MITI

GERMANI
Scandinavi

MITI GERMANICI
YGGDRASILL
L'ALBERO COSMICO
Sostegno e impalcatura ai nove mondi, nella cosmologia nordica, è un frassino, simbolo sempreverde dell'eterno fluire della vita attraverso i livelli dell'esistenza. Un albero attorno a cui lo spazio astronomico e il tempo cosmico si fondono nella nozione di un destino ineluttabile.

1 - IL FRASSINO YGGDRASILL

Il frassino Yggdrasill ( 1895)

Lorenz Frølich (1820-1908)
Illustrazione (Gjellerup 1895)

 nove mondi sono sorretti dal frassino Yggdrasill, alto tronco lambito da limpide acque. Yggdrasill è il più imponente e il migliore degli alberi. I suoi rami si stendono su tutto il mondo e coprono il cielo. Da essi cadono sulla terra, come gocce di rugiada, stille di miele di cui si nutrono le api. Tre radici reggono l'albero e si diramano estendendosi in tre diverse direzioni.

La prima radice si cala negli abissi più profondi; alcuni dicono arrivi in Helheimr, il regno dei morti, altri che si allunghi invece in Niflheimr, da cui giungerebbe infine alla fonte di Hvergelmir. Sotto questa radice si trova il serpente Níðhǫggr e insieme a lui vi sono così tanti serpenti che nessuna lingua può contarli.

La seconda radice si spinge invece verso Jǫtunheimr, la terra dove abitano i giganti, e arriva alla fonte di Mímisbrunnr. Qui stanno celate sapienza e conoscenza e colui che possiede il pozzo si chiama Mímir. Egli è pieno di saggezza poiché attinge alla sorgente con il corno Gjallarhorn. A quella fonte si recò Óðinn e chiese di bere un sorso d'acqua tratta dal pozzo, ma dovette lasciare in pegno il suo occhio.

La terza radice va verso il Miðgarðr, il mondo affidato agli esseri umani, e giunge alla sacra fonte di Urðarbrunnr, nel luogo dove gli Æsir tengono consiglio ogni giorno. Sotto il frassino, davanti a quella fonte, c'è una magnifica dimora e in essa vivono le Nornir, le tre fanciulle che stabiliscono il destino degli uomini: esse hanno nome Urðr, Verðandi e Skulld. In quella fonte, inoltre, vivono due cigni: da essi è venuta tutta la razza di questi uccelli.

2 - GLI ANIMALI CHE DIMORANO SUL GRANDE FRASSINO

Il frassino Yggdrasill
Autore non identificato

olto c'è ancora da dire intorno al frassino Yggdrasill. Un'aquila è appollaiata sui rami dell'albero e possiede molta saggezza: nel mezzo degli occhi le sta un falco che si chiama Veðrfǫlnir. Sotto la radice del frassino che si protende nel Niflheimr si trovano orribili serpenti, più di quanti immaginino gli stolti: Góinn e Móinn (figli di Grafvitnir), Grábakr e Grafvǫlluðr, Ófnir e Sváfnir. Ma il più temibile è Níðhǫggr. Tutti questi mostri rodono incessantemente la radice del frassino. Uno scoiattolo che si chiama Ratatoskr corre su e giù lungo il tronco del frassino e riferisce doverosamente gli insulti che si scambiano tra loro l'aquila con il serpente.

Quattro cervi saltano tra i rami del frassino e ne mordono le foglie acuminate. Essi si chiamano Dáinn e Dvalinn, Duneyrr e Duraþrór.

A causa di tutte queste creature che vivono tra le radici e tra i rami del frassino (i serpenti, i quattro cervi, lo scoiattolo e i due rapaci), Yggdrasill seccherebbe e marcirebbe, se le Nornir che abitano presso Urðarbrunnr non attingessero ogni giorno acqua dalla sorgente e versassero quell'argilla sul frassino e la spalmassero sul tronco e sui rami dell'albero.

Traduciamo con «serpente» la parola norrena ormr, che altri rendono con «drago». In effetti, nessuna delle due traduzioni calca a pennello a questo mostro della mitologia norrena: una sorta di smisurato rettile strisciante che dimora nelle tenebre ai confini col regno dei morti. Il «drago», così come è inteso nella letteratura medievale, è pressoché sconosciuto al mondo nordico. Nella leggenda di Sigurðr, anche il «drago» Fáfnir è descritto come un ormr.
3 - GLI ALTRI ALBERI COSMICI

ltre al frassino Yggdrasill, i sapienti conoscono i nomi di altri due importanti alberi: l'uno è chiamato Léraðr, l'altro Mímameiðr.

Delle foglie del Læraðr (o Léraðr) si nutrono il cervo Eikþyrnir e la capra Heiðrún. Il cervo si trova nella Valhǫll: dalle sue corna scendono gocce così grandi che vanno a formare, negli abissi del mondo, il pozzo di Hvergelmir, da cui hanno poi origine tutti i fiumi che scorrono per l'universo. La capra si trova invece sul tetto della Valhǫll e da lì bruca agevolmente le foglie dell'albero; dalle sue mammelle scorre quell'idromele di cui si nutrono gli einherjar.

Sull'albero Mímameiðr dimora invece il gallo Víðófnir, nemico dei giganti, che attende di annunciare il giorno di ragnarǫk.

Molti pensano tuttavia – e noi concordiamo con loro – che il Læraðr e il Mímameiðr altro non siano che nomi diversi per indicare lo stesso frassino Yggdrasill.

Fonti
1 Ljóða Edda > Vǫluspá [2 | 19-20 | 27]
Ljóða Edda > Grímnismál [31]
Snorri Sturluson: Prose Edda > Gylfaginning [15]
2 Ljóða Edda > Vǫluspá [2 | 19-20 | 27]
Ljóða Edda > Grímnismál [32-35]
Snorri Sturluson: Prose Edda > Gylfaginning [16]
3 Ljóða Edda > Grímnismál [25-26]
Ljóða Edda > Svipdagsmál > Fjǫlsvinnsmál [19-24]
Snorri Sturluson: Prose Edda > Gylfaginning [39]
Il frassino Yggdrasill  ( xvii sec.)

