I - IL
SISTEMA FLUVIALE DELL'UNIVERSO
La tradizione scandinava sembra molto interessata a descrivere una sorta di
imponente idrografia mitologica, un complesso sistema di fiumi che fuoriescono
dalla sorgente primordiale di Hvergelmir
per scorrere dal mondo degli dèi a quello degli uomini e, da questo, fin negli
inferi. Il loro ruolo fondamentale, nel sistema mitologico, è quello di
garantire il flusso dell'esistenza a ogni livello dell'universo.
Snorri attribuisce alla sorgente di
Hvergelmir la scaturigine di quei fiumi primordiali, gli
Élivágar, «onde tempestose», le cui
acque furono la culla della prima vita
(Gylfaginning [4]). Abbiamo già visto come
Hvergelmir, la «caldaia ruggente», recasse molti tratti simili all'antica
corrente del mito greco, Ōkeanós, il fiume che
circonda il mondo, a cui Omero si riferiva come «origine degli dèi»
(Ilías [XIV, ]) e «origine di tutte le
cose» (Ilías [XIV, ]). Come tutti i
fiumi cosmici della tradizione scandinava scaturivano da
Hvergelmir, così nel mito greco tutti
i mari, i fiumi e le sorgenti del mondo nascevano dalla corrente circolare di
Ōkeanós, e là tornavano a ricongiungersi.
①
Questo mitema delle acque abissali può essere fatto risalire addirittura all'Apsû babilonese. ②
Il sistema scandinavo dei fiumi cosmici trova un ottimo riscontro a quello
della tradizione mitologico-filosofica greca, dove un certo numero di fiumi
celesti, terreni e ipoctoni scorreva dal cielo alla terra, dal mondo materiale
al cosmo sottile, unendo tutti i piani di esistenza in un'unica struttura
metafisica. Una splendida descrizione di questa idrografia mitica la troviamo
nell'ultimo discorso di Sōkrátēs nel Phaídōn:
Nelle zone interne [della
Terra] vi sono molte regioni, alcune più profonde e più vaste di quella che
abitiamo noi, altre di minor profondità ma di maggiore estensione. Tutte queste
regioni comunicano tra loro attraverso gallerie più o meno larghe. Vi sono
cunicoli profondi attraverso i quali una quantità d'acqua passa da una regione
all'altra come in grandi fiumi perenni, sotterranei e immensi, che portano acque
calde e fredde; e molti fiumi di fuoco e anche molti di fango, ora più liquido,
ora più denso [...]. E tutti questi fiumi sboccano in quelle regioni e le
colmano dove, di volta in volta, la corrente li riversa; e la causa di tutti
questi fiumi che vanno su e giù è data da un movimento pendolare sotterraneo
dovuto al fatto che fra le tante voragini della terra, ce n'è una, la più vasta,
che la perfora da parte a parte, quella di cui parla Hómēros quando dice: molto
lontano, dove sotterra c'è un baratro immenso, quella che non solo lui,
ma anche altri poeti, chiamano Tártaros. In questo baratro confluiscono tutti i
fiumi per poi, nuovamente, defluire e ciascuno di essi assume un proprio aspetto
a seconda la natura del terreno che attraversa. Il motivo per cui tutte queste
acque correnti piombano in questo baratro e né tornano a sgorgare è che questa
gran massa d'acqua non ha né un fondo né una base ma resta come sospesa e
ondeggia, quindi, su e giù. [...]. |
Quando l'acqua si ritira
verso l'emisfero detto meridionale, affluisce, attraverso la terra, nei bacini
di laggiù e li riempie come canali d'irrigazione; quando, invece, defluisce da
lì e irrompe nel nostro emisfero, scorre nei canali attraverso la terra
giungendo fin dove riesce a scavarsi una strada e colma i bacini che son qui, e
forma mari, laghi, fiumi e sorgenti. Da qui, nuovamente, tutte quelle acque si
