LJÓÐA
EDDA |
SVIPDAGSMÁL |
IL DISCORSO DI
SVIPDAGR |
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Titolo |
Svipdagsmál, «Discorso di Svipdagr» |
Titolo |
Grógaldr, «Incantesimo di Gróa» |
Titolo |
Fjǫsvinnsmál, «Discorso di Fjǫlsviðr» |
Genere |
Poema gnomico |
Voci |
Dialogo (2 voci + 3 voci) |
Lingua |
Norreno |
Epoca
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Composizione:
Redazione: |
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XIII-XIV secolo
XVII secolo |
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LJÓÐA
EDDA |
SVIPDAGSMÁL |
IL DISCORSO DI
SVIPDAGR |
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Un poema composito
Ultimo titolo in un'ideale antologia della
poesia eddica, lo
Svipdagsmál o «discorso di Svipdagr» è il più
tardo e, in un certo senso, il più
problematico dei poemi mitologici islandesi.
Esso non è compreso nella raccolta del Codex Regius,
ma a causa della sua relativa modernità e
dei vari problemi testuali che presenta, è
difficilmente inquadrabile persino nel corpus
dell'«Eddica
Minora», e molti editori tendono a escluderlo. Inoltre, lo
Svipdagsmál non è
nemmeno un poema unitario, essendo sorto
dall'artificiosa giustapposizione,
effettuata da Sophus Bugge, di due
tardi poemi di argomento mitologico, il Gró[u]galdr,
l'«incantesimo di Gróa», e il Fjǫsvinnsmál,
il «discorso di Fjǫlsviðr».
I due poemi sono presenti in un certo numero
di manoscritti islandesi del XVII secolo, in
alcuni dei quali si trovano disposti in
senso inverso rispetto alle edizioni moderne, e tra i due è a volte
interposto un terzo poema, l'Hyndluljóð.
La loro data di composizione viene fatta
risalire tra il XIII e il
XIV secolo, un'epoca decisamente posteriore a
quella di ogni altro poema eddico.
A puntare per primo l'attenzione su questo
testo, fu il folklorista Svend Grundtvig, celeberrimo
curatore delle Danmarks gamle Folkeviser, le
«Antiche ballate popolari di Danimarca» (Grundtvig 1857).
Studiando una ballata popolare intitolata
Ungen Sveidal «Il giovane Sveidal»
(o Herr Svedendal, o Hertig Silfverda) (DgF 70), Grundtvig
mise in correlazione la prima parte della
visa con un tardo poema islandese,
il Grógaldr. In seguito,
lo stesso Bugge notò come il finale
della ballata corrispondesse a
un secondo poema, il
Fjǫlsvinnsmál, e
ipotizzò che la ballata dano-svedese avesse conservato la vicenda unitaria che
in Islanda era stata tramandata in due composizioni separate
(Bugge 1860). Nonostante Grundtvig
avesse già proposto
un titolo per un poema complessivo:
Svipdagsfǫr, «viaggio di Svipdagr», quando esso fu pubblicato da Bugge,
nella sua storica edizione della
Ljóða Edda (1867), venne
intitolato Svipdagsmál, «discorso di
Svipdagr».
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Il
Grógaldr
|
Svipdagr al tumulo di Gróa
(✍ 1911) |
John Bauer (1882-1918).
Illustrazione (Rydberg
→
Hiersche 1911) |
Il primo dei due poemi che compongono lo
Svipdagsmál,
il Grógaldr, o «incantesimo di Gróa», consta
di sole sedici strofe, e può essere diviso
in due parti. Nella prima, redatta in forma
di dialogo, il
giovane Svipdagr evoca dal tumulo
la sua defunta
madre Gróa,
affinché lo aiuti ad assolvere un compito
che gli è stato importo dalla malvagia
matrigna: quello di recarsi presso una
donna, Menglǫð
[1-5]. La
seconda parte del carme è invece un
monologo: Gróa
– che è probabilmente la stessa vǫlva che, nello
Skáldskaparmál viene consultata
affinché tolga la scheggia conficcata nella
fronte di
Þórr – canta al figlio una serie di
incantesimi [galdrar] che potranno
essergli utili nel corso della sua impresa
[6-16]. Se il motivo
dell'evocazione di una vǫlva
dal tumulo è un motivo appartenente alla più antica poesia eddica, dalla
Vǫluspá
al Baldrs
Draumar,
gli incantesimi mostrano una stretta
affinità con quelli recitati da
Óðinn
nell'Hávamál
e, in almeno un paio di casi
[10 | 11], presentano delle strette somiglianze
formali. |
Il
Fjǫsvinnsmál
|
Svipdagr e Freyja [Menglǫð]
(✍ 1911) |
John Bauer (1882-1918).
Illustrazione (Rydberg
→
Hiersche 1911) |
Il secondo poema confluito nel
Svipdagsmál, il Fjǫsvinnsmál,
o «discorso di Fjǫlsviðr»,
è assai più lungo e elaborato
del primo (50 strofe). Uno sconosciuto giunge a una
fortezza circondata dal fuoco e,
presentandosi sotto il nome di
Vindkaldr,
chiede al guardiano del luogo,
Fjǫlsviðr, chi sia a governare quelle
terre. Saputo il nome della signora della
fortezza, Menglǫð,
il nuovo venuto rivolge a
Fjǫlsviðr una lunga serie di domande.
S'informa dapprima sul bastione che protegge
la fortezza: vuole sapere chi abbia
edificato le possenti mura e il terribile
cancello
[9-12]. Chiede quindi informazioni
sul misterioso
albero Mímameiðr che si trova dentro i
recinti: vuole sapere quali siano le sue
virtù, come si chiami il gallo che vive tra
le due fronde e i cani che lo vigilano
[19-24]. Saputo
tutto ciò, Vindkaldr comincia a porre delle
attente domande su come penetrare nella
fortezza, superare i guardiani ed
eluderne i pericoli. La cosa si
rivela però impossibile: per acquietare i cani
bisogna dar loro – se la delicata traduzione
è corretta – le ali arrostite del gallo
Viðófnir [13-18].
