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Grottasǫngr. La canzone del Grotti
Svipdagsmál. Il discorso di Svipdagr
Schema
GROTTASǪNGR - Saggio
GROTTASǪNGR - Testo
Note
Bibliografia

Titolo

Grottasǫngr, «Canzone del [mulino] Grotti»

Genere Poema mitologico
Voci Monologo
Lingua Norreno
Epoca
Composizione:
Redazione:
  Fine del IX – X secolo
1222-1225

Manoscritti

[R] Reykjavík, Stofnun Árna Magnússonar. Codex Regius, ms. GKS 2367 4°
[T] Utrecht, Bibliotheek der Rijksuniversiteit. Codex Trajectinus, Ms. 1374

LJÓÐA EDDA

GROTTASǪNGR

LA CANZONE DEL [MULINO] GROTTI

Il poema

Fenja e Menja ( 1893)
Carl Larsson (1853-1919)
 Illustrazione (Sanders 1893)

Il Grottasǫngr, la «canzone del [mulino] Grotti» è una composizione mitologica non presente nella raccolta del Codex Regius [GKS 2365 4°], citata però da Snorri Sturluson nella sua Prose Edda (Skáldskaparmál [52]). Per tale motivo, il poema viene solitamente escluso dalle antologie della Ljóða Edda ed è piuttosto relegato tra le composizioni definite come «Eddica Minora». Ma a dispetto della classificazione, il Grottasǫngr è un testo suggestivo e densissimo, sul quale gli studiosi hanno avanzato un gran numero di interpretazioni.

Com'è noto, nello Skáldskaparmál, Snorri fornisce, nel dialogo tra Bragi ed Ægir, i miti che sono alla base delle kenningar e degli heiti usati in poesia. In questo caso, la domanda è perché gli scaldi definiscano l'oro «farina di Fróði». La risposta risiede in un racconto di cui Snorri riferisce gli antefatti e l'amarissimo finale. Tale racconto è il contesto di una composizione poetica che lo stesso Snorri riporta integralmente nel testo, e di cui fornisce il titolo di Grottasǫngr.

Fróði, mitico re dei Dani, possedeva un mulino, il Grotti, che poteva macinare qualunque cosa gli fosse richiesta. Le pietre della macina erano tuttavia così grandi che nessuno poteva spostarle. Recatosi in Svezia, Fróði acquistò perciò due possenti fanciulle giganti, Fenja e Menja; le incatenò al mulino e le costrinse a macinare per sé oro, pace e prosperità. Tali fatti sarebbero avvenuti, stando a Snorri, al tempo in cui l'imperatore Augusto aveva imposto la pace su tutta la terra, all'epoca della nascita di Gesù. «Ma poiché Fróði era il re più potente di tutte le terre del nord, la pace venne chiamata con il suo nome in tutte le lingue danesi e gli uomini la chiamarono dunque la Pace di Fróði».

Tale pace si basava però sull'ingiusto servaggio imposto a Fenja e Menja. Fróði, avido di ricchezze e sordo ai loro lamenti, non concesse alle due donne un riposo più lungo del silenzio del cuculo o del canto di una canzone. Così, un giorno, le due gigantesse presero a cantare per Fróði un canto di distruzione nel quale venne predetta la fine del suo regno e la morte del sovrano. Così macinarono un esercito guidato dal re del mare Mýsingr. Dopo aver infranto la pace danica e ucciso il re, costui caricò sulla sua nave il mulino Grotti e ordinò alle due gigantesse di macinare sale. Esse lo fecero, e in tale quantità che la nave sprofondò sotto il peso e, laddove si era trovato il mulino, si formò un gorgo marino (la parola mælström, nelle lingue scandinave, vuol dire tuttora «gorgo che macina»). Ed è per questo, conclude Snorri, che il mare è salato.

Le redazioni

Il Grottasǫngr ci è pervenuta attraverso la Prose Edda di Snorri, che la cita nel suo Skáldskaparmál [52]. Dei quattro manoscritti snorriani, tuttavia, il poema è tramandato soltanto da due di essi, il Codex Regius [R] e il Codex Trajectinus [T], che riportano anche l'episodio mitologico che contestualizza la recita del canto. Il Codex Wormianus [W] presenta infatti una lacuna ai ff. 39-43, mancando proprio la parte che conteneva probabilmente il Grottasǫngr, mentre questo è certamente assente dal Codex Uppsaliensis [U].

Dei due manoscritti contenenti il Grottasǫngr, il più antico è il Regius, che risale al 1325. La composizione della Prose Edda da parte di Snorri Sturluson rimonta però a un secolo prima, agli anni 1222-1225, e queste sono ovviamente le date dell'ultima redazione del poema, per mano dello stesso Snorri. Il Grottasǫngr è tuttavia molto più antico, ed Einar Ólafur Sveinsson la assegna alla fase più alta nella produzione della poesia eddica. In genere gli studiosi la ritengono composta tra la fine del IX e tutto il X secolo, probabilmente in Norvegia (Prampolini 1949 | Sveinsson 1982 | Gunnell 2005).

Genere e metrica

Presentato entro una cornice narrativa, il Grottasǫngr possiede a sua volta una struttura composita. La composizione in sé è un misto di narrazione e dialogo, secondo il metodo applicato dal sottogenere della kvíða o «carme», dove si riporta sia il racconto dei fatti, narrato dall'esterno, sia le parole pronunciate dai protagonisti. A uno sguardo più attento, tuttavia, quest'immagine si rivela fuorviante perché, se la composizione è lunga complessivamente 24 strofe, ben quindici di esse [8-22] costituiscono il vero e proprio monologo delle due gigantesse alla macina, le quali profetizzano morte e sventura a re Fróði. Tale sequenza è il cuore della composizione ed è appunto ad essa, e non al poema in generale, che Snorri attribuisce il titolo di Grottasǫngr «Canzone del Grotti».

Il poema ha carattere eroico-gnomico, trattando – nel solito stile oscuro ed ellittico tipico di questo genere di composizioni – di fatti e personaggi legati alla regalità mitica della Danimarca. Si citano infatti re Fróði, detto discendente di quello Skjǫld a cui si fa risalire la genealogia degli Skjǫldungar, mitici sovrani danici di cui trattava la perduta Skjǫldunga saga, e si accenna ad altri sovrani leggendari come Gothorm e Hrólfr Kraki, accennando alle loro imprese. Queste vicende vengono fornite, nel canto che Fenja e Menja rivolgono a re Fróði, come profezie destinate ad avverarsi nei tempi futuri. Anzi, sono le stesse gigantesse che «macinano» le future sventure dei re dei Dani, vendicandosi così nei confronti del sovrano che le ha ridotte in una così dura schiavitù. 

