1 -
BRAGI
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Bragi assiso con l'arpa, Iðunn in piedi accanto a lui
(✍1846) |
Dipinto di Nils Blommér (1816-1853) |
Museo: [Blómmer]► |
i è tra gli
Æsir un dio chiamato
Bragi. È figlio di
Óðinn e possiede vasta saggezza. Ha rune
incise sulla lingua, e forse per questo è tanto eloquente nel parlare. Ancora
più abile è nell'arte della poesia, di cui è detto essere il più antico
creatore. Dal suo nome, è infatti chiamata bragr l'arte scaldica e
bragi viene chiamato chi, uomo o donna, possiede al massimo grado il dominio
sulla parola. Dotato di una lunga e folta barba, egli conosce a menadito tutte
le kenningar e le metafore poetiche, e le spiegò ad
Ægir nel
corso di un banchetto, senza nascondergli i miti e i racconti che le avevano
originate.
Sposa di
Bragi è
Iðunn,
la dea che custodisce i pomi della giovinezza.
Bragi ha dei figli e anche dei figli
adottivi.
Non è certo un guerriero,
Bragi, anche
se all'occorrenza si mostra orgoglioso e afferma di essere pronto a battersi con
chiunque. Ma preferisce rasserenare gli animi piuttosto che esacerbarli. Quando
Loki lo
insultò, alla corte di Ægir, definendolo un vile, egli preferì acquietarlo
donandogli un cavallo, una spada e un bracciale. Ma poiché l'altro non cessava
di provocarlo, Bragi dichiarò senza
mezzi termini che gli avrebbe mozzato il capo, se non fossero stati ospiti nella
sala del gigante marino.
D'altra parte, pur non essendo un combattente,
Bragi frequenta la
Valhǫll dove, insieme ad
Hermóðr, accoglie i rinomati sovrani
che cadono in battaglia. |
2 - IÐUNN
posa di Bragi è
Iðunn, la dísa degli dèi. Ella
custodisce, nel suo scrigno di frassino, le mele della giovinezza. Quando gli
Æsir invecchiano, basta mangino
quei frutti per ritornare di nuovo giovani, e così sarà fino al
ragnarǫk. Perciò, ella viene
chiamata mær ellilyf ása, la «ragazza
che guarisce gli Æsir dalla
vecchiaia». Un giorno, Loki la attirò fuori
delle mura dell'Ásgarðr. A quel punto,
il gigante Þjazi la rapì e la condusse
nella sua dimora, a Þrymheimr. I
hrímþursar salutarono con gioia l'arrivo di
Iðunn nella loro aspra terra ghiacciata.
Ma senza di lei, gli Æsir presero
a invecchiare rapidamente e i loro capelli divennero bianchi. Così, inviarono
Loki a liberarla per ricondurla di nuovo
nell'Ásgarðr. ①
Iðunn è una dea
pacifica, rasserenatrice. Quando, nella corte di
Ægir,
Loki e Bragi cominciarono a scambiarsi
insulti e minacce, ella intervenne a mettere pace. In quell'occasione
Loki le rinfacciò di essere una donna
vogliosa di uomini e di aver stretto tra le braccia persino l'assassino di suo
fratello. Non sappiamo chi fosse il fratello di
Iðunn e chi lo uccise (lo stesso
Bragi?). In realtà non sappiamo neppure se
l'accusa di Loki corrisponda al vero.
Non conosciamo la stirpe di
Iðunn. Alcuni affermano – ma si può dar
credito a voci tanto vaghe? – che
Iðunn discenda dalla schiatta degli
álfar e sia la minore dei figli maggiori di
Ívaldi.
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Iðunn elargisce le sue mele (✍
1890) |
Dipinto di James Doyle Penrose
(1862–1932) |
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Fonti
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I - BRAGI: UN ALTRO
DIO DELLA POESIA?
|
Bragi
(✍ ±1850) |
Illustrazione di Carl Wahlbom |
Bragi non è una divinità ben
caratterizzata. È ricordato solo tre volte nella
Ljóða Edda. In
Grímnismál
[44] si dice sia il
migliore tra gli scaldi; in Lokasenna [11-18],
Loki gli rinfaccia di essere più bravo a
scaldare le panche che a scendere in battaglia; in
Sigrdrífumál [16] si accenna al fatto che abbia rune incise sulla
lingua. È Snorri a definire esplicitamente la sua natura di dio della poesia, in
Gylfaginning [26].
