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MITI ELLENICI
IL KÓSMOS DI KRÓNOS
IL TEMPO DEI TITÂNES
Il secondo kósmos, retto da Krónos, è caratterizzato dal dominio dei giganteschi Titânes, figli di Ouranós e G. Dalla loro figliolanza discende un'altra generazione divina: il sole, la luna, l'aurora dalle dita rosate, gli dèi fluviali e le ninfe del mare. È l'Età dell'Oro.

1 - IL TEMPO DEI TITÂNES

confitto Ouranós, Krónos impose la propria regalità sull'universo. Il secondo ordine cosmico fu dunque caratterizzato dal dominio dei Titânes: creature possenti e immortali, avevano colossale statura. La più alta quercia avrebbe appena toccato coi suoi rami il loro fianco, ed essi avrebbero potuto schiantarne il tronco con facilità.

Essi erano sei maschi: Ōkeanós dai gorghi profondi, Koîos, Kriós, Hyperíōn, Iapetós e Krónos dai torti pensieri, e sei femmine: Theía, Rhéa, Thémis, Mnēmosýnē, Phoíbē dall'aurea corona, e l'amabile Thētýs.

Di essi e dei loro discendenti è opportuno narrare, in quella che fu, secondo molti, la vera e propria Età dell'Oro di un mondo ancora giovane.

2 - LA STIRPE DI ŌKEANÓS E THĒTÝS

Ōkeanós e Thētýs
Giovanni Caselli (1939-). Illustrazione (Caselli 1996)

l più antico tra i Titânes era Ōkeanós dai gorghi profondi, il turbine che circonda il mondo con i suoi flutti. Unitosi alla sorella Thētýs, egli generò la stirpe dei fiumi, Potamoí: Neîlos e Alpheiós ed Ēridanós che mulina con i suoi vortici, Strymṓn e Maíandros e Ístros dalle belle correnti, Phâsis e Rhsos e Akhelıs dai gorghi d'argento, Néssos e Rhódios e Aliákmōn ed Heptáporos e Grḗnikos, Aísēpos divino e Simoûnta, Pēneiós ed Hérmos dalla bella corrente, Káikos e il grande Saŋgários, Ládōn e Parthénios, Eúēnos e Aldskos e il divino Skámandros che scorre accanto alle porte di Troía. Ma sono, si dice, tremila i fiumi che, traendo le loro acque da Ōkeanós, solcano la terra.

Ōkeanós e Thētýs concepirono anche la progenie delle Ōkeanínes, le ninfe che vivono nei cupi abissi. Peithṓ e Admḗtē, Iánthē ed Ēléktra, Dōrís e Prymnṓ e la divina Ouranía, Hippṓ e Klyménē, Rhódeia e Kalliróē, Zeuxṓ e Klytía, Iduîa e Pasithóē, Plēxaúra e Galaxaúra e l'amabile Diṓnē, Mēlóbosís e Thóē e la bella Polydṓra, Kerkēís dalla bella figura e Ploutṓ boopide, Persēís e Iáneira e Akástē e Xanthḗ, l'amabile Petraía, Menesthṓ ed Eurṓpē, Mḗtis ed Eurynómē e Telestṓ dal peplo di croco, Khrysēís e Asía e l'amabile Kalypsṓ, meta del desiderio dei cuori, Eudṓrē e Týkhē e Amphirṓ e Ōkyrróē e ancora Stýx, la più illustre di tutte. Costoro furono le Ōkeanínes dalle belle caviglie che, sparse in ogni dove, tengono in custodia la terra e gli abissi del mare. Anch'esse, come i fiumi, sono in numero di tremila, ed è arduo per un mortale enunciare il nome di tutte.

Dōrís, aveva preso per marito Nēreús, figlio di Póntos e G, ed a lui aveva generato tutte le ninfe del mare. Ēléktrē aveva invece sposato Thaûmas, anch'esso figlio di Póntos e G, e lo aveva reso padre di Îris, la dea dell'arcobaleno, e delle Hárpyiai.

Questi sono i fiumi: Neîlos «Nilo»; Alpheiós «Alfeo», in Arcadia ed Elide; Ēridanós «Eridano, Po»; Strymṓn «Strouma», in Tracia; Maíandros «Meandro», in Caria; Ístros «Istro, Danubio»; Phâsis «Fasi, Rioni», nella Colchide; Rhsos «Reso», in Bitinia; Akhelıós «Acheloo»; Rhódios «Rodio», nella Troade; Aliákmōn «Aliacmone», in Macedonia; Heptáporos «Eptaporo», nella Troade; Grḗnikos «Granico», in Misia; Aísēpos «Esepo», in Misia; Simoûnta «Simoenta», affluente dello Scamandro; Pēneiós «Peneo, Salambria», in Tessaglia; Hérmos «Ermo», fiume dell'Asia Minore; Saŋgários «Sangario», in Bitinia; Ládōn «Ladone», tributario dell'Alfeo; Parthénios «Partenio», in Paflagonia (ma anche in Siria); Eúēnos «Evenio», in Grecia; Skámandros «Scamandro», nella Troade.
Theía e Hyperíōn
Giovanni Caselli (1939-). Illustrazione (Caselli 1996)

3 - I FIGLI DI HYPERÍŌN E THEÍA

i unì Hyperíōn si unì alla sorella Theía e generò Hélios, il gran sole, e Selḗnē, la luna lucente, e la bella Ēṓs, l'aurora dalle dita rosate, che brilla per coloro che stanno sulla terra.

4 - I FIGLI DI KRIÓS
Kriós ed Eúrybia
Giovanni Caselli (1939-). Illustrazione (Caselli 1996)

i unì Kriós a Eúrybia, figlia di Póntos e G, e commisto in amore con lei generò Astraîos, Pállas e Pérsēs, che sovrasta su tutti per mente e per senno.

Astraîos fu lo sposo di Ēṓs, dea dell'aurora, che gli partorì la stirpe dei venti dal forte cuore, lo splendente Zéphiros, il vento d'occidente, e Boréas che soffia da settentrione con rapida corsa, e Nótos, che dal meridione porta la nebbia e la pioggia. Da quelle nozze nacquero anche Heōsphóros, la dea del mattino, e gli Ástra, le splendenti stelle che incoronano il cielo.

E Pállas si unì invece in matrimonio con l'oceanina Stýx e generò, nel palazzo di lui, Zlos, la rivalità, e Níkē, la vittoria dalle belle caviglie, e Krátos, il potere, e Bía, la forza. Costoro saranno sempre le guardie del corpo di Zeús.

