dimora celeste) e, per mantenere il computo a
dodici, ha inserito al suo posto
Þrúðheimr.
Si ricorderà che, nel
Grímnismál,
Þrúðheimr
introduceva l'enumerazione delle dodici dimore, ma non ne faceva parte. Il testo
è piuttosto preciso su questo punto. Dunque, a rigore, Meli avrebbe dovuto tenere fuori la dimora di
Þórr dalle sue identificazioni zodiacali. Abbiamo parlato sopra delle possibili relazioni
testuali di questo simbolismo del dodici più uno. Sarebbe utile capire quali
ragioni abbiano indotto l'ignoto autore del
Grímnismál
ad escludere
proprio
Þrúðheimr dalla serie
delle dodici dimore, nell'ipotesi che queste rappresentino i segni zodiacali. C'è innanzitutto la
pur fragile possibilità che, come abbiamo suggerito prima,
Þrúðheimr rappresenti
– almeno nel
Grímnismál –
il mondo divino nel suo complesso e quindi l'intera serie
dei dodici segni. Ma una soluzione più stringente a questo piccolo enigma va
forse cercata nel personaggio di Þórr.
È un discorso piuttosto complesso. Per ora, basti segnalare che, come il suo omologo
greco Hērakls (e come Gilgameš
in Mesopotamia), anche Þórr è un «eroe zodiacale», il
quale attraversa i confini del mondo per combattere i giganti.
Dobbiamo qui proiettarci in una prospettiva astronomica: l'Utgarðr,
il «recinto esterno», mèta dei viaggi di
Þórr, rappresenta il confine dove la terra
sfuma nel cosmo zodiacale. L'úthaf, l'oceano cosmico, dove
Þórr si
avventura in barca per pescare
Jǫrmungandr,
corrisponde all'Ōkeanós del mito greco, che
è il luogo dove la barca del sole naviga dopo il tramonto, da occidente ad
oriente, per sorgere l'alba successiva. Lo stesso
Jǫrmungandr, il serpente che
circonda il mondo, sembra figurare l'intero giro dell'eclittica. Ci sono addentellati astronomici interessanti, che saranno approfonditi altrove.
Þrúðheimr potrebbe quindi
essere un nome dell'intero mondo celeste, difeso da
Þórr, il quale è un eroe errabondo che si muove
lungo il corso del sole, attraverso lo zodiaco. ①
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BIBLIOGRAFIA ► |
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