inabissano nella terra e, dopo aver percorso giri ora più brevi ora più lunghi e
numerosi, si riversano ancora nel Tártaros; alcune molto più in giù del punto da
cui erano sgorgate, altre meno, ma sempre tutte si gettano in un punto più basso
di quello da cui prima erano scaturite. Talvolta irrompono dalla parte opposta,
altre volte dalla medesima. Ve ne sono, poi, alcune che, dopo aver circondato la
terra con uno o più giri, a spirale, come serpenti penetrano così in profondità
da sfociare, poi, nel punto più basso del Tártaros. [...]. |
In conclusione ve ne sono
tanti di fiumi d'ogni specie e molto grandi e tra questi, soprattutto quattro,
di cui il più grande, che scorre all'esterno, vien chiamato
Ōkeanós. Dalla parte
opposta, e con un corso contrario, c'è l'Achérōn che attraversa regioni
desertiche e poi prosegue sotto terra per giungere alla palude acherusiade dove
si raccolgono le infinite anime dei morti che dopo quel certo tempo a loro
destinato, più o meno lungo, vengono restituite alla luce per incarnarsi in
esseri viventi. Il terzo fiume sgorga tra questi due e, dopo un breve percorso,
si riversa in una grande pianura arsa tutta da un fuoco violento e forma una
palude più grande del nostro mare, tutta ribollente d'acqua e di fango; da qui
scorre circolarmente, torbido e fangoso e, sempre sotto terra, volge a spirale
il suo corso e giunge, dopo aver attraversato diverse zone, alle estreme rive
della palude acherusiade ma senza mescolarsi alle sue acque; e dopo molti altri
giri sotterranei, si getta in un punto del Tártaros che è più in basso. Questo è
il fiume che chiamano Pyriphlegéthōn che riversa sulla terra torrenti di lava
dovunque trovi uno sbocco. Di fronte gli scaturisce il quarto fiume che dilaga,
a quanto si dice, in una regione spaventosa e selvaggia, dal colore blu cupo,
che chiamano stigia, e Stýx si chiama la palude che esso forma con le sue
acque. Qui riversandosi, da quelle acque acquista terribile violenza, poi
s'inabissa e scorre a spirale, in senso contrario al
Pyriphlegéthōn, fino a
toccare, dalla parte opposta, le sponde della palude acherusiade; ma nemmeno
questo fiume vi mescola le sue correnti e, dopo aver compiuto un largo giro, si
getta nel Tártaros dalla parte opposta al
Pyriphlegéthōn. Il suo nome, così
almeno lo chiamano i poeti, è Kōkytós. |
Plátōn:
Phaídōn [111c-113c] |
Una lettura completa del testo platonico rivela che tali fiumi uniscono in un
unico sistema metafisico il cielo che la terra e le sue più oscure profondità,
garantendo il continuo interscambio tra gli archetipi del cosmo celeste e le
creature del mondo materiale, oltre a costituire il flusso delle anime dal cielo
alla terra e dalla terra al cielo. La tradizione scandinava, per quanto possa
apparire meno intellettualizzata e meditata di quanto non sia la versione
consegnataci dal pensiero filosofico greco, deriva sicuramente da una medesima
matrice.
Che tale pensiero affondi nella più remota antichità, d'altronde, sembra
testimoniarlo la comparazione con miti omologhi diffusi tra molti popoli
diversi. La presenza di un simile mitema in Īrān fa pensare a un motivo di
origini indoeuropee. Qui si narra infatti del Vourukaa,
il mare primordiale che è sorgente di tutte le acque fluviali (a loro volta
incarnate nella yazata Arǝdvī Sūra Anāhita)
che scorrono dal cielo alla terra e dalla terra agli inferi, giungendo in tutti
i sette karvąr («climi,