Unico modo per uccidere il gallo, rivela
Fjǫlsviðr, è utilizzare una magica verga
chiamata Lævateinn, la quale è custodita
dalla gigantessa Sinmara. Ma per indurre
Sinmara a consegnare
la verga, bisogna darle in
cambio la falce che è in possesso del gallo
stesso [25-30].
Si configura dunque un circolo vizioso
irrisolvibile. È evidente che non è possibile per nessuno superare il bastione,
tranne per l'eroe destinato all'impresa.
Di fronte all'erudita ironia di
Fjǫlsviðr, Vindkaldr sembra desistere
dai suoi progetti e chiede notizie sulla
dimora che si leva al centro della fortezza,
su Menglǫð che
la governa e sulle fanciulle che sono accanto
a lei [31-40]. Dopo una serie di domande, chiede
chi sia l'uomo destinato a giacere tra le braccia della donna.
Fjǫlsviðr rivela che solo una persona è
degna dell'amore di Menglǫð e si tratta
di Svipdagr
[41-42].
A questo punto il nuovo venuto si rivela: è
lui Svipdagr!
Fjǫlsviðr corre all'interno della
fortezza è avvisa Menglǫð che l'uomo che
attendeva è arrivato alla fortezza. La donna
rifiuta inizialmente di credergli.
Sospettosa esce e
interroga lei stessa il nuovo venuto.
Riconosciutolo, accoglie
Svipdagr con trepidazione
e i due innamorati finalmente si congiungono
[43-50].
Per quanto il
Fjǫlsvinnsmál risenta senza alcun
dubbio delle convenzioni della poesia sapienziale norrena, basata su
uno scambio di domande e risposte erudite
(si veda il
Vafþrúðnismál),
la trama ha un modello assai diverso, quello
della ricerca della sposa. Come Viktor
Rydberg ha mostrato nella sua analisi, il poema presenta più
di un parallelismo con il
Skírnismál.
In entrambi i casi c'è una fanciulla
difficile da
raggiungere (Gerðr;
Menglǫð), e un
giovane che intraprende il viaggio (Skírnir
è pronubo per
Freyr;
Svipdagr parte
per un non meglio precisato ordine
impartitogli
dalla matrigna). Per affrontare le
difficoltà del viaggio sono necessarie delle
particolari precauzioni (Skírnir porta con
sé la spada di
Freyr,
Svipdagr si
premunisce con gli incantesimi della madre
Gróa). La
roccaforte della fanciulla è sorvegliata in
entrambi i casi da un solerte guardiano
(quella di
Gerðr
da un pastore; quella di Menglǫð ha
Fjǫlsviðr). Entrambe sono infine difese da cani feroci e circondate da
fiamme che solo l'eroe predestinato è in grado di superare. (Rydberg
1886-1889 | Branston 1955)
|
Analisi
critica
Per quanto venga solitamente associato al genere di composizioni presenti nella
Ljóða Edda, il poema se ne distacca per molte
ragioni. Nel suo stile composito, infatti,
lo Svipdagsmál dà la viva impressione
che il suo autore si eserciti a imitare i
vari generi della poesia eddica, senza
però dominarne lo spirito. Inoltre, i temi
mitologici affrontati nel
Fjǫlsvinnsmál hanno
solo minimi riscontri con le notizie fornite
nelle due Edda, tali
da far pensare che l'autore non ne avesse
una conoscenza approfondita. Ad esempio, di
Svafrþorinn,
nonno di Menglǫð, o di
Sinmara,
supposta moglie di
Surtr, non si sa
nulla, e i loro nomi non sono citati
in altre fonti. Anche il gallo
Viðófnir fa qui la
sua unica apparizione, ma i suoi tratti
ricordano quelli di Gullinkambi,
il gallo destinato a chiamare a raccolta gli dèi
nell'ultima battaglia. Anche
l'albero
Mímameiðr
sembra una tarda rielaborazione dell'Yggdrasill,
anche se qui si indugia non tanto sul suo carattere cosmologico, ma soprattutto
sulle proprietà curative dei suoi frutti.
Un'analisi formale che tenga conto del
lessico, dei temi mitologici, dello stile e
della ricchezza di kenningar, pongono lo
Svipdagsmál piuttosto lontano dal resto
delle composizioni della
Ljóða Edda. Viene così giustificata la tarda epoca di composizione
che viene assegnata ai due poemi, e cioè tra il XIII e il XIV secolo.
Nel corso del tempo, lo
Svipdagsmál è stato
soggetto a una quantità di interpretazioni,
per quanto non si sia ancora arrivati a una
sostanziale unità di vedute. Il primo
interrogativo riguarda i personaggi stessi.
Nomi come Svipdagr
«giorno veloce» e Menglǫð
«lieta della collana» sembrano essere degli
epiteti, e gli studiosi si sono a lungo
tormentati nel tentativo di identificarli
con l'una o l'altra divinità della mitologia
scandinava. L'unico personaggio del poema
abbastanza trasparente è
Fjǫlsviðr
«assai sapiente», che è
evidentemente
Óðinn (l'epiteto è citato tra gli
heiti del dio in
Grímnismál
[47]). Come
Óðinn plasmò la terra a partire dal corpo
smembrato di
Ymir,
così
Fjǫlsviðr si vanta di aver innalzato il
bastione di Menglǫð
con le membra del gigante Leirbrimir.
I due cani di
Fjǫlsviðr, inoltre,
Gífr e
Geri, ricordano
da vicino i due lupi di
Óðinn,
Freki e
Geri.
(Rydberg 1889).
In quanto agli altri personaggi, già
Jacob Grimm proponeva di identificare Menglǫð
(«lieta della collana») con
Freyja,
a cui appartiene la collana Brísingamen
(Grimm 1835).
Lo stesso Viktor Rydberg proponeva
assimilare Svipdagr
a Óðr,
sposo di
Freyja (Rydberg
1889), ma le indicazioni che egli
porta a sostegno sono piuttosto fragili. Ma
poiché
Frigg e
Freyja
sono figure corradicali (così come
Óðinn e
Óðr), non stupisce di trovare in Menglǫð
dei tratti della regina degli
Æsir.
L'immagine di
Frigg
attorniata dalle sue serve è molto vicina a
quella di Menglǫð
circondata dalle sue soccorrevoli ancelle.
