LJÓÐA
EDDA |
GROTTASǪNGR |
LA CANZONE DEL GROTTI |
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Titolo |
Grottasǫngr, «Canzone del [mulino] Grotti» |
Genere |
Poema mitologico |
Voci |
Monologo |
Lingua |
Norreno |
Epoca
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Composizione:
Redazione: |
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Fine del IX – X secolo
1222-1225 |
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Manoscritti
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[R] Reykjavík, Stofnun Árna Magnússonar. Codex Regius, ms. GKS 2367 4°
[T] Utrecht, Bibliotheek der Rijksuniversiteit. Codex Trajectinus, Ms.
1374 |
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LJÓÐA
EDDA |
GROTTASǪNGR |
LA CANZONE DEL
[MULINO]
GROTTI |
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Il
poema
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Fenja e Menja (✍ 1893) |
Carl Larsson (1853-1919)
Illustrazione (Sanders 1893) |
Il Grottasǫngr, la
«canzone del
[mulino] Grotti» è una
composizione mitologica non presente nella
raccolta del Codex Regius [GKS 2365
4°], citata
però da Snorri Sturluson nella sua
Prose Edda
(Skáldskaparmál [52]).
Per tale motivo, il poema viene solitamente escluso dalle antologie della
Ljóða Edda ed è piuttosto
relegato tra le composizioni definite come «Eddica
Minora». Ma a dispetto della classificazione, il Grottasǫngr
è un testo suggestivo
e densissimo, sul quale gli studiosi hanno
avanzato un gran numero di interpretazioni.
Com'è noto, nello
Skáldskaparmál, Snorri fornisce,
nel dialogo tra
Bragi ed
Ægir, i miti che
sono alla base delle kenningar e
degli heiti usati in poesia. In
questo caso, la domanda è perché gli scaldi
definiscano l'oro «farina di
Fróði».
La risposta risiede in un racconto di cui
Snorri riferisce gli antefatti e
l'amarissimo finale. Tale racconto è il contesto di
una composizione poetica che lo stesso Snorri riporta
integralmente nel testo, e di
cui fornisce il titolo di
Grottasǫngr.
Fróði, mitico
re dei Dani,
possedeva un mulino, il Grotti, che poteva
macinare qualunque cosa gli fosse richiesta.
Le pietre della macina erano tuttavia così
grandi che nessuno poteva
spostarle. Recatosi in Svezia,
Fróði
acquistò perciò due possenti fanciulle
giganti, Fenja e
Menja; le incatenò al mulino e le
costrinse a macinare per sé oro, pace e
prosperità. Tali fatti sarebbero avvenuti,
stando a Snorri, al tempo in cui l'imperatore
Augusto aveva imposto la pace su
tutta la terra, all'epoca della
nascita di Gesù. «Ma poiché
Fróði era il re più potente
di tutte le terre del nord, la pace
venne chiamata con il suo nome in
tutte le lingue danesi e gli uomini
la chiamarono dunque la Pace di
Fróði».
Tale pace si basava però
sull'ingiusto servaggio imposto a
Fenja e Menja.
Fróði, avido di ricchezze e
sordo ai loro lamenti, non concesse alle due donne un riposo più lungo del
silenzio del cuculo o del canto di una canzone. Così, un giorno, le due
gigantesse presero a cantare per Fróði un canto di distruzione nel
quale venne predetta la fine del suo regno e la morte del sovrano. Così
macinarono un esercito guidato dal re del mare Mýsingr. Dopo aver infranto la
pace danica e ucciso il re, costui caricò sulla sua nave il mulino Grotti e
ordinò alle due gigantesse di macinare sale. Esse lo fecero, e in tale quantità
che la nave sprofondò sotto il peso e, laddove si era trovato il mulino, si
formò un gorgo marino (la parola mælström, nelle lingue scandinave, vuol
dire tuttora «gorgo che macina»). Ed è per questo, conclude Snorri, che il mare
è salato. |
Le
redazioni
Il Grottasǫngr ci è pervenuta attraverso la
Prose Edda
di Snorri, che la cita nel suo
Skáldskaparmál
[52]. Dei
quattro manoscritti snorriani, tuttavia, il
poema è tramandato soltanto da due di essi,
il Codex Regius [R]
e il Codex Trajectinus [T],
che riportano anche l'episodio mitologico
che contestualizza la recita del canto. Il Codex Wormianus [W]
presenta infatti una lacuna ai ff. 39-43, mancando proprio la parte che
conteneva probabilmente il Grottasǫngr, mentre questo è
certamente assente dal Codex
Uppsaliensis [U].
Dei due manoscritti contenenti il Grottasǫngr,
il più antico è il Regius, che risale al 1325. La composizione della
Prose Edda da parte di Snorri
Sturluson rimonta però a un secolo prima,
agli anni 1222-1225, e queste sono
ovviamente le date dell'ultima redazione del
poema, per mano dello stesso Snorri. Il Grottasǫngr
è tuttavia molto più
antico, ed Einar Ólafur Sveinsson la assegna
alla fase più alta nella produzione della
poesia eddica. In genere gli studiosi la
ritengono composta tra la fine del IX e
tutto il X secolo, probabilmente in
Norvegia (Prampolini
1949 |
Sveinsson 1982 | Gunnell
2005).
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Genere e
metrica
Presentato entro una cornice narrativa, il Grottasǫngr
possiede a sua volta una
struttura composita. La composizione in sé è
un misto di narrazione e dialogo, secondo il
metodo applicato dal sottogenere della
kvíða o «carme», dove si riporta
sia il racconto dei fatti, narrato
dall'esterno, sia le parole pronunciate dai
protagonisti. A uno sguardo più attento,
tuttavia, quest'immagine si rivela
fuorviante perché, se la composizione è
lunga complessivamente 24 strofe, ben
quindici di esse
[8-22] costituiscono il vero e
proprio monologo delle due gigantesse alla
macina, le quali profetizzano morte e
sventura a re Fróði. Tale sequenza è il
cuore della composizione ed è appunto ad
essa, e non al poema in generale, che Snorri
attribuisce il titolo di Grottasǫngr
«Canzone del Grotti».
Il poema ha carattere eroico-gnomico,
trattando – nel solito stile oscuro ed
ellittico tipico di questo genere di
composizioni – di fatti e personaggi legati
alla regalità mitica della Danimarca. Si
citano infatti re Fróði, detto discendente
di quello Skjǫld a cui si fa risalire la
genealogia degli Skjǫldungar, mitici sovrani
danici di cui trattava la perduta Skjǫldunga saga, e si accenna ad
altri sovrani leggendari come
Gothorm e
Hrólfr Kraki, accennando alle loro imprese.
Queste vicende vengono fornite, nel canto
che Fenja e
Menja rivolgono a re
Fróði, come
profezie destinate ad avverarsi nei tempi
futuri. Anzi, sono le stesse gigantesse che
«macinano» le future sventure dei re dei
Dani, vendicandosi così nei confronti del
sovrano che le ha ridotte in una così dura
schiavitù.
