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Il frassino Yggdrasill
(✍
xvii sec.) |
Ms. ÁM
738 4°, Edda oblongata, Stofnum Árna Magnússonar, Reykjavík
(Islanda). |
MUSEO: [Edda
oblongata]► |
I -
IL FRASSINO YGGDRASILLL'albero
Yggdrasill è l'axis mundi
dell'universo scandinavo, il frassino che si leva al centro dell'universo e
rappresenta la continuità e la vita stessa dei nove mondi. Esso sorge nell'asse
nel cosmo, le sue radici attingono alle sorgenti più antiche e profonde
dell'universo e con i suoi rami sostiene e copre tutti i nove mondi.
Che di tali mondi mondi, del resto, il frassino sia l'asse portante e il
sostegno, lo annuncia la vǫlva
all'inizio del canto profetico, in quella stessa strofa dove ella fornisce il
numero dei mondi che compongono il kósmos, mettendoli in correlazione – se la
delicatissima traduzione è corretta – con i nove «sostegni» forniti dall'albero
stesso:
Níu mank heima,
níu í viði,
mjǫtvið mæran
fyr mold neðan. |
Nove mondi ricordo
nove sostegni,
e l'albero misuratore, eccelso
che penetra la terra. |
Ljóða Edda
> Vǫluspá [2] |
Il brano è di ardua traduzione. Secondo
l'interpretazione condivisa dalla maggior parte degli studiosi, quel níu í
viði si riferirebbe ai «nove sostegni» dei mondi (cfr. viðjur
«radici, travi» < viðr «bosco, legna»). Non mancano però le voci
dissenzienti: alcuni ritengono che il semiverso [2a] sia da leggere níu íviði «nove
specie di creature»; Sir George W. Cox ha proposto una correlazione con l'antico svedese inviþir
e ha interpretato, un po' fantasiosamente, «l'insieme di tutti gli esseri, del
mondo dei vivi e del mondo dei morti». In tutti i casi si tratta di una visione
dell'universo riassunto nella sua stabilità e nella sua totalità
(Cox 1870).
Altri dettagli sul frassino Yggdrasill
e sulla fauna che dimora tra le sue radici e nei suoi rami, vengono aggiunti in
Vǫluspá [18]
e in
Grímnismál [35-36]. A queste fonti
si ispirò Snorri per darci quella che è la più ampia e meticolosa descrizione
che possediamo su questo importante locus della mitologia nordica.
Snorri definisce Yggdrasill la
«sede più santa degli dèi» [helgistaðurinn goðanna]e ne dà alcuni
ragguagli con questo dialogo tra Gangleri
e i suoi interlocutori:
Þá mælti Gangleri: “Hvar er hǫfuðstaðrinn eða
helgistaðrinn goðanna?” |
Quindi parlò Gangleri:
“Dove si trova la residenza principale o più sacra per gli dèi?» |
Hár svarar: “Þat er at aski Yggdrasils. Þar skulu goðin
eiga dóma sína hvern dag”. |
Rispose Hár:
“Si trova presso il frassino di
Yggdrasill. Là gli dèi devono tenere il loro consiglio ogni giorno”. |
Þá mælti Gangleri: “Hvat er at segja frá þeim stað?” |
Quindi parlò Gangleri:
“Cosa c'è da dire di questo luogo?” |
Jafnhár segir: “Askrinn er allra trjá mestr ok beztr.
Limar hans dreifast um heim allan ok standa yfir himni”. |
Allora disse
Jafnhár: “Il frassino è di tutti gli alberi il più grande e il migliore; i
suoi rami si allungano per tutto il mondo, fin sopra il cielo”. |
Snorri
Sturluson:
Prose Edda > Gylfaginning
[13] |
Dopodiché Snorri passa a descrivere le sorgenti a cui
attingono le radici del frassino e le molte creature che dimorano tra le sue
radici, tra i suoi rami e nella sua chioma. Le fonti a cui esso attinge sono
essenzialmente quelle sopra riportate: Snorri non aggiunge quasi nulla ma
chiarisce quanto era riferito nella
Ljóða Edda.
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II - SULLE TRACCE DELL'ALBERO COSMICO
L'immagine di un albero sacro, anche se non necessariamente un albero
cosmico, sembra un isomitema diffuso presso diversi popoli germanici. Molte fonti parlano
di alberi oggetto di venerazioni e luogo di sacrifici umani, alberi posti
accanto a templi o sorgenti. È il caso della colonna (di?)
Irminsūl adorata dai Sassoni in un luogo sacro nella foresta di
Teutoburgo. Nelle cronache più antiche, Irminsūl
(variamente trascritto <Irminsul>, <Ermensul>, <Ormensul>,
<Yrmensul>) è il nome del luogo sacro [fanum] dove si trovava un
idolo abbattuto da Carlo Magno nel 772:
Fuit rex Carlus hotiliter in Saxonia et destruxit fanum
eorum quod vocatur Irminsul. |
Re Carlo entrò in Sassonia con intenzioni ostili e
distrusse il loro tempio chiamato Irminsūl. |
Annales Laurissenses
minores [772] |
In altre versioni, Irminsūl, è invece il nome dello stesso idolo:
Karolus Saxoniam bello aggressus, Eresburgum castrum
cepit et idolum Saxonum quod vocabatur Irminsul destruit |
Carlo, portata la guerra in Sassonia, prese la fortezza
di Eresburg e distrusse l'idolo dei Sassoni, chiamato
Irminsūl. |
Einhardus: Annales Fuldensens [772] |
Rodolfo di Fulda (<800-865) descrive
Irminsūl come una rappresentazione dell'asse
universale che sorreggeva tutte le cose: Truncum quoque ligni non parvae
magnitudinis in altum erectum sub divo colebant, patria eum lingua Irminsul
appellantes, quod Latine dicitur universalis
columna, quasi sustinens omnia (Grimm 1835).
