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Snorri Sturluson

PROSE EDDA

EDDA IN PROSA

▼ Snorri Sturluson, PROSE EDDA
Prose Edda. Edda in prosa
Fyrirsögn ok Formáli, Rubrica e prologo
Gylfaginning, L'inganno di Gylfi

 Skáldskaparmál, Discorso sull'arte scaldica
Avviso
Schema
PROSE EDDA - Saggio
Bibliografia

Titolo

Edda (Snorra Edda)

Autore Snorri Sturluson (1179-1241)
Genere Manuale per aspiranti scaldi
Lingua Norreno
Epoca
Composizione:   Tra il 1222 e il 1225

Manoscritti

[R] Reykjavík, Stofnun Árna Magnússonar. Codex Regius, ms. GKS 2367 4°
[W] København, Det Arna-Magnæanske Institut. Codex Wormianus, ms. AMS 242 fol
[T] Utrecht, Bibliotheek der Rijksuniversiteit. Codex Trajectinus, ms. 1374
[U] Uppsala, Uppsala universitetsbibliotek. Codex Uppsaliensis, ms. DG 11

Snorri Sturluson
PROSE EDDA
EDDA IN PROSA

Snorri Sturluson

Snorri Sturluson

Uomo d'affari, politico, diplomatico, nonché studioso, storico e poeta, Snorri Sturluson fu una delle figure di maggior spicco nella cultura islandese medievale. Conosciamo molti dettagli della sua biografia grazie alla Sturlunga saga, redatta alla fine del XIII secolo.

Snorri nacque a Hvammr, nell'Islanda occidentale, nel 1179. Suo padre Sturla Þórðarson apparteneva alla famiglia degli Sturlungar, una delle più influenti dell'isola; sua madre era Guðný Bǫðvarsdóttir. Aveva un fratello maggiore, Sighvatr, e un minore, Þórðr. Ma mentre i suoi fratelli rimasero a Hvammr, Snorri venne allevato, a partire dall'età di tre anni, da Jón Loftsson, secondo una pratica all'epoca molto comune, con la quale si sigillavano accordi o alleanze. Jón aveva antenati nella famiglia reale norvegese; era uno dei capi più potenti d'Islanda, ma anche un uomo di grande erudizione. Snorri trascorse la sua gioventù a Oddi, che era allora era uno dei principali centri intellettuali dell'isola, e qui scoprì tanto la cultura classico-cristiana quanto la letteratura tradizionale norrena, con i suoi canti mitologici, la poesia scaldica e la narrativa epico-storica delle saghe.

Snorri non tornò mai a Hvammr. Il padre morì nel 1183 e la madre sperperò la sua porzione di eredità. Quando Jón Loftsson morì, nel 1197, il ventenne Snorri prese in moglie Hjǫrðís Bersisdóttir, figlia di un ricco sacerdote di Borg (in Islanda non esisteva il celibato ecclesiastico). Dal suocero, Snorri ricevette una proprietà e il titolo di goði (sorta di capo-distretto). Egli rimase quattro anni a Borg, e Hjǫrðís gli diede due figli: Hallbera e Jón murtur. Ma Snorri ebbe anche delle avventure con altre donne, di cui se ne ricordano tre: Guðrún, Oddný e Þuríður. Guðrún gli diede diversi figli, ma unica a raggiungere l'età adulta fu Ingibjǫrg. Oddný gli diede una femmina, Þórdís. Þuríður gli diede un maschio, Órækja. Il matrimonio con Hjǫrðís si raffreddò assai presto e, nel 1206, Snorri lasciò la moglie a Borg e si trasferì a Reykholt, dove il sacerdote Magnús Pálsson gli diede incarico di amministrare una proprietà appartenente alla Chiesa. Snorri vi mise in piedi una fattoria e v'installò una vasca circolare in pietra lavorata, alimentata da acque termali, che si conserva ancora oggi.

Snorri si rivelò abile in tutte le cose a cui pose mano. Si fece una fama di poeta e di avvocato, ma anche di abile uomo d'affari e, dal 1215 al 1219, fu il titolare della più alta carica islandese, quella di lǫgsǫgumaðr, l'«enunciatore delle leggi» presso l'alþing, la suprema assemblea politica e giuridica degli uomini liberi.

Snorri aveva dedicato alcuni poemi al re di Norvegia, Hákon IV Hákonarson (1217-1263), il quale gli inviò dei doni e lo invitò a corte. False voci sulla presunta morte del re ritardarono il viaggio, ma poi, finalmente, nell'estate del 1218, Snorri lasciò l'Islanda e si recò in Norvegia. Re Hákon accolse Snorri con tutti gli onori e gli conferì il titolo di skutilsvein, un onore che però lo rendeva giuridicamente suo suddito. Nonostante il suo ruolo nell'alþing islandese, Snorri non si fece alcuno scrupolo a prestare giuramento di fedeltà al re norvegese e, come suo vassallo, gli rimise tutte le sue proprietà, che però gli furono immediatamente restituite sotto forma di regalo. Nel corso dell'inverno, Snorri si recò presso il duca Skúli Bárðarson, del quale divenne amico, e nell'estate dell'anno successivo si recò a Skara, in Svezia, dove conobbe il suo «collega» lǫgsǫgumaðr Eskil Magnússon e la moglie di questi, Kristina Nilsdotter, vedova del conte Hákon inn Galinn. Entrambi erano intimi con la famiglia reale e fornirono a Snorri molte notizie sulla storia di Svezia e Norvegia.

