1 - RE GYLFI INGANNATO
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Gefjun e Gylfi (✍
1875) |
Lorenz Frølich (1820-1908), illustrazione (particolare).
(Oehlenschläger
1875-1877) |
Disegno completo: [Gefjun
e Gylfi]✦ |
e
Gylfi governava la terra di Svíþjóð [la
Svezia]. Di lui si narra che diede a una mendicante, in ricompensa per averlo
intrattenuto, una terra nel suo regno quanta ne potessero arare quattro buoi in
un giorno e una notte.
Costei era una donna della stirpe degli
Æsir, e il suo nome era Gefjun.
Óðinn, che all'epoca regnava sul Danmǫrk,
l'aveva mandata nello Svíþjóð alla ricerca di nuovi territori. Non appena
Gylfi le fece la sua promessa,
Gefjun andò a nord, nello
Jǫtunheimr, e là generò da un gigante
quattro figli, li trasformò in buoi e li aggiogò all'aratro. Il vomere scavò con
tanta forza e così profondamente che sciolse un enorme tratto di terra, che i
buoi trascinarono a ovest, sul mare, collocandolo in uno stretto.
Gefjun diede a quella terra il nome di
Sjóland e lì si stabilì, dopo aver ingradito il Danmǫrk. E nel regno di re
Gylfi, dove la terra era stata rivoltata
dall'aratro, nello Svíþjóð, si formò il lago Lǫgrinn. Infatti ci sono tante baie
in Lǫgrinn quanti promontori in Sjóland.
Svíþjóð è la Svezia, Danmǫrk la Danimarca. Il Sjóland è
l'attuale isola danese di Sjælland (la Zelanda), dove sorge la stessa
København. Il Lǫgrinn corrisponde al lago Mälar, in Svezia. |
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Nel
Gylfaginning, non è chiara la ragione per cui
Gefjun strappa a
Gylfi parte del suo territorio. Ma secondo
l'interpretazione evemeristica che Snorri dà nell'Ynglingasaga
[5], Gefjun era stata mandata a
nord da Óðinn allo scopo di cercare delle
terre per allargare il proprio regno. In questo testo,
Óðinn è un re umano, per quanto dotato di
poteri soprannaturali, che regna sul Danmǫrk. Questa versione della vicenda sarà
narrata quando tratteremo dei mitici re di Svezia. |
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2 - RE GYLFI
NELL'ÁSGARÐR
e
Gylfi era saggio e conosceva molte magie.
Impressionato dalla potenza degli Æsir,
si chiese se tale potenza dipendesse dalla loro natura oppure se fosse stata
loro conferita dagli dèi che adoravano. Perciò intraprese un viaggio verso l'Ásgarðr, la sede degli dèi. Per non farsi
riconoscere si camuffò da vecchio.
Ma gli Æsir erano più saggi di
lui, poiché avevano il dono della preveggenza. Seppero del suo viaggio prima
ancora che egli arrivasse e prepararono sjónhverfingar per confonderlo.
Quando Gylfi entrò nella cittadella,
vide una costruzione tanto alta che a fatica se ne vedeva la cima. Il tetto era
ricoperto di scudi dorati posti a mo' di tegole, proprio come i poeti dicevano
che fosse fatta l'aula di Valhǫll.
Nel vano della porta stava un uomo che faceva un gioco di destrezza con dei
pugnali tenendone sette per aria contemporaneamente. Quello gli domandò come si
chiamasse e Gylfi rispose che il suo nome
era Gangleri e che, giunto da remote vie,
chiedeva asilo per la notte. Domandò anche a chi appartenesse quella dimora, e
l'uomo rispose che era del loro re e gli fece largo in modo che il viaggiatore
potesse entrare nella skáli.
Mentre varcava le porte, Gylfi ricordò
a sé stesso l'antico detto:
—
Tutte le porte prima di varcarle
devono esser spiate,
devono esser scrutate,
che dubbio è ogni volta dove i nemici
siedano nella sala
[che ti sta] davanti. |
Skáli. Salone principale del palazzo scandinavo, dove si svolgevano i
banchetti. Il padrone di casa, in questo caso il sovrano, prendeva posto
sull'alto seggio posto in fondo alla sala, chiamato ǫndvegi. |
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Sjónhverfingar: «visioni ingannevoli», incantesimi atti a confondere
i sensi dell'avversario. È l’inganno magico a cui fa riferimento il titolo del
primo libro di Snorri, il
Gylfaginning. In islandese moderno la
parola si è mantenuta inalterata col significato di «illusioni ottiche». |
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Gylfi (Gangleri) a colloquio con gli
Æsir |
Ólafur Brynjúlfsson,
Ms. NKS 1867 4°.
