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MITI GERMANICI
LJÓÐA EDDA

VǪLUS

LA PROFEZIA DELLA VEGGENTE
LJÓĐA EDDA
Ljóða Edda. Edda poetica o antica
Vǫluspá. La profezia della Veggente
Hávamál. Il discorso di Hár
Vafþrúðnismál. Il discorso di Vafþrúðnir
Grímnismál. Il discorso di Grímnir
Skírnismál. Il discorso di Skírnir

Hymiskviða. Il carme di Hymir
Baldrs draumar. I sogni di Baldr
Grottasǫngr. La canzone del Grotti
Svipdagsmál. Il discorso di Svipdagr
Schema
VǪLUSPÁ - Saggio
VǪLUSPÁ - Testo
Note
Bibliografia
 
Titolo Vǫluspá, «Profezia della Veggente »
Genere Poema gnomico-sapienziale
Voci Monologo
Lingua Norreno
Epoca
Composizione:
Redazione:
  Inizio X secolo
XIII-XIV secolo

Manoscritti

[R] Reykjavík, Stofnun Árna Magnússonar. Codex Regius, ms. GKS 2365 4to
[H] Copenhagen, Det Arnamagnæanske Institut. Hauksbók, ms. AM 544 4to

LJÓÐA EDDA
VǪLUS
LA PROFEZIA DELLA VEGGENTE
La vǫlva ( 1893)
Carl Larsson (1853-1919)
 Illustrazione (Sanders 1893)

Il poema

La Vǫluspá è il gioiello della Ljóða Edda, il primo dei due monologhi che aprono il grande canzoniere. Opera di un poeta islandese di vigoroso talento, ancorché pagano, vissuto probabilmente intorno alla prima metà del X secolo, la Vǫluspá si configura come la visione di una sinistra profetessa [vǫlva] che Óðinn ha evocato affinché riveli per intero la sapienza nordica, i segreti delle cose primordiali e i destini del mondo. E così, in una sessantina di strofe, la Veggente disegna la creazione dell'universo, racconta dell'età dell'oro e della guerra che oppose gli Æsir ai Vanir, narra della morte di Baldr, vola dalle fonti del destino ai dirupi infernali, dalle radici del frassino Yggdrasill ai confini del mondo, per concludersi col terrificante racconto della distruzione, e quindi della rinascita, dell'universo. La Vǫluspá si configura insomma come una vera e propria summa mythologiæ scandinava. Tra balenii epocali e schegge d'apocalisse, è senza alcun dubbio uno più bei poemi mitologici di ogni tempo e di ogni paese.

Le redazioni

La Vǫluspá è giunta a noi conservata in due manoscritti: il Codex Regius [R] (XIII sec.), che è il manoscritto più importante della Ljóða Edda, e l'Hauksbók [H] di Hauk Erlendsson (prima metà del XIV secolo). Le due versioni divergono in alcuni dettagli e nell'organizzazione delle strofe (62 contro 59). Terza importante fonte della Vǫluspá è la Prose Edda, che Snorri scrisse ispirandosi in buona parte al poema, riportando integralmente 30 strofe e citandone indirettamente altre 16; anche qui vi sono delle interessantissime varianti. Sembra che Snorri avesse sottomano una versione della Vǫluspá più precisa di quelle a nostra disposizione, ragion per cui le varianti del testo che egli fornisce sono preziosissime.

L'esegesi

Detto questo, bisogna doverosamente aggiungere che la Vǫluspá non è un testo di semplice approccio. La comprensione è resa ardua dal fatto che le varie scene non vengono narrate, ma piuttosto evocate, e sempre con accenni rapidi ed ermetici. Se la Vǫluspá non ci è completamente oscura è soltanto grazie alla Prose Edda di Snorri Sturluson, che col suo racconto preciso e dettagliato ci rende chiari molti passaggi che altrimenti sarebbero stati incomprensibili. Infatti, quelle strofe della Vǫluspá per cui non abbiamo riferimenti rimangono in buona parte enigmatiche.

La Vǫluspá presenta una lunga serie di passi problematici, su cui sono state proposte infinite congetture e interpretazioni. Si ha l'impressione, probabilmente esatta, che la Vǫluspá sia in molti passi «corrotta» (per usare un aggettivo caro ai filologi dell'Ottocento). Tali corruttele sono però più facili da individuare che da emendare, ragione per cui molte delle «letture» che si sono succedute in oltre un secolo di critica filologica sono il risultato delle interpretazioni personali dei vari autori e non sono necessariamente aderenti alle effettive intenzioni del testo. La critica moderna è molto più cauta nell'emendare, integrare, spostare i passi più problematici. Nella sezione antologica, abbiamo segnato, nelle note al testo, soltanto alcuni dei punti più delicati del lavoro filologico. D'altra parte, dar conto puntualmente di ogni difficoltà di lettura avrebbe richiesto un apparato critico molto più ingombrante e complicato, ben al di là delle nostre possibilità e capacità.

Genere e metrica

La Vǫluspá è essenzialmente un poema gnomico o sapienziale, in quanto diretto all'esposizione delle cose profonde, alla conoscenza degli eventi primordiali e del destino finale del mondo. È un genere comune a diversi altri testi eddici, tra cui la Vafþrúðnismál e il Grímnismál. Questi tre testi, presi insieme, costituiscono un'ideale enciclopedia della sapienza mitologica nordica.

Il metro della Vǫluspá è il fornyrðislag o «metro epico», il più comune della poesia nordica. Ogni strofa è composta da quattro «versi pieni», ciascuno costituito a sua volta di due semiversi. In questa pagina, per ragioni grafiche, i «versi lunghi» sono stati spezzati e i due semiversi posti su righe differenti; in altre parole, le singole strofe, originariamente formate di quattro versi, appaiono qui disposte su otto righe, ciascuna corrispondente a un semiverso. Ecco, per confronto, la versificazione rigorosa della strofa [1]:

Hljóðs biðk allar          helgar kindir,
meiri ok minni          mǫgu Heimdallar;
vildu at, Valfǫðr,          vel fyr teljak
forn spjǫll fira,          þaus fremst of man.

Edizioni italiane

Diverse sono state le traduzioni italiane della Vǫluspá che si sono succedute nel corso degli anni. Escludendo le strofe scorporate presenti nelle antologie, o quelle citate da Snorri e presenti nelle traduzioni della Prose Edda, la prima traduzione integrale – a nostra conoscenza – è quella presente nel libro I canti dell'Edda, a cura di Olga Gogala di Leesthal, pubblicato nella collana «I grandi scrittori stranieri» dalla UTET (Torino 1939). Intitolata Voluspa, è una traduzione metrica in quartine (o sestine) di endecasillabi, dal tono quasi classicheggiante, ma suggestivo; sebbene non possa essere considerata una traduzione letterale, è sorretta da un buon corredo di note.

Datemi ascolto, voi sacre stirpi,
potenti ed umili figli di Heimdall!
Di Odino debbo l'opre narrare,
di antiche storie che mi sovvengono.

Segue la traduzione di Alberto Mastrelli, nel libro L'Edda. Carmi norreni, nella collana «Classici della religione», edita da Sansoni (Firenze 1951, 1982). Intitolata Volospa. La predizione dell'indovina, è in versi liberi, con le coppie di semiversi «cucite» in versi interi, Abbastanza libera, ma rigorosa, fittamente annotata.

Vi prego di ascoltarmi voi tutte, sacre stirpi,
maggiori o minori figli di Heimdall!
tu vuoi, Valfodhr, che io racconti compiutamente
antiche storie, le più antiche che ricordi.

Un'altra traduzione, con il titolo direttamente tradotto in Profezia della Veggente, è quella fornita da Piergiuseppe Scardigli e Marcello Meli, nell'antologia Il canzoniere eddico, edito da Garzanti (Milano 1982). Di nuovo versi liberi, sebbene i semiversi siano finalmente evidenziati, presenta un corredo di note ridotto al minimo e non giustifica molte scelte, non sempre felici, nella traduzione.

Silenzio chiedo a tutte         le divine genti,
piccole e grandi,         progenie di Heimdallr!
Tu vuoi che io, o Valfodhr,         narri compiutamente
le antiche storie del mondo,         le cose che prima ricordo.

Dell'anno successivo, la traduzione fornita dall'antropologo Mario Polia, nell'edizione monografica Völuspá. I detti di colei che vede, edita dall'editrice Il Cerchio (Rimini 1983). Finalmente abbiamo il testo originale norreno a fronte della traduzione, e ogni singola strofa viene fatta seguire da un commento più o meno ampio. La versificazione è libera, e le semistrofe sono riportate in a capo come fossero strofe intere. I commenti risentono, sebbene in misura estremamente controllata, delle interpretazioni esoteriche dell'autore.

Ascolto io chiedo o tutte
sacre stirpi,
maggiori e minori
figli di Heimdallr;
tu vuoi, o Valföđr, che io
compiutamente racconti
le antiche storie dei viventi,
le prime (che) io ricordo.

L'edizione monografica definitiva viene alla luce soltanto negli ultimi anni, con il titolo Vǫluspá. Un'apocalisse norrena, tradotta da Marcello Meli per la prestigiosa «Biblioteca Medievale» della Carocci (Roma 2008). Letterale e rigorosa, ogni strofa è regolarmente suddivisa per semistrofe e accompagnata dal testo originale. Sono segnalate le varianti testuali e il commento è a dir poco imponente.

«Silenzio io chiedo         a tutti voi presenti,
maggiori e minori,         figlioli di Heimdallr!»
Valfǫðr, tu vuoi che io         come si deve racconti
l'antica storia delle creature         che io remota rammento.

Ricordiamo infine, a titolo di curiosità, la libera traduzione in senari condotta da Claudia Maschio e Dario Giansanti per il loro romanzo-saggio Viaggio irreale nella Scandinavia vichinga, recentemente edito da QuiEdit (Verona 2011), liberamente scaricabile a questo link:

LJÓÐA EDDA
VǪLUS
LA PROFEZIA DELLA VEGGENTE
    VǪLUSPÁ LA PROFEZIA
DELLA VEGGENTE
 
         
Richiesta di ascolto

1

Hljóðs biðk allar
helgar kindir,
meiri ok minni
mǫgu Heimdallar;
vildu at, Valfǫðr,
vel fyr teljak
forn spjǫll fira,
þaus fremst of man.

Ascolto io chiedo a tutte
le sacre stirpi,
maggiori e minori
figli di Heimdallr.
Tu vuoi che io, o Valfǫðr,
compiutamente narri
le antiche storie degli uomini
quelle che prima ricordo.

Nota
Ymir 2 Ek man jǫtna
ár of borna,
þás forðum mik
fædda hǫfðu;
níu mank heima,
níu íviði,
mjǫtvið mæran
fyr mold neðan.
Ricordo i giganti
nati in principio,
quelli che un tempo
mi generarono.
Nove mondi ricordo
nove sostegni
e l'albero misuratore, eccelso,
che penetra la terra.
Nota
  3 Ár vas alda,
þars Ymir byggði,
vasa sandr né sær,
né svalar unnir;
jǫrð fansk æva
né upphiminn;
gap vas ginnunga,
en gras hvergi.
Al principio era il tempo,
Ymir vi dimorava.
Non c'era sabbia né mare
né gelide onde.
Non c'era terra
né cielo in alto:
un vuoto si spalancava
e in nessun luogo erba”.
Nota
La creazione del mondo 4 Áðr Bors synir
bjǫðum of ypðu,
þeir es Miðgarð
mæran skópu;
sól skein sunnan
á salar steina;
þá vas grund gróin
grænum lauki.
Finché i figli di Borr
trassero su le terre,
loro che Miðgarðr
vasta formarono.
Splendette da sud il sole
sulle pareti di pietra;
allora si ricoprì il suolo
di germogli verdi.
Nota
  5 Sól varp sunnan,
sinni mána,
hendi enni hægri
of himinjǫður;
sól þat né vissi,
hvar hon sali átti;
stjǫrnur þat né vissu,
hvar þær staði áttu;
máni þat né vissi,
hvat hann megins átti.
Con forza da sud il sole,
compagno della luna,
stese la mano destra
verso l'orlo del cielo.
Il sole non sapeva
dov'era la sua casa;
le stelle non sapevano
di avere una dimora;
la luna non sapeva
qual era il suo potere.
Nota
  6 Þá gengu regin ǫll
á rǫkstóla,
ginnheilǫg goð,
ok gættusk of þat:
Nótt ok niðjum
nǫfn of gáfu,
morgin hétu
ok miðjan dag,
undorn ok aptan,
árum at telja.
Andarono allora tutti i potenti
ai seggi del giudizio,
gli altissimi dèi,
e tennero consiglio:
alla notte e alle fasi lunari
nome imposero;
al mattino dettero un nome
e al mezzogiorno,
al pomeriggio e alla sera
per contare gli anni.
 
L'età dell'oro 7 Hittusk æsir
á Iðavelli,
þeirs hǫrg ok hof
hátimbruðu;
afla lǫgðu,
auð smíðuðu,
tangir skópu
ok tól gerðu.
Convennero gli Æsir
in Iðavǫllr,
loro che altari e templi
alti innalzarono;
focolari accesero,
crearono ricchezze,
tenaglie fabbricarono,
ingegnarono utensili.
Nota
  8 Teflðu í túni,
teitir váru,
vas þeim véttergis
vant ór gulli,
unz þríar kómu
þursa meyjar,
ámátkar mjǫk,
ór Jǫtunheimum.
Nel cortile giocavano a scacchi;
erano ricchi:
non sentivano affatto
mancanza d'oro.
Fino a quando tre giunsero,
fanciulle di giganti
oltremisura possenti,
da Jǫtunheimr.
Nota
La creazione dei nani 9 Þá gengu regin ǫll
á rǫkstóla,
ginnheilǫg goð,
ok gættusk of þat,
hvárt skyldi dverga
dróttir skepja
ór Brimis blóði
ok ór Bláins leggjum.
Andarono allora tutti i potenti
ai seggi del giudizio,
gli altissimi dèi,
e tennero consiglio:
chi dovesse dei dvergar
le schiere foggiare
dal sangue di Brimir
e dagli ossi di Bláinn.
Nota
  10 Þar vas Móðsognir
mæztr af orðinn
dverga allra,
en Durinn annarr;
þeir manlíkun
mǫrg of gerðu
dverga í jǫrðu,
sem Durinn sagði.
Móðsognir era
il più eccellente
fra tutti i dvergar
e Durinn era secondo.
Là, d'aspetto umano,
molti furono fatti,
dvergar dalla terra;
come Durinn diceva.
 