Re Hákon mirava a estendere il suo potere sull'Islanda. Snorri lo persuase a non invadere l'isola e s'impegnò affinché gli islandesi riconoscessero la sovranità del re di Norvegia. Questo progetto sarebbe valso a Snorri fama di traditore in patria e, poiché in seguito non cercò di mantenere gli impegni contratti con Hákon, la sua disgrazia presso il re. Tornato in Islanda nel 1220, a bordo della nave che Hákon gli aveva generosamente donato, Snorri provvide ad agevolare gli interessi dei mercanti norvegesi e inviò il figlio Jón murtur in ostaggio al re di Norvegia, in garanzia della sua fedeltà.

Nel 1222 Snorri riuscì a farsi designare di nuovo come lǫgsǫgumaðr, titolo che avrebbe tenuto fino al 1231. Intanto, invece di favorire la causa norvegese, lo scrittore cominciò a occuparsi dei suoi affari personali. Uomo arrogante e assetato di ricchezze, Snorri era però riluttante a usare la forza, preferendo avvalersi del potere inerente alla propria carica per raggiungere i suoi scopi. Confiscando proprietà e mercanzie, mise insieme una vera e propria fortuna, e ottenne il controllo di diversi distretti. Riuscì a eludere i nemici sempre più numerosi, alcuni dei quali vennero da lui dichiarati fuorilegge e privati dei propri beni.

Nel 1224, Snorri si sposò con Hallveig Órmsdóttir, una ricca vedova assai più giovane di lui, la quale già aveva due figli dalla sua unione precedente. Il matrimonio con Hallveig non fu però strettamente legale, in quanto lo scrittore risultava ancora sposato con Hjǫrðís. Grazie ad Hallveig, Snorri divenne l'uomo più ricco d'Islanda. Il più ricco, ma anche il più avido e avaro. Snorri si alienò le simpatie dei suoi stessi parenti, con i quali era assai poco disposto a dividere i suoi beni. Nel frattempo Jón murtur era tornato dalla Norvegia ed essendo l'unico figlio legittimo di Snorri, si associò al padre nel suo incarico presso l'alþing. Avendo deciso di sposarsi, il giovane chiese a Snorri, quale parte della sua eredità, la fattoria di Stafholt. Snorri rifiutò e lo spedì da sua madre a Borg. Jón  rinunciò al matrimonio e ritornò infelice in Norvegia.

Assai più disponibile Snorri si rivelò riguardo ai matrimoni delle sue tre figlie, che cercò di sistemare per ottenere vantaggi politici ed economici. Non furono, purtroppo, unioni fortunate.

La figlia di Guðrún, Ingibjǫrg, fu data in sposa a Gizurr Þórvaldsson, goði della famiglia degli Haukdælir. Presto disaffezionatosi dalla moglie, Gizurr si spostò in Norvegia, dove tra l'altro uccise Jón murtur, il figlio di Snorri. Quando tornò in Islanda, il suo matrimonio con Ingibjǫrg naufragò del tutto. Dopo la morte in tenera età dell'unico figlioletto Jón, l'unione si concluse con un divorzio.

Hallbera, figlia di Hjǫrðís, venne data in moglie, ancora giovanissima, ad Árni óreiða di Brautarholt, ma divorziò dopo tre anni. La chiese allora in sposa Kolbeinn ungi Arnórsson, il «giovane», capo di Skagafjǫrðr. Ammalatasi nel giro di un anno, la ragazza venne presto trascurata dal marito e, dopo un nuovo divorzio, tornò dalla madre a Borg. Morì due anni dopo. Per risolvere la contesa sorta con Kolbeinn, Snorri combinò il matrimonio tra l'altro suo figlio, Órækja, ed Arnbjǫrg, sorella di Kolbeinn. A dispetto della situazione, tuttavia, Arnbjǫrg fu per Órækja una buona moglie e gli stette vicino nei momenti più difficili della sua vita.

La figlia di Oddný, Þorðís, venne invece data in moglie a Þórvald Vatnsfirding, un possidente dell'Islanda nord-occidentale. Uomo piuttosto turbolento, Þórvald  morì bruciato vivo nella sua casa nel 1228. La brutale uccisione di Þórvald causò una sanguinosa faida in cui risultò coinvolto il nipote di Snorri, Sturla Sighvatsson. Per sfuggire alla vendetta dello scrittore, Sturla lasciò l'Islanda e si recò in pellegrinaggio a Roma, chiedendo perdono per i suoi peccati. Nel frattempo, Þorðís ereditò le proprietà del marito, a Vatnsfjǫrðr, e Snorri le diede in gestione a Órækja, il quale riuscì però soltanto a terrorizzare il distretto con le sue violenze ed efferatezze.

Intanto, re Hákon, non fidandosi delle promesse di Snorri e stanco dei suoi indugi, si rivolse a Sturla Sighvatsson, tornato di recente da Roma, affinché si occupasse lui di concludere l'annessione dell'Islanda alla Norvegia. Giunto in patria, Sturla s'impadronì della dimora di Snorri, a Reykholt, e si vendicò crudelmente su Órækja. Lo scrittore, dopo aver tentato inutilmente di parlamentare col nipote, si arrese alla necessità di una battaglia. Ma all'alba dello scontro, scoprendo di non saper combattere, si diede alla fuga e si rifugiò sulla costa orientale dell'isola. Da qui, alzò ancora una volta le vele per la Norvegia.