Det Kongelige Bibliotek, København (Danimarca). |
MUSEO: [Ólafur
Brynjúlfsson. Illustrazioni]► |
3 - RE GYLFI INTERROGA I TRE SAGGI
on
appena Gylfi fu nella skáli, la
porta si richiuse alle sue spalle. All'interno c'era una grande folla: chi giocava,
chi beveva, chi combatteva. Gylfi si
guardava intorno e molto di ciò che vedeva gli pareva incredibile.
In fondo alla skáli si stagliavano tre alti troni, l'uno sopra
l'altro, e su ciascuno sedeva un uomo. Allora domandò che nome avessero quei
capi e l'uomo che l'aveva condotto fin là gli disse che chi stava seduto sul
seggio più basso era il re e si chiamava
Hár «alto», quello vicino aveva nome
Jafnhár «altrettanto alto», e
quello assiso sul seggio più elevato era
Þriði «terzo».
Hár domandò al nuovo venuto se
avesse molti impegni. In caso contrario era libero come tutti gli altri di
mangiare e bere nella grande aula. Gylfi
desiderava sapere se là fosse presente qualche saggio, e
Hár gli rispose che non si sarebbe
allontanato da lì se prima non fosse stato reso più sapiente, e disse: — Fatti
pure avanti mentre domandi; sedere deve colui che parla. |
4 - RE GYLFI ESAUDITO
e Gylfi fece molte domande
sull'origine e sulla fine del mondo, sugli dèi e sulle loro storie, e i tre
misteriosi sovrani risposero a tutte le sue domande. Fu una storia lunga e
bellissima, in cui l'intera sapienza nordica venne illustrata ed esposta dai tre
saggi dell'Ásgarðr alle orecchie di re
Gylfi.
Alla fine della lunga narrazione,
Hár disse: — Ora, se vuoi sapere
ancora qualcosa, io non so come tu possa fare, in quanto non ho udito nessuno
dire di più sulla storia del mondo. Fai di tutto questo sapere l'uso che vuoi.
Subito dopo, Gylfi
sentì rombare un grande tuono, si guardò intorno e si accorse di trovarsi su un
piano di terra battuta. Intorno a lui non vide più né la skáli né il
grande palazzo in cui era entrato.
Allora si mise in viaggio e tornò a casa nel suo regno e
raccontò tutto quanto aveva visto e udito. E dopo di lui, queste storie furono
tramandate di padre in figlio. |
Fonti
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I -
GEFJUN E DIDO: INGANNATRICI A CONFRONTO
Il mito della nascita della Zelanda, l'attuale isola danese
di Sjælland [Sjóland], a opera dell'inganno ordito dalla dea
Gefjun, non è un'invenzione di Snorri,
che trae spunto da questi antichi versi della letteratura scaldica:
Gefjun dró frá Gylfa
glǫð diúprǫðul óðla,
svá at af rennirauknum
rauk, Danmarkar auka.
Báru ǫxn ok átta
ennitungl þars gengu
fyrir vineyiar víðri
valrauf, fiǫgur hǫfuð. |
Gefjun trasse da
Gylfi
lieta un sole profondo,
che per affanno di soma
crescesse la Danimarca.
In fronte avevano i buoi
otto lune quando fecero
di bell'isola ampio bottino:
quattro eran le teste. |
Bragi
Boddason: Ragnarsdrápa [79-86] |
|
Gefion Springvandet
(✍ 1908) |
Anders Bundgård (1894-1937)
Fontana monumentale, København (Danimarca) |
Questi versi, che Snorri cita sia in
Gylfaginning
[1] che in Ynglinga saga
[5], sono dello scaldo Bragi Boddasonr (XI sec.) e
appartengono alla Ragnarsdrápa. In esso
Bragi descrive le immagini di dèi ed eroi raffigurate su uno scudo a lui dato da
un certo Ragnarr Sigurðsson. Il testo, lambiccato e concettuoso come quasi tutta
la poesia scaldica, è di difficile interpretazione. La maggior parte delle
perplessità vertono sulla parola djúprǫðul, che è è stata variamente
intesa dai traduttori. Elias Wessén intende «sole degli abissi», da cui la resa
poetica «sole del mare» (Wessén 1964 | Isnardi 1975);
Anne Holtsmark traduce «profonda ruota», intendendo l'aratro che penetra nei
solchi della terra (Holtsmark 1970),
interpretazione seguita da Ludovica Koch nella sua traduzione del poema
(Koch 1984).