Il Grottasǫngr viene spesso associato al canzoniere eddico, sebbene più che un poema epico vero e proprio abbia piuttosto le sembianze di un adattamento originato da un preesistente e antichissimo canto di lavoro, che durante la tradizione orale è stato mitizzato e contestualizzato nell'ambito del mito di Fróði. Il Grottasǫngr condivide comunque con il resto dei poemi eddici il metro, ovvero il fornyrðislag o «metro antico», che possiede due accenti forti per ogni verso, insieme a due o tre sillabe atone. La struttura metrica ed il ritmo, mesto e cadenzato, sono usati in modo costante sino alla fine del componimento.

Di seguito un esempio di divisione del primo verso:

 ⏐⏑⏐⏑   ⏐⏑⏐⏑

  Nú erum komnar  |  til konungs húsa

Il tema del mulino cosmico

Uno dei principali motivi d'interesse di questo poemetto è rappresentato dal soggetto, piuttosto originale e del quale altrove si trovano soltanto allusioni piuttosto vaghe, sebbene siano diffuse certe kenningar scaldiche che conservano tracce del mito di Fróði, del Grotti, di Fenja e Menja. Il mito del mulino magico, dispensatore di fortuna e prosperità, è importante poiché molti indizi fanno pensare che sia di origine antichissima e che provenga da un mitema comune ad altre culture diverse da quella germanica. Questa immagine del mulino è rappresentata difatti in maniera più esplicita dalla mitologia dei Finni, popolo geograficamente vicino agli scandinavi, nel loro mito del Sampo, raccontato nel Kalevala.

Vale la pena esaminare brevemente i tratti principali che caratterizzano il tema del mulino in queste due culture, quella nordica e quella finnica, dal momento che rappresentano un buon territorio per approfondire l'archetipo del mulino.

Sono molte le somiglianze fra il Grotti nordico ed il Sampo finnico: entrambi sono mulini prodigiosi, capaci di produrre ricchezza e gioia per chi li possieda, e in entrambe le tradizioni il mulino che macina sale e rende il mare salato è conservato pressoché identico. Il Grotti, come accade per il Sampo non è mai descritto in dettaglio e non è mai chiarita per esteso la sua funzione. Ciononostante si tratta di un'espressione altamente sviluppata del mito del mulino cosmico, il cui volgere e macinare simboleggia la fertilità, poiché al suo interno possono nascere beni e ricchezze. La presenza del Grotti ben si identifica con l'«età dell'oro» raccontata nella Vǫluspá e dallo stesso Snorri,  ma la prosperità che il mulino produce non è del tutto perfetta, poiché induce facilmente alla cupidigia e dunque alla rovina chi ne approfitti. Fróði in effetti fa lavorare incessantemente le due fanciulle giganti e, a causa di tale eccesso, perde il mulino prodigioso, mentre il suo regno viene invaso da un'orda di vichinghi evocati dalle gigantesse rese schiave. Nel mito di Grόtti il mulino magico, a fianco alla capacità di produrre beni e ricchezze, possiede dunque un aspetto negativo e punitivo nei confronti di chi si serva dei suoi prodigi in maniera smodata e innaturale, proprio come fanno Fróði e Mýsingr, i quali entrambi vanno incontro alla rovina. Questo aspetto negativo è invece del tutto assente nel mito del Sampo finnico, che non perde mai la sua funzione positiva anche quando viene distrutto: secondo i runot finlandesi, i frammenti del Sampo daranno anzi origine a una nuova fertilità per la terra e ricchezza per il mare.

Sempre in confronto col Sampo, a tale proposito è interessante notare come i due mulini abbiano origine diversa nelle due culture: il Sampo è un artefatto, forgiato dal fabbro Ilmarinen, mentre il Grόtti non viene creato: è qualcosa di già presente, in quanto composto da due rocce che fanno da palmenti ed è parte dunque dello stesso mondo ctonio arcaico cui appartengono i giganti, che, come Fenja e Menja, rappresentano le forze indomite della natura.

Sia nella cultura nordica che in quella finnica, si può inoltre osservare che all'ambito semantico del mulino e dell'attività del macinare appartenga almeno una parola di dubbio significato e di etimologia ancora più arcana. Il nome Grotti, innanzitutto, può essere riferito al termine grjót «pietre», da cui l'espressione verða at grjóti «diventare di pietra». Grotti mostra anche un'indubbia somiglianza col sostantivo gróði «guadagno, prosperità». Queste supposizioni possono far riflettere, dal momento che il poema parla di macine di pietra e di ricchezze associate all'uso del mulino, ma non chiariscono di molto la vera origine di questo nome. Nel Grottasǫngr si trova inoltre l'oscuro termine lúðr, usato per indicare il Grotti o una parte di esso. In antico nordico la parola lúðr, secondo un'interpretazione largamente condivisa, indica la cassa, ovvero la parte esterna del mulino che contiene le macine, ma tale significato è inferito più che altro dal contesto. Nel poema lo si può dedurre dal verso leggjum lúðra [19], in cui sembra proprio che le due gigantesse abbiano costruito la cassa attorno ai palmenti prima di mettersi a macinare. È inoltre assai probabile che lúðr sia una metafora o un nome poetico del mulino, dal momento che in prosa non lo si ritrova mai (con una sola eccezione, Gylfaginning [7b]), ma attorno al vero significato di questa parola e alla sua etimologia restano ancora ampi margini di incertezza.

Dalla parte finnica della medesima penisola, l'origine del nome Sampo pone dubbi di portata non inferiore: è riconosciuto un primo significato di «pilastro, colonna», come suggerisce Uno Harva per derivazione dalla parola sampa «colonna» (Harva 1944), mentre Elias Lönnrot fa notare che la parola finlandese maasampa viene usata nel senso di «pilastro del mondo» (Lönnrot 1958). Il nome Sampo potrebbe dunque indicare una macchina il cui lavoro dipende dalla presenza di un sampa, ovvero di un perno attorno al quale girano le macine.

Tornando all'ambito prettamente nordico, il tema del mulino cosmico sembra essere un archetipo di cui non rimangono che echi nelle fonti eddiche che parlano dell'inizio della creazione. Fra questi, sicuramente emblematico è l'episodio di Bergelmir raccontato nel Vafþrúðnismál [29], in cui centrale per la comprensione della vicenda è il già discusso termine lúðr, che come ricordato indica il mulino o per lo meno ne è un appellativo poetico. Secondo Hans Christiansen, la parola lúðr può significare anche «bara, cassa da morto», per cui il gigante Vafþrúðnir, che racconta i primi tempi dell'universo, sta ricordando la morte di Bergelmir (Christiansen 1952). A tale proposito sorge un lecito dubbio su questa interpretazione di lúðr, dal momento che nella cultura scandinava non esisteva la pratica di inumare i morti entro bare e quindi tale ipotesi sembra addirittura fuorviante, sebbene l'accenno alla morte di Bergelmir colga un aspetto importante del racconto.

