Snorri Sturluson |
PROSE
EDDA |
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Snorri Sturluson
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Snorri Sturluson |
Uomo d'affari, politico, diplomatico, nonché
studioso, storico e poeta, Snorri Sturluson
fu una delle figure di maggior spicco nella
cultura islandese medievale. Conosciamo
molti dettagli della sua biografia grazie alla Sturlunga
saga, redatta alla fine del
XIII secolo.
Snorri nacque a Hvammr, nell'Islanda
occidentale, nel
1179. Suo padre Sturla Þórðarson apparteneva
alla famiglia degli Sturlungar, una delle più influenti dell'isola; sua madre
era Guðný Bǫðvarsdóttir. Aveva un fratello maggiore, Sighvatr, e un minore, Þórðr.
Ma mentre i suoi fratelli rimasero a Hvammr,
Snorri venne
allevato, a partire dall'età di tre anni, da Jón
Loftsson, secondo una pratica all'epoca
molto comune, con la quale si sigillavano
accordi o alleanze. Jón aveva antenati nella famiglia reale norvegese; era uno dei
capi più potenti d'Islanda, ma anche un uomo
di grande erudizione. Snorri trascorse la
sua gioventù a Oddi, che era allora era uno
dei principali centri intellettuali
dell'isola, e qui scoprì tanto la cultura
classico-cristiana quanto la letteratura
tradizionale norrena, con i suoi canti
mitologici, la poesia scaldica e la
narrativa epico-storica delle saghe.
Snorri non tornò mai a Hvammr. Il padre morì nel 1183 e la madre sperperò la sua
porzione di eredità. Quando Jón
Loftsson morì, nel 1197, il ventenne Snorri prese in moglie Hjǫrðís Bersisdóttir,
figlia di un ricco sacerdote di Borg (in Islanda non esisteva il
celibato ecclesiastico). Dal suocero, Snorri ricevette una proprietà e il titolo
di goði
(sorta di capo-distretto). Egli rimase quattro anni a Borg, e Hjǫrðís gli diede
due figli: Hallbera e Jón murtur. Ma Snorri ebbe anche delle avventure con
altre donne, di cui se ne ricordano tre: Guðrún, Oddný e Þuríður. Guðrún gli
diede diversi figli, ma unica a raggiungere l'età adulta fu Ingibjǫrg.
Oddný gli diede una femmina, Þórdís. Þuríður gli diede un maschio, Órækja.
Il matrimonio con Hjǫrðís si raffreddò assai presto e, nel 1206, Snorri lasciò la
moglie a Borg e si
trasferì a Reykholt, dove il sacerdote Magnús Pálsson gli diede incarico di amministrare
una proprietà appartenente alla Chiesa. Snorri vi mise in piedi una fattoria e v'installò
una vasca circolare in pietra lavorata, alimentata da acque termali, che si
conserva ancora oggi.
Snorri
si rivelò abile in tutte le cose a cui pose mano. Si fece una fama di poeta e di
avvocato, ma anche di abile uomo d'affari e,
dal 1215 al 1219, fu il titolare della più
alta carica islandese, quella di lǫgsǫgumaðr,
l'«enunciatore delle leggi» presso l'alþing,
la suprema assemblea politica e giuridica
degli uomini liberi.
Snorri aveva dedicato alcuni poemi al re di Norvegia, Hákon IV Hákonarson
(1217-1263), il quale gli inviò dei doni e lo invitò a corte. False voci sulla
presunta morte del re ritardarono il viaggio, ma poi, finalmente, nell'estate del 1218, Snorri
lasciò l'Islanda e si recò in Norvegia. Re Hákon accolse Snorri con
tutti gli onori e gli conferì il titolo di skutilsvein, un onore che però
lo rendeva giuridicamente suo suddito. Nonostante il suo ruolo
nell'alþing islandese, Snorri non si fece alcuno scrupolo a prestare
giuramento di fedeltà al re norvegese e, come suo vassallo, gli rimise tutte le
sue proprietà, che però gli furono immediatamente restituite sotto forma di regalo. Nel corso
dell'inverno, Snorri si recò presso il duca Skúli Bárðarson,
del quale divenne amico, e nell'estate
dell'anno successivo si recò a Skara, in
Svezia, dove conobbe il suo «collega» lǫgsǫgumaðr
Eskil Magnússon e la moglie di questi, Kristina Nilsdotter, vedova del conte Hákon
inn Galinn. Entrambi erano intimi con la
famiglia reale e fornirono a Snorri
molte notizie sulla storia di Svezia e
Norvegia.
Re Hákon mirava a estendere il suo potere sull'Islanda. Snorri lo persuase a
non invadere l'isola e s'impegnò affinché gli islandesi riconoscessero la sovranità
del re di Norvegia. Questo
progetto sarebbe valso a Snorri fama di traditore in
patria e, poiché in seguito non cercò di mantenere gli impegni contratti con Hákon, la sua
disgrazia presso il re. Tornato in Islanda nel 1220, a bordo della nave che Hákon gli aveva
generosamente donato, Snorri provvide ad agevolare gli interessi dei mercanti norvegesi e inviò il
figlio Jón murtur in ostaggio al re di Norvegia, in garanzia della sua
fedeltà.