Questi autori trascurano di considerare che il sostantivo
rǫðull indica più propriamente l'aureola o la gloria regale, anche se viene
usato nei costrutti poetici col significato di «sole»
(Cleasby ~ Vigfússon 1874). Si tratta di un'idea-chiave del pensiero
indoeuropeo con la quale veniva intesa l'aura di maestà che ammantava i
legittimi sovrani; ne troviamo un perfetto parallelo in antico persiano, dove il
concetto era indicato col termine xvarǝnāh, a cui corrispondeva il
termine xvarǝ- «sole». Poiché djúpr vuol dire «profondo» (cfr.
inglese deep), ci si può interrogare su quale tipo di profondità faccia
riferimento il testo, se gli abissi marini da cui sorge il sole (come intendono
Wessén e la Isnardi) o la profondità della terra scavata dall'aratro (come
interpretano la Holtsmark e la Koch). Tuttavia djúprǫðul «gloria
profonda» o «sole profondo» è forse solo una kenning per «oro», a sua
volta riferita a ǫðla «dono, premio». Le
otto «lune in fronte» sono forse gli occhi dei quattro buoi, o più
verosimilmente le loro corna (cfr. l'immagine delle vacche dalle «corna lunate»
evocata da Omero).
Si ha motivo di credere che la vicenda di
Gefjun abbia addentellati che affondano
nella più remota antichità. Che la storia sia più antica dei personaggi che la
interpretano sembra attestato dalle contraddizioni che si accentrano su
Gefjun. Lo stesso Snorri, che aveva
mostrato Gefjun accoppiarsi con un
gigante, partorire quattro figli e trasformarli in buoi
(Gylfaginning
[1]), afferma poi, nel tracciare le caratteristiche degli dèi, che la dea
Gefjun sia vergine e protettrice delle
vergini
(Gylfaginning [35]). Alcuni interpreti
risolvono il dilemma distinguendo le due
Gefjun, ma in realtà non vi sono ragioni per presumere che si tratti di due
personaggi omonimi: molto più semplice ammettere la compresenza - come
spessissimo accade - di tradizioni contraddittorie.
L'inganno con cui Gefjun
porta via a Gylfi una parte considerevole
del suo territorio, ricorda l'analoga impresa compiuta dalla regina
Dido, narrata da Virgilius nell'Æneis.
Giunta con i suoi uomini sulle coste dell'Africa, Dido
chiese al potente Iarbas, re dei Getuli, un tratto
di terra per potervi costruire la sua sede. Il re, in segno di scherno, gliene
concesse tanta quanta ne poteva contenere una pelle di bue.
Dido allora tagliò la pelle in strisce sottilissime
che, congiunte insieme a formare un'unica linea continua, circondarono un zona
di territorio abbastanza ampia perché ella poté costruire la città di Byrsa
(nome che significa «pelle»), la futura Qartḥadašt/Carthago.
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II - HÁR, JAFNHÁR
E ÞRIÐI: TRINITÀ PAGANA O METAFORA CRISTIANA?
L'accorgimento che Snorri Sturluson usa per condurci, con la
sua Prose Edda,
nel mondo affascinante della mitologia norrena è quello di introdurre l'intera
storia degli dèi in una cornice: il viaggio del re svedese
Gylfi nell'Ásgarðr. Giunto, sotto il falso nome di
Gangleri, al mitico luogo che costituisce
il cuore della tradizione nordica, Gylfi
si trova di fronte a tre troni, sui quali siede una triade di misteriosi
personaggi, i quali gli metteranno a disposizione tutto il loro sapere, l'intera
sapienza nordica.