Un altro grande albero si levava vicino al tempio di Uppsala, come ci informa uno scolio ad
Adamus Bremensis:
Prope templum est arbor maxima late ramos extendens,
æstate et hyeme semper virens: cuius illa generis site nemo scit. Ibi etiam est
fons ubi sacrificia paganorum solent exerceri et homo vivus immergi. Qui dum non
invenitur ratum erit votum populi. |
Accanto al tempio vi è un albero che molto protende i
suoi rami, sempre verde d'estate e d'inverno: di che specie sia nessuno lo sa.
Là vi è anche una fonte presso cui si praticano sacrifici pagani e un uomo vi
viene immerso vivo. Se torna a galla è segno che i desideri degli uomini saranno
soddisfatti. |
Adamus Bremensis: Gesta Hammaburgensis Ecclesiæ Pontificum
[IV: 26 (scholium 134)] |
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Il frassino Yggdrasill sorregge il mondo
(✍ 1882) |
Friedrich Wilhelm Heine (1845-1921). Illustrazione (Wägner
~ Nover 1882) |
Opportunamente, Brian Branston ha messo in relazione lo
scolio di Adamus Bremensis con vari estratti dai testi eddici, mostrando che
l'immagine dell'albero sacro di Uppsala già contiene in sé stesso tutti gli
elementi che vengono attribuiti al grande frassino
Yggdrasill. Come l'albero di Uppsala,
infatti, il frassino Yggdrasill
cresceva accanto a un tempio, la
Valhǫll, dal cui tetto la capra Heiðrún
ne brucava i rami
(Grímnismál [25]); inoltre era
anch'esso un albero sempreverde e sorgeva presso la sorgente di
Urðarbrunnr
(Vǫluspá [18]); da questi dati, a Branston pare evidente che
l'albero sacro di Uppsala fosse una rappresentazione del frassino mitico
(Branston 1955).
Dunque, se l'immagine di un albero cosmico sembra diffusa tra molti popoli
germanici, dove anzi è un elemento cosmologico di straordinaria importanza,
bisogna ammettere che essa sembra stranamente assente dal resto delle mitologie
europee. Ci si può dunque chiedere per quale tramite i Germani abbiano assunto
questo mitema dell'albero cosmico. La risposta è abbastanza semplice e condivisa
dalla maggior parte degli studiosi.
Se il mitema dell'albero cosmico è raro tra le popolazioni indoeuropee, esso
è, al contrario, assai diffuso tra le genti uraliche e altaiche. L'immagine appartiene
a una comune concezione sciamanica che troviamo attestata, a est, fino alla
Siberia. L'albero cosmico è non solo l'asse che unisce cielo, terra e inferi, ma
anche il tramite attraverso il quale lo sciamano è in grado di uscire dal nostro
mondo per salire o scendere attraverso i molteplici livelli dell'essere. Tra i
baltofinni troviamo l'imponente figurazione presente nel secondo runo del
Kalevala,
nell'immagine di un albero immenso il cui tronco si erge fino al cielo e i cui
rami coprono tutta la terra
①, anche se Paolo Emilio Pavolini
nega l'attinenza tra le due immagini, almeno in questo caso
(Pavolini 1910).
Ora sembra assodato che in origine, le terre del nord Europa, dalla Russia
alla Scandinavia, fossero occupate da genti di lingua ugrofinnica. I popoli
indoeuropei giunsero in quelle ragioni soltanto a partire dal I millennio a.C.
Nel corso dei secoli i Germani si sarebbero insediati nel sud della Svezia e
lungo tutta la costa sudoccidentale della Norvegia, contendendo le regioni
interne e settentrionali ai Finni, che vi erano ancora stabilmente insediati
fino a tempi piuttosto recenti. Non vi è nulla di strano se, fin dall'epoca
della sua formazione, la mitologia germanica settentrionale abbia inglobato
molte idee di matrice finnica.
Gli studiosi hanno puntualmente fatto notare molti elementi di sciamanesimo
nella religione scandinava, che sembrano attingere al mondo uraloaltaico. Ad
esempio, Óðinn possiede molti tratti che
rimandano al mondo dello sciamanesimo: la sua conoscenza dei canti magici,
l'impiego di una forma di estasi stregonesca, la capacità di trasformarsi in
uccello o altro animale. La figura di Óðinn,
in origine una sorta di dio-vento sulla scolta del Vāta
indiano, sembra essersi sviluppata su un ordine di idee congruente a quello del
frassino Yggdrasill: si ricordi il
mito del sacrificio del dio, riferito in
Hávamál
[138-141], in cui
Óðinn rimase per nove giorni appeso all'albero cosmico, trafitto da una
lancia, al fine di impossessarsi del potere delle rune
②. L'albero cosmico viene qui inteso come
albero della sapienza, e ricordiamo che con le sue radici esso attingeva tanto
alla fonte del destino (Urðarbrunnr)
quanto, appunto, alla fonte della sapienza (Mímisbrunnr).