Nel 1222 Snorri riuscì a farsi designare di nuovo come lǫgsǫgumaðr,
titolo che avrebbe tenuto fino al 1231. Intanto, invece di favorire
la causa norvegese, lo scrittore cominciò a occuparsi dei suoi affari personali. Uomo
arrogante e assetato di ricchezze, Snorri era però riluttante a usare la
forza, preferendo avvalersi del potere inerente alla propria carica per raggiungere i
suoi scopi. Confiscando proprietà e mercanzie, mise insieme una vera e propria
fortuna, e ottenne il controllo di diversi distretti. Riuscì
a eludere i nemici sempre più numerosi, alcuni dei quali vennero da lui
dichiarati fuorilegge e privati dei propri beni.
Nel 1224, Snorri si sposò
con Hallveig Órmsdóttir, una ricca vedova assai più giovane di lui, la
quale già aveva due figli dalla sua unione precedente. Il matrimonio con Hallveig non fu però strettamente legale, in quanto lo scrittore risultava
ancora sposato con Hjǫrðís.
Grazie ad Hallveig, Snorri divenne l'uomo più ricco d'Islanda. Il più ricco, ma
anche il più avido e avaro. Snorri si alienò le simpatie dei suoi stessi
parenti, con i quali era assai poco disposto a dividere i suoi beni. Nel
frattempo Jón murtur era tornato dalla Norvegia ed essendo l'unico figlio
legittimo di Snorri, si associò al padre nel suo incarico presso l'alþing.
Avendo deciso di sposarsi, il giovane chiese a Snorri, quale parte della sua
eredità, la fattoria di Stafholt. Snorri rifiutò e lo spedì da sua
madre a Borg. Jón rinunciò al matrimonio e ritornò
infelice in Norvegia.
Assai più disponibile
Snorri si rivelò riguardo ai matrimoni delle sue tre figlie, che cercò di
sistemare per ottenere vantaggi politici ed economici. Non furono, purtroppo,
unioni fortunate.
La figlia di Guðrún, Ingibjǫrg, fu data in sposa a Gizurr Þórvaldsson, goði della famiglia degli Haukdælir.
Presto disaffezionatosi dalla moglie,
Gizurr si spostò in Norvegia, dove tra l'altro uccise Jón murtur, il figlio
di Snorri. Quando tornò in Islanda, il suo matrimonio con Ingibjǫrg
naufragò del tutto. Dopo la morte in tenera età dell'unico figlioletto Jón, l'unione si
concluse con un divorzio.
Hallbera, figlia di Hjǫrðís, venne data in moglie, ancora giovanissima, ad Árni
óreiða di Brautarholt, ma divorziò dopo tre anni. La chiese allora in sposa Kolbeinn ungi Arnórsson, il «giovane», capo di Skagafjǫrðr. Ammalatasi nel giro di un anno,
la ragazza venne presto trascurata dal marito e, dopo un nuovo divorzio, tornò dalla madre a Borg.
Morì due anni dopo. Per risolvere la contesa sorta con Kolbeinn, Snorri combinò
il matrimonio tra l'altro suo figlio, Órækja, ed Arnbjǫrg, sorella di Kolbeinn.
A dispetto della situazione, tuttavia, Arnbjǫrg fu per Órækja una buona moglie e gli stette vicino nei
momenti più difficili della sua vita.
La figlia di Oddný,
Þorðís, venne
invece data in moglie a Þórvald Vatnsfirding, un possidente dell'Islanda
nord-occidentale. Uomo piuttosto turbolento, Þórvald morì bruciato vivo nella
sua casa nel 1228. La brutale uccisione di
Þórvald causò una sanguinosa faida in cui risultò coinvolto il nipote di
Snorri, Sturla
Sighvatsson. Per sfuggire
alla vendetta dello scrittore, Sturla lasciò l'Islanda e si recò in
pellegrinaggio a Roma, chiedendo perdono per i suoi peccati. Nel frattempo, Þorðís
ereditò le proprietà del marito, a Vatnsfjǫrðr, e Snorri le diede in
gestione a Órækja, il quale riuscì però soltanto a
terrorizzare il distretto con le sue violenze ed efferatezze.
Intanto, re Hákon, non fidandosi
delle promesse di Snorri e stanco dei suoi indugi, si rivolse a Sturla
Sighvatsson, tornato di recente da Roma, affinché si occupasse lui di concludere
l'annessione dell'Islanda alla Norvegia. Giunto in patria, Sturla s'impadronì
della dimora di Snorri, a Reykholt, e si vendicò crudelmente su Órækja. Lo scrittore, dopo aver tentato inutilmente di
parlamentare col nipote, si arrese alla necessità di una battaglia. Ma all'alba
dello scontro, scoprendo di non saper combattere, si diede alla fuga e si
rifugiò sulla costa orientale dell'isola. Da qui, alzò ancora una volta le vele
per la Norvegia.
Iniziava per l'Islanda un lungo periodo di declino, conosciuto
sotto il nome di Sturlung e destinato a trascinarsi fino
al 1262, caratterizzato dall'esacerbazione delle rivalità tra le principali
famiglie dell'isola. Rifugiatosi in Norvegia, Snorri rimase per due anni presso
il duca Skúli, il quale stava preparando una rivolta contro re Hákon e mirava a
impossessarsi del trono. Durante il soggiorno,
dall'Islanda giunse la notizia che, nella battaglia di Ǫrlygsstaðr
(21 agosto 1238), Gizurr Þórvaldsson e Kolbeinn ungi avevano sconfitto e
ucciso Sturla Sighvatsson e Sighvatr Sturluson. Snorri pianse in un'elegia la morte del nipote e del
fratello,
benché fossero stati suoi nemici.
