I - GAP VAR GINNUNGA
Il Ginnungagap
compare per la prima volta nella
Ljóða Edda in una preposizione nominale: «il
baratro era spalancato» [gap var ginnunga]
(Vǫluspá [3]):
Ár vas alda
þars Ymir byggði
vasa sandr né sær,
né svalar unnir;
jǫrð fansk æva
né upphiminn;
gap vas ginnunga,
en gras hvergi. |
Al principio era il tempo:
Ymir vi dimorava;
non c'era sabbia né mare
né gelide onde;
terra non si distingueva
né cielo in alto:
il baratro era spalancato
e in nessun luogo erba. |
Ljóða Edda
> Vǫluspá [3] |
È impressionante la somiglianza formale di questa strofa
con un passo della
Wessobrunner Gebet, la «Preghiera di
Wessobrunn», un testo in antico
alto tedesco composto intorno al 775:
Dat
gafregin
ih mit firahim iriuuizzo meista.
Dat ero ni uuas noh ufhimil,
noh paum noh pereg ni uuas,
ni [sterro]
nohheinig noh sunna ni scein,
noh mano ni liuhta, noh der maręo seo. |
Questo appresi tra gli
uomini, il sommo prodigio.
Che non era la terra, né il cielo in
alto,
non era albero, né monte,
né [stella] alcuna, né il sole splendeva,
né la luna brillava, né il lucente mare. |
Wessobrunner Gebet |
Entrambi i brani descrivono lo stato caotico precedente la
creazione in termini negativi, attestando l'originaria
inesistenza di tutti gli elementi che caratterizzano e
compongono il nostro universo. È un procedimento
piuttosto diffuso nella letteratura sapienziale di ogni
tempo e paese, e ha probabilmente i suoi primi esempi
nel ṯōhû wā ḇōhû del
Bǝrēʾšîṯ e nel
kháos esiodeo. Vi sono tuttavia anche delle
importanti differenze. L'ebraico ṯōhû wā ḇōhû descrive una terra primordiale, per quanto ancora
nello stadio di materia prima, ovvero un mondo già
presente ma non ancora foggiato secondo le
caratteristiche distinzioni dell'universo che
conosciamo. Il kháos si configura invece come
stato originario in cui tutte le cose sono già contenute
in potenza ma non ancora distinguibili l'una dall'altra.
Al contrario, la concezione scandinava del gap var ginnunga
sembra essere
meno intellettualizzata delle nozioni ellenico-ebraiche,
descrivendo uno spazio vuoto.
La parola
Ginnungagap, sembra essere stata
forgiata da Snorri a partire dall'espressione «il baratro era spalancato» [gap
var ginnunga]
(Vǫluspá
[3g]). Egli combina il sostantivo
gap, «spazio vuoto, interruzione», e il predicato nominale ginnunga,
«fauci spalancate», elimina la copula e fa del tutto un unico termine:
Ginnungagap. La parola viene citata più volte nel corso del racconto
cosmogonico. Nei manoscritti il termine viene scritto sia unito (ginnvngagap)
che separato in due parole distinte (ginnvnga gap); l'esatta grafia non
ha molta importanza di fronte al fatto che il termine è ovviamente sentito come
unitario. Snorri sembra darlo per scontato, ed è difficile capire se
il termine preesistesse già in questa forma o se sia stato
introdotto dallo stesso autore.
Se nell'incipit del poema eddico, «Al principio era il tempo:
| Ymir vi dimorava»
[Ár vas alda |
Ár vas alda]
(Vǫluspá [3a-b]),
Ymir
veniva configurato quale unico abitante del Ginnungagap
prima della creazione dell'universo, Snorri, citando la medesima strofa,
la modifica, presentando un incipit diverso ma forse
più rigoroso, dove traccia una situazione primordiale che
prescinde anche da
Ymir:
«Al principio era il tempo | quando nulla esisteva» [Ár
var alda | það er ekki var]
(Gylfaginning [4
{5}]).
L'espressione non va intesa però nel senso che non vi fosse
«nulla». Al contrario, come vedremo, Snorri insisterà nell'inserirvi la
dicotomia tra Niflheimr
e Múspellsheimr,
con i fiumi Élivágar
che scaturiscono dalla sorgente di
Hvergelmir. Il
Ginnungagap
è un universo
primordiale già molto complesso e differenziato al
suo interno. Spazio «vuoto» è qui probabilmente inteso
secondo l'idea che, non essendo ancora stato creato il
mondo, non vi fosse fisicamente un luogo dove appoggiare
i piedi, né al di sopra una chiusa volta del
cielo (ricordiamo che nella concezione scandinava, il
cielo era una cupola materiale poggiata fisicamente sulla
terra). L'universo stesso si configurava come un immenso
baratro. In uno scolio ad Adamus Bremensis (Gesta
Hammaburgensis Ecclesiæ Pontificum [IV: 39]), la parola <ghimmendegop>
viene glossata tramite la locuzione Immane baratrum abyssi. In quest'accezione il Ginnungagap
è, ovviamente, l'universo vuoto prima che vi fosse posta la
terra, non appena essa venne creata dai figli di
Borr, e sembra essere questa l'idea originale dell'universo
primordiale nella tradizione nordica. La terra, una volta
foggiata a partire dalla materia prima ricavata dal corpo di
Ymir, verrà sospesa nel mezzo
del Ginnungagap.
Altrove, parlando del frassino
Yggdrasill, Snorri afferma che una delle sue radici
andasse verso la terra dei giganti di brina «là dove prima
c'era il Ginnungagap» [þar sem
forðum var Ginnungagap]
(Gylfaginning
[15]). La notizia è interessante: permette di
localizzare, almeno spazialmente, l'antico Ginnungagap
con il mondo di
Jǫtunheimr. Probabilmente
Snorri ha operato tale associazione a partire dall'idea di
un Ginnungagap
abitato dalla
stirpe dei giganti primordiali, prima che la terra fosse
creata.
|
II - COSMOLOGIA PRIMORDIALE: UNA
DIALETTICA PER SEPARAZIONE E DISTINZIONE
Al contrario del kháos esiodeo, che si configurava
come stato primordiale in cui gli elementi erano presenti in potenza, benché indistinti tra loro,
il Ginnungagap viene
descritto fin dall'inizio come mondo piuttosto complesso e strutturato al suo
interno. Snorri inizia infatti la sua narrazione degli eventi primordiali
presentando già la tensione tra i due «mondi» contrapposti,
Niflheimr e
Múspellsheimr, in cui è diviso il
Ginnungagap
(Gylfaginning [4-5]).
....Ok þá er sá íss gaf staðar ok rann eigi, þá
héldi yfir þannig úr þat er af stóð eitrinu ok fraus
at hrími, ok jók hrímit hvert yfir annat allt í
Ginnungagap. [...] |
E là dove quel ghiaccio si
arrestò e non andò oltre, i
vapori levatisi dal veleno
gelarono in brina, e la brina si
stese sopra ogni altra cosa nel
Ginnungagap. [...] |
Ginnungagap, þat er vissi til norðrs ættar,
fyltisk með þunga ok hǫfugleik íss ok hríms ok inn í
frá úr ok gustr. En hinn syðri hlutr Ginnungagaps
léttisk móti gneistum ok síum þeim er flugu ór
Muspellsheimi. [...] |
Ginnungagap, nella
parte che volge verso il nord, si ricoprì di strati
di ghiaccio e di brina, e da esso si levavano bruma
e vento, mentre la parte a sud del
Ginnungagap
ne fu
preservata dalla lava e dalle scintille che
scaturivano da
Múspellsheimr. [...] |
Svá sem kalt stóð
af Niflheimi ok allir hlutir
grimmir, svá var þat er vissi
námunda Muspelli heitt ok ljóst,
en Ginnungagap var svá hlætt sem
lopt vindlaust. |
Così come il freddo proveniva da
Niflheimr insieme a tutto ciò che è temibile, quanto si volgeva verso
Múspell era caldo e luminoso e
Ginnungagap era mite come aria priva di vento. |
Snorri Sturluson:
Prose Edda
>
Gylfaginning
[5] |
La distinzione in due elementi è, nella sapienza
tradizionale, il primo stadio della creazione. L'unità primordiale non ha nulla
con cui confrontarsi: la creazione procede dunque per separazione e
distinzione di opposti. La prima distinzione, che il racconto di Snorri dà però
come originaria e non come progresso dialettico di creazione, è tra nord e sud,
tra l'elemento gelido e nebbioso, e quello rovente e infuocato.
Nel caso del mito nordico, il mondo nasce dalla mediazione di
Niflheimr e
Múspellsheimr. Essi sono sì i poli
del freddo e del caldo, ma anche i due principi complementari dalla cui
interazione e armonia può avviarsi il processo della creazione. Si potrebbe
ancora aggiungere, anche se qui ci avventuriamo in interpretazioni molto
azzardate, che Niflheimr e
Múspellsheimr siano
rappresentazioni del passato e del futuro dell'universo. Il gelo del
Niflheimr rappresenta la staticità
degli inizi, il ghiaccio che imprigiona la vita agli inizi del tempo, mentre in
Múspellsheimr è già compreso, in
potenza, l'incendio universale che metterà fine al mondo. I due poli
dell'universo presenterebbero contemporaneamente una ricca serie di opposizioni:
nord/sud, freddo/caldo, passato/futuro.
Il nostro mondo, la «terra di mezzo» [Miðgarðr],
è centrale in questa serie di opposizioni cosmiche, sia dal punto di vista
spaziale ma soprattutto temporale. La parola germanica per «mondo», che in
norreno è verǫld (cfr. tedesco Welt, inglese world), indica
letteralmente «il tempo [ǫld] dell'uomo [verr]». È dunque un'idea
di mondo in senso temporale. Un concetto che pare strano a noi moderni, che
diamo alla parola «mondo» un senso essenzialmente spaziale. Ma in realtà la
distinzione è ancora più sottile. Il termine «mondo», in senso tradizionale, ha
una realtà metafisica: è lo status di manifestazione degli uomini,
caratterizzato dalle categorie di spazio e tempo che caratterizzano la nostra
esistenza qui e ora.
L'asse Niflheimr
↔
Múspellsheimr (nord/sud, freddo/caldo,
passato/futuro) non ha dunque il senso
«dimensionale» che noi moderni gli attribuiremmo. Non è una concezione fisica ma
metafisica. Esprime realtà teologiche prima ancora che geografiche o storiche.
Dobbiamo ricordarci di questo importante punto quando tratteremo della
cosmologia norrena e dei nove mondi [nío
heimar]. ①
Analogamente, è questo il senso con cui dobbiamo intendere i
fiumi Élivágar, i quali scaturivano da
Hvergelmir, la «caldaia ruggente», e
scorrevano dall'uno all'altro polo dell'universo, mettendo in comunicazione gli
opposti princìpi di Niflheimr e
Múspellsheimr. È proprio il fluire
delle energie attraverso i fiumi cosmici che rende possibile il germogliare
della vita, e dunque la nascita di Ymir,
che è egli stesso l'universo in forma vivente.