Ms. ÁM 738 4°, Edda oblongata, Stofnum Árna Magnússonar, Reykjavík (Islanda).

MUSEO: [Edda oblongata]►
I - IL FRASSINO YGGDRASILL

L'albero Yggdrasill è l'axis mundi dell'universo scandinavo, il frassino che si leva al centro dell'universo e rappresenta la continuità e la vita stessa dei nove mondi. Esso sorge nell'asse nel cosmo, le sue radici attingono alle sorgenti più antiche e profonde dell'universo e con i suoi rami sostiene e copre tutti i nove mondi.

Che di tali mondi mondi, del resto, il frassino sia l'asse portante e il sostegno, lo annuncia la vǫlva all'inizio del canto profetico, in quella stessa strofa dove ella fornisce il numero dei mondi che compongono il kósmos, mettendoli in correlazione – se la delicatissima traduzione è corretta – con i nove «sostegni» forniti dall'albero stesso:

Níu mank heima,
níu í viði,
mjǫtvið mæran
fyr mold neðan.

Nove mondi ricordo
nove sostegni,
e l'albero misuratore, eccelso
che penetra la terra.

Ljóða Edda > Vǫluspá [2]

Il brano è di ardua traduzione. Secondo l'interpretazione condivisa dalla maggior parte degli studiosi, quel níu í viði si riferirebbe ai «nove sostegni» dei mondi (cfr. viðjur «radici, travi» < viðr «bosco, legna»). Non mancano però le voci dissenzienti: alcuni ritengono che il semiverso [2a] sia da leggere níu íviði «nove specie di creature»; Sir George W. Cox ha proposto una correlazione con l'antico svedese inviþir e ha interpretato, un po' fantasiosamente, «l'insieme di tutti gli esseri, del mondo dei vivi e del mondo dei morti». In tutti i casi si tratta di una visione dell'universo riassunto nella sua stabilità e nella sua totalità (Cox 1870).

Altri dettagli sul frassino Yggdrasill e sulla fauna che dimora tra le sue radici e nei suoi rami, vengono aggiunti in Vǫluspá [18] e in Grímnismál [35-36]. A queste fonti si ispirò Snorri per darci quella che è la più ampia e meticolosa descrizione che possediamo su questo importante locus della mitologia nordica. Snorri definisce Yggdrasill la «sede più santa degli dèi» [helgistaðurinn goðanna]e ne dà alcuni ragguagli con questo dialogo tra Gangleri e i suoi interlocutori:

Þá mælti Gangleri: “Hvar er hǫfuðstaðrinn eða helgistaðrinn goðanna?” Quindi parlò Gangleri: “Dove si trova la residenza principale o più sacra per gli dèi?»
Hár svarar: “Þat er at aski Yggdrasils. Þar skulu goðin eiga dóma sína hvern dag”. Rispose Hár: “Si trova presso il frassino di Yggdrasill. Là gli dèi devono tenere il loro consiglio ogni giorno”.
Þá mælti Gangleri: “Hvat er at segja frá þeim stað?” Quindi parlò Gangleri: “Cosa c'è da dire di questo luogo?”
Jafnhár segir: “Askrinn er allra trjá mestr ok beztr. Limar hans dreifast um heim allan ok standa yfir himni”. Allora disse Jafnhár: “Il frassino è di tutti gli alberi il più grande e il migliore; i suoi rami si allungano per tutto il mondo, fin sopra il cielo”.
Snorri Sturluson: Prose Edda > Gylfaginning [13]

Dopodiché Snorri passa a descrivere le sorgenti a cui attingono le radici del frassino e le molte creature che dimorano tra le sue radici, tra i suoi rami e nella sua chioma. Le fonti a cui esso attinge sono essenzialmente quelle sopra riportate: Snorri non aggiunge quasi nulla ma chiarisce quanto era riferito nella Ljóða Edda.

II - SULLE TRACCE DELL'ALBERO COSMICO

L'immagine di un albero sacro, anche se non necessariamente un albero cosmico, sembra un isomitema diffuso presso diversi popoli germanici. Molte fonti parlano di alberi oggetto di venerazioni e luogo di sacrifici umani, alberi posti accanto a templi o sorgenti. È il caso della colonna (di?) Irminsūl adorata dai Sassoni in un luogo sacro nella foresta di Teutoburgo. Nelle cronache più antiche, Irminsūl (variamente trascritto <Irminsul>, <Ermensul>, <Ormensul>, <Yrmensul>) è il nome del luogo sacro [fanum] dove si trovava un idolo abbattuto da Carlo Magno nel 772:

Fuit rex Carlus hotiliter in Saxonia et destruxit fanum eorum quod vocatur Irminsul. Re Carlo entrò in Sassonia con intenzioni ostili e distrusse il loro tempio chiamato Irminsūl.
Annales Laurissenses minores [772]

In altre versioni, Irminsūl, è invece il nome dello stesso idolo:

Karolus Saxoniam bello aggressus, Eresburgum castrum cepit et idolum Saxonum quod vocabatur Irminsul destruit Carlo, portata la guerra in Sassonia, prese la fortezza di Eresburg e distrusse l'idolo dei Sassoni, chiamato Irminsūl.
Einhardus: Annales Fuldensens [772]

Rodolfo di Fulda (<800-865) descrive Irminsūl come una rappresentazione dell'asse universale che sorreggeva tutte le cose: Truncum quoque ligni non parvae magnitudinis in altum erectum sub divo colebant, patria eum lingua Irminsul appellantes, quod Latine dicitur universalis columna, quasi sustinens omnia (Grimm 1835).