continenti, mondi») dell'universo. Così si legge in un passo dell'Avestā:
Masitąm dūrāṯ frasrūtąm
ýā asti avavaiti masō ýaθa īspå imå āpō ýå zǝmā paiti fratačiñti ýā amavaiti
fratačaiti hukairyāṯ hača barǝzaŋhaṯ aoi zrayō ouru-kaṣ̌ǝm. |
[Arǝdvī
Sūra Anāhita], con una massa [d'acqua] che si sente da lontano, che da
sola è uguale per volume a tutte le acque che scorrono sulla terra, che scende
precipitosa giù con potenti rivoli dalla cima dello Hukairya fino al mare
Vourukaa. |
Ýaozǝñti īspe karanō
zrayā ouru-kaaya ā īspō maiδyō ýaozaiti ýaṯ hīš aoi fratačaiti ýaṯ hīš aoi
fražgaraiti arǝdvī sūra anāhita, ýeŋ́he hazaŋrǝm airyanąm hazaŋrǝm apaγžāranąm,
kasčiṯča aēṣ̌ąm airyanąm kasčiṯča aēṣ̌ąm apaγžāranąm čaθβarǝ-satǝm
ayarǝ-baranąm hvaspāi naire barǝmnāi. |
Tutti i golfi nel
Vourukaa sono agitati quando essa precipita, da
tutto il centro del mare si alzano zampilli quando Arǝdvī
Sūra Anāhita vi si getta veloce dentro, quando ella vi si tuffa
schiumeggiante, ella, di cui sono migliaia i fiumi tributari e migliaia gli
sbocchi emissari, e ognuno come s'immette o scorre via, è come facesse una
galoppata lunga quaranta giorni percorsi da un cavaliere provetto. |
Aiŋ́håsča mē aēvaŋhå āpō apaγžārō ījasāiti
īspāiš aoi karṣ̌vąn ýāiš hapta... |
Il principale emissario e
sbocco di quest'unica acqua va lontanissimo, dividendosi in tutti i sette karvąr... |
Avestā
> Yasna [LXV: 3-5] |
|
II -
IL COMPUTO DEI FIUMI È indubbio il fatto che gli Scandinavi
considerassero il novero dei fiumi scaturiti da
Hvergelmir come un importante
elemento della loro sapienza mitologica, dedicando a essi tre strofe del
Grímnismál:
Eikþyrnir heitir hjǫrtr,
er stendr á hǫllo Herjafǫðrs
ok bítr af Læraðs limom;
en af hans hornom
drýpr i Hvergelmi,
þaðan eigo vǫtn ǫll vega. |
Eikþyrnir si chiama il cervo
che si erge sulla sala di
Herjafǫðr
e bruca le fronde del Læraðr.
Dalle sue corna
cadono gocce in Hvergelmir,
da cui prendono le acque ogni via. |
Síð ok Víð,
Sækin ok Ækin,
Svǫl ok Gunnþró,
Fjǫrm ok Fimbulþul,
Rín ok Rennandi,
Gipul ok Gǫpul,
Gǫmul ok Geirvimul,
þær hverfa um hodd goða,
Þyn ok Vin,
Þǫll ok Hǫll,
Gráð ok Gunnþorin. |
Síð e Víð,
Sekin ed
Ekin,
Svǫl e
Gunnþrá,
Fjǫrm e
Fimbulþul,
Rín e
Rennandi,
Gipul e
Gǫpul,
Gǫmul e
Geirvimul,
questi scorrono accanto ai tesori divini.
Þyn e
Vin,
Þǫll e
Hǫll,
Gráð e
Gunnþráin. |
Vína heitir enn,
ǫnnor Vegsvinn,
þriðja Þjóðnuma,
Nyt ok Nǫt,
Nǫnn ok Hrǫnn,
Slíð ok Hrið,
Sylgr ok Ylgr,
Víð ok Ván,
Vǫnd ok Strǫnd,
Gjǫll ok Leiptr,
þær falla gumnom nær,
en falla til heilar heðan. |
Vína si
chiama l'uno,
il secondo Vegsvinn,
il terzo Þjóðnuma,
Nýt e
Nǫt,
Nǫnn e
Hrǫnn,
Slíðr e
Hríð,
Sylgr e
Ylgr,
Víð e
Ván,
Vǫnd e
Strǫnd,
Gjǫll e
Leiptr,
questi scendono presso gli uomini
e precipitano poi nel regno dei morti. |
Ljóða Edda
> Grímnismál [26-28] |
In questo testo i fiumi vengono distinti in due categorie: la prima strofa
elenca quelli che scorrono accanto alle case degli dèi, la seconda quelli che
scendono nel mondo degli uomini e di lì si recano nel regno dei morti. Lo stesso
canto riferisce nella strofa successiva che il dio
Þórr ogni giorno deve guadare alcuni fiumi
per recarsi all'assemblea divina, e questi così si chiamano:
Kǫrmt,
Ǫrmt e i due
Kerlaugar.
Nella sua
Edda, Snorri fornisce due
liste dei fiumi cosmici. Nella prima
(Gylfaginning [4]) elenca gli undici
Élivágar, i fiumi primordiali scaturiti
all'inizio del tempo dalla sorgente di
Hvergelmir, dalle cui acque ghiacciate sarebbe sorto il gigante
Ymir.