Il Grottasǫngr viene spesso associato al
canzoniere eddico, sebbene più che un poema
epico vero e proprio abbia piuttosto le
sembianze di un adattamento originato da un
preesistente e antichissimo canto di lavoro,
che durante la tradizione orale è stato
mitizzato e contestualizzato nell'ambito del
mito di Fróði. Il Grottasǫngr
condivide comunque con il
resto dei poemi eddici il metro, ovvero il
fornyrðislag o
«metro
antico»,
che possiede due accenti forti per ogni
verso, insieme a due o tre sillabe atone. La
struttura metrica ed il ritmo, mesto e
cadenzato, sono usati in modo costante sino
alla fine del componimento.
Di seguito un esempio di divisione del
primo verso:
⏐⏑⏐⏑
⏐⏑⏐⏑
Nú erum komnar |
til konungs húsa |
Il tema del
mulino cosmico
Uno dei principali motivi d'interesse di questo poemetto è rappresentato dal
soggetto, piuttosto originale e del quale altrove si trovano soltanto allusioni
piuttosto vaghe, sebbene siano diffuse certe kenningar scaldiche che
conservano tracce del mito di Fróði, del Grotti, di
Fenja e Menja. Il mito del
mulino magico, dispensatore di fortuna e prosperità, è importante poiché molti
indizi fanno pensare che sia di origine antichissima e che provenga da un
mitema comune ad altre culture diverse da quella germanica.
Questa immagine del mulino è rappresentata difatti in maniera più esplicita
dalla mitologia dei Finni, popolo geograficamente vicino agli scandinavi, nel
loro mito del Sampo, raccontato nel Kalevala.
Vale la pena esaminare brevemente i tratti principali che caratterizzano il
tema del mulino in queste due culture, quella nordica e quella finnica, dal
momento che rappresentano un buon territorio per approfondire l'archetipo del
mulino.
Sono molte le somiglianze fra il Grotti nordico ed il
Sampo finnico: entrambi
sono mulini prodigiosi, capaci di produrre ricchezza e gioia per chi li
possieda, e in entrambe le tradizioni il mulino che macina sale e rende il mare
salato è conservato pressoché identico. Il Grotti, come accade per il
Sampo non
è mai descritto in dettaglio e non è mai chiarita per esteso la sua funzione.
Ciononostante si tratta di un'espressione altamente sviluppata del mito del
mulino cosmico, il cui volgere e macinare simboleggia la fertilità, poiché al
suo interno possono nascere beni e ricchezze. La presenza del
Grotti ben si
identifica con l'«età dell'oro» raccontata nella
Vǫluspá e dallo stesso Snorri,
ma la prosperità che il mulino produce non è del tutto perfetta, poiché induce
facilmente alla cupidigia e dunque alla rovina chi ne approfitti.
Fróði in
effetti fa lavorare incessantemente le due fanciulle giganti e, a causa di tale
eccesso, perde il mulino prodigioso, mentre il suo regno viene invaso da un'orda
di vichinghi evocati dalle gigantesse rese schiave. Nel mito di
Grόtti il mulino
magico, a fianco alla capacità di produrre beni e ricchezze, possiede dunque un
aspetto negativo e punitivo nei confronti di chi si serva dei suoi prodigi in
maniera smodata e innaturale, proprio come fanno Fróði e
Mýsingr, i quali
entrambi vanno incontro alla rovina. Questo aspetto negativo è invece del tutto
assente nel mito del Sampo finnico, che non perde mai la sua funzione positiva
anche quando viene distrutto: secondo i runot finlandesi, i frammenti del
Sampo daranno anzi origine a una nuova fertilità per la terra
e ricchezza per il mare.
Sempre in confronto col Sampo, a tale proposito è interessante notare come i
due mulini abbiano origine diversa nelle due culture: il
Sampo è un artefatto,
forgiato dal fabbro Ilmarinen, mentre
il Grόtti non viene creato: è qualcosa di già
presente, in quanto composto da due rocce che fanno da palmenti ed è parte
dunque dello stesso mondo ctonio arcaico cui appartengono i giganti, che, come
Fenja e Menja,
rappresentano le forze indomite della natura.
Sia nella cultura nordica che in quella finnica, si può inoltre osservare che
all'ambito semantico del mulino e dell'attività del macinare appartenga almeno
una parola di dubbio significato e di etimologia ancora più arcana. Il nome
Grotti, innanzitutto, può essere riferito al termine
grjót «pietre», da cui
l'espressione verða at grjóti «diventare di pietra».
Grotti mostra anche
un'indubbia somiglianza col sostantivo gróði
«guadagno, prosperità».
Queste supposizioni possono far riflettere, dal momento che il poema parla di
macine di pietra e di ricchezze associate all'uso del mulino, ma non chiariscono
di molto la vera origine di questo nome. Nel Grottasǫngr si trova inoltre l'oscuro
termine lúðr, usato per indicare il Grotti o una parte di esso. In antico
nordico la parola lúðr, secondo un'interpretazione largamente condivisa,
indica la cassa, ovvero la parte esterna del mulino che contiene le macine, ma
tale significato è inferito più che altro dal contesto. Nel poema lo si può
dedurre dal verso leggjum lúðra [19], in cui sembra proprio che le due gigantesse abbiano
costruito la cassa attorno ai palmenti prima di mettersi a macinare. È inoltre
assai probabile che lúðr sia una metafora o un nome poetico del mulino, dal
momento che in prosa non lo si ritrova mai (con una sola eccezione,
Gylfaginning [7b]),
ma attorno al vero significato di questa parola e alla sua etimologia restano
ancora ampi margini di incertezza.
Dalla parte finnica della medesima penisola, l'origine del nome
Sampo pone
dubbi di portata non inferiore: è riconosciuto un primo significato di
«pilastro, colonna», come suggerisce Uno Harva per derivazione dalla parola
sampa «colonna»
(Harva 1944), mentre Elias Lönnrot fa notare che la parola
finlandese maasampa viene usata nel senso di
«pilastro del mondo»
(Lönnrot
1958). Il nome
Sampo potrebbe dunque indicare una macchina il cui lavoro dipende
dalla presenza di un sampa, ovvero di un perno attorno al quale girano le
macine.
Tornando all'ambito prettamente nordico, il tema del mulino cosmico sembra
essere un archetipo di cui non rimangono che echi nelle fonti eddiche che
parlano dell'inizio della creazione. Fra questi, sicuramente emblematico è
l'episodio di Bergelmir raccontato nel
Vafþrúðnismál
[29], in cui centrale per la
comprensione della vicenda è il già discusso termine lúðr, che come ricordato
indica il mulino o per lo meno ne è un appellativo poetico. Secondo Hans
Christiansen, la parola lúðr può significare anche
«bara, cassa da morto», per
cui il gigante Vafþrúðnir, che racconta i primi tempi dell'universo, sta
ricordando la morte di Bergelmir
(Christiansen 1952). A tale
proposito sorge un lecito dubbio su questa interpretazione di lúðr, dal momento
che nella cultura scandinava non esisteva la pratica di inumare i morti entro
bare e quindi tale ipotesi sembra addirittura fuorviante, sebbene l'accenno alla
morte di Bergelmir colga un aspetto importante del racconto.