Molti dettagli funzionali, nella descrizione
della fortezza di Menglǫð,
sembrano riferirsi a pratiche medicinali. Vi
è l'albero
Mímameiðr i cui
frutti favoriscono il travaglio delle donne
e le cui foglie sono la materia prima per un
«antico rimedio» non ben identificato; il Lyfjaberg,
o «monte della guarigione», su cui siede Menglǫð,
ha la proprietà di guarire i feriti e i
malati che vi salgono; infine le ancelle di Menglǫð
hanno tutti nomi legati ad attività
salutifere, e tra esse vi è anche
Eir, dea
della medicina, che Snorri assegna al
seguito di
Frigg.
Nel corso degli anni sono state avanzate
molte possibili interpretazioni del poema,
spesso in aperta contraddizione tra loro.
Hjalmar Falk ed Einar Ólafur Sveinsson,
seppure in tempi piuttosto diversi, hanno
voluto vedervi un'origine celtica: un
racconto ispirato alle quêtes
medievali del Sangrail
(Falk 1893) o
alle vicende del semimitico re irlandese
Art mac Cuinn
(Sveinsson 1975).
Otto Höfler vi ha voluto vedere un mito
naturalistico sul sole che risveglia la
terra in primavera (Höfler
1952). Non sono mancate letture
psicologiche o antropologiche. Brian
Branston, che basa la sua interpretazione
della natura del mito sulla teoria degli
archetipi di Gustav Jung, afferma che tanto lo
Skírnismál
quanto lo Svipdagsmál
rappresenterebbero il rito di passaggio di
un giovane all'età adulta e la sua prima
esperienza sessuale (Branston
1955).
Conclusiva, a nostro parere, la lettura
di Jan De Vries, che ha escluso un'origine mitica della vicenda e ha voluto
vedere nello
Svipdagsmál
l'opera letteraria di un anonimo poeta islandese, il quale si è esercitato a
raccontare una fiaba sul modello della Bella Addormentata utilizzando motivi,
immagini e stilemi della poesia eddica.
(De Vries 1941) |
Genere e
metrica
Preso nel suo
complesso, lo Svipdagsmál non sembra
appartenere a un genere preciso. È un poema mitologico, condotto nello stile di
una ballata, non diversamente dallo
Skírnismál;
la vicenda passa tuttavia in secondo piano
di fronte alle lunghe tirate di carattere
gnomico-sapienziale. L'una e l'altra composizione che compongono il poema, sono
infatti di carattere dialogico. Nel
Grógaldr vi sono solo due
voci: Svipdagr
e Gróa, ma a
quest'ultima viene assegnato un lungo
monologo di carattere magico, che compone i
due terzi del testo complessivo (undici strofe su
sedici). Il
Fjǫlsvinnsmál è
introdotto da un solo helmingr di
carattere narrativo; il resto è un fittissimo dialogo tra due voci,
Svipdagr e
Fjǫlsviðr, le cui domande e risposte
affrontano temi di sapienza mitologica; solo
in chiusura interviene una terza voce, quella
di Menglǫð, a cui è affidata la bellissima
dichiarazione d'amore finale.
Il metro di entrambe le composizioni che
costituiscono lo Svipdagsmál
è il ljóðaháttr o «metro strofico»,
che nella sua forma canonica è formato da
quattro versi, in cui due «lunghi»,
costituiti da due semiversi, si alternano a
due versi «pieni», formati di un solo
semiverso. La versificazione del testo è molto regolare e non presenta varianti
metriche.
Nella nostra pagina pagina, per ragioni grafiche, i due semiversi che compongono
i «versi lunghi» sono stati spezzati e disposti su due righe. Così le strofe
risultano organizzate su un numero di righe diverso da quelle originali. Ecco,
per confronto, la versificazione di
Grógaldr [1]:
Vaki þú, Gróa,
vaki þú, góð kona,
vek ek þik dauðra dura,
ef þú þat mant,
at þú þinn mǫg bæðir
til kumbldysjar koma. |
Le due composizioni,
il
Grógaldr e il
Fjǫlsvinnsmál, sono state tenute ben
distinte nella nostra edizione, e ciascuna
ha una numerazione indipendente dall'altra.
Questo potrebbe provocare una variazione
nell'indicazione del numero del verso con
altre edizioni dello
Svipdagsmál. La sezione
Fjǫlsvinnsmál [19-24] è stata
anticipata dopo la strofa
[12], ma la numerazione non è stata toccata. |
Edizioni
italiane
Escludendo le strofe scorporate presenti nelle antologie, l'unica traduzione
integrale dello
Svipdagsmál è quella di Alberto Mastrelli, nel libro L'Edda. Carmi norreni,
nella collana «Classici della religione», edita da Sansoni (Firenze 1951, 1982).
Intitolata Svipdagsmal. Il carme di Svipdag (e quindi, Il canto magico
di Groa e il Carme di Fiolsvidh), è in versi liberi, con
le coppie di
semiversi «cucite» in versi interi. Abbastanza libera, ma rigorosa, fittamente
annotata.
Svegliati, Groa! Svegliati buona donna!
Io evoco dalla porta dei morti:
Ti ricordi di avere invitato tuo figlio
a venire al tuo tumulo? |
Gabriella Agrati e Maria Letizia Magini riportano
una riscrittura in prosa – una rielaborazione – dello
Svipdagsmál, nel loro Miti e saghe
vichinghi, intitolata Svipdag e Menglad
(Agrati ~
Magini 1990), apparentemente condotta
sulla traduzione inglese di Henry Adams Bellows.
Gianna Chiesa Isnardi ne fa un puntuale riassunto nel
suo I miti nordici,
citando ventun strofe appositamente tradotte (Isnardi 1991).
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GRÓGALDR
er hún gól syni sínum dauð. |
L'INCANTESIMO DI GRÓA,
che ella, morta, cantò a suo figlio. |
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Invocazione della madre
morta |
1
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Sonr kvað: |
Disse il figlio: |
|
“Vaki þú, Gróa,
vaki þú, góð kona,
vek ek þik dauðra dura,
ef þú þat mant,
at þú þinn mǫg bæðir
til kumbldysjar koma”. |
“Svégliati,
Gróa!
svégliati, brava donna!
io ti invoco innanzi alla porta dei morti.