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Snorralaug |
Il bagno termale di Snorri Sturluson è il meglio conservato del Medioevo. Snorri fu ucciso nel tunnel che portava dal bagno alla sua
casa, il cui ingresso è visibile nello sfondo. |
L'immediata
risposta di re Hákon fu di
vietare agli islandesi di lasciare
la Norvegia, compreso Snorri, fino a nuova
disposizione. Ma Snorri disobbedì e tornò in Islanda nella primavera del 1239.
Lo scrittore riteneva che non fosse necessario obbedire al re dal momento che in
breve sarebbe stato detronizzato da Skúli. L'anno
seguente, però, la rivolta non ebbe successo e nel 1240 Skúli venne ucciso dagli uomini
del re. Snorri fu accusato di cospirazione e re Hákon ordinò a Gizurr Þórvaldsson
di catturare Snorri e riportarlo in Norvegia. Lo scrittore si presentò all'incontro
accompagnato da una scorta di cento uomini, ma di fronte ai novecento schierati
da Kolbeinn, riuscì a scappare.
Dopo la morte di Hallveig, Snorri risiedeva stabilmente a Reykholt, non
volendo lasciare la propria dimora in mano ai figliastri. E lì giunse Gizurr Þórvaldsson, la notte del 23 settembre 1241, insieme ad
altri settanta uomini. Il re aveva ordinato la sua morte. Qualcuno tentò di avvertire Snorri
recapitandogli
un messaggio scritto in rune, ma lo scrittore non riuscì a leggerlo. Quando la fattoria
fu circondata, Snorri si rifugiò nel passaggio
sotterraneo che andava dalla casa al
bagno termale. Lì venne trovato da Markús Marðarson, Símon Knútr, Árni
Beiskr, Þorsteinn Guðinason e Þórarinn Ásgrímsson.
La saga racconta che Símon Knútr
chiese ad Árni di uccidere Snorri, il quale disse: «Non mi
trafiggere!» [Eigi skal hǫggva]. «Trafiggilo tu!» [Hǫgg
þú] ordinò Símon ad Árni. «Non mi trafiggere» [Eigi skal
hǫggva] chiese ancora Snorri, ma nello stesso tempo Árni gli inferiva il colpo fatale.
Árni morì dieci anni dopo, mentre tentava di sfuggire all'incendio
di un'altra fattoria. Saltò da una finestra e cadde a terra. Qualcuno lo
riconobbe e domandò: «Nessuno qui si ricorda di Snorri Sturluson?», e Árni venne
ucciso. Poi venne massacrato anche Gizurr, che si trovava nella stessa casa.
Uomo
arrogante, potente e avido, ma di profonda
cultura, Snorri fu il maggiore
scrittore islandese del suo tempo e uno
dei più grandi letterati
europei prima di Dante. Scrisse
alcune poesie e saghe, tra le
quali la Óláfssaga
ins helga («Saga di Óláfr il
Santo») e la Heimskringla («Orbe
Terrarum»), opera di cui fa
parte la Ynglingasaga («Saga
degli Ynglingar»).
A Snorri è da alcuni
attribuita la bellissima Egilssaga
Skallagrímssonar («Saga di Egill Skallagrímsson»),
sulla vita del celebre
avventuriero e scaldo vichingo. Ma l'opera più
importante di Snorri, composta intorno al 1220, è senza dubbio la
Prose Edda, che costituisce uno dei
principali monumenti della letteratura
medievale islandese e nel contempo una delle
fonti più ricche sull'antica mitologia
scandinava.
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L'Edda
in prosa
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Pagina del Codex
Uppsaliensis (XIV secolo) con testo della Prose
Edda di Snorri. |
La Prose Edda è un manuale di arte scaldica per
aspiranti poeti e, solo in secondo luogo, un
trattato di mitologia norrena. Se, nel corso
dell'opera, Snorri fornisce molti
racconti sulla creazione del mondo e sugli
dèi, è semplicemente perché gli antichi miti
pagani erano considerati parte dell'irrinunciabile
bagaglio culturale di ogni poeta, materiale propedeutico
alla comprensione della poesia scaldica e repertorio necessario per la
composizione delle nuove opere. Tuttavia, nella prospettiva del lettore moderno,
in parte influenzato dalla filologia ottocentesca, la parte mitologica della
Prose Edda risulta più interessante delle
pagine dove si spiegano specificatamente i
vari tipi di metro della poesia scaldica; questa visione parziale dell'opera,
unita al fatto che le moderne traduzioni privilegiano le parti mitologiche, ha
portato al diffuso fraintendimento che l'Edda
di Snorri sia essenzialmente un
trattato di mitologia, cosa che
non era probabilmente nell'intentio
auctoris.
Ma detto questo, è certo che le
informazioni mitologiche fornite da Snorri
siano inestimabili per la nostra conoscenza
degli antichi miti scandinavi. Snorri attinse le sue fonti ai carmi della
Ljóða Edda, di cui fornì, nel suo
libro, spiegazioni e interpretazioni
approfondite: senza il suo contributo,
buona parte dei miti a cui i poemi eddici
accennano nel loro stile oscuro ed ermetico,
sarebbero per noi del tutto incomprensibili.