Da un altro punto di vista, il sacrificio di
Óðinn ricorda da vicino le iniziazioni
sciamaniche, ed ecco dunque che ritorniamo di nuovo al mondo uraloaltaico. Il
termine Yggdrasill significa
«destriero del terribile», dove Yggr
«terribile» è appunto epiteto di Óðinn.
Ci si riferisce qui ai sacrifici umani che venivano tributati in onore di
Óðinn, le cui vittime venivano appunto
impiccate ai rami degli alberi e trafitte con lance. «Destriero degli impiccati»
è una kenning, in verità un tantino sinistra, a indicare l'albero usato
in guisa di forca.
Meno significativa l'ipotesi esaminata da Mannhardt e poi ripresa da
Branston, secondo cui l'albero cosmico avrebbe una connotazione sessuale,
rappresentando il membro maschile eretto, come fonte della procreazione. Dunque
l'associazione dell'albero e della sorgente avrebbe una connotazione
pene/vagina, sul modello delle figurazioni indù dove il liṅgaṃ è
associato alla yoni. (Branston 1955) |
|
III
- L'ALBERO COSMICO E LA SUA FAUNA Ma il grande frassino
Yggdrasill, presenta ancora, a
caratterizzarlo, una strana e ricca fauna insediata nelle radici, nel tronco e
tra i rami. Una fauna non sempre benevola che, anzi, a tratti sembra quasi
minacciare la stabilità e l'integrità del grande albero. Le fonti sapienziali
norrene si dilungano a enumerare tutte queste creature, di cui vengono dati i
nomi e spiegata la natura.
La fonte principale è, ancora una volta, il
Grímnismál, dove leggiamo:
Ratatoskr heitir íkorni,
er renna skal
at aski Yggrdrasils;
arnar orð
hann skal ofan bera
ok segia Níðhǫggvi niðr. |
Ratatoskr si chiama
lo scoiattolo
che correrà
sul frassino Yggdrasill;
dell'aquila le parole
dall'alto porterà
e le riferirà a Níðhǫggr in basso.
|
Hirtir ero ok fiórir,
þeirs af hæfingar á
gaghálsir gnaga:
Dáinn ok Dvalinn,
Dúneyrr ok Duraþrór. |
Ci sono poi i cervi, quattro
che i più alti ramoscelli (?)
tendendo il collo brucano.
Dáinn e
Dvalinn,
Dúneyrr e
Duraþrór. |
Ormar fleiri
liggia under aski Yggdrasils
en þat uf hyggi hverr ósviðra apa:
Góinn ok Móinn,
þeir ero Grafvitnis synir,
Grábakr ok Grafvǫlluðr,
Ófnir ok Sváfnir
hygg ek at æ skyli
meiðs kvisto má. |
Serpenti numerosi
stanno sotto il frassino Yggdrasill,
più di quanti credino gli insavi;
Góinn e
Móinn,
(sono di Grafvitnir i figli)
Grábakr e
Grafvǫlluðr,
Ófnir
e Sváfnir
sempre dovranno, io credo,
rodere i rami dell'albero. |
Ljóða Edda
> Grímnismál [32-34] |
Lo stesso poema parla altrove della capra
Heiðrún che dal tetto di
Valhǫll bruca le fronde dell'albero
Læraðr, che si crede essere un altro
nome del frassino Yggdrasill
(Grímnismál [25]).
Anche Snorri riferisce di queste creature
(Gylfaginning [16]), che trae dalla medesima fonte aggiungendo ancora
qualche dettaglio:
Margt er þar af at segja. Ǫrn einn sitr í limum
asksins, ok er hann margs vitandi, en í milli augna honum sitr haukr, sá er
heitir Veðurfǫlnir. Íkorni sá, er heitir Ratatoskr, renn upp ok niðr eptir
askinum ok berr ǫfundarorð milli arnarins ok Níðhǫggs, en fjórir hirtir renna í
limum asksins ok bíta barr. Þeir heita svá: Dáinn, Dvalinn, Duneyrr, Duraþrór.
En svá margir ormar eru í Hvergelmi með Níðhǫgg, at engi tunga má telja. |
C'è molto da dire. Un'aquila siede sui rami del
frassino; essa conosce molte cose e in mezzo ai suoi occhi sta quel falco che si
chiama Veðrfǫlnir. Lo scoiattolo che
si chiama Ratatoskr corre su e giù per
il frassino e riporta le calunnie fra l'aquila e
Níðhǫggr, mentre quattro cervi corrono
per i rami del frassino e brucano le foglie. Essi si chiamano
Dáinn,
Dvalinn,
Duneyrr,
Duraþrór. Ci sono
poi così tanti serpenti dentro a
Hvergelmir insieme a Níðhǫggr, che
nessuna lingua può contarli. |
Snorri
Sturluson:
Prose Edda > Gylfaginning
[16] |
Apprendiamo, grazie a Snorri, che non sono semplici parole ma
vere e proprie maldicenze, quelle che si scambiano tra loro l'aquila appollaiata
tra i rami del frassino e il serpente
Níðhǫggr agguattato tra le sue radici, grazie ai buoni uffici dello
scoiattolo Ratatoskr, «dente che
perfora», che corre su e giù lungo il tronco dell'albero per riportare
giudiziosamente all'uno gli insulti dell'altro; secondo la Isnardi, alla figura
di questo scoiattolo sarebbe affidato il compito di far sì che l'antagonismo fra
cielo e terra, fra spirituale e materiale, fra bene e male abbia corso
ininterrotto (Isnardi 1991). Ci sfugge però la
ragione del fatto che l'aquila abbia tra gli occhi un falco (tanto più che del
falco conosciamo il nome, Veðrfǫlnir,
mentre quello dell'aquila lo ignoriamo).