  11 Nýi ok Níði,
Norðri, Suðri,
Austri, Vestri,
Alþjófr, Dvalinn,
Bívǫrr, Bávǫrr,
Bǫmburr, Nóri,
Ánn ok Ánarr,
Ái, Mjǫðvitnir.
Nýi e Níði,
Norðri, Suðri,
Austri, Vestri,
Alþjófr, Dvalinn,
Bívǫrr, Bávǫrr,
Bǫmburr, Nóri,
Ánn e Ánarr,
Ái, Mjǫðvitnir.
Nota
  12 Veigr ok Gandálfr,
Vindálfr, Þráinn,
Þekkr ok Þorinn,
Þrór, Vitr ok Litr,
Nár ok Nýráðr,
nú hefk dverga,
Reginn ok Ráðsviðr,
rétt um talða.
Veigr e Gandálfr,
Vindálfr, Þráinn,
Þekkr e Þorinn,
Þrór, Vitr e Litr,
Nár e Nýráðr,
ordunque i dvergar,
Reginn e Ráðsviðr,
doverosamente ho enumerato.
Nota
  13 Fili, Kili,
Fundinn, Náli,
Heptivili,
Hannarr, Svíurr,
[Nár ok Náinn
Nípingr, Dáinn,
Billingr, Brúni,
Bíldr ok Búri,]
Frár, Hornbori,
Frægr ok Lóni,
Aurvangr, Jari,
Eikinskjaldi.
Fili, Kili,
Fundinn, Náli,
Heptivili,
Hannarr, Svíurr,
[Nár e Náinn
Nípingr, Dáinn,
Billingr, Brúni,
Bíldr e Búri,]
Frár, Hornbori,
Frægr e Lóni,
Aurvangr, Jari,
Eikinskjaldi.
Nota
  14 Mál es dverga
í Dvalins liði
ljóna kindum
til Lofars telja,
þeir es sóttu
frá salarsteini
aurvanga sjǫt
til Jǫruvalla.
È tempo che i dvergar
della stirpe di Dvalinn,
ai figli degli uomini,
fino a Lofarr enumeri.
Loro che arrancarono
dal suolo roccioso,
dimora di Aurvangar,
fino a Jǫruvellir.
Nota
  15 Þar vas Draupnir
ok Dólgþrasir,
Hár, Haugspori,
Hlévangr, Glói,
[Dóri, Óri,
Dúfr, Andvari, ]
Skirvir, Virvir,
Skáfiðr, Ái,

C'era a quel tempo Draupnir
e Dólgþrasir,
Hár, Haugspori,
Hlévangr, Glói,
[Dóri, Óri,
Dúfr, Andvari,]
Skirvir, Virvir,
Skáfiðr, Ái,

Nota
  16 Álfr ok Yngvi,
Eikinskjaldi,
Fjalarr ok Frosti
Finnr ok Ginnarr;
þat mun æ uppi,
meðan ǫld lifir,
langniðja-tal
til Lofars hafat.
Álfr e Yngvi,
Eikinskjaldi,
Fjalarr e Frosti
Finnr e Ginnarr.
Sarà ricordata a lungo
finché gli uomini vivranno
questa lista degli antenati
fino a Lofarr.
Nota
La creazione degli uomini 17 Unz þrír kómu
ór því liði
ǫflgir ok ástkir
æsir at húsi,
fundu á landi
lítt megandi
Ask ok Emblu
ǫrlǫglausa.
Finalmente tre vennero
da quella stirpe,
potenti e belli,
æsir, a casa.
Trovarono in terra,
senza forze,
Askr ed Embla,
privi di destino.
Nota
  18 Ǫnd þau né áttu,
óð þau né hǫfðu,
lá né læti
né litlu góða;
ǫnd gaf Óðinn,
óð gaf Hǿnir,
lá gaf Lóðurr
ok litu góða.
Non possedevano respiro
né avevano anima,
non calore vitale, non gesti
né colorito.
Il respiro dette Óðinn,
l'anima dette Hǿnir,
il calore vitale dette Lóðurr
e il colorito.
Nota
Le Norne 19 Ask veitk standa,
heitir Yggdrasill
hár baðmr, ausinn
hvíta auri;
þaðan koma dǫggvar
þærs í dala falla;
stendr æ of grænn
Urðar brunni.
So che un frassino s'erge
chiamato Yggdrasill,
alto albero asperso
di bianca argilla.
Di là viene la rugiada
che cade nella valle,
si erge sempre verde
su Urðarbrunnr.
 
  20 Þaðan koma meyiar
margs vitandi
þríar ór þeim sæ,
es und þolli stendr;
Urð hétu eina,
aðra Verðandi,
skáru á skíði,
Skuld ena þriðju.
Þær lǫg lǫgðu,
þær líf kǫru,
alda bǫrnum,
ǫrlǫg seggja.
Da quel luogo vengono fanciulle
di molta saggezza,
tre, da quelle acque
che sotto l'albero si stendono.
Ha nome Urðr la prima,
Verðandi l'altra
(sopra una tavola incidono rune),
Skuld quella ch'è terza.
Queste decidono la legge,
queste scelgono la vita
per i viventi nati,
le sorti degli uomini.
Nota
Gullveig 21 Þat man hon folkvíg
fyrst í haimi,
es Gullveigu
geirum studdu
ok í hǫll Háars
hána brendu,
þrysvar brendu
þrysvar borna,
opt ósjaldan,
þó hon enn lifir.
Lei ricorda lo scontro
primo nel mondo,
quando Gullveig
urtarono con lance
e nelle sale di Hár
le dettero fuoco:
tre volte l'arsero,
tre volte rinacque,
e altre tre volte,
ma è ancora in vita!
Nota
  22 Heiði hétu,
hvars til húsa kom,
vǫlu velspáa,
vitti hon ganda;
seið, hvars kunni,
seið hug leikinn;
æ vas hon angan
illrar brúðar.
«Splendente» le misero nome:
dovunque venisse nelle case
indovina esperta in profezie,
dava potere alle magiche verghe;
incantò, dovunque poteva,
incantò i sensi,
sempre era la delizia
di spose malvagie.
 
La guerra degli dèi 23 Þá gengu regin ǫll
á rǫkstóla,
ginnheilǫg goð,
ok gættusk of þat,
hvárt skyldi æsir
afráð gjalda,
eða skyldi goð ǫll
gildi eiga.
Andarono allora tutti i potenti
ai seggi del giudizio,
gli altissimi dèi,
e tennero consiglio:
se avessero dovuto gli Æsir
un tributo pagare
o avessero gli dèi tutti
diritto a un compenso.
 
  24 Fleygði Óðinn
ok í folk of skaut;
þas vas enn folkvíg
fyrst í heimi;
brotinn vas borðveggr
borgar ása,
knáttu vanir vísgpá
vǫllu sporna.
Levava la lancia Óðinn
e la scagliava nella mischia:
quella fu la battaglia
prima nel mondo;
infranto il riparo di legno
della rocca degli Æsir
minacciosi poterono i Vanir
porre il piede in campo
 
  25 Þá gengu regin ǫll
á rǫkstóla,
ginnheilǫg goð,
ok gættusk of þat,
hverr hefði lopt alt
lævi blandit
eða ætt jǫtuns
Óðs mey gefna.
Andarono allora tutti i potenti
ai seggi del giudizio,
gli altissimi dèi,
e tennero consiglio:
chi avesse l'aria tutta
avvolta di sventura
e alla stirpe degli jǫtunn
dato la fanciulla di Óðr.
Nota
  26 Þórr einn þar vá
þrunginn móði,
hann sjaldan sitr,
es slíkt of fregn;
á gengusk eiðar,
orð ok særi,
mál ǫll meginlig,
es á meðal fóru.
Solo Þórr si levò
terribile nell'ira:
non pazientò un istante
quando apprese tali fatti.
Si ruppero i patti,
la parole e i voti,
tutti i giuramenti
fra loro stabiliti.
 
La fonte della sapienza 27 Veit hon Heimdallar
hljóð of folgit
und heiðvǫnum
helgum baðmi;
á sér hon ausask
aurgum forsi
af veði Valfǫðrs.
Vituð ér enn eða hvat?
Sa lei di Heimdallr
il fragore celato
sotto il sacro albero
avvezzo all'aria tersa del cielo.
Su quello ella vede riversarsi
uno scrosciare d'acque argillose
dal pegno pagato da Valfǫðr.
Volete saperne ancora?
Nota
Óðinn e la Veggente 28 Ein sat hon úti,
þás enn aldni kom
yggjungr ása
ok í augu leit.
“Hvers fregnið mik?
hví freistið mín?
Alt veitk, Óðinn,
hvar auga falt
í enum mæra
Mímis brunni”
drekkr mjǫð Mímir
morgin hverjan
af veði Valfǫðrs.
Vituð ér enn eða hvat?

Sola sedeva di fuori
quando il vecchio giunse
Yggjungr degli Æsir
e la fissò negli occhi.
“Che cosa mi chiedete?
Perché mi mettete alla prova?
Tutto so io, Óðinn,
dove un occhio celasti
là, nella famosa
Mímisbrunnr!”
Beve Mímir l'idromele
ogni mattino
sopra il pegno di Valfǫðr.
Volete saperne ancora?

Nota
  29 Valði henni Herfǫðr
hringa ok men;
fékk spjǫll spaklig
ok spáganda;
sá vítt ok of vítt
of verǫld hverja.
Per lei Herfǫðr scelse
anelli e collane,
sagge parole di ricchezza
e la verga della profezia:
vede lontano, lei, e oltre,
in ogni mondo.
Nota
Le valchirie 30 Sá hon valkyrjur
vítt of komnar,
gǫrvar at ríða
til Goðþjóðar.
Skuld helt skildi,
en Skǫgul ǫnnur,
Gunnr, Hildr, Gǫndul
ok Geirskǫgul;
nú eru talðar
nǫnnur Herjans,
gǫrvar at ríða
grund valkyrjur.
Vide, lei, le Valkyrjur
venire da lontano,
pronte a cavalcare
verso il popolo dei Goti.
Skuld teneva lo scudo,
seconda era Skǫgul,
Gunnr, Hildr, Gǫndul
e Geirskǫgul.
Ora ho elencato
le fanciulle di Herjan,
pronte a cavalcare
la terra, le Valkyrjur.
Nota
L'uccisione di Baldr 31 Ek sá Baldri,
blóðgum tívur,
Óðins barni,
ørlǫg folgin;
stóð of vaxinn
vǫllum hæri
mær ok mjǫk fagr
mistilteinn.
Io vidi per Baldr
un sacrificio di sangue;
per il figlio di Óðinn
il celato destino.
Ritto cresceva
alto sui campi
esile e molto bello
un ramoscello di vischio.
 
  32 Varð af meiði,
þeims mær sýndisk,
harmflaug hættlig,
Hǫðr nam skjóta.
Baldrs bróðir vas
of borinn snimma,
sá nam Óðins sonr
einnættr vega.
Venne su da quel ramo
che esile mi parve
un terribile dardo di dolore.
Hǫðr lo scagliò.
Era il fratello di Baldr
nato precocemente;
il figlio di Óðinn
vecchio di una notte combatté.
Nota
  33 Þó hann æva hendr
né hǫfuð kembði,
áðr á bál of bar
Baldrs andskota.
En Frigg of grét
í Fensǫlum
vá Valhallar.
Vituð ér enn eða hvat?
Non lavò mai le mani
né si pettinò il capo
finché non trascinò sul rogo
il nemico di Baldr.
Ma Frigg pianse
in Fensalir
il dolore di Valhǫll.
Volete saperne ancora?
Nota
  34 [Þá kná Vála
vígbǫnd snúa
heldr váru harðgǫr
hǫpt ór þǫrmum.]
[E Váli poterono legare
con ceppi di battaglia.
Molto vennero stretti
i lacci di budello.]
Nota
  35 Hapt sá hon liggja
und Hveralundi
lægjarns líki
Loka áþekkjan;
þar sitr Sygyn
þeygi of sínum
veri vel glýjuð.
Vituð ér enn eða hvat?
Legato lei vede giacere
sotto il bosco di Hveralund
l'infausta figura
simile a Loki.
Là siede Sigyn
presso il suo sposo
per nulla entusiasta.
Volete saperne ancora?
 
Visione degli inferi 36 Á fellr austan
of eitrdala
sǫxum ok sverðum,
Slíðr heitir sú.
Scroscia un fiume da oriente
per valli di gelido veleno,
con daghe e con spade,
Slíðr è chiamato.
Nota
  37 Stóð fyr norðan
á Niðavǫllum
salr ór golli
Sindra ættar,
en annarr stóð
á Ókólni,
bjórsalr jǫtuns,
en sá Brimir heitir.
Sta verso nord
nelle Niðavellir
la corte d'oro
della stirpe di Sindri;
ma una seconda si trova
in Ókólnir
sala da birra del gigante
che è chiamato Brimir.
Nota
  38 Sal sá hon standa
sólu fjarri
Nástrǫndu á,
norðr horfa dyrr;
fellu eitrdropar
inn of ljóra,
sá 's undinn salr
orma hryggjum.
Una sala vidi ergersi
lontana dal sole
in Nástrandir,
le porte rivolte a nord.
Gocce di veleno cadono
dentro, dal tetto:
questa sala è un intreccio
di dorsi di serpenti.
Nota
  39 Sá hon þar vaða
þunga strauma
menn meinsvara
ok morðvarga
ok þanns annars glepr
eyrarúnu.
Þar sýgr Níðhǫggr
nái framgengna;
slítr vargr vera.
Vituð ér enn eða hvat?
Vide lei in quel luogo guadare
difficili correnti
uomini spergiuri
ed assassini
e chi seduce di un altro
la consorte.
Là succhia Níðhǫggr
i corpi dei trapassati,
il lupo strazia gli uomini.
Volete saperne ancora?
Nota
La stirpe dei lupi 40 Austr sat en aldna
í Járnviði
ok fæddi þar
Fenris kindir;
verðr af þeim ǫllum
einna nǫkkurr
tungls tjúgari
í trolls hami.
A oriente la vecchia
vive in Járnviðr
e ivi partorisce
la prole di Fenrir.
Verrà fra tutti loro
l'unico e solo
divoratore della luna
in aspetto di trǫll.
Nota
  41 Fylliz fjǫrvi
feigra manna,
ryðr ragna sjǫt
rauðum dreira;
svart var þa sólskin
of sumur eptir
veðr ǫll válynd.
Vituð ér enn eða hvat?
Sazio della vita
dei condannati,
arrossa i seggi divini
con sangue scarlatto.
Si oscura la luce del sole
nelle estati venture:
il tempo minaccia.
Volete saperne ancora?
Nota
Tre galli annunciano il ragnarǫk

42

Sat þar á haugi
ok sló hǫrpu
gýgjar hirðir,
glaðr Eggþér;
gól of hánum
í gaglviði
fagrrauðr hani,
sás Fjalarr heitir.

Là siede sul colle
e suona l'arpa
il custode della gigantessa
il lieto Eggþér.
Canta vicino a lui
nel bosco degli uccelli
un gallo rosso splendente
che Fjalarr è chiamato.

Nota
  43 Gól of ásum
Gullinkambi,
sá vekr hǫlða
at Herjafǫðrs,
en annarr gól
fyr jǫrð neðan
sótrauðr hani
at sǫlum Heljar.
Canta tra gli Æsir
Gullinkambi,
gli eroi ridesta
nella dimora di Herjafǫðr.
Ma un altro ancora canta
giù sotto terra,
gallo rosso fuliggine
nelle sale di Hel.
 