Un altro grande albero si levava vicino al tempio di Uppsala, come ci informa uno scolio ad Adamus Bremensis:

Prope templum est arbor maxima late ramos extendens, æstate et hyeme semper virens: cuius illa generis site nemo scit. Ibi etiam est fons ubi sacrificia paganorum solent exerceri et homo vivus immergi. Qui dum non invenitur ratum erit votum populi. Accanto al tempio vi è un albero che molto protende i suoi rami, sempre verde d'estate e d'inverno: di che specie sia nessuno lo sa. Là vi è anche una fonte presso cui si praticano sacrifici pagani e un uomo vi viene immerso vivo. Se torna a galla è segno che i desideri degli uomini saranno soddisfatti.
Adamus Bremensis: Gesta Hammaburgensis Ecclesiæ Pontificum [IV: 26 (scholium 134)]

Il frassino Yggdrasill sorregge il mondo  ( 1882)

Friedrich Wilhelm Heine (1845-1921). Illustrazione (Wägner ~ Nover 1882)

Opportunamente, Brian Branston ha messo in relazione lo scolio di Adamus Bremensis con vari estratti dai testi eddici, mostrando che l'immagine dell'albero sacro di Uppsala già contiene in sé stesso tutti gli elementi che vengono attribuiti al grande frassino Yggdrasill. Come l'albero di Uppsala, infatti, il frassino Yggdrasill cresceva accanto a un tempio, la Valhǫll, dal cui tetto la capra Heiðrún ne brucava i rami (Grímnismál [25]); inoltre era anch'esso un albero sempreverde e sorgeva presso la sorgente di Urðarbrunnr (Vǫluspá [18]); da questi dati, a Branston pare evidente che l'albero sacro di Uppsala fosse una rappresentazione del frassino mitico (Branston 1955).

Dunque, se l'immagine di un albero cosmico sembra diffusa tra molti popoli germanici, dove anzi è un elemento cosmologico di straordinaria importanza, bisogna ammettere che essa sembra stranamente assente dal resto delle mitologie europee. Ci si può dunque chiedere per quale tramite i Germani abbiano assunto questo mitema dell'albero cosmico. La risposta è abbastanza semplice e condivisa dalla maggior parte degli studiosi.

Se il mitema dell'albero cosmico è raro tra le popolazioni indoeuropee, esso è, al contrario, assai diffuso tra le genti uraliche e altaiche. L'immagine appartiene a una comune concezione sciamanica che troviamo attestata, a est, fino alla Siberia. L'albero cosmico è non solo l'asse che unisce cielo, terra e inferi, ma anche il tramite attraverso il quale lo sciamano è in grado di uscire dal nostro mondo per salire o scendere attraverso i molteplici livelli dell'essere. Tra i baltofinni troviamo l'imponente figurazione presente nel secondo runo del Kalevala, nell'immagine di un albero immenso il cui tronco si erge fino al cielo e i cui rami coprono tutta la terra , anche se Paolo Emilio Pavolini nega l'attinenza tra le due immagini, almeno in questo caso (Pavolini 1910).

Ora sembra assodato che in origine, le terre del nord Europa, dalla Russia alla Scandinavia, fossero occupate da genti di lingua ugrofinnica. I popoli indoeuropei giunsero in quelle ragioni soltanto a partire dal I millennio a.C. Nel corso dei secoli i Germani si sarebbero insediati nel sud della Svezia e lungo tutta la costa sudoccidentale della Norvegia, contendendo le regioni interne e settentrionali ai Finni, che vi erano ancora stabilmente insediati fino a tempi piuttosto recenti. Non vi è nulla di strano se, fin dall'epoca della sua formazione, la mitologia germanica settentrionale abbia inglobato molte idee di matrice finnica.

Gli studiosi hanno puntualmente fatto notare molti elementi di sciamanesimo nella religione scandinava, che sembrano attingere al mondo uraloaltaico. Ad esempio, Óðinn possiede molti tratti che rimandano al mondo dello sciamanesimo: la sua conoscenza dei canti magici, l'impiego di una forma di estasi stregonesca, la capacità di trasformarsi in uccello o altro animale. La figura di Óðinn, in origine una sorta di dio-vento sulla scolta del Vāta indiano, sembra essersi sviluppata su un ordine di idee congruente a quello del frassino Yggdrasill: si ricordi il mito del sacrificio del dio, riferito in Hávamál [138-141], in cui Óðinn rimase per nove giorni appeso all'albero cosmico, trafitto da una lancia, al fine di impossessarsi del potere delle rune . L'albero cosmico viene qui inteso come albero della sapienza, e ricordiamo che con le sue radici esso attingeva tanto alla fonte del destino (Urðarbrunnr) quanto, appunto, alla fonte della sapienza (Mímisbrunnr).

Da un altro punto di vista, il sacrificio di Óðinn ricorda da vicino le iniziazioni sciamaniche, ed ecco dunque che ritorniamo di nuovo al mondo uraloaltaico. Il termine Yggdrasill significa «destriero del terribile», dove Yggr «terribile» è appunto epiteto di Óðinn. Ci si riferisce qui ai sacrifici umani che venivano tributati in onore di Óðinn, le cui vittime venivano appunto impiccate ai rami degli alberi e trafitte con lance. «Destriero degli impiccati» è una kenning, in verità un tantino sinistra, a indicare l'albero usato in guisa di forca.

Meno significativa l'ipotesi esaminata da Mannhardt e poi ripresa da Branston, secondo cui l'albero cosmico avrebbe una connotazione sessuale, rappresentando il membro maschile eretto, come fonte della procreazione. Dunque l'associazione dell'albero e della sorgente avrebbe una connotazione pene/vagina, sul modello delle figurazioni indù dove il liṅgaṃ è associato alla yoni. (Branston 1955)
III - L'ALBERO COSMICO E LA SUA FAUNA

Ma il grande frassino Yggdrasill, presenta ancora, a caratterizzarlo, una strana e ricca fauna insediata nelle radici, nel tronco e tra i rami. Una fauna non sempre benevola che, anzi, a tratti sembra quasi minacciare la stabilità e l'integrità del grande albero. Le fonti sapienziali norrene si dilungano a enumerare tutte queste creature, di cui vengono dati i nomi e spiegata la natura.

La fonte principale è, ancora una volta, il Grímnismál, dove leggiamo:

Ratatoskr heitir íkorni,
er renna skal
at aski Yggrdrasils;
arnar orð
hann skal ofan bera
ok segia Níðhǫggvi niðr.