Se ti ricordi,
hai esortato tuo figlio a venire
al tumulo vicino alla tua tomba”. |
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|
2 |
Gróa kvað: |
Disse
Gróa: |
|
|
“Hvat er nú annt
mínum eingasyni,
hverju ertu nú bǫlvi borinn,
er þú þá móður kallar,
er til moldar er komin
ok ór ljóðheimum liðin?” |
“Cosa preoccupa
il mio unico figlio?
Che male ti affligge,
tanto da chiamare tua madre
che è giunta sotterra
e vaga lontano dal mondo dei mortali?” |
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|
3
|
Sonr kvað: |
Disse il figlio: |
|
|
“Ljótu leikborði
skaut fyr mik in lævísa kona,
sú er faðmaði minn fǫður;
þar bað hon mik koma,
er kvæmtki veit,
móti Menglǫðu”. |
“Un compito pericoloso
mi impone la donna perfida
che ha sposato mio padre.
Mi ordina di recarmi,
là dove sa che è impossibile
andare,
per incontrarmi con Menglǫð”. |
|
|
4 |
Gróa kvað: |
Disse
Gróa: |
|
|
“Lǫng er fǫr,
langir ro farvegar,
langir ro manna munir,
ef þat verðr,
at þú þinn vilja bíðr,
ok skeikar þá Skuld at skǫpum”. |
“Lungo è il viaggio,
lungo il cammino,
lungo il desiderio degli uomini.
Se così accadrà,
che si esaudirà il tuo volere,
allora il decreto di
Skuld è incerto”. |
|
|
|
Sonr kvað: |
Disse il figlio: |
|
|
5
|
“Galdra þú mér gal,
þá er góðir eru,
bjarg þú, móðir, megi;
á vegum allr
hygg ek, at ek verða muna,
þykkjumk ek til ungr afi”. |
“Canta per me incantesimi,
che siano buoni.
Salva, madre, tuo figlio!
Ho paura, per strada,
di incappare nella sfortuna;
sono ancora troppo giovane”. |
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Gli incantesimi
di Gróa |
6
|
Gróa kvað: |
Disse
Gróa: |
|
“Þann gel ek þér fyrstan,
þann kveða fjǫlnýtan,
–
þann gól Rindi Rani, –
at þú of ǫxl skjótir,
því er þér atalt þykkir;
sjalfr leið þú sjalfan þik. |
“Ti canterò il primo,
che molti considerano
vantaggioso
– lo cantò Rindr per
Rani –
e dalle spalle ti scuoterai
ciò che riterrai fastidioso.
Ti lascerai guidare solo da te stesso. |
|
|
7
|
Þann gel ek þér annan,
ef þú árna skalt
viljalauss á vegum,
Urðar lokur
haldi þér ǫllum megum,
er þú á sinnum sér. |
Il secondo ti canterò,
se dovessi percorrere
la strada senza gioia.
La protezione di
Urðr
ti assista da ogni lato
ovunque tu veda turpitudine. |
|
|
8
|
Þann gel ek þér inn þriðja,
ef þér þjóðáar
falla at fjǫrlotum,
Horn ok Ruðr
snúisk til heljar meðan,
en þverri æ fyr þér. |
Il terzo ti canterò,
se fiumi impetuosi
scrosciando, mettessero in pericolo la tua vita.
Horn e Ruðr
scorrano verso
Hel
ma si acquietino sempre dinanzi a te. |
|
|
9 |
Þann gel ek þér inn fjórða,
ef þik fjándr standa
gǫrvir á galgvegi,
hugr þeim hverfi
til handa þér,
ok snúisk þeim til sátta sefi. |
Il quarto ti canterò,
se i nemici stessero
in agguato sulla via del capestro.
Il loro cuore si muti
in tuo favore,
la loro mente volga all'amicizia. |
|
|
10 |
Þann gel ek þér inn fimmta,
ef þér fjǫturr verðr
borinn at boglimum,
leysigaldr læt ek
þér fyr legg of kveðinn,
ok stǫkkr þá láss af limum,
en af fótum fjǫturr. |
Il quinto ti canterò,
se ti legassero con catene
braccia e gambe.
Farei cantare incantesimi
di liberazione su di te:
i ceppi ti cadrebbero dalle braccia,
e dai piedi i vincoli. |
|
|
11 |
Þann gel ek þér inn sétta,
ef þú á sjó kemr
meira en menn viti,
logn ok lǫgr
gangi þér í lúðr saman
ok léi þér æ friðdrjúgrar farar. |
Il sesto ti canterò,
se sulla via del mare
incontrassi
una tempesta, mai vista da nessuno.
L'aria sospesa sul mare
si stiperà nella tua nave
permettendoti un viaggio tranquillo. |
|
|
12 |
Þann gel ek þér inn sjaunda,
ef þik sækja kemr
frost á fjalli háu,
hræva kulði
megi-t þínu holdi fara,
ok haldisk æ lík at liðum. |
Il settimo ti canterò,
se tagliente ti pungesse
il gelo in alta montagna.
Il freddo fatale
non morderà le tue carni
né il corpo si raggrinzirà. |
|
|
13 |
Þann gel ek þér inn átta,
ef þik úti nemr
nótt á niflvegi,
at því firr megi
þér til meins gera
kristin dauð kona. |
L'ottavo ti canterò,
se sul sentiero nebbioso
fossi sorpreso dalla notte.
Non potrebbe farti
del male nemmeno
lo spettro di una donna cristiana morta. |
|
|
14 |
Þann gel ek þér inn níunda,
ef þú við inn naddgǫfga
orðum skiptir jǫtun,
máls ok mannvits
sé þér á minni ok hjarta
gnóga of gefit. |
Il nono ti canterò,
se venissi a parole
con un gigante armato.
Misura e saggezza
nel cuore e nella mente
ti daranno molto aiuto. |
|
|
15 |
Far þú nú æva,
þar er forað þykkir,
ok standi-t þér mein fyr munum;
á jarðfǫstum steini
stóð ek innan dura,
meðan ek þér galdra gól. |
Va' ora
dove non ci sarà mai pericolo,
e nessun maleficio ostacolerà il tuo amore.