  44 Geyr Garmr mjǫk
fyr Gnipahelli,
festr mun slitna,
en freki rinna,
fjǫlð veitk fræða,
framm sék lengra
of ragna rǫk,
rǫmm sigtíva.
Feroce latra Garmr
dinanzi a Gnipahellir:
i lacci si spezzeranno
e il lupo correrà.
Molte scienze ella conosce:
da lontano scorgo
il destino degli dèi,
possenti divinità di vittoria.
Nota
Gli ultimi giorni 45 Bræðr munu berjask
ok at bǫnum verðask,
munu systrungar
sifjum spilla,
hart 's í heimi,
hórdómr mikill,
skeggǫld, skalmǫld,
skildir klofnir,
vindǫld, vargǫld,
áðr verǫld steypisk
[Grundir gjalla
gífr fljúgandi.]
mun engi maðr
ǫðrum þyrma.
I fratelli si aggrediranno
e alla morte giungeranno,
tradiranno i cugini
i vincoli di stirpe,
prova dura per gli uomini,
immane l'adulterio.
Tempo di asce, tempo di spade
s'infrangeranno scudi,
tempo di venti, tempo di lupi,
prima che il mondo crolli.
[Strepita il suolo;
volano via le streghe.]
Neppure un uomo
un altro ne risparmierà.
Nota
Il richiamo del corno 46 Leika Míms synir,
en mjǫtuðr kyndisk
at enu gamla
Gjallarhorni,
hátt blæss Heimdallr,
horn 's á lopti;
mælir Óðinn
við Mímis hǫfuð.
S'agitano i figli di Mímir;
si compie il destino
al suono del possente
Gjallarhorn.
Forte soffia Heimdallr,
il corno è nell'aria.
Discorre Óðinn
con la testa di Mímir.
Nota
  47 Skelfr Yggdrasils
askr standandi,
ymr aldit tré,
en jǫtunn losnar;
hræðask allir
á helvegum
áðr Surtar þann
sevi of gleypir.
Trema di Yggdrasill,
il frassino eretto,
geme l'antico albero,
lo jǫtunn è libero.
Tutti temono
sulla strada degli inferi,
che la stirpe di Surtr
li inghiotta.
Nota
  48 Hvat 's með ásum?
hvat 's með álfum?
gnýr allr Jǫtunheimr,
æsir 'ro á þingi,
stynja dvergar
fyr steindurum
veggbergs vísir.
Vituð ér enn eða hvat?
Che accade tra gli Æsir?
Che accade tra gli Álfar?
Risuona tutto Jǫtunheimr,
gli Æsir sono a consiglio.
Gemono i dvergar
alle soglie di pietra,
delle rupi esperti.
Volete saperne ancora?
 
  49 Geyr Garmr mjǫk
fyr Gnipahelli,
festr mun slitna,
en freki rinna,
fjǫlð veitk fræða,
framm sék lengra
of ragna rǫk,
rǫmm sigtíva.
Feroce latra Garmr
dinanzi a Gnipahellir:
i lacci si spezzeranno
e il lupo correrà.
Molte scienze ella conosce:
da lontano scorgo
il destino degli dèi,
possenti divinità di vittoria.
 
L'attacco dei giganti 50 Hrymr ekr austan,
hefsk lind fyrir,
snýsk Jǫrmungandr
í jǫtunmóði;
ormr knýr unnir,
en ari hlakkar,
slítr nái niðfǫlr;
Naglfar losnar.
Da est viene Hrymr,
con lo scudo innanzi;
si attorce Jǫrmungandr
nello jǫtunmóðr.
Il serpente flagella le onde,
mentre l'aquila stride:
dilania i cadaveri, pallida.
Naglfar salpa.
Nota
  51 Kjǫll ferr austan,
koma munu Múspells
um lǫg lyðir,
en Loki styrir;
fara fífls megir
með freka allir,
þeim er bróðir
Býleipz í fǫr.
Da est avanza una chiglia:
verranno di Múspell
sul mare le genti,
e Loki tiene il timone.
Avanzano i mostruosi figli
tutti insieme con il lupo.
Con loro è il fratello
di Býleistr in viaggio.
Nota
  52 Surtr ferr sunnan
með sviga lævi,
skínn af sverði
sól valtíva;
grjótbjǫrg gnata,
en gífr rata,
troða halir helveg,
en himinn klofnar.
Surtr viene da sud
col veleno dei rami.
Splende la spada,
sole degli dèi caduti.
Le rocce si frangono,
crollano gigantesse;
gli uomini vanno Hel,
il cielo si schianta.
Nota
Il crepuscolo degli dèi 53 Þá kømr Hlínar
harmr annarr framm,
es Óðinn ferr
við ulf vega,
en bani Belja
bjartr at Surti;
þá mun Friggjar
falla angan.
Ecco viene a Hlín
un secondo lutto,
quando Óðinn va
a combattere il lupo,
e l'uccisore di Beli
affronta, fulgido, Surtr.
Ecco di Frigg
abbattuta la gioia.
Nota
  54 Geyr Garmr mjǫk
fyr Gnipahelli,
festr mun slitna,
en freki rinna.
Feroce latra Garmr
dinanzi a Gnipahellir:
i lacci si spezzeranno
e il lupo correrà.
 
  55 Þá kømr enn mikli
mǫgr Sigfǫður,
Víðarr vega
at valdýri;
lætr hann megi Hveðrungs
mund um standa
hjǫr til hjarta;
þá 's hefnt fǫður.
Va il figlio di Óðinn
a combattere col lupo,
Víðarr combatte
la bestia dei morti.
Al figlio di Hveðrungr
con le mani la spada
conficca fino al cuore.
Così il padre è vendicato.
Nota
  56 Þá kømr enn mæri
mǫgr Hlǫðvinjar
gengr Óðins sonr
við úlfr vega
   [ormi mæta].
Drepr af móði
Miðgarðs véurr;
munu halir allir
heimstǫð ryðja;
gengr fet níu
Fjǫrgynjar burr
neppr frá naðri,
níðs ókvíðinn.
Ecco viene il famoso
figlio di Hlóðyn,
s'avanza il figlio di Óðinn
a combattere il lupo
   [a contrastare il serpente].
Infuriato colpisce
il difensore di Miðgarðr:
tutti gli uomini dovranno
sgombrare il mondo.
Nove passi va
il figlio di Fjǫrgyn,
stremato, dal serpe
che disonore non merita.
Nota
La fine del mondo 57 Sól tér sortna,
sigr fold í mar,
hverfa af himni
heiðar stjǫrnur;
geisar eimi
ok aldrnari;
leikr hár hiti
við himin sjalfan.
Il sole si oscura
la terra sprofonda nel mare,
cadono dal cielo
le stelle lucenti.
Erompe il vapore
e chi nutre la vita;
gioca alta la vampa
con il cielo stesso.
Nota
  58 Geyr Garmr mjǫk
fyr Gnipahelli,
festr mun slitna,
en freki rinna,
fjǫlð veitk fræða,
framm sék lengra
of ragna rǫk,
rǫmm sigtíva.
Feroce latra Garmr
dinanzi a Gnipahellir:
i lacci si spezzeranno
e il lupo correrà.
Molte scienze ella conosce:
da lontano scorgo
il destino degli dèi,
possenti divinità di vittoria.
 
Rinascita del mondo: la nuova età dell'oro 59 Sér hon upp koma
ǫðru sinni
jǫrð ór ægi
iðjagræna;
falla forsar,
flýgr ǫrn yfir,
sás á fjalli
fiska veiðir.
Affiorare lei vede
ancora una volta
la terra dal mare
di nuovo verde.
Cadono le cascate,
vola alta l'aquila,
lei che dai monti
cattura i pesci.
 
  60 Finnask æsir
á Iðavelli
ok of moldþinur
mátkan dæma,
[ok minnask þar
á megindóma]
ok á Fimbultýs
fornar rúnar.
Si ritrovano gli Æsir
in Iðavǫllr,
e del serpente intorno al mondo
possente, ragionano,
[e rammentano là
le grandi imprese,]
e di Fimbultýr
le antiche rune.
Nota
 

61

Þar munu eptir
undrsamligar
gollnar tǫflur
í grasi finnask,
þærs í árdaga
áttar hǫfðu.
Lì di nuovo
meravigliose
le scacchiere d'oro
si ritroveranno nell'erba.
Eran quelle che anticamente
avevano posseduto.
Nota
  62 Munu ósánir
akrar vaxa;
bǫls mun alls batna
mun Baldr koma;
búa Hǫðr ok Baldr
Hropts sigtoptir
vel valtívar,
vituð ér enn eða hvat?
Cresceranno non seminati
i campi;
ogni male guarirà,
farà ritorno Baldr.
Abiteranno Hǫðr e Baldr
le vittoriose rovine di Hroptr,
felici dèi guerrieri.
Volete saperne ancora?
Nota
  63 Þá kná Hǿnir
hlautvið kjósa
ok burir byggva
bræðra tveggja
vindheim víðan.
Vituð ér enn eða hvat?
Allora Hǿnir
l'aspersorio sceglierà,
e i figli abiteranno
dei due fratelli
l'ampio mondo del vento.
Volete saperne ancora?
Nota
  64 Sal sér hon standa
sólu fegra,
golli þakðan,
á Gimléi;
þar skulu dyggvar
dróttir byggva
ok of aldrdaga
ynðis njóta.
Vede lei ergersi una corte
più bella del sole,
d'oro ricoperta,
in Gimlé.
Là abiteranno
schiere di giusti
e per sempre
vivranno felici.
 
Il giudizio finale 65 [Þá kømr enn ríki
at regindómi
ǫflugr ofan,
sá 's ǫllu ræðr.]
[Allora viene il potente
al suo regno,
il forte dall'alto
che tutto governa.]
Nota
  66 Þar kømr enn dimmi
dreki fljúgandi,
naðr fránn neðan
frá Niðafjǫllum;
berr sér í fjǫðrum
flýgr vǫll yfir
Níðhǫggr nái;
nú mun hon sǫkkvask
E viene di tenebra,
il drago che vola,
il serpe scintillante
dai monti Niðafjǫll.
Porta tra le sue ali,
sulla pianura vola,
Níðhǫggr, i morti.
Ora lei si inabissa.
Nota
         

NOTE

1 ― (a) Hljóðs biðk «ascolto io chiedo», esordisce la vǫlva, con formula solenne e imperiosa, ché tra poco la grande profezia svolgerà i fili del tempo e scioglierà i nodi del destino. È probabilmente la stessa formula che veniva utilizzata nel þing, nelle assemblee vichinghe, per imporre il silenzio e richiamare l'attenzione dei presenti, e che riecheggia con forza l'antica formula omerica kéklute óphr' éipō «ascoltate affinché io dica» (Polia 1983). ― (d) L'espressione «figli di Heimdallr» per indicare le «sacre stirpi» [helgar kindir] degli uomini, richiama il mito riferito nel Rígsþula dove alla discendenza di Heimdallr si riconducono i capostipiti delle tre classi sociali. ― (e) Valfǫðr, «Padre dei caduti», è epiteto di Óðinn. Torna al testo

2 ― (d) Fædda hǫfðu è letteralmente «mi diedero cibo», ma forse è da intendere con «mi generarono». ― (f) Questo verso è di ardua traduzione. Secondo l'interpretazione condivisa dalla maggior parte degli studiosi, quel níu í viði si riferirebbe appunto ai «nove sostegni» dei mondi (cfr. viðjur «radici, travi» < viðr «bosco, legna»); non mancano però le voci dissenzienti: alcuni pensano che la frase sia da leggere níu íviði «nove specie di creature»; Sir George W. Cox è riandato all'antico svedese inviþir e ha interpretato, un po' fantasiosamente, «l'insieme di tutti gli esseri, del mondo dei vivi e del mondo dei morti». In tutti i casi si tratta di una visione dell'universo riassunto nella sua stabilità e nella sua totalità (Cox 1870). ― (g) La parola mjǫtviðr è una delle più delicate dell'intera letteratura mitologica norrena. È stata qui resa con «albero misuratore», da «albero [viðr] delle misure [mjǫt]». Quest'ultima parola è connessa col norreno meta «misurare», da cui mjǫtuðr «giudice, governatore, dispensatore del fato» (cfr. gotico mitan, antico alto tedesco mezzan, tedesco messen, anglosassone metan «misurare»; ma anche latino medeor «misuro» e meditari «meditare»). S'intende probabilmente il frassino Yggdrasill come asse e impalcatura del cosmo, i cui rami e radici formano gli assi [viðjur] che reggono i mondi e ne misurano il tempo [SAGGIO]. Torna al testo

3 ― Questa strofa della Vǫluspá possono essere agevolmente messa a confronto con alcuni versi del Wessobrunner Gebet, la «Preghiera di Wessobrunn», un testo in antico alto tedesco proveniente dall'omonimo monastero bavarese, composto intorno al 775. Un brano della preghiera così suona:

Dat gafregin ih mit firahim iriuuizzo meista.
Dat ero ni uuas noh ufhimil,
noh paum noh pereg ni uuas,
ni [sterro] nohheinig noh sunna ni scein,
noh mano ni liuhta, noh der maręo seo.

Questo appresi tra gli uomini, il sommo prodigio.
Che non era la terra, né il cielo in alto,
non era albero, né monte,
né [stella] alcuna, né il sole splendeva,
né la luna brillava, né il lucente mare.