Iniziava per l'Islanda un lungo periodo di declino, conosciuto sotto il nome di Sturlung e destinato a trascinarsi fino al 1262, caratterizzato dall'esacerbazione delle rivalità tra le principali famiglie dell'isola. Rifugiatosi in Norvegia, Snorri rimase per due anni presso il duca Skúli, il quale stava preparando una rivolta contro re Hákon e mirava a impossessarsi del trono. Durante il soggiorno, dall'Islanda giunse la notizia che, nella battaglia di Ǫrlygsstaðr (21 agosto 1238), Gizurr Þórvaldsson e Kolbeinn ungi avevano sconfitto e ucciso Sturla Sighvatsson e Sighvatr Sturluson. Snorri pianse in un'elegia la morte del nipote e del fratello, benché fossero stati suoi nemici.

Snorralaug
Il bagno termale di Snorri Sturluson è il meglio conservato del Medioevo. Snorri fu ucciso nel tunnel che portava dal bagno alla sua casa, il cui ingresso è visibile nello sfondo.
L'immediata risposta di re Hákon fu di vietare agli islandesi di lasciare la Norvegia, compreso Snorri, fino a nuova disposizione. Ma Snorri disobbedì e tornò in Islanda nella primavera del 1239. Lo scrittore riteneva che non fosse necessario obbedire al re dal momento che in breve sarebbe stato detronizzato da Skúli. L'anno seguente, però, la rivolta non ebbe successo e nel 1240 Skúli venne ucciso dagli uomini del re. Snorri fu accusato di cospirazione e re Hákon ordinò a Gizurr Þórvaldsson di catturare Snorri e riportarlo in Norvegia. Lo scrittore si presentò all'incontro accompagnato da una scorta di cento uomini, ma di fronte ai novecento schierati da Kolbeinn, riuscì a scappare.

Dopo la morte di Hallveig, Snorri risiedeva stabilmente a Reykholt, non volendo lasciare la propria dimora in mano ai figliastri. E lì giunse Gizurr Þórvaldsson, la notte del 23 settembre 1241, insieme ad altri settanta uomini. Il re aveva ordinato la sua morte. Qualcuno tentò di avvertire Snorri recapitandogli un messaggio scritto in rune, ma lo scrittore non riuscì a leggerlo. Quando la fattoria fu circondata, Snorri si rifugiò nel passaggio sotterraneo che andava dalla casa al bagno termale. Lì venne trovato da Markús Marðarson, Símon Knútr, Árni Beiskr, Þorsteinn Guðinason e Þórarinn Ásgrímsson.

La saga racconta che Símon Knútr chiese ad Árni di uccidere Snorri, il quale disse: «Non mi trafiggere!» [Eigi skal hǫggva]. «Trafiggilo tu!» [Hǫgg þú] ordinò Símon ad Árni. «Non mi trafiggere» [Eigi skal hǫggva] chiese ancora Snorri, ma nello stesso tempo Árni gli inferiva il colpo fatale.

Árni morì dieci anni dopo, mentre tentava di sfuggire all'incendio di un'altra fattoria. Saltò da una finestra e cadde a terra. Qualcuno lo riconobbe e domandò: «Nessuno qui si ricorda di Snorri Sturluson?», e Árni venne ucciso. Poi venne massacrato anche Gizurr, che si trovava nella stessa casa.

Uomo arrogante, potente e avido, ma di profonda cultura, Snorri fu il maggiore scrittore islandese del suo tempo e uno dei più grandi letterati europei prima di Dante. Scrisse alcune poesie e saghe, tra le quali la Óláfssaga ins helga («Saga di Óláfr il Santo») e la Heimskringla Orbe Terrarum»), opera di cui fa parte la Ynglingasaga («Saga degli Ynglingar»). A Snorri è da alcuni attribuita la bellissima Egilssaga Skallagrímssonar («Saga di Egill Skallagrímsson»), sulla vita del celebre avventuriero e scaldo vichingo. Ma l'opera più importante di Snorri, composta intorno al 1220, è senza dubbio la Prose Edda, che costituisce uno dei principali monumenti della letteratura medievale islandese e nel contempo una delle fonti più ricche sull'antica mitologia scandinava.

L'Edda in prosa

Pagina del Codex Uppsaliensis (XIV secolo) con testo della Prose Edda di Snorri.

La Prose Edda è un manuale di arte scaldica per aspiranti poeti e, solo in secondo luogo, un trattato di mitologia norrena. Se, nel corso dell'opera, Snorri fornisce molti racconti sulla creazione del mondo e sugli dèi, è semplicemente perché gli antichi miti pagani erano considerati parte dell'irrinunciabile bagaglio culturale di ogni poeta, materiale propedeutico alla comprensione della poesia scaldica e repertorio necessario per la composizione delle nuove opere. Tuttavia, nella prospettiva del lettore moderno, in parte influenzato dalla filologia ottocentesca, la parte mitologica della Prose Edda risulta più interessante delle pagine dove si spiegano specificatamente i vari tipi di metro della poesia scaldica; questa visione parziale dell'opera, unita al fatto che le moderne traduzioni privilegiano le parti mitologiche, ha portato al diffuso fraintendimento che l'Edda di Snorri sia essenzialmente un trattato di mitologia, cosa che non era probabilmente nell'intentio auctoris.

Ma detto questo, è certo che le informazioni mitologiche fornite da Snorri siano inestimabili per la nostra conoscenza degli antichi miti scandinavi. Snorri attinse le sue fonti ai carmi della Ljóða Edda, di cui fornì, nel suo libro, spiegazioni e interpretazioni approfondite: senza il suo contributo, buona parte dei miti a cui i poemi eddici accennano nel loro stile oscuro ed ermetico, sarebbero per noi del tutto incomprensibili.