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Struttura della Prose Edda
La Prose Edda
è costituita da un prologo e tre parti
principali:
Al
fine di presentare la sua opera, nella quale la finzione
letteraria renderà necessario trattare
dell'antica religione come fosse autentica
sapienza e tradizione cosmologica, Snorri,
da buon cristiano, premette un «prologo»,
Formáli, per ragguagliare il lettore sulla storia del
mondo secondo il dettato biblico e spiegare
come sorse in nord Europa la fede nelle
divinità pagane. Egli utilizza insieme fonti
bibliche e classiche: tratta di Adamo ed
Eva, del Diluvio, della torre di Babele e di Zoroastro, e spiega come gli uomini
dimenticarono la fede nel vero Dio e
passarono ad adorare una moltitudine di
divinità. Tratta poi del regno di
Saturno, antico re di Creta a cui erano
attribuiti sapienza esoterica e poteri
magici, e dei sovrani che regnarono nella città
omerica di Troia. Snorri utilizza, secondo
l'uso della storiografia medievale,
l'interpretazione evemeristica. Gli
Æsir
furono un potente popolo
originario di Troia. Guidati dal
loro re
Óðinn,
giunsero nei paesi del
nord, dove vennero adorati come dèi
dalla popolazione ignorante e superstiziosa.
Per quanto non faccia parte dell'Edda
ma anzi, in un certo senso la neghi, il
Formáli
rimane uno
straordinario documento speculativo
sull'origine del popolo, delle
credenze e della lingua del nord Europa.
Bisogna comunque aggiungere che tra questa prima parte e i rimanenti
libri dell'Edda
vi sono numerose discrepanze stilistiche,
linguistiche e testuali che hanno
indotto alcuni autori a ritenere che a
redigere il
Formáli
non fu Snorri
ma forse qualche erudito posteriore. [ANTOLOGIA]
Il primo libro
vero e proprio,
Gylfaginning è una narrazione completa
e organica dei miti nordici, oltre che la
nostra fonte più importante per la
conoscenza della religione degli antichi
Scandinavi. Cornice della narrazione è il
viaggio compiuto da
Gylfi,
mitico re svedese nonché grande conoscitore di magie, il
quale, travestitosi da vecchio, si reca nel
paese degli
Æsir
per scoprire la fonte della loro sapienza e
del loro potere. La materia del libro viene
svolta attraverso le
domande di
Gylfi
sulla creazione e sul divenire
dell'universo, sulla natura degli dèi e
sulla fine del mondo, a cui dànno risposta tre misteriosi
personaggi nei quali si ravvisa
– in
forma triplice
– lo
stesso
Óðinn.
Alla fine del colloquio, la dimora degli dèi
scompare nel nulla. Grazie a questa
rappresentazione, Snorri dà una visione
d'insieme delle credenze pagane, racconta i
miti di creazione e svela la struttura
dell'universo e dei mondi che lo compongono,
enumera gli dèi e per ciascuno ne fornisce
la fisionomia e narra i miti principali
che lo riguardano. [ANTOLOGIA]
Il secondo libro, lo
Skáldskaparmál, adotta come cornice un
dialogo tra il gigante marino
Ægir
e il dio della poesia
Bragi,
in cui il secondo spiega al primo il
significato delle più
importanti kenningar (metafore) e
degli úkend heiti
(semplici denominazioni o epiteti
considerati però particolarmente poetici), dando così
al lettore molte importanti informazioni
sull'origine e il significato dei nomi
mitologici citati nelle opere degli scaldi. Alcune
di queste storie appartengono alla
mitologia: il rapimento di
Iðunn da parte di
Þjazi, il matrimonio tra
Skaði e
Njǫrðr, il
furto da parte di
Óðinn dell'idromele della
poesia, i combattimenti tra
Þórr e i
giganti Hrungnir e
Geirrøðr. Altre storie
forniscono racconti eroici: si parla di
Sigurðr, di re
Fróði, di
Hrólfr Kraki. A
volte Snorri non si contenta di citare una
semplice metafora poetica, ma fornisce
lunghi estratti dei poemi che la contengono,
conservando così importanti opere che
altrimenti sarebbero andate perdute: è il
caso del poema Haustlǫng
(«Lungo come un autunno») di Þjóðólfr ór
Hvíni, della Þórsdrápa («Eulogia
per
Þórr») di Eilífr Goðrúnarson e della Ragnarsdrápa
(«Eulogia
per Ragnar») di Bragi Boddason. Nel testo è riportato anche un canto mitologico
considerato come facente parte della
Ljóða Edda ma che non figura in alcun manoscritto della raccolta: il
Grottasǫngr
(«Canzone del
[mulino] Grotti»). [ANTOLOGIA]
Il terzo libro, l'Háttatal o
«Catalogo dei metri»,
è un saggio tecnico che appare
nella forma di un poema laudatorio per re Hákon Hákonarson – il sovrano che lo
farà uccidere – e Skúli Bárðarson,
in cui Snorri fornisce
un esempio dei centodue differenti tipi di
metro che egli conosce. Come parte
integrante di questo libro, si comprende
anche una lista di þulur (heiti in versi allitterativi)
nelle quali sono presentate, secondo le
tecniche mnemotecniche degli scaldi, le
diverse maniere di designare gli dèi, i
giganti, gli uomini e le donne, le battaglie
e le armi, gli elementi naturali e via
dicendo.