Ma rivediamo la scena con le parole di Snorri, al fine di
esaminarne gli strani dettagli:
Hann sá þriú hásæti ok hvert upp frá ǫðru, ok sátu
þrír menn sinn í hveriu. Þá spurði hann, hvert nafn hǫfðingia þeira væri. Sá
svarar er hann leiddi inn at sá er í inu neðsta hásæti sat, var konungr ok
heitir Hárr, en þar næst sá er heitir Iafnhárr, en sá ofast, er Þriði heitir.
|
[Gylfi] vide tre
troni, l'uno sopra l'altro, e su ciascuno sedeva un uomo. Allora domandò che
nome avessero quei signori. Colui che lo aveva condotto fin là gli rispose che
quello seduto sul trono più basso era il re e si chiamava
Hár, quello vicino
Jafnhár e quello più in alto
Þriði. |
Snorri
Sturluson:
Prose Edda > Gylfaginning
[2] |
I loro nomi sono dunque
Hár,
Jafnhár e
Þriði, cioè «alto», «altrettanto
alto» e «terzo». Siedono su tre troni rialzati in fondo alla sala, dettaglio che
li evidenzia quali signori del luogo in cui è giunto
Gylfi. Snorri aggiunge che i loro troni
sono posti a tre altezze diverse: Hár
siede in quello più basso, Jafnhár
in quello mediano e Þriði in
quello più elevato.
Già salta all'occhio la prima difficoltà. Dovrebbe infatti
avere il rango maggiore colui che siede più in alto. Invece, l'uomo che
introduce Gylfi nella sala, gli dice che
il re è quello seduto nel trono più in basso, cioè
Hár.
Ma rileggendo con attenzione il brano citato, ecco che la
posizione dei tre troni non appare più così ben definita. Snorri dice
inizialmente che Gylfi vide tre troni
«l'uno sopra l'altro» [hvært upp frá ǫðru], ma subito dopo, la sua guida,
nel presentare i tre personaggi dice che «chi stava seduto sul trono più basso
era il re e si chiamava Hár, quello
vicino Jafnhár e quello più in
alto Þriði». Pare di capire che
Jafnhár non sia collocato più in
alto di Hár, bensì gli stia seduto
«accanto» [næst]; d'altronde questo doveva già essere implicito nei nomi
dei due personaggi, in quanto, se Hár
significa «alto», Jafnhár è
«altrettanto alto». Secondo quanto detto, dunque, la disposizione dei tre troni
dovrebbe essere triangolare.
Abbiamo dunque due diverse disposizioni, una dove i troni
sono posti l'uno di sopra all'altro, la seconda in cui invece sono disposti a
triangolo e che ha buone probabilità di essere quella indicata da Snorri.
Ma Hár,
Jafnhár e
Þriði non sono soltanto i tre
sovrani dell'Ásgarðr, ma anche grandi
sapienti esperti in cose primordiali, capaci di rispondere alle più difficili
domande che Gylfi porrà loro sui misteri
della creazione, sulla natura degli dèi e sul futuro dell'universo. Non c'è
dubbio che i tre misteriosi interlocutori di
Gylfi siano essi stessi delle divinità. La difficoltà è che nessun'altra
fonte in nostro possesso ricorda questa triade divina.
Hár,
Jafnhár e
Þriði compaiono, almeno in forma
triadica, unicamente nel racconto di Gylfi.
Questa strana triade della Valhǫll
sembra essere stata appositamente inventata da Snorri come cornice al racconto
della sua Prose Edda.
Le triadi divine non sono sconosciute alla tradizione
nordica. Vi è innanzitutto quella formata da
Óðinn ~ Vili ~
Vé, che compare nel mito della creazione del
mondo. E vi è la triade formata da Óðinn
÷ Hǿnir
÷ Lóðurr, che interviene nella versione
della creazione degli uomini riferita da
Voluspá
[17-18] e che ritroviamo in un episodio dello
Skáldskaparmál [1] con sostituzione di
Lóðurr con
Loki. Entrambe le triadi hanno
Óðinn quale primo dei tre elementi.
Ma la triade Hár ~
Jafnhár ~
Þriði non può essere omologata
con nessuna delle due triadi suddette. Innanzitutto perché manca qualsiasi
elemento di connessione tra questa e quelle. E poi, per quanto la triade di
Snorri sia totalmente sconosciuta alla tradizione nordica, i tre nomi, presi
singolarmente, sono invece ben noti. E ora iniziano le sorprese.