Fyrr var þat
mǫrgum ǫldum en jǫrð var skǫpuð, er Niflheimr var gǫrr, ok í honum miðjum liggr
bruðr sá er Hvergelmir heitir, ok þaðan af falla þær ár er svá heita: Svǫl,
Gunnþrá, Fjǫrm, Fimbul, Þul, Slíðr ok Hríð, Sylgr ok Ylgr, Víð, Leiptr. Gjǫll er
næst Helgrindum. |
Erano quei
giorni antichi, prima che la terra avesse forma, quando fu creato il
Niflheimr, al cui centro era una
sorgente chiamata Hvergelmir da cui
sgorgavano i fiumi che così si chiamano:
Svǫl,
Gunnþrá,
Fjǫrm,
Fimbulþul,
Slíðr e
Hríð,
Sylgr e
Ylgr,
Víð e
Leiptr.
Gjǫll è il più prossimo ai
cancelli di Hel. |
Snorri Sturluson:
Prose Edda
> Gylfaginning
[4] |
La seconda lista viene fornita in un contesto non più limitato ai tempi
primordiali (Gylfaginning [39]). Compaiono alcuni nomi già presenti nel novero
degli Élivágar, mentre altri
vengono aggiunti qui per la prima volta:
Þá mælti
Hár: «Enn er meira mark at of hjǫrtinn Eirþyrni, er stendr á Valhǫll ok bítr af
limum þess trés, en af hornum hans verðr svá mikill dropi at niðr kemr í
Hvergelmi, en þaðan af falla ár þær er svá heita: Síð, Víð, Sekin, Ekin, Svǫl,
Gunnþró, Fjǫrm, Fimbulþul, Gipul, Gǫpul, Gǫmul, Geirvimul, þessar falla um
ásabygðir. Þessar eru enn nefndar: Þyn, Vin, Þǫll, Bǫll, Gráð, Gunnþráin, Nýt, Nǫt, Nǫnn, Hrǫnn, Vína, Veg, Svinn,
Þjóðnuma.» |
Quindi disse
Hár: «Ancora più notevole è il cervo
Eikþyrnir: anche lui si trova in
Valhǫll e bruca i rami dell’albero.
Dalle sue corna stillano tantissime gocce che cadono in
Hvergelmir e da qui nascono i fiumi
che così si chiamano: Síð,
Víð,
Sekin,
Ekin,
Svǫl,
Gunnþrá,
Fjǫrm,
Fimbulþul,
Gipul,
Gǫpul,
Gǫmul,
Geirvimul. Questi ultimi
scorrono attorno alla dimora degli Æsir.
Si annoverano ancora questi: Þyn,
Vin,
Þǫll,
Hǫll,
Gráð,
Gunnþráin,
Nýt,
Nǫt,
Nǫnn,
Hrǫnn,
Vína,
Vegsvinn,
Þjóðnuma.» |
Snorri Sturluson:
Prose Edda
> Gylfaginning [39] |
Non conosciamo la fonte da cui Snorri attinse la prima lista degli undici
Élivágar; la seconda lista è
però chiaramente tratta dal
Grímnismál di cui,
anzi, sembra una parafrasi in prosa. Egli ha anche interpretato il poema
eddico classificando in maniera lievemente diversa i vari fiumi. Tra quanti
scorrono attorno alle dimore degli dèi egli cita soltanto dodici dei primi
quattordici fiumi elencati nella strofa [27],
lasciando fuori i due chiamati Rín
e Rennandi. I sei fiumi che
chiudono la strofa (Þyn,
Vin,
Þǫll,
Hǫll,
Gráð e
Gunnþráin) vengono invece
classificati da Snorri tra quanti scendono tra gli uomini e poi vanno nel regno
dei morti, in sostituzione dei tre (Vína,
Vegsvinn e
Þjóðnuma) che aprono la
strofa [28], che Snorri pone invece in coda (nei
manoscritti snorriani il Vegsvinn
è anzi scisso in Veg e Svinn). Questo fa pensare che Snorri
disponesse di una versione del poema diversa da quella che ci è stata
tramandata, cosa che potrebbe anche spiegare perché, nella nostra versione del
Grímnismál, i sei fiumi finali della strofa
[27] si trovino elencati dopo la nota che ne fornisce la
destinazione.