Wessobrunner Gebet

Entrambi i brani descrivono lo stato precedente la creazione in termini negativi: attestando l'originaria inesistenza degli enti e delle sostanze che compongono il nostro universo. Si precisa dunque che in principio non esistevano né il cielo, né la terra, non vi erano alberi, monti e mari, né splendevano il sole e la luna, e via dicendo. È in questo stadio negativo che subentra quindi la creazione: sia essa la complessa cosmogonia pagana descritta nella Vǫluspá, o la creatio ex nihilo operata dal Dio cristiano nel Wessobrunner Gebet. La somiglianza formale tra i due brani è impressionante. Il verso di Vǫluspá [3c-3d], «non c'era sabbia né mare | né gelide onde» [vasa sandr né sær, | né svalar unnir], richiama il «né il lucente mare» [noh der mareo seo] di Wessobrunner Gebet [5]. Il verso successivo [3e-3f], «terra non si distingueva | né cielo in alto» [jǫrð fansk æva | né upphiminn], è vicinissimo a Wessobrunner Gebet [2] «che non era la terra, né il cielo in alto» [ero ni uuas noh ufhimil]. La somiglianza formale dei due brani, a volte addirittura letterale (per «cielo in alto» troviamo l'identico composto ufhimil in anticoaltotedesco e uphiminn in islandese), ha indotto gli studiosi a ipotizzare l'esistenza, in tempi remoti, di un poema germanico della creazione i cui esiti siano confluiti, separatamente, nelle due composizioni: il poema pagano islandese, la preghiera cristiana alto-tedesca. ― (a) Ár significa «una volta» (latino olim), ed è una parola frequente all'inizio dei poemi eddici (la ritroveremo in: Hymiskviða [1], Rígsþula [1], Atlakviða in grǿnlenzka [1], Guðrúnarkviða [1], Sigurðarkviða [1]). Ár vas alda, letteralmente «una volta era il tempo» (ǫld è «tempo, età, epoca), può essere tradotto «in principio» (Cleasby ~ Vigfússon 1874). ― (a-b) I primi due semiversi, nella versione citata da Snorri, suonano in altro modo: «Al principio era il tempo | quando nulla esisteva» [Ár var alda | það er ekki var] (Gylfaginning [4 {5}]). Probabilmente Snorri attinse a una versione della Vǫluspá diversa da quella attestata nei due manoscritti a noi pervenuti. Torna al testo

4 ― (a) La Vǫluspá non fornisce i nomi dei figli di Borr. È Snorri ad affermare che essi furono Óðinn e i suoi fratelli Vili e (Gylfaginning [6d]). Torna al testo

5 ― (e-j) Questi semiversi possono essere messi in relazione con la Preghiera di Wessobrunn [4-5], laddove dice: «né [stella] alcuna, né il sole splendeva, né la luna brillava» [ni [sterro] nohheinig noh sunna ni scein, noh mano ni liuhta]. Addirittura, la parola sterro «stella», assente nel manoscritto del Wessobrunner Gebet, è stata proposta dai filologi in base al confronto col poema eddico. Analogamente, nel citare questa strofa, Snorri omette i primi due semiversi ma cita questi ultimi sei semiversi, seppure invertendo l'ordine col quale vengono elencati gli ultimi due luminari: nella citazione di Snorri viene prima il sole, poi la luna e poi le stelle (Gylfaginning [8 {10}]). Torna al testo

7 ― (b) Iðavǫllr: «campo del vortice, campo-torto», campo al centro di Ásgarðr dove gli dèi decisero per la prima volta l'ordinamento del loro regno e, dunque, di tutto il mondo. Qui si riuniranno di nuovo gli Æsir sopravvissuti al ragnarǫk all'inizio del ciclo che verrà, per stabilire il nuovo ordine cosmico. Il riferimento al «vortice», simbolo di inizio e di fine, oltre che metafora astronomica della rotazione del cielo, insieme al fatto che Iðavǫllr sia l'unica parte di Ásgarðr che non verrà distrutta, ne suggeriscono l'identificazione con il nord celeste o con una proiezione terrestre di esso. La stella polare è infatti il punto del cielo che, pur cambiando posizione a causa della precessione degli equinozi, rappresenta in ogni epoca il centro della rotazione celeste, dunque il «vortice» che emana il movimento e dà ordine al cosmo. Torna al testo

8 ― (f) Non è molto chiaro chi fossero le «tre fanciulle di giganti» [þríar þursa meyjar]; sicuramente corrispondono a quelle che Snorri indica come donne «venute da Jǫtunheimr» [kómu ór Jǫtunheimum] (Gylfaginning [14b]). Non si può tuttavia dir molto sulla loro identità. Karl Müllenhoff ritiene si tratti le tre Nornir, di cui si parla nel capitolo successivo [15] del testo di Snorri (Müllenhoff 1908), seguito in questo da Giorgio Dolfini, che commenta in tal senso la sua traduzione (Dolfini 1975), ma senza una reale certezza. Si tratta del rimasuglio di un mito perduto, probabilmente non chiaro allo stesso Snorri.

9 ― (g-h) I nomi Brimir e Bláinn sembrano essere epiteti di Ymir. Questa strofa è chiusa da una doppia kenning in quanto «sangue di Brimir» è metafora per significare il mare, e «ossa di Bláinn» per indicare le pietre.

10 (e-h) Questa strofa presenta qualche problema d'interpretazione. In genere viene interpretata nel senso che gli dèi crearono i dvergar dalla terra, ma altri ritengono che siano i dvergar stessi il soggetto della frase. Ad esempio Bugge interpreta: «I nani fecero molti fantocci nella terra» a cui gli dèi avrebbero poi infuso il soffio vitale (Bugge 1881 | Polia 1883). Non è ben chiaro, in questo caso, chi fossero i «fantocci» creati dai nani. Tantopiù che Snorri dà una spiegazione molto ragionevole del passo:

Þar næst settust goðin upp í sæti sín ok réttu dóma sína ok minntust, hvaðan dvergar hǫfðu kviknat í moldinni ok niðri í jǫrðunni, svá sem maðkar í holdi. Dvergarnir hǫfðu skipazt fyrst ok tekit kviknun í holdi Ymis ok váru þá maðkar, en af atkvæðum goðanna urðu þeir vitandi manvits ok hǫfðu manns líki ok búa þó í jǫrðu ok í steinum.

Poi gli dèi s'insediarono sui loro troni, si riunirono in giudizio e ricordarono in che modo i dvergar avessero preso vita nel fango e sotto la terra, come i vermi nella carne. I dvergar furono creati per primi e presero vita nella carne di Ymir, dove erano come vermi, tuttavia per decisione degli dèi ricevettero la conoscenza del sapere umano e l'aspetto degli uomini, e abitarono nella terra e nelle rocce.

Snorri Sturluson: Prose Edda > Gylfaginning [14]

Non vi è motivo di dubitare che questa sia la corretta interpretazione della creazione dei dvergar, che qui appaiono, proprio in virtù della loro origine, legati per nascita alla terra e al fango. [SAGGIO]

11 Le strofe [11-16] costituiscono il cosiddetto «catalogo dei nani», una composizione probabilmente indipendente inclusa nella Vǫluspá. La versione del «catalogo» fornita dal Codex Regius [R] presenta alcune differenze, nei nomi e nell'ordine dei dvergar, con la versione presente nell'Hauksbók [H]; l'una e l'altra presentano a loro volta altre differenze con la redazione citata da Snorri (Gylfaginning [14 {17-20}]). Le varie redazioni discendono probabilmente da un antigrafo il quale dipendeva a sua volta dalle þulur, antichi elenchi in versi dove si fornivano gli heiti (i nomi, gli epiteti o le definizioni poetiche) di cose, persone, divinità o creature mitologiche. Per un'analisi dettagliata delle fonti rimandiamo alla pagina apposita [MITI]. (d) Dopo Alþjófr e Dvalinn, la redazione H inserisce una serie di quattro nomi, non presenti in RNár e Náinn | Nípingr, Dáinn»], i quali appaiono però essere una duplicazione di una sequenza che H riporta alla strofa [13]. (e) I nomi Bívǫrr e Bávǫrr compaiono in H e in Snorri nelle varianti grafiche Bífurr e Báforr. (f) Il nome Bǫmburr compare in Snorri nella variante Bǫmbǫrr. (g-h) I nani Ánn, Ánarr e Ái appartengono a una serie che i vari manoscritti di Snorri presentano in maniera piuttosto difforme; il confronto tra le varie redazioni e le þulur mostra che la serie originaria doveva essere formata dai nomi: Óri, Órinn, Óinn, Ónn e Ónarr [SAGGIO].

12 (b) Il nome Þráinn compare in Snorri nella variante Þróinn. (c) Il nome Þekkr, presente in R (e in Snorri), viene sostituito in H da Þrár (forse, una variante del Þrór presente in [12b]).

13 (b) In luogo del nome Náli compare in Snorri un Váli (la confusione è sorta forse per qualche legame con la coppia formata da Váli e Nari, figli di Loki).(c) Heptivili («manico di lima») appare in H scisso in due nomi distinti: Hefti e Fili («manico» e «lima»). Solo il secondo nome (Fili) è attestato separatamente come il nome di un nano [13a].(d) Hannarr viene sostituito in Snorri da Hárr. Invece, il nome Svíurr compare in H nella variante Svíðr e in Snorri nella variante Svíarr. (e-h) Questi versi, gli unici a riportare una sequenza di otto nomi [«Nár e Náinn | Nípingr, Dáinn, | Billingr, Brúni, | Bíldr e Búri»], sono riportati unicamente in H, mancando in R e in Snorri.(i) Il nome Hornbori, attestato nella redazione R, viene sostituito da Fornbogi nella redazione H.

14 (d) Nella parafrasi in prosa che Snorri fa di questa strofa (Gylfaginning [14f]), si parla dei Lofarr al plurale, come nome complessivo di questa stirpe di dvergar.

15 (b) Al nome Dólgþrasir, Snorri sostituisce Dólgþvari. (c) Al nome Hár, Snorri sostituisce Hǫrr. Ad Haugspori, sostituisce invece Hugstari. (d) Il primo nome viene riportato come Hlévangr «campo riparato» in R, ma come Hlévargr «lupo dei luoghi protetti» in H. La seconda forma sembra più ragionevole. Snorri lo sostituisce con un nome affatto diverso: Hleðjólfr «lupo protettore». Il secondo nome compare invece nella forma Glói in R, nella forma Glóinn in H e in Snorri. (e-f) Questi due versi, che riportano una breve sequenza di quattro nomi, sono presenti soltanto nella redazione di Snorri [«Dóri, Óri, | Dúfr, Andvari»], mancando nei due codici della Vǫluspá.

16 (a) Snorri sostituisce Yngvi con Ingi. È più probabile sia quest'ultimo il nome originario del nano, essendo Yngvi un epiteto di Freyr, quale progenitore della stirpe degli Ynglingar. (c-d) Questi due semiversi, con una sequenza di quattro nomi [«Fjalarr e Frosti | Finnr e Ginnarr»] è attestata nel codice R, ma manca in H. Anche Snorri, tuttavia, la riporta (seppur sostituendo Fjalarr con Falr).

17 ― Le strofe [17-18] alludono alla creazione della prima coppia umana a partire da due alberi, un frassino [askr] e un olmo [embla]. Così Snorri spiega il passo e descrive la scena:

Þá er þeir Bors synir gengu með sævarstrǫndu, fundu þeir tré tvau, ok tóku upp tréin ok skǫpuðu af menn. Gaf hinn fyrsti ǫnd ok líf, annarr vit ok hrǿring, þriði ásjónu, málit ok heyrn ok sjón; gáfu þeim klæði ok nǫfn. Hét karlmaðrinn Askr en konan Embla, ok ólusk þaðan af mannkindin.

Mentre i figli di Borr andavano lungo la riva del mare trovarono due alberi, li raccolsero e li mutarono in uomini. Il primo diede loro respiro e vita, il secondo ragione e movimento, il terzo aspetto, parola, udito e vista. Gli diedero poi vesti e nomi. Il maschio si chiamò Askr, la femmina Embla e nacque allora l'umanità.

Snorri Sturluson: Prose Edda > Gylfaginning [9b]

(b) La Vǫluspá non chiarisce quale fosse la «stirpe» [liðr] da cui i tre dèi sarebbero giunti, così come non si sa bene a quale «casa» faccia riferimento il testo. (d) È stato qui suggerito di emendare at húsi «a casa» in at húmi «al mare», interpretando la scena come se si svolgesse sulla riva del mare. La correzione è giustificata dal fatto che Snorri afferma che gli dèi andavano «lungo la riva del mare» [með sævarstrǫndu] quando trovarono i due tronchi destinati a essere trasformati nella prima coppia umana.

18 (e-g) Mentre la Vǫluspá attribuisce la creazione degli uomini alla triade Óðinn ~ Hǿnir ~ Lóðurr, Snorri afferma che a compiere l'opera fossero stati in realtà «i figli di Bórr» (Gylfaginning [9b]). Tuttavia lo stesso Snorri aveva precedentemente affermato che i figli di Bórr fossero Óðinn ~ Vili ~ (Gylfaginning [6d]) e alla loro opera aveva attribuito l'uccisione di Ymir e la creazione del mondo. Sono stati naturalmente versati i proverbiali fiumi d'inchiostro per stabilire se la triade della Vǫluspá (Óðinn ~ Hǿnir ~ Lóðurr) possa venire identificata o meno con quella fornita da Snorri (Óðinn ~ Vili ~ ). [SAGGIO]►

20 (c) Si è tradotto qui «da quelle acque» ma il testo originale dice «mare». Difficile capire se si intenda la fonte Urðarbrunnr o se bisogna invece immaginare uno specchio d'acqua assai più consistente alle radici del frassino Yggdrasill.

21 ― (c) L'episodio di Gullveig è particolarmente enigmatico, in quanto tutto ciò che sappiamo di questo personaggio consiste in queste due strofe della Vǫluspá. Non vi sono altri riferimenti a Gullveig in tutta la letteratura mitologica, e anche Snorri, nella sua opera, non ne fa alcun cenno. Si ritiene che il tentativo di uccidere Gullveig abbia causato un dissidio tra gli Æsir e i Vanir, da cui una guerra tra le due stirpi divine (a cui si accenna rapidamente nella strofa [24]); in realtà i due episodi potrebbero anche non avere nulla a che fare l'uno con l'altro. ― (e) Hár «alto» è epiteto di Óðinn.

25-26 Stando al racconto di Snorri (Gylfaginning [42]), dopo la guerra contro i Vanir, gli Æsir ingaggiarono un gigante affinché ricostruisse le mura dell'Ásgarðr. Ma questi chiese come pagamento il sole e la luna, e la dea Freyja, sposa di Óðr. Era stato Loki a consigliare agli dèi di accettare il patto, convinto che il gigante non fosse riuscito a finire il lavoro nel tempo stabilito. Ma quando le mura furono completate entro i termini, gli dèi ruppero il contratto e Þórr uccise il gigante. [MITO]►

27 (b) Seguiamo qui l'interpretazione tradizionale secondo cui il «fragore celato» [hljóð of folgit] indichi il Gjallarhorn, il corno destinato a suonare nel giorno di ragnarǫk e che Heimdallr, se tale interpretazione è corretta, avrebbe nascosto alle radici del frassino Yggdrasill. ― (g) Valfǫðr «padre dei caduti»è un epiteto di Óðinn. Per «pegno di Valfǫðr» si intende qui l'occhio ceduto da Óðinn in cambio di un sorso alla sorgente di Mímisbrunnr, da cui sgorga l'acqua della sapienza. Mímir è appunto il guardiano di tale fonte.

28Questa breve descrizione della vǫlva, che sedeva sola «di fuori» [úti], va forse messo in relazione con certe descrizioni presenti negli antichi testi, dove i veggenti erano presentati desti nella solitudine notturna intenti a scrutare i fati. Si tratta forse della scena che dà l'avvio all'intera rappresentazione del poema. Yggjungr «molto spaventoso» è epiteto di Óðinn, che guarda la vǫlva «negli occhi» [í augu senza parlare, forse per provarne il potere. La vǫlva sostiene lo sguardo del dio e gli rivela di conoscere il suo più geloso segreto: egli ha dato in pegno un occhio al saggio Mímir, custode della fonte della sapienza di Mímisbrunnr.