Su una pietra fissa nel terreno
sono stata in piedi tra le
porte,
mentre ti cantavo gli incantesimi. |
|
|
16 |
Móður orð
ber þú, mǫgr, heðan
ok lát þér í brjósti búa;
iðgnóga heill
skaltu of aldr hafa,
meðan þú mín orð of mant”. |
Porta con te
le parole di tua madre, figlio
mio,
e lascia che si fissino nel tuo
petto,
poiché piena fortuna
avrai in vita,
finché ricorderai le mie parole”. |
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|
FJǪLSVINNSMÁL |
IL DISCORSO DI FJǪLSVIÐR |
|
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|
Arrivo alla
fortezza |
1 |
Utan garða
hann sá upp um koma
þursa þjóðar sjǫt: |
Fuori dalla fortezza [Fjǫlsviðr] vide
uno giungere
alla tana dei giganti. |
|
|
|
Fjǫlsviðr kvað: |
Disse
Fjǫlsviðr: |
|
|
“Úrgar brautir
árnaðu aftur héðan;
átt-at-tu hér, verndar vanur,
veru!” |
“Per le umide vie
ritornatene a casa! Qui non c'è asilo per te, miserabile!” |
|
2 |
Kómumaðr kvað: |
Disse il sopraggiunto: |
|
|
|
“Hvað er það flagða,
er stendur fyr forgǫrðum,
og hvarflar um hættan loga?” |
“Che mostro sei,
che stai fuori della proprietà e giri intorno le fiamme pericolose?” |
|
|
Fjǫlsviðr kvað: |
Disse
Fjǫlsviðr: |
|
|
“Hvers þú leitar,
eða hvers þú á leitum ert,
eða hvað viltu, vinlaus, vita?” |
“Chi stai cercando? che cosa
vuoi?
cosa desideri, tu, privo di amici?” |
|
3 |
Kómumaðr kvað: |
Disse il sopraggiunto: |
|
|
|
“Hvat er þat flagða,
er stendr fyr forgarði
ok býðrat líðǫndum lǫð?” |
“Che mostro sei che stai fuori della proprietà
e non offri ospitalità al viandante?” |
|
|
|
Fjǫlsviðr kvað: |
Disse
Fjǫlsviðr: |
|
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“Sǿmðar orða lauss
hefir þú seggr of lifat,
ok haltu heim héðan. |
“Neanche una parola d'onore
è stata spesa per te: vattene
a casa subito! |
|
Presentazione degli interlocutori |
4 |
Fjǫlsviðr ek heiti,
en ek á fróðan sefa,
þeygi em ek míns mildr matar;
innan garða
þú kemr hér aldregi,
ok dríf þú nú vargr at vegi”. |
Fjǫlsviðr mi chiamo, e sono molto saggio
anche se non sono prodigo del mio cibo. Entro questo bastione
non entrerai mai, quindi vattene, lupo!” |
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|
5 |
Kómumaðr kvað: |
Disse il sopraggiunto: |
|
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|
“Augna gamans
fýsir aptr fán,
hvars hann getr svást at sjá;
garðar glóa mér þykkja
of gullna sali,
hér munda ek eðli una”. |
“Il piacere dell'occhio desidera ancora,
colui che ha visto la bellezza. Mi sembra che risplenda questo bastione
intorno a sale dorate. Qui ho voglia di vivere”. |
|
|
6 |
Fjǫlsviðr kvað: |
Disse
Fjǫlsviðr: |
|
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|
“Segðu mér hverjum
ertu, sveinn! of borinn
eða hverra ertu manna mǫgr?” |
“Dimmi allora di chi, o giovane, sei figlio,
da quale stirpe di uomini discendi?” |
|
|
Kómumaðr kvað: |
Disse il sopraggiunto: |
|
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“Vindkaldr ek heiti,
Várkaldr hét minn faðir,
þess var Fjǫrkaldr faðir. |
“Mi chiamo Vindkald,
Várkaldr si chiamava mio padre,
Fjǫrkaldr era suo padre. |
|
7 |
Segðu mér þat, Fjǫlsviðr!
er ek þik fregna mun
ok ek vilja vita:
hverr hér ræðr
ok ríki hefir
eign ok auðsǫlum?” |
Dimmi questo,
Fjǫlsviðr!
Questo ti chiedo e questo
voglio sapere:
chi comanda e ha pieni poteri
su queste terre e su queste lussuose sale?” |
|
|
8 |
Fjǫlsviðr kvað: |
Disse
Fjǫlsviðr: |
|
|
|
“Menglǫð of heitir,
en hana móðir of gat
við Svafrþorins syni;
hon hér ræðr
ok ríki hefir
eign ok auðsǫlum”. |
“Menglǫð si chiama sua madre l'ha generata
col figlio di Svafrþorinn. Lei comanda
e ha pieni poteri su queste terre e su queste lussuose sale”. |
|
Domande sul
bastione che protegge la fortezza |
9 |
Vindkaldr kvað: |
Disse
Vindkaldr: |
|
|
“Segðu mér þat, Fjǫlsviðr!
er ek þik fregna mun
ok ek vilja vita:
hvat sú grind heitir,
er með goðum sáat
menn it meira forað?” |
“Dimmi questo,
Fjǫlsviðr!
Questo ti chiedo e questo
voglio sapere: come si chiama questo cancello,
che
tra gli dèi, nessun uomo ne ha mai visto uno più temibile?” |
|
|
10 |
Fjǫlsviðr kvað: |
Disse
Fjǫlsviðr: |
|
|
|
“Þrymgjǫll hon heitir,
en hana þrír gerðu
Sólblinda synir;
fjǫturr fastr verðr
við faranda hvern,
er hana hefr frá hliði”. |
“Þrymgjǫll
si chiama; in tre
l'hanno fabbricato,
i figli di Sólblindi. Una catena si stringe
su chiunque osi oltrepassarlo, su chiunque osi aprirlo”. |
|
|
11 |
Vindkaldr kvað: |
Disse
Vindkaldr : |
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|
“Segðu mér þat, Fjǫlsviðr!
er ek þik fregna mun
ok ek vilja vita:
hvat sá garðr heitir,
er með goðum sáat
menn it meira forað?” |
“Dimmi questo,
Fjǫlsviðr!