|
La capra Heiðrún bruca le fronde del
Léraðr
(✍ 1760) |
Ólafur Brynjúlfsson
Ms. NKS 1867 4°. Det Kongelige Bibliotek, København (Danimarca). |
MUSEO: [Ólafur
Brynjúlfsson. Illustrazioni]► |
Di tutte le creature che affollano questo zoo arboreo che è il frassino
Yggdrasill, le fondamentali sembrano
essere tuttavia il serpente Níðhǫggr
che ne rode le radici e l'aquila che ha il suo nido tra i rami. Insieme con il
frassino, questi esseri formano un'immagine mitica di straordinaria antichità
che troviamo attestata in molte e diverse tradizioni, fin dalle epoche più
remote. La più antica arriva a noi addirittura dal tempo dei Sumeri; nel poema sumerico conosciuto dagli studiosi con il titolo informale di Inanna,
Gilgameš e gli inferi, ma probabilmente intitolato, dal suo incipit,
Ud re-a ud su₃-ra₂ re-a, «In quei
giorni, in quei giorni lontani»,
si narra dell'albero Ḫuluppu,
sacro a Inanna, infestato da tre orribili esseri:
un serpente restio a ogni incantesimo si attorceva tra le sue radici, un essere
chiamato Ki-sikil-lil-la-ke (forse un gufo, o la demoniessa Līlītu) dimorava nel suo tronco
e l'uccello tempesta Anzud aveva il nido nella
sua chioma. Inanna chiamò
Gilgameš che le sgombrò l'albero dalle tristi creature. Il parallelo con
la fauna del frassino Yggdrasill è
evidente. Peccato che, a parte tracciare una vaga omologia, non si possa fare di
più. Il parallelo sumerico non ci illumina sul motivo germanico, e viceversa.
Anche l'immagine biblica dell'albero della conoscenza del bene e del male,
con il serpente che gli scivola accanto, ha certamente più di un debito con il
medesimo mitema; effettivamente qui manca l'aquila, ma si possono chiamare in
causa i serafini con le spade fiammeggianti che si ergono a guardia dell'albero
della vita. D'altronde la diffusione di tale mitema sembra essere universale. Lo
ritroviamo attestato persino in America: gli Aztechi seppero di aver trovato una
nuova patria quando videro un'aquila posata su un cactus con un serpente tra gli
artigli. Lì si fermarono e fondarono Tenochtitlán (raccomandiamo di esaminare
attentamente lo stemma al centro della bandiera messicana).
Queste sono indicazioni di un simbolismo remotissimo, risalente con ogni
probabilità alle origini stesse della cultura umana e che, in un modo o
nell'altro, è stato ereditato in maniera diversa dalle diverse culture. Non
sappiamo, e certamente non sapremo mai, cosa simboleggiassero in origine questi
animali, perché troviamo proprio un serpente tra la radici dell'albero (simbolo
di immortalità? si potrebbero tracciare infiniti paralleli con la leggenda di
Gilgameš) e un'aquila tra le sue fronde (è forse a
guardia dell'albero? si può qui pensare a certi motivi del
Kalevala o persino del Bǝrēʾšîṯ).
Nel mondo germanico questi animali vennero interpretati come simboli della
fragilità e dell'instabilità dell'ordine cosmico, in quanto con la loro
presenza, con il loro continuo rodere, mangiare, brucare a tutti i livelli del
grande frassino, e dunque in tutte le manifestazioni dell'essere, essi
minacciano la stabilità dell'universo, conducendolo inesorabilmente verso il
ragnarǫk.
|
IV -
L'ALBERO COSMICO: RAPPRESENTAZIONE ASTRONOMICA Le rappresentazioni
grafiche del frassino Yggdrasill
hanno sempre qualcosa di goffo. Gli illustratori si trovano invariabilmente a
disagio nel rappresentare quel tronco che attraversa il cosmo, quegli immensi
rami che coprono i cieli, le tre radici che raggiungono gli opposti angoli
dell'universo e naturalmente tutta la strana fauna
– cervi e capre, aquile e serpenti – insediata a tutti i livelli del
grande frassino, brucando, rodendo e divorando.
L'impressione è che Yggdrasill sia
la figurazione, in forma dendrica, di qualche antica concezione cosmologica. I
vari elementi di questo mitema arboreo, i dettagli curiosi della strana fauna
che lo affolla e certe notazioni quasi inesplicabili, come il motivo delle tre
radici che si diramano in tre direzioni diverse per attingere ad altrettante
sorgenti primordiali, non sembrano delle aggiunte stravaganti, ma suggeriscono
la presenza di idee assai meditate sull'universo e le forze che lo governano. Il
frassino Yggdrasill, nella sua
geometria, obbedisce a qualche tipo di logica interna che non è soltanto quella
di un albero grande quanto l'universo, ma di un supporto cosmologico,
rappresentato in forma di albero, che avvolge, racchiude e fornisce all'universo
una struttura. La chiave che ci permette di decifrare questa imponente visione
cosmologica è andata perduta, anche se molti elementi possono tuttora suggerirci
una serie di idee complesse e avvincenti.