Clive Tolley fa la seguente riflessione: dal
Vafþrúðnismál
apprendiamo i
nomi di tre giganti primordiali:
Aurgelmir,
Þrúðgelmir e
Bergelmir. Siamo di fronte a un gruppo o a una generazione di giganti il cui
nome è un composto di -gelmir, foneticamente connesso al verbo gjalla
«rumoreggiare, gridare». Il primo elemento del nome dunque distingue i tre
giganti: Aurgelmir è composto di aurr
«argilla, fango» (con cui viene
asperso il frassino Yggdrasill).
Þrúðgelmir è invece composto di þrúðr
«potere, forza», corradicale di
þrόa «prosperare». Riguardo il nome di
Bergelmir, lo si trova spesso interpretato come composto di
ber-/bjǫr- «orso»,
col significato di «colui che ruggisce come un orso»
(Isnardi 1991). Se però i
nomi dei tre giganti hanno, come è ragionevole aspettarsi, qualche relazione
semantica, l'associazione con l'orso nel caso di
Bergelmir non si giustifica
appieno. I primi due nomi, coposti di aurr e di þrúðr/þrόa, appartengono
all'ambito della fertilità della terra e anche per quello di
Bergelmir ci si può
aspettare un'origine maggiormente vicina ai temi del raccolto e della
prosperità. Sempre Tolley fa notare che in questo caso ber- più che dalla radice
ber-/bjǫr- può invece derivare da barr
«orzo», ricorrendo alla spiegazione di Fulk per la derivazione dal protogermanico
*bariz-/baraz (Fulk 1989). Dunque
Bergelmir potrebbe essere connesso all'orzo e per estensione alle sementi, da
cui l'aggettivo fróðr, con cui è chiamato da
Vafþrúðnir, assume un significato
più profondo: fróðr, significa «saggio», ma anche
«fertile». Se si accetta
infine il significato di «mulino» per il termine
lúðr, Bergelmir può dunque
divenire un agente della fertilità della terra, in quanto egli stesso viene
macinato come orzo (Rydberg 1886 | Tolley 1995). Il motivo della macinatura di un macroantropo che genera
fertilità per altro non è unico, in quanto lo si trova anche nella cosmogonia di
altre culture, come ricordato da Sir James Frazer nella sua opera monumentale (Frazer
1890). Del resto è assai simile il mito del sacrificio di
Ymir, ad opera dei figli di
Borr, quando diedero forma al cielo e alla terra.
Sempre nel
Vafþrúðnismál
e nel
Gylfaginning di Snorri sembra abbastanza
chiaro che un personaggio altrimenti poco descritto,
Mundilfǿri, padre del sole
e della luna, imprima movimento al tempo e allo spazio mediante una qualche
sorta di mulino, da lui azionato. Questa funzione è suggerita dallo stesso nome,
che è formato da mundil- (da mund «tempo» o
«mano») e
-fǿri (da fǿra «muovere,
condurre»). Anche il corso celeste, che regola le stagioni e i tempi della
fertilità della terra, è regolato da un movimento rotatorio impresso per mezzo
di un meccanismo che «macina» il tempo e gli astri.
È chiaro che il tema del mulino cosmico, dall'analisi delle fonti nordiche
pervenuteci, non sia un mitologema pienamente sviluppato come accade invece
nella cultura finnica. Sembra che nella tradizione nordica il tema del mulino
sia frammentato nei tre diversi miti di Fróði, di
Mundilfǿri e dei giganti
primordiali, all'interno dei quali si sviluppa rispettivamente nell'accezione di
mulino della prosperità (Grόtti), regolatore dei cicli temporali (la macina di
Mundilfǿri) e promotore di fertilità (il lúðr di
Bergelmir).
|
Il
Grotti e
il mælström
Il Grotti, come
raccontato da Snorri, si presenta sotto tre
differenti aspetti: come mulino della
prosperità, come mulino del sale e come
mulino del gorgo marino. Di questi tre
motivi, il poema cantato dalle gigantesse
racconta solo quello del mulino della
prosperità, utilizzato da
Fróði in maniera
distorta, poiché il re costringe le due
gigantesse a lavorare senza sosta per lui e
questo le porta alla loro vendetta, fino a
suscitare in loro il jǫtunmóðr, la tremenda
furia distruttiva che prende i giganti e che
porta alla distruzione del mulino e alla
fine dello stesso Fróði. Il temi del mulino
del sale e mulino del gorgo vengono
brevemente accennati nel testo snorriano che
introduce il poema, quando narra che
Mýsingr,
il «re
del mare», prende come bottino tutte le
ricchezze di Fróði, compreso il
Grotti,
Fenja e Menja.
Mýsingr utilizza il
Grotti
per macinare sale e ne macina in quantità
tale da affondare la propria nave e causare
un gorgo. È probabile che tale gorgo sia lo
stesso comunemente noto col nome comune di
mælström, in norvegese detto
moskstraumen, che è un reale sistema di
vortici e gorghi che si forma in prossimità
delle isole Lofoten. La prima descrizione di
questo gorgo fu data dal geografo greco
Pitea di Massalia (odierna Marsiglia, III sec.
a.C.) e fu
indicato col nome di Horrenda Carybdis sulla
Carta Marina di Olaus Magnus nel 1539.
|
Hic est Horrenda Carybdis |
Una drammatica rappresentazione del moskstraumen nella Carta
Marina di Olaus Magnus (1539), insieme a mostri marini e altre
terribili insidie nei mari nordici. |
Fin dai tempi antichi, questo gorgo che nasce dall'incontro
dei mari generò il mito di un mulino posto nelle profondità degli abissi cui
attribuire lo spaventoso fenomeno. Della relazione fra il Grotti e il gorgo
marino canta anche il poeta Snæbjǫrn, citato da Snorri nel
Skáldskaparmál, che ha scritto questo
lausavísa (poesia di un'unica strofa), di
cui diamo una traduzione molto letterale, spiegando di seguito le parafrasi delle
kenningar:
Hvatt kveða hrǿra Grotta
hergrimmastan skerja
út fyr jarðar skauti
eylúðrs níu brúðir,
þær es, lungs, fyr lǫngu
líðmeldr, skipa hlíðar
baugskerðir rístr barði
ból, Amlóða mólu. |
Che muovano, dicono, un tal Grotti
di scogli, alle schiere crudelissimo
fuori dell'orlo terrestre
le nove fanciulle del mulino delle isole,
lor che da lungi macinano
il malto del liquore di Amlóði; la tana
dei fianchi delle navi fende
il dispensator d'anelli colla prua della galea. |
Snæbjǫrn, apud Snorri
Sturluson:
Prose Edda
>
Skáldskaparmál |
Diamo qui le parafrasi delle kenningar contenute in
questa composizione: «Grotti di scogli» è il gorgo marino; le
«nove fanciulle» sono le onde del mare; il «liquore di Amlóði»
è il mare, e quindi il suo «malto» è la sabbia; la «tana dei
fianchi delle navi» è di nuovo il mare e il «dispensatore
d'anelli» è il sovrano, cioè forse Mýsingr.