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La
critica Molto si è detto sull'attendibilità
della Prose Edda
come fonte dei miti scandinavi. È evidente che Snorri attinse con
scrupolo addirittura «filologico» alle fonti pagane, tant'è vero che cita a più riprese
lunghi passi degli antichi poemi
mitologici da lui utilizzati per la
compilazione dell'opera. A volte, però,
un confronto tra i versi citati e il
resoconto prosastico fornito da Snorri mostra una non perfetta
coincidenza, come se l'autore abbia
interpretato o in parte travisato le sue fonti. Che questo
sia avvenuto perché Snorri non
conoscesse perfettamente la materia o
perché abbia operato delle licenze
letterarie, non ci è dato da sapere.
Parte
della critica moderna ha dunque imputato
a Snorri di aver omesso o adattato
quanto riusciva utile al suo scopo,
modificando in modo irrecuperabile i
miti che aveva deciso di tramandare. Tra
la fine del XIX secolo e l'inizio del XX,
studiosi come Viktor Rydberg ed Eugen
Mogk hanno avanzato serie critiche al
metodo di Snorri, accusandolo di
numerosi errori di traduzione e di
interpretazioni personali dei racconti
mitici, che
di fatto ridimensionavano il contributo
dell'Edda alla nostra conoscenza della
mitologia scandinava
(Rydberg 1886 | Mogk 1923). All'ipercritica seguì
però, nel corso degli anni, una
progressiva riabilitazione, i cui
principali artefici furono Jan De Vries
e Georges Dumézil, i quali dimostrarono,
con ingegnose comparazioni tra i miti
forniti da Snorri e quelli di altre
culture indoeuropee, che
molte delle accuse mosse allo scrittore erano
infondate e che il materiale fornito
dall'Edda
è perfettamente attendibile ai fini di
una ricostruzione degli antichi miti
scandinavi. (De
Vries 1957 | De Vries 1961 | Dumézil 1948)
Un approccio realistico all'Edda deve tener conto che
Snorri, nonostante fosse un uomo erudito e un ottimo conoscitore della
cultura, della poesia e della
letteratura islandese, visse e scrisse
in un'epoca in cui il cristianesimo si
era ormai affermato in Islanda e la
conoscenza tradizionale era in declino.
Questi fattori, uniti all'innegabile
talento letterario di Snorri, influirono
senza alcun dubbio sull'utilizzazione che lui
fece delle proprie fonti.
(Isnardi 1991)
Bisogna anche
considerare che buona parte delle conoscenze
di Snorri in fatto di mitologia gli venisse dalla tradizione orale, per cui
è spesso arduo riconoscere eventuali
manipolazioni da parte dell'autore
(Isnardi 1991). In ogni caso, laddove disponiamo
dei poemi utilizzati per la compilazione della Prose
Edda, sia che compaiano nella
Ljóða Edda,
sia che li fornisca Snorri stesso, è
evidente che quest'ultimo ebbe con le sue
fonti un approccio attentissimo, che la
maggior parte degli studiosi considera in
maniera
rassicurante.
Ricordiamo infine che Snorri era più vicino di noi alla cultura pagana
islandese e si collocava in quel momento
particolare in cui il racconto tradizionale
muore come mito e si trasforma in
letteratura. Snorri fu il principale
artefice di questo passaggio. Egli non
poteva più restituirci il mito nella sua
forma orale e viva, ma ci regalò una chiave
d'interpretazione moderna, validissima e
incredibilmente intelligente, grazie alla quale
ci ha permesso di accedere al mondo
perduto della mitologia scandinava.
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Il
titolo «Edda»
Rimane irrisolto il problema posto dal nome
stesso dell'opera, Edda,
che non ha tuttora una spiegazione
convincente.
Questo titolo compare unicamente
nell'intestazione del Codex Uppsaliensis,
dove troviamo scritto: «Questo
libro si chiama Edda; lo ha composto
Snorri Sturluson e qui si segue l'ordine in
cui egli lo dispose»
[Bók þessi
heitir Edda; hana hevir saman setta Snorri
Sturlo sonr eptir þeim hætti sem hér er skipat].
Tra l'altro questa annotazione non
solo ci permette di far risalire il libro a
Snorri, ma è anche una preziosa indicazione
del fatto che questo titolo fu probabilmente
dato al libro da un erudito posteriore.
Ma che cosa significa la parola
Edda?
Nel suo significato generale, il termine edda sembra avere il senso di «ava,
antenata, bisnonna». Secondo
tale interpretazione, tuttora
accettata da diversi studiosi
(Dillman 1991 | Boyer
1992), il titolo del libro di Snorri
avrebbe il senso di «storie raccontate
dall'antenata, storie dei tempi della
bisnonna».
Questo raro termine è attestato soltanto due
volte in tutta la letteratura norrena. La prima è nel Rígsþula,
un poema mitologico escluso dalla raccolta della
Ljóða Edda ma presente nel Codex Wormianus.
Vi si narra la mitica origine delle tre
principali classi sociali della società
scandinava medievale, dovuta alla visita del
dio Rígr (un epiteto di
Heimdallr che
compare unicamente in questo poema), il
quale chiede dapprima ospitalità alla
capanna di Ái «avo» ed
Edda «ava», poi
a quella di Afi «nonno» e
Amma «nonna», e
infine a quella di Faðir «padre» e
Móðir
«madre». In seguito all'incontro con
Rígr,
ogni donna di ciascuna coppia dà alla luce
dei figli che saranno gli antenati,
rispettivamente, degli schiavi, degli uomini
liberi e dei nobili. Che il termine edda
significhi «ava» lo si deduce unicamente dal
contesto di questo racconto. Infatti, se ái è tuttora attestato in islandese
moderno nel significato di «antenato», la
sua controparte edda sembra essersi
perduta nel basso Medioevo.