Questo ti chiedo e questo
voglio sapere:
come si chiama questo bastione,
che
tra gli dèi, nessun uomo ne ha mai visto uno più temibile?” |
|
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12 |
Fjǫlsviðr kvað: |
Disse
Fjǫlsviðr: |
|
|
|
“Gastrópnir heitir,
en ek hann gǫrfan hefk
ór Leirbrimis limum;
svá hefik studdan,
at hann standa mun
æ meðan ǫld lifir”. |
“Gastrópnir si chiama e io stesso l'ho costruito
dalle membra di Leirbrimir. L'ho così rinforzato
che resterà saldo fino alla fine dei tempi”. |
|
Domande
sull'albero Mímameiðr |
19 |
Vindkaldr kvað: |
Disse
Vindkaldr: |
|
|
“Segðu mér þat, Fjǫlsviðr!
er ek þik fregna mun
ok ek vilja vita:
hvat þat barr heitir,
er breiask um
lǫnd ǫll limar?” |
“Dimmi questo,
Fjǫlsviðr!
Questo ti chiedo e questo
voglio sapere:
come si chiama il pino
che stende i suoi rami su tutti i mondi?” |
|
|
20 |
Fjǫlsviðr kvað: |
Disse
Fjǫlsviðr: |
|
|
|
“Mímameiðr hann heitir,
en þat mangi veit,
af hverjum rótum renn;
við þat hann fellr,
er fæstan varir;
fellirat hann eldr né járn”. |
“Si chiama Mímameiðr, ma molti non sanno
da quali radici nasca. Pochi sanno
come abbatterlo; né fiamma né ferro lo attaccano”. |
|
|
21 |
Vindkaldr kvað: |
Disse
Vindkaldr: |
|
|
|
“Segðu mér þat, Fjǫlsviðr!
er ek þik fregna mun
ok ek vilja vita:
hvat af móði verðr
þess ins mæra viðar,
er hann fellirat eldr né járn?” |
“Dimmi questo,
Fjǫlsviðr!
Questo ti chiedo e questo
voglio sapere:
quale frutto dona
quell'albero possente, che non lo attacca né fiamma né ferro?” |
|
|
22 |
Fjǫlsviðr kvað: |
Disse
Fjǫlsviðr: |
|
|
|
“Út af hans aldni
skal á eld bera
fyr kelisjúkar konur;
utar hverfa
þaz þær innar skyli,
sá er hann með mǫnnum mjǫtuðr”. |
“Il suo frutto sarà posto sul fuoco
per le donne in travaglio.
Fuori sarà cacciato ciò che rimarrebbe dentro,
tra gli uomini questo è il suo uso”. |
|
|
23 |
Vindkaldr kvað: |
Disse
Vindkaldr: |
|
|
|
“Segðu mér þat, Fjǫlsviðr!
er ek þik fregna mun
ok ek vilja vita:
hvat sá hani heitir,
er sitr í enum háva viði,
allr hann við gull glóir?” |
“Dimmi questo,
Fjǫlsviðr!
Questo ti chiedo e questo
voglio sapere:
come si chiama quel gallo,
che sta appollaiato sull'alto albero e risplende tutto d'oro?” |
|
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24 |
Fjǫlsviðr kvað: |
Disse
Fjǫlsviðr: |
|
|
|
“Viðófnir hann heitir,
en hann stendr veðrglasi
á meiðs kvistum Míma;
einn um ekka
þryngr hann orófsaman
Svartrar Sinmǫru”. |
“Si chiama Viðófnir, e nel vento, splendente,
sta,
sui rami dell'albero di
Mímir.
Un tormento
infligge inesorabile, di
Surtr, a Sinmara”. |
|
Domande su come
superare i guardiani della fortezza |
13 |
Vindkaldr kvað: |
Disse
Vindkaldr: |
|
|
“Segðu mér þat, Fjǫlsviðr!
er ek þik fregna mun
ok ek vilja vita:
hvat þeir garmar heita,
er gífrir rata
ok varða fyr lundi lim?” |
“Dimmi questo,
Fjǫlsviðr!
Questo ti chiedo e questo
voglio sapere:
come si chiamano questi cani affamati,
che vanno avanti e indietro e fanno la guardia al fogliame dell'albero?” |
|
|
14 |
Fjǫlsviðr kvað: |
Disse
Fjǫlsviðr: |
|
|
|
“Gífr heitir annarr,
en Geri annarr,
ef þu vilt þat vita;
varðir elli lyf
æ þeir varða,
unz rjúfask regin”. |
“Uno si chiama
Gífr, l'altro
Geri,
se ci tieni a saperlo. All'antico rimedio del guardiano
faranno la guardia, fino alla caduta degli dèi”. |
|
|
15 |
Vindkaldr kvað: |
Disse
Vindkaldr: |
|
|
|
“Segðu mér þat, Fjǫlsviðr!
er ek þik fregna mun
ok ek vilja vita:
hvárt sé manna nǫkkut,
þat er megi inn koma,
meðan sókndjarfir sofa?” |
“Dimmi questo,
Fjǫlsviðr!
Questo ti chiedo e questo
voglio sapere:
è possibile che qualcuno trovi
il modo per entrare quando quei rapidi predatori dormono?” |
|
|
16 |
Fjǫlsviðr kvað: |
Disse
Fjǫlsviðr: |
|
|
|
“Missvefni mikit
var þeim mjǫk of lagit,
síðan þeim var varzla vituð;
annarr of nætr sefr,
en annarr of daga,
ok kemsk þá vætr, ef þá kom”. |
“Sonno alterno gli fu imposto
da quando furono assegnati alla guardia. Uno dorme di notte,
l'altro di giorno, cosicché nessuno può entrare”. |
|
|
17 |
Vindkaldr kvað: |
Disse
Vindkaldr: |
|
|
|
“Segðu mér þat, Fjǫlsviðr!
er ek þik fregna mun
ok ek vilja vita:
hvárt sé matar nǫkkut,
þat er menn hafi,
ok hlaupi inn, meðan þeir eta?” |
“Dimmi questo,
Fjǫlsviðr!