Koîos, Phoíbē e Lētṓ
Giovanni Caselli (1939-). Illustrazione (Caselli 1996)

5 - LE FIGLIE DI KOÎOS E PHOÍBĒ

'amabile Phoíbē ascese il talamo di Koîos e generò la dolce Lētṓ dal peplo azzurro, soave al pari del miele per gli uomini e i numi immortali.

E generò Astería, signora delle stelle, che Pérsēs figlio di Kriós condusse nella sua grande casa, per farla sua sposa.

Pérsēs ed Astería ebbero un'unica figlia cui venne dato il nome di Hekátē, che continuò ad avere un ruolo di particolare importanza tra i numi anche dopo la fine del cosmo di Krónos; unica tra tutti gli immortali, ella aveva ricevuto doni e privilegi sulla terra, sul mare infecondo e nel cielo stellato.

I figli di Iapetós
Giovanni Caselli (1939-). Illustrazione (Caselli 1996)
6 - I FIGLI DI IAPETÓS

posò Iapetós una della Ōkeanínes, la fanciulla Klyménē (ma altri dicono fosse invece Asíē). Ella partorì Átlas dal valido senno, il quale poi resse il cielo sulle spalle; Menoítios coperto di gloria, che Zeús avrebbe colpito con un fulmine e gettato nel Tártaros durante la battaglia contro i Titânes; e infine l'accorto e scaltro Promētheús e il malaccorto Epimētheús, che fu suo malgrado causa di grandi sciagure.

Krónos divora i suoi figli
Giovanni Caselli (1939-). Illustrazione (Caselli 1996)
7 - KRÓNOS DIVORA I SUOI FIGLI

l nuovo signore dell'universo, Krónos dai torti pensieri, si unì in matrimonio con Rhéa, che diede alla luce bellissimi figli: Hestía, Dēmḗtēr, Hḗra, la dea dall'aureo calzare, Háidēs dal cuore spietato e Poseidn, l'Ennosígaios, «che scuote la terra» e profondo rimbomba.

Ma tutti i suoi figli, Krónos li divorava, come ciascuno dall'utero della madre arrivava ai suoi ginocchi. E ciò aveva escogitato, il gran Krónos, affinché nessuno dei suoi discendenti potesse usurpargli l'onore del regno. Egli aveva infatti saputo, da sua madre G e da Ouranós fulgente di stelle, che il suo destino era quello di soccombere al proprio figlio. Il nuovo tiranno del kósmos dunque vegliava e divorava incessantemente i propri figli, man mano che essi venivano alla luce, mentre Rhéa si struggeva di amarissima doglia.

Ma il destino delle Moîrai, potere arcano cui neppure gli dèi possono sottrarsi, aveva già decretato che quanto Krónos aveva fatto al padre un giorno egli stesso lo avrebbe subito a causa di un figlio.

8 - NASCITA DI ZEÚS

uando Rhéa stette per dare alla luce un nuovo figlio, ella rivolse una preghiera ai suoi diletti genitori, Ouranós e G, affinché trovassero il modo per nascondere il parto a Krónos possente. Costoro ascoltarono la figlia ed esaudirono i suoi voti, a lei rivelando quanto dal Fato era segnato avvenisse riguardo al sovrano e al figlio dal forte cuore.

Rhéa si recò a Lýktos, nel suolo pingue di Krḗtē, affinché potesse dare alla luce il suo ultimo pargolo, e là partorì il piccolo Zeús. E allora, prendendolo tra le sue braccia, G prodigiosa corse veloce nella nera notte e, raggiunto il monte Aigaíōs, coperto di folte foreste, nascose il bimbo in un antro scosceso, sotto i recessi della terra divina.

Allora Rhéa si recò dal marito e, in luogo del figlio appena nato, gli consegnò una grossa pietra, avvolta nelle fasce. Krónos la trangugiò senza avvedersi dell'inganno. Senza sapere che, in luogo del sasso, suo figlio era ancora indenne e invitto, e presto lo avrebbe cacciato dal trono e avrebbe preso il suo posto, regnando tra gli immortali.

G porta il piccolo Zeús a Krēt́ē
Giovanni Caselli (1939-). Illustrazione (Caselli 1996)
Fonti

1Hēsíodos: Theogonía [-]
2Hēsíodos: Theogonía [-]
Apollódōros: Bibliothḗkē [I: 2]
3Hēsíodos: Theogonía [-]
Apollódōros: Bibliothḗkē [I: 2]
4Hēsíodos: Theogonía [-]
Apollódōros: Bibliothḗkē [I: 2]
5Hēsíodos: Theogonía [-]
Apollódōros: Bibliothḗkē [I: 2]
6Hēsíodos: Theogonía [-]
Apollódōros: Bibliothḗkē [I: 2]
Cfr. Homrou hýmnoi > Eis Apóllōna [III: ]
Cfr. Apollṓnios Rhódios: Tá Argonautiká [II: -]
7Hēsíodos: Theogonía []
Apollódōros: Bibliothḗkē [I: 12]
8Hēsíodos: Theogonía [-]
Apollódōros: Bibliothḗkē [I: 1]
Kallímakhos: Hymnia [I] > Eis Día

I - I TITÂNES, QUELLA SPORCA DOZZINA

I Titânes rappresentano gli dèi primordiali, i signori della stirpe pre-olimpica. Hēsíodos così li enumera, in quello che sembra l'ordine effettivo di nascita:

...Autàr, épeita
Ouranı eunētheîsa ték' Ōkeanòn bathydínēn
Koîón te Kreîón th' Hyperíoná t' Iapetón te
Theían te Rheían te Thémin te Mnēmosýnēn te
Phoíbēn te khrysostéphanon Tēthýn t' erateinḗn,
toùs dè méth' hoplótatos géneto Krónos aŋkylomḗtēs,
deinótatos paídōn...
...Poi,
giacendo con Ouranós, [G] generò Ōkeanós dai gorghi profondi,
Koîos, Kriós, Hyperíōn, Iapetós,
Theía, Rhéa, Thémis e Mnēmosýnē,
Phoíbē dall'aurea corona e l'amabile Tēthýs;
dopo di loro, il fortissimo Krónos dai torti pensieri venne alla luce,
il più tremendo dei figli...
Hēsíodos: Theogonía [-]

Dodici erano i Titânes, sei maschi [titânes] e sei femmine [titanídes].