Hár «alto» è un
epiteto di Óðinn (Voluspá
[21],
Hávamál [109 | 111 |
164]). Ma anche Jafnhár
«altrettanto alto» è un epiteto di Óðinn
(Grímnismál [49]). E
Þriði «terzo», parimenti, è altro epiteto di
Óðinn
(Grímnismál [46]). Dunque, la triade incontrata da
Gylfi nell'Ásgarðr è formata da tre personaggi, che
sono tutti e tre Óðinn!
Ma del resto, anche il nome con cui re
Gylfi si presenta in
Ásgarðr,
Gangleri «stanco del cammino», è
un altro epiteto di Óðinn
(Grímnismál
[26] |
Gylfaginning [20]). Cos'abbiamo
dunque? Un singolo Óðinn che pone domande
a un triplice Óðinn. Come va interpretata
questa strana scena? La divinità pagana che si abbevera alla sapienza di una
superiore «trinità»?
S'indovina nella scena la presenza di chiavi di lettura non
facili da definire. Perché Snorri abbia operato una scelta così particolare, non
lo sappiamo. Molti autori pensano che egli abbia voluto significare, seppur
metaforicamente e in un contesto pagano, un indizio che rivelasse la presenza
della Trinità cristiana. Ai tempi in cui Snorri scrisse la sua
Prose Edda,
l'Islanda era cristianizzata da circa due secoli e più di una volta Snorri si premura di
spiegare al lettore che, per quanto non fosse giusto dimenticare gli antichi
miti pagani, cari alla tradizione nazionale, nondimeno i cristiani non erano
tenuti a prestarvi fede. Snorri vedeva il mito pagano come elemento
irrinunciabile alla cultura del suo paese, ma subordinato alla fede cristiana.
Forse è questa la ragione per cui, nella cornice della
Prose Edda,
il pagano viene trasfigurato in metafora cristiana. La disposizione triangolare
dei troni, che abbiamo prima suggerito, potrebbe anche essere un indizio di
questa possibilità, il triplice Óðinn che
rimanda alla Trinità cristiana.
È comunque evidente che con Snorri usciamo dai territori del
mito per entrare in quelli della letteratura.
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Bibliografia
- ANDERSON 1879. The Young Edda, also called Snorre's
Edda, or the Prose-Edda, a cura di Rasmus Björn Anderson. Chicago
1879.
- BRANSTON 1955. Brian Branston, Gods of the North. Thames & Hudson,
London 1955.
→ ID., Gli dèi del nord. Mondadori,
Milano 1991.
- CLEASBY ~ VIGFÚSSON 1874. Richard Cleasby, Guðbrandur Vigfússon,
An
Icelandic-English Dictionary. Oxford, 1874.
- DOLFINI 1975. Snorri Sturluson, Edda, a
cura di Giorgio Dolfini. Adelphi, Milano 1975.
- GORDON 1927. Eric Valentine Gordon, An introduction
to old norse. Oxford
University Press, Oxford 1927, 1956.
- HOLTSMARK 1970. Anne Holtsmark, Norrøn mytologi. Tru og mytar i
vikingtida. Oslo 1970.
- ISNARDI 1975. Snorri Sturluson, Edda di Snorri, a cura di Gianna chiesa Isnardi. Rusconi, Milano 1975.
- ISNARDI 1977. Leggende e miti
vichinghi, a cura di Gianna Chiesa Isnardi. Rusconi, Milano 1977.
- ISNARDI 1991. Gianna Chiesa Isnardi, I miti nordici.
Longanesi, Milano 1991.
- KOCH 1984. Gli scaldi. Poesia cortese d'epoca vichinga,
a cura di Ludovica Koch. Einaudi, Torino 1984.
- OEHLENSCHLÄGER 1875-1877. Adam Oehlenschläger, Nordens Guder,
illustrazioni di Lorenz Frølich. København 1875-1877.
- RYDBERG 1886. Viktor Rydberg, Undersökningar i germanisk
mythologi. Adolf Bonnier, Stockholm 1886. → ID.,
Teutonic
Mythology. Gods and Goddesses of the Northland. Norrœna Society,
London 1889.
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af fornordiska myt- och hjältesånger om de götiska eller germaniska folkens
gamla gudatro, sagominnen och vandringar. P.A. Norstedt, Stockholm
1893.
- WESSÉN 1964. Ynglingasaga, a cura di
Elias Wessén.
Stockholm København Oslo 1964.
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BIBLIOGRAFIA ► |
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