Hvergelmir reca molti tratti simili
all'antica corrente del mito greco, Ōkeanós. Come
tutti i mari, i fiumi e le sorgenti del mondo nascevano dalla corrente circolare
di Ōkeanós, e là tornavano infine a ricongiungersi,
così nel mito nordico gli Élivágar
scaturivano da Hvergelmir per
permettere l'interscambio attraverso la terra del gelo e quella del fuoco
②.
S'intravede qui il processo dialettico, comune a molte speculazioni
cosmogoniche, per cui la realtà nasce dal dispiegarsi della potenza contenuta
nell'uno originario (Ginnungagap)
dal quale si forma, per scissione interna, la dualità (Niflheimr e
Múspellsheimr), da cui poi si
arriva al molteplice. Il flusso degli
Élivágar permette la mediazione tra i due princìpi, e questo provoca la
rottura dell'immobilità primordiale e l'instaurazione del dinamismo vitale.
|
III - LA VITA DALLE GOCCE VIVENTI: UNA GENESI NORDICA
Il mito della nascita del gigante nel
Ginnungagap,
laddove il vuoto primordiale è mediato dal gelo del
Niflheimr e dal calore del Múspellsheimr, è
narrato da Snorri con attenzione e inaspettata delicatezza:
Svá sem kalt stóð af Niflheimi ok allir
hlutir grimmir, svá var þat er vissi námunda Muspelli heitt ok ljóst, en
Ginnungagap var svá hlætt sem lopt vindlaust. Ok þá er mœttisk hrímin ok blær
hitans, svá at bráðnaði ok draup, ok af þeim kvikudropum kviknaði með krapti
þess er til sendi hitann ok varð manns líkandi ok var sá nefndr Ymir. En
hrímþussar kalla hann Aurgelmi, ok eru þaðan komnar ættir hrímþussa. |
Così come il freddo proveniva da
Niflheimr insieme a tutto ciò che è temibile,
quanto si volgeva verso Múspell era caldo e
luminoso e Ginnungagap era mite come aria priva
di vento. Quando la brina fu investita dal vento caldo, si sciolse e gocciolò e
in quelle gocce, grazie alla forza di colui che aveva mandato il calore, nacque
la vita ed essa assunse aspetto umano, formando colui che fu chiamato
Ymir,
ma i giganti di brina lo chiamano Aurgelmir ed
è da lui che discende la stirpe dei hrímþursar. |
Snorri
Sturluson:
Prose Edda >
Gylfaginning
[5] |
Scrive Gianna Chiesa Isnardi: «in questa fase l'accento è posto sulla parola
vita, il cui formarsi è descritto in una perfetta progressione. Le gocce
viventi [kvikudropum], cioè già contenenti in sé in un impulso,
incontrandosi con il calore [hitann], ne colgono la spinta che è la forza
[krapti] di colui che mandato [sendi] il calore. La vita che ne
scaturisce [kviknaði] viene plasmata dalla potenza misteriosa del
Creatore in forma d'uomo [mannz lidandi]. Crediamo che una descrizione
del silenzioso germogliare della vita non possa essere espressa con maggior
efficacia e delicatezza» (Isnardi 1975).
|
IV - YMIR, IL MORMORANTE
La prima citazione riguardante
Ymir, il macroantropo cosmico, proviene
dalla
Vǫluspá,
nella quale il racconto cosmogonico è introdotto, alla terza strofa, da un
accenno al gigante primordiale, già presente ed esistente prima che l'universo
venisse creato.
Ár vas alda
þars Ymir byggði
vasa sandr né sær,
né svalar unnir;
jǫrð fansk æva
né upphiminn;
gap vas ginnunga,
en gras hvergi. |
Al principio era il tempo:
Ymir vi dimorava;
non c'era sabbia né mare
né gelide onde;
terra non si distingueva
né cielo in alto:
il baratro era spalancato
e in nessun luogo erba. |
Ljóða Edda
>
Vǫluspá [3] |
Il suo nome va forse collegato al sostantivo norreno ymr, «mormorio», o al
verbo corradicale ymja, «gridare, ruggire». Tale gigantonimo avrebbe il
significato di «mormorante» o «urlante», nell'uno o nell'altro caso con
riferimento al concetto mitico della creazione che inizia con l'emissione della
prima parola che spezza il silenzio e attua la creazione,
annunciando la nascita della vita. Si tenga presente l'importanza che ha la
parola [vāc] nella cosmogonia vedica o il verbo di
Yahweh in quella ebraica.
A Ymir, come vedremo, il mito deputa
numerose funzioni. Egli è innanzitutto il primo essere vivente a venire alla
luce, prima ancora della creazione del mondo. Ma è anche il progenitore della
stirpe dei hrímþursar, che sarebbe discesa da lui
(Gylfaginning
[5]), e dunque è l'archetipo primordiale di tutti i giganti (il suo
nome è ovviamente ben presente nelle þulur
tra i nomi dei giganti). In una versione tradita del mito, sembra
Ymir fosse anche il progenitore degli
uomini. Inoltre, alla particolare dinamica della sua nascita, dalle acque
velenose degli Élivágar, viene fatta
risalire la malvagità insita nei hrímþursar, e quindi l'introduzione del
male nell'universo. Infine, dal suo sacrificio, sarebbe venuta la materia
prima dal quale i figli di Borr
avrebbero foggiato l'universo. Nel proseguo vedremo singolarmente i vari motivi
legati alla figura di Ymir.
Si noti anche la presenza di un gigante
chiamato Hymir, compagno di
Þórr
in una memorabile battuta di pesca (Hymiskviða |
Skáldskaparmál
[8]). Nonostante la
stretta vicinanza tra i due nomi non sembra però che
Hymir
possa confondersi con
Ymir, anche considerato il diverso contesto in cui
si muovono i due personaggi. È indubbio che i codici della
Prose Edda
abbiamo operato una confusione tra i due personaggi, usando più volte
l'ortografia <Ymir> laddove sarebbe stato più corretto <Hymir>. L'uso
regolare della forma Hymir nell'Hymiskviða chiarisce ogni perplessità. |
|
V - AURGELMIR, OVVERO, LE ORIGINI DEL MALE
Trattando della nascita di Ymir, Snorri dice che
«i hrímþursar lo chiamano Aurgelmir»
[en hrímþussar kalla hann Aurgelmi], e aggiunge che la stirpe dei hrímþursar
sarebbe discesa da lui.
(Gylfaginning
[5])
Di un gigante chiamato
Aurgelmir si parla nel
Vafþrúðnismál, a cui viene assegnata una
discendenza curiosa (a
meno di non identificare questo Þrúðgelmir con
il figlio di
Ymir a sei teste, di cui tratta Snorri):
Ǫrófi vetra
áðr væri jǫrð skǫpuð,
þá var Bergelmir borinn,
Þrúðgelmir
var þess faðir,
en Aurgelmir afi. |
Innumerevoli inverni,
prima che fosse la terra creata,
allora venne Bergelmir alla luce,
Þrúðgelmir
gli fu padre
e Aurgelmir nonno. |
Ljóða Edda
>
Vafþrúðnismál [29] |
Questa equiparazione tra
Ymir e
Aurgelmir getta una luce inquietante su una strofa del
Vafþrúðnismál – citata
integralmente soltanto nella
Prose Edda –
dove leggiamo questo scambio di domande e risposte:
...Hvaðan Aurgelmir kom
með jǫtna sonom
fyrst, inn fróði jǫtunn? |
...Da dove Aurgelmir
venne
tra i figli dei giganti
in principio, il sapiente gigante? |
Ór Élivagom
stukkoo eitrdropar,
svá óx, unz varð ór jǫtunn;
[þar órar ættir
kómu allar saman,
því er þat æ allt til atalt.] |
Fuori dagli Elivágar
schizzavano gocce di veleno,
e crebbero finché ne sortì un gigante.
[Di là le nostre stirpi
vennero tutte del pari originate,
sono per questo progenie perversa.] |
Ljóða Edda
> Vafþrúðnismál [30-31] |
Si noti che gli ultimi tre semiversi della strofa
[31], qui segnati tra parentesi quadre, mancano del
tutto nei due codici della
Ljóða Edda, il Codex Regius e il
Codex Arnamagnæanus. A riportarli è però sempre Snorri, il quale cita la
strofa, finalmente integrale, in
Gylfaginning
[5].
Vi è tuttavia il dubbio che Snorri stia forzando le proprie interpretazioni.
Infatti, una volta stabilita l'equazione tra
Aurgelmir e
Ymir, egli può appunto attribuire allo stesso
Ymir
quel che
Vafþrúðnismál [30-31]
attribuisce ad Aurgelmir. E una volta
restituiti ad hoc i versi mancanti della strofa difettiva, Snorri può
finalmente attribuire a
Ymir stesso l'origine della malvagità insita
nella natura dei giganti, con un inciso inquietante:
Hann var illr ok allir hans ættmenn, þá kǫllum vér
hrímþursa. |
Ymir era malvagio e lo era tutta la sua stirpe,
che noi chiamiamo dei giganti di brina. |
Snorri
Sturluson:
Prose Edda >
Gylfaginning
[5] |
L'impressione è che Snorri stia portando avanti una
sua personale lettura sull'origine del male. Il «peccato originale», nel mondo
nordico, non è un risultato del libero arbitrio, ma la conseguenza del fatto che
già nelle «gocce viventi» dei fiumi Elivágar, da cui
è destinata a sgorgare la vita sono contenute particelle di veleno, tali che
tutta la susseguente creazione ne verrà in qualche modo contaminata.
Questo punto è molto importante se pensiamo che il
Ymir è, come vedremo,
la materia prima da cui verrà attuata la creazione. È attraverso di lui
che il male entra nel mondo, per la ragione che il mondo viene tratto
fisicamente dal suo corpo e dalle sue membra.
|
VI - YMIR, L'ERMAFRODITO PROGENITORE Che
Ymir sia progenitore dei giganti lo ribadisce anche un verso degli Eddica Minora, anch'esso citato
da Snorri:
...Allir jǫtnar
frá Ymi komnir. |
...I giganti tutti
da
Ymir provengono. |
Ljóða Edda
[minora] > Hynðluljóð [33] |
Ma visto che
Ymir è del tutto solo in universo
ancora increato, Snorri spiega che avrebbe generato i suoi figli per
partenogenesi, non disponendo di una femmina di gigante con cui accoppiarsi. Un
uomo e una donna nascono sotto la sua mano sinistra e, lasciando accoppiare i
suoi piedi l'uno con l'altro,
Ymir genera un gigante dalle sei teste.
En svá er sagt at þá er hann svaf fekk
hann sveita. Þá óx undir vinstri hendi honum maðr ok kona, ok annarr fótr hans
gat son við ǫðrum. En þaðan af kómu ættir, þat eru hrímþursar. |
Così si racconta, che mentre [Ymir]
dormiva, si mise a sudare. Sotto la sua mano sinistra crebbero un uomo e una
donna, e un piede concepì un figlio con l'altro e da qui discesero le stirpi che
divennero i giganti di brina. |
Snorri
Sturluson:
Prose Edda >
Gylfaginning [5] |
|
Uccisione di Ymir |
Lorenz Frølich (1820-1908), illustrazione.