29 (a) Herfǫðr «padre degli eserciti» è epiteto di Óðinn. E la persona a cui avrebbe dato anelli e collane, oltre alla verga della profezia, è naturalmente la stessa vǫlva. (b-d) Secondo questi versi, Herfǫðr (Óðinn) avrebbe dato alla vǫlva: (1) anelli e collane, (2) sagge parole di ricchezza, (3) la verga della profezia [spágandr]. Ma emendando spágandr in spá ganda e adottando l'interpretazione del Neckel, la strofa diventerebbe così: «Herfǫðr le diede anelli e collane, ottenne [in cambio] sagge parole di ricchezza e profezie [ottenute tramite] la verga» (Neckel 1908 | Polia 1983). La correzione sembra chiarire lo scopo della visita di Óðinn alla vǫlva, ma si tratta comunque di una forzatura che non aggiunge dettagli a quanto già implicito nel resto del poema, che tratta comunque di una profezia lanciata dalla stessa veggente.

30 (j) Herjan «capo degli eserciti» è, ancora una volta, epiteto di Óðinn.

32 (e) Il fratello di Baldr di cui qui si parla è Váli figlio di Óðinn, che nacque appositamente per vendicarne la morte.

33 (d) Il nemico di Baldr è invece il cieco Hǫðr, che venne ucciso da Váli. ― (e) Frigg, sposa di Óðinn, era la madre di Baldr.

34 Questi versi vengono dal codice H, dove sostituiscono i primi quattro semiversi di quella che nel codice R è la strofa [35]. (a) Il Váli di cui qui si parla, interpretando il testo secondo quanto afferma Snorri, non sarebbe il summenzionato Váli figlio di Óðinn, ma Váli figlio di Loki, il quale venne trasformato in lupo dagli dèi e sbranò il fratello Narfi. Con gli intestini di questi, gli dèi trassero i lacci con cui Loki venne legato. Sigyn, sposa di Loki, gli rimase accanto.

36 ― Il codice R considera la sequenza [36-37] un'unica strofa: gli studiosi sono però persuasi che si tratti della giustapposizione di due strofe, di cui la prima [36] mutila. Tutto il gruppo di strofe [36-39] sembra dare una vivida descrizione del mondo infero.

37 ― Nell'ambito della veloce visione degli inferi presentata dalla Veggente, compaiono qui queste due località, le Niðavellir, che, secondo quanto qui è detto, sembrano ospitare la corte dei dvergar (Sindri è infatti nome di un dvergr, come risulta dalle þulur), e Ókólnir, dove si troverebbe la sala da birra del gigante Brimir (apparentemente lo stesso citato nel verso [9g]). ― Snorri riporta una riscrittura in prosa di questa strofa, con alcune varianti piuttosto interessanti:

Margar eru þá vistir góðar ok margar illar. Bazt er þá at vera á Gimlé á himni, ok allgott er til góðs drykkjar þeim er þat þykkir gaman í þeim sal er Brimir heitir, hann stendr ok á himni [á Ókólni]. Sá er ok góðr salr er stendr á Niðafjǫllum, gǫrr af rauðu gulli, sá heitir Sindri. Í þessum sǫlum skulu byggja góðir menn ok siðlátir.

Allora vi saranno molti luoghi buoni e molti cattivi. Il migliore per abitarvi sarà Gimlé, nel cielo, ottimo per buone bevute, per coloro che là troveranno piacere, in quella sala che si chiama Brimir e sta in cielo [a Ókólnir]. Sarà un buon luogo quello che si trova nei Niðafjǫll, fatto con oro rosso e che si chiama Sindri. In quella dimora vivranno gli uomini buoni e i giusti.

Snorri Sturluson: Prose Edda > Gylfaginning [52]

Mentre la Vǫluspá presenta le regioni di Niðavellir e Ókólnir nell'ambito di una visione dei luoghi infernali, Snorri ne dà un'immagine affatto diversa: sale celesti deputate ad accogliere gli uomini giusti nel futuro escatologico dopo il ragnarǫk. È possibile che nella versione del poema consultata da Snorri, questa strofa fosse collocata verso la fine della composizione e si riferisse appunto ai tempi futuri. D'altra parte, se le Niðavellir sono le «pianure oscure», un toponimo come Ókólnir «mai freddo» dà più l'idea di un luogo accogliente, e non di una dimora di giganti collocata in gelide regioni infernali. Snorri comunque sembra fraintendere il poema eddico, affermando che Brimir e Sindri siano i nomi delle due sale in questione, e non il gigante e il nano a cui esse rispettivamente appartengono. Inoltre Snorri confonde le Niðavellir con i Niðafjǫll, che costituiscono la regione infernale da cui emerge il serpente Níðhǫggr nella chiusa del poema (Vǫluspá [66]).

38 ― Le strofe [38-39] seguono la [43] nel codice H. ― (c) Nástrandir è la spiaggia dei morti, in Helheimr; il palazzo descritto appartiene alla regina Hel.

39 ― Secondo alcuni esegeti, questa strofa sarebbe pervenuta in forma corrotta, forse come giustapposizione di due strofe mutile, di cui la prima comprenderebbe i primi semiversi [a-f], la seconda i semiversi [g-j]. ― (g) Níðhǫggr è il serpente che giace alla radici del frassino Yggdrasill. (Cfr. Grímnismál [34-35]).

40 ― Questa strofa e la successiva sono citate da Snorri (Gylfaginning [12 {13-14}]). (a) La vecchia che abita in Járnviðr (la foresta dagli alberi di ferro) è forse Angrboða, madre del lupo Fenrir. I lupi sono dunque la stirpe di Fenrir. (f) Tra di essi, il lupo Skoll è destinato, nel giorno di ragnarǫk, a ingoiare il sole. ― (g) Tungl significa letteralmente «luminare» (cfr. latino sidus), indicando indifferentemente il sole o la luna, e i vari traduttori hanno proposto via via l'una o l'altra delle interpretazioni. Mario Polia traduce «sole» segnalando in nota l'ambiguità del termine (Polia 1983); al contrario, Piergiuseppe Scardigli e Marcello Meli traducono «astro» segnalando in nota che si tratta del sole (Scardigli ~ Meli 1982). Gianna Chiesa Isnardi traduce invece «luna» (Isnardi 1975), così come Giorgio Dolfini (Dolfini 1975). La traduzione di tungl con «sole» potrebbe essere giustificata dal fatto che alcuni versi più sotto si parla del lupo destinato a divorare il sole, ma il significato di «luna» è quello maggiormente attestato nella letteratura islandese, dove il termine ha spesso sostituito il più poetico máni «luna» (Cleasby ~ Vigfússon 1874).

41 (e) L'oscurarsi del sole di cui qui si parla è un annuncio del fimbulvetr, il «terribile inverno», il tempo di oscurità e malvagità che precederà il ragnarǫk.

42 ― (d) Chi sia il «lieto» Eggþér, che in questi versi si presenta come custode o pastore, non ci è dato di sapere. Si può solo arguire che le mandrie dei giganti fossero i lupi.

44 (a-d) Questa strofa, quale cupo ritornello, si udrà altre tre volte, scandendo i tempi della catastrofe cosmica. Garmr è il cane legato dinanzi alle porte di Helheimr, anch'esso destinato a sciogliersi quando sarà il giorno di ragnarǫk.

45 ― Con rapidi accenni e serrate allitterazioni, la vǫlva ci scaglia nel fimbulvetr, il «terribile inverno», il tempo di gelo e di oscurità, di malvagità e depravazione, che culminerà nella distruzione universale del ragnarǫk. Il mitema del crollo morale dell'umanità, nei tempi finali, è presente in molte culture diverse compresa quella cristiana. La più antica attestazione di questo motivo si trova nella mitologia indù, in cui il Kaliyuga, l'epoca finale dell'intero ciclo temporale, è caratterizzata dalla totale perdita di ogni senso morale e legge religiosa, perdita che, a partire dai nostri tempi, si farà sempre più accentuata man mano che il ciclo procederà verso la sua conclusione. È anche lo stesso motivo presente nelle Érga kaì Hēmérai di Hēsíodos, in cui la storia cosmica è vista come una progressione di età (dell'oro, dell'argento, del bronzo, del ferro) di cui l'ultima – la nostra – è caratterizzata da un'umanità singolarmente priva delle virtù e del valore dei tempi precedenti.

46 ― (a) I figli di Mímir [Míms synir] sono i giganti. C'è un lugubre senso di gioia in questo loro agitarsi, ché sanno che la battaglia contro gli dèi è ormai vicina.

47 (d) Il gigante che si scioglie è Loki, che avevano lasciato legato nella sua caverna con le budella di suo figlio. (g) «Stirpe di Surtr» è una kenning per indicare le fiamme dell'incendio universale, essendo Surtr il guardiano del Múspellsheimr.

50 ― (a) Hrymr è il re dei giganti di ghiaccio, che guida le schiere di Jǫtunheimr. ― (c) Jǫrmungandr è il serpente che circonda il mondo. ― (g) L'aquila è forse Hræsvelgr, che crea i venti col battito delle sue ali. ― (h) Naglfar è la nave dei morti.

51 ― (b) Da est (ma forse sarebbe più logico da sud) arrivano i «figli di Múspell», i giganti di fuoco deputati alla distruzione del mondo. ― (d) Il lupo che li precede è Fenrir. ― (e-f) Loki, fratello di Býleistr, è il loro timoniere.

52 (a) Surtr è il re dei giganti di fuoco. (b) Il «veleno dei rami» [sviga lævi] è una trasparente kenning per indicare il fuoco.

53 ― (a) Hlín è Frigg, qui chiamata col nome di una delle sue ancelle (o forse si tratta di due personaggi in origine concidenti). (c-d) Sposo di Hlín/Frigg è Óðinn, che combatte contro il lupo Fenrir e muore nello scontro. (e) L'«uccisore di Beli» è Freyr: si getta a mani nude contro Surtr ma non ha miglior fortuna.

55 ― (b) Sigfǫðr «Padre di vittoria» è epiteto di Óðinn. ― (c) Suo figlio Víðarr uccide Fenrir con la spada vendicando il padre. ― (e) Hveðrungr è probabilmente un epiteto di Loki padre di Fenrir.

56 Spetta a Þórr, difensore di Miðgarðr, scendere a battaglia contro Jǫrmungandr, il serpente che circonda il mondo. Riesce a ucciderlo, ma subito muore intossicato dal veleno. (b | j) Hlóðyn e Fjǫrgyn sono due epiteti di Jǫrð, dea della terra, madre di Þórr. (d) Si noti che il testo del Codex Regius [R] ha qui in realtà við úlfs vega «a uccidere il lupo», non il serpente. Si tratta probabilmente di un errore sorto per confusione tra Þórr e Víðarr, prima citato. Il testo viene generalmente emendato in  ormi mæta «a contrastare il serpente». Snorri, nella sua versione, ricombina la strofa, eliminando i problematici semiversi [c-d] e sostituendoli con i due semiversi finali.

57 ― (f) «Quel che alimenta la vita» è una kenning per indicare il fuoco. Dunque la frase è da intendere «sibila il vapore con il fuoco», nell'incendio che mette fine al mondo.

60 ― (e-f) Questi due semiversi mancano nel codice R ma sono presenti in H. ― (g) Fimbultýr «dio terribile» è un epiteto di Óðinn.

61 ― (a) Mentre il codice R scrive il primo semiverso: «Là di nuovo...» [Þar muno eptir], il codice H riporta con piccola variazione: «Allora gli Æsir...» [Þá muno æser].

62 ― (f) Hroptr è un epiteto di Óðinn.

63 ― (d) Chi sono i «figli dei due fratelli» [burir [...] bræðra tveggja]? Difficile dirlo. Secondo alcuni Hǫðr e Baldr, i quali tuttavia erano fratelli tra loro e non cugini. Secondo altri sarebbero invece Hǿnir e Lóðurr, ipotesi piuttosto fragile in quanto nulla si può dire sulla parentela di questi due personaggi. Bellows interpreta «i figli dei fratelli di Tveggi», essendo questo uno degli epiteti di Óðinn (Bellows 1923). Poiché i fratelli di Óðinn sono Vili e , ci si può chiedere chi siano i figli di costoro. ― (e) Il «mondo del vento» [vindheim] è forse da intendere come il cielo, o come l'atmosfera? Oppure è una kenning per indicare il mondo stesso, percorso dal vento?

65 ― Questa breve strofa, formata da soli quattro semiversi è assente nel codice R e attestata unicamente nel codice H, senza alcuna indicazione della presenza di una lacuna. Tardi manoscritti aggiungono altri quattro semiversi, registrati da Henry Bellows: «Lui stabilisce le regole | e fissa i diritti, | ordina le leggi | che sempre vivranno» (Bellows 1923). ― (a) Questo «potente» [enn ríki] che compare nella penultima strofa, fa naturalmente pensare all'immagine del Cristo che compare sulle nubi, nel giorno del Giudizio.

66 ― Tutta l'ultima strofa, che alcuni ritengono interpolata nel testo, è di difficile interpretazione. Perché è il serpente Níðhǫggr a chiudere il poema? E perché porta i morti tra le sue ali? È una visione che appartiene al futuro escatologico o va collocata al presente in cui la vǫlva narra la sua profezia?― (h) Si ritiene che a inabissarsi, nell'ultimissimo verso del poema, sia appunto la vǫlva, anche se in molte traduzioni hon «ella» viene emendato con hann «egli» e l'inabissamento finale viene riferito a Níðhǫggr. Ma che possa essere la veggente (e non il serpente) a inabissarsi, è forse giustificato dal Baldrs Draumar, dove si narra di come Óðinn fosse sceso nel regno dei morti e con un canto magico avesse tratto fuori una morta vǫlva dal suo tumulo affinché interpretasse i funesti sogni che affliggevano Baldr. Non c'è naturalmente alcuna indicazione che la vǫlva del Baldrs Draumar sia la stessa della Vǫluspá, ma non c'è nemmeno motivo di escluderlo.Torna al testo

BIBLIOGRAFIA
LEZIONE DEI MANOSCRITTI
Confronto interlineare tra la lezione del poema contenuta nel Codex Regius [R] e quella dell'Hauksbók [H]. Sono riportati anche le strofe citate da Snorri nella Prose Edda, secondo il manoscritto [Rs].
 
 
  VǪLUSPÁ      
  Lezione [R]
Codex Regius
  Lezione [H]
Hauksbók
  Lezione [Rs]
Prose Edda
 
1
Hlıoꝺſ bıð ec 
allar kınꝺır 
meırı ⁊ mıı 
mavgo heımꝺallar 
vılðo aꞇ ec ualꝼꜹþr 
uel ꝼyr ꞇelıa 
ꝼoꝛn 﫬ıoll ꝼíra 
þꜹ er ꝼremſꞇ um man.
1
Hlıoðſ bıð ek allar 
helgar kınꝺır 
meırı ok mınnı 
mǫgu heımꝺallar 
vıllꞇu aꞇ ek vaꝼǫꝺrſ 
vel ꝼram ꞇelıa 
ꝼorn 﫬ıǫll ꝼıra 
þau er ek ꝼremz vm man.
 