La poesia insiste
sul tema del mulino, usando il nome di Grotti insieme a sostantivi specifici
come eylúðr «mulino di isole», ovvero il mare/oceano, líðmeldr, composto di
meldr, che indica sia l'atto del macinare quanto il grano o i cereali pronti ad
essere macinati, quindi il «malto» e il
verbo mala, «macinare, girare la mola». L'immagine del gorgo viene resa da Snæbjǫrn proprio con un mulino, identificato per metonimia con il
Grotti, che
viene mosso dalle onde del mare, le «nove
fanciulle», ovvero le nove figlie di Ægir e
di Rán, madri di
Heimdallr.
L'interpretazione di
questa poesia, come accade per la maggioranza della poesia scaldica, è piuttosto
difficile ed è assai probabile che il compositore abbia ordito un complesso di
significati ugualmente verosimili. Questo esempio di Snæbjǫrn è comunque
importante perché nei suoi multipli livelli di lettura conferma proprio i vari
attributi del mulino prodigioso narrati da Snorri nel mito di
Fróði. Ad esempio
«Grotti di scogli», alle schiere crudelissimo» [Grotta | hergrimmastan skerja] può
essere interpretato come mulino che macina gli scogli, quindi kenning per il
mare, oppure come mulino di scogli, che affonda le navi, per cui il più crudele
per gli eserciti (che navigano), o ancora un gorgo marino in cui sono presenti
frammenti di rocce, identificate coi frammenti di Grotti affondato nel mare.
Ancora, è stato proposto di interpretare hergrimmastan nel senso di Grotti quale
mulino produttore di eserciti nati dal mare, alludendo alla leggenda di
Mýsingr.
Il tema del mulino quale causa del gorgo marino e della
salinità del mare, che sono presenti nella parafrasi di Snorri mentre invece
mancano nel poema vero e proprio, appartengono in qualche modo al tema
archetipico del mulino, avendo le loro origini in altri miti che erano già
antichi ai tempi di Snorri e che per noi sono irrimediabilmente perduti.
|
Il faro di Stroma, posto ad
avvertire della presenza del gorgo Swilkie vicino alle isole Orcadi. |
Questo mito del mulino è anche sopravvissuto in maniera indipendente nella
letteratura popolare, soprattutto nelle fiabe scandinave, come
Perché il mare è
salato, che fa parte della raccolta Norske Folkeeventyr di Peter Asbjørnsen e
Jørgen Moe. Nelle isole Orcadi il mito è ancora più vicino a quello originario
di re Fróði: c'è un gorgo situato a nord dell'arcipelago, chiamato
Svelgr nella Orkneyinga saga. La leggenda narra che in fondo al mare vi
siano due gigantesse, Grotti-Fenni e
Grotti-Menni, che macinano incessantemente sale e,
ove le acque incontrano il foro al centro della macina, si forma il gorgo. Nel
manoscritto Litla Skálda il gorgo viene collocato ove ne
esiste uno realmente anche oggi, nel Péttlandsfjörðr, ovvero il Pentland Firth,
stretto di mare che separa le isole Orcadi dal nord della Scozia. Per avvertire
le navi della presenza dello Svelgr, oggi chiamato Swilkie Whirlpool, venne
costruito nel 1896 il famoso Faro di Stroma, sull'isola omonima.
Il Grottasǫngr assunse anche un grande significato sociale e politico nella
Svezia del XX secolo, quando Viktor Rydberg ne scrisse una versione in svedese
moderno, Den nya Grottesången.
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LJÓÐA
EDDA |
GROTTASǪNGR |
LA CANZONE DEL
[MULINO]
GROTTI |
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GROTTASǪNGR |
LA CANZONE DEL GROTTI |
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Prologo |
(a) |
Hví er gull kallat mjǫl Fróða? Til þess er saga sjá at
Skjǫldr hét sonr Óðins er Skjǫldungar eru frá komnir. Hann hafði atsetu ok réð
lǫndum, þar sem nú er kǫlluð Danmǫrk, en þá var kallat Gotland. |
Perché l'oro è detto la farina di Fróði? A proposito di questo narra
una saga che un figlio di
Óðinn era chiamato
Skjǫldr, dal
quale sono discesi gli Skjǫldungar.
Egli aveva dimora e governava
quelle terre che ora si chiamano
Danmǫrk, ma allora si chiamavano Gotland. |
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(b) |
Skjǫldr átti
þann son, er Friðleifr hét, er lǫndum réð eftir hann. Sonr Friðleifs hét Fróði.
|
Skjǫldr aveva quel figlio
che si chiamava
Friðleifr, il quale
regnò dopo di lui. |
|
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(c) |
Mann tók konungdóm eftir fǫður sinn í þann tíð, er Ágústus keisari lagði frið of
heim allan. Þá var Kristr borinn. |
Il figlio di Friðleifr si chiamò
Fróði.
Questi ereditò il regno dal padre
all'epoca in cui l'imperatore
Augusto impose la pace a tutto il
mondo e in cui nacque Cristo. |
|
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(d) |
En fyrir því at Fróði var allra konunga
ríkastr á Norðlǫndum, þá var honum kenndr friðrinn um alla danska tungu, ok
kalla menn það Fróðafrið. Engi maðr grandaði ǫðrum, þótt hann hitti fyrir sér
fǫðurbana eða bróðurbana lausan eða bundinn. Þá var ok engi þjófr eða ránsmaðr,
svá at gullhringr einn lá á Jalangrsheiði lengi. |
Ma
poiché Fróði era il re più potente
di tutte le terre del nord, la pace
venne chiamata con il suo nome in
tutte le lingue danesi e gli uomini
la chiamarono dunque la Pace di
Fróði. Nessun uomo noceva
all'altro, anche se avesse
incontrato l'assassino del proprio
padre o fratello, sia libero che
imprigionato. Non c'erano ladri o
briganti, tanto che un anello d'oro
da tempo giaceva, intatto, sulla
piana di Jalangr. |
|
|
(e) |
Fróði konungr sótti heimboð í Svíþjóð til þess konungs, er Fjǫlnir er nefndr. Þá
keypti hann ambáttir tvær, er hétu Fenja ok Menja. Þær váru miklar ok sterkar. |
Re Fróði si recò ad una festa in
Svezia presso quel re che era
chiamato Fjǫlnir. Là egli acquistò
due serve che si chiamavano
Fenja e
Menja, le quali erano grandi e
forti. |
|
|
(f) |
þann tíma fundust í Danmǫrku kvernsteinar tveir svá miklir,
at engi var svá sterkr, at dregit gæti. En sú náttúra fylgði kvernunum, at þat
mólst á kverninni, sem sá mælti fyrir, er mól. Sú kvern hét Grotti.