Ratatoskr si chiama lo scoiattolo
che correrà
sul frassino Yggdrasill;
dell'aquila le parole
dall'alto porterà
e le riferirà a Níðhǫggr in basso.

Hirtir ero ok fiórir,
þeirs af hæfingar á
gaghálsir gnaga:
Dáinn ok Dvalinn,
Dúneyrr ok Duraþrór.
Ci sono poi i cervi, quattro
che i più alti ramoscelli (?)
tendendo il collo brucano.
Dáinn e Dvalinn,
Dúneyrr e Duraþrór.
Ormar fleiri
liggia under aski Yggdrasils
en þat uf hyggi hverr ósviðra apa:
Góinn ok Móinn,
þeir ero Grafvitnis synir,
Grábakr ok Grafvǫlluðr,
Ófnir ok Sváfnir
hygg ek at æ skyli
meiðs kvisto má.
Serpenti numerosi
stanno sotto il frassino Yggdrasill,
più di quanti credino gli insavi;
Góinn e Móinn,
(sono di Grafvitnir i figli)
Grábakr e Grafvǫlluðr,
Ófnir e Sváfnir
sempre dovranno, io credo,
rodere i rami dell'albero.
Ljóða Edda > Grímnismál [32-34]

Lo stesso poema parla altrove della capra Heiðrún che dal tetto di Valhǫll bruca le fronde dell'albero Læraðr, che si crede essere un altro nome del frassino Yggdrasill (Grímnismál [25]). Anche Snorri riferisce di queste creature (Gylfaginning [16]), che trae dalla medesima fonte aggiungendo ancora qualche dettaglio:

Margt er þar af at segja. Ǫrn einn sitr í limum asksins, ok er hann margs vitandi, en í milli augna honum sitr haukr, sá er heitir Veðurfǫlnir. Íkorni sá, er heitir Ratatoskr, renn upp ok niðr eptir askinum ok berr ǫfundarorð milli arnarins ok Níðhǫggs, en fjórir hirtir renna í limum asksins ok bíta barr. Þeir heita svá: Dáinn, Dvalinn, Duneyrr, Duraþrór. En svá margir ormar eru í Hvergelmi með Níðhǫgg, at engi tunga má telja. C'è molto da dire. Un'aquila siede sui rami del frassino; essa conosce molte cose e in mezzo ai suoi occhi sta quel falco che si chiama Veðrfǫlnir. Lo scoiattolo che si chiama Ratatoskr corre su e giù per il frassino e riporta le calunnie fra l'aquila e Níðhǫggr, mentre quattro cervi corrono per i rami del frassino e brucano le foglie. Essi si chiamano Dáinn, Dvalinn, Duneyrr, Duraþrór. Ci sono poi così tanti serpenti dentro a Hvergelmir insieme a Níðhǫggr, che nessuna lingua può contarli.
Snorri Sturluson: Prose Edda > Gylfaginning [16]

Apprendiamo, grazie a Snorri, che non sono semplici parole ma vere e proprie maldicenze, quelle che si scambiano tra loro l'aquila appollaiata tra i rami del frassino e il serpente Níðhǫggr agguattato tra le sue radici, grazie ai buoni uffici dello scoiattolo Ratatoskr, «dente che perfora», che corre su e giù lungo il tronco dell'albero per riportare giudiziosamente all'uno gli insulti dell'altro; secondo la Isnardi, alla figura di questo scoiattolo sarebbe affidato il compito di far sì che l'antagonismo fra cielo e terra, fra spirituale e materiale, fra bene e male abbia corso ininterrotto (Isnardi 1991). Ci sfugge però la ragione del fatto che l'aquila abbia tra gli occhi un falco (tanto più che del falco conosciamo il nome, Veðrfǫlnir, mentre quello dell'aquila lo ignoriamo).

La capra Heiðrún bruca le fronde del Léraðr ( 1760)
Ólafur Brynjúlfsson
Ms. NKS 1867 4°. Det Kongelige Bibliotek, København (Danimarca).
MUSEO: [Ólafur Brynjúlfsson. Illustrazioni]►

Di tutte le creature che affollano questo zoo arboreo che è il frassino Yggdrasill, le fondamentali sembrano essere tuttavia il serpente Níðhǫggr che ne rode le radici e l'aquila che ha il suo nido tra i rami. Insieme con il frassino, questi esseri formano un'immagine mitica di straordinaria antichità che troviamo attestata in molte e diverse tradizioni, fin dalle epoche più remote. La più antica arriva a noi addirittura dal tempo dei Sumeri; nel poema sumerico conosciuto dagli studiosi con il titolo informale di Inanna, Gilgameš e gli inferi, ma probabilmente intitolato, dal suo incipit, Ud re-a ud su₃-ra₂ re-a, «In quei giorni, in quei giorni lontani», si narra dell'albero Ḫuluppu, sacro a Inanna, infestato da tre orribili esseri: un serpente restio a ogni incantesimo si attorceva tra le sue radici, un essere chiamato Ki-sikil-lil-la-ke (forse un gufo, o la demoniessa Līlītu) dimorava nel suo tronco e l'uccello tempesta Anzud aveva il nido nella sua chioma. Inanna chiamò Gilgameš che le sgombrò l'albero dalle tristi creature. Il parallelo con la fauna del frassino Yggdrasill è evidente. Peccato che, a parte tracciare una vaga omologia, non si possa fare di più. Il parallelo sumerico non ci illumina sul motivo germanico, e viceversa.

Anche l'immagine biblica dell'albero della conoscenza del bene e del male, con il serpente che gli scivola accanto, ha certamente più di un debito con il medesimo mitema; effettivamente qui manca l'aquila, ma si possono chiamare in causa i serafini con le spade fiammeggianti che si ergono a guardia dell'albero della vita. D'altronde la diffusione di tale mitema sembra essere universale. Lo ritroviamo attestato persino in America: gli Aztechi seppero di aver trovato una nuova patria quando videro un'aquila posata su un cactus con un serpente tra gli artigli. Lì si fermarono e fondarono Tenochtitlán (raccomandiamo di esaminare attentamente lo stemma al centro della bandiera messicana).