  • Ōkeanós
  • Koîos
  • Kriós
  • Hyperíōn
  • Iapetós
  • Theía
  • Rhéa
  • Thémis
  • Mnēmosýnē
  • Phoíbē
  • Tēthýs
  • Krónos

La successione dei nomi ha una sua logica. Escludiamo per un attimo Krónos. La lista elenca prima i maschi e poi le femmine; si apre infatti con Ōkeanós e si chiude con Tēthýs, la coppia primordiale a cui Homḗros attribuiva le origini di tutte le cose. In tal modo, la prima generazione dei figli del cielo e della terra, nel quale si riassumono le potenze primordiali del kósmos, si trova inclusa nella coppia ŌkeanósTēthýs. Il solo Krónos appare essere fuori posto, in coda alla lista. L'asimmetria è stridente. Ci si può chiedere se l'innaturale posizione di Krónos sia una trovata poetica di Hēsíodos, che ha voluto così evidenziare la statura del futuro dominatore dell'universo e diretto contendente di Zeús.

Apollódōros porta il numero dei Titânes a tredici, aggiungendo alla lista Diṓnē (Bibliothḗkē [I: 1]), che Hēsíodos assegnava alla generazione successiva. Nella teogonia orfica i Titânes sono detti essere in numero di quattordici, con l'aggiunta di Diṓnē e Phórkys. Così li enumera Próklos, citando il passo di una perduta teogonia rapsodica, nel suo commento al Tímaios di Plátōn.

Tíktei gàr hē G lathoûsa tòn Ouranón, hṓs phēsin ho theológos:Infatti, G genera di nascosto Ouranós, come afferma il teologo:
heptà mèn euideîs koúras helikṓpidas, hagnás,
heptà dè paîdas ánaktas egeínato lakhnḗentas;
thygatéras mèn [tíkte?] Thémin kaì eǘphrona Tēthỳn
Mnēmosýnēn te pathyplókamon Thían te mákairan,
ēdè Diṓnēn tíkten ariprepès eîdos ékhousan
Phoíbēn te Rheíēn te, Diòs genéteiran ánaktos;
Sette belle fanciulle dai morbidi occhi, pure,
sette figli possenti generò, villosi;
come figlie Thémis partorì e la seggia Tēthýs,
Mnēmosýnē ampio peplo e Theía felice,
e Diṓnē dal bell'aspetto generò,
e Phoíbē e Rhéa, madre del potente Zeús,
paîdas dè állous tosoútous:e altri figli tanto importanti:
Koîón te Krîón te mégan Phórkyn te krataiòn
kaì Krónon Ōkeanón th' Hyperíona t' Iapetón te.
Koîos e il grande Kriós e il forte Phórkys
e Krónos e Ōkeanós e Hyperíōn e Iapetós.
Próklos ho Diadókhos: Commentarius in Plátōn: Tímaios [40] = Orphicorum Phragmenta [K114/1]

Riguardo al numero dei Titânes, abbiamo dunque due tradizioni: la esiodea che li enumera in dodici e la orfica in quattordici. Ha senso stabilire se una delle due sia originaria rispetto all'altra? Secondo Robert Graves, i Titânes sarebbero stati inizialmente delle divinità calendariali, di provenienza medio-orientale, legate ai pianeti e ai giorni della settimana. Con l'introduzione del culto degli Olýmpikoi, da parte degli Elleni, essi sarebbero stati messi da parte e, una volta abolita la settimana di sette giorni, il loro numero sarebbe stato portato a dodici, probabilmente per farlo corrispondere ai segni dello zodiaco (Graves 1983). In realtà, sembra che le cose stessero nel modo diametralmente opposto: i dodici Titânes di Hēsíodos, peraltro corrispondenti ai dodici Olýmpikoi, vennero allargati a quattordici solo in epoca più tarda.

Bisogna registrare la peculiare lista titanica di Stéphanos Byzántios (Iapetós, Krónos, Adanos, Ostasos, Andes, Ólymbros), la quale attinge a una tradizione indipendente dalla Theogonía esiodea, di probabile origine orientale (Grimal 1979). Curiosa la lista tardo-romana di Hyginus (Briareus, Gyges, Steropes, Atlas, Hyperion, Polus, Saturnus, Ops, Moneta, Dione) (Fabulae [Praefatio: III]), che mescola, interpola e interpreta i nomi in maniera personalissima.

Considerati nel loro insieme, come gruppo di divinità, i Titânes rappresentano la prima generazione divina, i primi dèi che tendono alla sovranità sul kósmos. Sotto la guida di Krónos, che li rappresenta e li conduce, si pongono come avversari diretti della seconda generazione divina, quella degli Olýmpikoi, contro i quali ingaggeranno una lotta la cui posta è la sovranità del mondo e la spartizione delle prerogative e degli onori dovuti a ogni potenza divina, vale a dire l'ordinamento definitivo dell'universo. Essi mantengono aspetti primordiali, ma corrispondono a un universo già complesso e organizzato. Non tutti combatteranno Zeús: alcuni resteranno neutrali, mentre altri si schiereranno con lui per fornirgli l'appoggio di quelle conoscenze primordiali di cui egli non potrebbe fare a meno. (Vernant 1981¹)

La concezione che gli dèi che governano il mondo siano stati preceduti da una generazione più antica, sembra diffuse in molte mitologie, sia indoeuropee che medio-orientali. I Titânes ellenici hanno sicuramente più di un legame con i Karuileš Šiuneš, gli «dèi antichi» della tradizione anatolica. Su costoro sappiamo ben poco: i testi ḫittiti li dipingono come esseri antichi e sapienti, relegati nelle profondità della terra e poco presenti nelle vicissitudini mitiche. Una lista ḫurrita ci fornisce un elenco dei loro nomi:

  • Nara e Napsara
  • Minki e Munki
  • Tuḫusi e Ammizadu
  • Alalu
  • Kumarbis
  • Anu e Antum
  • Enlil e Ninlil

I Karuileš Šiuneš sono in numero di dodici e – con la sola eccezione di Alalu e Kumarbis – sono disposti a coppie di un maschio e una femmina. La relazione con il sistema titanico descritto da Hēsíodos è piuttosto stretta. Inoltre, come vedremo, il Kumarbis ḫurro-ḫittita sembra essere omologo a Krónos «dai torti pensieri». Il fatto che queste divinità ḫurrite venissero chiamate «antiche», appartenenti a un tempo ormai trascorso, e che nessuna di queste (a parte Kumarbis) svolgesse un ruolo apprezzabile nel mito, né fosse oggetto di sacrifici e preghiere, prova che abbiamo a che fare con dèi in pensione, decaduti, riprovati, rigettati nelle tenebre degli abissi.