Esaminiamo il motivo delle tre radici e diamo un'occhiata ai testi. La fonte
principale è
Grímnismál [31],
dove leggiamo:
Þriár rætr
standa á þriá vega
undan aski Yggdrasils;
Hel býr undir einni,
annarri hrímþursar,
þriðio mennzkir menn. |
Tre radici
si estendono in tre direzioni
sotto il frassino Yggdrasill;
Hel sotto l'una dimora,
sotto l'altra i giganti di brina,
sotto la terza gli esseri umani. |
Ljóða Edda
> Grímnismál [31] |
Questo brano è stato ripreso da Snorri nella sua
Prose Edda,
ampliandolo, facendo qualche lieve modifica e aggiungendo alcuni interessanti
dettagli. Val la pena riportarlo integralmente:
Þrjár rætr trésins halda því uppi ok standa
afarbreitt. Ein er með ásum, en ǫnnur með hrímþursum, þar sem forðum var
Ginnungagap. In þriðja stendr yfir Niflheimi, ok undir þeiri rót er Hvergelmir,
en Níðhǫggr gnagar neðan rótina. En undir þeiri rót, er til hrímþursa horfir,
þar er Mímisbrunnr, er spekð ok manvit er í fólgit, ok heitir sá Mímir, er á
brunninn. Hann er fullr af vísindum, fyrir því at hann drekkr ór brunninum af
horninu Gjallarhorni. [...]. Þriðja rót asksins stendr á himni, ok undir þeiri
rót er brunnr sá er mjǫk er heilagr er heitir Urðarbrunnr. Þar eiga goðin
dómstað sinn. |
Tre radici sostengono l'albero e si estendono per spazi
incredibili: una va fra gli Æsir,
mentre un'altra fra i giganti di brina, là dove prima era il
Ginnungagap. La terza sta sotto
Niflheimr; sotto questa radice si
trova Hvergelmir, e
Níðhǫggr la rosicchia da sotto. Sotto
questa radice, che si dirige verso i giganti di brina, c'è
Mímisbrunnr, ove sono conservate
saggezza e intelligenza. Si chiama Mímir
colui che possiede la fonte. Egli è pieno di sapienza, poiché beve dal pozzo con
il corno Gjallarhorn. [...]. La
terza radice del frassino sta in cielo e sotto a essa si trova quella sorgente,
altamente sacra, che si chiama
Urðarbrunnr, ove gli dèi tengono il loro consiglio. |
Snorri
Sturluson:
Prose Edda > Gylfaginning [15] |
La prima differenza tra i due testi, com'è evidente, è
relativa ai luoghi dove le tre radici sono dirette.
È possibile che la differenza tra le due versioni sia dovuta al fatto che le
distinzioni tra i vari mondi non siano così nette come piacerebbe agli
interpreti moderni. Helheimr e
Niflheimr sono spesso confusi l'uno
con l'altro; mentre Ásgarðr, in alcune
rappresentazioni, era innalzata sulle montagne al centro di
Miðgarðr. Ma non bisogna commettere
l'errore di considerare le distinzioni tra le due fonti come sostanziali
divergenze geografiche: vi è sicuramente alla base una stessa visione
cosmologica ed è questa che dobbiamo sforzarci di penetrare; non dimentichiamo,
inoltre, che nel compilare la
Prose Edda, Snorri aveva sottomano i poemi della
Ljóða Edda.
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Il frassino Yggdrasill |
Un elegante tentativo di figurazione delle direzioni prese dalle radici del
frassino |
È evidente che le tre radici si dirigono in tre direzioni che non sono quelle
della terra, quanto piuttosto tre distinte manifestazioni dell'essere: la prima
si dirige nelle profondità abissali, la seconda verso i confini del mondo, la
terza su nel cielo.
Il problema è piuttosto disegnare un albero le cui tre radici vadano in
direzioni tanto bizzarre. Nel suo lavoro sulla mitologia nordica, Viktor Rydberg
si sforzò in tutti i modi di dare a queste radici una degna collocazione, ma
senza risultati degni di nota (Rydberg 1889). Il
punto è che Rydberg cercava di ancorare quelle radici all'interno di un
diagramma terrestre e questo gli impedì di trovare dei modelli convincenti. Come
hanno dimostrato Giorgio De Santillana ed Hertha Von Dechend nel loro
monumentale studio, il frassino
Yggdrasill è una rappresentazione cosmica e la sua natura è assolutamente e
squisitamente astronomica (De Santillana
~ Von Dechend 1969).
E questo non solo in senso spaziale ma anche – e soprattutto – temporale.
Bisogna mettersi nell'ottica di una cosmografia antropocentrica, in cui
l'asse cielo-terra-inferi era essenzialmente l'asse zenitale, diviso in tre
regioni dai tropici celesti. A nord del Tropico del Cancro vi è la volta
celeste, dimora degli dèi (che potremmo chiamare
Ásaheimr). Sotto il Tropico del
Capricorno, l'emisfero celeste meridionale, invisibile dalle regioni boreali,
ovvero la dimora dei morti (Helheimr o
Niflheimr), sotto la quale si trovava
quell'abisso d'acqua presente nelle più antiche figurazioni mitologiche
① e che tra gli Scandinavi è
esemplificato dal pozzo di Hvergelmir.
La fascia celeste compresa tra i due tropici, dove giace l'eclittica e si
trovano i segni zodiacali, è il «recinto esterno», il mondo dei giganti di
brina (Útgarðr o
Jǫtunheimr).