Si ritiene che Bragi sia la divinizzazione di Bragi Boddason, semimitico scaldo del secolo
IX, che Snorri, citando dei versi tratti
dalla Ragnarsdrápa, definisce
«vecchio scaldo Bragi» [Bragi skáld gamli]
(Gylfaginning
[1]). In effetti la citazione di
Grímnismál
[44], in cui
si dice che Bragi sia il migliore tra gli scaldi, potrebbe riferirsi a una fase
nell'evoluzione del personaggio in cui l'antico poeta scandinavo stava ormai
passando dalla storia della letteratura alla mitologia.
Detto questo, sembra piuttosto curioso che il pántheon
norreno abbia bisogno di un altro dio della poesia,
Bragi, visto che c'è già
Óðinn a occupare questo ruolo, e in
maniera assai ingombrante. Si è cercato di superare l'impasse
identificando tra loro le due divinità e facendo di
Bragi una versione derivativa dello stesso
Óðinn.
Su cosa si basa quest'ipotesi? Per prima cosa sul fatto, ovvio, che
Bragi sia un dio saggio, eloquente,
esperto nel parlare e abilissimo nel poetare, tutte qualità ben presenti in
Óðinn. Inoltre, in
Skáldskaparmál [17], Snorri riferisce, riguardo a
Bragi, due kenningar che lo
avvicinano di prepotenza alla sfera di
Óðinn. Bragi è detto innanzitutto
«primo creatore della poesia» [frumsmið bragar], e
Óðinn è colui che ha rubato l'idromele
della poesia ai giganti, per poi elargirlo a sua discrezione ai poeti che ne
sono degni. Anche l'epiteto di «dio dalla lunga barba» [síðskeggja áss],
che Snorri attribuisce a Bragi, ha
un corrispettivo nell'epiteto
Síðskeggr, che è uno degli heiti di
Óðinn. Al riguardo, Gianna Chiesa Isnardi
cita anche un verso, piuttosto oscuro, di Egill Skallagrímsson, in cui si parla
dell'«occhio di Bragi» [Bragi auga]
(Hǫfuðlausn [21]), affermando – seppure con
scarsa convinzione – che potrebbe indicare
Óðinn privo di un occhio (Isnardi 1991).
Si può anche aggiungere la scena, riferita tanto nell'Hákonsmál quanto nell'Eíriksmál,
in cui Bragi è presente nella
Valhǫll, dove attende l'arrivo
dei sovrani caduti in battaglia. Detto questo, però, bisogna
notare che, al contrario di Óðinn,
Bragi non è un dio legato alla
guerra, anzi, preferisce arrivare a pacifici accordi piuttosto che scendere in
scontri, cosa che Loki gli rinfaccia
spietatamente nel Lokasenna. Il fatto
è che Óðinn è una divinità dalle funzioni
talmente vaste e diversificate, da finire col condividere con diverse altre
divinità questa o quella sfera di appartenenza. E
Bragi ha la sfortuna di vedere la sua unica attività – il dominio sulla
parola – sovrapporsi a una funzione piuttosto importante nella definizione di
Óðinn. Ma è necessario procedere con
attenzione. Óðinn è sì, dio della poesia, ma in un senso assai diverso da
Bragi.
Egli è infatti il signore dell'ispirazione, l'óðr, e quindi di quel tipo di poesia che caratterizza il
vates, il poeta invasato, il quale è tramite di uno spirito profetico.
Bragi
è invece il dio dell'arte scaldica che, al perfetto contrario, è disciplina
perfettamente controllata e misurata. È la poesia fatta di metrica,
allitterazioni, semiversi, cesure, versi, strofe; la poesia in cui le metafore
dissimulano i significati ma, allo stesso tempo, rivelano l'erudizione dello
scaldo. La poesia di Óðinn è sapienza,
quella di Bragi è tecnica e conoscenza.