A loro volta, i Karuileš Šiuneš appaiono essere una forma anatolica degli Anunnaki sumerici, gli dèi mesopotamici della generazione precedente agli Igigi, i quali, secondo alcuni testi, risiedevano nel profondo della terra. Le relazioni tra i vari gruppi attendono un'analisi più completa.

II - LA GENERAZIONE TITANICA NEL SISTEMA ESIODEO

Nel presentare i Titânes, così come nell'elencazione della loro complessa discendenza, Hēsíodos porta avanti di un ulteriore passo il discorso cosmogonico, completando i dettagli sempre più minuti dell'architettura cosmica, divina e umana, e spiegandoci come siano venuti a essere i princìpi divini di tutte le cose. I Titânes non sono più delle semplici potenze dell'essere, come i loro genitori Ouranós e G. La loro personalità divina, tuttavia, non è ancora svincolata dalle forze elementari del cosmo. Essi mantengono aspetti primordiali, ma corrispondono a un universo già più complesso e organizzato. Con la generazione titanica, il discorso cosmogonico è ormai entrato nella fase teogonica.

Ma soffermiamoci un istante sulla natura elementale dei Titânes. Se andiamo ad analizzare le singole figure, prese separatamente o a coppia, anche e soprattutto tenendo conto della fisionomia dei loro discendenti, notiamo una loro ripartizione nelle varie sfere cosmiche. Alcuni di essi hanno natura celeste, altri marina, altri ancora terrestre; alcuni sono legati ai meccanismi del potere, ai princìpi basilari che garantiscono la stabilità e la continuazione della società umana. Ma vediamoli nei dettagli.
 

Ōkeanídai. Il mare e le acque.

Appartiene all'elemento liquido la coppia formata da Ōkeanós e Tēthýs. Di essi abbiamo già parlato in relazione al sistema omerico, che li vuole quali origine di tutte le cose. In Hēsíodos, Ōkeanós è il maggiore dei suoi fratelli e Tēthýs, apparentemente, la più giovane, escluso Krónos. Mescolando le loro acque nella grande corrente che circonda il mondo, Ōkeanós e Tēthýs sono le sorgenti donde scaturiscono tutte le acque che scorrono sulla terra e il luogo ultimo ove esse tornano a defluire.

Oudè bathyrreítao méga sthénos Okeanoîo,
ex hoû per pántes potamoì kaì pâsa thálassa
kaì pâsai krēnai kaì phreíata makrà náousin...
Nemmeno la forza grande di Ōkeanós dai gorghi profondi,
da cui tutti i fiumi fluiscono, e tutte le acque del mare
tutte le fonti, e le cupe sorgenti traboccano...

Hómēros: Iliás [XXI: -]

Tra i loro figli vi sono infatti e innanzitutto i Potamoí, gli dèi fluviali. Hēsíodos ne menziona alcuni, ma avverte che la lista non è esauriente: sono circa tremila, infatti, i fiumi che scorrono sulla terra. E vi sono anche le Ōkeanínes, le ninfe marine, personificazioni degli abissi, dei ruscelli, delle sorgenti. Sono anch'esse in numero di tremila: Hēsíodos ne cita quarantuno, di cui la più importante è Stýx, personificazione del fiume infero. Ōkeanós e Tēthýs penetrano all'interno delle terre attraverso le acque dei mari e dei fiumi, portando una fecondità senza limiti, la pluralità che si sviluppa nella creazione, la complessità della vita. L'importanza degli dèi fluviali e acquei nella religione e nel mito greco non era certo da sottovalutare; le divinità dei fiumi, dei ruscelli, delle sorgenti avevano i loro culti particolari, legati ai territori che attraversavano. Non si guadava un corso d'acqua se prima non ci si inginocchiava a recitare una preghiera e non vi si lavava le mani nelle sue acque. Numerosi tra i Potamoí e le Ōkeanínes avevano le loro leggende specifiche, che evocavano le loro collere, i loro amori. Complessi rapporti genealogici li legavano agli dèi più importanti (molti erano detti figli di Zeús o di Poseidn, senza che questo annullasse il mito primario in base al quale erano tutti figli di Ōkeanós e Tēthýs), e spesso erano considerati genitori di divinità minori, eroi ancestrali o eponimi di vari popoli e località.
 

Hyperiōnídai e Koionídai. Il cielo.

Due coppie titaniche sono invece legate al cielo: Hyperíōn e Theía; Koîos e Phoíbē.

Hyperíōn, «[colui che] va in alto», e Theía, la «luminosa» o la «visibile», hanno natura astronomica. Sono loro a generare il sole, la luna e l'aurora (Hélios, Selḗnē ed Ēṓs), elementi indispensabili del mondo. Ēṓs, sposata ad Astraîos, è la madre dei venti periodici, che in Hēsíodos sono tre (Zéphiros, Boréas e Nótos), dell'astro del mattino (Heōsphóros) e di tutte le stelle del cielo (Ástra). Nel suo complesso, la stirpe degli Hyperiōnídai personifica le configurazioni astrali che fanno della volta celeste uno spazio differenziato e orientato.

Che Koîos e Phoíbē siano esseri celesti non è altrettanto evidente. Il nome di Koîos, pur mancando di un'etimologia sicura, è forse da connettere a un greco koîlos «cavo» (cfr. latino caelum), indicante la volta concava del cielo; il suo nome romano, Polus, sembra rimandare al polo celeste, punto di rotazione della volta stellata. Phoíbē è invece la «brillante», forse da intendersi in relazione alla luce del cielo o delle stelle.


Kreionídai e Iapetonídai. La terra.

I rimanenti titani sono esseri legati alla terra o, più esattamente, alle esigenze della società umana. Essi sono due maschi: Kriós e Iapetós; e due femmine: Thémis e Mnēmosýnē, ma non fanno coppia tra loro. I due titânes hanno infatti sposato delle creature marine; le due titanídes sono annoverate tra le spose di Zeús.

Il nome di Kriós evoca già la supremazia e la superiorità (cfr. greco kreíssōn, superlativo di kratús «forte, potente»). Dalla sua sposa Eúrybia, «ampia violenza», figlia di Póntos, ha il figlio Pállas. Questi, insieme con Stýx, genera quattro figli, entità astratte che, insieme, rappresentano i princìpi coercitivi necessari al mantenimento dell'autorità regale: Zlos, la rivalità, Níkē, la vittoria, Krátos, il potere, e Bía, la forza. Gli ultimi due, associati alla figura di Zeús, ne assicureranno la sovranità.