(Oehlenschläger
1875-1877) |
L'uomo e la donna generati da
Ymir erano forse, in una versione
tradita del mito scandinavo, i due progenitori dell'umanità. L'episodio
sembra rappresentare la dualità dei sessi che si forma da una situazione di sessualità
indifferenziata, rappresentata da Ymir. Al
riguardo è stato anche proposto di leggere l'etimologia del nome di
Tvisto (dal protogermanico *tvis- «secondo,
doppio») come un riferimento al motivo dell'ermafroditismo primordiale
(Branston 1955).
Di ermafroditismo nei tempi primordiali parla anche Plátōn nell'allegoria
del Sympósion, dove Aristophánēs dichiara
scherzosamente che i primi esseri umani erano attaccati a due a due, a coppie
miste o dello stesso sesso. E poiché gli dèi temevano la loro forza,
Zeús li tagliò come le metà di una mela, formando
un'umanità costituita di maschi e femmine separati. Dopo la divisione, le due
parti umane, ognuna desiderosa dell'altra, cercavano di riunirsi, e così nacque
il sesso. Anche il mito biblico della creazione di Ḥawwāh
dalla costola di Āḏām potrebbe essere interpretato
come la separazione in due sessi di un essere primordiale ermafrodito. Anche di
Mašī e Mašanī, i
membri della prima coppia umana generata da Gāyōmarṯ
nel mito iranico, si dice che fossero talmente uniti che era impossibile
distinguerli l'uno dall'altra. Si noti, infine, che
l'attività generativa attribuita a Ymir non si
sarebbe esaurita
con la morte del gigante. La terra stessa, la quale altro non era che carne di
pietra, putrefacendo diede origine ai suoi appropriati vermi:
Dvergarnir hǫfðu skipazk fyrst ok tekit
kviknan í holdi Ymis ok váru þá maðkar, en af atkvæði guðanna urðu þeir vitandi
mannvits ok hǫfðu manns líki... |
I nani furono creati per primi e presero
vita nella carne di Ymir, quindi erano proprio vermi, tuttavia per
decisione degli dèi ricevettero la conoscenza del sapere umano e l'aspetto degli
uomini... |
Snorri
Sturluson:
Prose Edda > Gylfaginning
[14] |
|
VII - AUÐHUMLA, LA
VACCA PRIMORDIALE
Snorri riferisce che
Ymir trasse il suo primo nutrimento dal latte che sgorgava dalle mammelle
della vacca primordiale Auðhumla:
Næst var þat þá er hrímit draup at þar
varð af kýr sú er Auðhumla hét, en fjórar mjólkár runnu ór spenum hennar, ok
fœddi hún Ymi. |
Non appena la brina si sciolse, da essa
prese forma una vacca, chiamata Auðhumla; quattro
fiumi di latte sgorgavano dalle sue mammelle e in questo modo essa nutrì
Ymir. |
Snorri
Sturluson:
Prose Edda > Gylfaginning [6] |
«Di che cosa si nutriva la vacca?» chiede ancora
Gylfi, e la domanda serve a Snorri per utilizzare Auðhumla come trait-d'union tra il mito di
Ymir
e quello di Búri.
Hon sleikti hrímsteina þá er saltir váru. Ok hinn
fyrsta steinanna er hon sleikti, kom ór steininum at kveldi manns hár, annan dag
manns höfuð, þriðja dag var þat allr maðr. Sá er nefndr Búri. Hann var fagr
álitum, mikill ok máttigr. |
Essa leccava le rocce brinate, che erano salate, e nel
primo giorno in cui le leccò, da quelle pietre spuntarono a sera i capelli di un
uomo, il giorno dopo la testa e il terzo giorno vi fu l'uomo intero. Il suo nome
era Búri. Era di bell'aspetto, grande e possente |
Snorri
Sturluson: Prose Edda >
Gylfaginning [6] |
Da questo momento in poi non si fa più menzione della vacca
Auðhumla.
Ella è ancora citata
nelle þulur, tra i nomi dei buoi [øxna heiti],
come «eccelsa tra le vacche».
Kýr heitir skirja,
kvíga ok frenja
ok auðhumbla,
hon es elzt kúa. |
La mucca è detta da latte,
giovenca e bovina
e Auðhumla:
essa è eccelsa tra le vacche. |
Þulur > Øxna heiti
[4] |
Il suo nome sembra essere una combinazione del sostantivo maschile auðr,
che nel suo significato principale significa «ricchezza», con tutte le
implicazioni relative al concetto di abbondanza e fertilità (cfr. gotico auds
«felicità», anglosassone eād «ricchezza»), e da un suffisso finale
poco chiaro, -umla/-umbla/-humbla, che sembra voglia dire «mucca, vacca».
|
Ymir e Auðhumla
(✍ 1790) |
Nicolai
Abraham Abilgård (1743-1809)
Statens Museum für Kunst, København (Danimarca). |
MUSEO: [Abilgård.
Auðhumbla]► |
Come aveva già notato Viktor Rydberg, nella seconda metà del XIX secolo,
la vacca Auðhumla, che nutre
Ymir con il latte che sgorga dalle sue
mammelle, ha un preciso parallelo nelle leggende iraniche e vediche. Nella
mitologia iranica, infatti, compare Gə̄uš Urvan,
la vacca primordiale, che condivide con Gāyōmarṯ
il destino di essere sacrificata perché l'universo possa venire creato.
Gə̄uš Urvan nacque e morì insieme all'uomo
primordiale
Gāyōmarṯ, e contribuì alla
creazione in quanto, dal suo corpo, si generarono
tutte le specie animali. In seguito il miθraismo avrebbe trasformato
Gə̄uš Urvan nel toro sacrificato da
Miθra per dare origine all'universo.
Al contrario di quanto accade a Gə̄uš Urvan,
Auðhumla non è destinata ad essere sacrificata. I testi eddici, al
contrario, tacciono completamente sul suo destino. È tuttavia significativo che
il motivo della vacca primordiale si affacci, nel medesimo contesto, in due
ambiti geografici così lontani tra loro come l'Īrān
e la Scandinavia, alle due opposte estremità del dominio indoeuropeo. Lo stesso
Rydberg ipotizzava un archetipo comune al mitema della vacca cosmica nelle due
culture. (Rydberg 1886)
I quattro fiumi di latte che sgorgano dalle mammelle di
Auðhumla, a
cui Ymir attinge il suo nutrimento, sono
evidentemente rapportabili ai quattro fiumi del paradiso di cui tratta la
tradizione biblica, simbolo di perfezione primordiale e di ordine cosmico. |
VIII - YMIR E TVISTO:
POSSIBILI RELAZIONI TRA SNORRI E TACITUS Il suggestivo mito di
Ymir – il gigante primordiale, nato al
principio del tempo, dal cui sacrificio si origina l'universo – ha dato adito,
nel corso del tempo, a molte interessanti interpretazioni, e anche a
comparazioni con miti omologhi e analoghi pescati
in tutto il dominio indoeuropeo, e oltre. Agli inizi dell'Ottocento, Jacob Grimm,
nel suo imponente lavoro sulla mitologia teutonica, elencava una serie di
composizioni germanico-medievali a carattere religioso, sia in vernacolo che in
latino, in cui le parti del corpo di Adamo venivano messi in correlazione con
gli elementi del cielo e della terra. Per quanto l'identificazione tra Adamo [Āḏām]
e la terra [āḏām] sia importantissima nella speculazione ebraico-cristiana, Grimm notava come tali documenti presentassero dettagli
relazionabili col mito cosmogonico norreno. (Grimm 1835)
Tra i molti esempi citati dall'insigne filologo, un passo tratto da Gaufridus
Viterbiensis:
'Cum legimus Adam de limo terrae
formatum, intelligendum est ex quatuor elementis. mundus enim iste major ex
quatuor elementis constat, igne, aere, aqua et terra. humanum quoque corpus
dicitur microcosmus, id est minor mundus. Habet namque ex terra carnem, ex aqua
humores, ex aere flatum, ex igne calorem. Caput autem ejus est rotundum sicut
coelum, in quo duo sunt oculi, tanquam duo luminaria in coelo micant. venter
ejus tanquam mare continet omnes liquores. pectus et pulmo emittit voces, et
quasi coelestes resonat harmonias. Pedes tanquam terra sustinent corpus
universum. Ex igni coelesti habet visum, e superiore aere habet auditum, ex
inferiori habet olfactum, ex aqua gustum, ex terra habet tactum. in duritie
participat cum lapidibus, in ossibus vigorem habet cum arboribus, in capillis et
unguibus decorem habet cum graminibus et floribus. sensus habet cum brutis
animalibus. ecce talis est hominis substantia corporea. |
Poiché leggiamo che Adamo è stato plasmato
dal fango, dobbiamo intendere che fu creato dai quattro elementi. Questo mondo
più grande è infatti composto di quattro elementi: fuoco, aria, acqua, terra.
Anche il corpo umano è detto microcosmo, vale a dire un mondo minore. Infatti
riceve la carne dalla terra, gli umori dall'acqua, il respiro dall'aria, il
calore dal fuoco. E il suo corpo è rotondo come il cielo, vi sono due occhi:
splendono come due luci nel cielo. Il suo ventre contiene tutti i liquidi come
il mare. Il petto e il polmoni emettono la voce e risuonano come le armonie
celesti. I piedi sostengono il corpo come la terra l'universo. Riceve la vista
dal fuoco celeste, riceve l'udito dall'aria superiore, da quella inferiore ha
l'olfatto, dall'acqua il gusto, dalla terra il tatto. Ha in comune con le pietre
la durezza, ha in comune con gli alberi la durezza delle ossa, la bellezza dei
capelli e delle unghie con le piante e i fiori, la sensibilità con gli animali.
Ecco, tale è la sostanza corporea dell'uomo. |
Goffredo da Viterbo: Pantheon |
Trattando di Ymir, molti
studiosi non hanno potuto fare a meno di attirare l'attenzione sul mito antropogonico dei Germani continentali, fornito da Tacitus:
Celebrant carminibus antiquis, quod unum
apud illos memoriæ et annalium genus est, Tuistonem deum terra editum. Ei filium
Mannum, originem gentis conditoremque, Manno tris filios assignant, e quorum
nominibus proximi Oceano Ingæuones, medii Herminones, ceteri Istæuones uocentur.
|
In antichi poemi, unica loro forma di
trasmissione storica, [i Germani] cantano il dio Tvisto
nato dalla terra. A lui assegnano come figlio Mannus,
progenitore e fondatore della razza germanica e a Mannus
attribuiscono tre figli, dal nome dei quali derivano proprio gli Ingævones, i più
vicini all'oceano, gli Herminones, stanziati in mezzo, e gli Istævones, cioè tutti
gli altri. |
Cornelius Tacitus:
Germania
[2] |
Una correlazione tra Ymir e
Tvisto appare in effetti doverosa, trattandosi di due esseri primordiali, sorti
all'inizio del tempo, entrambi coinvolti in un mito antropogonico. Di
Ymir si dice che generò un uomo e una donna
sotto le ascelle, e non si può dubitare che si tratti di un racconto tradito della
nascita dell'umanità. Figlio di Tvisto è invece
Mannus, la cui trasparente etimologia (dal
protogermanico *mannaz, a sua volta dalla radice indoeuropea
*MAN- «uomo») lo caratterizza come progenitore ed eponimo
dell'umanità. Ci si può chiedere se siano due esiti di un medesimo mito o
se si tratti due tradizioni originariamente diverse.