Il termine edda compare inoltre nello
Skáldskaparmál, dove Snorri fornisce una
lista degli epiteti poetici [heiti]
per «donna», e si legge: «La suocera [sværa] è
chiamata madre dell'uomo; è chiamata madre [móðir],
nonna [amma]
o terza ava [edda]; eiða
significa madre» [Sværa heitir vers móðir, heitir ok móðir, amma, þriðja edda, eiða heitir móðir].
Se edda sia, come dice Snorri, una
forma ipocoristica della parola eiða
«madre», þriðja edda può essere inteso come «terza madre», quindi
«bisnonna». Ritornando al Rígsþula,
possiamo dunque intendere
Ái ed
Edda come
«bisnonno» e «bisnonna», creando dunque una
serie più rigorosa con «nonno» e «nonna» e
quindi con «padre» e «madre».
Da queste note sembra dunque che la parola
edda abbia il senso generico di «ava»
o, più precisamente, di «bisnonna». Ciò
non ci aiuta molto a comprendere
perché il libro di Snorri sarebbe stato
intitolato «bisnonna», con tanto che
un titolo del genere, se inteso nel senso di
«storie della bisnonna» o «libro della
bisnonna», avrebbe richiesto
la presenza di un sintagma del tipo *eddumál,
*eddutal o *eddubók. Inoltre
questa interpretazione su scontra col fatto
l'Edda,
come abbiamo detto, non fu scritta come
raccolta di storie tradizionali, bensì come
manuale per aspiranti scaldi, e in questo
contesto la presenza dalla vecchietta che
racconta le belle favole del tempo antico viene ad
avere poco senso.
È dunque possibile che il titolo
Edda non
abbia nulla a che vedere con il sostantivo
edda «bisnonna». In tal caso si
tratta di una semplice omofonia ed
Edda
sarebbe un hápax legómenon da
interpretare in senso affatto diverso.
Tra le varie ipotesi fornite per spiegare
questo titolo, non si può tacere quella
fornita nel 1609 dal pastore islandese
Magnús Ólafsson, il quale, nella breve prefazione anteposta alla sua edizione
manoscritta della Prose Edda,
riteneva
che la parola fosse un adattamento al norreno
del latino edo «io compongo» (edo
librum «compongo un libro, pubblico un
libro»).
Così come il termine religioso latino credo «io credo» era entrato in norreno nella forma
kredda, l'ingegnoso pastore propose
che un qualche erudito avesse usato a edo il medesimo trattamento e gli avesse
dato la forma edda. Il titolo del
libro assumerebbe così il significato di «[manuale
per] comporre». Si noti che questa
etimologia seicentesca ha i suoi difensori moderni, tra
cui Stefán Karlsson e Anthony Faulkes
(Faulkes 1995).
Secondo una diversa ipotesi, il
titolo del
libro proverrebbe invece da Oddi, la cittadina nel
sud dell'Islanda dove Snorri fu allevato e
dove ricevette la sua istruzione.
Dunque Edda
significherebbe «libro di Oddi». Se tale
ipotesi viene giudicata di scarso valore,
non è soltanto per le insormontabili
difficoltà linguistiche, ma anche per il
fatto che Snorri non abitava più a Oddi quando compose la sua opera.
Un'altra possibile etimologia vuole
accostare il titolo dell'opera al sostantivo
norreno óðr
«ebbrezza poetica», il quale, come aggettivo,
significa «furioso, pazzo, frenetico». È la
stessa radice che è alla base del nome
stesso di
Óðinn,
il dio della poesia, della magia e del
furore estatico. La parola proviene dal
protogermanico wođ-, che nei suoi esiti designa
l'ebbrezza, l'eccitazione, il furore, il genio poetico (cfr. gotico
wôds
«posseduto», anglosassone wōð «canto», tedesco Wut
«furore»). Questa sembra essere,
al momento, l'ipotesi più accreditata e
anche più pertinente al senso dell'opera,
per quanto permangano alcune difficoltà
linguistiche. (Isnardi
1975 | Faulkes 1995)
Secondo un'ipotesi avanzata recentemente,
l'origine del termine andrebbe forse cercato
in ambito anglosassone, dove le attività
dello scōp (equivalente dello scaldo
norreno) erano designate con il verbo geddian/giddian «cantare» (se scōp
geddode «il poeta cantò»). Questa parola
deriva dal sostantivo neutro gjedd/gedd/gidd,
che può indicare, nel suo vastissimo campo
semantico, tutti i prodotti dell'attività
poetica e letteraria, quali il canto, il
poema, il sermone, il proverbio, l'elogio,
l'enigma e via dicendo. Non vi è nulla di
eccezionale nella possibilità di un prestito
di questa parola dall'anglosassone al
norreno. La cultura antico-inglese ebbe
sempre forte influenza su quella islandese
medievale, come dimostrano le molte parole
che il norreno trasse dall'anglosassone (come
ræðingr «testo», stafróf
«alfabeto», bleza «benedire», etc.).