Della maggior parte di tali fiumi non conosciamo che il nome. Due di questi
appartengono alla geografia reale, e sono il
Rín (il Reno) e il
Vína (la Dvinà), evidentemente
passati dal mondo terrestre alla geografia mitica. Solo di pochi altri fiumi le
fonti ci forniscono qualche avaro dettaglio.
Il fiume Ván, ad esempio,
risulta formarsi dalla bava che scorre dalla bocca di
Fenrir, tenuta spalancata da una spada
conficcata di traverso tra le sue fauci
(Gylfaginning [39]). Il fiume
Gjǫll (da gjallar
«risonante»), che nel brano sopra citato Snorri aveva detto scorrere presso i
cancelli di Helheimr
(Gylfaginning [4]), ritorna nell'episodio in cui
Hermóðr scende negli inferi per
chiedere la restituzione di Baldr, e qui
vengono aggiunti diversi dettagli: apprendiamo che il fiume scorra attraverso
valli profonde e oscure e che lo scavalchi un ponte d'oro chiamato
Gjallarbrú. A guardia vi è una
fanciulla chiamata Móðguðr, la quale
appare perplessa nell'udire il ponte gemere sotto il peso di
Hermóðr e del suo cavallo, mentre il
giorno prima il ponte non aveva emesso tanto baccano quando vi erano transitate
ben cinque schiere di morti
(Gylfaginning [49]).
Al fiume Slíðr è invece
dedicata una breve strofa nella
Vǫluspá,
dove si dice:
Á fellr austan
of eitrdala
sǫxum ok sverðum,
Slíðr heitir sú. |
Scroscia un fiume da oriente
per valli di gelido veleno,
con pugnali e con spade,
Slíðr è chiamato. |
Ljóða Edda
> Vǫluspá [36] |
Questo motivo del fiume che porta nella sue corrente lame di spade sembra
appartenere alla più antica tradizione germanica. Ne troviamo una traccia in un
episodio narrato da Saxo Grammaticus, in cui re Hadingus
viene rapito da una donna misteriosa e trasportato nel mondo sotterraneo, dove
ha modo di assistere a scene straordinarie e portentose. «Proseguendo, si
imbatterono in un fiume dal corso veloce e dall'acqua bluastra, che trascinava
in un rapido turbinio armi di vario genere, e in un ponte per attraversarlo» [Progressique
præcipitis lapsus ac liventis aquæ fluvium diversi generis tela rapido volumine
detorquentem eundemque ponte meabilem factum offendunt]
(Gesta Danorum [I: viii, 14]). Si
tratta naturalmente dello Slíðr,
o comunque di un fiume caratterizzato dal medesimo motivo.
La tradizione scandinava fornisce indicazioni di altri fiumi mitici non
compresi negli elenchi sopra riportati. È il caso del misterioso fiume infernale
Vaðgelmir, che le anime sono
costrette a guadare le anime dei litigiosi e dei bugiardi, e qui si è anche
voluto vedere un influsso di concetti cristiani (Isnardi
1991).
Ofrgjǫld fáa gumna synir, þeir er Vaðgelmi vaða;
ósaðra orða, hverr er á annan lýgr, oflengi leiða limar.
|
Un contrappasso duro meritano i figli dei mortali che guadano
Vaðgelmir. Chi contro un altro mentisce con parole non vere poi soffrirà le conseguenze a lungo |
Ljóða Edda
> Reginsmál [4] |
|
III - I FIUMI DEL CIELO
Abbiamo visto che i fiumi cosmici scorrono dal cielo alla terra, dalla terra
agli inferi, solcando i vari mondi e passando indisturbati tra gli e gli altri.
Essi fluiscono attraverso l'intero universo senza trovare ostacoli o barriere,
unendo tutti i livelli dell'essere in un unico e immenso sistema cosmologico.
Che questi fiumi non fossero «fiumi» in senso ordinario, sembra piuttosto
evidente: ci stiamo piuttosto muovendo, come hanno mostrato Giorgio De
Santillana ed Hertha Von Dechend, in un ordine di idee che trascende quello
puramente geografico: per localizzare tali fiumi dobbiamo sollevarci a una sfera
cosmica, forse astronomica, sicuramente metafisica. (De
Santillana ~ Von Dechend 1969)
A un'attenta lettura, i poemi eddici rivelano molti indizi sull'effettiva
natura di questi fiumi, o per lo meno di alcuni di essi. Ad esempio, in una
strofa dal Fáfnismál, si parla di quando,
nel giorno di ragnarǫk,
Surtr e i figli di
Múspell tenteranno di dare
l'assalto ad
Ásgarðr. Sotto il peso dei loro cavalli, tuttavia, il ponte arcobaleno andrà
a pezzi e i destrieri saranno costretti ad avanzare nuotando.