Struttura della Prose Edda

La Prose Edda è costituita da un prologo e tre parti principali:

Al fine di presentare la sua opera, nella quale la finzione letteraria renderà necessario trattare dell'antica religione come fosse autentica sapienza e tradizione cosmologica, Snorri, da buon cristiano, premette un «prologo», Formáli, per ragguagliare il lettore sulla storia del mondo secondo il dettato biblico e spiegare come sorse in nord Europa la fede nelle divinità pagane. Egli utilizza insieme fonti bibliche e classiche: tratta di Adamo ed Eva, del Diluvio, della torre di Babele e di Zoroastro, e spiega come gli uomini dimenticarono la fede nel vero Dio e passarono ad adorare una moltitudine di divinità. Tratta poi del regno di Saturno, antico re di Creta a cui erano attribuiti sapienza esoterica e poteri magici, e dei sovrani che regnarono nella città omerica di Troia. Snorri utilizza, secondo l'uso della storiografia medievale, l'interpretazione evemeristica. Gli Æsir furono un potente popolo originario di Troia. Guidati dal loro re Óðinn, giunsero nei paesi del nord, dove vennero adorati come dèi dalla popolazione ignorante e superstiziosa. Per quanto non faccia parte dell'Edda ma anzi, in un certo senso la neghi, il Formáli rimane uno straordinario documento speculativo sull'origine del popolo, delle credenze e della lingua del nord Europa. Bisogna comunque aggiungere che tra questa prima parte e i rimanenti libri dell'Edda vi sono numerose discrepanze stilistiche, linguistiche e testuali che hanno indotto alcuni autori a ritenere che a redigere il Formáli non fu Snorri ma forse qualche erudito posteriore. [ANTOLOGIA]

Il primo libro vero e proprio, Gylfaginning è una narrazione completa e organica dei miti nordici, oltre che la nostra fonte più importante per la conoscenza della religione degli antichi Scandinavi. Cornice della narrazione è il viaggio compiuto da Gylfi, mitico re svedese nonché grande conoscitore di magie, il quale, travestitosi da vecchio, si reca nel paese degli Æsir per scoprire la fonte della loro sapienza e del loro potere. La materia del libro viene svolta attraverso le domande di Gylfi sulla creazione e sul divenire dell'universo, sulla natura degli dèi e sulla fine del mondo, a cui dànno risposta tre misteriosi personaggi nei quali si ravvisa – in forma triplice – lo stesso Óðinn. Alla fine del colloquio, la dimora degli dèi scompare nel nulla. Grazie a questa rappresentazione, Snorri dà una visione d'insieme delle credenze pagane, racconta i miti di creazione e svela la struttura dell'universo e dei mondi che lo compongono, enumera gli dèi e per ciascuno ne fornisce la fisionomia e narra i miti principali che lo riguardano. [ANTOLOGIA]

Il secondo libro, lo Skáldskaparmál, adotta come cornice un dialogo tra il gigante marino Ægir e il dio della poesia Bragi, in cui il secondo spiega al primo il significato delle più importanti kenningar (metafore) e degli úkend heiti (semplici denominazioni o epiteti considerati però particolarmente poetici), dando così al lettore molte importanti informazioni sull'origine e il significato dei nomi mitologici citati nelle opere degli scaldi. Alcune di queste storie appartengono alla mitologia: il rapimento di Iðunn da parte di Þjazi, il matrimonio tra Skaði e Njǫrðr, il furto da parte di Óðinn dell'idromele della poesia, i combattimenti tra Þórr e i giganti Hrungnir e Geirrøðr. Altre storie forniscono racconti eroici: si parla di Sigurðr, di re Fróði, di Hrólfr Kraki. A volte Snorri non si contenta di citare una semplice metafora poetica, ma fornisce lunghi estratti dei poemi che la contengono, conservando così importanti opere che altrimenti sarebbero andate perdute: è il caso del poema Haustlǫng («Lungo come un autunno») di Þjóðólfr ór Hvíni, della Þórsdrápa («Eulogia per Þórr») di Eilífr Goðrúnarson e della Ragnarsdrápa («Eulogia per Ragnar») di Bragi Boddason. Nel testo è riportato anche un canto mitologico considerato come facente parte della Ljóða Edda ma che non figura in alcun manoscritto della raccolta: il Grottasǫngr («Canzone del [mulino] Grotti»). [ANTOLOGIA]

Il terzo libro, l'Háttatal o «Catalogo dei metri», è un saggio tecnico che appare nella forma di un poema laudatorio per re Hákon Hákonarson – il sovrano che lo farà uccidere – e Skúli Bárðarson, in cui Snorri fornisce un esempio dei centodue differenti tipi di metro che egli conosce. Come parte integrante di questo libro, si comprende anche una lista di þulur (heiti in versi allitterativi) nelle quali sono presentate, secondo le tecniche mnemotecniche degli scaldi, le diverse maniere di designare gli dèi, i giganti, gli uomini e le donne, le battaglie e le armi, gli elementi naturali e via dicendo.

La critica

Molto si è detto sull'attendibilità della Prose Edda come fonte dei miti scandinavi. È evidente che Snorri attinse con scrupolo addirittura «filologico» alle fonti pagane, tant'è vero che cita a più riprese lunghi passi degli antichi poemi mitologici da lui utilizzati per la compilazione dell'opera. A volte, però, un confronto tra i versi citati e il resoconto prosastico fornito da Snorri mostra una non perfetta coincidenza, come se l'autore abbia interpretato o in parte travisato le sue fonti. Che questo sia avvenuto perché Snorri non conoscesse perfettamente la materia o perché abbia operato delle licenze letterarie, non ci è dato da sapere.