Se i moderni interpreti pongono
Jǫtunheimr a est ②, è perché
nei testi si trova scritto che Þórr si
reca in quella direzione ogni volta che va in
Jǫtunheimr a combattere i giganti. Il
senso in realtà è sottilmente diverso e soltanto un'attenta analisi comparata
dei vari miti ci aiuta a comprenderlo. Þórr
è essenzialmente una figura di «dio-tuono», omologa all'eroe zodiacale greco
Hērakls, nel quale a sua volta sono confluiti
motivi antichissimi, già presenti nell'epopea di Gilgameš.
Ciò che accomuna questi tre personaggi (Gilgameš,
Hērakls e Þórr)
è un viaggio che li porta a uscire dal mondo per entrare nell'oceano zodiacale.
Nella storia di Gilgameš l'uscita si trova presso
le porte del monte
Mâšu, situato
probabilmente, a nord, quale axis mundi: oltre di esso si trovano un
giardino edenico, la sala da birra di
Siduri e quindi, l'oceano cosmico che solo la barca del sole può
attraversare. Nel mito riferito da Snorri in
Gylfaginning [45], Þórr e i
suoi compagni si recano nel lontano oriente, attraversano un corso d'acqua e
quindi, dopo aver varcato delle immense porte, arrivano a
Útgarðr, dove si trova la grande sala
da birra del gigante Útgarðaloki. Che
questo luogo sia situato ai confini del mondo è ulteriormente dimostrato dal
fatto che una sezione di Jǫrmungandr,
il serpente che avvolge il mondo, passa attraverso la sala di
Útgarðaloki, tanto che
Þórr (al quale per incanto è stato fatto
credere che il serpente sia un gatto) viene sfidato a sollevarlo. ③
Le porte che Gilgameš varca attraversando il
monte Mâšu, i cancelli che
Þórr attraversa da oriente per arrivare
sulle rive dell'oceano cosmico, e le «colonne» che
Hērakls oltrepassa a occidente quando intraprende un analogo viaggio
sulla barca del sole, rappresentano, da un punto di vista astronomico, le portae
mundi, i punti per i quali l'orizzonte si incrocia con l'eclittica, o con
l'equatore celeste.
Útgarðr, il mondo che si erge oltre il
Miðgarðr, cioè il baluardo che
protegge il mondo degli uomini, è in effetti il cielo zodiacale; i giganti non
sono soltanto i rimasugli del caos primordiale ma anche, come
Krónos e i Titânes greci, i signori di un'età
precedente a quella degli dèi che oggi reggono l'universo, relegati ai confini
del mondo.
Dunque il frassino Yggdrasill
viene a essere una rappresentazione sia dell'asse cosmico che dell'intera
armatura della sfera celeste. Le tre «radici» sono le tre direzioni che
dall'asse arrivano rispettivamente ai due poli (nord e sud) della sfera celeste
e, verso oriente, al punto equinoziale. Un'analisi più raffinata – e purtroppo
altamente ipotetica – potrebbe aiutarci a capire le parole della vǫlva,
là dove essa dice:
Níu mank heima,
níu í viði,
mjǫtvið mæran
fyr mold neðan. |
Nove mondi ricordo
nove sostegni,
e l'albero misuratore, eccelso
che penetra la terra. |
Ljóða Edda
> Vǫluspá [2] |
Probabilmente i nove mondi, con i loro sostegni, e l'albero dalle tre radici
che li penetra e li sostiene, fanno parte di un sistema astronomico ancora più
complesso. Ricordiamo il brano in cui Snorri parla dei molti cieli che si levano
sopra il nostro. Ma è un'analisi che sfugge alle nostre capacità e, temiamo, non
vi siano più le basi per operare una simile ricostruzione del pensiero
cosmologico degli antichi Scandinavi.
|
V - LE
RADICI DELL'ALBERO, LE SORGENTI DELL'UNIVERSO
|
Cosmografia nordica |
In questo diagramma, il frassino
Yggdrasill cresce al di sopra della
volta del cielo (si noti i quattro nani che sorreggono quest'ultima), forse nel
tentativo di dare una localizzazione alle radici (Gordon
1956). |
Le «radici», oltre a essere direttrici astronomiche, hanno un significato
ancora più profondo. Ricordiamo dove esse vanno ad attingere: la prima radice,
quella che scende in basso, penetrando nell'Helheimr o nel
Niflheimr, arriva al pozzo di
Hvergelmir, la sorgente primordiale
di tutte le acque, espressione norrena di quel che fu l'Apsû
presso i Babilonesi. I fiumi Élivágar
che si protendono da Hvergelmir
rappresentano il flusso delle energie che fluiscono dalla sorgente primordiale
delle acque, luogo originario della creazione, e lì rifluiscono dopo aver
attraversato tutto l'universo. Che il frassino
Yggdrasill pianti una radice in quel
pozzo profondo, partecipando in una certa misura alla sua energia creativa, è
indice della natura primordiale e originaria del grande albero.