Iapetós è invece padre di una progenie di ribelli. Sposato all'oceanina Klyménē (o Asíē, secondo Apollódōros), egli è padre di Átlas, Menoítios, Promētheús ed Epimētheús. Tutti eccessivi nella loro ambizione, forza, sottigliezza o imprevidenza, i quattro Iapetonídai agiscono sempre ai margini di quell'ordine contro il quale si ribellano, come vedremo nei prossimi capitoli. Gli ultimi due, nei loro scontri con Zeús, saranno la causa delle disgrazie umane.

Anche Thémis, la «legge», e Mnēmosýnē, la «memoria», sono legate alla terra. La prima rappresenta ciò che è fisso e fissato: è una potenza oracolare e predice l'avvenire come fosse già stabilito. Esse è presente in tutte le assemblee divine ed umane, ed è consigliera di Zeús. La seconda conosce e canta il passato, riattualizzandolo, come se fosse sempre presente. Non è un caso che entrambe siano state spose di Zeús. La prima è madre delle dee del destino, le Moîrai, e delle stagioni, le Hṓrai, combinando insieme l'ineluttabilità del fato e l'ineluttabilità del tempo. La seconda è madre delle nove Moûsai, le ispiratrici delle arti. A Zeús esse portano una visione totale del tempo, una compresenza di passato, presente e futuro. Insieme, esse rappresentano i poteri legislativi e giudiziari – intesi tuttavia come princìpi cosmici – e, insieme, la memoria delle tradizioni che legittimano e garantiscono la sovranità di Zeús.


Kronídai
. La nuova generazione divina.

In quanto a Krónos e Réa, essi sono i genitori di Hestía, Dēmḗtēr, Hḗra, Hádēs, Poseidn e Zeús, i primi sei dèi della generazione olimpica. Ad essi, e alla loro potestà, sarà affidato il controllo delle sfere dell'essere già individuate dalla precedente generazione titanica: il cielo (Zeús ed Hḗra), la terra e il mare (Dēmḗtēr e Poseidn), gli inferi (Hádēs), nonché la continuazione del potere sovrano e regale dell'universo (Zeús). È arduo tentare collegamenti più precisi tra le due generazioni, titanica e olimpica. Si tratta di due modi di intendere la regalità cosmica, il trapasso da un dominio ancora brutale e primordiale – con totale e parziale identificazione del dio con il suo elemento – e un controllo assai più raffinato e cosciente.
 

III - LA COLPA DI KRÓNOS

Krónos è il sovrano della felice età titanica, e Rhéa è la sua sposa. Dalla loro unione nasce una nuova generazione di dèi.

Rheíē dè dmētheîsa Krónōı téke phaídima tékna,
Histíēn Dḗmētra kaì Hḗrēn khrysopédilon,
íphthimón t' Aídēn, hos hypò khthonì dṓmata naíei
nēleès tor ékhōn, kaì epíktypon Ennosígaion,
Zná te mētióenta, then patér' ēdè kaì andrn,
toû kaì hypò bronts pelemízetai eureîa khthṓn.
Rhéa, congiunta a Krónos, partorì illustri figli:
Hestía, Dēmḗtēr ed Hḗra  dagli aurei calzari,
il forte Hádēs che ha la dimora sotto terra,
spietato nel cuore, ennosigeo [Poseidn] che profondo rimbomba
e Zeús, saggia mente, padre degli uomini e degli dèi:
sotto il suo tuono trema l'ampia terra.
Hēsíodos: Theogonía [-]

I figli che dà alla luce, Rhéa li presenta a Krónos, affinché il padre li riconosca come suoi legittimi discendenti. Ma Krónos ha saputo che uno dei suoi figli lo spodesterà a sua volta, come già lui aveva spodestato suo padre Ouranós, e mette in atto un'orrenda risoluzione.

Kaì toùs mèn katépine mégas Krónos, hṓs tis hékastos
nēdúos ex hiers mētròs pròs goúnath' híkoito,
tà phronéōn, hína mḗ tis agaun Ouraniṓnōn
állos en athanátoisin ékhoi basilēída timḗn.
Peútheto gàr Gaíḗs te kaì Ouranoû asteróentos
hoúneká hoi péprōto heı hypò paidì damnai,
kaì kraterı per eónti, Diòs megálou dià boulás;
tı hó g' ár' ouk alaoskopiḕn ékhen, allà dokeúōn
paîdas heoùs katépine, Rhéēn d' ékhe pénthos álaston.
Ma il grande Krónos inghiottiva i suoi figli,
appena ciascuno dal ventre della sacra madre arrivava alle ginocchia;
ciò escogitava affinché nessuno della stirpe di Ouranós
avesse tra gli immortali l'onore del regno:
egli aveva saputo da G e da Ouranós stellato
che era per lui destino (per quanto forte egli fosse)
essere vinto da un figlio, per volere divino.
Per questo vegliava, sempre in sospetto, ed i figli
suoi divorava. E Rhéa si struggeva di crudele dolore.
Hēsíodos: Theogonía [-]

Rhéa consegna a Krónos una pietra avvolta nelle fasce
Bassorilievo in marmo su una metopa. ±350 a.C.
Musei Capitolini, Roma (Italia).

Il dio-cielo Ouranós, il quale già a suo tempo aveva impedito ai suoi figli di venire alla luce dal ventre di G, era stato privato con un colpo di falce della virilità e della regalità: che sia Krónos, ora, a perdere la propria legittimità a regnare! E così, le figlie e i figli che Rhéa, dopo aver partorito, deposita nelle braccia del padre, Krónos li divora. Al contrario di Ouranós, Krónos non respinge i suoi figli nel ventre della madre, negando a essi una nascita, ma dà loro diretta sepoltura nel proprio stomaco.

La situazione è capovolta. Mentre mentre con Ouranós il tempo era rimasto congelato nell'immutabilità primordiale, con Krónos sembra essersi addirittura capovolto. Il ventre maschile diviene l'antitesi dell'utero femminile. I figli che la madre dà alla luce, il padre li riconduce alle tenebre. ①

E così Hestía, Dēmḗtēr, Hḗra, Hádēs e Poseidn scompaiono appena nati nella vorace bocca del padre. Grande è il dolore di Rhéa nel vedere la propria discendenza annullata nel momento stesso in cui si è affacciata alla vita. Così, incinta per la sesta volta, Rhéa sa già che il nascituro è destinato a fare la medesima fine dei suoi fratelli. Ma intervengono Ouranós e G con i loro saggi consigli e, giunto per lei il momento del parto, Rhéa si reca nell'isola di Krḗtē, e là, nel buio della notte, partorisce l'ultimo dei suoi figli, Zeús. Affidato il pargolo a G, che lo nasconde in una grotta sul monte Aigaíōs, Rhéa si reca poi al cospetto di Krónos, consegnandogli al posto del neonato una pietra avvolta dalle fasce. Krónos strappa il fagotto dalle mani di Rhéa e la trangugia, credendo si tratti dell'ultimo dei suoi figli.