Parte della critica moderna ha dunque imputato a Snorri di aver omesso o adattato quanto riusciva utile al suo scopo, modificando in modo irrecuperabile i miti che aveva deciso di tramandare. Tra la fine del XIX secolo e l'inizio del XX, studiosi come Viktor Rydberg ed Eugen Mogk hanno avanzato serie critiche al metodo di Snorri, accusandolo di numerosi errori di traduzione e di interpretazioni personali dei racconti mitici, che di fatto ridimensionavano il contributo dell'Edda alla nostra conoscenza della mitologia scandinava (Rydberg 1886 | Mogk 1923). All'ipercritica seguì però, nel corso degli anni, una progressiva riabilitazione, i cui principali artefici furono Jan De Vries e Georges Dumézil, i quali dimostrarono, con ingegnose comparazioni tra i miti forniti da Snorri e quelli di altre culture indoeuropee, che molte delle accuse mosse allo scrittore erano infondate e che il materiale fornito dall'Edda è perfettamente attendibile ai fini di una ricostruzione degli antichi miti scandinavi. (De Vries 1957 | De Vries 1961 | Dumézil 1948)

Un approccio realistico all'Edda deve tener conto che Snorri, nonostante fosse un uomo erudito e un ottimo conoscitore della cultura, della poesia e della letteratura islandese, visse e scrisse in un'epoca in cui il cristianesimo si era ormai affermato in Islanda e la conoscenza tradizionale era in declino. Questi fattori, uniti all'innegabile talento letterario di Snorri, influirono senza alcun dubbio sull'utilizzazione che lui fece delle proprie fonti. (Isnardi 1991)

Bisogna anche considerare che buona parte delle conoscenze di Snorri in fatto di mitologia gli venisse dalla tradizione orale, per cui è spesso arduo riconoscere eventuali manipolazioni da parte dell'autore (Isnardi 1991). In ogni caso, laddove disponiamo dei poemi utilizzati per la compilazione della Prose Edda, sia che compaiano nella Ljóða Edda, sia che li fornisca Snorri stesso, è evidente che quest'ultimo ebbe con le sue fonti un approccio attentissimo, che la maggior parte degli studiosi considera in maniera rassicurante. Ricordiamo infine che Snorri era più vicino di noi alla cultura pagana islandese e si collocava in quel momento particolare in cui il racconto tradizionale muore come mito e si trasforma in letteratura. Snorri fu il principale artefice di questo passaggio. Egli non poteva più restituirci il mito nella sua forma orale e viva, ma ci regalò una chiave d'interpretazione moderna, validissima e incredibilmente intelligente, grazie alla quale ci ha permesso di accedere al mondo perduto della mitologia scandinava.

Il titolo «Edda»

Rimane irrisolto il problema posto dal nome stesso dell'opera, Edda, che non ha tuttora una spiegazione convincente.

Questo titolo compare unicamente nell'intestazione del Codex Uppsaliensis, dove troviamo scritto: «Questo libro si chiama Edda; lo ha composto Snorri Sturluson e qui si segue l'ordine in cui egli lo dispose» [Bók þessi heitir Edda; hana hevir saman setta Snorri Sturlo sonr eptir þeim hætti sem hér er skipat]. Tra l'altro questa annotazione non solo ci permette di far risalire il libro a Snorri, ma è anche una preziosa indicazione del fatto che questo titolo fu probabilmente dato al libro da un erudito posteriore.

Ma che cosa significa la parola Edda?

Nel suo significato generale, il termine edda sembra avere il senso di «ava, antenata, bisnonna». Secondo tale interpretazione, tuttora accettata da diversi studiosi (Dillman 1991 | Boyer 1992), il titolo del libro di Snorri avrebbe il senso di «storie raccontate dall'antenata, storie dei tempi della bisnonna».

Questo raro termine è attestato soltanto due volte in tutta la letteratura norrena. La prima è nel Rígsþula, un poema mitologico escluso dalla raccolta della Ljóða Edda ma presente nel Codex Wormianus. Vi si narra la mitica origine delle tre principali classi sociali della società scandinava medievale, dovuta alla visita del dio Rígr (un epiteto di Heimdallr che compare unicamente in questo poema), il quale chiede dapprima ospitalità alla capanna di Ái «avo» ed Edda «ava», poi a quella di Afi «nonno» e Amma «nonna», e infine a quella di Faðir «padre» e Móðir «madre». In seguito all'incontro con Rígr, ogni donna di ciascuna coppia dà alla luce dei figli che saranno gli antenati, rispettivamente, degli schiavi, degli uomini liberi e dei nobili. Che il termine edda significhi «ava» lo si deduce unicamente dal contesto di questo racconto. Infatti, se ái è tuttora attestato in islandese moderno nel significato di «antenato», la sua controparte edda sembra essersi perduta nel basso Medioevo.

Il termine edda compare inoltre nello Skáldskaparmál, dove Snorri fornisce una lista degli epiteti poetici [heiti] per «donna», e si legge: «La suocera [sværa] è chiamata madre dell'uomo; è chiamata madre [móðir], nonna [amma] o terza ava [edda]; eiða significa madre» [Sværa heitir vers móðir, heitir ok móðir, amma, þriðja edda, eiða heitir móðir]. Se edda sia, come dice Snorri, una forma ipocoristica della parola eiða «madre», þriðja edda può essere inteso come «terza madre», quindi «bisnonna». Ritornando al Rígsþula, possiamo dunque intendere Ái ed Edda come «bisnonno» e «bisnonna», creando dunque una serie più rigorosa con «nonno» e «nonna» e quindi con «padre» e «madre».