Queste sono indicazioni di un simbolismo remotissimo, risalente con ogni probabilità alle origini stesse della cultura umana e che, in un modo o nell'altro, è stato ereditato in maniera diversa dalle diverse culture. Non sappiamo, e certamente non sapremo mai, cosa simboleggiassero in origine questi animali, perché troviamo proprio un serpente tra la radici dell'albero (simbolo di immortalità? si potrebbero tracciare infiniti paralleli con la leggenda di Gilgameš) e un'aquila tra le sue fronde (è forse a guardia dell'albero? si può qui pensare a certi motivi del Kalevala o persino del Bǝrēʾšîṯ). Nel mondo germanico questi animali vennero interpretati come simboli della fragilità e dell'instabilità dell'ordine cosmico, in quanto con la loro presenza, con il loro continuo rodere, mangiare, brucare a tutti i livelli del grande frassino, e dunque in tutte le manifestazioni dell'essere, essi minacciano la stabilità dell'universo, conducendolo inesorabilmente verso il ragnarǫk.

IV - L'ALBERO COSMICO: RAPPRESENTAZIONE ASTRONOMICA

Le rappresentazioni grafiche del frassino Yggdrasill hanno sempre qualcosa di goffo. Gli illustratori si trovano invariabilmente a disagio nel rappresentare quel tronco che attraversa il cosmo, quegli immensi rami che coprono i cieli, le tre radici che raggiungono gli opposti angoli dell'universo e naturalmente tutta la strana fauna cervi e capre, aquile e serpenti – insediata a tutti i livelli del grande frassino, brucando, rodendo e divorando.

L'impressione è che Yggdrasill sia la figurazione, in forma dendrica, di qualche antica concezione cosmologica. I vari elementi di questo mitema arboreo, i dettagli curiosi della strana fauna che lo affolla e certe notazioni quasi inesplicabili, come il motivo delle tre radici che si diramano in tre direzioni diverse per attingere ad altrettante sorgenti primordiali, non sembrano delle aggiunte stravaganti, ma suggeriscono la presenza di idee assai meditate sull'universo e le forze che lo governano. Il frassino Yggdrasill, nella sua geometria, obbedisce a qualche tipo di logica interna che non è soltanto quella di un albero grande quanto l'universo, ma di un supporto cosmologico, rappresentato in forma di albero, che avvolge, racchiude e fornisce all'universo una struttura. La chiave che ci permette di decifrare questa imponente visione cosmologica è andata perduta, anche se molti elementi possono tuttora suggerirci una serie di idee complesse e avvincenti.

Esaminiamo il motivo delle tre radici e diamo un'occhiata ai testi. La fonte principale è Grímnismál [31], dove leggiamo:

Þriár rætr
standa á þriá vega
undan aski Yggdrasils;
Hel býr undir einni,
annarri hrímþursar,
þriðio mennzkir menn.

Tre radici
si estendono in tre direzioni
sotto il frassino Yggdrasill;
Hel sotto l'una dimora,
sotto l'altra i giganti di brina,
sotto la terza gli esseri umani.

Ljóða Edda > Grímnismál [31]

Questo brano è stato ripreso da Snorri nella sua Prose Edda, ampliandolo, facendo qualche lieve modifica e aggiungendo alcuni interessanti dettagli. Val la pena riportarlo integralmente:

Þrjár rætr trésins halda því uppi ok standa afarbreitt. Ein er með ásum, en ǫnnur með hrímþursum, þar sem forðum var Ginnungagap. In þriðja stendr yfir Niflheimi, ok undir þeiri rót er Hvergelmir, en Níðhǫggr gnagar neðan rótina. En undir þeiri rót, er til hrímþursa horfir, þar er Mímisbrunnr, er spekð ok manvit er í fólgit, ok heitir sá Mímir, er á brunninn. Hann er fullr af vísindum, fyrir því at hann drekkr ór brunninum af horninu Gjallarhorni. [...]. Þriðja rót asksins stendr á himni, ok undir þeiri rót er brunnr sá er mjǫk er heilagr er heitir Urðarbrunnr. Þar eiga goðin dómstað sinn. Tre radici sostengono l'albero e si estendono per spazi incredibili: una va fra gli Æsir, mentre un'altra fra i giganti di brina, là dove prima era il Ginnungagap. La terza sta sotto Niflheimr; sotto questa radice si trova Hvergelmir, e Níðhǫggr la rosicchia da sotto. Sotto questa radice, che si dirige verso i giganti di brina, c'è Mímisbrunnr, ove sono conservate saggezza e intelligenza. Si chiama Mímir colui che possiede la fonte. Egli è pieno di sapienza, poiché beve dal pozzo con il corno Gjallarhorn. [...]. La terza radice del frassino sta in cielo e sotto a essa si trova quella sorgente, altamente sacra, che si chiama Urðarbrunnr, ove gli dèi tengono il loro consiglio.
Snorri Sturluson: Prose Edda > Gylfaginning [15]

La prima differenza tra i due testi, com'è evidente, è relativa ai luoghi dove le tre radici sono dirette.

Nel Grímnismál, sembra di capire che:

1. la prima radice vada in HelheimrHel sotto l'una dimora»)
2. la seconda in Jǫtunheimr («sotto l'altra i giganti di brina»)
3. la terza in Miðgarðr («sotto la terza gli esseri umani»)

Nel Gylfaginning, si dice invece che:

1. la prima va in Niflheimr («sotto [...] si trova Hvergelmir»)
2. la seconda in Jǫtunheimr («dove prima era Ginnungagap»)
3. la terza nell'Ásgarðr («in cielo»)

È possibile che la differenza tra le due versioni sia dovuta al fatto che le distinzioni tra i vari mondi non siano così nette come piacerebbe agli interpreti moderni. Helheimr e Niflheimr sono spesso confusi l'uno con l'altro; mentre Ásgarðr, in alcune rappresentazioni, era innalzata sulle montagne al centro di Miðgarðr. Ma non bisogna commettere l'errore di considerare le distinzioni tra le due fonti come sostanziali divergenze geografiche: vi è sicuramente alla base una stessa visione cosmologica ed è questa che dobbiamo sforzarci di penetrare; non dimentichiamo, inoltre, che nel compilare la Prose Edda, Snorri aveva sottomano i poemi della Ljóða Edda.

