LETTERATURA
► Þjazi e la sua stirpe Della stirpe del gigante
Þjazi, tratta innanzitutto Snorri nello
Skáldskaparmál,
dove fornisce un racconto poco noto ma piuttosto interessante. «Davvero grande mi pare
fosse
Þjazi», commenta qui
Ægir, «ma a quale stirpe apparteneva?». E
Bragi così risponde:
Ǫlvaldi hét faðir hans [...]. Hann var mjǫk gullauðigr, en er hann dó ok synir hans skyldu skipta
arfi, þá hǫfðu þeir mæling at gullinu er þeir skiptu at hverr skyldi taka
munnfylli sína ok allir jafnmargar. Einn þeira var Þjazi, annarr Iði, þriði
Gangr. En þat hǫfum vér orðtak nú með oss at kalla gullit munntal þessa jǫtna,
en vér felum í rúnum eða í skáldskap svá at vér kǫllum þat mál eða orðtak, tal
þessa jǫtna. |
Ǫlvaldi si chiamava suo padre [...]. Egli possedeva molto oro.
Quando dunque morì e i suoi figli dovevano spartirsi l'eredità, per stabilire la
misura di oro da dividersi decisero che ciascuno ne avrebbe preso a turno una
boccata e tutti in egual misura. Il primo fra loro fu Þjazi,
il secondo Iði e il terzo Gangr. Difatti adesso noi quale metafora per indicare
l'oro diciamo «conto a bocca» di questi giganti, mentre nel formulare le rune e
nell'arte poetica lo chiamiamo «discorso», «parola» o «conto» di questi
giganti. |
Snorri Sturluson:
Prose Edda >
Skáldskaparmál
[4] |
Þjazi e i suoi fratelli sono inoltre citati nelle þulur, tra i
«nomi dei giganti»
[jǫtna heiti].
Ek mun jǫtna
inna heiti:
Ymir Gangr ok Mímir
Iði ok Þjazi
Hrungnir Hrímnir
Hrauðnir Grímnir
Hveðrungr Hafli
Hripstoðr Gymir. |
Io dei giganti
reciterò i nomi:
Ymir, Gangr e
Mímir
Iði e Þjazi,
Hrungnir, Hrímnir,
Hrauðnir, Grímnir,
Hveðrungr, Hafli,
Hripstoðr, Gymir. |
Þulur > Jǫtna heiti [I: 1] |
Fenja e Menja,
nel
Gróttasongr, citano nostalgicamente Þjazi e i suoi
fratelli:
Harðr var
Hrungnir
ok hans
faðir,
þó var Þjazi
þeim ǫflgari,
Iði ok Ǫrnir,
okkrir
niðjar,
brœðr
bergrisa:
þeim erum
bornar. |
Possente era Hrungnir
ed anche suo
padre,
però Þjazi era
di loro maggiore,
Iði ed
Ǫrnir
ci furon parenti,
giganti fratelli:
da lor noi nascemmo. |
Ljóða Edda
>
Gróttasongr [9] |
Più precisamente, ritroviamo qui il solo Iði. Manca
Gangr ma, al suo posto, vi è un certo
Ǫrnir.
Quest'ultimo è forse un epiteto di Gangr? Il nome è
formato su ǫrn «aquila»,
e quindi potrebbe trattarsi in realtà dello stesso Þjazi
che, come vedremo, usava trasformarsi in aquila.
Ma a ben guardare, il testo afferma che Iði ed
Ǫrnir fossero «fratelli dei giganti delle montagne»
[brǿðr
bergrisa] e non necessariamente fratelli tra loro.