Da queste note sembra dunque che la parola edda abbia il senso generico di «ava» o, più precisamente, di «bisnonna». Ciò non ci aiuta molto a comprendere perché il libro di Snorri sarebbe stato intitolato «bisnonna», con tanto che un titolo del genere, se inteso nel senso di «storie della bisnonna» o «libro della bisnonna», avrebbe richiesto la presenza di un sintagma del tipo *eddumál, *eddutal o *eddubók. Inoltre questa interpretazione su scontra col fatto l'Edda, come abbiamo detto, non fu scritta come raccolta di storie tradizionali, bensì come manuale per aspiranti scaldi, e in questo contesto la presenza dalla vecchietta che racconta le belle favole del tempo antico viene ad avere poco senso.

È dunque possibile che il titolo Edda non abbia nulla a che vedere con il sostantivo edda «bisnonna». In tal caso si tratta di una semplice omofonia ed Edda sarebbe un hápax legómenon da interpretare in senso affatto diverso.

Tra le varie ipotesi fornite per spiegare questo titolo, non si può tacere quella fornita nel 1609 dal pastore islandese Magnús Ólafsson, il quale, nella breve prefazione anteposta alla sua edizione manoscritta della Prose Edda, riteneva che la parola fosse un adattamento al norreno del latino edo «io compongo» (edo librum «compongo un libro, pubblico un libro»). Così come il termine religioso latino credo «io credo» era entrato in norreno nella forma kredda, l'ingegnoso pastore propose che un qualche erudito avesse usato a edo il medesimo trattamento e gli avesse dato la forma edda. Il titolo del libro assumerebbe così il significato di «[manuale per] comporre». Si noti che questa etimologia seicentesca ha i suoi difensori moderni, tra cui Stefán Karlsson e Anthony Faulkes (Faulkes 1995).

Secondo una diversa ipotesi, il titolo del libro proverrebbe invece da Oddi, la cittadina nel sud dell'Islanda dove Snorri fu allevato e dove ricevette la sua istruzione. Dunque Edda significherebbe «libro di Oddi». Se tale ipotesi viene giudicata di scarso valore, non è soltanto per le insormontabili difficoltà linguistiche, ma anche per il fatto che Snorri non abitava più a Oddi quando compose la sua opera.

Un'altra possibile etimologia vuole accostare il titolo dell'opera al sostantivo norreno óðr «ebbrezza poetica», il quale, come aggettivo, significa «furioso, pazzo, frenetico». È la stessa radice che è alla base del nome stesso di Óðinn, il dio della poesia, della magia e del furore estatico. La parola proviene dal protogermanico wođ-, che nei suoi esiti designa l'ebbrezza, l'eccitazione, il furore, il genio poetico (cfr. gotico wôds «posseduto», anglosassone wōð «canto», tedesco Wut «furore»). Questa sembra essere, al momento, l'ipotesi più accreditata e anche più pertinente al senso dell'opera, per quanto permangano alcune difficoltà linguistiche. (Isnardi 1975 | Faulkes 1995)

Secondo un'ipotesi avanzata recentemente, l'origine del termine andrebbe forse cercato in ambito anglosassone, dove le attività dello scōp (equivalente dello scaldo norreno) erano designate con il verbo geddian/giddian «cantare» (se scōp geddode «il poeta cantò»). Questa parola deriva dal sostantivo neutro gjedd/gedd/gidd, che può indicare, nel suo vastissimo campo semantico, tutti i prodotti dell'attività poetica e letteraria, quali il canto, il poema, il sermone, il proverbio, l'elogio, l'enigma e via dicendo. Non vi è nulla di eccezionale nella possibilità di un prestito di questa parola dall'anglosassone al norreno. La cultura antico-inglese ebbe sempre forte influenza su quella islandese medievale, come dimostrano le molte parole che il norreno trasse dall'anglosassone (come ræðingr «testo», stafróf «alfabeto», bleza «benedire», etc.). Gli scandinavi avrebbero adottato la parola come sostantivo neutro *eddi «poema», con regolare aferesi della semiconsonante iniziale [j]. Il titolo Edda si sarebbe quindi formato con aggiunta del suffisso -a, ampliamento utilizzato nella formazioni dei titoli delle opere letterarie norrene: Njála «Saga di Njáll», Grettla «Saga di Grettir», Eyrbyggja «Saga della gente di Eyri», etc. Secondo questa ipotesi, Edda significherebbe dunque «[Codice] dell'arte poetica». (Riutort i Riutort 2004)

Oltre alle varie etimologie proposte per spiegare la parola Edda, non si possono tacere le osservazioni di altri studiosi, i quali hanno fatto notare che nel medioevo non si dava titolo alle opere letterarie: la maggior parte dei titoli con cui oggi conosciamo quelle opere è in realtà moderna (si pensi ad esempio al Nibelungenlied). Nel Medioevo vi erano talmente pochi libri che i loro possessori li conoscevano fisicamente uno a uno e bastava semplicemente la rilegatura a distinguerli. Spesso i libri venivano indicati per alcune caratteristiche esterne del volume: è il caso, tra i manoscritti norreni, del «Libro di pelle grigia» [Gráskinna], così chiamato dal colore della rilegatura, del «Libro di pelle marcia» [Morkinskinna], la cui rilegatura si era ammuffita, o del codice legale «Copertina di ferro» [Járnsíða], chiamato così per la coperta in metallo. Non si può dunque ignorare la possibilità che, quando il Codex Uppsaliensis scrive: «Questo libro si chiama Edda», non intenda l'opera contenuta nel volume, ma il volume stesso.