(Branston 1962)
Al riguardo, Wolfgang Meid ha proposto per il nome di
Ymir una controversa etimologia, facendolo
derivare da un protogermanico *(j)umijaz «gemello», a sua volta
proveniente dall'indoeuropeo *JJO- «gemello» (cfr.
sanscrito yama, latino geminus) (Meid 1991).
Partendo da questo assunto, Meid è riuscita a giustificare l'assimilazione con il
mito antropogonico riferito da Tacitus in
Germania
[2]. Il nome di Tvisto, infatti, sembra costruito sulla
radice protogermanica *tvai- «due», o più esattamente sulla sua forma
derivativa *tvis- «secondo, doppio» (cfr. greco dís, latino bis),
la quale avrebbe dato tra l'altro l'inglese twin «gemello».
Ymir e Tvisto
potrebbero dunque essere personaggi omologhi.
L'ipotesi di Meid è debole nel fatto che l'affinità tra
Tvisto e
Ymir è soltanto apparente.
Tvisto è infatti protagonista di un mito
antropogonico, essendo il progenitore dell'umanità, laddove, nel caso di
Ymir, il motivo antropogonico è secondario,
o almeno lo è nella sola versione che ci sia stata tramandata, quella di Snorri.
Viceversa, il mito di
Ymir è essenzialmente cosmogonico: il suo
sacrificio è propedeutico alla creazione dell'universo, laddove
Tvisto
viene spontaneamente alla luce da una terra già formata e creata. Da questo
punto di vista i due personaggi sono del tutto differenti, anzi, addirittura
antitetici.
-
Ymir muore prima della nascita
dell'universo, creato in seguito al suo sacrificio. Mito cosmogonico.
- Tvisto nasce dopo la creazione
dell'universo, ed è antenato del genere umano. Mito antropogonico.
Il mito di Tvisto
sembra più vicino a quello di Búri, anche
se, a rigore, non si può escludere che queste tradizioni abbiano un'origine
comune, poi viziata da scambi di personaggi e di motivi.
Analizzando i diversi miti di creazione, James P. Mallory ha
ritenuto di poter delineare un'originaria antropogonia indoeuropea che prevedeva
la compresenza di due gemelli primordiali, l'«Uomo» [*Man-] e il
«Gemello» [*Jjo-], di cui il primo avrebbe ucciso il secondo per poi
fare utilizzare il suo corpo per creare l'universo. In seguito, «Uomo» sarebbe
diventato il progenitore dell'umanità. L'esito che Mallory considerava
paradigmatico per la sua ipotesi dei gemelli primordiali, lo individuava nei
semidèi vedici Manu e Yama,
figli del dio solare
Vivasvat
(Mārkaṇḍeyapurāṇa).
Manu
è il noè indiano, il progenitore del genere umano (manu in
sanscrito significa «uomo», anch'esso dalla radice indoeuropea *MAN- «uomo»);
Yama è il primo uomo è
sperimentare la morte e perciò assurto a re dei defunti (yama in
sanscrito vuol dire «doppio, gemello, nato due
volte, membro di una coppia», derivato dalla radice *JJO- «gemello»).
(Mallory 1989)
Date queste promesse,
Tvisto e
Mannus possono apparire strettamente connessi a
Yama e
Manu, nel primo
caso soltanto semanticamente, nel secondo anche etimologicamente. D'altra parte,
è vero che Tacitus non pone
Tvisto e
Mannus come fratelli, ma come padre e
figlio. Ma anche così, traspaiono comunque delle singolari coincidenze
genealogiche, in
quanto il nome di Tvisto presenta una certa
assonanza con quello del vedico
Tvaṣṭṛ, l'artefice divino, padre di
Saraṇyu e, appunto, nonno di
Yama e
Manu.
Il mito riferito da Tacitur è forse vicino a quello indiano, ma né l'uno né
l'altro, a ben guardare, presentano riscontri cosmogonici, mentre il mito di
Ymir è cosmogonico. Infine, Ymir
si erge da solo, prima di ogni altra creatura, nel
caos primigenio. La sua iniziale solitudine è un dato essenziale per la
comprensione del personaggio, ed è arduo trasformarlo – anche forzandone
l'etimologia – nel gemello di qualcun altro. Le similarità di
Ymir con Yama
appaiono decisamente pretestuose.
Con Ymir, decisamente, dobbiamo entrare
in un campo affatto diverso: quello del macroantropo primordiale. |
IX - BÚRI, IL PROTOANTROPO
Il personaggio di Búri è del tutto ignoto
ai canti della Ljóða
Edda. In particolare, la
Vǫluspá
passa direttamente da Ymir a
Borr, ignorando del tutto la presenza di
Búri. Da questo si può forse dedurre che il
mito di Búri appartenesse a una tradizione
diversa, del tutto scissa dal maestoso scenario cosmogonico incentrato su
Ymir? Non è certamente impossibile, come
non è impossibile che sia stato Snorri a cucire insieme due tradizioni
differenti. Búri fa la sua comparsa
soltanto nella Prose
Edda di Snorri. Qui viene narrata la sua nascita, in un mito
suggestivo ambientato nei tempi primordiali, quando l'universo non era che una
dicotomia di gelo e fuoco alle due estremità del
Ginnungagap. Ma la presenza di Búri non dura molto: ha il solo
compito di dare alla luce (non si dice con chi)
Borr,
padre di Óðinn,
Vili e
Vé.
Hon sleikti hrímsteina þá er saltir
váru. Ok hinn fyrsta steinanna er hon sleikti, kom ór steininum at kveldi manns
hár, annan dag manns höfuð, þriðja dag var þat allr maðr. Sá er nefndr Búri.
Hann var fagr álitum, mikill ok máttigr. Hann gat son þann er Borr er nefndr.
Hann fekk þeirar konu er Bettla hét, dóttir Bölþorns jötuns, ok fengu þau þrjá
sonu. Hét einn Óðinn, annarr Vili, þriði Vé. Ok þat er mín trúa at sá Óðinn ok
hans brœðr munu vera stýrandi himins ok jarðar. Þat ætlum vér at hann muni svá
heita, svá heitir sá maðr er vér vitum mestan ok ágæztan, ok vel megu þér hann
láta svá heita. |
[La vacca
Auðhumla]
leccava le rocce brinate, che erano salate, e nel primo giorno in cui essa le
leccò, da quelle pietre spuntarono a sera i capelli di un uomo, il giorno dopo
la testa e il terzo giorno vi fu l'uomo intero. Il suo nome era Búri. Era
di bell'aspetto, grande e possente. Generò un figlio chiamato
Borr; questi prese in moglie quella donna che si
chiamava Bestla, figlia del gigante
Bölþorn ed ebbero tre figli. Il primo si chiamava
Óðinn, il secondo
Vili, il
terzo Vé, e io so per verità, che
Óðinn e i suoi fratelli saranno i signori del cielo e
della terra. |
Snorri
Sturluson: Prose Edda >
Gylfaginning [6] |
Tra parentesi, l'unica altra attestazione del nome di Búri
è in una strofa attribuita allo scaldo Þorvaldr blönduskáld e citata da Snorri nello
Skáldskaparmál. Il poeta si vanta di aver
attinto all'idromele della poesia,
attribuita a Óðinn, detto «figlio di
Borr,
di Búri erede», il che non aggiunge nulla a
quanto già sappiamo:
D'altra parte, la storia di Búri
estratto dalle rocce ghiacciate a opera della vacca
Auðhumla, pare essere un doppione del
mito della nascita di Ymir dalle acque dei
fiumi Elivágar. Sembra quasi che due
diverse tradizioni sulla nascita del primo essere (quella di
Ymir e quella di
Búri) siano convenute insieme nella
Prose Edda.
In effetti i due personaggi nascono entrambi dagli elementi primordiali e hanno
l'identica funzione di dar vita a una progenie senza il concorso femminile
(quest'ultimo dettaglio è esplicito per Ymir,
ma per quanto riguarda Búri sembra
implicito nel contesto). Nulla dunque di più facile che due diversi miti di
creazione (o due versioni diverse di uno stesso mito) siano convenuti da
direzioni differenti e integrati nella
Prose Edda.
Búri ha però un ruolo diverso da quello
di Ymir. Appare nel racconto di Snorri
unicamente per fornire una paternità a Borr
– e quindi un'ascendenza a Óðinn – ma, al
contrario di Ymir, non viene
sacrificato affinché col suo corpo possa venir creato l'universo (anche se
Snorri può aver facilmente adattato il racconto per non creare contraddizioni
con il mito di Ymir).
Inoltre, cosa ancora più importante, Ymir
è senza dubbio un gigante [jǫtun], mentre
Búri viene sempre definito un
«uomo»
[maðr]. Analogamente, le þulur annoverano
Ymir tra gli elenchi dei giganti, ma non
Búri, né alcuno della sua discendenza.
Affermare che Búri sia un gigante è dunque
contrario ai testi. Il mito della sua nascita non è cosmogonico, ma
antropogonico e teogonico. D'altra parte, il nome Búri deriva dal norreno bera «procreare»
(cfr. anglosassone byre «figlio», norreno byrð e inglese birth
«nascita»), a sua volta da una radice indoeuropea *BʰER- «portare», e andrebbe
quindi forse tradotto con «nato, generato». Ci si può
chiedere quanto possa essere significativo il collegamento con l'albanese bur
«uomo», quasi che Búri sia stato, in qualche perduta
tradizione, il «primo uomo».
Ma torniamo ancora una volta al racconto antropogonico degli antichi Germani
fornito da Tacitus:
Celebrant carminibus antiquis, quod unum
apud illos memoriæ et annalium genus est, Tuistonem deum terra editum. Ei filium
Mannum, originem gentis conditoremque, Manno tris filios assignant, e quorum
nominibus proximi Oceano Ingæuones, medii Herminones, ceteri Istæuones uocentur.
|
In antichi poemi, unica loro forma di
trasmissione storica, [i Germani] cantano il dio Tvisto
nato dalla terra. A lui assegnano come figlio Mannus,
progenitore e fondatore della razza germanica e a Mannus
attribuiscono tre figli, dal nome dei quali derivano proprio gli Ingævones, i più
vicini all'oceano, gli Herminones, stanziati in mezzo, e gli Istævones, cioè tutti
gli altri. |
Cornelius Tacitus:
Germania [2] |
Molti studiosi, come abbiamo visto, tendono ad equiparare il
Tvisto tacitiano a
Ymir (Branston 1962 | Meid 1992), ma a ben
guardare l'operazione presenta una difficoltà: Tvisto
viene detto «nato dalla terra» [terra editum] mentre
Ymir viene generato nel
Ginnungagap prima della
nascita della terra; e anzi, quest'ultima viene creata a partire dal corpo
smembrato di Ymir, mentre nulla del genere
si narra riguardo a Tvisto. Per quanto è sempre
possibile che, nel suo laconico racconto, Tacitus abbia taciuto dei dettagli
importanti, bisognerà ammettere, stante i dati alla mano, che
Tvisto non è una figura di macroantropo. Il mito
che lo riguarda – nella forma in cui ci è stato trasmesso – di nuovo non è
cosmogonico ma antropogonico. In conclusione, questo
Tvisto «nato dalla terra» è un protoantropo, e rassomiglia molto di più a
Búri.