La seconda radice, quella che si protende verso i confini dell'universo, l'Útgarðr, il grande cerchio zodiacale, va
ad attingere alla sorgente Mímisbrunnr,
dove, dice Snorri, «stanno nascoste sapienza e conoscenza». Questa è la sorgente
a cui sta a guardia la testa di Mímir: per
attingere un sorso di quell'acqua, Óðinn
dovette lasciare nella sorgente il suo occhio; sembra anche che
Heimdallr dovette lasciarvi il suo
orecchio (Vǫluspá
[27]). Che una radice del frassino venga ad attingere
qui è significativo del fatto che l'albero partecipi in qualche modo alla
sapienza delle cose antiche e segrete; forse si può capire, da questo dettaglio,
per quale ragione Óðinn dovette
sacrificarsi, appendendosi ai rami del frassino, per impadronirsi del
significato e del potere delle rune. Il frassino
Yggdrasill è anche albero della
conoscenza.
La terza radice, che nel canto eddico si protende verso il mondo degli uomini
ma che, secondo Snorri, andrebbe «su in cielo», va ad attingere alla sorgente
Urðarbrunnr. Questo è il luogo
sommamente santo dove ogni giorno gli dèi si riuniscono nel þing,
l'assemblea divina. Presso Urðarbrunnr
stanno le tre Nornir, le fanciulle
che decidono i destini di tutti gli uomini: esse si chiamano
Urðr,
Verðanði e Skuld. Ma
Urðarbrunnr è, come dice il nome
stesso, la «sorgente del destino» (norreno urðr, anglosassone wyrd).
E così, il frassino Yggdrasill
attinge ancora a quella sorgente fatale e misteriosa da cui viene segnato il
passato e il futuro dell'universo.
Queste note possono aiutarci a capire quanti significati, e quanto profondi,
si intersecano in quest'immagine cosmica del grande frassino
Yggdrasill, l'albero che regge
l'universo, gli infonde vita e sapienza e, in qualche modo, ne segna il passato
e il futuro. Albero cosmico, albero della creazione e albero della conoscenza,
il frassino Yggdrasill è anche albero
del tempo e del destino. Il tempo, nel pensiero germanico, non è soltanto lo
svolgersi delle ore, dei giorni e degli anni, lungo una linea che dal passato
procede verso il futuro; il tempo non è un semplice contenitore di eventi, ma è
esso stesso lo svolgersi di quegli eventi. Tempo e destino sono una sola cosa
ineluttabile. Come sappiamo bene, i vichinghi erano estremamente fatalisti: «se
così è destinato a essere, nessuno può opporsi» affermano spesso i personaggi
delle saghe.
|
VI -
L'ALBERO COSMICO: RAPPRESENTAZIONE TEMPORALE In un passo che qui
riportiamo per la terza volta, il frassino
Yggdrasill viene indicato con una
parola molto strana: mjǫtviðr.
Níu mank heima,
níu í viði,
mjǫtvið mæran
fyr mold neðan. |
Nove mondi ricordo
nove sostegni,
e l'albero misuratore, eccelso
che penetra la terra. |
Ljóða Edda
> Vǫluspá [2] |
Questa parola è una delle più delicate dell'intera letteratura mitologica
norrena: noi l'abbiano resa con «albero misuratore», da «albero [viðr]
delle misure [mjǫt]». Quest'ultima parola è connessa col norreno meta
«misurare», da cui mjǫtuðr «giudice, governatore, dispensatore del fato»
(cfr. gotico mitan, antico alto tedesco mezzan, tedesco messen,
anglosassone metan «misurare»; ma anche latino medeor «misuro» e
meditari «meditare»).
Come abbiamo visto, il frassino
Yggdrasill è l'immagine stessa del cosmo: è l'asse attorno a cui ruotano i
cieli, le cui radici definiscono i tre «climi» celesti: il cielo propriamente
detto, il cielo zodiacale, e il cielo oceanico che si stende sotto il mondo. Ma
questa sfera celeste non è un tutt'uno statico, ma un insieme in perenne
movimento, un immenso orologio-bussola le cui lancette scandiscono
incessantemente i rapporti tra lo spazio e il tempo. Non vi è alcuna volontà a
dirigere questi giri immani delle stelle attorno all'asse centrale, del sole e
dei pianeti lungo la fascia zodiacale: è una forza meccanica, irresistibile,
priva di volontà. Ed è una legge superiore a cui sono soggetti persino gli dèi.
In questo senso il frassino Yggdrasill
è l'immagine del cosmo, il perno intorno al quale viene misurato il tempo e
intorno al quale si decreta il destino dell'universo. Com'è noto, la mitologia
nordica si regge su una concezione in cui l'universo è destinato a essere creato
e annientato nei limiti di un tempo cosmico prestabilito, al fin del quale esso
verrà disintegrato nel ragnarǫk.
A misurare questo tempo è appunto il mjǫtviðr, l'«albero misuratore», il
grande frassino Yggdrasill, la cui
terza radice – val la pena ricordarlo – attinge nella sorgente del destino, in
Urðarbrunnr.