...Bilrǫst brotnar,
er þeir á brott fara,
ok svima í móðu marir. |
...Bilrǫst s'infrange
nel momento in cui essi partono
e nuotano i cavalli nella corrente. |
Fáfnismál [15] |
Poiché il ponte
Bifrǫst/Bilrǫst unisce la terra al cielo, ci si può
chiedere quali siano queste «correnti» che i figli di
Múspell
sono costretti a guadare in groppa ai loro cavalli.
Si direbbe che il testo stia parlando di fiumi che scorrono nell'aria. Questa
strofa del Fáfnismál va forse messa
in relazione con quel passo del
Grímnismál dove si dice che a
Þórr è precluso il transito sul ponte
Bifrǫst perché anch'egli – come i
giganti ai quali il dio del tuono assomiglia così tanto – lo manderebbe in pezzi
qualora osasse passarvi sopra col suo carro. Per tale ragione, quando gli dèi si
recano in assemblea, egli è costretto a procedere a piedi e passare a guado
alcuni fiumi: il Kǫrmt, l'Ǫrmt e i due
Kerlaugar.
Kǫrmt ok Ǫrmt
ok Kerlaugar tvær,
þær skal Þórr vaða
hverjan dag
er hann dæma ferr
at aski Yggdrasils,
þvíat Ásbrú
brenn ǫll loga,
heilǫg vǫtn hlóa. |
Kǫrmt e
Ǫrmt
e i due Kerlaugar,
questi deve Þórr guadare
ogni giorno
quando si reca al consiglio
presso il frassino Yggdrasill,
altrimenti l'ásbrú
brucerebbe tutto in fiamme,
le acque sacre ribollirebbero. |
Grímnismál [29] |
Queste note indicano, se mai ce ne fosse bisogno, che i
«fiumi» della cosmologia norrena appartengono a un
ordine di idee che abbraccia l'intera impalcatura dell'universo. Lo stesso
Bifrǫst non è una semplice «strada»
sospesa nell'aria, ma un vero e proprio ponte che scavalca fiumi celesti e
correnti cosmiche, altrimenti ardui da attraversare. Ma dobbiamo ancora parlare
del fiume Þund...
|
IV - L'ENIGMA DEL ÞUND: PUÒ UN PESCE ESSERE UN PONTE?
Del fiume Þund tratta
una delle più enigmatiche strofe del
Grímnismál:
Þýtr þund,
unir þjóðvitnis
fiskr flóði í;
árstraumr
þikkir ofmikill
valglaui at vaða. |
Il
Þund rumoreggia,
nuota di «Þjóðvitnir
il pesce» nell'onda.
Il vortice
si mostra periglioso
al guado della Valhǫll. |
Ljóða Edda >
Grímnismál [21] |
Che il Þund sia un fiume
sembra evidente dal contesto della strofa, e tale interpretazione è accettata
dalla maggior parte degli studiosi. È infatti scritto che sia pericoloso
guadarne i flutti per raggiungere la Valhǫll.
Si tratta probabilmente delle medesime correnti che i figli di
Múspell sono costretti ad
attraversare a nuoto se vogliono arrivare ad
Ásgarðr, una volta infranto il ponte
Bifrǫst.
Questo fiume
Þund
è citato soltanto in un'altra fonte, il poco noto Bergbúaþáttr, un poema scaldico del
xiii secolo, dove leggiamo:
Þytr var of Þundar Glitni. |
C'è del fragore nel Glitnir del
Þund. |
Bergbúaþáttr [4] |
Questa strofa, ricorda Eysteinn Björnsson, viene convenzionalmente intesa
come «c'è del fragore sulle montagne». Glitnir è la
dimora dove il dio Forseti promana i
suoi giudizi, e il «Glitnir del
Þund»
[Þundar Glitni] viene interpretato
come «la dimora del fiume», una kenning per indicare le «montagne», anche
se esistono altre interpretazioni. La caratteristica principale del
Þund sembra essere il fragore.