È evidente che si tratta di ipotesi molto traballanti, come fragile è la
correlazione tra i due alberi genealogici di Tvisto
e di Búri:
Se tra Tvisto e
Búri può essere delineato un vago parallelo, nulla sappiamo dire sul
rapporto tra Mannus e
Bórr. Mannus,
a giudicare dalla trasparente etimologia (dal protogermanico *mannaz,
dalla radice indoeuropea *MAN- «uomo»), il progenitore dell'umanità. Ma il
nome di Bórr ha un significato del tutto
diverso, e il personaggio è piuttosto considerato antenato dei principali dèi
scandinavi. E con simile difficoltà, *Herminus, *Ingævus ed
*Istævus sono
antenati eponimi di popolazioni germaniche, mentre
Óðinn,
Vili e Vé sono tre importanti
divinità. Ma è anche vero che, nella mitologia scandinava,
Óðinn è considerato antenato di molte
stirpi reali (e *Ingævus corrisponde
etimologicamente ad Yngvi-Freyr, antenato
degli Ynglingar, stirpe reale di Svezia).
|
X - IL SACRIFICIO DI YMIR Il principale mito di
Ymir, e dunque la ragione cosmogonica della
sua presenza, ruota attorno al mito del suo sacrificio. Il maestoso gigante
venne infatti ucciso dai figli di Borr, ovvero
Óðinn,
Vili e
Vé, i quali utilizzarono gli
elementi e le parti del suo immenso corpo come materia prima per
creare l'universo.
Þeir tóku Ymi ok fluttu í mitt
Ginnungagap ok gerðu af honum jǫrðina, af blóði hans sæinn ok vǫtnin. Jǫrðin var
gǫr af holdinu, en bjǫrgin af beinunum. Grjót ok urðir gerðu þeir af tǫnnum ok
jǫxlum ok af þeim beinum er brotin váru. [...] |
Essi presero
Ymir e
lo posero nel mezzo del Ginnungagap e da lui
fecero la terra, dal suo sangue il mare e le acque. La terra era fatta della sua
carne, le rocce delle sue ossa. I sassi e le pietre le crearono dai suoi denti,
dai molari, e dalle ossa che erano rotte. [...] |
Af því blóði er ór sárum rann ok laust
fór, þar af gerðu þeir sjá þann er þeir gerðu ok festu saman jǫrðina ok lǫgðu
þann sjá í hring útan um hana, ok mun þat flestum manni ófœra þykkja at komask
þar yfir. [...] |
Del sangue, che dalle sue ferite
corse e scaturì fuori, essi fecero il mare, quando formarono e saldarono insieme
la terra, e quindi vi disposero attorno il mare come un anello, e sembrerà
impossibile a molti uomini andare oltre a esso. [...]
|
Tóku þeir ok haus hans ok gerðu þar af
himin ok settu hann upp yfir jǫrðina með fjórum skautum, ok undir hvert horn
settu þeir dverg. [...] |
Presero anche il suo cranio, ne fecero il
cielo e lo posero sopra la terra con quattro angoli, e sotto ciascun angolo
posero un nano [a sorreggerlo]. [...] |
En fyrir innan á jǫrðunni gerðu þeir
borg umhverfis heim fyrir ófriði jǫtna, en til þeirar borgar hǫfðu þeir brár
Ymis jǫtuns ok kǫlluðu þá borg Miðgarð. Þeir tóku ok heila hans ok kǫstuðu í
lopt ok gerðu af skýin... |
Ma all'interno della terra essi edificarono
un bastione tutt'attorno al mondo, contro l'ostilità dei giganti, usando per il
loro recinto le ciglia del gigante Ymir e chiamarono
quella rocca Miðgarðr. Presero anche il suo
cervello, lo lanciarono in cielo e ne fecero le nuvole... |
Snorri
Sturluson:
Prose Edda > Gylfaginning
[8] |
Il fatto che il cielo sia stato creato a partire dal cranio di Ymir, è
testimoniato da una kenning diffusa nella poesia scaldica, nella quale
Ymis haus, «cranio di Ymir», è una erudita metafora che
indica la volta celeste. Scrive al riguardo Snorri nello
Skáldskaparmál:
Hvernig skal kenna himin? Svá at kalla
hann Ymis haus ok þar af jǫtuns... |
Quali sono le kenningar per il
cielo? Lo si può chiamare cranio di Ymir e quindi cranio
del gigante... |
Snorri
Sturluson:
Prose Edda > Skáldskaparmál [31] |
E quindi cita dei versi attribuiti ad Arnórr jarlaskáld (XI sec.)
dove, appunto, il cielo viene detto «cranio di Ymir»:
Ungr skjǫldungr stígr aldri
jafnmildr á við skjaldar
þess var grams, und gǫmlum,
gnóg rausn, Ymis hausi. |
Nessun giovane sire mai salirà più
d'egli liberal sull'albero di scudi,
sotto il cranio di Ymir vetusto,
fu di tal condottiero grande il fasto. |
Snorri
Sturluson:
Ljóða Edda > Skáldskaparmál
[31
{105}] |
Ma al ruolo di Ymir quale macroantropo primordiale già avevano
accennato alcuni poemi eddici. Nel
Vafþrúðnismál, alla domanda «Da dove la terra provenne | e il
cielo in alto | in principio, o saggio gigante?», il sapiente
Vafþrúðnir risponde:
Ór Ymis holdi
var jǫrð um skǫpuð,
en ór beinom bjǫrg,
himinn ór hausi
ins hrímkalda jǫtuns,
en ór sveita sjór. |
Dalla carne di Ymir
fu la terra creata
e dalle ossa i monti;
il cielo dal cranio
del gigante freddo di brina
e dal sangue il mare. |
Ljóða Edda
> Vafþrúðnismál [21] |
Lo stesso motivo viene ripetuto nel
Grímnismál.
Ór Ymis holdi
var jǫrð um skǫpuð,
en ór sveita sær,
bjǫrg ór beinom,
haðmr ór hári,
en ór hausi himinn. |
Dalla carne di Ymir
fu la terra creata
dal sangue il mare,
le montagne dalle ossa,
gli alberi dai capelli,
dal cranio il cielo. |
En ór hans brám
gerðo blið regin
miðgarð manna sonom;
en ór hans heila
vóro þau in harðmóðgo
ský ǫll um skǫpuð. |
Dalle sue ciglia
fecero gli dèi benedetti
Miðgarðr per i figli degli uomini;
dal suo cervello
vennero le tempestose
nuvole tutte create. |
Ljóða Edda
> Grímnismál [40-41] |
Nell'ordinamento cosmologico, il
Miðgarðr è la parte del cosmo corrispondente al
nostro mondo, assegnata ai figli degli uomini. La parola garðr in norreno
vuol dire «recinto, fortificazione», e la giustificazione sta appunto nel fatto,
pure ricordato da Snorri, che tale fortificazione cosmica fu costruita a partire
dalle ciglia di Ymir. |
XI - DA YMIR AL PURUṢA, IL MITEMA DEL MACROANTROPO Ymir è
il gigante nato prima di ogni altra cosa, il cui sacrificio è necessario per la
creazione dell'universo. Il mitema è quello del macroantropo primordiale, il cui
corpo è la materia prima da cui deriveranno tutte le cose e le creature
del mondo. Universo potenziale e vivente, il macroantropo occupa tutto lo
spazio: egli dovrà essere ucciso affinché ogni altra cosa possa esistere.
Gli elementi di questo mitema possono essere rintracciati, a volte condensati
insieme, a volte frammentari, in molti sistemi mitologici. Buoni modelli
comparativi sono offerti dal mondo indoiranico. In India troviamo innanzitutto
il Puruṣa dal
tardo vedismo, l'«uomo cosmico» dal cui sacrificio [puruṣamedha] gli dèi
crearono l'universo, con i suoi elementi cosmologici e i suoi esseri viventi,
originando peraltro un'umanità già separata in caste. Così declama un inno
vedico:
Sahasraśīrṣā puruṣaḥ
sahasrākṣaḥ sahasrapāt; sa bhūmiṃ viśvato vṛtvāty atiṣṭhad
daśāṅgulam. |
Puruṣa aveva mille teste, mille occhi, mille
piedi. Ricopriva tutta la terra da ogni parte e la superava ancora di dieci
dita. |
Puruṣa evedaṃ sarvaṃ yad bhūtaṃ yac
ca bhavyam. [...] |
Puruṣa è tutto questo universo, sia ciò che è
stato, sia ciò che deve ancora essere. [...] |
Yat Puruṣeṇa haviṣā devā yajñam atanvata, vasanto asyāsīd
ājyaṃ grīṣma idhmaḥ śarad dhaviḥ. |
Quando gli dèi celebrarono il sacrificio
con Puruṣa
come oblazione, la primavera fu il burro fuso, l'estate la legna da ardere,
l'autunno l'offerta. |
Taṃ yajñam barhiṣi praukṣan Puruṣaṃ jātam
agrataḥ; tena devā ayajanta sādhyā ṛṣayaś ca ye. |
Quel Puruṣa, nato ai primordi, essi lo aspersero
come vittima sacrificare sullo strame d'erba. Con lui gli dèi, i sādhya e
i veggenti compirono il sacrificio. |
Tasmād yajñāt sarvahutaḥ
sambhṛtam pṛṣadājyam; paśūn tāṃś cakre vāyavyān āraṇyān grāmyāś ca ye. [...] |
Da quel sacrificio completamente offerto fu
raccolto il burro coagulato: esso divenne gli animali, quelli che stanno
nell'aria, quelli che stanno nella foresta e quelli che stanno nei villaggi.
[...]. |
Tasmād aśvā ajāyanta ye ke
cobhayādataḥ; gāvo ha jajñire tasmāt tasmāj jātā ajāvayah. |
Da quello nacquero i cavalli e tutti gli
animali che hanno denti incisivi sia sopra che sotto; da quello nacquero le
vacche; da quello nacquero le capre e le pecore. |
Yat Puruṣaṃ vy adadhuḥ katidhā vy
akalpayan; mukhaṃ kim asya kau bāhū kā ūrū pādā ucyete. |
Quando smembrarono
Puruṣa, in quante parti lo divisero?