Gli scandinavi avrebbero adottato la parola
come sostantivo neutro *eddi «poema»,
con regolare aferesi della semiconsonante
iniziale [j]. Il titolo
Edda si
sarebbe quindi formato con aggiunta del
suffisso -a, ampliamento utilizzato
nella formazioni dei titoli delle opere
letterarie norrene: Njála «Saga di Njáll», Grettla «Saga di Grettir», Eyrbyggja «Saga della gente di Eyri»,
etc. Secondo questa ipotesi,
Edda
significherebbe dunque «[Codice] dell'arte
poetica». (Riutort i
Riutort 2004)
Oltre alle varie etimologie proposte per
spiegare la parola Edda,
non si possono tacere le osservazioni di
altri studiosi, i quali hanno fatto notare
che nel medioevo non si dava titolo alle
opere letterarie: la maggior parte dei
titoli con cui oggi conosciamo quelle opere
è in realtà moderna (si pensi ad esempio al
Nibelungenlied). Nel Medioevo vi
erano talmente pochi libri che i loro
possessori li conoscevano fisicamente uno a uno e bastava semplicemente la
rilegatura a distinguerli. Spesso i libri
venivano indicati per alcune caratteristiche
esterne del volume: è il caso, tra i
manoscritti norreni, del «Libro di pelle
grigia» [Gráskinna], così
chiamato dal colore della rilegatura, del «Libro di pelle
marcia» [Morkinskinna],
la cui rilegatura si era ammuffita, o del
codice legale «Copertina di ferro» [Járnsíða],
chiamato così per la coperta in metallo.
Non si può dunque ignorare la possibilità
che, quando il Codex Uppsaliensis
scrive: «Questo
libro si chiama Edda»,
non intenda l'opera contenuta nel volume, ma
il volume stesso.
Si noti infine che il titolo
Edda
originariamente apparteneva soltanto all'opera
di Snorri e non all'antica raccolta di poemi
mitologici che in seguito avrebbe
ricevuto lo stesso titolo. La distinzione
tra Prose Edda
(di Snorri) e
Ljóða Edda risale infatti al 1643,
quando il vescovo Brynjǫlfur Sveinsson
(1605-1675) scoprì il manoscritto che
riportava i poemi serviti come fonte allo
stesso Snorri. Attribuendo le anonime
composizioni a Sæmundr
Sigfússon inn Fróði (1056-1133), Brynjǫlfur
intitolò la raccolta Edda
Sæmundi
Multiscii «Edda del saggio
Sæmundr», creando così un legame ideale con
l'opera di Snorri. Da allora che si
cominciò a distinguere tra due Edda:
da una parte l'«Edda di Snorri» [Snorra
Edda] o «Edda giovane» [Yngri
Edda] o «Edda in prosa» [Prose
Edda]; dall'altra la raccolta anonima
che per contrasto si chiamò «Edda
di Sæmundr» [Sæmundar Edda] o «Edda
antica» [Eldri Edda] o «Edda
poetica» [Ljóða Edda]. Tuttavia, il
titolo Edda
appartiene a buon diritto soltanto all'opera
di Snorri. |
Le
redazioni
La Prose Edda di
Snorri ci è
stata tramandata in quattro
codici più o meno
completi:
Rs |
|
Codex Regius [Konungsbók
Snorra-Eddu]. Redatto nel 1325, è considerato il migliore manoscritto della
Prose Edda
di Snorri e viene usato come codice-guida
nelle edizioni critiche dell'opera. Sulla sua storia poco si sa:
venne donato a re Federico III dal vescovo Brynjólfur Sveinsson nel
1662. Pare che quest'ultimo lo avesse
acquistato nel 1640 da un certo Magnús
Gunnlaugsson. Il codice è costituito da
cinquantacinque fogli, il primo e parte
del trentanovesimo incompleti. Dapprima
conservato nella Biblioteca Reale di
København,
il manoscritto è stato consegnato nel
1985 dalla Danimarca all'Islanda,
nell'insieme di una restituzione di
centinaia di manoscritti di valore
storico avvenuta tra il 1973 e il 1997,
ed è oggi custodito a Reykjavík, nella biblioteca dell'istituto Stofnun Árna Magnússonar, con la segnatura
GKS 2367 4°. (Si faccia attenzione a non confondere
questo manoscritto con quello che contiene la
Ljóða Edda, parimenti conosciuto
come Codex Regius [R], il quale è oggi
conservato nella medesima biblioteca con la segnatura
GKS 2365 4°.) |
W |
|
Codex
Wormianus [Wormsbók/Ormsbók].
Fu composto probabilmente tra il 1340 e
il 1350. Anche della storia di questo
codice non conosciamo che pochi dettagli.
Lo studioso
islandese Arngrímur Jónsson lo spedì nel
1628 all'erudito danese Ole Worm, meglio
conosciuto col nome latinizzato di Olaus
Wormius (1588-1654). Nel 1706 il nipote
di questi, Christian Worm, lo diede al
grande studioso
Árni Magnússon, il quale aveva
un'imponente collezione di manoscritti
antichi. Ancora oggi il codice è
conservato nella Arna-Magnæanske Samling, la biblioteca universitaria di
København,
con la segnatura AMS 242 fol. Il codice
consta di sessantatré fogli, ma in origine doveva essere stato più vasto:
contiene, oltre alla Prose Edda di Snorri,
i quattro Málfrǿðiritgerðar («trattati
grammaticali»), il Rígsþula e una raccolta di þulur. Vi è una lacuna ai ff. 39-43 dello
Skáldskaparmál, dove viene narrato
il mito dei
Niflungar e quello del
mulino di Fróði. |
T |
|
Codex
Trajectinus [Trektarbók].