Clive Tolley fa la seguente riflessione: dal Vafþrúðnismál apprendiamo i nomi di tre giganti primordiali: Aurgelmir, Þrúðgelmir e Bergelmir. Siamo di fronte a un gruppo o a una generazione di giganti il cui nome è un composto di -gelmir, foneticamente connesso al verbo gjalla «rumoreggiare, gridare». Il primo elemento del nome dunque distingue i tre giganti: Aurgelmir è composto di aurr «argilla, fango» (con cui viene asperso il frassino Yggdrasill). Þrúðgelmir è invece composto di þrúðr «potere, forza», corradicale di þrόa «prosperare». Riguardo il nome di Bergelmir, lo si trova spesso interpretato come composto di ber-/bjǫr- «orso», col significato di «colui che ruggisce come un orso» (Isnardi 1991). Se però i nomi dei tre giganti hanno, come è ragionevole aspettarsi, qualche relazione semantica, l'associazione con l'orso nel caso di Bergelmir non si giustifica appieno. I primi due nomi, coposti di aurr e di þrúðr/þrόa, appartengono all'ambito della fertilità della terra e anche per quello di Bergelmir ci si può aspettare un'origine maggiormente vicina ai temi del raccolto e della prosperità. Sempre Tolley fa notare che in questo caso ber- più che dalla radice ber-/bjǫr- può invece derivare da barr «orzo», ricorrendo alla spiegazione di Fulk per la derivazione dal protogermanico *bariz-/baraz (Fulk 1989). Dunque Bergelmir potrebbe essere connesso all'orzo e per estensione alle sementi, da cui l'aggettivo fróðr, con cui è chiamato da Vafþrúðnir, assume un significato più profondo: fróðr, significa «saggio», ma anche «fertile». Se si accetta infine il significato di «mulino» per il termine lúðr, Bergelmir può dunque divenire un agente della fertilità della terra, in quanto egli stesso viene macinato come orzo (Rydberg 1886 | Tolley 1995). Il motivo della macinatura di un macroantropo che genera fertilità per altro non è unico, in quanto lo si trova anche nella cosmogonia di altre culture, come ricordato da Sir James Frazer nella sua opera monumentale (Frazer 1890). Del resto è assai simile il mito del sacrificio di Ymir, ad opera dei figli di Borr, quando diedero forma al cielo e alla terra.

Sempre nel Vafþrúðnismál e nel Gylfaginning di Snorri sembra abbastanza chiaro che un personaggio altrimenti poco descritto, Mundilfǿri, padre del sole e della luna, imprima movimento al tempo e allo spazio mediante una qualche sorta di mulino, da lui azionato. Questa funzione è suggerita dallo stesso nome, che è formato da mundil- (da mund «tempo» o «mano») e -fǿri (da fǿra «muovere, condurre»). Anche il corso celeste, che regola le stagioni e i tempi della fertilità della terra, è regolato da un movimento rotatorio impresso per mezzo di un meccanismo che «macina» il tempo e gli astri.

È chiaro che il tema del mulino cosmico, dall'analisi delle fonti nordiche pervenuteci, non sia un mitologema pienamente sviluppato come accade invece nella cultura finnica. Sembra che nella tradizione nordica il tema del mulino sia frammentato nei tre diversi miti di Fróði, di Mundilfǿri e dei giganti primordiali, all'interno dei quali si sviluppa rispettivamente nell'accezione di mulino della prosperità (Grόtti), regolatore dei cicli temporali (la macina di Mundilfǿri) e promotore di fertilità (il lúðr di Bergelmir).

Il Grotti e il mælström

Il Grotti, come raccontato da Snorri, si presenta sotto tre differenti aspetti: come mulino della prosperità, come mulino del sale e come mulino del gorgo marino. Di questi tre motivi, il poema cantato dalle gigantesse racconta solo quello del mulino della prosperità, utilizzato da Fróði in maniera distorta, poiché il re costringe le due gigantesse a lavorare senza sosta per lui e questo le porta alla loro vendetta, fino a suscitare in loro il jǫtunmóðr, la tremenda furia distruttiva che prende i giganti e che porta alla distruzione del mulino e alla fine dello stesso Fróði. Il temi del mulino del sale e mulino del gorgo vengono brevemente accennati nel testo snorriano che introduce il poema, quando narra che Mýsingr, il «re del mare», prende come bottino tutte le ricchezze di Fróði, compreso il Grotti, Fenja e Menja. Mýsingr utilizza il Grotti per macinare sale e ne macina in quantità tale da affondare la propria nave e causare un gorgo. È probabile che tale gorgo sia lo stesso comunemente noto col nome comune di mælström, in norvegese detto moskstraumen, che è un reale sistema di vortici e gorghi che si forma in prossimità delle isole Lofoten. La prima descrizione di questo gorgo fu data dal geografo greco Pitea di Massalia (odierna Marsiglia, III sec. a.C.) e fu indicato col nome di Horrenda Carybdis sulla Carta Marina di Olaus Magnus nel 1539.

Hic est Horrenda Carybdis
Una drammatica rappresentazione del moskstraumen nella Carta Marina di Olaus Magnus (1539), insieme a mostri marini e altre terribili insidie nei mari nordici.

Fin dai tempi antichi, questo gorgo che nasce dall'incontro dei mari generò il mito di un mulino posto nelle profondità degli abissi cui attribuire lo spaventoso fenomeno. Della relazione fra il Grotti e il gorgo marino canta anche il poeta Snæbjǫrn, citato da Snorri nel Skáldskaparmál, che ha scritto questo lausavísa (poesia di un'unica strofa), di cui diamo una traduzione molto letterale, spiegando di seguito le parafrasi delle kenningar:

Hvatt kveða hrǿra Grotta
hergrimmastan skerja
út fyr jarðar skauti
eylúðrs níu brúðir,
þær es, lungs, fyr lǫngu
líðmeldr, skipa hlíðar
baugskerðir rístr barði
ból, Amlóða mólu.
Che muovano, dicono, un tal Grotti
di scogli, alle schiere crudelissimo
fuori dell'orlo terrestre
le nove fanciulle del mulino delle isole,
lor che da lungi macinano
il malto del liquore di Amlóði; la tana
dei fianchi delle navi fende
il dispensator d'anelli colla prua della galea.
Snæbjǫrn, apud Snorri Sturluson: Prose Edda > Skáldskaparmál

Diamo qui le parafrasi delle kenningar contenute in questa composizione: «Grotti di scogli» è il gorgo marino; le «nove fanciulle» sono le onde del mare; il «liquore di Amlóði» è il mare, e quindi il suo «malto» è la sabbia; la «tana dei fianchi delle navi» è di nuovo il mare e il «dispensatore d'anelli» è il sovrano, cioè forse Mýsingr.