Nelle parole di Hēsíodos:

Tı dè sparganísasa mégan líthon eŋguálixen
Ouranídēı még' ánakti, then protérōn basili;
tòn tóth' helṑn kheíressin heḕn eskáttheto nēdún,
skhétlios, oud' enóēse metà phresín, hṓs hoi opíssō
antì líthou heòs huiòs aníkētos kaì akēdḕs
leípeth', hó min tákh' émelle Bíaı kaì khersì damássas
tims exeláan, ho d' en athanátoisin anáxein.
Al sommo figlio di Ouranós, che fu il primo sovrano degli dèi,
porse una gran pietra avvolta in fasce.
Egli la prese con le sue mani e la trangugiò nel suo ventre,
né gli passò per la mente (sciagurato!) che, al posto
di un sasso, suo figlio fosse rimasto indenne
e che questi lo avrebbe vinto con la forza,
privandolo del trono e regnando tra gli immortali.
Hēsíodos: Theogonía [-]

Come vedremo nel prossimo capitolo, Zeús rimarrà a lungo nascosto nell'isola di Krḗtē, finché, divenuto un giovane grande e vigoroso, si presenterà a suo padre Krónos e riuscirà a fargli a bere un phármakon che lo costringerà a vomitare dapprima la pietra, poi i cinque figli che aveva ingoiato. A questo punto, Zeús e i suoi rinati fratelli combatteranno una lunga guerra contro Krónos e gli altri Titânes. Sconfitto, Krónos viene privato della regalità e Zeús diverrà il nuovo sovrano dell'universo.

Hòn gónon hàps anéēke mégas Krónos aŋkylomḗtēs,
nikētheìs tékhnēısi Bíaphí te paidòs heoîo.
Prton d' exḗmēse líthon, pýmaton katapínōn,
tòn mèn Zeùs stḗrixe katà khthonòs euruodeíēs
Pythoî en ēgathéēı, guálois hýpo Parnēssoîo,
sm' émen exopísō, thaûma thnētoîsi brotoîsi...
...Il grande Krónos dai torti pensieri risputò la sua prole,
vinto dalle arti e dalla forza del figlio.
Per prima vomitò la pietra che per ultima aveva inghiottita;
e Zeús la fissò nella terra dalle ampie vie,
nella sacra Pythṓ, sotto le valli del Parnassós,
come simbolo sacro, meraviglia per i mortali...
Hēsíodos: Theogonía [-]

Stando alla testimonianza di Pausanías, la pietra vomitata da Krónos veniva conservata a Delphoí in piena età storica, dove era oggetto di un particolare culto (Helládos periḗgēsis [X: 24: ]).

I dettagli di questo sofferto passaggio di consegne da Krónos, sovrano della generazione titanica, a Zeús, sovrano della generazione olimpica, presentano una curiosa analogia con il mito anatolico – ma in realtà di origine ḫurrita – di Kumarbis, raccontato nel testo ḫittita Kumarbis (XIII sec. a.C.). Avevamo già trattato di questo testo in relazione al mito dell'evirazione di Ouranós da parte di Krónos. Nel racconto ḫurro-ḫittita, il dio-cielo Anus era stato spodestato da Kumarbis, il quale lo aveva anche castrato con un morso ben assestato. La prima tavoletta del poema anatolico si chiudeva con la grottesca immagine di Kumarbis che ingoiava i genitali di Anus, per sentirseli poi «fondere alle proprie viscere come il bronzo».

La seconda tavoletta, purtroppo assai mutila, non permette di seguire nei dettagli il seguito della vicenda. Assistiamo alle difficoltà di Kumarbis di mettere al mondo i figli di cui è stato ingravidato. Alcune divinità, tra cui Anus ed Ea, assistono al parto di Kumarbis, suggerendo ai nascituri come trovare la via per uscire fuori dal corpo del padre loro. Il primo figlio, che dovrebbe essere Aranzaḫ, dio del fiume Tigri, viene fuori dal cranio di Kumarbis spezzandolo come si spezza la roccia. Il secondo figlio, il dio del tuono Tarḫunta, esce, dice il testo, dal «posto giusto» (e ci chiediamo quale sia). Kumarbis si reca poi al monte Ganzura e qui dà alla luce il terzo figlio, che secondo quanto detto precedentemente dovrebbe trattarsi del dio Tašmišu, anche se il testo, non chiaro, sembra presentare un altro nome.

C'è un dettaglio interessante che si colloca subito dopo la nascita del primo figlio (Aranzaḫ?).

Quando egli [Kumarbis?] fu in grado di camminare, si presentò davanti a Ea; Kumarbis si piegò e cadde a terra. Kumarbis si riscosse e cercò (?) di nuovo suo figlio [...] e davanti a Ea prese a dire: «Dammi il bambino, voglio divorarlo!» [Qui il brano si fa di difficile interpretazione: si capisce però che Ea consegna a Kumarbis una pietra.] Kumarbis cominciò a mangiare ma la pietra gli urtò i denti nella bocca; quando gli urtò i denti nella bocca, [Kumarbis] cominciò a gridare...
Kumarbis

Kumarbis sputa la pietra. Allora Ea prende questa pietra e vi istituisce sopra un culto, fissando le offerte che gli uomini dovranno fare, ciascuno secondo le proprie possibilità. Le offerte degli uomini aiuteranno la nascita del secondo figlio di Kumarbis, il dio della tempesta Tarḫunta, che uscirà, abbiamo detto, dal «posto giusto».

A questo punto ci si dovrebbe aspettare che il dio della tempesta Tarḫunta, secondo il motivo della successione alla suprema regalità, spodesti a sua volta Kumarbis e s'impossessi del trono. Questo episodio, presupposto da altri miti, non si trova nel Kumarbis. Quello che rimane del testo mostra che il desiderio di potere del dio della tempesta viene fortemente ostacolato dagli altri dèi. Anus lo invita alla moderazione, Ea gli diventa nemico e assume egli stesso la regalità. Una lunga lacuna tra la terza e la quarta colonna impedisce di valutare correttamente la conclusione della vicenda. Si parla di alcuni figli che il carro di Tarḫunta avrebbe generato unendosi con la terra, unione favorita da Ea, ma non è chiaro se questi figli dovranno segnare la fine del contrasto tra le due divinità, oppure Ea, che ne ha favorito la nascita, abbia intenzione di utilizzarli contro lo stesso Tarḫunta.