Il frassino Yggdrasill
Un elegante tentativo di figurazione delle direzioni prese dalle radici del frassino

È evidente che le tre radici si dirigono in tre direzioni che non sono quelle della terra, quanto piuttosto tre distinte manifestazioni dell'essere: la prima si dirige nelle profondità abissali, la seconda verso i confini del mondo, la terza su nel cielo.

Il problema è piuttosto disegnare un albero le cui tre radici vadano in direzioni tanto bizzarre. Nel suo lavoro sulla mitologia nordica, Viktor Rydberg si sforzò in tutti i modi di dare a queste radici una degna collocazione, ma senza risultati degni di nota (Rydberg 1889). Il punto è che Rydberg cercava di ancorare quelle radici all'interno di un diagramma terrestre e questo gli impedì di trovare dei modelli convincenti. Come hanno dimostrato Giorgio De Santillana ed Hertha Von Dechend nel loro monumentale studio, il frassino Yggdrasill è una rappresentazione cosmica e la sua natura è assolutamente e squisitamente astronomica (De Santillana ~ Von Dechend 1969).

E questo non solo in senso spaziale ma anche – e soprattutto – temporale.

Bisogna mettersi nell'ottica di una cosmografia antropocentrica, in cui l'asse cielo-terra-inferi era essenzialmente l'asse zenitale, diviso in tre regioni dai tropici celesti. A nord del Tropico del Cancro vi è la volta celeste, dimora degli dèi (che potremmo chiamare Ásaheimr). Sotto il Tropico del Capricorno, l'emisfero celeste meridionale, invisibile dalle regioni boreali, ovvero la dimora dei morti (Helheimr o Niflheimr), sotto la quale si trovava quell'abisso d'acqua presente nelle più antiche figurazioni mitologiche e che tra gli Scandinavi è esemplificato dal pozzo di Hvergelmir. La fascia celeste compresa tra i due tropici, dove giace l'eclittica e si trovano i segni zodiacali, è il «recinto esterno», il mondo dei giganti di brina (Útgarðr o Jǫtunheimr).

Se i moderni interpreti pongono Jǫtunheimr a est ②, è perché nei testi si trova scritto che Þórr si reca in quella direzione ogni volta che va in Jǫtunheimr a combattere i giganti. Il senso in realtà è sottilmente diverso e soltanto un'attenta analisi comparata dei vari miti ci aiuta a comprenderlo. Þórr è essenzialmente una figura di «dio-tuono», omologa all'eroe zodiacale greco Hērakls, nel quale a sua volta sono confluiti motivi antichissimi, già presenti nell'epopea di Gilgameš.

Ciò che accomuna questi tre personaggi (Gilgameš, Hērakls e Þórr) è un viaggio che li porta a uscire dal mondo per entrare nell'oceano zodiacale. Nella storia di Gilgameš l'uscita si trova presso le porte del monte Mâšu, situato probabilmente, a nord, quale axis mundi: oltre di esso si trovano un giardino edenico, la sala da birra di Siduri e quindi, l'oceano cosmico che solo la barca del sole può attraversare. Nel mito riferito da Snorri in Gylfaginning [45], Þórr e i suoi compagni si recano nel lontano oriente, attraversano un corso d'acqua e quindi, dopo aver varcato delle immense porte, arrivano a Útgarðr, dove si trova la grande sala da birra del gigante Útgarðaloki. Che questo luogo sia situato ai confini del mondo è ulteriormente dimostrato dal fatto che una sezione di Jǫrmungandr, il serpente che avvolge il mondo, passa attraverso la sala di Útgarðaloki, tanto che Þórr (al quale per incanto è stato fatto credere che il serpente sia un gatto) viene sfidato a sollevarlo. ③

Le porte che Gilgameš varca attraversando il monte Mâšu, i cancelli che Þórr attraversa da oriente per arrivare sulle rive dell'oceano cosmico, e le «colonne» che Hērakls oltrepassa a occidente quando intraprende un analogo viaggio sulla barca del sole, rappresentano, da un punto di vista astronomico, le portae mundi, i punti per i quali l'orizzonte si incrocia con l'eclittica, o con l'equatore celeste. Útgarðr, il mondo che si erge oltre il Miðgarðr, cioè il baluardo che protegge il mondo degli uomini, è in effetti il cielo zodiacale; i giganti non sono soltanto i rimasugli del caos primordiale ma anche, come Krónos e i Titânes greci, i signori di un'età precedente a quella degli dèi che oggi reggono l'universo, relegati ai confini del mondo.

Dunque il frassino Yggdrasill viene a essere una rappresentazione sia dell'asse cosmico che dell'intera armatura della sfera celeste. Le tre «radici» sono le tre direzioni che dall'asse arrivano rispettivamente ai due poli (nord e sud) della sfera celeste e, verso oriente, al punto equinoziale. Un'analisi più raffinata – e purtroppo altamente ipotetica – potrebbe aiutarci a capire le parole della vǫlva, là dove essa dice:

Níu mank heima,
níu í viði,
mjǫtvið mæran
fyr mold neðan.

Nove mondi ricordo
nove sostegni,
e l'albero misuratore, eccelso
che penetra la terra.

Ljóða Edda > Vǫluspá [2]

Probabilmente i nove mondi, con i loro sostegni, e l'albero dalle tre radici che li penetra e li sostiene, fanno parte di un sistema astronomico ancora più complesso. Ricordiamo il brano in cui Snorri parla dei molti cieli che si levano sopra il nostro. Ma è un'analisi che sfugge alle nostre capacità e, temiamo, non vi siano più le basi per operare una simile ricostruzione del pensiero cosmologico degli antichi Scandinavi.