La poesia insiste sul tema del mulino, usando il nome di Grotti insieme a sostantivi specifici come eylúðr «mulino di isole», ovvero il mare/oceano, líðmeldr, composto di meldr, che indica sia l'atto del macinare quanto il grano o i cereali pronti ad essere macinati, quindi il «malto» e il verbo mala, «macinare, girare la mola». L'immagine del gorgo viene resa da Snæbjǫrn proprio con un mulino, identificato per metonimia con il Grotti, che viene mosso dalle onde del mare, le «nove fanciulle», ovvero le nove figlie di Ægir e di Rán, madri di Heimdallr.

L'interpretazione di questa poesia, come accade per la maggioranza della poesia scaldica, è piuttosto difficile ed è assai probabile che il compositore abbia ordito un complesso di significati ugualmente verosimili. Questo esempio di Snæbjǫrn è comunque importante perché nei suoi multipli livelli di lettura conferma proprio i vari attributi del mulino prodigioso narrati da Snorri nel mito di Fróði. Ad esempio «Grotti di scogli», alle schiere crudelissimo» [Grotta | hergrimmastan skerja] può essere interpretato come mulino che macina gli scogli, quindi kenning per il mare, oppure come mulino di scogli, che affonda le navi, per cui il più crudele per gli eserciti (che navigano), o ancora un gorgo marino in cui sono presenti frammenti di rocce, identificate coi frammenti di Grotti affondato nel mare. Ancora, è stato proposto di interpretare hergrimmastan nel senso di Grotti quale mulino produttore di eserciti nati dal mare, alludendo alla leggenda di Mýsingr.

Il tema del mulino quale causa del gorgo marino e della salinità del mare, che sono presenti nella parafrasi di Snorri mentre invece mancano nel poema vero e proprio, appartengono in qualche modo al tema archetipico del mulino, avendo le loro origini in altri miti che erano già antichi ai tempi di Snorri e che per noi sono irrimediabilmente perduti.

Il faro di Stroma, posto ad avvertire della presenza del gorgo Swilkie vicino alle isole Orcadi.

Questo mito del mulino è anche sopravvissuto in maniera indipendente nella letteratura popolare, soprattutto nelle fiabe scandinave, come Perché il mare è salato, che fa parte della raccolta Norske Folkeeventyr di Peter Asbjørnsen e Jørgen Moe. Nelle isole Orcadi il mito è ancora più vicino a quello originario di re Fróði: c'è un gorgo situato a nord dell'arcipelago, chiamato Svelgr nella Orkneyinga saga. La leggenda narra che in fondo al mare vi siano due gigantesse, Grotti-Fenni e Grotti-Menni, che macinano incessantemente sale e, ove le acque incontrano il foro al centro della macina, si forma il gorgo. Nel manoscritto Litla Skálda il gorgo viene collocato ove ne esiste uno realmente anche oggi, nel Péttlandsfjörðr, ovvero il Pentland Firth, stretto di mare che separa le isole Orcadi dal nord della Scozia. Per avvertire le navi della presenza dello Svelgr, oggi chiamato Swilkie Whirlpool, venne costruito nel 1896 il famoso Faro di Stroma, sull'isola omonima.

Il Grottasǫngr  assunse anche un grande significato sociale e politico nella Svezia del XX secolo, quando Viktor Rydberg ne scrisse una versione in svedese moderno, Den nya Grottesången.

LJÓÐA EDDA

GROTTASǪNGR

LA CANZONE DEL [MULINO] GROTTI
    GROTTASǪNGR LA CANZONE DEL GROTTI  
         
Prologo (a)

Hví er gull kallat mjǫl Fróða? Til þess er saga sjá at Skjǫldr hét sonr Óðins er Skjǫldungar eru frá komnir. Hann hafði atsetu ok réð lǫndum, þar sem nú er kǫlluð Danmǫrk, en þá var kallat Gotland.

Perché l'oro è detto la farina di Fróði? A proposito di questo narra una saga che un figlio di Óðinn era chiamato Skjǫldr, dal quale sono discesi gli Skjǫldungar. Egli aveva dimora e governava quelle terre che ora si chiamano Danmǫrk, ma allora si chiamavano Gotland. Nota
  (b) Skjǫldr átti þann son, er Friðleifr hét, er lǫndum réð eftir hann. Sonr Friðleifs hét Fróði. Skjǫldr aveva quel figlio che si chiamava Friðleifr, il quale regnò dopo di lui. Nota
  (c) Mann tók konungdóm eftir fǫður sinn í þann tíð, er Ágústus keisari lagði frið of heim allan. Þá var Kristr borinn. Il figlio di Friðleifr si chiamò Fróði. Questi ereditò il regno dal padre all'epoca in cui l'imperatore Augusto impose la pace a tutto il mondo e in cui nacque Cristo. Nota
  (d) En fyrir því at Fróði var allra konunga ríkastr á Norðlǫndum, þá var honum kenndr friðrinn um alla danska tungu, ok kalla menn það Fróðafrið. Engi maðr grandaði ǫðrum, þótt hann hitti fyrir sér fǫðurbana eða bróðurbana lausan eða bundinn. Þá var ok engi þjófr eða ránsmaðr, svá at gullhringr einn lá á Jalangrsheiði lengi. Ma poiché Fróði era il re più potente di tutte le terre del nord, la pace venne chiamata con il suo nome in tutte le lingue danesi e gli uomini la chiamarono dunque la Pace di Fróði. Nessun uomo noceva all'altro, anche se avesse incontrato l'assassino del proprio padre o fratello, sia libero che imprigionato. Non c'erano ladri o briganti, tanto che un anello d'oro da tempo giaceva, intatto, sulla piana di Jalangr. Nota
  (e) Fróði konungr sótti heimboð í Svíþjóð til þess konungs, er Fjǫlnir er nefndr. Þá keypti hann ambáttir tvær, er hétu Fenja ok Menja. Þær váru miklar ok sterkar. Re Fróði si recò ad una festa in Svezia presso quel re che era chiamato Fjǫlnir. Là egli acquistò due serve che si chiamavano Fenja e Menja, le quali erano grandi e forti. Nota
  (f)  þann tíma fundust í Danmǫrku kvernsteinar tveir svá miklir, at engi var svá sterkr, at dregit gæti. En sú náttúra fylgði kvernunum, at þat mólst á kverninni, sem sá mælti fyrir, er mól. Sú kvern hét Grotti. Hengikjǫptr er sá nefndr, er Fróða konungi gaf kvernina. A quel tempo si trovavano in Danimarca due pietre da macina talmente grandi che nessuno era abbastanza forte da riuscire a muoverle. Tale era la natura di questo mulino, che esso produceva qualunque cosa che fosse prima stata richiesta da chi lo azionasse. Quel mulino si chiamava Grotti ed Hengikjǫptr era il nome di colui che lo donò a re Fróði. Nota
  (g)