Questo manoscritto fu redatto
probabilmente intorno al 1600 in Islanda
e, come il precedente, passò tra le mani
di Olaus Wormius, che pare lo avesse
ricevuto nel 1628 (la data non è sicura)
da un islandese, Jón Arason. Olaus lo diede nel
1635 a uno studioso olandese, il dottor Eichman, ma in seguito il codice
entrò in possesso di un certo Christian
Ravius che lo portò a Utrecht. È ancora oggi conservato a Utrecht, nella Bibliotheek der Rijksuniversiteit, con la segnatura
Ms. 1374. Il codice contiene tutta la
Prose Edda
di Snorri tranne la prima e l'ultima
pagina. |
U |
|
Codex
Uppsaliensis [Uppsalabók]. Redatto nel 1300, è il più antico
manoscritto conservato della Prose Edda di Snorri, e l'unico che
faccia riferimento all'autore e
porti il titolo. Anche questo manoscritto
appartenne a Brynjólfur Sveinsson, dal
quale fu consegnato all'erudito danese
Stephan Stephanius di Sorø. In seguito il
manoscritto passò a un certo Magnus De la Gardie e dal 1669 viene
conservato nella Universitetsbibliotek di Uppsala, in Svezia, con la
segnatura DG 11 [De la
Gardie 11]. Questo codice contiene,
oltre all'Edda e all'Ættartala,
testi non presenti negli altri manoscritti, come lo
Skáldatal e il Lǫgsǫgumannatal. |
La critica filologica ha
mostrato che i manoscritti Rs W
T sono tra loro assai vicini,
mentre U, che è
il più antico,
presenta un testo diverso, tanto
che in genere viene stampato separatamente.
Benché più antico
degli altri, U non deve
essere considerato come il
più vicino alla redazione
originale di Snorri. Più
vicino all'intenzione dell'autore
è invece il gruppo Rs W
T, anche se U può aver conservato
qualche dettaglio che negli
altri codici è andato perduto.
L'edizione critica è
basata sul manoscritto Rs.
Parti dello Skáldskaparmál sono contenuti in altri
quattro frammenti, i cosiddetti Handritabrot af Snorra-Eddu, e cioè:
A |
|
Due frammenti di un unico manoscritto,
con le segnature Mss. AM 748 I
4° e AM 748 II 4°, redatti nel XV secolo e
consegnati da un sacerdoti ad
Árni Magnússon nel 1691. Questi contengono anche lo
Sturlungatal . |
M |
|
Il Ms. AM 757 4°. |
Fr |
|
Il Ms. AM 556 4°, risalente
al secolo XV. |
|
Appendici alla Prose Edda
Il Codex Uppsaliensis, il manoscritto
più antico dell'Edda, comprende altre tre
parti non contemplate dagli altri
manoscritti:
-
Lo Skáldatal o «Catalogo
degli Scaldi»,
un elenco degli scaldi fino all'anno 1260,
anche presente nel manoscritto AM 761 4°
della Heimskringla.
-
Il Lǫgsǫgumannatal o «Catalogo degli enunciatori delle leggi», l'elenco
dei presidenti dell'Alþing islandese, dall'anno 930 all'inizio del XIII
secolo.
- L'Ættartala o «Genealogia degli Sturlungar».
Il Codex Wormianus contiene inoltre i quattro Málfrǿðiritgerðirnar,
o «trattati
grammaticali»,
nei quali
vengono spiegati i vari princìpi di
fonetica, ortografia e di grammatica della
lingua norrena (si tratta dei più antichi
testi di questo genere scritti in una lingua
germanica). Il primo trattato risale con
ogni probabilità al XII secolo, ma a volte
lo si è
voluto postdatare al secolo
successivo per assegnarne la paternità a Snorri, pur senza prove convincenti.
Tutti i trattati sono infatti anonimi,
tranne il terzo che fu composto intorno alla
metà del XIII secolo da Óláfr Þórðarson,
nipote di Snorri, e risulta essere un
adattamento delle grammatiche latine di Prisciano e Donato, a cui si aggiungono
interessanti informazioni sull'alfabeto runico. La presenza dei «trattati
grammaticali» accanto alla Prose Edda, nel
Codex Wormianus,
fa comprendere come l'insieme fosse visto
come una sorta di grande opera generale
sulla lingua, la letteratura e la poesia
norrena. Il secondo málfrǿðiritgerðin compare anche
nel Codex Uppsaliensis.
|
Edizioni
italiane
Esistono in italiano due ottime edizioni della Prose
Edda di Snorri. La prima è curata e tradotta da Gianna Chiesa Isnardi,
che ha anche scritto la splendida introduzione (Rusconi
1975, Tea 2003). La seconda, pubblicata nella prestigiosa collana Biblioteca Adelphi, è stata tradotta
da Giorgio Dolfini che ha anche curato il
corredo di note (Adelphi 1975). Tutt'e due le edizioni contengono il
Gylfaginning e le principali
parti in prosa dello
Skáldskaparmál.
Entrambe le edizioni mancano invece del
Formáli, dei
passi in versi contenuti nello
Skáldskaparmál e naturalmente dell'Háttatal.
Triste ma vero, un'edizione critica integrale della
Prose Edda manca ancora nell'editoria
italiana.
-
Snorri Sturluson: Edda,
a cura di Giorgio Dolfini. Adelphi,
Milano 1975 (Biblioteca Adelphi 61).
-
Snorri Sturluson: Edda di
Snorri, a cura di Gianna Chiesa Isnardi. Rusconi, Milano
1975 (esaurita). Tea, Milano 2003 (Religioni e Miti)
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