V - LE RADICI DELL'ALBERO, LE SORGENTI DELL'UNIVERSO

Cosmografia nordica

In questo diagramma, il frassino Yggdrasill cresce al di sopra della volta del cielo (si noti i quattro nani che sorreggono quest'ultima), forse nel tentativo di dare una localizzazione alle radici (Gordon 1956).

Le «radici», oltre a essere direttrici astronomiche, hanno un significato ancora più profondo. Ricordiamo dove esse vanno ad attingere: la prima radice, quella che scende in basso, penetrando nell'Helheimr o nel Niflheimr, arriva al pozzo di Hvergelmir, la sorgente primordiale di tutte le acque, espressione norrena di quel che fu l'Apsû presso i Babilonesi. I fiumi Élivágar che si protendono da Hvergelmir rappresentano il flusso delle energie che fluiscono dalla sorgente primordiale delle acque, luogo originario della creazione, e lì rifluiscono dopo aver attraversato tutto l'universo. Che il frassino Yggdrasill pianti una radice in quel pozzo profondo, partecipando in una certa misura alla sua energia creativa, è indice della natura primordiale e originaria del grande albero.

La seconda radice, quella che si protende verso i confini dell'universo, l'Útgarðr, il grande cerchio zodiacale, va ad attingere alla sorgente Mímisbrunnr, dove, dice Snorri, «stanno nascoste sapienza e conoscenza». Questa è la sorgente a cui sta a guardia la testa di Mímir: per attingere un sorso di quell'acqua, Óðinn dovette lasciare nella sorgente il suo occhio; sembra anche che Heimdallr dovette lasciarvi il suo orecchio (Vǫluspá [27]). Che una radice del frassino venga ad attingere qui è significativo del fatto che l'albero partecipi in qualche modo alla sapienza delle cose antiche e segrete; forse si può capire, da questo dettaglio, per quale ragione Óðinn dovette sacrificarsi, appendendosi ai rami del frassino, per impadronirsi del significato e del potere delle rune. Il frassino Yggdrasill è anche albero della conoscenza.

La terza radice, che nel canto eddico si protende verso il mondo degli uomini ma che, secondo Snorri, andrebbe «su in cielo», va ad attingere alla sorgente Urðarbrunnr. Questo è il luogo sommamente santo dove ogni giorno gli dèi si riuniscono nel þing, l'assemblea divina. Presso Urðarbrunnr stanno le tre Nornir, le fanciulle che decidono i destini di tutti gli uomini: esse si chiamano Urðr, Verðanði e Skuld. Ma Urðarbrunnr è, come dice il nome stesso, la «sorgente del destino» (norreno urðr, anglosassone wyrd). E così, il frassino Yggdrasill attinge ancora a quella sorgente fatale e misteriosa da cui viene segnato il passato e il futuro dell'universo.

Queste note possono aiutarci a capire quanti significati, e quanto profondi, si intersecano in quest'immagine cosmica del grande frassino Yggdrasill, l'albero che regge l'universo, gli infonde vita e sapienza e, in qualche modo, ne segna il passato e il futuro. Albero cosmico, albero della creazione e albero della conoscenza, il frassino Yggdrasill è anche albero del tempo e del destino. Il tempo, nel pensiero germanico, non è soltanto lo svolgersi delle ore, dei giorni e degli anni, lungo una linea che dal passato procede verso il futuro; il tempo non è un semplice contenitore di eventi, ma è esso stesso lo svolgersi di quegli eventi. Tempo e destino sono una sola cosa ineluttabile. Come sappiamo bene, i vichinghi erano estremamente fatalisti: «se così è destinato a essere, nessuno può opporsi» affermano spesso i personaggi delle saghe.

VI - L'ALBERO COSMICO: RAPPRESENTAZIONE TEMPORALE

In un passo che qui riportiamo per la terza volta, il frassino Yggdrasill viene indicato con una parola molto strana: mjǫtviðr.

Níu mank heima,
níu í viði,
mjǫtvið mæran
fyr mold neðan.

Nove mondi ricordo
nove sostegni,
e l'albero misuratore, eccelso
che penetra la terra.

Ljóða Edda > Vǫluspá [2]

Questa parola è una delle più delicate dell'intera letteratura mitologica norrena: noi l'abbiano resa con «albero misuratore», da «albero [viðr] delle misure [mjǫt]». Quest'ultima parola è connessa col norreno meta «misurare», da cui mjǫtuðr «giudice, governatore, dispensatore del fato» (cfr. gotico mitan, antico alto tedesco mezzan, tedesco messen, anglosassone metan «misurare»; ma anche latino medeor «misuro» e meditari «meditare»).

Come abbiamo visto, il frassino Yggdrasill è l'immagine stessa del cosmo: è l'asse attorno a cui ruotano i cieli, le cui radici definiscono i tre «climi» celesti: il cielo propriamente detto, il cielo zodiacale, e il cielo oceanico che si stende sotto il mondo. Ma questa sfera celeste non è un tutt'uno statico, ma un insieme in perenne movimento, un immenso orologio-bussola le cui lancette scandiscono incessantemente i rapporti tra lo spazio e il tempo. Non vi è alcuna volontà a dirigere questi giri immani delle stelle attorno all'asse centrale, del sole e dei pianeti lungo la fascia zodiacale: è una forza meccanica, irresistibile, priva di volontà. Ed è una legge superiore a cui sono soggetti persino gli dèi. In questo senso il frassino Yggdrasill è l'immagine del cosmo, il perno intorno al quale viene misurato il tempo e intorno al quale si decreta il destino dell'universo. Com'è noto, la mitologia nordica si regge su una concezione in cui l'universo è destinato a essere creato e annientato nei limiti di un tempo cosmico prestabilito, al fin del quale esso verrà disintegrato nel ragnarǫk. A misurare questo tempo è appunto il mjǫtviðr, l'«albero misuratore», il grande frassino Yggdrasill, la cui terza radice – val la pena ricordarlo – attinge nella sorgente del destino, in Urðarbrunnr.