Si noti infine che il titolo Edda originariamente apparteneva soltanto all'opera di Snorri e non all'antica raccolta di poemi mitologici che in seguito avrebbe ricevuto lo stesso titolo. La distinzione tra Prose Edda (di Snorri) e Ljóða Edda risale infatti al 1643, quando il vescovo Brynjǫlfur Sveinsson (1605-1675) scoprì il manoscritto che riportava i poemi serviti come fonte allo stesso Snorri. Attribuendo le anonime composizioni a Sæmundr Sigfússon inn Fróði (1056-1133), Brynjǫlfur intitolò la raccolta Edda Sæmundi Multiscii «Edda del saggio Sæmundr», creando così un legame ideale con l'opera di Snorri. Da allora che si cominciò a distinguere tra due Edda: da una parte l'«Edda di Snorri» [Snorra Edda] o «Edda giovane» [Yngri Edda] o «Edda in prosa» [Prose Edda]; dall'altra la raccolta anonima che per contrasto si chiamò «Edda di Sæmundr» [Sæmundar Edda] o «Edda antica» [Eldri Edda] o «Edda poetica» [Ljóða Edda]. Tuttavia, il titolo Edda appartiene a buon diritto soltanto all'opera di Snorri.

Le redazioni

La Prose Edda di Snorri ci è stata tramandata in quattro codici più o meno completi:

Rs  

Codex Regius [Konungsbók Snorra-Eddu]. Redatto nel 1325, è considerato il migliore manoscritto della Prose Edda di Snorri e viene usato come codice-guida nelle edizioni critiche dell'opera. Sulla sua storia poco si sa: venne donato a re Federico III dal vescovo Brynjólfur Sveinsson nel 1662. Pare che quest'ultimo lo avesse acquistato nel 1640 da un certo Magnús Gunnlaugsson. Il codice è costituito da cinquantacinque fogli, il primo e parte del trentanovesimo incompleti. Dapprima conservato nella Biblioteca Reale di København, il manoscritto è stato consegnato nel 1985 dalla Danimarca all'Islanda, nell'insieme di una restituzione di centinaia di manoscritti di valore storico avvenuta tra il 1973 e il 1997, ed è oggi custodito a Reykjavík, nella biblioteca dell'istituto Stofnun Árna Magnússonar, con la segnatura GKS 2367 4°. (Si faccia attenzione a non confondere questo manoscritto con quello che contiene la Ljóða Edda, parimenti conosciuto come Codex Regius [R], il quale è oggi conservato nella medesima biblioteca con la segnatura GKS 2365 4°.)

W  

Codex Wormianus [Wormsbók/Ormsbók]. Fu composto probabilmente tra il 1340 e il 1350. Anche della storia di questo codice non conosciamo che pochi dettagli. Lo studioso islandese Arngrímur Jónsson lo spedì nel 1628 all'erudito danese Ole Worm, meglio conosciuto col nome latinizzato di Olaus Wormius (1588-1654). Nel 1706 il nipote di questi, Christian Worm, lo diede al grande studioso Árni Magnússon, il quale aveva un'imponente collezione di manoscritti antichi. Ancora oggi il codice è conservato nella Arna-Magnæanske Samling, la biblioteca universitaria di København, con la segnatura AMS 242 fol. Il codice consta di sessantatré fogli, ma in origine doveva essere stato più vasto: contiene, oltre alla Prose Edda di Snorri, i quattro Málfrǿðiritgerðar («trattati grammaticali»), il Rígsþula e una raccolta di þulur. Vi è una lacuna ai ff. 39-43 dello Skáldskaparmál, dove viene narrato il mito dei Niflungar e quello del mulino di Fróði.

T  

Codex Trajectinus [Trektarbók]. Questo manoscritto fu redatto probabilmente intorno al 1600 in Islanda e, come il precedente, passò tra le mani di Olaus Wormius, che pare lo avesse ricevuto nel 1628 (la data non è sicura) da un islandese, Jón Arason. Olaus lo diede nel 1635 a uno studioso olandese, il dottor Eichman, ma in seguito il codice entrò in possesso di un certo Christian Ravius che lo portò a Utrecht. È ancora oggi conservato a Utrecht, nella Bibliotheek der Rijksuniversiteit, con la segnatura Ms. 1374. Il codice contiene tutta la Prose Edda di Snorri tranne la prima e l'ultima pagina.

U  

Codex Uppsaliensis [Uppsalabók]. Redatto nel 1300, è il più antico manoscritto conservato della Prose Edda di Snorri, e l'unico che faccia riferimento all'autore e porti il titolo. Anche questo manoscritto appartenne a Brynjólfur Sveinsson, dal quale fu consegnato all'erudito danese Stephan Stephanius di Sorø. In seguito il manoscritto passò a un certo Magnus De la Gardie e dal 1669 viene conservato nella Universitetsbibliotek di Uppsala, in Svezia, con la segnatura DG 11 [De la Gardie 11]. Questo codice contiene, oltre all'Edda e all'Ættartala, testi non presenti negli altri manoscritti, come lo Skáldatal e il Lǫgsǫgumannatal.