D'altra parte, un Ǫrnir è citato nelle þulur
(Jǫtna
heiti [I: 4]), separatamente
dai tre figli di Ǫlvaldi, rendendo problematica la
sua identificazione con l'uno o con l'altro dei tre. Riguardo ad altre parentele
di Þjazi,
è
Þjóðólfr ór Hvíni a fornirle nel poema Hautlǫng,
«lungo come un autunno», dove il nostro gigante viene a più riprese
definito con kenningar come «padre di Mǫrn» [faðir
Marnar] [6 | 12] e «figlio dell'amante di
Greip» [sonr biðils Greipar]
[13]. Veniamo così a conoscenza dell'esistenza di una figlia del
gigante, Mǫrn, e del nome di un'amante di suo padre
Ǫlvaldi,
Greip (probabilmente da identificare con la figlia del
gigante Geirrøðr), forse madre di Þjazi. Ma Þjazi è
soprattutto il padre di Skaði, e
Þjóðólfr ór Hvíni lo chiama infatti «tutore della dea degli sci» [fóstri
ǫndurgoðs] (Hautlǫng [7]), e Bragi Boddason «padre della dísa degli sci» [ǫndurdísar
fǫður] (Ragnarsdrápa [22]).
Specifica Snorri, parlando di
Njǫrðr:
...Á þá konu er Skaði
heitir, dóttir Þjaza jǫtuns. |
...Ha in moglie la donna
chiamata Skaði, figlia del gigante Þjazi. |
Snorri Sturluson:
Prose Edda >
Gylfaginning
[23] |
► Il rapimento di Iðunn
Il principale mito riguardante Þjazi, quello del rapimento di
Iðunn, è narrato da Snorri nel secondo e terzo
capitolo dello
Skáldskaparmál,
e da
Þjóðólfr ór Hvíni nella prima parte dell'Hautlǫng (poema a sua volta conservato da Snorri). Il racconto di Snorri è più circostanziato e, senza di esso,
difficilmente avremmo compreso i dettagli del poema di
Þjóðólfr. Ma allo stesso tempo, come vedremo,
Þjóðólfr chiarisce alcuni punti poco chiari del racconto di Snorri.
Nella versione di Snorri,
Óðinn,
Loki ed Hǿnir
uccidono un bue e lo mettono a cuocere in un seyðir, ma la carne
non cuoce mai. Una strana aquila,
appollaiata su una vicina quercia, afferma che permetterà al cibo di
cuocere solo se le daranno una porzione del bue. I tre æsir accettano, ma
l'aquila afferra entrambe le cosce e tutt'e due le spalle del bue e vola via.
Loki colpisce l'aquila con un lungo randello, ma rimane attaccato ad essa e
viene trascinato in cielo.
Ǫrninn flýgr hátt svá at fœtr taka
niðr grjótit ok urðir ok viðu, en hendr hans hyggr hann at slitna munu ór ǫxlum.
Hann kallar ok biðr allþarfliga ǫrninn friðar, en hann segir at Loki skal aldri
lauss verða nema hann veiti honum svardaga at koma Iðunni út of Ásgarð með epli
sín, en Loki vill þat. |
L'aquila volò così in alto che i piedi di
Loki prendevano contro a rocce, sassi e
alberi, mentre le sue braccia gli pareva che si dovessero staccare dal tronco.
Egli gridava e supplicava ripetutamente l'aquila di lasciarlo, ma ella disse che
mai avrebbe lasciato andare Loki, se prima
egli non le avesse giurato di portare
Iðunn fuori da
Ásgarðr insieme alle
sue mele; Loki acconsentì. |
Snorri Sturluson:
Prose Edda >
Skáldskaparmál
[2] |
La pretesa dell'aquila viene immediatamente accettata da
Loki, il quale, una volta giunto in
Ásgarðr, attira
Iðunn
fuori dalle mura della fortezza. A questo
punto, l'aquila la rapisce. Ed è qui che, per la prima volta, Snorri
chiama il rapace per nome: è infatti il gigante Þjazi, magicamente
travestito.