Hengikjǫptr er sá nefndr, er Fróða konungi gaf kvernina. |
A quel tempo si trovavano in
Danimarca due pietre da macina
talmente grandi che nessuno era
abbastanza forte da riuscire a
muoverle. Tale era la natura di
questo mulino, che esso produceva
qualunque cosa che fosse prima
stata richiesta da chi lo
azionasse. Quel mulino si chiamava
Grotti ed
Hengikjǫptr era il nome
di colui che lo donò a re Fróði. |
|
|
(g) |
Fróði konungr lét leiða ambáttirnar til kvernarinnar ok bað þær mala gull, ok
svá gerðu þær, mólu fyrst gull ok frið ok sælu Fróða. Þá gaf hann þeim eigi
lengri hvílð eða svefn en gaukrinn þagði eða hljóð mátti kveða. Þat er sagt, at
þær kvæði ljóð þau, er kallat er Grottasǫngr. Ok áðr létti kvæðinu, mólu þær her
at Fróða, svá at á þeiri nótt kom þar sá sækonungr, er Mýsingr hét, ok drap
Fróða, tók þar herfang mikit. Þá lagðist Fróðafriðr. Mýsingr hafði með sér
Grotta ok svá Fenju ok Menju ok bað þær mala salt. Ok at miðri nótt spurðu þær,
ef eigi leiddist Mýsingi salt. Hann bað þær mala lengr. Þær mólu litla hríð, áðr
niðr sǫkk skipit, ok var þar eftir svelgr í hafinu, er særinn fellr í
kvernaraugat. Þá varð sær saltr. |
Re Fróði
fece condurre le serve al
mulino e ordinò loro di macinare
oro e così esse fecero: macinarono
l'oro per primo e in seguito pace e
gioia per Fróði. Allora egli non
concesse loro riposo o sonno più
lungo del silenzio del cuculo o del
canto di una canzone. Si narra che
esse poi intonarono quel canto che
si intitola Grottasǫngr e che,
prima di terminarlo, esse
macinarono un esercito contro
Fróði,
cosicché quella notte giunse quel
re del mare che si chiamava
Mýsingr,
il quale uccise
Fróði ed ivi trovò
un grande bottino. Fu allora che
ebbe fine la pace di
Fróði.
Mýsingr
prese con sé il Grotti ed anche
Fenja e
Menja,
e ordinò loro di macinare del sale.
Quando fu mezzanotte esse chiesero
a Mýsingr
se il sale fosse abbastanza. Egli
ordinò di macinare ancora. Avevano
macinato giusto un altro poco,
quand'ecco che la nave sprofondò e
da allora vi fu un gorgo nel mare,
ove le acque cadono nell'occhio
della macina. Per questo il mare è
divenuto salato. |
|
La schiavitù di Fenja e Menja |
1
|
Nú
erum komnar
til konungs húsa
framvísar tvær,
Fenja ok Menja.
Þær eru at Fróða
Friðleifs sonar
máttkar meyjar
at mani hafðar. |
Or siamo qui giunte
del re nella casa
entrambe veggenti,
noi due,
Fenja e Menja.
Son esse da Fróði,
figliuol di Friðleifr,
possenti fanciulle
qual serve tenute. |
|
|
2 |
Þær at lúðri
leiddar váru
ok grjóts grjá
gangs of beiddu.
Hét hann hvárigri
hvíld né ynði,
áðr hann heyrði
hljóm
ambátta. |
Le donne al
mulino
in ceppi fûr
messe,
i grigi macigni
a fare girare.
Il re non concesse
né agio o
riposo
se pria non udisse
il canto servile. |
|
|
3
|
Þær þyt þulu
þǫgnhorfinnar.
“Leggjum
lúðra,
léttum
steinum.”
Bað hann
enn meyjar,
at þær
mala skyldu. |
Mossero il gemito
del fugasilenzio.
“Le casse posiamo,
lasciamo le pietre”,
diss'egli alle dame
ancor di molire. |
|
Canto delle gigantesse e discorso
di Menja. |
4 |
Sungu ok
slungu
snúðgasteini
svá at
Fróða man
flest
sofnaði.
Þá kvað
þat Menja,
var til
meldrs komin: |
Cantaron tirando
la pietra girante
ché i bravi di Fróði
dormirono, in molti.
Allor disse Menja,
raggiunta la mola: |
|
|
5
|
“Auð
mǫlum Fróða,
mǫlum
alsælan,
mǫlum
fjǫlð fjár
á
feginslúðri.
Siti hann
á auði,
sofi hann
á dúni,
vaki hann
at vilja,
þá er vel
malit. |
“Tesori per Fróði
moliamo fastosi,
moliamo fortune
dal gaio mulino.
Sian seggio i tesori,
giaciglio al suo sonno,
si desti a piacere,
qualor sia
ben volto. |
|
|
6
|
Hér skyli
engi
ǫðrum
granda,
til bǫls
búa
né til
bana orka,
né hǫggva
því
hvǫssu
sverði,
þó at
bana bróður
bundinn finni”. |
Nessun qui potrebbe
alcuno ferire,
dolore arrecare
né morte causare,
né a filo passare
di spada fendente,
chi uccise il fratello
foss'anco legato”. |
|
Sprezzante risposta del re |
7
|
En hann
kvað ekki
orð it
fyrra:
“Sofið
eigi þit
né of sal
gaukar
eða lengr
en svá
ljóð eitt
kveðak”. |
Parola non disse
lui, salvo che questo:
“Non più dormirete
che i cùculi sopra
la sala, o più a lungo
d'un carme cantato”. |
|
Il canto del mulino
Grotti |
8
|
“Vatattu,
Fróði,
fullspakr
of þik,
málvinr
manna,
er þú man
keyptir.
Kaustu at
afli
ok at
álitum,
en at
ætterni
ekki
spurðir. |
“Non fosti tu, Fróði,
di vasta saggezza,
degli uomini amico,
le serve acquirendo.
La forza scegliesti
ed il lor aspetto,
ma della lor stirpe
tu
non domandasti. |
|
|
9 |
Harðr var
Hrungnir
ok hans
faðir,
þó var Þjazi
þeim
ǫflgari,
Iði ok Ǫrnir,
okkrir
niðjar,
brǿðr
bergrisa:
þeim erum
bornar. |
Possente era Hrungnir
ed anche suo
padre,
però Þjázi era
di loro maggiore,
Iði ed
Aurnir
ci furon parenti,
giganti fratelli:
da lor noi nascemmo. |
|
|
10 |
Kǿmia
Grotti
ór gréa
fjalli
né sá inn
harði
hallr ór
jǫrðu
né mǿli
svá
mær
bergrisa,
ef vissi
vit
vætr til
hennar. |
Non Grotti sarebbe
da grigia alpe giunto,
né qui il duro masso
dal cuor della terra,
né dama gigante
l'avrebbe girato,
se fossimo ignare
di questa sua
sorte. |
|
|
11 |
Vér vetr
níu
várum
leikur
ǫflgar,
alnar
fyr jǫrð
neðan.
Stóðu
meyjar
at
meginverkum,
færðum
sjalfar
setberg
ór stað. |
Per nov'anni fummo
compagne di giochi,
cresciute, possenti,
giù sotto la terra.
Compiron fanciulle
imprese grandiose,
da sole togliemmo
macigni ai lor siti. |
|
|
12 |
Veltum
grjóti
of garð
risa,
svá at
fold fyrir
fór
skjalfandi.