Fróði konungr lét leiða ambáttirnar til kvernarinnar ok bað þær mala gull, ok svá gerðu þær, mólu fyrst gull ok frið ok sælu Fróða. Þá gaf hann þeim eigi lengri hvílð eða svefn en gaukrinn þagði eða hljóð mátti kveða. Þat er sagt, at þær kvæði ljóð þau, er kallat er Grottasǫngr. Ok áðr létti kvæðinu, mólu þær her at Fróða, svá at á þeiri nótt kom þar sá sækonungr, er Mýsingr hét, ok drap Fróða, tók þar herfang mikit. Þá lagðist Fróðafriðr. Mýsingr hafði með sér Grotta ok svá Fenju ok Menju ok bað þær mala salt. Ok at miðri nótt spurðu þær, ef eigi leiddist Mýsingi salt. Hann bað þær mala lengr. Þær mólu litla hríð, áðr niðr sǫkk skipit, ok var þar eftir svelgr í hafinu, er særinn fellr í kvernaraugat. Þá varð sær saltr.

Re Fróði fece condurre le serve al mulino e ordinò loro di macinare oro e così esse fecero: macinarono l'oro per primo e in seguito pace e gioia per Fróði. Allora egli non concesse loro riposo o sonno più lungo del silenzio del cuculo o del canto di una canzone. Si narra che esse poi intonarono quel canto che si intitola Grottasǫngr e che, prima di terminarlo, esse macinarono un esercito contro Fróði, cosicché quella notte giunse quel re del mare che si chiamava Mýsingr, il quale uccise Fróði ed ivi trovò un grande bottino. Fu allora che ebbe fine la pace di Fróði. Mýsingr prese con sé il Grotti ed anche Fenja e Menja, e ordinò loro di macinare del sale. Quando fu mezzanotte esse chiesero a Mýsingr se il sale fosse abbastanza. Egli ordinò di macinare ancora. Avevano macinato giusto un altro poco, quand'ecco che la nave sprofondò e da allora vi fu un gorgo nel mare, ove le acque cadono nell'occhio della macina. Per questo il mare è divenuto salato.  
La schiavitù di Fenja e Menja

1

Nú erum komnar
til konungs húsa
framvísar tvær,
Fenja ok Menja.
Þær eru at Fróða
Friðleifs sonar
máttkar meyjar
at mani hafðar.
Or siamo qui giunte
del re nella casa
entrambe veggenti,
noi due, Fenja e Menja.
Son esse da Fróði,
figliuol di Friðleifr,
possenti fanciulle
qual serve tenute.
 
  2 Þær at lúðri
leiddar váru
ok grjóts grjá
gangs of beiddu.
Hét hann hvárigri
hvíld né ynði,
áðr hann heyrði
hljóm ambátta.
Le donne al mulino
in ceppi fûr messe,
i grigi macigni
a fare girare.
Il re non concesse
né agio o riposo
se pria non udisse
il canto servile.
 
  3 Þær þyt þulu
þǫgnhorfinnar.
“Leggjum lúðra,
léttum steinum.”
Bað hann enn meyjar,
at þær mala skyldu.
Mossero il gemito
del fugasilenzio.
“Le casse posiamo,
lasciamo le pietre”,
diss'egli alle dame
ancor di molire.
Nota
Canto delle gigantesse e discorso di Menja. 4 Sungu ok slungu
snúðgasteini
svá at Fróða man
flest sofnaði.
Þá kvað þat Menja,
var til meldrs komin:
Cantaron tirando
la pietra girante
ché i bravi di Fróði
dormirono, in molti.
Allor disse Menja,
raggiunta la mola: 
 
  5 “Auð mǫlum Fróða,
mǫlum alsælan,
mǫlum fjǫlð fjár
á feginslúðri.
Siti hann á auði,
sofi hann á dúni,
vaki hann at vilja,
þá er vel malit.
“Tesori per Fróði
moliamo fastosi,
moliamo fortune
dal gaio mulino.
Sian seggio i tesori,
giaciglio al suo sonno,
si desti a piacere,
qualor sia ben volto.
Nota
  6 Hér skyli engi
ǫðrum granda,
til bǫls búa
né til bana orka,
né hǫggva því
hvǫssu sverði,
þó at bana bróður
bundinn finni”.
Nessun qui potrebbe
alcuno ferire,
dolore arrecare
né morte causare,
né a filo passare
di spada fendente,
chi uccise il fratello
foss'anco legato”.
 
Sprezzante risposta del re 7 En hann kvað ekki
orð it fyrra:
“Sofið eigi þit
né of sal gaukar
eða lengr en svá
ljóð eitt kveðak”.
Parola non disse
lui, salvo che questo:
“Non più dormirete
che i cùculi sopra
la sala, o più a lungo
d'un carme cantato”.
 
Il canto del mulino Grotti 8 “Vatattu, Fróði,
fullspakr of þik,
málvinr manna,
er þú man keyptir.
Kaustu at afli
ok at álitum,
en at ætterni
ekki spurðir.
“Non fosti tu, Fróði,
di vasta saggezza,
degli uomini amico,
le serve acquirendo.
La forza scegliesti
ed il lor aspetto,
ma della lor stirpe
tu non domandasti.
 
  9 Harðr var Hrungnir
ok hans faðir,
þó var Þjazi
þeim ǫflgari,
Iði ok Ǫrnir,
okkrir niðjar,
brǿðr bergrisa:
þeim erum bornar.
Possente era Hrungnir
ed anche suo padre,
però Þjázi era
di loro maggiore,
Iði ed Aurnir
ci furon parenti,
giganti fratelli:
da lor noi nascemmo.
 
  10 Kǿmia Grotti
ór gréa fjalli
né sá inn harði
hallr ór jǫrðu
né mǿli svá
mær bergrisa,
ef vissi vit
vætr til hennar.
Non Grotti sarebbe
da grigia alpe giunto,
né qui il duro masso
dal cuor della terra,
né dama gigante
l'avrebbe girato,
se fossimo ignare
di questa sua sorte.
 
  11 Vér vetr níu
várum leikur
ǫflgar, alnar
fyr jǫrð neðan.
Stóðu meyjar
at meginverkum,
færðum sjalfar
setberg ór stað.
Per nov'anni fummo
compagne di giochi,
cresciute, possenti,
giù sotto la terra.
Compiron fanciulle
imprese grandiose,
da sole togliemmo
macigni ai lor siti.
 