Che cosa divenne la sua bocca? Che cosa le sue braccia? Come sono chiamate ora
le sue cosce? E i suoi piedi? |
Brāhmaṇo 'sya mukham āsīd bāhū
rājanyaḥ kṛtaḥ; ūrū tad asya yad vaiśyaḥ padbhyāṃ śūdro ajāyata. |
La sua bocca diventò il brāhmaṇa,
le sue braccia si trasformarono nello kṣatriya,
le sue cosce nel vaiśya, dai piedi nacque lo śūdra. |
Candramā manaso jātaś cakṣoḥ sūryo
ajāyata; mukhād Indraś cĀgniś ca prāṇād
vāyur ajāyata. |
Dalla sua mente nacque la luna; dagli occhi
nacque il sole; dalla bocca Indra e
Agni; dal respiro nacque il vento. |
Nābhyā āsīd antarikṣaṃ śīrṣṇo dyauḥ
sam avartata; padbhyām bhūmir diśaḥ śrotrāt tathā lokāṁ akalpayan. |
Dal suo ombelico ebbe origine l'atmosfera;
dalla testa si produsse il cielo; dai piedi la terra; dalle orecchie i punti
cardinali. Così gli dèi formarono il mondo. |
Ṛgveda [X: 90 - Puruṣasūkta] |
Ma il Puruṣasūkta è già un testo
piuttosto elaborato. Non offre precisi dettagli mitici che possano permetterci
di connettere il Puruṣa
all'Ymir scandinavo. Nondimeno siamo finalmente sulla strada giusta ma, per trovare un modello comparativo più
arcaico, e più vicino al mito scandinavo, dobbiamo spostarci in
Īrān. Qui troviamo la figura di
Gāyōmarṯ, «vita mortale», il primo dei
viventi, che venne ucciso da Aŋra Mainyu e dal cui
corpo si originarono i metalli. Dal seme di Gāyōmarṯ,
versato nella terra, spuntò un albero dal quale presero forma un uomo e una
donna, Mašī e Mašanī
(Bundahišn [XV: 1-3]). Essi corrispondono evidentemente
all'uomo e alla donna che sbocciarono spontaneamente sotto le ascelle di
Ymir, ed è assai probabile che siano stati
proprio costoro, in una versione tradita del mito scandinavo, i progenitori
dell'umanità.
Nella sua rielaborazione letteraria, Snorri potrebbe aver minimizzato il dettaglio per non creare
contraddizioni con il mito, riferito in seguito, della creazione del primo uomo
e della prima donna, creati rispettivamente a partire da un frassino e da un
olmo. E il fatto che anche Askr ed
Embla abbiano un'origine vegetale,
proprio come Mašī e Mašanī,
suggerisce che i miti iranici e scandinavi si muovono su un terreno comune.
|
XII - UN ANTICO MITO ALTERNATIVO DELLA CREAZIONE?
Come abbiamo visto, Ymir, il macroantropo
cosmico, compare per la prima volta in letteratura nella
Vǫluspá,
che introduce il racconto cosmogonico , alla terza strofa, con un accenno al
gigante primordiale, già presente ed esistente prima che l'universo venisse
creato.
Ár vas alda
þars Ymir byggði
vasa sandr né sær,
né svalar unnir;
jǫrð fansk æva
né upphiminn;
gap vas ginnunga,
en gras hvergi. |
Al principio era il tempo:
Ymir vi dimorava;
non c'era sabbia né mare
né gelide onde;
terra non si distingueva
né cielo in alto:
il baratro era spalancato
e in nessun luogo erba. |
Ljóða Edda
>
Vǫluspá [3] |
Tuttavia, nel citare la medesima strofa, Snorri riporta una differente
versione dei primi due semiversi: «Al principio era
il tempo | quando nulla esisteva» [Ár var alda | það er ekki var]
(Gylfaginning [4
{5}]), quindi senza alcun riferimento
a
Ymir. È assai probabile che Snorri attinse a una versione della
Vǫluspá
diversa da quella attestata nei due manoscritti a noi pervenuti.
Inoltre, la stessa
Vǫluspá, nel trattare il racconto della
creazione del mondo da parte dei figli di Borr
(Óðinn,
Vili e
Vé), di nuovo non cita
Ymir:
Áðr Bors synir
bjǫðum of ypðu,
þeir es Miðgarð
mæran skópu... |
Finché i figli di Borr
trassero su le terre,
loro che Miðgarðr
vasta formarono... |
Ljóða Edda
>
Vǫluspá [4] |
La cosa è abbastanza curiosa perché,
nell'interpretazione fornita da altri poemi eddici, nonché da Snorri, i figli di
Borr avrebbero creato il mondo appunto a
partire dal corpo di
Ymir. Ci si può chiedere se quest'«assenza»
sia intenzionalmente dovuta allo stile ellittico del poema o se non ci sia alla
base una versione alternativa del mito di creazione.
|
XIII - UNA TITANOMACHIA NORRENA?
È dal sangue che sgorga copioso dalle ferite di
Ymir che, secondo Snorri, si produsse il
diluvio nel quale vennero sterminati i giganti primordiali (tranne
Bergelmir e sua moglie).
Synir Bors drápu Ymi jǫtun, en er hann
fell, þá hljóp svá mikit blóð ór sárum hans at meðr því drekðu þeir allri ætt
hrímþursa. |
I figli di
Borr
uccisero il gigante Ymir, ma quando egli
cadde dalle sue ferite uscì tanto sangue, che in esso affogarono tutta la stirpe
dei giganti di brina [...]. |
Snorri
Sturluson:
Prose Edda > Gylfaginning
[7] |
Il mito del genocidio dei giganti può essere riportato, fatte
le dovute cautele, al mitema della titanomachia. I popoli indoeuropei avevano la
comune concezione che gli dèi avessero imposto il loro dominio sul mondo solo
dopo averlo strappato alla più antica generazione divina.
Nel mondo greco troviamo il confronto che oppose gli dèi
della generazione olimpica ai loro progenitori, i
Titânes
①. Nel mondo celtico questa guerra
sembra corrispondere, anche se le analogie non sono molto precise, al mito delle
due battaglie di Mag Tuired, sostenuta dalle
Túatha Dé Danann
contro i Fir Bolg e
i Fomóire per il
possesso e il dominio dell'Irlanda
②. Nella tradizione romana il mito
della titanomachia sembra riapparire, sublimato e trasformato, nel confronto che
vede opporsi Romulus e Remus
allo zio Amulius; dopo la sconfitta di quest'ultimo,
i due fratelli potranno procedere alla fondazione di Roma.
Nel mito nordico sono i tre figli di
Borr, ovvero
Óðinn,
Vili e Vé, gli dèi della nuova
generazione, a sconfiggere i giganti primordiali, discendenti di
Ymir. Distrutti i giganti, gli dèi
creeranno il mondo a partire dal corpo di Ymir
e quindi inizierà il loro dominio.
Il fatto che, nel mito scandinavo, i giganti primordiali
vengano spazzati via da un alluvione, sembra non avere altre attinenze nella
mitologia degli altri popoli indoeuropei. Ma è a quanto pare un mito che faceva
parte della tradizione germanica. Tra gli Anglosassoni se ne trova un'eco nel
Bēoƿulf, nelle descrizione delle decorazioni
runiche dell'elsa della spada rinvenuta da Bēoƿulf
nella grotta di Grendel:
On ðǣm ƿæs ōr ƿriten
fyrn-ġewinnes,
syðþan flōd ofslōh,
ġifen ġēotende,
ġīganta cyn;
frēcne ġefērdon;
þæt ƿæs fremde þēod
ēcean Dryhtne;
him þæs ende-lēan
þurh wæteres wylm
Ƿaldend sealde. |
C'era su incisa
la storia del conflitto
secolare, di quando
il diluvio distrusse,
la gonfia mareggiata,
la razza dei giganti.
Aveva combinato
cose tremende,
quel popolo straniero
al Signore eterno.
Il saldo del conto
glielo spedì il Padrone
a forza d'acque in fermento. |
Bēoƿulf [-] |
A cercare un'origine di tale mito non si può fare a meno di
riandare al
Bǝrēʾšîṯ, dove il
diluvio è causato dalla violenza scatenata sulla terra dai
giganti, i discendenti dei «figli di Dio» e delle «figlie degli uomini». Ma è
difficile capire in quali modi o tempi questa tradizione sia arrivata nel mondo
germanico, o non si sia piuttosto sposata con una tradizione preesistente.
|
XIV - BERGELMIR SUL SUO
LÚÐR Il mito di
Bergelmir, il gigante che sfuggì al
diluvio di sangue arrampicandosi sul suo mulino, è uno dei più enigmatici – e
variamente interpretato – dell'intera filologia eddica. Il nucleo del mito di
Bergelmir è riferito nella problematica strofa
Vafþrúðnismál [35]:
Ǫrófi vetra
áðr væri iǫrð om skǫpuð,
þá var Bergelmir borinn;
þat ek fyrst um man
er sá inn fróði iǫtunn
var á lúðr um lagiðr. |
Innumerevoli inverni,
prima che fosse la terra creata,
allora venne Bergelmir alla luce;
questo per primo io rammento:
che lo vidi, quel saggio gigante,
che giaceva su un lúðr. |
Ljóða Edda >
Vafþrúðnismál [35]
|
La parola lúðr presenta enormi difficoltà di
interpretazione, avendo tre possibili significati:
-
Il termine lúðr ha l'accezione di strumento musicale,
corno o tromba, soltanto nei documenti più tardi, nelle saghe scritte in epoca
cristiana. Lo troviamo nell'Edda di Snorri, dove si dice che
Heimdallr «possiede un corno, chiamato
Gjallarhorn» [hann hefir lúðr
þann, er Giallarhorn heitir]
(Gylfaginning [27]). Ma nella
Ljóða Edda il corno di
Heimdallr non è mai chiamato lúðr,
bensì horn o hljóð. Tuttavia, anche se non si può escludere che la
parola lúðr indicasse uno strumento musicale già in epoca scaldica, è
ragionevole presumere che non sia questo il significato del termine nel
Vafþrúðnismál, in quanto
Bergelmir non si può certo essere steso su un corno o una tromba.
-
La seconda accezione, lúðr quale «madia per la farina»
è citato dai più importanti dizionari antico-islandesi. Sembra perfettamente
ragionevole che Bergelmir si fosse
sdraiato (o rinchiuso) in una madia o in una cassa di legno, anche se il testo
non ne rivela le ragioni. Il dizionario di Cleasby e Vigfússon cita il verso del
Vafþrúðnismál sotto questa definizione, pur segnalando che «si
riferisce a un antico mito perduto». Lo stesso
riporta un'interessante espressione: ganga í lúðr, che viene tradotto con
«cadere nella madia di qualcuno» [to fall into one's bin], con
l'accezione di «contrarre un debito, essere vincolati a qualcuno» [to fall to
one's lot]. Curiosamente il verbo lúðra significa «chinarsi,
abbassarsi», pare da intendersi come l'atto di chi si china sopra una madia.
(Cleasby ~ Vigfússon
1874 | Zoëga 1910).