Sia il
Grímnismál che il Bergbúaþáttr associano al fiume la medesima
forma verbale þýtr/þytr, presente indicativo del verbo þjóta
«rumoreggiare». In norreno questo verbo
indicava indifferentemente l'ululato dei lupi, il sibilo del vento o lo scroscio
delle onde, coprendo l'intero spettro uditivo. Il nome stesso del fiume,
Þund, è legato alla radice
germanica per «tuono» (cfr. inglese thunder).
Di conseguenza, Eysteinn ritiene che il
Þund non sia un vero e proprio
fiume, bensì – nella metafora cosmologica del poema
– l'atmosfera stessa, percorsa dal turbine del vento e rimbombante del
fragore dei tuoni. (Eysteinn Björnsson 2000)
Il problema, a questo punto, sia cercare di comprendere che cosa sia il
«pesce di
Þjóðvitnir»
[þjóðvitnis fiskr] che nuota nelle
onde vorticose del Þund. Non è facile interpretare questa kenning, tra le
più astruse della letteratura norrena. Il nome
Þjóðvitnir è infatti un hápax
legómenon, e non compare in nessun altro testo. In sé significa
«lupo del popolo», e quando si parla di un lupo, il
pensiero degli studiosi corre subito a
Fenrir, e questa è l'interpretazione
generalmente accettata. Disgraziatamente, però,
nient'altro ci permette di ricondurre
Þjóðvitnir a
Fenrir. Il
solo accenno al lupo non basta, anche considerando quanti personaggi mitologici
portano nomi teriofori pur non essendo delle belve (ad esempio
Mjǫðvitnir «lupo
dell'idromele» è un nano). In conclusione, nonostante le molte ipotesi, il
problema sollevato da questa strofa non è mai stato spiegato efficacemente.
Un'elegante soluzione riguardo a questa strofa è
stata presentata ultimamente da Eysteinn Björnsson, il quale ritiene che il «pesce di
Þjóðvitnir»
sia il ponte Bifrǫst, che arriva in
cielo scavalcando le difficili e turbinose correnti del fiume
Þund;
e che Þjóðvitnir sia un epiteto di
Heimdallr,
il guardiano del ponte arcobaleno. Infatti, il termine vitnir, prima di
specializzarsi nel senso di «lupo», significava letteralmente «[colui che ha] i
sensi aguzzi» (da vit «sensi»), mentre il
prefisso þjóð-, nei nomi maschili, può fungere da accrescitivo. Così interpretato, l'epiteto
Þjóðvitnir
si adatterebbe perfettamente a Heimdallr,
il quale era in grado di scorgere qualsiasi cosa fino a cento leghe di distanza,
e di percepire il rumore dell'erba che cresceva sulla terra o quello della lana
sul dorso delle pecore. Accettata l'equazione
Þjóðvitnir =
Heimdallr, tuttavia, rimane il
problema di come giustificare l'interpretazione della kenning sul «pesce
di Þjóðvitnir» e spiegare come un pesce possa essere in realtà un
ponte. Lo stesso Eysteinn ammette che questo punto del ragionamento è un po' più
fragiòe, ma ricorda come in norreno (e in islandese moderno) la coda del pesce e
la testa del ponte siano indicate con la medesima parola, sporðr (cfr. brúar sporði
«l'estremità del ponte», in
Sigrdrífumál [16]).
Dunque, la strofa di
Grímnismál [21],
descriverebbe il difficile transito verso la
Valhǫll. Il passaggio è sbarrato dal
Þund, il fragoroso fiume che
scorre tra la terra e il cielo, forse un'ipostasi dell'atmosfera stessa,
percorsa dal vento e rimbombante per i tuoni. Le sue correnti sono difficili e
vorticose; guadarle è pericoloso. Per passare oltre il
Þund e giungere alla
Valhǫll è necessario percorrere il ponte
Bifrǫst (il
«pesce di Þjóðvitnir») fino alla rocca del cielo,
Himinbjǫrg, laddove sta di
guardia Heimdallr (cioè
Þjóðvitnir).
Non è un caso che le strofe successive del poema seguitino a tracciare il
cammino verso la Valhǫll. Alla strofa [22] siamo infatti ai cancelli di Valgrind, e alla
[24] eccoci nel grande salone.