  12 Veltum grjóti
of garð risa,
svá at fold fyrir
fór skjalfandi.
Svá sløngðum vit
snúðgasteini,
hǫfgahalli,
at halir tóku.
Un masso spingemmo
sul suol dei giganti,
ch'avanti la terra
fendeva tremante.
Così noi volgemmo
la pietra girante,
la roccia possente
perché uom prendesse.
 
  13 En vit síðan
á Svíþjóðu
framvísar tvær
í fólk stigum.
Beiddum bjǫrnu,
en brutum skjǫldu,
gengum í gegnum
gráserkjat lið.
E dunque noi due
in terra di Svezia,
entrambe veggenti
fra armate passammo.
Gli orsi sfidammo,
gli scudi frangemmo,
incontro alle schiere
di grigio bardate.
Nota
  14 Steyptum stilli,
studdum annan,
veittum góðum
Gothormi lið.
Vara kyrrseta,
áðr Knúi felli.
Un re rovesciammo,
un altro insediammo,
al fianco di Gothormr
il buono noi fummo.
Non ebbesi tregua
finché Knúi crollò.
Nota
  15 Fram heldum því
þau misseri,
at vit at kǫppum
kenndar várum.
Þar skorðu vit
skǫrpum geirum
blóð ór benjum
ok brand ruðum.
Così procedemmo,
in quelle stagioni,
al par di campioni
noi fummo famose.
Noi due ferivamo
con lance affilate,
a sangue ferendo
e rosse le spade.
 
  16 Nú erum komnar
til konungs húsa
miskunnlausar
ok at mani hafðar.
Aurr etr iljar,
en ofan kulði,
drǫgum dolgs sjǫtul.
Daprt er at Fróða.
Or siamo qui giunte,
del re nella casa,
di grazia private
e qual serve tenute.
Argilla i piè rode,
il gelo ci assale
al chetabattaglie.
È grama da Fróði!
Nota
  17 Hendr skulu hvílask,
hallr standa mun,
malit hefi ek fyr mik,
mitt of létti.
Nú muna hǫndum
hvíld vel gefa
áðr fullmalit
Fróða þykki.
Riposo alle mani,
la pietra si fermi,
io ho macinato,
la parte mia basti.
Per le mani ora
non vi sarà sosta
finché sfarinato
ben Fróði ritenga.
Nota
  18 Hendr skulu hǫndla
harðar trjónur,
vápn valdreyrug.
Vaki þú, Fróði!
Vaki þú, Fróði
ef þú hlýða vill
sǫngum okkrum
ok sǫgnum fornum.
Avremo alle mani
più dure le lance,
e l'armi cruente.
Or destati, Fróði!
Or destati, Fróði
se udire vorrai
i nostri cantari
e i canti degli avi.
 
  19 Eld sé ek brenna
fyr austan borg,
vígspjǫll vaka,
þat mun viti kallaðr.
Mun herr koma
hinig af bragði
ok brenna bǿ
fyrir buðlungi.
Un rogo già vedo
ad est del maniero:
un vento di guerra
che monito desta.
Da lungi verrà
la schiera veloce,
ardendo la casa
dinanzi al sovrano.
 
  20 Munat þú halda
Hleiðrar stóli,
rauðum hringum
né regingrjóti.
Tǫkum á mǫndli
mær, skarpara,
eruma varmar
í valdreyra.
Non tu manterrai
il trono di Hleiðr,
gli anelli scarlatti,
né i sacri altari.
La presa stringiamo,
fanciulla, più salda;
calor non avremo
dal sangue dei morti.
Nota
  21 Mól míns fǫður
mær ramliga
þvíat hon feigð fira
fjǫlmargra sá.
Stukku stórar
steðr frá lúðri,
járni varðar.
Mǫlum enn framar!
Alacre la figlia
del padre mio volge,
poiché ella ha veduto
di molti la fine.
Ceduto ha il mulino  
nei grandi sostegni,
di ferro coperti.
Ancor maciniamo!
 
  22 Mǫlum enn framar!
Mun Yrsu sonr,
niðr Halfdana
hefna Fróða.
Sá mun hennar
heitinn verða
burr ok bróðir.
Vitum báðar þat”.
Ancor maciniamo!
Il figlio di Yrsa
nipote di Hálfdanr,
giustizierà Fróði.
Così della donna
sarà egli chiamato
figlio e fratello.
Entrambe sappiamo”.
Nota
Distruzione del mulino 23 Mólu meyjar,
megins kostuðu,
váru ungar
í jǫtunmóði.
Skulfu skaptré,
skauzk lúðr ofan,
hraut inn hǫfgi
hallr sundr í tvau.
Molivan, fanciulle,
con sì sforzo immane,
le giovani cadder
in furia gigante.
Il perno tremò,
si ruppe la cassa,
schiantò in frantumi
il grande palmento.
Nota
  24 En bergrisa
brúðr orð of kvað:
“Malit hǫfum, Fróði,
sem munum hætta,
hafa fullstaðit
fljóð at meldri”.
La donna gigante
offrì la parola:
“Molimmo noi, Fróði,
finché non finimmo,
a lungo restaron
le dame alla mola”.
 
         
Versi di Einarr Skúlason   Einarr Skúlason kvað svá: Einarr Skúlason disse così:  
  “Frá ek at Fróða meyjar
fullgóliga mólu
lætr stillir grið gulli
Grafvitnis beð slitna.
Mjúks bera minnar øxar
meldr þann við hlyn feldrar
konungs dýrkar fé Fenju
fǫgr hlýr bragar stýri”.
“Sepp'io che le dame di Fróði
forti giravan la mola
lasciò il re pace per oro
giaciglio di Grafvitnir.
Le gote, a tal acero atte,
dell'ascia mia recan del re
la farina, esalta il timon
dello scaldo l'opra di Fenja”.
Nota
         
Versi di Egill Skallagrímsson   Svá kvað Egill: Così disse Egill:  
  “Glaðar flotna fjǫlð
við Fróða mjǫl”.
“Eserciti d’uomini lui desta
con la farina di Fróði, in festa”.
Nota
         