Loki Iðunni út um Ásgarð í skóg nǫkkvorn [...]. Þá kemr þar Þjazi jǫtunn í arnarham
ok tekr Iðunni ok flýgr braut með ok í Þrymheim til bús síns. |
Loki attirò
Iðunn fuori da
Ásgarðr presso una
certa foresta [...]. Giunse allora il gigante Þjazi in
forma d'aquila, prese
Iðunn e volò rapido nella sua
casa a Þrymheimr.
|
Snorri Sturluson:
Prose Edda >
Skáldskaparmál
[3] |
L'improvvisa sparizione di
Iðunn da Ásgarðr provoca un rapido invecchiamento degli dèi,
privati delle sue mele. Gli
Æsir si riuniscono in
assemblea e s'interrogano sulla sorte della dea.
Loki confessa la sua responsabilità e gli dèi lo
minacciano di morte, costringendolo a recuperare «la ragazza meravigliosa che alimenta la gioia negli
dèi». In veste di falco, Loki vaga per
Jǫtunheimr, finché arriva alla dimora di Þjazi.
Quel giorno, racconta Snorri, il gigante era fuori in mare, e
Iðunn era da sola in Þrymheimr.
Loki la trasforma in una noce, la afferra
tra gli artigli e vola via.
En er Þjazi kom heim
ok saknar Iðunnar, tekr hann arnarharminn ok flýgr eftir Loka, ok dró arnsúg í
flugnum. En er æsirnir sá, er valrinn flaug með hnotina ok hvar ǫrninn flaug, þá
gengu þeir út undir Ásgarð ok báru þannig byrðar af lokarspánum. Ok þá er
valrinn flaug inn of borgina, lét hann fallast niðr við borgarvegginn. Þá slógu
æsirnir eldi í lokarspánuna, en ǫrninn mátti eigi stǫðva sik, er hann missti
valsins. Laust þá eldinum í fiðri arnarins, ok tók þá af fluginn. |
Quando Þjazi giunse a casa e non
trovò
Iðunn, si mise il suo
travestimento da aquila e inseguì Loki,
muovendo l'aria come fanno le aquile in volo. Quando gli
Æsir videro che il
falco volava con la noce e anche quale aquila fosse in volo, allora uscirono
sotto
Ásgarðr e
accumularono trucioli di legno. Quando il falco giunse alla fortezza, si lasciò
cadere fra le mura. Gli
Æsir appiccarono allora fuoco ai
trucioli, mentre l'aquila non poté frenare il suo volo quando perse di vista il
falco. Le sue piume presero fuoco e dunque il suo volo terminò. |
Snorri Sturluson:
Prose Edda >
Skáldskaparmál
[3] |
Nello scrivere questo racconto, Snorri
aveva senz'altro sotto gli occhi l'Hustlǫng.
La versione di Þjóðólfr ór Hvíni risale a tre secoli prima di Snorri. È piuttosto involuta e, in alcuni tratti, enigmatica, come quasi tutta la poesia scaldica, e procede per complesse kenningar, alcune delle quali ci
trasmettono – come abbiamo visto – alcuni nomi di parenti inediti di Þjazi,
come Mǫrn
e Greip.
A differenza di Snorri, che registra le sue leggende come materiale per apprendisti scaldi, Þjóðólfr,
che era un eccellente scaldo, si
rivolge a un uditorio che conosce la vicenda e dà per
scontato che l'aquila sia Þjazi
travestito. La sua versione aggiunge alcuni piccoli dettagli nella vicenda del bue che
non cuoce, pur senza varianti. Interessante la scena del rapimento di Iðunn,
dove Loki
sembra portargli la dea direttamente alla fortezza:
Brunnakrs of kom bekkjar
Brísings goða dísi
girðiþjófr í garða
grjót-Níðaðar síðan. |
Guidò allora la dísa degli dèi
oltre i ruscelli di Brunnakr, il ladro
del collare di Brísingr, al podere
del Níðaðr delle rocce. |
Þjóðólfr ór Hvíni:
Hautlǫng [9] |
Il «Níðaðr
delle rocce» è appunto Þjazi (Níðaðr
è il nome del re che imprigionò Vǫlunðr: il nome è
qui utilizzato con il senso generico di «sovrano»).