  Nota
1
2 Ec man ıoꞇna
ár um boꝛna 
þa er ꝼoꝛꝺom 
mıc ꝼǫꝺꝺa hoꝼꝺo 
nıo man æc heıma
nío ıvıþı 
mıoꞇ uıð mǫꝛa 
yr molꝺ neꝺan.
2 Ek man ıǫꞇna 
ąr vm borna 
þa er ꝼorðum 
mık ꝼæꝺꝺa hǫꝼðv: 
nıu man ek heıma 
nıu ıuıꝺıur 
mıǫꞇvıð męran 
yrır mollꝺ neðan.
    Nota
2
3 Ar uar alꝺa 
þar er ymır bygðı 
vara ſanꝺr nę ſęr 
ne ſualar uır 
ıoꝛð ꝼaz ęva 
ne upp hımın 
gap uar gıvnga 
e graſ hvergı.
3 Aar uar allꝺa 
þar er ymır bygðı 
vara ſanꝺr ne ſıor 
ne ſvalar unnır 
ıǫrð ꝼannz ęꝼa
ne vpp hımınn 
gap var gınnvnga 
enn graſ ekkı.
{5} Ár var halꝺa
þaꞇ er eckı var;
vara ſanꝺr ne ſær
ne ſvalar vnnır,
ıoꝛð ꝼannz eıgı
ne vphımınn,
gap var gınnunga,
en graſ eckı.
Nota
3
4 Aꝺr bvrſ ſynır 
bıoðom um ypðo 
þr er mıð garð 
mǫꝛan ſcopo. 
ſol ſceın ſuan 
a ſalar ſꞇeına 
þa var grvnꝺ groın 
grǫnom laukı.
4 Aaꝺr borſ ſynır 
bıǫðum oꝼ ypꞇu 
þr er męran 
mıðgarð 﫦opu 
ſol 﫦eınn ſunnan 
ą ſalar ſꞇeına 
þa uar grunꝺ groın 
grænum laukı.
    Nota
4
5 Sol varp ſvan 
ſıı mana 
henꝺı ıı hǫgrı 
vm hımın ıoꝺyr
ſol þaꞇ ne uı
ı
huar hon ſalı aꞈı 
ſꞇıoꝛnoꝛ þaꞇ ne vı
hvar þęr ſꞇaðı aꞈo 
manı þaꞇ ne vı﫭ı 
hvaꞇ hann megınſ aꞈı.
5 Sol uarp ſunnan 
ſınnı mąna 
henꝺıınnı hægrı 
oꝼ ıoꝺur 
ſol þaꞇ ne uı﫭ı 
huar hon ſalı ąꞈı 
ſꞇıǫrnur þaꞇ ne uı﫭u 
hvar þær ſꞇaꝺı ąꞈu 
mąnı þaꞇ ne vı﫭ı 
hvaꞇ hann megınſ aꞈı.




{
10}
Sol þaꞇ ne vı﫭ı
hvar hon ſalı aꞈı;
manı þaꞇ ne vı﫭ı
hvaꞇ hann megınſ aꞈı;
ſꞇıoꝛnvr þaꞇ ne vı﫭v
hvar þær ſꞇaþı aꞈv.
Nota
5
6 Þa gengengo regın oll 
arꜹk ſꞇola 
gıhęılog goꝺ 
⁊ vm þaꞇ gęꞈvz
noꞈ
nıþıom 
nꜹꝼn vm gaꝼo 
moꝛgın heꞇo 
mıðıan ꝺag 
vnꝺoꝛn 
apꞇan 
árom aꞇ ꞇelıa.
6 Þa gengu regın ǫll 
ą rǫkſꞇola 
gınnheılvg goð 
ok vm þaꞇ gıeꞈuz 
noꞈ ok nıðıum 
nǫꝼn vm gąꝼu 
morgın heꞇv 
ok mıðıan ꝺag 
vnꝺvrn ok apꞇan 
ąrum aꞇ ꞇelıa.
    Nota
6
7 Hıꞈoz æſır 
a ıꝺa uellı 
þr er hꜹrg ⁊ hoꝼ 
haꞇımbroðo. 
aꝼla lꜹgðo 
ꜹð ſmıðoþo 
ꞇangır ſcopo 
⁊ ꞇol goꝛðo.
7 Hıꞈuz æſır
ą ıꝺauellı 
aꝼlſ koſꞇuðv 
allz ꝼreıſꞇuðu 
aꝼla lǫgðu 
auð ſmıðuðu
ꞇangır 﫦opv 
ok ꞇol gıǫrꝺu.
    Nota
7
8 Ꞇeꝼlðo ıꞇvnı 
ꞇeıꞇır voꝛo 
var þeım veꞈergıſ
vanꞇ oꝛ gullı. 
vz ııı. qvomo 
þurſa meyıar 
amaꞇkar mıoc 
oꝛ ıoꞇvn heımom.
8 Ꞇeꝼlꝺu ıꞇvnı 
ꞇeıꞇır uorv 
var þm ueꞈugıſ
vanꞇ or gullı 
unz þrıar komv 
þu﫭a meyıar 
ąmaꞇkar mıǫk 
or jǫꞇvn heımvm.
    Nota
8
9 Þa g. r. a. ar. 



hverr ſcylꝺı ꝺuerga
ꝺroꞇın ſcepıa 
oꝛ bmıſ bloðı 
⁊ oꝛ blam leıom.
9 Þa gengu regın ǫll 
ą rǫkſꞇola 
gınnheılug goð 
ok vm þaꞇ gıæꞈuz 
hverer 﫦yllꝺu ꝺuergar
ꝺroꞈır 﫦epıa 
or brımı bloðgv 
ok or blaınſ leggıum.
{15} Þa gengv regın ꜹll
arokſꞇola,
gınnheılvg goð,
 oꝼ þaꞇ geꞈvz,
aꞇ 﫦ylꝺı ꝺverga
[ꝺr]oꞈ oꝼ 﫦epıa
oꝛ brımı bloðgo
 oꝛ blam 﫩eggıvm.
Nota
9
10 Þar moꞇſognır 
mǫzꞇr vm oꝛðınn 
ꝺverga allra 
e ꝺvrı aa 
þr manlıcon 
moꝛg vm goꝛðo 
ꝺvergar oꝛ ıoꝛðo 
ſem ꝺvrı ſagꝺı.
10 Þar uar moꝺſognır 
męzꞇr oꝼ orðınn 
ꝺuerga allra 
enn ꝺurınn anna 
þr manlıkan 
mǫrg oꝼ gıorðv 
ꝺuerga ı ıǫrðu 
ſem ꝺurınn ſagðı.




{
16}
Þar manlıkvn
moꝛg oꝼ gerþvz,
ꝺvergar ııoꝛþv,
ſem Ꝺvrınn ſagþı.
Nota
10
11 Nyı ⁊ nıþı 
noꝛðrı ⁊ ſuðrı 
ꜹſꞇrı ⁊ ueſꞇrı 
alþıoꝼr ꝺvalı. 


bıvꜹ bavꜹ 
bꜹmbu noꝛı 
án ⁊ ana 
aı mıoðvıꞇnır.
11¹





12¹
Nyı nıðı 
norðrı ſuðrı 
auſꞇrı veſꞇrı 
alþıoꝼr ꝺualınn
naar ok naınn
nıpıngr ꝺaınn 
Bıꝼv baꝼv 
bǫmbv norı 
ąn ok ona 
aı mıǫðvıꞇnır
{17} Nyı, Nıþı,
Noꝛðrı, Svðrı,
Ꜹſꞇrı, Veſꞇrı,
Alþıolꝼr, Ꝺvalınn,
Nár, Naınn,
Nıpıngr, Ꝺaınn,
Bıꝼvrr, Baꝼvrr,
Bꜹmbꜹrr, Noꝛı,
<Orı>, Onarr,
Oınn, Mǫðvıꞇnır,
Nota
11
12 Veıgr ⁊ ganꝺalꝼr 
vınꝺalꝼr þraı 
þeccr ⁊ þoꝛı 
þroꝛ vıꞇr ⁊ lıꞇr
nár ⁊ nyraþr 
nv heꝼı ec ꝺverga 
regı ⁊ raðſuıꝺr 
reꞈ um ꞇalþa.
11²

12²
ueggr ganꝺ alꝼr 
uınꝺąlꝼr þorınn.
þrar ok þraınn 
þror lıꞇr ok vıꞇr 
nyr ok nyrąðr 
nv heꝼı ek rekka 
regınn ok rąðſvıðr 
reꞈ vm ꞇalða.
{1}

{
1}
Vıgr  Gannꝺalꝼr,
Vınnꝺalꝼr, Þoꝛınn,
Þroꝛ, Þroınn,
Þeckr, Lıꞇr, Vıꞇr,
Nyr, Nyraðr,
Reckr, Raðſvıðr.
Nota
12
13 Ꝼılı kılı 
ꝼvnꝺı. nalı. 
hepꞇı. vılı 
hana ſvıo. 




ꝼrar hoꝛnboꝛı. 
ꝼręgr ⁊ lonı. 
13 Ꝼılı kılı 
ꝼunnꝺın nalı 
heꝼꞇı ꝼılı 
hana ok ſvıꝺ 
nąr ok naınn 
nıpıngr ꝺáınn 
bıllıngr brunı 
bıllꝺr ok burı 
ꝼror ꝼornbogı 
ꝼręg ok lonı.
{1} Ꝼılı, Kılı,
Ꝼvnꝺın, Valı,
 


 

Nota
13
  ꜹrvangr. ıarı 
eıkınſcıalꝺı.
14 Aurvangr ıarı 
eıkın 﫦ıallꝺı 
    Nota
14
14 Mal er ꝺverga 
ıꝺvalıſ lıðı 
lıona kınꝺom 
ıl loꝼarſ ꞇelıa. 
þr er ſoꞈo 
ꝼra ſalar ſꞇæını 
ꜹrvanga ſıꜹꞈ 
ıl ıóro valla.
  mąl er ꝺuerga 
ı ꝺualınſ lıðı
lıona kınꝺum 
ıl loꝼarſ ꞇelıa 
þm er ſoꞈu 
ra ſalar ſꞇeını 
ǫrvanga ſıǫꞇ 
ıl ıǫrv valla.
   
15 Þar var ꝺrꜹpnır 
⁊ ꝺolgþraſır 
hár hꜹg 﫬oꝛı
hlęvangr gloı. 
15 Þar var ꝺrauꝼnır 
ok ꝺolgþraſer 
hąr haug﫬orı 
hlevargr gloınn 
{19} Ꝺrꜹpnır, Ꝺolgþvarı,
Hꜹrr, Hvgstarı,
Hleðıolfr, Gloınn,
Ꝺoꝛı, Orı,
Ꝺúfr, Andvarı,
Heptıfılı,
Hárr, Sıarr.
Nota
15
  ſcırvır. vırvır. 
ſcaꝼıþr. aı. 
alꝼr ⁊ yngvı
eıkınſcıalꝺı. 
ꝼıala ⁊ ꝼroſꞇrı 
ꝼır ⁊ gıa. 
  ſcırꝼır vırvır 
﫦aꝼıðr aı 
aalꝼr ok yngvı 
eıkın﫦ıallꝺı.
{20} Skırpır, Vırpır,
Skaꝼıðr, Aı,
Alꝼr, Ingı,
Eıkınn, Skıalꝺı,
Ꝼalr, Ꝼroſꞇı,
Ꝼıþr, Gınnarr.
Nota
16
  þaꞇ mvn vppı
meþan ꜹlꝺ lıꝼır 
langnıþıa ꞇal 
loꝼarſ haꝼaꞇ.
16 Þaꞇ man æ vppı 
meðan ǫllꝺ lıꝼır 
lang nıðıa ꞇal 
loꝼarſ haꝼaꞇ.
   
16 Vnz þrıár qvomo
oꝛ þvı lıþı 
ꜹꝼlgır ⁊ aſꞇgır 
ęſır aꞇ hvſı. 
ꝼvnꝺo alanꝺı 
lıꞈ meganꝺı 
aſc ⁊ emblo 
oꝛlꜹglꜹſa. 
nꝺ þꜹ ne áꞈo 
óþ þav ne hꜹꝼðo 
la ne lęꞇı 
ne lıꞇo goða.
17 Vnꝺz þrıar komu 
þu﫭a bruꝺır 
ąſꞇkır ok ǫꝼlgır 
æſer aꞇ huſı 
ꝼunꝺu ą lanꝺı 
lıꞈ meganꝺı 
a﫦 ok emblv 
orluglauſa 
ǫnꝺ þau ne aꞈu 
oð þau ne hǫꝼꝺu 
lą ne læꞇı 
ne lıꞇv goða.
    Nota
17
17 ꝺ gaꝼ oþı 
oþ gaꝼ hęnır 
la gaꝼ loðv 
lıꞇo goða.
18 Ǫnꝺ gaꝼ oðınn 
oꝺ gaꝼ hęnır 
lą gaꝼ loðv 
ok lıꞇv goða.
    Nota
18
18 Aſc ueıꞇ ec ſꞇanꝺa
heıꞇır yꝺraſıll 
hárbaðmr auſı 
huíꞇa aúrı. 
þan coma ꝺꜹvar 
þęrſ ıꝺala ꝼalla 
ſꞇenꝺr ę yꝼır grǫ 
vrðar brvı.
19 A﫦 ueıꞇ ek ſꞇanꝺa 
heıꞇır yggꝺraſıll
hąr baꝺmr auſınn 
huıꞇa aurı. 
þaðan koma ꝺǫggvar 
þęrſ ı ꝺala ꝼalla
ſꞇenꝺr æ yꝼır grænn 
vrðar brunnı.
{26} A﫦 veıꞇ ec ꜹſınn
heıꞇır Yggꝺraſılſ,
hár baþmr heılagr
hvıꞇa ávre;
þaþan koma ꝺꜹggvar,
er ıꝺalı ꝼalla;
ſꞇenꝺr hann æ yꝼır grvnn
Vrþarbrvnnı.
Nota
19
19 Þaðan coma meyıar 
margſ uıꞇanꝺı 
þrıar oꝛ þeım ſę 
er unꝺ þollı ſꞇenꝺr 
vrð héꞇo eına 
aðra verþanꝺı 
ſcáro aſcıðı 
ſcvlꝺ ena þrıðıo.
20 Þaðan koma meyıar 
margſ vıꞇanꝺı 
þrıar or þm ſal 
er a þollı ſꞇenꝺr. 
vrꝺ heꞇv eına 
aðra verꝺanꝺı 
﫦ąru ą 﫦ıðı 
﫦ullꝺ hına þrıðıu.
    Nota
20
20 Þęr lꜹg lꜹgðo 
þęr líꝼ kvro 
alꝺa boꝛnom 
órlꜹg ſeıa.
21 Þær lǫg logðu 
þær lıꝼ kuru 
allꝺa bǫrnum 
ǫrlǫg aꞇ ſegıa.
   
21 Þaꞇ man hon ꝼolc uíg 
ꝼyrſꞇ ıheımı 
er gvll ueıg
geırom ſꞇvꝺꝺv 
⁊ ıhꜹll hárſ 
hana brenꝺo.
26 Þaꞇ man hon ꝼolkuıg 
ꝼyrſꞇ ı heımı 
er gullueıg 
geırum ſꞇuꝺꝺı 
ok ı hǫll hąrſ 
hana brenꝺv 
    Nota
21
22 Þryſvar brenꝺo
þryſvar boꝛna 
opꞇ oſıalꝺan, 
þo hon e lıꝼır.
  þryſvar brenꝺv 
þryſvar borna 
opꞇ oſıallꝺan 
þo hon enn lıꝼır.
   