Per quanto le lacune e le asperità del testo ḫurro-ḫittita impediscano di far chiarezza sui dettagli, la relazione con la Theogonía di Hēsíodos pare innegabile. Kumarbis e Krónos sono personaggi molto vicini: sovrani di una generazione titanica che strappano la regalità al dio-cielo, castrandolo, e vengono deposti dal proprio figlio. Ma vi sono varie differenze nei due racconti. Kumarbis si ritrova «incinto» contro la sua volontà, avendo ingoiato il membro e il seme di Anus, mentre Krónos ingoia volontariamente i suoi figli, prima di essere costretto a rivomitarli. Il testo anatolico presenta dunque una maggiore compattezza, in quanto più economico: la castrazione di Anus è diretta causa della generazione dei figli nel ventre di Kumarbis, laddove il mito ellenico separa nettamente i due eventi e introduce Rhéa come madre dei figli di Krónos. In entrambe le tradizioni, il membro del dio-cielo conserva le sue proprietà generative anche dopo essere stato mozzato, per quanto nel mito ellenico i figli «postumi» di Ouranós vengono generati all'esterno, sulla terra (Erinýes, Melíades, Gígantes) e sul mare (Aphrodítē).

IV - DAI TITÂNES MEDIO-ORIENTALI AI FIGLI DI NŌḤ: RELAZIONI TRA IAPETÓS E YĀP̱ẸṮ

Una rielaborazione particolarissima del mito dei Titânes si trova nel terzo libro degli Oracula Sibyllina, raccolta di testi giudaico-ellenistici, perlopiù a carattere apocalittico, composti tra il II e il I sec. a.C. Rielaborati e ampliati in ambiente cristiano, a scopo apologetico, ebbero varia fortuna presso i Padri della Chiesa dei primi secoli della nostra era.

Il terzo libro tratta, tra le varie cose, della torre di Babele. Dopo la confusione delle lingue, quando la Terra si riempì di lingue di ogni genere, regnarono i figli più nobili di Ouranós e G, chiamati Titán [sic], Krónos e Iapetós. Su consiglio del padre, essi si divisero il mondo in tre parti e, di comune accordo, presero ciascuno a regnare su un terzo della Terra.

Ora che la torre è crollata, e tutte le lingue degli uomini
sono vòlte verso ogni tipo di suoni, e tutta la terra
è riempita di gente e i regni sono stati divisi,
apparve la decima generazione dei mortali
dal tempo in cui il grande diluvio
incombette sui primi uomini. E Krónos regnava,
e Titán e Iapetós, e la gente li chiamava
la migliore discendenza di G e di Ouranós
dando loro i nomi e della terra e del cielo,
poiché erano primissimi tra gli uomini mortali.
Ci furono così tre divisioni della Terra
secondo l'assegnazione di ciascuno,
e ciascuno che ne ebbe una parte regnò
senza combattere; al padre giurando obbedienza
uguali divisero le loro porzioni...
Oracula Sibyllina [III: -]

Ma alla morte del padre, sorse una disputa tra i tre fratelli, su chi avesse diritto di imporre sugli altri la propria regalità, e Krónos e Titán si batterono tra loro. A quel punto, la madre loro G, insieme con Rhéa, Aphrodítē, Dēmḗtēr, Hēstía e Diṓnē, si interposero e li convinsero a sottoporre la questione al giudizio di tutti i loro parenti. Questi si riunirono e decisero che Krónos avrebbe regnato su tutti, in quanto era il maggiore e il più nobile d'aspetto. Titán accettò, a patto che Krónos si impegnasse a non allevare una stirpe di figli maschi, in modo da potergli succedere. Così, ogni qual volta Rhéa partoriva, i Titânes esaminavano il nascituro. Se era maschio veniva fatto a pezzi, mentre le femmine venivano ricondotte alla madre affinché le allevasse.

Al suo terzo parto, Rhéa diede alla luce due gemelli. La femmina, Hḗra, nata per prima, venne subito mostrata ai Titânes, i quali se ne andarono via soddisfatti. Ma quando diede alla luce il maschio, Rhéa lo consegnò ad alcuni cretesi, a lei fidati, che lo condussero in Frygía affinché fosse allevato in segreto. Gli fu messo nome Día [Zeús]. In seguito, allo stesso modo, Rhéa riuscì a salvare Poseidn, dopodiché mise al sicuro Háidēs. Ma quando i Titânes seppero che Krónos e Rhéa avevano allevato in segreto dei figli maschi, Titán riunì i suoi sessanta figli e imprigionò Krónos e la sua consorte, nascondendogli nelle profondità della terra. Saputo della cosa, i figli di Krónos tornarono dal loro esilio e si batterono con i Titânes e questa fu la prima guerra che vi fu tra i mortali. Allora, dice il sibillista, Dio mandò la sventura ai Titânes, e questi perirono tutti.

Il racconto degli Oracula Sibyllina appare essere una rielaborazione di fonti di diversa origine e provenienza. Si ritiene vi siano, alla base, delle tradizioni mesopotamiche, probabilmente trasmesse al mondo ellenistico dalla Babiloniaká, la perduta storia di babilonia del sacerdote caldeo Bḗrōssos (IV sec. a.C.). Sembra di capire che questa divisione del mondo in tre parti, tra i tre figli di un unico genitore, sia una versione ellenizzata del mito biblico di Šēm, Ḥām e Yāẹṯ (per quanto il racconto sia diffuso preso molte culture, ma tutto questo richiederebbe uno studio a parte).

La relazione tra la triade titanica degli Oracula Sibyllina, e la triade biblica dei figli di Nōḥ, presenta una relazione piuttosto stretta tra i nomi di Iapetós e Yāẹṯ. Gli studiosi sono sempre stati affascinati da questa somiglianza, e in effetti il nome del titán sembra essere una forma ellenizzata, con desinenza maschile -os, del nome del biblico progenitore dei popoli europei (Graves 1955 | Asimov 1981), tanto più che Iapetós è considerato progenitore, attraverso il figlio Promētheús, della stirpe umana. La possibile provenienza mediorientale del personaggio di Iapetós sarebbe forse testimoniata dal fatto che la sua sposa, secondo Apollódōros, non è Klyménē, ma un'altra oceanina, Asíē, eroina eponima dell'Asia (Bibliothḗkē [I: 2]).