(Eysteinn Björnsson 2000)
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V - FIUMI COME CONFINI E BARRIERE
Secondo la Isnardi, i fiumi cosmici hanno la funzione di separare i mondi per
impedire che l'ordine cosmico sia minacciato e che le potenze del male invadono
il mondo degli uomini e quello degli dèi (Isnardi 1991).
Ciò in realtà non sembra potersi dire per la maggior parte dei fiumi cosmici, i
quali si limitano a scorrere attraverso l'intero universo, né tantomeno per i
fiumi infernali, destinati a essere guadati dalle anime dei morti quando
addirittura non vi siano ponti che permettano di scavalcarli.
L'unica fiume presentato come barriera o confine tra i mondi è
Ífing, del quale è detto:
Ífing heitir á,
er deilir með jǫtna sonom
grund ok með goðom;
opin renna
hón skal um aldrdaga,
verðrat íss á á. |
Ífing si
chiama il fiume
che divide tra i figli dei giganti
la terra e tra gli dèi.
Libero scorrerà
fino alla fine dei tempi:
non gelerà mai quel fiume. |
Ljóða Edda
> Vafþrúðnismál [16] |
Tale fiume ha evidentemente la funzione di confine, elemento di separatore
tra il mondo degli dèi e quello dei giganti. Il fatto che non possa mai gelare
avvalora l'assimilazione do Ífing
al mare, anzi, all'oceano esterno [úthaf] che in alcune fonti pare faccia
appunto da confine tra il Miðgarðr e
il mondo dei giganti (Útgarðr o
Jǫtunheimr). Ci si può chiedere se il
mito scandinavo considerasse l'oceano esterno come parte delle acque sgorgate da
Hvergelmir. Questo avrebbe un suo
senso in relazione al mito greco, dove in Ōkeanós si fondevano le nozioni di
sorgente primordiale delle acque e di oceano che circonda il mondo.
L'unica indicazione in tal senso, ci arriva dall'Hymiskviða,
nel quale si narra di come Þórr arrivasse
«a oriente degli Élivágar», dove
si trovava la casa del gigante Hymir, e lì
giunto, salpasse in barca sull'úthaf, l'oceano esterno, nel tentativo di pescare il
serpente Jǫrmungandr.
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BIBLIOGRAFIA
- ALBERTI 2004. Avestā, a cura di
Arnaldo Alberti. Utet,
Torino 2004.
- BRANSTON 1991. Brian Branston, Gods of the North.
Thames & Hudson, London 1955. → Brian Branston, Gli dèi del nord.
Mondadori, Milano 1991.
- BRANSTON 1978. Brian Branston, Gods & Heroes from Viking Mythology.
Eurobook, London 1978. → Brian Branston, Dèi e eroi della mitologia
vichinga. Mondadori, Milano 1981.
- CLEASBY ~ VIGFÚSSON 1874. Richard Cleasby, Guðbrandur Vigfússon, An
Icelandic-English Dictionary. Oxford, 1874.
- DE SANTILLANA ~ VON DECHEND 1969. Giorgio De Santillana, Hertha von Dechend, Hamlet's Mill. Gambit, Boston 1969. →
Giorgio De Santillana, Hertha von Dechend, Il mulino di Amleto. Adelphi, Milano 1983
[1990].
- DE VRIES 1957. Jan De Vries, Altgermanische Religionsgeschichte.
De Gruyter, Berlin 1957.
- EYSTEINN 2000. Eysteinn Björnsson, When is a fish a bridge?
In: Jörmungrund. Reykjavík 2000.
- ISNARDI 1975. Snorri Sturluson, Edda di Snorri,
a cura di Gianna Chiesa Isnardi. Rusconi, Milano 1975. Tea 2003.
- ISNARDI 1977. Leggende e miti
vichinghi, a cura di Gianna Chiesa Isnardi. Rusconi, Milano 1977.
- ISNARDI 1991. Gianna Chiesa Isnardi, I miti nordici.
Longanesi, Milano 1991.
- POLIA 1983. Mario Polia, Völuspá. I detti di colei che vede.
Il Cerchio, Rimini 1983.
- SCARDIGLI ~ MELI 1982.
Il canzoniere eddico, a cura di Piergiuseppe Scardigli e di
Marcello Meli. Garzanti, Milano 1982.
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BIBLIOGRAFIA ► |
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