L'una è dionisiaca, l'altra apollinea. Sono due campi apparentemente simili ma,
di fatto, assai dissimili come funzioni e applicazioni.
|
II -
IÐUNN, L'ENOFORA
Le interpretazioni della figura di
Iðunn tendono ad associarla al principio
di immortalità, di cui la dea è dispensatrice, in quanto «custode delle mele» [gætandi
eplanna] che garantiscono la giovinezza agli dèi. Da qui, gli studiosi hanno
allargato le funzioni di Iðunn, a volte
maniera impropria, trasformandola in una dea della legata via via alla
primavera, alla bella stagione o alla fertilità. Se poi si tiene in
considerazione l'unico episodio incentrato su
Iðunn, ossia il suo rapimento da parte del gigante
Þjazi ①, si
spiegano i facili accostamenti avanzati da molti studiosi con
Inanna o Persephónē,
dee di cui si racconta parimenti la prigionia negli inferi, i cui miti
presentano però un carattere stagionale, di forte impianto cultuale,
estraneo alla figura di Iðunn.
Bisogna ribadire che Iðunn non
è una dea della fertilità o della fecondità. Questi sono campi che appartengono
alle divinità di terza funzione, in particolare a
Freyr e
Freyja, ed a Njǫrðr per quanto
riguarda la moltiplicazione delle ricchezze.
Iðunn è una dispensatrice di immortalità; il suo compito è
quello di custodire ed elargire i frutti che conferiscono l'eterna giovinezza
agli dèi. Þjóðólfr ór Hvíni e Snorri Sturluson descrivono assai bene, seppure in
negativo, la sua funzione nel pántheon scandinavo: quando
Iðunn scompare, rapita da
Þjazi, gli
Æsir invecchiano di colpo e i loro
capelli incanutiscono.
Il ruolo di Iðunn è quello
dell'enofora, della coppiera divina, e se dovessimo cercare un personaggio
analogo nel mondo classico non lo troveremmo certamente in
Persephónē, ma in Hḗbē, la coppiera che
mesce agli dèi l'ambrosía, la bevanda d'immortalità, omologa all'amṛta del mondo
indoiranico. Hēraklês, l'eroe che si era
recato ai
confini del mondo alla ricerca dei pomi delle Hesperídes
(anch'essi frutti d'immortalità), diviene, una volta accolto sull'Ólympos, lo
sposo di Hḗbē. L'archetipo di questa figura va
forse cercato nell'antichissimo personaggio di Siduri,
la locandiera che, ai confini del mondo, mesce il vino a
Gilgameš, altro personaggio impegnato in una strenua ricerca della vita
eterna.
Ma è tra i Celti, che troviamo i paralleli più stretti con la nostra
Iðunn. Il mondo celtico, come il greco e
il nordico, conosce infatti il mitema dei frutti d'immortalità. Nel racconto
irlandese, Lúg mandò i figli di
Tuirell ai confini del
mondo per procurarsi i pomi delle Hesperídes ②.
In Irlanda, la bevanda che preserva dalla vecchiaia è la birra di
Goibniu, che le
Túatha Dé Danann
consumano nei loro banchetti per mantenere la vita e la giovinezza eterna.
Nel mondo celtico, come in quello germanico, era solitamente la padrona di
casa che si occupava di preparare la birra, nonché di mescerla agli ospiti nel
corso dei banchetti. Nel versare l'idromele nella coppa del signore era
connaturato un riconoscimento regale, il ristabilimento del rapporto tra il
sovrano e la terra, rappresentata in questo caso dalla sposa del re. È
interessante notare che Þjóðólfr ór Hvíni, il quale non cita mai le mele
dell'immortalità, definisce Iðunn con una
kenning piuttosto significativa: ǫlgefn, «signora della birra»
(Haustlǫng [11]). Il senso potrebbe essere
anch'esso generico – visto il tradizionale ruolo femminile nella preparazione e
mescita della birra (Isnardi 1991) –, ma potrebbe
anche suggerire che Iðunn, in una
versione tradita del mito, avesse piuttosto il compito di mescere una qualche
bevanda d'immortalità. I paralleli celtici, come ad esempio
la leggenda della dea irlandese
Étaín, altra coppiera rapita da un essere soprannaturale, sono
particolarmente significativi al fine di comprendere la natura e le funzioni di
Iðunn. ③
|
III - EPLI ELLILIF:
LE MELE DI IÐUNN Uno studio sul
frutto d'immortalità esula senz'altro dallo spazio e dagli scopi qui prefissi, e
potrebbe portarci troppo lontano: dal giardino delle
Hesperídes alle leggende celtiche, fino all'albero della vita nella
Bǝrēʾšîṯ. Il motivo s'intreccia peraltro con
quello, squisitamente indoeuropeo, della bevanda o cibo d'immortalità, che è l'amṛta nel mondo indoiranico e l'ambrosía
in Grecia, fino a trasformarsi in birra e idromele nel mondo celto-germanico.