-
Il termine lúðr può indicare anche la cassa di una
macina o di un mulino, significato che il termine conserva tuttora nella zona
sudorientale dell'Islanda, dove indica la macina o il mulino stesso. Col
significato di «mulino», lúðr è attestato in diversi poemi antichi, tra
cui l'Helgakviða Hundingsbana ǫnnor [2-4],
nel quale l'eroe Helgi, cercando scampo da re
Hundingr, si mette alla macina travestito da donna
e quasi distrugge il lúðr. Il termine si trova inoltre nell'ardua
espressione dello scaldo Snæbjǫrn, «mulino delle isole» [eylúðr], che
sembra essere una kenning indicante il mælstrǫm, il vortice marino
(Skáldskaparmál [33]). Nel
Grottasǫngr si trova inoltre il
seguente passo, ove il valore di lúðr è inequivocabilmente «mulino» o
«macina»:
Mólu meyjar,
megins kostuðu,
váru ungar
í jǫtunmóði;
skulfu skaptré,
skauzk lúðr ofan,
hraut inn hǫfgi
hallr sundr í tvau. |
Molivan, fanciulle,
con sì sforzo immane,
le giovani cadder
in furia gigante.
Il perno tremò,
si ruppe la cassa [lúðr],
schiantò in frantumi
il grande palmento. |
Ljóða Edda [minora] >
Grottasǫngr [23]
|
Se dunque applichiamo quest'ultima accezione al lúðr
in
Vafþrúðnismál, otteniamo che
Bergelmir «giaceva su un mulino».
Secondo Viktor Rydberg sarebbe proprio questa l'interpretazione corretta del
testo: lezioni meno letterali rischiano di alterarne il significato originale.
Nel caso di Bergelmir, l'accezione più
significativa è probabilmente la terza. Una volta accettata tale
interpretazione, però, non è ancora chiaro per quale motivo
Bergelmir si fosse steso sulla macina.
Alcuni autori hanno ipotizzato che il gigante venisse addirittura macinato, e
hanno voluto vedere in questa immagine l'esito di un perduto mito cosmogonico,
nel quale i giganti vennero triturati e trasformati in argilla
(Rydberg 1886).
È Snorri a collegare l'enigmatica allusione a
Bergelmir nel
Vafþrúðnismál con il mito del
diluvio di sangue che sterminò la razza dei giganti primordiali, ma ne tradisce
sottilmente il senso, affermando che
Bergelmir non si fosse semplicemente steso sulla macina, bensì si fosse
arrampicato [fór upp] isul mulino stesso, insieme a sua moglie, sfuggendo
così all'ondata distruttrice.
(Gylfaginning [7])
Synir Bors drápu Ymi iǫtun, en er hann féll, þá hlióp
svá mikit blóð ór sárum hans, at með því drekkðu þeir allri ætt hrímþursa, nema
einn komst undan með sínu hýski. Hann kalla iǫtnar Bergelmi. Hann fór upp á lúðr
sinn ok kona hans ok helzt þar, ok eru af þeim komnar hrímþursa ættir. |
I figli di Borr
uccisero il gigante Ymir, ma quando egli
cadde dalle sue ferite uscì tanto sangue, che in esso affogarono tutta la stirpe
dei giganti di brina, tranne uno che fuggì con la sua famiglia. Costui i giganti
lo chiamano Bergelmir. Si arrampicò
sul suo lúðr, sua moglie con lui, e così si salvarono. Da loro sono
discese le stirpi dei giganti di brina... |
Snorri
Sturluson: Prose Edda >
Gylfaginning [7] |
L'introduzione della moglie del gigante serve a Snorri per
giustificare la discendenza dei giganti di brina da
Bergelmir. È difficile dire fino a che punto il mito sia stato riletto
dallo stesso Snorri, e se sia stato lui a creare un collegamento tra il mito del
diluvio di sangue e la scena di Bergelmir sul suo
mulino. A meno che Snorri non disponesse di qualche fonte andata perduta, si ha
l'impressione che travisi il senso di
Vafþrúðnismál
[35].
La lettura di Snorri ha indotto i successivi esegeti a
forzare ancor più il significato di lúðr finendo con il trasformarlo in
una «barca». Nell'Edizione Raseniana della
Prose Edda (København 1665), le parole «si
arrampicò sul suo lúðr» [fór upp á lúðr sinn] sono emendate in
«entrò nella sua barca» [fór á bat sinn]. Per quanto del tutto priva di
fondamento, questa interpretazione divenne improvvisamente popolare tra i
mitografi, tra i quali si diffuse il malvezzo di tradurre lúðr con «nave»
e trasformare Bergelmir in una specie
di Nōḥ boreale che naviga sulle onde di sangue su un'arca improvvisata. A metà
del XIX secolo, il filologo tedesco Karl Joseph Simrock osservava: «Ci
autorizzano a tradurre l'oscuro termine lúðr con «barca» sia il contesto
sia la comparazione tra diversi miti» (Simrock 1855).
Da qui, la traduzione tedesca di Hugo Gering: «fu posto in salvo nella barca» [im
Boote geborgen ward] (Gering 1892), e quella
inglese di Rasmus Björn Anderson: «giaceva al sicuro nella sua arca» [safty
in his ark lay] (Anderson 1879). Lo stesso De
Vries suggeriva che la parola lúðr indicasse probabilmente un «tronco
scavato» (De Vries 1961).
Questo è anche il senso adottato nelle due traduzioni italiane dell'Edda di Snorri. Basandosi sull'interpretazione di
De Vries, Gianna Chiesa Isnardi ritiene che l'incerta parola lúðr sia
forse da intendere come un «tronco scavato», e traduce: «fuggì via con la sua
barca» (Isnardi 1975). In una successiva
pubblicazione l'autrice insiste sulla giustezza di tale
traduzione (Isnardi 1991). Giorgio Dolfini traduce
«salì in un tronco cavo» e, dopo aver sottolineato che la traduzione «barca» sia
un'attestazione eccezionale del termine lúðr, ipotizza che in questo
contesto l'oggetto utilizzato da Bergelmir, pur non essendo in origine
un'imbarcazione, venne usato come tale al fine di sfuggire al diluvio di sangue
scatenato dai figli di Borr
(Dolfini 1975).
Detto questo, è tuttavia necessario ritornare al significato di lúðr
come «mulino». Scrivono giustamente Necker e Niedner: «Si è soliti tradurre il
termine [lúðr] con «barca» o anche «culla» senza che ve ne sia un
giustificato motivo e in contrasto col testo. Niente impedisce di tradurre alla
lettera «cassa del mulino» (il vano della macchina su pilastri). È pur vero che
non sappiamo come si sia svolto nei particolari l'episodio cui si fa
riferimento» (Necker
~
Niedner 1942).
Una volta ammessa, l'interpretazione di lúðr come
«mulino» non spiega perché Bergelmir
vi si fosse steso o arrampicato. Se non accettiamo il collegamento logico tra
quest'episodio e il mito del diluvio di sangue, la scena di
Bergelmir aggrappato al suo mulino risulta infatti
del tutto problematica. Al riguardo gli studiosi hanno avanzato molte dotte
spiegazioni ed escogitato soluzioni affascinanti, anche se il problema è lungi
dall'essere risolto.
Ad esempio Clive Tolley appunta la sua attenzione sulla strofa
Vafþrúðnismál
[29]:
Ǫrófi vetra
áðr væri jǫrð skǫpuð,
þá var Bergelmir borinn,
Þrúðgelmir
var þess faðir,
en Aurgelmir afi. |
Innumerevoli inverni,
prima che fosse la terra creata,
allora venne Bergelmir alla luce,
Þrúðgelmir
gli fu padre
e Aurgelmir nonno. |
Ljóða Edda
>
Vafþrúðnismál [29] |
Qui viene
fornita una discendenza di tre giganti primordiali:
Aurgelmir →
Þrúðgelmir
→
Bergelmir. I tre nomi sono allitterati
in -gelmir, termine generalmente connesso al verbo gjalla
«rumoreggiare, gridare». È dunque il primo elemento del nome a distinguere i tre
giganti: Aurgelmir è composto da aurr
«argilla, fango», mentre Þrúðgelmir
è composto da þrúðr «potere, forza», corradicale di þróa
«prosperare». In quanto a Bergelmir,
se i nomi dei tre giganti hanno, come è ragionevole aspettarsi, qualche
relazione semantica, la tradizionale etimologia di
Bergelmir da bjǫrn «orso» non
si giustifica appieno. I primi due nomi appartengono all'ambito della fertilità
della terra e anche per quello di
Bergelmir ci si può aspettare un'origine maggiormente vicina ai temi del
raccolto e della prosperità. Tolley fa notare che in questo caso ber-
potrebbe derivare da barr, ricorrendo alla spiegazione di R.D. Fulk per
la derivazione dal protogermanico *bariz-/baraz-
(Fulk 1989). Dunque Bergelmir
potrebbe essere connesso all'orzo e per estensione alle sementi, per cui cui
l'aggettivo fróðr «saggio», con cui è definito in
Vafþrúðnismál
[35], assumerebbe il
significato di «fertile». (Tolley 1995)
Se si accetta infine l'interpretazione di «mulino» per il termine lúðr,
Bergelmir può dunque divenire un
agente della fertilità della terra. Egli non si sarebbe arrampicato su un
mulino, ma si steso tra le macine e ridotto in poltiglia, come del resto
interpreta Viktor Rydberg. Nel suo imponente studio sui miti nordici, egli
interpreta la scena del «gigante macinato» come l'esito di un perduto mito
cosmogonico, nel quale la terra venne creata a partire dal corpo di
Ymir e degli altri giganti, i quali vennero
triturati e trasformati in argilla [aurr] (Rydberg
1886).
D'altronde, il motivo della macinatura di un macroantropo che genera
fertilità per altro non è unico, in quanto attestato anche nella cosmogonia di
altre culture, come ricordato da Sir James Frazer nel suo monumentale Golden
Bough (Frazer
1890). Del resto un tale mito non sarebbe dissimile nello spirito a
quello del sacrificio di Ymir, ad opera dei
figli di Borr, i quali, usando il suo corpo
come materia prima, diedero forma al cielo e alla terra.
Altrettanto interessante, l'ipotesi proposta da Giorgio De
Santillana ed Hertha Von Dechend, dove questo «mulino» altro non sarebbe che
un'immagine del frassino Yggdrasill,
rappresentazione simbolica dell'asse terrestre (De
Santillana ~ Von Dechend 1969).
Poiché molte indicazioni fanno pensare che gli Scandinavi conoscessero il ciclo
della precessione equinoziale (si vedano le possibili interpretazioni del
ragnarǫk), si potrebbe supporre al
diluvio di sangue – sempre che i due episodi siano interrelati – come al
passaggio da un ciclo cosmico al successivo. In questo caso
Bergelmir diventerebbe una sorta di
guardiano dell'asse cosmico, destinato a chiudere un ciclo del tempo e ad aprire
il successivo. Non si può fare a meno di andare al mito celtico, dove troviamo
il personaggio di Fintán
mac Bóchra intento a salvarsi dal diluvio arrampicandosi in cima a una
collina, per poi trasmettere agli uomini del ciclo successivo tutto il suo
sapere storico e tradizionale.
Ma si tratta soltanto. Poiché si tratta soltanto del laconico
riferimento a un mito ormai irrimediabile perduto, non è possibile aggiungere
nulla di certo.
|
XV - BORR, BESTLA, BǪLÞORN: UN RITRATTO DI
FAMIGLIA Riguardo alla genealogia di
Óðinn e dei suoi fratelli
Vili e
Vé, essa è affidata a un passo della
Prose Edda:
Hann var
fagr álitum, mikill ok máttigr.