23 Heıꝺı hána heꞇo 
hvarſ ꞇıl hvſa com 
uólo vel 﫬á 
uıꞈı hon ganꝺa 
ſeıð hon kvı 
ſeıþ hon leıkı 
ę var hon angan 
ıllrar brvðar.
27 Heıðı hana heꞇu 
huarſ ꞇıl hvſa kom 
ok vǫlu vel 﫬a 
uıꞇı hon ganꝺa 
ſeıꝺ hon hvarſ hun kunnı 
ſeıꝺ hon hugleıkın 
æ var hon angann 
ıllrar bruðar.
    Nota
22
24 Þa g. r. a. a. 



huarꞇ ſcylꝺo ęſır 
aꝼrað gıalꝺa 
a ſcylꝺo goðın ꜹll 
gılꝺı eıga.
28 Þa gengv regın ǫll 
ą rǫk ſꞇola 
gınnheılvg goð 
ok vm þaꞇ gıeꞈuz 
huarꞇ 﫦yllꝺv æſır 
aꝼrąð gıallꝺa 
eðr 﫦yllꝺv guðın ǫll 
gıllꝺı eıga.
    Nota
23
25 Ꝼleygðı oðı 
⁊ ıꝼolc um ſcꞗꞇ 
þaꞇ var e ꝼolc vıg 
ꝼyrſꞇ ıhęımı. 
broꞇı var boꝛð uegr 
boꝛgar aſa 
knaꞈo vanır uıg﫬a 
uollo 﫬oꝛna.
29 Ꝼleygðı oðınn 
ok ı ꝼolk vm 﫦auꞇ 
þaꞇ var enn ꝼolkuıg 
ꝼy ı heımı 
broꞇınn var borðveggr 
borgar ąſa 
knaaꞈv vanır vıg 﫬a 
vǫllv 﫬orna.
    Nota
24
26 Þa g. r. a. 



hverır heꝼðı lopꞇ alꞇ 
lęvı blanꝺıꞇ 
a ęꞈ ıoꞇvnſ 
oþſ mey geꝼna.
22 Þa gengv regın ǫll 
ą rǫkſꞇola 
gınnheılugh goꝺ 
ok um þaꞇ gıęꞈuz 
hverr heꝼðı loꝼꞇ allꞇ 
lęvı blanꝺıꞇ 
ęðr æꞈ ıǫꞇunſ 
oðſ mey geꝼna.
{50} Þa gengv regın ꜹll
a rǫkſꞇola,
gınnheılvg goð,
 oꝼ þaꞇ geꞈvz,
hverr heꝼþı lopꞇ allꞇ
læꝼı blanꝺıꞇ
eþa æꞈ ıoꞇvnſ
Oðſ mey geꝼna.
Nota
25
27 Þoꝛr eı þar var 
þrvngın moðı 
hann ſıalꝺan ſıꞇr 
er hann 﫩ıcꞇ vm ꝼregn 
agengoz eıðar 
oꝛð ⁊ ſęrı 
mál ꜹll megın lıg 
er ameꝺal ꝼóro.
23 Þorr eınn þar vą 
þrungınn moꝺı 
hann ſıallꝺan ſıꞇr 
er hann 﫩ıkꞇ oꝼ ꝼregnn 
ą genguz eıðar 
orð ok ok ſærı 
maal ǫll megınlıg 
er ą meðal voru.
{51} Agengvz eıþar,
oꝛð  ſære,
mal ꜹll megınlıg,
er a meþal ꝼoꝛv.
Þoꝛr eınn þaꞇ vann,
þrvngın moþı,
hann ſıalꝺan ſıꞇr
er hann 﫩ıkꞇ oꝼ ꝼregn.
Nota
26
28 Veıꞇ hon heımꝺalar 
hlıoð vm ꝼolgıꞇ 
unꝺır heıðvonom 
helgom baðmı. 
á ſér hon ꜹſaz 
ꜹrgom ꝼoꝛſı 
aꝼ ueðı val ꝼꜹꝺrſ 
uıꞇoþ er en e. hvaꞇ.
24 Veıꞇ hun heımꝺallar 
hlıoð um ꝼolgıꞇ 
unꝺır heıꝺvǫnvm 
helgum baꝺmı 
ą ſer hon auſaz 
ǫrgum ꝼorſı 
aꝼ ueꝺı valꝼǫꝺrſ 
uıꞇu þer enn ęðr hvaꞇ.
    Nota
27
29 Eín ſaꞇ hon uꞇı 
þa er ı alꝺnı com 
yıóngr aſa 
⁊ ıꜹgo leıꞇ. 
hverſ ꝼregnıꞇ mıc 
hvı ꝼreıſꞇıþ mın 
alꞇ ueıꞇ ec oðı 
hvar þv ꜹga ꝼalꞇ 
ıenom męra 
mımıſ brvı 
ꝺreckr mıóð mımır 
moꝛgın hverıan 
aꝼ veþı v. 
v. e. e. h.
   





{
21}

Alꞇ veıꞇ ec Oþın,
hvar á ꜹga ꝼalꞇ
vr þeım envm mæra
Mımıſ brvnnı;
ꝺreckr moð Mımır
moꝛgvn hverıan
aꝼ veıþı Valꝼꜹðrſ.
Vıꞇvð þer en eþa hvaꞇ?

Nota
28
30 Valþı henne herꝼꜹðr 
hnga ⁊ men 
ꝼe 﫬ıoll 﫬aclıg 
⁊ 﫬a ganꝺa 
ſa hon uıꞈ ⁊ vm vıꞈ 
oꝼ verolꝺ hverıa.
29 Valðı hennı Herfǫðr
hrınga ok men;
fékk spjǫll spaklıg
ok spáganda;
sá vítt ok of vítt
of verǫld hverja.
    Nota
29
31 Sa hon valkyrıoꝛ 
víꞈ vm komnar 
gꜹrvar aꞇ rıða 
ıl goðþıoðar. 
ſcvlꝺ helꞇ ſcılꝺı 
enn ſcꜹgul ꜹoꝛ 
gvr. hılꝺr gꜹnꝺul 
⁊ geır ſcꜹgul. 
nv ero ꞇalþar 
nꜹoꝛ herıanſ 
goꝛvar aꞇ ríþa 
grvnꝺ valkyrıoꝛ.
        Nota
30
32 Ec ſa balꝺrı 
bloꝺgom ꞇıvoꝛ 
oꝺınſ barnı 
oꝛ log ꝼolgı 
ſꞇóð vm vaxı 
vollo hęrı 
mıór ⁊ mıoc ꝼagr 
mıſꞇılꞇeı.
        Nota
31
33 Varð aꝼ þeım meıðı 
er mer ſynꝺız 
harmꝼlꜹg hęꞈlıg 
hꜹþr nam ſcıóꞇa. 
balꝺrſ broðır 
vár oꝼ boꝛı ſnęmm
ſa nam oþınſ ſónr 
eın nęꞈr vega.
        Nota
32
34 Þo hann ęva henꝺr 
ne hꜹꝼ kembþı 
r a bál vm bar 
balꝺrſ anꝺſcoꞇa. 
en ꝼrı um gréꞇ 
ıꝼenſꜹlom 
ua val hallar. 
v. e. e. e. h.
        Nota
33
    30 Þa kna vala 
vıgbonꝺ ſnua 
hellꝺr voru harðgıor 
hǫꝼꞇ or þǫrmum 
    Nota
34
35 Hapꞇ ſa hon lııa 
unꝺır hvera lunꝺı 
lę gıarn lıcı 
loca aþeckıan. 
þar ſıꞇr ſıgyn 
þeygı vm ſınom 
ver velglyıoð 
v. þ. e. h.
 



þar ſıꞇr ſıgyn 
þeygı vm ſınum 
ver uel glyıuꞇ 
vıꞇv þer enn eða hvaꞇ.
    Nota
35
36 A ꝼellr ꜹſꞇan 
um eıꞇr ꝺala 
ſꜹxom ⁊ ſverþom
﫩ıþr heıꞇır ſv. 
        Nota
36
  Sꞇoꝺ ꝼyr noꝛðan 
anıþa vollom 
ſalr oꝛ gvllı 
ſınꝺra ęꞈar. 
enn aa ſꞇoð 
a okolnı 
bıoꝛ ſalr ıoꞇvnſ 
en ſa bmır heıꞇır.
        Nota
37
37 Sal ſa hon ſꞇanꝺa 
ſolo ꝼıáı 
na ſꞇronꝺo a 
noꝛþr hoꝛꝼa ꝺy. 
ꝼello eıꞇr ꝺropar 
ı vm lıóra 
ſa er unꝺı ſalr 
oꝛma hryıom.
34 Sal ſıer hon ſꞇanꝺa 
ſolu ꝼıaı
nąſꞇrǫnꝺu ą 
norðr horꝼa ꝺy
ꝼalla eıꞇrꝺropar 
ınn vm lıora 
ſą er unꝺınn ſalr
orma hryggıum.
{64} Sal veıꞇ ec ſꞇanꝺa
ſolv ꝼıarrı
Naſꞇrꜹnꝺv a,
noꝛðr hoꝛꝼa ꝺyrr;
ꝼalla eıꞇrꝺropar
ınn oꝼ lıoꝛa,
ſa er vnꝺın ſalr
oꝛma hryggıvm.
Nota
38
38 Sa hon þar vaþa 
þvnga ſꞇrꜹma 
menn moꝛð vargar
⁊ meınſvara.
⁊ þa aarſ glepr 
eyra rvno 
þar ſvg nıþ hꜹr 
náı ꝼram gengna 
﫩ęıꞇ vargr ver
v. e. e. e. h.
35 Ser hon þar vaða 
þunga ſꞇrauma 
menn meınſvara 
ok morꝺvarga 
ok þannz annarſ glepr 
eyrna runa 
þar ſavg nıðhǫggr 
naı ꝼramgengna 
﫩eıꞇ vargr ver
vıꞇv þer enn eða hvaꞇ.
{65}





{
66}
Skvlv þar vaþa
þvnga ſꞇrꜹma
menn meınſvara
 moꝛðvargar.


Þa qvelr Nıðhꜹggr
naı ꝼramm genga.
Nota
39
39 Ꜹſꞇr ſáꞇ ın alꝺna 
ı ıarn uıþı 
⁊ ꝼǫꝺꝺı þar 
ꝼenrıſ kınꝺır
verþr aꝼ þeım ꜹllom 
eıa noccoꝛr 
ꞇvnglſ ꞇıvgarı 
ıꞇrollz hamı.
25 Auſꞇr byr hın allꝺna 
ı ıarnvıꝺı 
ok ꝼeðır þar 
ꝼenrıſ kınꝺır 
verðr aꝼ þm ǫllum 
eınna nokkur 
ꞇunglſ ꞇ..garı 
ı ꞇrollz hamı. 
ꝼyllız ꝼıǫrꝼı 
ꝼeıgra mann
ryðr ragna ſıǫꞇ 
rauðum ꝺreyra 
ſvǫrꞇ verꝺa ſol﫦ın 
um ſumvr eꝼꞇır 
ueðr ǫll ualynꝺ 
uıꞇv þer eınn enn ęꝺr hvaꞇ
{13} Ꜹſꞇr byr en allꝺna
í Iarnvıþı
 ꝼæþır þar
ꝼenrıſ kınꝺır;
verþr oꝛ þeım ꜹllvm
eınna nockvrr
ꞇvnglſ ꞇıvgarı
ıꞇrꜹllz hamı.
Nota
40
40 Ꝼyllız ꝼıoꝛvı 
ꝼeıgra mann
ryþr ragna ſıóꞇ 
rꜹðom ꝺreyra 
ſvarꞇ var þa ſol ſcín 
oꝼ ſvmoꝛ epꞇır 
veþr oll valynꝺ 
v. e. h.
  {14} Ꝼyllız ꝼıoꝛvı
ꝼeıgra manna;
ryðr ragna ſıꜹꞇ
rꜹþvm ꝺreyra;
ſvꜹrꞇ verþa ſol﫦ın
oꝼ ſvmvr epꞇır,
verþr ꜹll valvnꝺ.
Vıꞇvð er enn eþa hvaꞇ?
Nota
41
    31 Geyr garmr mıǫk 
yrır gnupa hellı 
ꝼeſꞇr man 﫩ıꞇna 
enn ꝼrekı renn
ꝼramm ſe ek lengr
ꝼıǫlð kann ek ſegıa 
um ragna rǫk 
rǫmm ſıgꞇıva.
     

41

Saꞇ þar a hꜹgı
⁊ 﫩ó hꜹrpo 
gygıar hırþır 
glaꝺr eþęr. 
gól vm hanom 
ıgagl vıþı 
ꝼagr rꜹꝺr hánı 
ſa er ꝼıala heıꞇır.

32

Saꞇ þar ą haugı 
ok 﫩o hǫrpu 
gygıar hırðır 
glaðr egðır 
gol yꝼır 
ıgalguıðı 
ꝼagr rauðr hanı 
enn ſa ꝼıalaR heıꞇır.

 

 

Nota
42
42 Gól um aſom 
gullıncambı 
ſa uecr hꜹlþa 
aꞇ hıarar aꞇ herıaꝼꜹꝺrſ. 
e aa gelr 
yr ıoꝛð neðan 
ſóꞇ rꞗþr hánı 
aꞇ ſꜹlom helıar.
33 Gol yꝼır ąſum 
gullın kambı 
ſa vekr hǫlꝺa 
aꞇ herıa ꝼǫðrſ 
enn annaR gelr
ꝼyr ıǫrð neðan 
ſoꞇ rauðr hanı 
aꞇ ſǫlum helıar.
    Nota
43
43 Geyr garmr mıoc 
yr gnıpa hellı 
ꝼeſꞇr mvn 﫩ıꞇna 
e ꝼrekı rea 
ꝼıolþ veıꞇ hon ꝼrǫða 
ꝼram ſe ec lengra 
vm ragna rꜹc 
rꜹm ſıgꞇyva.
36 Geyr nu garmr mıok 
yrır gn. h. 
ꝼ. man 﫩. 
enn ꝼ.
    Nota
44
44 Broþr mvno berıaz 
⁊ aꞇ bꜹom verþa 
mvno ſyſꞇrvngar 
ſıꝼıom 﫬ılla 
hárꞇ er ı heımı 
hór ꝺomr mıcıll 
ſceꜹlꝺ ſcalm ꜹlꝺ 
ſcılꝺır ro kloꝼnır 
37 Bræðr munu berıaz 
ok aꞇ bǫnum verðaz 
munu ſyſꞇrungar 
ſıꝼıum 﫬ılla 
harꞇ er ı heımı 
horꝺomr mıkıll 
﫦eggǫll 﫦ąlmǫllꝺ 
﫦ıllꝺır kloꝼnır.
{53} Bræðr mvnv berıaz
 aꞇ bꜹnvm verþaz
mvnv ſyſꞇrvngar
ſıꝼıvm 﫬ılla;
harꞇ er með hꜹlðvm
hoꝛꝺómr mıkıll,
﫦eggıollꝺ, 﫦almǫlꝺ,
﫦ılꝺır kloꝼnır,
Nota
45
  nꝺꜹlꝺ vargꜹlꝺ 
r verolꝺ ſꞇeypız 


mvn engı maþr 
oðrom þyrma.
38 Vınꝺ ǫllꝺ vargǫllꝺ 
ąðr verǫllꝺ ſꞇeypız 
grunꝺır gıalla 
gıꝼr ꝼlıuganꝺı 
man eıngı maðr 
ǫðrum þyrma.
  vınꝺávlꝺ, vargǫlꝺ,
aðr verǫlꝺ ſꞇeypız.
45 Leıca mımſ ſynır 
e mıoꞇvðr kynꝺız 
aꞇ en galla 
gıallar hoꝛnı 
haꞈ blę heımꝺallr 
hoꝛn er alopꞇı 
męlır oðı
vıð mımſ hꜹꝼ
39 Leıka mımſ ſynır 
enn mıǫꞇvðr kynꝺız 
aꞇ hínv gamla 
gıallar hornı 
hąꞈ blę﫭 heımꝺallr 
horn er ą lopꞇı 
męler oðınn 
vıð mımſ hǫꝼuꞇ.