Þjóðólfr non descrive l'atto del rapimento ma, subito dopo, aggiunge la
splendida scena dei giganti, improvvisamente gioiosi, quando vedono arrivare la preziosa
Iðunn nel loro gelido mondo:
Urðut brattra barða
byggvendr at þat hryggvir;
þá vas Ið með jǫtnum
unnr nýkomin sunnan... |
Non fu certo un momento di tristezza
per gli abitanti delle rupi ripide
l'arrivo, dalle vie del mezzogiorno,
di
Iðunn nel paese dei giganti... |
Þjóðólfr ór Hvíni:
Hautlǫng [10] |
Quando Loki porta via
Iðunn da
Þrymheimr, Þjazi, «menteastuta» [lómhugaðr],
lo insegue.
Ok lómhugaðr lagði
leikblaðs reginn fjaðrar
ern at ǫglis barni
arnsúg faðir Marnar. |
Ma, menteastuta, sovrano nel gioco
delle piume, scatenò un violento
vento d'aquila, il padre di Mǫrn,
contro il figlio del falco. |
Þjóðólfr ór Hvíni:
Hautlǫng [12] |
Nello
Skáldskaparmál,
Þjazi insegue Loki «muovendo
l'aria come fanno le aquile in volo» [dró arnsúg í
flugnum]. La parola arnsúg, «frastuono d'aquila», sembra indicare i fragorosi turbini di vento
causati dal battito di un paio di enormi ali. Questo dettaglio, all'apparenza
inutile, acquista però un senso in
Þjóðólfr. Þjazi, assai più esperto di
Loki nell'arte del
volo («sovrano nel gioco delle piume»), suscita intenzionalmente turbini e
frastuono con il battito delle sue ali, allo scopo di mettere
Loki in difficoltà.
A questo punto, però, il falco è ormai
quasi arrivato alle mura di
Ásgarðr...
Hófu skjótt, en skófu,
skǫpt, ginnregin, brinna,
en sonr biðils sviðnar
(sveipr varð í fǫr) Greipar. |
Allora, divamparono le frecce
con la magia intagliate dagli dèi,
e si ustiona il figlio dell'amante
di Greipr; stroncato il suo slancio. |
Þjóðólfr ór Hvíni:
Hautlǫng [13] |
Mentre in Snorri, le piume dell'aquila erano state incendiate da una vampata del
fuoco che gli dèi hanno appiccato a un mucchio di trucioli, in
Þjóðólfr gli
Æsir scoccano contro il gigante delle frecce
infuocate, fabbricate con appositi incantesimi. Il racconto di Þjóðólfr si
chiude qui, senza entrare in ulteriori dettagli. I suoi ascoltatori sapevano
evidentemente che, a questo punto della storia, Þjazi
viene ucciso.
► La morte di Þjazi Una volta precipitato, con le
ali in fiamme, all'interno delle mura dell'Ásgarðr,
Þjazi viene ucciso.
Snorri ne attribuisce la morte, in maniera piuttosto generica, agli
Æsir.
Þá váru
æsirnir nær ok drápu Þjaza jǫtun fyrir innan ásgrindr, ok er þat víg allfrægt.
|
Gli
Æsir erano vicini e
uccisero il gigante Þjazi dentro ai
cancelli di
Ásgarðr e quest'impresa è risaputa |
Snorri Sturluson:
Prose Edda >
Skáldskaparmál
[3] |
Nella versione di Snorri, la figlia del gigante, Skaði,
si presenta subito dopo in
Ásgarðr, decisa a vendicare il padre.