Questo ti chiedo e questo
voglio sapere:
non c'è un qualche cibo
che l'uomo possieda così da gettarglielo mentre mangiano?” |
|
|
18 |
Fjǫlsviðr kvað: |
Disse
Fjǫlsviðr: |
|
|
|
“Vegnbráðir tvær
liggja í Víðófnis liðum,
ef þú vilt þat vita:
þat eitt er svá matar,
at þeim menn of gefi,
ok hlaupi inn, meðan þeir eta”. |
“Due ali arrostite possiede
Víðófnir,
se ci tieni a saperlo. Sono l'unico cibo
che si potrebbe dare ai cani e gettarglielo mentre mangiano”. |
|
|
25 |
Vindkaldr kvað: |
Disse
Vindkaldr: |
|
|
|
“Segðu mér þat, Fjǫlsviðr!
er ek þik fregna mun
ok ek vilja vita:
hvárt sé vápna nǫkkut,
þat er knegi Viðófnir fyr
hníga á Heljar sjǫt?” |
“Dimmi questo,
Fjǫlsviðr!
Questo ti chiedo e questo
voglio sapere:
se c'è un'arma
con cui Viðófnir possa essere precipitato in Hel?” |
|
|
26 |
Fjǫlsviðr kvað: |
Disse
Fjǫlsviðr: |
|
|
|
“Lævateinn hann heitir,
en hann gerði Loptr rýninn
fyr nágrindr neðan;
í seigjárn keri
liggr hann hjá Sinmǫru,
ok halda njarðlásar níu”. |
“Lævateinn si chiama, e l'ha creata
Loptr con le rune
giù dinanzi al cancello dei morti.
In uno scrigno di ferro
si trova vicino a Sinmara, ed è chiuso da nove
serrature”. |
|
|
27 |
Vindkaldr kvað: |
Disse
Vindkaldr: |
|
|
|
“Segðu mér þat, Fjǫlsviðr!
er ek þik fregna mun
ok ek vilja vita:
hvárt aptr kemr,
sá er eptir ferr
ok vill þann tein taka?” |
“Dimmi questo,
Fjǫlsviðr!
Questo ti chiedo e questo
voglio sapere:
se ritorna
colui il quale va in cerca e riesce a prendere la verga?” |
|
|
28 |
Fjǫlsviðr kvað: |
Disse
Fjǫlsviðr: |
|
|
|
“Aptr mun koma,
sá er eptir ferr
ok vill þann tein taka,
ef þat fǿrir,
er fáir eigu,
eiri ǫrglasis”. |
“Ritornerà colui il quale va in cerca
e riesce a prendere la verga, se porta con sé
ciò che pochi posseggono, per la dea dall'oro splendente”. |
|
|
29 |
Vindkaldr kvað: |
Disse
Vindkaldr: |
|
|
|
“Segðu mér þat, Fjǫlsviðr!
er ek þik fregna mun
ok ek vilja vita:
hvárt sé mæta nǫkkut,
þat er menn hafi,
ok verðr því hin fǫlva gýgr fegin?” |
“Dimmi questo,
Fjǫlsviðr!
Questo ti chiedo e questo
voglio sapere:
se c'è qualcosa di particolare
che gli uomini posseggono e che può rallegrare la pallida gigantessa?” |
|
|
30 |
Fjǫlsviðr kvað: |
Disse
Fjǫlsviðr: |
|
|
|
“Ljósan ljá
skaltu í lúðr bera,
þann er í Viðofnis vǫlum,
Sinmǫru at selja,
áðr hon sǫm telisk
vápn til vígs at ljá”. |
“La falce lucente, porterai nella bisaccia,
che sta nella coda di
Viðofnir.
Dàlla a Sinmara;
così diverrà servizievole e ti donerà l'arma da battaglia”. |
|
Domande sulla
sala interna e sulla signora che la
governa |
31 |
Vindkaldr kvað: |
Disse
Vindkaldr: |
|
|
“Segðu mér þat, Fjǫlsviðr!
er ek þik fregna mun
ok ek vilja vita:
hvat sá salr heitir,
er slunginn er
vísum vafrloga?” |
“Dimmi questo,
Fjǫlsviðr!
Questo ti chiedo e questo
voglio sapere:
come si chiama la sala
circondata da magiche fiamme guizzanti?” |
|
|
32 |
Fjǫlsviðr kvað: |
Disse
Fjǫlsviðr: |
|
|
|
“Lýr hann heitir,
en hann lengi mun
á brodds oddi bifask;
auðranns þess
munu um aldr hafa
frétt eina fírar”. |
“Si chiama Lýr e per sempre
tremerà come punta di spada. Di questa sala sontuosa,
in tutte le epoche, le persone hanno saputo poco”. |
|
|
33 |
Vindkaldr kvað: |
Disse
Vindkaldr: |
|
|
|
“Segðu mér þat, Fjǫlsviðr!
er ek þik fregna mun
ok ek vilja vita:
hverr þat gǫrði,
er ek fyr garð sák
innan, ásmaga?” |
“Dimmi questo,
Fjǫlsviðr!
Questo ti chiedo e questo
voglio sapere:
chi l'ha costruita,
tra coloro i quali vedo nella corte dei figli degli
Æsir?” |
|
|
34 |
Fjǫlsviðr kvað: |
Disse Fjǫlsviðr: |
|
|
|
“Uni ok Íri,
Bari ok Óri,
Varr ok Vegdrasill;
Dóri ok Úri,
Dellingr, Atvarðr,
Liðskjálfr, Loki”. |
“Uni e
Íri,
Bari e
Óri,
Var e
Vegdrasill, Dóri e
Úri,
Dellingr,
Atvarðr,
Liðskjálfr,
Loki”. |
|
|
35 |
Vindkaldr kvað: |
Disse
Vindkaldr: |
|
|
|
“Segðu mér þat, Fjǫlsviðr!
er ek þik fregna mun
ok ek vilja vita:
hvat þat bjarg heitir,
ver ek sé brúði á
þjóðmæra þruma?” |
“Dimmi questo,
Fjǫlsviðr!
Questo ti chiedo e questo
voglio sapere:
come si chiama la montagna
su cui vedo la fanciulla in alto seduta, splendida?” |
|
|
36 |
Fjǫlsviðr kvað: |
Disse
Fjǫlsviðr: |
|
|
|
“Lyfjaberg þat heitir,
en þat hefir lengi verit
sjúkum ok sárum gaman;
heil verðr hver,
þótt hafi árs sótt,
ef þat klífr, kona”. |
“Si chiama Lyfjaberg e da tempo esiste
per curare i feriti e i malati.