NOTE

aSkjǫldr: «scudo». Mitico capostipite dei re dei Dani. Trattava di lui una Skjǫldunga saga, andata perduta, di cui è rimasto un riassunto in latino di Arngrímur Jónsson (1568-1648). Snorri afferma che Skjǫldr sia figlio di Óðinn (Edda > Formáli [4c]); costui sposò Gefjun dopo l'inganno da lei perpetrato ai danni di re Gylfi, e i due vissero insieme a Hleiðr (odierna Lejre, Danimarca) (Ynglinga saga [5]). Tra i primi storici danesi, anche Svend Aggesen e Saxo Grammaticus citano Skyoldus come un'antico re dei Dani, eponimo della dinastia degli Skjǫldungar (Gesta Danorum [I: iii-iv]). Il personaggio compare come Scyld Scēfing nel prologo del Bēowulf, dove si narra la curiosa leggenda del suo arrivo dal mare su una barca priva di nocchiero. Il nome di Skjǫldr è invece sconosciuto al Chronicon Lethrense, che pone Danr come capostipite della dinastia. Torna al testo

b Friðleifr: «[colui che] vive in pace». Mitico sovrano danese. Snorri afferma fosse figlio di un certo Fróði inn mikilláti («il magnifico») o inn friðsami («il fecondo di pace»), successore a sua volta dell'eroe eponimo Danr. Friðleifr sale al trono alla morte del fratello Hálfdan, e gli succede a sua volta Fróði inn frǿkni («il prode») (Ynglinga saga [25-26]). Saxo Grammaticus parla di un Fridlevus II, figlio di Frotho III e padre di Frotho IV (Gesta Danorum [VI: i-iv]), rispecchiando in qualche modo la successione genealogica già descritta da Snorri. I dati forniti sulle biografie dei personaggi non sono però confrontabili. Torna al testo

c Fróði: «saggio, avveduto». Il sovrano del Grottasǫngr, è ampiamente conosciuto nelle fonti ma si presenta a noi in molte versioni contrastanti. Nel prologo che Snorri fa a questa composizione, viene detto figlio di Friðleifr e nipote di Dan, oltre che artefice della pax danica. Tuttavia, in nella Ynglinga saga, Snorri sembra dividere il personaggio in più figure distinte: dapprima afferma che fosse Freyr, re degli Svei (e non dei Dani), il sovrano che impose la pace nelle terre del nord, svelando così chi fosse la divinità alla base della figura di Fróði. Dopo la sua morte, Freyr fu sepolto ma per tre anni fu fatto credere agli Svei che fosse ancora in vita, e gli continuarono a venire versati tributi attraverso una feritoia nel tumulo: in questo modo poterono mantenersi la prosperità e la pace (Ynglinga saga [10]). Snorri cita poi un re dei Dani chiamato Fríð-Fróði («Fróði della pace»), «potente, fecondo e benedetto dalla pace», vissuto al tempo di Fjǫlnir figlio di Freyr, che sembra potersi in parte identificare col Fróði della Grottasǫngr, ma del quale non racconta quasi nulla (Ynglinga saga [11]). Solo molto più tardi, Snorri cita un Fróði inn mikilláti o inn friðsami, padre di re Friðleifr, a cui succede un Fróði inn frǿkni (Ynglinga saga [25-26]). Seppure a rigore costoro non abbiano nulla a che vedere – nel racconto di Snorri – con la Pax Danica, i loro titoli o nomi rimandano a significati inerenti (inn friðsami è «fecondo di pace», Friðleifr è «[colui che] vive in pace»). Sembra ovvio che, nella rielaborazione fatta da Snorri delle genealogie reali danesi, un medesimo personaggio sia stato moltiplicato in più figure distinte. Questo è ancor più vero nella cronaca di Saxo Grammaticus, dove i personaggi a nome Frotho sono ben sei, ripartendosi tra loro gli elementi che già avevamo trovato tra i vari Freyr/Fróði del testo di Snorri. In particolare, il secondo dei re con questo nome, Frotho II vegetus «vigoroso» (Gesta Danorum [IV: viii]), sembra assimilabile nell'epiteto al Fróði inn frǿkni di Snorri. Di Frotho III, figlio di Fridlevus I, si narra fosse contemporaneo di Cristo e stabilì la pace nelle terre del nord: alla sua morte, il suo corpo fu imbalsamato e fu fatto credere al popolo che fosse ancora vivo al fine di mantenere la pace (Gesta Danorum [V-VI]). A questi, succedette un figlio, Fridlevus II, il cui figlio è Frotho IV. Confrontando le varie successioni nelle due fonti snorriane e in Sassone, si notano non soltanto le incoerenze, ma anche come la Pax Danica venga attribuita a personaggi di nome Fróði/Frotho collocati via via in punti diversi della genealogia. Torna al testo

SNORRI (1)   SNORRI (2)   SAXO GRAMMATICUS
           

Freyr - re degli Svei
(Pax Danica)

Fjǫlnir
 


Fríð-Fróði

(Pax Danica)
[...]
 

Skjǫld

Friðleifr

Fróði
(Pax Danica)

 

Dan

Fridlevus I

Frotho III
(Pax Danica)

Fridlevus II

Frotho IV

Danr

Fróði
inn mikilláti o inn friðsami

Hálfdanr

Friðleifr

Fróði inn frǿkni
   
         
Ynglinga saga [11 | 25-26]   Skáldskaparmál  

Gesta Danorum [V-VI]

d — L'espressione «in tutte le lingue danesi» [um alla danska tungu] significa qui «in tutte le lingue dei popoli scandinavi»; dansk tunga altri non è che l'antica denominazione della lingua norrena. Torna al testo

e — Del re svedese Fjǫlnir e della sua amicizia con Fróði, trattano varie fonti. Secondo una leggenda, riferita da Þjóðólfr ór Hvínir e ripresa anche da Snorri, Fjǫlnir morì proprio mentre si trovava nel Danmǫrk quale ospite di Fróði: una notte, ubriaco fradico, precipitò da un ballatoio al piano rialzato del palazzo di Hleiðr, finì in una botte colma di idromele e annegò. (Ynglingatal [1] | Ynglinga saga [11]) Torna al testo

f Hengikjǫptr, «mascella» o »guancia cadente», uno dei nomi di Óðinn riportato anche nelle þulur. — Re del mare [sækonungr]: re il cui regno è il mare, probabilmente un condottiero vichingo. Torna al testo

3 — (b) «Fugasilenzio» [Þǫgnhorfinn]: si tratta di una parola composta di dubbio significato che letteralmente significa «silenzio scomparso», «abbandonato dal silenzio» o «privo di silenzio» dal verbo hverfa «girare, andarsene, abbandonare», da cui il participio passato horfinn «scomparso, abbandonato», e da þǫgn «silenzio». Þǫgnhorfinn è generalmente accettata come kenning per il mulino col valore di qualcosa di rumoroso, che cessa il silenzio per effetto del suo movimento. Il dizionario di Cleasby e Vigfússon, alla voce Þǫgnhorfinn: «an epithet of a mill […] the passage is not quite clear, and an alliteration seems to be wanting» (Cleasby ~ Vigfússon 1874). Si veda anche il Lexicon di Sveinbjörn e Jónsson, alla voce Þǫgnhorfinn: «adj, forsvunden med hensyn til tavshed, hvis tavshed er borte, om den surrende kværn (hvis ordet er rigtigt), þytr þǫgnhorfinnar» (Egilsson ~ Jónsson 1860). Torna al testo