Il passo di un poema eddico lega l'immagine dell'albero cosmico a una strana idea di fragilità:

Askr Yggdrasils
drýgir erfiði
meira enn menn viti:
hiǫrtr bitr ofan,
en á hliðo fúnar,
skerðer Níðhǫggr neðan.

Il frassino Yggdrasill
sopporta pene
più grandi di quanto gli uomini sappiano:
il cervo lo bruca in alto,
da un parte marcisce
lo rode Níðhǫggr da sotto.

Ljóða Edda > Grímnismál [35]

E ribadisce Snorri:

Enn er þat sagt, at nornir þær, er byggja við Urðarbrunn, taka hvern dag vatn í brunninum ok með aurinn þann, er liggr um brunninn, ok ausa upp yfir askinn, til þess at eigi skuli limar hans tréna eða fúna. Si dice inoltre che quelle Nornir che abitano a Urðarbrunnr ogni giorno attingono l'acqua dalla fonte insieme all'argilla che si trova intorno a essa e la spargono sopra il frassino, affinché i suoi rami non secchino o marciscano.
Snorri Sturluson: Prose Edda > Gylfaginning [16]

Dunque scopriamo d'un tratto che il frassino Yggdrasill non è così stabile come ci si potrebbe aspettare: non solo è attaccato da serpenti e altre creature, ma marcisce su un lato tanto che le Nornir sono costrette a spalmargli sul tronco acqua mista ad argilla. A che cosa si deve quest'immagine dell'albero cosmico che potrebbe crollare?

Abbiamo già messo in relazione il frassino Yggdrasill con l'immensa quercia che compare nel secondo runo del Kalevala, della quale è registrato il crollo. Anche riguardo al misterioso Sampo, anch'esso presente nel Kalevala, il cui coperchio è la volta del cielo e le cui tre radici si svolgono in tre direzioni diverse, si parla di scardinamento e distruzione. De Santillana e la Von Dechend, nel loro studio, hanno riportato il mitema dello scardinamento dell'asse cosmico al fenomeno della precessione degli equinozi, movimento celeste scoperto – ufficialmente – da Hípparchos di Níkaia nel II secolo a.C., per cui il prolungamento dell'asse terrestre nel cielo non è fisso, ma si muove impercettibilmente, percorrendo un cerchio completo in 25˙920 anni. (De Santillana ~ Von Dechend 1969)

Abbiamo visto che Þórr andava a oriente per arrivare all'oceano cosmico: non perché tale oceano non circondasse effettivamente il mondo da tutti i lati, ma perché il passaggio dal nostro mondo all'oceano zodiacale non può che avvenire attraverso le porte equinoziali, i punti dove l'equatore celeste e l'eclittica si incontrano. Questi punti, come sappiamo, sono dominati da una specifica costellazione, che è la costellazione zodiacale attraverso la quale sorge il sole nell'equinozio di primavera. Questa regolarità non è però valida nei tempi lunghi: il movimento di precessione non solo sposta l'asse terrestre dal polo celeste, ma porta le costellazioni dello zodiaco a retrocedere lungo l'eclittica, cosicché a intervalli di circa duemila e cento anni, troviamo un nuovo segno zodiacale ad accogliere il sorgere del sole nell'equinozio di primavera.

Questo fenomeno è visto, nella visione cosmologica, come uno scardinamento dell'asse terrestre e il ristabilimento di un nuovo asse. Il ragnarǫk è il momento nel quale il vecchio universo viene abbattuto e viene stabilito uno nuovo universo, dopodiché il mondo ricomincia daccapo. È in pratica l'argomento della Vǫluspá. Nelle speculazioni mitiche, la durata del movimento precessionale di 25˙920 anni viene legato a una precisa numerazione sessagesimale le cui cifre ricompaiono incessantemente nel calcolo delle ère cosmiche in molte tradizioni del mondo, dalla Mesopotamia all'India alla Scandinavia. Ora, 25˙920 : 60 = 432. E 432 è un numero significativo in questo tipo di calcoli. Ad esempio, nella Babyloniaká di Bḗrōssos, il tempo che questi concedeva ai re antidiluviani di Bâbilu, dalla creazione al diluvio, era proprio di 432˙000 anni, mentre nella mitologia indiana la durata di un ciclo cosmico [māhāyuga] è esae gli antichi scandinavi conoscessero il fenomeno della precessione degli equinozi lo provano alcuni versi relativi al ragnarǫk, dove riaffiora una precisa numerologia legata a queste cifre. Ad esempio, nel Grímnismál è svelato il numero degli einherjar che nel giorno dell'Ultima Battaglia andranno ad affrontare il lupo Fenrir:

Fimm húndruð dura
ok um fiórom tøgom,
svá hygg ek at Vallhǫllo vera;
átta hundruð einheria
ganga senn ór einom durom,
þá er þeir fara at vitni at vega.

Cinquecento porte
e ancora quaranta
credo vi siano nella Valhǫll;
ottocento einherjar
usciranno insieme da ciascuna porta
quando andranno a battersi col lupo.

Ljóða Edda > Grímnismál [24]

La difficoltà del calcolo è che húndruð in norreno indicava originariamente il «centinaio» di dodici decine e solo in epoca tarda la parola venne usata per indicare il «centinaio» di dieci decine. Dunque, se si intende l'húndruð uguale a centoventi, seicentoquaranta sono le porte di Valhǫll e novecentosessanta gli einherjar che usciranno da ciascuna di esse (640 × 960 = 614˙400); ma se si intende l'húndruð uguale a cento, cinquecentoquaranta sono le porte di Valhǫll e ottocento gli einherjar che usciranno da ciascuna di esse (540 × 800 = 432˙000). Questo secondo calcolo, se corretto, riporterebbe la cifra alle considerazioni sopra esposte sulla durata dei cicli cosmici.

Bibliografia

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BIBLIOGRAFIA
Intersezione: Aree - Holger Danske
Sezione: Miti - Asteríōn
Area: Germanica - Brynhilldr
Ricerche e testi di Dario Giansanti e Oliviero Canetti.
Ha collaborato: Mara Ricci.
Creazione pagina: 21.03.2005
Ultima modifica: 15.08.2022
 
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