Svá
sløngðum vit
snúðgasteini,
hǫfgahalli,
at halir
tóku. |
Un masso spingemmo
sul suol dei giganti,
ch'avanti la terra
fendeva tremante.
Così noi volgemmo
la pietra girante,
la roccia possente
perché uom prendesse. |
|
|
13 |
En vit
síðan
á Svíþjóðu
framvísar
tvær
í fólk
stigum.
Beiddum
bjǫrnu,
en brutum
skjǫldu,
gengum í
gegnum
gráserkjat lið. |
E dunque noi due
in terra di Svezia,
entrambe veggenti
fra armate passammo.
Gli orsi sfidammo,
gli scudi frangemmo,
incontro alle schiere
di grigio bardate. |
|
|
14 |
Steyptum
stilli,
studdum
annan,
veittum
góðum
Gothormi
lið.
Vara
kyrrseta,
áðr Knúi
felli. |
Un re rovesciammo,
un altro insediammo,
al fianco di Gothormr
il buono noi fummo.
Non ebbesi tregua
finché Knúi crollò. |
|
|
15 |
Fram
heldum því
þau
misseri,
at vit at
kǫppum
kenndar
várum.
Þar
skorðu vit
skǫrpum
geirum
blóð ór
benjum
ok brand
ruðum. |
Così procedemmo,
in quelle stagioni,
al par di campioni
noi fummo famose.
Noi due ferivamo
con lance affilate,
a sangue ferendo
e rosse le spade. |
|
|
16 |
Nú erum
komnar
til
konungs húsa
miskunnlausar
ok at
mani hafðar.
Aurr etr
iljar,
en ofan
kulði,
drǫgum
dolgs sjǫtul.
Daprt er
at Fróða. |
Or siamo qui giunte,
del re nella casa,
di grazia private
e qual serve tenute.
Argilla i piè rode,
il gelo ci assale
al chetabattaglie.
È grama da Fróði! |
|
|
17 |
Hendr
skulu hvílask,
hallr
standa mun,
malit
hefi ek fyr mik,
mitt of
létti.
Nú muna
hǫndum
hvíld vel
gefa
áðr
fullmalit
Fróða þykki. |
Riposo alle mani,
la pietra si fermi,
io ho macinato,
la parte mia basti.
Per le mani ora
non vi sarà sosta
finché sfarinato
ben Fróði ritenga. |
|
|
18 |
Hendr
skulu hǫndla
harðar
trjónur,
vápn
valdreyrug.
Vaki þú,
Fróði!
Vaki þú,
Fróði
ef þú hlýða
vill
sǫngum
okkrum
ok sǫgnum
fornum. |
Avremo alle mani
più dure le lance,
e l'armi cruente.
Or destati, Fróði!
Or destati, Fróði
se udire vorrai
i nostri cantari
e i canti degli avi. |
|
|
19 |
Eld sé ek
brenna
fyr
austan borg,
vígspjǫll
vaka,
þat mun
viti kallaðr.
Mun herr
koma
hinig af
bragði
ok brenna bǿ
fyrir
buðlungi. |
Un rogo già
vedo
ad est del maniero:
un vento di guerra
che monito desta.
Da lungi verrà
la schiera
veloce,
ardendo la
casa
dinanzi al
sovrano. |
|
|
20 |
Munat þú
halda
Hleiðrar
stóli,
rauðum
hringum
né
regingrjóti.
Tǫkum á
mǫndli
mær,
skarpara,
eruma
varmar
í
valdreyra. |
Non tu manterrai
il trono di Hleiðr,
gli anelli
scarlatti,
né i sacri altari.
La presa stringiamo,
fanciulla, più salda;
calor non
avremo
dal sangue dei morti. |
|
|
21 |
Mól míns
fǫður
mær
ramliga
þvíat hon
feigð fira
fjǫlmargra sá.
Stukku
stórar
steðr frá
lúðri,
járni
varðar.
Mǫlum enn
framar! |
Alacre la figlia
del padre mio volge,
poiché ella ha veduto
di molti la fine.
Ceduto ha il mulino
nei grandi sostegni,
di ferro coperti.
Ancor maciniamo! |
|
|
22 |
Mǫlum enn
framar!
Mun Yrsu
sonr,
niðr
Halfdana
hefna
Fróða.
Sá mun
hennar
heitinn
verða
burr ok
bróðir.
Vitum
báðar þat”. |
Ancor
maciniamo!
Il figlio di Yrsa
nipote di
Hálfdanr,
giustizierà Fróði.
Così della
donna
sarà egli chiamato
figlio e fratello.
Entrambe sappiamo”. |
|
Distruzione del mulino |
23 |
Mólu
meyjar,
megins
kostuðu,
váru
ungar
í
jǫtunmóði.
Skulfu
skaptré,
skauzk
lúðr ofan,
hraut inn
hǫfgi
hallr
sundr í tvau. |
Molivan, fanciulle,
con sì sforzo
immane,
le giovani
cadder
in furia gigante.
Il perno tremò,
si ruppe la
cassa,
schiantò in
frantumi
il grande palmento. |
|
|
24 |
En
bergrisa
brúðr orð
of kvað:
“Malit
hǫfum, Fróði,
sem munum
hætta,
hafa
fullstaðit
fljóð at
meldri”. |
La donna
gigante
offrì la parola:
“Molimmo noi, Fróði,
finché non finimmo,
a lungo restaron
le dame alla mola”. |
|
|
|
|
|
|
Versi di
Einarr Skúlason |
|
Einarr
Skúlason kvað svá: |
Einarr Skúlason disse così: |
|
|
“Frá ek at
Fróða meyjar
fullgóliga mólu
lætr
stillir grið gulli
Grafvitnis beð slitna.
Mjúks
bera minnar øxar
meldr þann
við hlyn feldrar
konungs
dýrkar fé Fenju
fǫgr hlýr
bragar stýri”. |
“Sepp'io che le dame di Fróði
forti giravan la mola
lasciò il re pace per oro
giaciglio di Grafvitnir.
Le gote, a tal acero atte,
dell'ascia mia recan del re
la farina, esalta il timon
dello scaldo l'opra di
Fenja”. |
|
|
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|
|
|
Versi di Egill
Skallagrímsson |
|
Svá kvað
Egill: |
Così disse Egill: |
|
|
“Glaðar
flotna fjǫlð
við Fróða mjǫl”.
|
“Eserciti d’uomini lui desta
con la farina di Fróði, in festa”. |
|
|
|
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|
NOTE
a —
Skjǫldr: «scudo». Mitico
capostipite dei re dei Dani. Trattava di lui una
Skjǫldunga saga, andata
perduta, di cui è rimasto un riassunto in latino di
Arngrímur Jónsson (1568-1648). Snorri afferma che
Skjǫldr sia figlio di
Óðinn
(Edda >
Formáli
[4c]); costui sposò
Gefjun dopo
l'inganno da lei perpetrato ai danni di re
Gylfi, e i due
vissero insieme a Hleiðr (odierna Lejre, Danimarca)
(Ynglinga saga [5]). Tra i primi
storici danesi, anche Svend Aggesen e Saxo Grammaticus
citano Skyoldus come un'antico re dei Dani, eponimo
della dinastia degli Skjǫldungar
(Gesta Danorum [I:
iii-iv]). Il personaggio compare come Scyld Scēfing nel prologo del Bēowulf,
dove si narra la curiosa leggenda del suo arrivo dal mare
su una barca priva di nocchiero. Il nome di
Skjǫldr
è invece sconosciuto al Chronicon
Lethrense, che pone Danr
come capostipite della dinastia.
b — Friðleifr:
«[colui che] vive in pace». Mitico sovrano danese. Snorri
afferma fosse figlio di un certo Fróði
inn mikilláti («il
magnifico») o inn friðsami («il
fecondo di pace»), successore a sua volta dell'eroe
eponimo Danr.