{
54}
Háꞈ blæ﫭 Heımꝺallr,
hoꝛn er a lopꞇ,
mey Oþınn
vıð Mımſ hꜹꝼvꞇ;
Nota
46
  Ymr ıþ alꝺna ꞇre 
e ıóꞇv loſnar 
ſcelꝼr yꝺraſılſ 
aſcr ſꞇanꝺanꝺı.
40 Skelꝼr yggꝺraſılſ 
a﫦r ſꞇanꝺanꝺı 
ymr hıꝺ allꝺna ꞇre 
enn ıǫꞇunn loſnar 
  﫦elꝼr Ygꝺraſılſ
a﫦r ſꞇanꝺannꝺı,
ymr eꞇ alna ꞇre,
en ıoꞇvnn loſnar.
Nota
47
      hræꝺaz allır 
ą helvegum 
ąðr ſurꞇar þann 
ſevı oꝼ gleypır.
 
46 Hvaꞇ er m aſom 
hvaꞇ er m alꝼom 
gnyr allr ıoꞇvn heım
ęſır ro aþıngı 
ſꞇynıa ꝺvergar 
yr ſꞇeın ꝺvrom 
ve bergſ vıſır 
v. e. e. h.
41 Hvaꞇ er með ąſum 
hvaꞇ er með alꝼum 
gnyr allr ıǫꞇun heımr
æſır eru ą þıngı 
ſꞇynıa ꝺvergar 
yrır ſꞇeınꝺyrvm 
vegbergſ uıſır 
uıꞇv þer enn eða hvaꞇ.
{55} Hvaꞇ er með aſvm?
hvaꞇ er með alꝼvm?
ýmr allr Ioꞇvnheímr,
æſır ró aþıngı;
ſꞇynıa ꝺvergar
ꝼırır ſꞇeınꝺvrvm,
veggbergſ vıſır;
vıꞇvð ér enn eþa hvaꞇ?
Nota
48
47 Geyr nv g. 42 Geyr nu garmr mıok 
yrır gnıpa hellı 
ꝼ. m.
    Nota
49
48 Hrymr ekr ꜹſꞇan 
heꝼız lınꝺ ꝼyr 
ſnyz ıoꝛmvnganꝺr 
ı ıoꞇvn moðı. 
oꝛmr knyr vır 
e arı hlaccar 
﫩ıꞇr naı neꝼ ꝼꜹlr 
nagl ꝼar loſnar.
43 Hrymr ekr auſꞇan 
hęꝼız lınꝺ ꝼyrır
ſnyz ıǫrmunganꝺr 
ı ıǫꞇunmoðı 
ormr knyr unnır 
enn arı hlakkar 
﫩ıꞇr naı nıðꝼǫlr 
naglꝼar loſnar.
{56} Hrymr ecr ꜹſꞇan,
heꝼız lınꝺ ꝼırır;
ſnyz ıoꝛmvnganꝺr
ııoꞇvnmoþı
oꝛmr kyrr vnnır,
ꜹrn mvn hlacka,
﫩ıꞇr naı nıðꝼꜹlr,
Naglꝼal loſnar.
Nota
50
49 Kıoll ꝼe ꜹſꞇan 
koma mvno mv﫬ellz 
vm lꜹg lyꝺır 
e lokı ſꞇyrır 
ꝼara ꝼıꝼlſ megır 
m ꝼreka allır 
þeım er broꝺır 
by leıpz ıꝼór.
44 Kıoll ꝼerr auſꞇan 
koma munu mu﫬ellz 
vm lǫgh lyðer 
enn lokı ſꞇyrır 
ꝼarar ꝼıꝼlmegır 
með ꝼreka aller 
þm er broðır 
byleıſꞇz ı ꝼerꝺ.
{57} Kıoll ꝼerr ꜹſꞇan,
koma mvnv Mv﫬ellz
oꝼ lꜹg lyþır
en Lokı ſꞇyrır;
þar ró ꝼıꝼlmegır
með ꝼreka allır;
þeım er broþır
Byleız ıꝼꜹr.
Nota
51
50 Surꞇr ꝼe ſvan 
m ſvıga lęꝼı 
ſcı aꝼ ſverþı 
ſol valꞇíꝼa. 
grıoꞇ bıoꝛg gnaꞇa 
e gıꝼr raꞇa 
ꞇroþa halır helveg 
en hımın cloꝼnar.
45 Surꞇr ꝼerr ſunnan 
með ſuıga lęvı 
﫦ınn aꝼ ſuerꝺe 
ſol valꞇıꝼa 
grıoꞇbıǫrg gnaꞇa
enn gıꝼr raꞇa 
ꞇroða haler helveg 
enn hımınn kloꝼnar.
{58} Svrꞇr ꝼerr ſvnnan
með ſvıga leıvı;
﫦ınn aꝼ ſverþı
ſol valꞇıva;
grıoꞇbıoꝛg gnaꞇa,
en gıꝼr raꞇa,
ꞇroþa halır helveg,
en hımınn kloꝼnar.
Nota
52
51 Þa cǫmr hlınar 
harmr aa ꝼra
er oðı ꝼe 
vıð ulꝼ vega
en banı belıa 
bıarꞇr aꞇ ſurꞇı 
þa mvn ꝼıar 
ꝼalla angan ꞇyr.
46 Þa kemr hlınar 
harmr annaR ꝼramm 
er oðın ꝼerr 
vıð vlꝼ vega 
enn banı belıa 
bıarꞇr aꞇ ſurꞇı 
þar man ꝼrıggıar 
ꝼalla angann.
{59} Þa kmr Hlınar
hamr annarr ꝼram,
er Oþınn ꝼerr
vıð vlꝼ vega,
en banı Belıa
bıarꞇr aꞇ Svrꞇı;
þar mvn Ꝼrıggıar
ꝼalla angan.
Nota
53
    47 Geyr nu garmr mıǫk 
yrır gnıpa hellı 
ꝼ. m.
    Nota
54
    48 Gınn loꝼꞇ yꝼer
gıǫrð ıarðar . eð . . 
. . . . . . g . ar 
ormſ . . eꝺvm 
. . . oðınſ ſvn 
ormı męꞇa 
uargſ aꞇ . . .
uıðarſ . . . . . .
     
52 Þa kǫmr ı mıclı 
mꜹgr ſıgꝼꜹꝺur 
víða vega 
aꞇ val ꝺyrı. 
leꞇr hann megı hveꝺrvngſ 
mvnꝺ vm ſꞇanꝺa 
hıór ꞇıl hıarꞇa
þa er heꝼnꞇ ꝼꜹꝺur.
    {60} Gengr Oþınſ ſon
vıð vlꝼ vega,
Vıþarr oꝼ veg
aꞇ valꝺyrı;
læꞇr hann megı Hveðrvgſ
mvnꝺ oꝼ ſꞇanꝺa
hıoꝛr ꞇıl hıarꞇa;
þa er heꝼnꞇ ꝼꜹþvr.
Nota
55
53 Þa kǫmr ı mǫꝛı 
mꜹgr hloꝺynıar 
gengr oþınſ ſon
vıꝺ ulꝼ vega 
ꝺrepr hann aꝼ moþı 
mıðgarz uęoꝛ
mvno halır allır 
heım ſꞇǫꝺ ryþıa 
gengr ꝼeꞇ nío 
ꝼıoꝛgynıar bv 
neppr ꝼra naðrı 
nıðſ oqvıðnom.
49

. . . . . . . . . . 
. . . . . . . . . . 
. . . . . . . . . . 
. . . . . . . . . .
munu halır al . . . 
. . . . . . yꝺıa 
. . . . . . . . . . 
. . . . . . . . . .
{61} Gengr ınn mærı
mǫgr Hlǫðynıar
nepr aꞇ naþrı
nıðſ oqvıðnvm;
mvnv hallır allır
heımſꞇeıð ryðıa,
er aꝼ moþı ꝺrepr
Mıðgarðz veoꝛr.
Nota
56
54 Sol ꞇer ſoꝛꞇna
ſıgr ꝼolꝺ ımar 
hverꝼa aꝼ hımnı 
heıðar ſꞇıoꝛnoꝛ. 
geıſar eímı
vıþ alꝺr nara 
leıcr har hıꞇı 
uıð hımın ſıalꝼan.
50 [Sol] ꞇer ſorꞇna 
ſıgr ꝼollꝺ ımar 
huerꝼa aꝼ hımnı 
heıðar ſꞇıǫrnur
[ge]ıſar eımı 
ok allꝺrnarı 
leıkr hąr hıꞇı 
vıð hımın ſıalꝼan.
{6}
{
62}
Sól mvn ſoꝛꞇna,
ſꜹckr ꝼolꝺ ımar,
hverꝼa aꝼ hımnı
heıþar ſꞇıoꝛnvr;
geıſar eımı
 alꝺrnarı,
leíkr har hıꞇı
vıð hımın ſıalꝼan.
 
Nota
57
55 Geyr n. 51 Geyr [nu] garmr mıǫk 
yrır gnıpa hellı 
ꝼeſꞇr man 﫩ıꞇna 
enn ꝼrekı r.
    Nota
58
56 Ser hon upp koma 
ꜹðro ſıı 
ıoꝛð oꝛ ęgı 
ıþıa grǫna. 
ꝼalla ꝼoꝛſar 
ꝼlygr ꜹrn yꝼır 
ſa er aꝼıallı 
ꝼıſca ueıðır.
52 [Se]r hon vpp koma 
ǫðru ſınnı 
ıǫrð or ægı 
ıðıa græna 
ꝼalla ꝼorſar 
ꝼlygr ǫrn yꝼır 
ſą er áa ꝼıallı 
ꝼı﫦a veıðır.
    Nota
59
57 Ꝼıaz ęſır 
aıþa vellı 
⁊ vm molꝺ þınvr 
maꞇka ꝺǫm


⁊ a ꝼımbvl ꞇyſ 
ꝼoꝛnar rvnar.
53 Hıꞈaz æſer 
ı ıða uellı 
ok um mollꝺ þınur 
maꞇkan ꝺęma 
ok mınnaz þar 
a megın ꝺoma 
ok a ꝼımbulꞇyſ 
ꝼornar runar.
    Nota
60

58

Þar mvno epꞇır 
vnꝺr ſamlıgar 
gvllnar ꞇꜹꝼloꝛ 
ıgraſı ꝼıaz. 
þerſ ı arꝺaga 
aꞈar hoꝼðo.

54

Þa munu æſer 
unꝺrſam legar 
gullnar ꞇǫꝼlur 
ı graſı ꝼınn
þærſ ı aarꝺaga 
aaꞈar hǫꝼðv.

 

  Nota
61
59 Mvno oſanır 
acrar uaxa 
bꜹlſ mvn allz baꞇna 
balꝺr mvn coma. 
bva þr hꜹþr ⁊ balꝺr 
hropꞇz ſıgꞇopꞇır 
vel valꞇıvar 
v. e. e. h.
55 Munu oſaanır 
akrar uaxa 
bǫlſ man allz baꞇna 
man ballꝺr koma 
bua þr hǫðr ok ballꝺr 
hropꞇz ſıgꞇoꝼꞇır 
vel uellꞇıꝼar 
uíꞇu þer enn eðr hvaꞇ.
    Nota
62
60 Þa kna hǫnır 
hlꜹꞇ vıþ kıoſa 
⁊ byrır byıa 
brǫꝺra ꞇveıa. 
vınꝺ heım vıꝺan 
v. e. e. h
56 Þa kna hęnır 
hlvꞇvıð kıoſa 
er burır byggıa
bræðra ꞇueggıa 
vınꝺheım vıðan 
vıꞇv þer enn ęðr hvaꞇ.
    Nota
63
61 Sal ſer hon ſꞇanꝺa 
ſolo ꝼegra 
gvllı þacþan 
agImlé 
þar ſcolo ꝺyvar 
ꝺroꞈır byıa 
⁊ vm alꝺr ꝺaga 
ynþıſ nıoꞇa.
57 Sal ſer hon ſꞇanꝺa 
ſolu ꝼegra 
gullı þakꞇan 
a gımle. 
þar 﫦olo ꝺyggvar
ꝺroꞈır byggıa 
ok vm allꝺrꝺaga 
ynꝺıſ nıoꞇa.
{27} Sal veıꞇ ec ſꞇanꝺa
ſolv ꝼegra,
gvlle beꞇra
aGımle,
þar 﫦vlo ꝺyggvar
ꝺroꞈır byggıa
 oꝼ allꝺrꝺaga
ynꝺıſ nıoꞇa.
Nota
64
    58 Þa kemr hınn rıkı 
aꞇ regınꝺomı 
ǫꝼlugr oꝼan 
ſa er ǫllu ræðr.
    Nota
65
62 Þar kǫmr ı ꝺımmı 
ꝺrekı ꝼlıvganꝺı 
naþr ꝼra neþan 
ꝼra nıþa ꝼıollom
be ſer ıꝼıoþrom 
ꝼlygr vꜹll yꝼır 
nıþhꜹr naı 
nv mvn hon ſeyqvaz.
59 Kemr hınn ꝺımmı 
ꝺrekı ꝼlıuganꝺı 
naðr ꝼraann neðan 
ra nıða 
berr ſıer ı ꝼıǫðrum 
ꝼlygr uǫll yꝼır 
nıðhoggr naı 
nv man hon ſǫkkvaz.
    Nota
66
             
Bibliografia
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BIBLIOGRAFIA
Archivio: Biblioteca - Guglielmo da Baskerville
Sezione: Fonti - Nabū-kudurri-uṣur
Area: Germanica - Brynhilldr
Traduzione e note della Redazione Bifröst.
Creazione pagina: 07.01.2005
Ultima modifica: 03.02.2016
 
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