5 — (d) «Gaio mulino»: kenning per il mulino di Fróði, dispensatore di pace e ricchezza. Si veda Cleasby-Vigfusson, alla voce Feginn: «á fegins-lúðri, on the mill of joy (poët.)»  (Cleasby ~ Vigfússon 1874). Torna al testo

13 — (e) «Orsi sfidammo»: espressione che non si riferisce ai veri orsi, ma ai guerrieri vestiti di pelle d'orso [berserkir]. — (g-h) «Le schiere di grigio bardate»: schiere vestite di grigio, ovvero rivestite con armature di ferro.  Torna al testo

14 — (c) Gothormr: personaggio leggendario, forse da identificare col Guthormus citato da Saxo Grammaticus (Gesta Danorum [I: v: 7]), reggente del Danmǫrk e padre del famoso re Hadingus. Da non confondere col personaggio omonimo della Vǫlsungasaga (Faulkes ***). Torna al testo

16 — (g) «Chetaguerra» [dolgs sjǫtul]: altra kenning per il mulino di Fróði. Torna al testo

20 — (b) Hleiðr(a): si tratta dell'attuale Lejre nella regione dello Sjælland, in Danimarca. Hleiðr era l'antica sede del cosiddetto Regno di Lejre, sviluppatosi durante l'età del ferro, che secondo le saghe e le leggende era dominato dalla dinastia degli Skjǫldungar. È probabile che la Danimarca medievale abbia avuto origine proprio da questo regno. Si pensa inoltre che Hleiðr fosse la sede ove sorgeva anche Heorot, il «Cervo», ovvero la sala di re Hroðgar nel Bēowulf. Effettivamente in questo luogo sono stati trovati molti resti archeologici di antiche sale reali. Le leggende dei re di Hleiðr sono raccolte nel Chronicon Lethrense, raccolta composta nel XII secolo, che racconta degli antichi re danesi di epoca pre-cristiana e delle loro avventure. Fra questi re figura anche il famoso re Hrólfr Kraki.Torna al testo

22 — Ci si riferisce qui, con qualche variazione, a una truce leggenda narrata nella Hrólfs saga Kraka. In questa versione, Fróði uccise suo fratello Hálfdanr e divenne re al suo posto. Tempo dopo, tuttavia, Fróði cadde a sua volta, ucciso dai figli di Hálfdanr, Helgi e Hróarr, i quali vendicarono così loro padre. In seguito, Helgi, si spostò in Sassonia e qui violentò la regina Oluf, dalla quale era stato respinto e umiliato. In seguito la regina diede alla luce una figlia, a cui, per disprezzo, diede il nome della sua cagna: Yrsa. Tempo dopo, Helgi tornò alla corte di Oluf e si innamorò di Yrsa, non sapendo che si trattasse di sua figlia. Piena di rancore per lo stupro subito, la regina Oluf non gli rivelò la parentela, così Helgi sposò Yrsa e dall'incesto nacque un figlio, il futuro sovrano Hrólfr Kraki (il quale è perciò chiamato «figlio e fratello» di Yrsa). Si noti che nella versione della leggenda a cui accenna questa strofa del Grottasǫngr, l'assassino di Fróði (identificato col re del mulino) sembra essere lo stesso Hrólfr Kraki. Torna al testo

23 — (d) Furia mostruosa: jǫtunmóðr, la furia del gigante. Torna al testo

Versi di Einarr Skúlason — (c) «Lasciò il re pace per oro»: nel senso che re Fróði si fece prendere dalla bramosìa di ricchezze e trascurò di mantenere la pace. — (d) «Giaciglio di Grafvitnir» [Grafvitnis beð]: da intendersi come «giaciglio del serpente», tipica kenning per «oro». — (e-g) «Le gote, a tal acero atte, | dell'ascia mia recan del re | la farina»; una possibile parafrasi sarebbe: «le gote [le lame] della mia ascia, adatte ad abbattere un tale acero [cioè lo stesso Fróði], mi permettono di prendere il bottino del re». — (g-h) «Timon dello scaldo» [bragar stýri]: kenning per poesia. Torna al testo

Versi di Egill Skallagrímsson — Come si narra nella saga a lui dedicata, lo scaldo vichingo Egill Skallagrímsson (ca 900-992) compose il poemetto encomiastico-propiziatorio Hǫfuðlausn, il «riscatto della testa», in una sola notte, per scongiurare l'ira di re Eiríkr Blóðøx «asciadisangue» contro di lui. Si tratta tra l'altro della prima composizione islandese in rima. I versi citati da Snorri appartengono a una strofa che così recita:

Brýtr bógvita
bjóðr hrammþvita,
muna hodd-dofa
hringbrjótr lofa;
mjǫk's hánum fǫl
haukstrandar mǫl;
glaðar flotna fjǫl
við Fróða mjǫl.

Infrange della spalla il segno
ed offre della mano il pegno,
non dovrà sull'oblio del tesoro
l’armillifrago comporre un lodo;
molto è il suo nevischio di sassi
che alla riva del falco s'arresta;
eserciti d’uomini lui desta
con la farina di Fróði, in festa.

Egils saga Skallagrímssonar [2] > Hǫfuðlausn [17]

Fittissimo, il gioco delle kenningar: (a) “della spalla il segno” è il bracciale, l'armilla; (b) “della mano il pegno” è l'oro; (c) “l'oblio del tesoro” è ugualmente l'oro; (d) “armillifrago” è il sovrano, che spezza le armille per donarne i frammenti agli uomini a lui fedeli e agli scaldi che lo hanno immortalato nei loro versi; (e-f) “nevischio di sassi che alla riva del falco s'arresta” sono le armille (“nevischio di sassi”) che stanno sul braccio (“la riva del falco”); (h) infine, “farina di Fróði” è l'oro. Parafrasi: «[Eiríkr blóðøx] spezza bracciali ed offre oro: il sovrano non deve essere avaro di oro (non deve indugiare sulle proprie ricchezze), poiché ha molti bracciali (conquista molto oro) e può così rendere felici i molti uomini al suo seguito». Torna al testo

Bibliografia

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BIBLIOGRAFIA
Archivio: Biblioteca - Guglielmo da Baskerville
Sezione: Fonti - Nabū-kudurri-uṣur
Area: Germanica - Brynhilldr
Traduzione di Stefano Mazza.
Introduzione e note di Stefano Mazza e Dario Giansanti.
Creazione pagina: 05.04.2008
Ultima modifica: 10.04.2016
 
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