Friðleifr sale al trono alla
morte del fratello Hálfdan, e
gli succede a sua volta Fróði
inn frǿkni
(«il prode»)
(Ynglinga saga
[25-26]). Saxo Grammaticus parla di un
Fridlevus II, figlio di
Frotho III e padre di
Frotho IV (Gesta Danorum [VI: i-iv]),
rispecchiando in qualche modo la successione genealogica
già descritta da Snorri. I dati forniti
sulle biografie dei personaggi non sono però
confrontabili.
c —
Fróði: «saggio, avveduto». Il sovrano del
Grottasǫngr,
è ampiamente conosciuto nelle fonti ma si presenta a noi
in molte versioni contrastanti. Nel prologo che Snorri fa
a questa composizione, viene detto figlio di
Friðleifr e nipote di
Dan, oltre che artefice della
pax danica. Tuttavia, in nella
Ynglinga saga,
Snorri sembra dividere il personaggio in più figure
distinte: dapprima afferma che fosse
Freyr, re degli Svei
(e non dei Dani), il sovrano che impose la pace nelle
terre del nord, svelando così chi fosse la divinità alla
base della figura di Fróði.
Dopo la sua morte,
Freyr fu sepolto ma per tre anni fu
fatto credere agli Svei che fosse ancora in vita, e gli
continuarono a venire versati tributi attraverso una
feritoia nel tumulo: in questo modo poterono mantenersi la
prosperità e la pace (Ynglinga saga [10]). Snorri cita poi un re dei Dani
chiamato Fríð-Fróði («Fróði
della pace»),
«potente, fecondo e benedetto dalla pace», vissuto
al tempo di Fjǫlnir figlio di
Freyr, che sembra potersi in
parte identificare col Fróði
della Grottasǫngr,
ma del quale non racconta quasi nulla
(Ynglinga saga [11]).
Solo molto più tardi, Snorri cita un Fróði
inn mikilláti o inn friðsami, padre di re
Friðleifr, a cui succede un
Fróði inn frǿkni
(Ynglinga saga
[25-26]). Seppure a rigore costoro non abbiano
nulla a che vedere – nel racconto di Snorri – con la
Pax Danica, i loro titoli o nomi rimandano a
significati inerenti (inn friðsami è
«fecondo di pace»,
Friðleifr è «[colui che] vive
in pace»). Sembra ovvio che, nella rielaborazione fatta da
Snorri delle genealogie reali danesi, un medesimo
personaggio sia stato moltiplicato in più figure distinte.
Questo è ancor più vero nella cronaca di Saxo Grammaticus, dove i personaggi a nome
Frotho sono ben sei, ripartendosi tra loro gli
elementi che già avevamo trovato tra i vari
Freyr/Fróði
del testo di Snorri. In particolare, il secondo dei
re con questo nome, Frotho II vegetus
«vigoroso»
(Gesta Danorum [IV:
viii]), sembra assimilabile nell'epiteto al
Fróði inn frǿkni
di Snorri. Di
Frotho III, figlio di
Fridlevus I, si narra fosse
contemporaneo di Cristo e stabilì la pace nelle terre del
nord: alla sua morte, il suo corpo fu imbalsamato e fu
fatto credere al popolo che fosse ancora vivo al fine di
mantenere la pace (Gesta Danorum [V-VI]).
A questi, succedette un figlio, Fridlevus II, il cui
figlio è Frotho IV.
Confrontando le varie successioni nelle due fonti
snorriane e in Sassone, si notano non soltanto le incoerenze,
ma anche come la Pax Danica venga attribuita a
personaggi di nome
Fróði/Frotho
collocati via via in
punti diversi della genealogia.
SNORRI (1) |
|
SNORRI (2) |
|
SAXO GRAMMATICUS |
|
|
|
|
|
|
Freyr - re degli Svei
(Pax Danica)
↓
Fjǫlnir
|
Fríð-Fróði
(Pax Danica)
[...] |
|
Skjǫld
↓
Friðleifr
↓
Fróði
(Pax Danica) |
|
Dan
↓
Fridlevus I
↓
Frotho III
(Pax Danica)
↓
Fridlevus II
↓
Frotho IV
|
Danr
↓
Fróði
inn mikilláti o inn friðsami
↓
Hálfdanr
↓
Friðleifr
↓
Fróði inn frǿkni |
|
|
|
|
|
|
|
Ynglinga saga
[11 | 25-26] |
|
Skáldskaparmál |
|
Gesta Danorum [V-VI] |
d — L'espressione «in tutte le lingue danesi» [um alla
danska tungu] significa qui «in tutte le lingue dei popoli scandinavi»;
dansk tunga altri non è che l'antica denominazione della
lingua norrena.
e —
Del re svedese Fjǫlnir e
della sua amicizia con
Fróði, trattano varie fonti.
Secondo una leggenda, riferita da
Þjóðólfr ór Hvínir e ripresa
anche da Snorri, Fjǫlnir
morì proprio mentre si trovava nel Danmǫrk quale ospite di
Fróði: una notte, ubriaco
fradico, precipitò da un ballatoio al piano rialzato del
palazzo di Hleiðr, finì in una botte colma di idromele e
annegò. (Ynglingatal
[1] | Ynglinga saga
[11])
f —
Hengikjǫptr, «mascella» o »guancia cadente», uno dei
nomi di
Óðinn riportato anche nelle þulur. — Re del mare [sækonungr]: re il cui regno è
il mare, probabilmente un condottiero vichingo.
3 —
(b) «Fugasilenzio» [Þǫgnhorfinn]:
si tratta di una parola composta di dubbio significato che letteralmente
significa «silenzio scomparso», «abbandonato dal silenzio» o «privo di silenzio»
dal verbo hverfa «girare, andarsene, abbandonare», da cui il participio
passato horfinn «scomparso, abbandonato», e da þǫgn «silenzio».
Þǫgnhorfinn è generalmente accettata come kenning per il mulino col
valore di qualcosa di rumoroso, che cessa il silenzio per
effetto del suo movimento. Il dizionario di Cleasby e Vigfússon, alla voce Þǫgnhorfinn: «an epithet of a mill […] the passage is not quite clear, and an
alliteration seems to be wanting» (Cleasby ~ Vigfússon
1874). Si veda anche il Lexicon di Sveinbjörn
e Jónsson, alla voce Þǫgnhorfinn: «adj, forsvunden med hensyn til tavshed, hvis tavshed er borte, om den surrende kværn
(hvis ordet er rigtigt), þytr þǫgnhorfinnar» (Egilsson
~ Jónsson 1860).