Ma atteniamoci al mito scandinavo, e alla dea
Iðunn. È Snorri a stabilire il canone
delle mele d'immortalità, nel
Gylfaginning:
...Iðunn, hon varðveitir í eski sínu
epli þau er goðin skulu á bíta þá er þau eldask, ok verða þá allir ungir, ok svá
mun vera allt til ragnarøkrs. |
...Iðunn,
che conserva nel suo scrigno di frassino le mele che gli dèi devono mangiare
quando diventano vecchi per poter tornare tutti giovani, e così sarà sempre,
fino al ragnarøkkr. |
Snorri
Sturluson:
Prose Edda >
Gylfaginning [26] |
Trattando del mito del rapimento di
Iðunn, l'Haustlǫng di Þjóðólfr ór Hvíni
non accenna mai alle mele. Certamente, il dettaglio potrebbe essere stato eluso,
dato il carattere fortemente allusivo tipico della poesia scaldica. Difficile
dire se le mele dell'immortalità facessero parte della tradizione originaria o se
furono introdotte in qualche fase di rielaborazione del mito. Una piccola
traccia è però conservata in un episodio dello
Skírnismál, dove Skírnir
reca a Gerðr, tra i vari doni, uno
scrigno con undici mele dorate:
Epli ellifo
hér hefi ek algullin,
þau mun ek þér, Gerðr, gefa,
frið at kaupa,
at þú þér Frey kveðir
óleiðastan lifa. |
Undici mele
ho qui, tutte d'oro,
e le darò a te, Gerðr, in dono,
per mercato d'amore,
se tu dici che per te Freyr
è il più caro dei viventi. |
Ljóða Edda
> Skírnismál [19] |
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Iðunn dormiente
(✍ ±1909) |
Illustrazione di Bernard Evans
Ward |
È assai probabile si tratti
proprio delle mele dell'immortalità, anche se qui non si fa alcun accenno a
Iðunn. In tal caso, la lezione epli
ellifo «undici mele» deve essersi originata per errata lettura da un epli
ellilyf «mele contro la vecchiaia». La parola ellilyf, in norreno,
significa infatti «medicina [lyf] per la vecchiaia [elli]»,
indicando in pratica una sorta di elixir vitæ. È un buon calco semantico del greco
ambrosía (a(m)- privativo + brotós «mortale») e del
sanscrito amṛta (a- privativo
+ mṛta «morte»).
Nulla di strano se il mitema del frutto dell'immortalità, presente tanto nel mondo
greco che in quello celtico, sia arrivato anche nella lontana Scandinavia. E
nulla di strano, dunque, che il possesso di tali frutti sia stato attribuito a
Iðunn, la dísa che elargisce agli
dèi la vita eterna.
Nel mito del rapimento di
Iðunn,
Þjazi chiede esplicitamente a Loki di
consegnargli la dea insieme al cofanetto delle sue mele. Il fatto suggerisce che
le mele non abbiano alcun potere, senza la loro custode, e che il potere di
ringiovanimento non risieda nei frutti ma nella stessa
Iðunn. Viene in mente che, mentre Snorri
definisce i pomi di Iðunn come epli
ellilyf ása, le «mele che guariscono gli
Æsir dalla vecchiaia»
(Skáldskaparmál [30]), Þjóðólfr ór Hvíni descrive la stessa
Iðunn come mær ellilyf ása, la «ragazza che guarisce gli
Æsir dalla vecchiaia» (Haustlǫng [9]). Secondo Þjóðólfr, l'elixir
vitæ non sarebbero le mele ma la stessa
Iðunn.
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BIBLIOGRAFIA ► |
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