V - HEKÁTĒ, ULTIMA SIGNORA DELLA STIRPE TITANICA

La figura di Hekátē è una delle più affascinanti e, allo stesso tempo, misteriose della mitologia ellenica. Secondo gli studiosi, si tratterebbe di una divinità pre-indoeuropea (forse originaria della Tracia, ma alcuni sostengono che provenga dall'Anatolia) che si sarebbe poi inserita nel complesso pantheon greco derivante dalla fusione tra i popoli autoctoni e quelli indoeuropei.

È stata anche suggerita una relazione con una divinità della mitologia egizia, Ḥeqet [ḥḳt]. [NOTA]

Non menzionata in Hómēros, Hekátē fa la sua prima apparizione «ufficiale» nella mitologia greca con Hēsíodos, che le dedica un vero e proprio inno all'interno del poema (Theogonía [-]). Dalla testimonianza di Hēsíodos (anche se certuni sostengono che l'«Inno ad Hekátē» sia una interpolazione successiva degli Orfici) apprendiamo che la dea apparteneva alla generazione delle divinità pre-olimpiche: il poeta della Beozia ci riferisce che essa faceva parte della stirpe dei Titânes, in quanto figlia di Pérsēs e Astería (secondo Kallímakhos, era figlia di Zeús e Dēmtēr, concezione condivisa, pare, anche dai poeti orfici; ma esistevano anche altre tradizioni. Cfr. Orphicorum Phragmenta [K41 | K42]).

Triplice Hekátē
Scultura di marmo. I sec. d.C.

Da Hēsíodos apprendiamo che i suoi timaí, le sue sfere di competenza e di potere, si estendevano sulla terra, nel mare e nel cielo (circostanza piuttosto rara tra le divinità della Theogonía) e che essa aveva mantenuto le sue prerogative anche quando Krónos era stato detronizzato dal figlio: ella aveva evidentemente preso le parti di Zeús durante la Titanomachia. da Apollódōros e altri mitografi apprendiamo anche che Hekátē aveva combattuto al fianco degli dei Olimpikoí durante la ribellione dei Gígantes: sappiamo che aveva ucciso con le sue fiaccole il terribile Klýtios (Bibliothḗkē [I: 6]).

Un ruolo, quello di Hekátē, piuttosto importante nel pantheon ellenico, che giustifica la particolare devozione che Hēsíodos volle tributare a questa divinità nella sua Theogonía.

Dalle fonti successive, apprendiamo altresì che ella era in grado di viaggiare liberamente tra il mondo degli uomini, quello degli dèi ed il regno dei morti; per questo motivo, Hekátē accompagnò la dea Dēmtēr durante la ricerca della figlia Persephónē, rapita dal signore dell'oltretomba Háıdēs (cfr. Homḗrou hýmnoi [2] > Eis Dēmḕtran).

Proprio per questa sua prerogativa di poter dominare sul cielo, sulla terra e sul mondo sotterraneo, ella veniva spesso invocata come «Trivia» [triodîtin]. Hekátē veniva anche associata in alcuni casi al ciclo lunare (insieme ad altre divinità come Ártemis e Selḗnē), a simboleggiare la luna calante. In seguito, si accentuò il carattere «lunare» di questa divinità e per questo ella divenne la signora della notte: lo stesso Hádēs, si diceva, pur essendo sposato con Persephónē preferiva la compagnia di Hekátē; tra le ombre, la dea esercitava il suo terribile e violento dominio, mandando dèmoni (Émpousa e le Lamiai) a tormento degli uomini e vagando fra le tombe e i crocevia.

Le Émpousai, figlie di Hekátē, terrorizzavano i viandanti, assumendo l'aspetto di cagne, di vacche o di belle fanciulle; in quest'ultima forma, esse giacevano con gli uomini la notte o durante la siesta pomeridiana e poi succhiavano le loro forze vitali portandoli alla morte; si poteva scacciarle prorompendo in insulti, poiché udendoli esse fuggivano con alte strida. Come dea notturna dei fantasmi, Hekátē presiedeva alle arti occulte ed era maestra delle maghe negli incantesimi, negli scongiuri e nelle evocazioni dei morti. La troviamo invocata dalle maghe Mḗdeia e Kírkē, nel corso dei loro più tremendi incantesimi (Cfr. Tá Argonautiká [III: -]; Metamorphoseon [VII: - | XIV: -]).

In età ellenistica, Hekátē aveva ormai consolidato la sua connotazione di dea della stregoneria e il suo ruolo di regina degli spettri; in queste vesti fu poi trasmessa alla cultura post-rinascimentale.

Hekátē fu venerata particolarmente in Samotracia, a Lemno, nell'Asia Minore, nella Tessaglia e nella Beozia; le furono dedicati templi a Egina, ad Argo, a Samotracia e in moltissime città dell'Asia Minore. Gli Ateniesi le eressero una statua sull'Acropoli. Alla fine d'ogni mese le sue immagini erano adornate di fiori e di offerte di cibi vari; le si offrivano sacrifici di agnelle nere e doni di latte e miele. I Romani accolsero questa divinità greca, anche se ebbe minore importanza che in Grecia.

Maggiore diffusione Hekátē acquistò negli ultimi secoli del paganesimo, insieme col rifiorire delle arti magiche nell'età imperiale.

Schedario: [Hekátē]

Risalente all'Egitto pre-dinastico, Ḥeqet era raffigurata con la testa di rana ed era una delle levatrici che assistono ogni giorno alla nascita del Sole. Secondo alcuni studiosi, la dea egizia era legata ai riti connessi al ciclo di morte e rinascita. In numerosi siti archeologici (in Grecia, a Roma e nell'Egitto ellenizzato) sono state ritrovate lampade di terracotta dipinte con il sigillo della rana, e portanti l'iscrizione: «Io sono la resurrezione». Amuleti a forma di rana venivano spesso posti sui cadaveri per trasferire ad essi il potere della rinascita. Più tardi, le tombe dei cristiani copti recarono l'incisione di una rana accanto a quella della croce. Si noti che, secondo l'archeologa Marija Gimbutas, i manufatti che indicano una devozione alla dea rana risalgono a circa diecimila anni fa: probabilmente, questa figura mitica incarnava i poteri della dea della morte e della rigenerazione.
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BIBLIOGRAFIA
Intersezione: Aree - Holger Danske
Sezione: Miti - Asteríōn
Area: Ellenica - Odysseús
Testi di Daniele Bello.
Ricerche di Daniele Bello e Dario Giansanti.
Creazione pagina:22.05.2011
Ultima modifica: 28.10.2015
 
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