5 —
(d)
«Gaio mulino»: kenning per il mulino di
Fróði, dispensatore
di pace e ricchezza. Si veda
Cleasby-Vigfusson, alla voce Feginn: «á fegins-lúðri, on
the mill of joy (poët.)» (Cleasby ~ Vigfússon
1874).
13
— (e)
«Orsi sfidammo»: espressione che non si
riferisce ai veri orsi, ma ai guerrieri vestiti di pelle d'orso [berserkir]. — (g-h)
«Le schiere di grigio bardate»: schiere vestite di grigio, ovvero
rivestite con armature di ferro.
14
— (c)
Gothormr:
personaggio leggendario, forse da identificare col
Guthormus citato da Saxo Grammaticus
(Gesta Danorum [I: v:
7]), reggente del Danmǫrk e padre del famoso re
Hadingus. Da non confondere
col personaggio omonimo della
Vǫlsungasaga (Faulkes
***).
16
— (g) «Chetaguerra» [dolgs sjǫtul]:
altra kenning per il mulino di Fróði.
20
— (b)
Hleiðr(a):
si tratta dell'attuale Lejre nella regione dello Sjælland, in Danimarca. Hleiðr
era l'antica sede del cosiddetto Regno di Lejre,
sviluppatosi durante l'età del ferro, che secondo le saghe e le leggende
era dominato dalla dinastia degli Skjǫldungar. È probabile che la Danimarca
medievale abbia avuto origine proprio da questo regno. Si pensa inoltre che
Hleiðr fosse la sede ove sorgeva anche
Heorot, il «Cervo», ovvero la sala di re Hroðgar nel
Bēowulf.
Effettivamente in questo luogo sono stati trovati molti resti archeologici di
antiche sale reali. Le leggende dei re di Hleiðr sono raccolte nel
Chronicon
Lethrense, raccolta composta nel XII secolo, che racconta degli antichi re
danesi di epoca pre-cristiana e delle loro avventure. Fra questi re figura anche
il famoso re Hrólfr Kraki.
22
— Ci si riferisce qui, con qualche variazione, a una truce
leggenda narrata nella Hrólfs saga Kraka. In questa
versione, Fróði uccise suo
fratello Hálfdanr e divenne re
al suo posto. Tempo dopo, tuttavia,
Fróði cadde a sua volta, ucciso dai figli di Hálfdanr,
Helgi e
Hróarr, i quali vendicarono così loro padre. In
seguito, Helgi, si spostò in
Sassonia e qui violentò la regina
Oluf, dalla quale era stato respinto e umiliato. In
seguito la regina diede alla luce una figlia, a cui, per
disprezzo, diede il nome della sua cagna:
Yrsa. Tempo dopo,
Helgi tornò alla corte di
Oluf e si innamorò di
Yrsa, non sapendo che si
trattasse di sua figlia. Piena di rancore per lo stupro
subito, la regina Oluf non
gli rivelò la parentela, così Helgi
sposò Yrsa e dall'incesto
nacque un figlio, il futuro sovrano Hrólfr
Kraki (il quale è perciò chiamato «figlio e
fratello» di Yrsa). Si noti
che nella versione della leggenda a cui accenna questa
strofa del Grottasǫngr,
l'assassino di Fróði
(identificato col re del mulino) sembra essere lo stesso
Hrólfr Kraki.
23
— (d) Furia mostruosa: jǫtunmóðr,
la furia del gigante.
Versi di
Einarr Skúlason — (c)
«Lasciò il re pace per oro»: nel senso che re Fróði si fece prendere dalla bramosìa
di ricchezze e trascurò di mantenere la pace. — (d)
«Giaciglio di Grafvitnir» [Grafvitnis beð]:
da intendersi come «giaciglio del serpente», tipica kenning per «oro». — (e-g)
«Le gote, a tal acero atte, |
dell'ascia mia recan del re | la farina»; una possibile parafrasi sarebbe: «le
gote [le lame] della mia ascia, adatte ad abbattere un tale acero [cioè lo stesso Fróði], mi permettono di prendere il bottino del
re». — (g-h) «Timon dello scaldo» [bragar stýri]: kenning per poesia.
Versi di Egill
Skallagrímsson — Come si narra nella saga a
lui dedicata, lo scaldo vichingo Egill Skallagrímsson (ca
900-992) compose il poemetto encomiastico-propiziatorio Hǫfuðlausn,
il «riscatto della testa», in una sola notte, per
scongiurare l'ira di re Eiríkr Blóðøx «asciadisangue»
contro di lui. Si tratta tra l'altro della prima
composizione islandese in rima. I versi citati da Snorri
appartengono a una strofa che così recita:
Brýtr bógvita
bjóðr hrammþvita,
muna hodd-dofa
hringbrjótr lofa;
mjǫk's hánum fǫl
haukstrandar mǫl;
glaðar flotna fjǫl
við Fróða mjǫl. |
Infrange della spalla il segno
ed offre della mano il pegno,
non dovrà sull'oblio del tesoro
l’armillifrago comporre un lodo;
molto è il suo nevischio di sassi
che alla riva del falco s'arresta;
eserciti d’uomini lui desta
con la farina di Fróði, in festa.
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Egils saga
Skallagrímssonar [2] > Hǫfuðlausn
[17] |
Fittissimo, il gioco delle kenningar:
(a)
“della spalla il segno”
è il bracciale, l'armilla; (b)
“della mano il pegno”
è l'oro; (c) “l'oblio
del tesoro” è ugualmente
l'oro; (d) “armillifrago”
è il sovrano, che spezza le armille per donarne i
frammenti agli uomini a lui fedeli e agli scaldi che lo
hanno immortalato nei loro versi; (e-f)
“nevischio di sassi che alla riva del falco
s'arresta” sono le armille (“nevischio
di sassi”) che stanno sul
braccio (“la riva del falco”);
(h) infine, “farina
di Fróði” è l'oro.
Parafrasi: «[Eiríkr blóðøx] spezza bracciali ed offre oro:
il sovrano non deve essere avaro di oro (non deve
indugiare sulle proprie ricchezze), poiché ha molti
bracciali (conquista molto oro) e può così rendere felici
i molti uomini al suo seguito».
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Bibliografia
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Foundation, New York 1923.
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In: «Saga-Book» XXIV/2-3. The Viking Society for Northern Research.
University College, Londra 1995.
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BIBLIOGRAFIA ► |
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Archivio:
Biblioteca - Guglielmo da Baskerville
Sezione: Fonti - Nabū-kudurri-uṣur
Area: Germanica - Brynhilldr |
Traduzione di Stefano Mazza.
Introduzione e note di Stefano Mazza
e Dario Giansanti. |
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Creazione pagina:
05.04.2008
Ultima modifica:
10.04.2016 |
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