Hann gat son þann er Borr er
nefndr. Hann fekk þeirar konu er
Bettla hét, dóttir Bǫlþorns jǫtuns,
ok fengu þau þrjá sonu. Hét einn
Óðinn, annarr Vili, þriði Vé. |
[Búri]
generò un figlio chiamato
Borr; questi prese in moglie quella donna
che si chiamava
Bestla, figlia del gigante
Bǫlþorn ed ebbero tre figli. Il primo si chiamava
Óðinn, il secondo
Vili, il terzo
Vé. |
Snorri
Sturluson:
Prose Edda
>
Gylfaginning
[6] |
Chi sono questi personaggi?
Borr, ad esempio, non viene quasi mai
citato di per sé stesso, ma solo
nell'espressione synir Bors, i «figli di
Borr», espressione che intende in realtà
Óðinn,
Vili e
Vé
(Vǫluspá
[4]). Le fonti non dicono nulla su questo personaggio e non resta
agli studiosi che inferire dati a partire dall'etimologia del nome, il quale
compare nella lezione <Burr> nel Codex Regius [R] della
Ljóða Edda e nel Codex Upsaliensis
[U] della
Prose Edda,
ma è <Borr> nei restanti codici snorriani [Rs | T |
W] e nel Codex
Arnamagnæanus [A].
Quest'ultima forma sembra derivi dal norreno
bora «forare» (cfr. latino forare,
tedesco bohren),
dunque «[colui che] perfora», forse con
riferimento all'attività sessuale. Del resto Borr
è il primo individuo delle genealogie mitiche che si unisca a una donna:
Bestla, figlia di
Bǫlþorn.
Il nome di
Bestla manca ancora di un'etimologia attendibile. Può
essere avvicinato all'antico frisone böst «amore
coniugale». Il nome di
Bǫlþorn
è traducibile come «spina
di male», «spina
malvagia», con riferimento alla terza runa ᚦ del fuþark, la cui
forma ricorda appunto una spina di rovo e ha
ispirato la lettera latina þ,
dallo stesso nome. La lettera
þorn
è anche chiamata «runa del gigante», in quanto
iniziale della parola
þurs «gigante».
Poco o nulla sappiamo
di
Bestla, e ancor meno del suo oscuro genitore, che alcuni studiosi ritengono
di poter identificare con
Mímir, sebbene non si capisca bene con
quale autorità. Entrambi i nomi sono citati in un passo dell'Hávamál, dove
Óðinn afferma che
Bǫlþorn gli avrebbe insegnato nove canti magici:
Infine, l'espressione «figlio di
Bestla»
compare in letteratura come una kenning riferita a
Óðinn.
Al riguardo, Snorri ricorda una strofa del poema
Vellekla «penuria d'oro» di Einarr
skálaglamm (Skáldskaparmál
[10]), che così recita:
Þvíat fjǫlkostigr flestu
flestr ræðr við son Bestlu,
tekit hefi ek morðs til mærðar,
mæringr en þú færa. |
Poiché molti campioni assai meno
di te riescon sovente vincenti
contro il figlio di
Bestla, un encomio,
in poema di guerra, ho composto. |
Einarr
skálaglamm: Vellekla |
...dove l'espressione «riuscire vincenti contro il figlio di
Bestla» può significare
«prevalere in battaglia», «vincere una guerra». |
XVI - VILI E VÉ, GLI EVANESCENTI
FRATELLI DI ÓÐINN Come abbiamo visto, nei racconti cosmogonici,
Óðinn non compare mai da solo, ma come
elemento di una triade insieme ai suoi fratelli
Vili e
Vé. I nomi di questi due enigmatici
personaggi sembrano far di loro dei concetti astratti personificati: il
sostantivo vili è infatti «volontà, voglia, desiderio», mentre vé, pur
significando in origine «casa, dimora», ha assunto il senso di «sacralità,
santità» (un plurale véar è attestato in
Hymiskviða [39] nel significato di «santi», cioè «dèi»).
Si noti che, in una fase prescritturale dell'antico
nordico, i nomi dei tre fratelli allitteravano tra loro:
*Vóð- ~ Vili ~ Vé, e quindi con il significato di «ebbrezza, volontà e
santità».
Vili e
Vé
sono presentati da Snorri col racconto
della loro nascita, quali figli di
Borr e della gigantessa
Bestla:
Hann fekk þeirar konu er
Bettla hét, dóttir Bǫlþorns jǫtuns,
ok fengu þau þrjá sonu. Hét einn
Óðinn, annarr Vili, þriði Vé. Ok
þat er mín trúa at sá Óðinn ok
hans brǿðr munu vera stýrandi
himins ok jarðar. |
[Borr] prese in moglie quella donna
che si chiamava
Bestla, figlia del gigante
Bǫlþorn ed ebbero tre figli. Il primo si chiamava
Óðinn, il secondo
Vili, il terzo
Vé, e io so per verità, che
Óðinn e i suoi fratelli saranno i signori del cielo e della terra. |
Snorri Sturluson:
Prose Edda >
Gylfaginning [6] |
Si noti la netta dichiarazione della loro preminenza e
potenza: i tre fratelli sono destinati ad essere i «signori del cielo
e della terra» [stýrandi
himins ok jarðar]. E in
effetti, nei capitoli successivi, ai «figli di Borr» vengono
attribuiti l'uccisione di Ymir, con
la conseguente creazione dell'universo
(Gylfaginning [7-8]), e quindi viene ad
essi attribuita la costruzione dell'ordine cosmico e astronomnico
(Gylfaginning [8]),
e infine la creazione della prima coppia umana
(Gylfaginning [9]).
Tuttavia è solo in
Gylfaginning [6], che
Vili e
Vé sono citati per nome. Nelle altre
occorrenze essi vengono raccolti, insieme a
Óðinn, nella locuzione Bors
synir, «figli di Borr», e le varie imprese creative sono attribuite collettivamente a questa
triade. Dopodiché anche i Bors
synir scompaiono dalla
Prose Edda
e i racconti successivi si focalizzano sul solo
Óðinn.
Almeno in teoria, tutto ciò dovrebbe darci una certa sicurezza sul fatto che
la locuzione Bors
synir, citate in altre fonti,
si riferisca a
Óðinn,
Vili e
Vé. È il caso del rapido accenno che la
Vǫluspá
fa del racconto della creazione, dove si dice:
Áðr Bors synir
bjǫðum of ypðu,
þeir es Miðgarð
mæran skópu... |
Finché i figli di
Borr
trassero su le terre,
loro che
Miðgarðr
vasta formarono... |
Ljóða Edda
> Vǫluspá [4] |
Se non ché la stessa fonte, pochi
versi più tardi, attribuisce la creazione della prima coppia
umana, Askr ed
Embla, a una triade affatto diversa,
formata da
Óðinn, Hǿnir
e
Lóðurr (Vǫluspá [17-18]).
La stessa impresa era attribuita da Snorri ai Bors
synir, e lo scambio ci
lascia nel dubbio se interpretare
Vili e
Vé
come epiteti o aspetti di Hǿnir
e
Lóðurr. Ma a
Vili e
Vé,
senza alcun dubbio, si riferisce un altro poema eddico,
il Lokasenna,
quando riporta un risvolto malizioso che ha per protagonisti
i due fratelli di
Óðinn:
Þegi þú, Frigg,
þú ert fjǫrgyns mær
ok hefir æ vergiǫrn verit,
er þá Véa ok Vilja
léztu þér, Viðris kvæn,
báða i baðmn um tekit. |
Sta' zitta,
Frigg!
Tu sei la figlia di
Fjǫrgynn
e sempre hai avuto sete di
uomini,
come quando Vé e
Vili,
entrambi, tu donna di
Viðrir,
hai accolto tra le tue braccia. |
Ljóða Edda
> Lokasenna
[26] |
I dettagli dell'adulterio che
Frigg avrebbe compiuto con
Vili e
Vé vengono narrati da Snorri
nel racconto pseudostorico della
Ynglingasaga. Seppure
evemerizzati e trattati come vicende reali della remota
antichità, gli antichi racconti mitologici sono chiaramente
riconoscibili. Snorri narra:
Óðinn átti tvá brǿðr, hét annarr Vé, en annarr
Vili; þeir brǿðr hans stýrðu ríkinu, þá er hann var
í brottu. Þat var eitt sinn, þá er Óðinn var farinn
langt í brott ok hafði lengi dvalzt, at Ásum þótti
ǫrvænt hans heim; þá tóku brǿðr hans at skipta arfi
hans, en konu hans Frigg géngu þeir báðir at eiga.
En litlu síðar kom Óðinn heim, tók hann þá við konu
sinni. |
Óðinn aveva due fratelli: uno si chiamava
Vé, l'altro
Vili.
Questi fratelli governavano il
regno quando gli era lontano.
Avvenne una volta che egli era
partito e aveva indugiato
lontano così a lungo che un suo
ritorno parve agli
Æsir
assai improbabile. Allora i
fratelli presero a dividersi la
sua eredità ed entrambi andarono
a possedere
Frigg, la sposa di lui. Ma poco
dopo
Óðinn giunse a casa; egli riprese la moglie a sé. |
Snorri Sturluson: Ynglingasaga
[3] |
Più tardi, quando narra della migrazione che portò gli
Æsir – che in questo testo
sono un popolo storico – dalla Scizia alla Scandinavia,
Snorri afferma che
Óðinn lasciò i fratelli
Vili e
Vé al governo di
Ásgarðr [þá setti hann brǿðr
sína Vé ok Vila yfir Ásgarð], prima di intraprendere il
viaggio che lo avrebbe portato a diventare il dio dei popoli
del nord Europa (Ynglingasaga
[5]).
La fonte principale dell'Ynglingasaga di Snorri è un poema attribuito a
Þjóðólfr
ór Hvíni (inizi IX sec.), l'Ynglingatal, dove in realtà
Vili e
Vé non compaiono mai. Nel corso dello stesso poema, però,
Óðinn è definito, con semplice kenning, «fratello di
Vili» [Vilja bróður].
Sono versi che cita anche Snorri, trattando della morte di
un mitico re svedese chiamato Vanlandi:
En á vit
Vilja bróður
vitta véttr
Vanlanda kom... |
Un essere magico
il fratello di
Vili
a visitare
Vanlandi mandò... |
Þjóðólfr
ór Hvíni: Ynglingatal [3] |
Vi è anche la possibilità che Vili e
Vé siano da considerare delle emanazioni
dello stesso Óðinn, delle personificazioni dei suoi poteri
creatori. Del resto la penetrazione del
cristianesimo, alla fine del periodo vichingo,
cioè proprio al tempo in cui i miti norreni venivano
messi per iscritto, avrebbe suggerito la creazione come
prodotto della volontà divina. Non è nemmeno da escludere un
avvicinamento al concetto cristiano della Trinità, come già
abbiamo visto nella triade
Hár ~ Jafnhár ~
Þriði
che compare nella cornice della
Gylfaginning. |
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BIBLIOGRAFIA ► |
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