Il passo di un poema eddico lega l'immagine dell'albero cosmico a una strana
idea di fragilità:
Askr Yggdrasils
drýgir erfiði
meira enn menn viti:
hiǫrtr bitr ofan,
en á hliðo fúnar,
skerðer Níðhǫggr neðan. |
Il frassino Yggdrasill
sopporta pene
più grandi di quanto gli uomini sappiano:
il cervo lo bruca in alto,
da un parte marcisce
lo rode Níðhǫggr da sotto. |
Ljóða Edda
> Grímnismál [35] |
E ribadisce Snorri:
Enn er þat sagt, at nornir þær, er byggja við
Urðarbrunn, taka hvern dag vatn í brunninum ok með aurinn þann, er liggr um
brunninn, ok ausa upp yfir askinn, til þess at eigi skuli limar hans tréna eða
fúna. |
Si dice inoltre che quelle
Nornir che abitano a
Urðarbrunnr ogni giorno attingono
l'acqua dalla fonte insieme all'argilla che si trova intorno a essa e la
spargono sopra il frassino, affinché i suoi rami non secchino o marciscano. |
Snorri
Sturluson:
Prose Edda > Gylfaginning [16] |
Dunque scopriamo d'un tratto che il frassino
Yggdrasill non è così stabile come ci
si potrebbe aspettare: non solo è attaccato da serpenti e altre creature, ma
marcisce su un lato tanto che le Nornir
sono costrette a spalmargli sul tronco acqua mista ad argilla. A che cosa si
deve quest'immagine dell'albero cosmico che potrebbe crollare?
Abbiamo già messo in relazione il frassino
Yggdrasill con l'immensa quercia che
compare nel secondo runo del
Kalevala, della quale è registrato il
crollo. Anche riguardo al misterioso
Sampo, anch'esso presente nel
Kalevala, il cui coperchio è la volta del
cielo e le cui tre radici si svolgono in tre direzioni diverse, si parla di
scardinamento e distruzione. De Santillana e la Von Dechend, nel loro studio,
hanno riportato il mitema dello scardinamento dell'asse cosmico al fenomeno
della precessione degli equinozi, movimento celeste scoperto – ufficialmente –
da Hípparchos di Níkaia nel II secolo a.C., per cui il prolungamento dell'asse
terrestre nel cielo non è fisso, ma si muove impercettibilmente, percorrendo un
cerchio completo in 25˙920 anni. (De Santillana ~ Von Dechend 1969)
Abbiamo visto che Þórr andava a oriente
per arrivare all'oceano cosmico: non perché tale oceano non circondasse
effettivamente il mondo da tutti i lati, ma perché il passaggio dal nostro mondo
all'oceano zodiacale non può che avvenire attraverso le porte equinoziali, i
punti dove l'equatore celeste e l'eclittica si incontrano. Questi punti, come
sappiamo, sono dominati da una specifica costellazione, che è la costellazione
zodiacale attraverso la quale sorge il sole nell'equinozio di primavera. Questa
regolarità non è però valida nei tempi lunghi: il movimento di precessione non
solo sposta l'asse terrestre dal polo celeste, ma porta le costellazioni dello
zodiaco a retrocedere lungo l'eclittica, cosicché a intervalli di circa duemila
e cento anni, troviamo un nuovo segno zodiacale ad accogliere il sorgere del
sole nell'equinozio di primavera.
Questo fenomeno è visto, nella visione cosmologica, come uno scardinamento
dell'asse terrestre e il ristabilimento di un nuovo asse. Il
ragnarǫk è il momento nel quale il
vecchio universo viene abbattuto e viene stabilito uno nuovo universo, dopodiché
il mondo ricomincia daccapo. È in pratica l'argomento della
Vǫluspá.
Nelle speculazioni mitiche, la durata del movimento precessionale di 25˙920 anni viene legato a una precisa numerazione
sessagesimale le cui cifre ricompaiono incessantemente nel calcolo delle ère
cosmiche in molte tradizioni del mondo, dalla Mesopotamia all'India alla
Scandinavia. Ora, 25˙920 : 60 = 432. E 432 è
un numero significativo in questo tipo di calcoli. Ad esempio, nella
Babyloniaká di Bḗrōssos, il tempo che questi
concedeva ai re antidiluviani di Bâbilu, dalla creazione al diluvio, era
proprio di 432˙000 anni, mentre nella mitologia indiana la durata di un ciclo
cosmico [māhāyuga] è esae gli antichi scandinavi conoscessero il fenomeno della precessione degli
equinozi lo provano alcuni versi relativi al
ragnarǫk, dove riaffiora una
precisa numerologia legata a queste cifre. Ad esempio, nel
Grímnismál è svelato il numero degli
einherjar che nel giorno
dell'Ultima Battaglia andranno ad affrontare il lupo
Fenrir:
Fimm húndruð dura
ok um fiórom tøgom,
svá hygg ek at Vallhǫllo vera;
átta hundruð einheria
ganga senn ór einom durom,
þá er þeir fara at vitni at vega. |
Cinquecento porte
e ancora quaranta
credo vi siano nella Valhǫll;
ottocento einherjar
usciranno insieme da ciascuna porta
quando andranno a battersi col lupo. |
Ljóða Edda
> Grímnismál [24] |
La difficoltà del calcolo è che húndruð in norreno indicava
originariamente il «centinaio» di dodici decine e solo in epoca tarda la parola
venne usata per indicare il «centinaio» di dieci decine. Dunque, se si intende
l'húndruð uguale a centoventi, seicentoquaranta sono le porte di
Valhǫll e novecentosessanta gli
einherjar che usciranno da
ciascuna di esse (640 × 960 = 614˙400); ma se si intende l'húndruð uguale a
cento, cinquecentoquaranta sono le porte di
Valhǫll e ottocento gli
einherjar che usciranno da
ciascuna di esse (540 × 800 = 432˙000). Questo secondo calcolo, se corretto,
riporterebbe la cifra alle considerazioni sopra esposte sulla durata dei cicli
cosmici.
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Bibliografia
- BRANSTON 1955. Brian Branston, Gods of the North. Thames & Hudson,
London 1955.
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BIBLIOGRAFIA ► |
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