La critica filologica ha mostrato che i manoscritti Rs W T sono tra loro assai vicini, mentre U, che è il più antico, presenta un testo diverso, tanto che in genere viene stampato separatamente. Benché più antico degli altri, U non deve essere considerato come il più vicino alla redazione originale di Snorri. Più vicino all'intenzione dell'autore è invece il gruppo Rs W T, anche se U può aver conservato qualche dettaglio che negli altri codici è andato perduto. L'edizione critica è basata sul manoscritto Rs. Parti dello Skáldskaparmál sono contenuti in altri quattro frammenti, i cosiddetti Handritabrot af Snorra-Eddu, e cioè:

A  

Due frammenti di un unico manoscritto, con le segnature Mss. AM 748 I 4° e AM 748 II 4°, redatti nel XV secolo e consegnati da un sacerdoti ad Árni Magnússon nel 1691. Questi contengono anche lo Sturlungatal .

M  

Il Ms. AM 757 4°.

Fr  

Il Ms. AM 556 4°, risalente al secolo XV.

Appendici alla Prose Edda

Il Codex Uppsaliensis, il manoscritto più antico dell'Edda, comprende altre tre parti non contemplate dagli altri manoscritti:

  • Lo Skáldatal o «Catalogo degli Scaldi», un elenco degli scaldi fino all'anno 1260, anche presente nel manoscritto AM 761 4° della Heimskringla.
  • Il Lǫgsǫgumannatal o «Catalogo degli enunciatori delle leggi», l'elenco dei presidenti dell'Alþing islandese, dall'anno 930 all'inizio del XIII secolo.
  • L'Ættartala o «Genealogia degli Sturlungar».
Il Codex Wormianus contiene inoltre i quattro Málfrǿðiritgerðirnar, o «trattati grammaticali», nei quali vengono spiegati i vari princìpi di fonetica, ortografia e di grammatica della lingua norrena (si tratta dei più antichi testi di questo genere scritti in una lingua germanica). Il primo trattato risale con ogni probabilità al XII secolo, ma a volte lo si è voluto postdatare al secolo successivo per assegnarne la paternità a Snorri, pur senza prove convincenti. Tutti i trattati sono infatti anonimi, tranne il terzo che fu composto intorno alla metà del XIII secolo da Óláfr Þórðarson, nipote di Snorri, e risulta essere un adattamento delle grammatiche latine di Prisciano e Donato, a cui si aggiungono interessanti informazioni sull'alfabeto runico. La presenza dei «trattati grammaticali» accanto alla Prose Edda, nel Codex Wormianus, fa comprendere come l'insieme fosse visto come una sorta di grande opera generale sulla lingua, la letteratura e la poesia norrena. Il secondo málfrǿðiritgerðin compare anche nel Codex Uppsaliensis.

Edizioni italiane

Esistono in italiano due ottime edizioni della Prose Edda di Snorri. La prima è curata e tradotta da Gianna Chiesa Isnardi, che ha anche scritto la splendida introduzione (Rusconi 1975, Tea 2003). La seconda, pubblicata nella prestigiosa collana Biblioteca Adelphi, è stata tradotta da Giorgio Dolfini che ha anche curato il corredo di note (Adelphi 1975). Tutt'e due le edizioni contengono il Gylfaginning e le principali parti in prosa dello Skáldskaparmál. Entrambe le edizioni mancano invece del Formáli, dei passi in versi contenuti nello Skáldskaparmál e naturalmente dell'Háttatal. Triste ma vero, un'edizione critica integrale della Prose Edda manca ancora nell'editoria italiana.

  • Snorri Sturluson: Edda, a cura di Giorgio Dolfini. Adelphi, Milano 1975 (Biblioteca Adelphi 61).
  • Snorri Sturluson: Edda di Snorri, a cura di Gianna Chiesa Isnardi. Rusconi, Milano 1975 (esaurita). Tea, Milano 2003 (Religioni e Miti)

Bibliografia

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  • DILLMANN François-Xavier [cura],  L'Edda: récits de mythologie nordique. Gallimard, Parigi [1991] 2005.
  • DOLFINI Giorgio [cura]: SNORRI Sturluson, Edda Adelphi, Milano 1975.
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  • FAULKES Anthony, Poetical inspiration in old norse and old english poetry. In «Northern Studies». Viking Society for Northern Research. London 1997 [1998].
  • FAULKES Anthony [trad.]: Snorri Sturluson: Edda. Dent, London 1987.
  • FAULKES Anthony [cura], Edda. Prologue and Gylfaginning. Viking Society for Nothern Research, London 2005.
  • FAULKES Anthony [cura], Edda. Skáldskaparmál. In «Northern Studies». Viking Society for Northern Research. London 1998.
  • ISNARDI Gianna Chiesa [cura]: SNORRI Sturluson, Edda di Snorri. Rusconi, Milano 1975.
  • ISNARDI Gianna Chiesa [cura], Leggende e miti vichinghi. Rusconi, Milano 1977.
  • JÓNSSON Finnur ~ EGILSSON Sveinbjörn, Lexicon poeticum antiquae linguae septentrionalis. København 1966
  • KOCH Ludovica, Gli scaldi. poesia cortese d'epoca vichinga. Einaudi, Torino 1984.
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BIBLIOGRAFIA
Intersezione: Sezioni - Alianora
Sezione: Fonti - Nabū-kudurri-uṣur
Area: Germanica - Brynhilldr
Ricerche e testi di Dario Giansanti e Stefano Mazza.
Creazione pagina: 04.04.2004
Ultima modifica: 30.11.2014
 
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