Gli
Æsir preferiscono riconciliarsi con
lei e le offrono un marito. Per ricompensarla della perdita,
Óðinn getta nel cielo gli occhi di Þjazi,
ricavandone due stelle:
Svá er sagt at Óðinn gerði þat til yfirbóta við hana at hann tók augu Þjaza ok
kastaði upp á himin ok gerði af stjǫrnur tvær. |
Così è detto, che
Óðinn per risarcire Skaði
prese gli occhi di Þjazi, li lanciò nel
cielo e li trasformò in due stelle. |
Snorri Sturluson:
Prose Edda >
Skáldskaparmál
[3] |
Tuttavia, la
Ljóða Edda
offre una versione appena differente di questo mito. È
Þórr stesso, nell'Hárbarðsljóð, ad assumersi la responsabilità della morte
del gigante e a creare le due stelle:
Ek drap Þjaza,
inn þrúðmóðga jǫtun,
upp ek varp augum
Allvalda sonar
á þann inn heiða himin;
þau eru merki mest
minna verka,
þau er allir menn síðan of sé. |
Io uccisi Þjazi,
quell'impavido gigante,
scagliai in alto gli occhi
del figlio di Allvaldi
lassù nel cielo sereno;
son essi somma prova
delle imprese mie,
che gli uomini tutti da allor vedono.
|
Ljóða Edda
> Hárbarðsljóð [19] |
Anche Bragi Boddason, nella Ragnarsdrápa,
«eulogia per Ragnarr», riferisce che fu
Þórr a gettare in cielo gli occhi di Þjazi
(qui chiamato «padre della dísa degli sci», cioè di Skaði),
anche se nulla dice se fu lui a ucciderlo:
Hinn es varp á víða
vinda ǫndurdísar
of manna sjǫt margra
mundlaug fǫdur augum. |
Þórr, che aveva scagliato nell'immenso
bacile dei venti, alti sopra le case
di genti innumerevoli, gli occhi
del padre della dísa degli sci.
|
Bragi Boddason:
Ragnarsdrápa |
«Occhi di Þjazi» [auga Þjazi] è, in definitiva, una delle poche
costellazioni vichinghe il cui nome sia giunto fino a noi. Difficile capire a
quali stelle corrispondano. Secondo Cleasby e Vigfússon si tratta delle due maggiori stelle
dell'attuale costellazione dei Gemelli: Castore e Polluce (α
e β Geminorum)
(Cleasby & Vigfússon 1874), ma non esistono
prove convincenti di questa indicazione.
La cosa curiosa è che, nel Lokasenna,
è Loki stesso a vantarsi con Skaði
di aver ucciso Þjazi. Si tratta di una vanteria a vuoto o di un
particolare del mito originale? Non lo possiamo sapere. L'unica cosa certa è che l'orgogliosa uscita procurerà
a Loki l'eterno odio della dea.
Loki kvad: |
Disse Loki: |
Hfyrstr ok efstr
var ek at fjǫrlagi,
þars vér á Þjaza þrifum». |
«Primo ed ultimo
fui io a dar morte
quando mettemmo le mani su Þjazi».
|
Skaði kvad: |
Disse Skaði: |
Veiztu, ef fyrstr ok efstr
vartu at fjǫrlagi,
þá er ér á Þjaza þrifuð,
frá mínum véum
ok vǫngum skulu
þér æ kǫld ráð koma. |
«Se primo ed ultimo
tu fosti a dar morte
quando metteste le mani su Þjazi,
sappi che dalle mie sacre dimore
e dal mio sacro suolo
sempre verranno a te freddi pensieri». |
Ljóða Edda
> Lokasenna [50-51] |
Dopo la morte di Þjazi, Skaði
ne ereditò la splendida fortezza montana, come ricorda un altro passo della
Ljóða Edda:
Þrymheimr heitir enn
sétti,
er Þjazi bjó,
sá inn ámátki jǫtunn;
en nú Skaði byggvir,
skír brúðr goða,
fornar tóptir fǫður. |
Þrymheimr
si chiama la sesta [casa]
dove Þjazi viveva,
quel detestabile gigante.
Ora Skaði
risiede,
pura sposa degli dèi,
nell'antica dimora del padre. |
Ljóða Edda
>
Grímnismál [11] |
|