Risana la donna,
anche se da lungo malata, che vi sale sopra”. |
|
|
37 |
Vindkaldr kvað: |
Disse
Vindkaldr: |
|
|
|
“Segðu mér þat, Fjǫlsviðr!
er ek þik fregna mun
ok ek vilja vita:
vat þær meyjar heita,
er fyr Menglaðar knjám
sitja sáttar saman?” |
“Dimmi questo,
Fjǫlsviðr!
Questo ti chiedo e questo
voglio sapere:
come si chiamano le fanciulle
che dinanzi alle ginocchia di Menglǫð siedono in
armonia insieme?” |
|
|
38 |
Fjǫlsviðr kvað: |
Disse
Fjǫlsviðr: |
|
|
|
“Hlíf heitir,
ǫnnur Hlífþrasa,
þriðja Þjóðvarta,
Bjǫrt ok Blíð,
Blíðr, Fríð,
Eir ok Ǫrboða”. |
“Una si chiama Hlíf, la seconda
Hlífþrasa,
la terza è conosciuta come Þjóðvarta,
Bjǫrt e
Bleik,
Blíð,
Fríð,
Eir e Aurboða”. |
|
|
39 |
Vindkaldr kvað: |
Disse
Vindkaldr: |
|
|
|
“Segðu mér þat, Fjǫlsviðr!
er ek þik fregna mun
ok ek vilja vita:
hvart þær bjarga
þeim er blóta þær,
ef gǫrask þarfar þess?” |
“Dimmi questo,
Fjǫlsviðr!
Questo ti chiedo e questo
voglio sapere:
se aiutano
coloro che danno profferte, coloro che hanno bisogno di aiuto?” |
|
|
40 |
Fjǫlsviðr kvað: |
Disse
Fjǫlsviðr: |
|
|
|
“[Bjarga] svinnar,
hvar er menn blóta þær
á stallhelgum stað;
eigi svá hátt forað
kemr at hǫlða sonum,
hvern þær ór nauðum nema”. |
“Danno aiuto le sagge, se le si fanno sacrifici
nei luoghi dove si trovano gli altari. Nessun male così grande
minaccia i figli degli uomini, che non riescano a curare”. |
|
|
41 |
Vindkaldr kvað: |
Disse
Vindkaldr: |
|
|
|
“Segðu mér þat, Fjǫlsviðr!
er ek þik fregna mun
ok ek vilja vita:
hvárt sé manna nǫkkut,
þat er knegi á Menglaðar
svásum armi sofa?” |
“Dimmi questo,
Fjǫlsviðr!
Questo ti chiedo e questo
voglio sapere:
se c'è uomo
che nelle braccia di Menglǫð possa dormire in
serenità?” |
|
|
42 |
Fjǫlsviðr kvað: |
Disse
Fjǫlsviðr: |
|
|
|
“Vætr er þat manna,
er knegi á Menglaðar
svásum armi sofa:
nema Svipdagr einn,
hánum var sú in sólbjarta
brúðr at kván of kveðin”. |
“Non c'è uomo che nelle braccia
di Menglǫð
possa dormire in serenità,
tranne
Svipdagr solo;
la fanciulla bella come il sole
a lui è promessa in sposa”. |
|
Agnizione
finale: incontro di Svipdagr e Menglǫð |
43 |
Vindkaldr kvað: |
Disse
Vindkaldr: |
|
|
“Hrittu á hurðir,
láttu hlið rúm,
hér máttu Svipdag sjá;
en þó vita far,
ef vilja muni
Menglǫð mitt gaman”. |
“Aprite le porte! Spalancate i cancelli!
Qui potete vedere Svipdagr. Va' a chiederle
se accetta volentieri, Menglǫð, il mio amore”. |
|
|
44 |
Fjǫlsviðr kvað: |
Disse
Fjǫlsviðr: |
|
|
|
“Heyrðu, Menglǫð!
hér er maðr kominn,
gakk þú á gest sjá!
hundar fagna,
hús hefir upp lokizk,
hygg ek, at Svipdagr sé”. |
“Ascolta Menglǫð! Un uomo è giunto qua;
va' a dare un'occhiata
all'ospite! I cani gli scodinzolano
la casa si è aperta da sola sembra che sia Svipdagr”. |
|
|
45 |
Menglǫð kvað: |
Disse Menglǫð: |
|
|
|
“Horskir hrafnar
skulu þér á hám gálga
slíta sjónir ór,
ef þúþat lýgr,
at hér sé langt kominn
mǫgr til minna sala. |
“Saggi corvi ti strappino gli occhi
sull'alta forca, se non dici il vero:
che un giovane è giunto da lontano alle mie stanze. |
|
|
46 |
Hvaðan þú fórt,
hvaðan þú fǫr gǫrðir,
hvé þik hétu hjú?
at ætt ok nafni
skal ek jartegn vita,
ef ek var þér kván of kveðin”. |
Da dove vieni? Come sei arrivato qui?
Come si chiamano le tue genti? Il tuo nome e la tua parentela
devo conoscere, se sono stata promessa in sposa a te”. |
|
|
47 |
Svipdagr kvað: |
Disse Svipdagr: |
|
|
|
“Svipdagr ek heiti,
Sólbjart hét minn faðir,
þaðan ráumk vindar kalda vegu;
Urðar orði
kveðr engi maðr,
þótt þat sé við lǫst lagit”. |
“Svipdagr mi chiamo,
Sólbjart si chiama mio padre;
il vento mi ha guidato lotnano su vie fredde. Al decreto del destino
nessuno si può opporre, anche se non è incline alla fortuna”. |
|
|
48 |
Menglǫð kvað: |
Disse Menglǫð: |
|
|
|
“Vel þú nú kominn!
hefik minn vilja beðit,
fylgja skal kveðju koss;
forkunnar sýn
mun flestan glaða,
hvars hefir við annan ást. |
“Fortunatamente sei arrivato! Ho
sopportato il mio desiderio:
come saluto un bacio affettuoso. In alcuni la vista
fa felice in modo eccessivo quando si ama l'altro. |
|
|
49 |
Lengi ek sat
Lyfjabergi á,
beið ek þín dǿgr ok daga;
nú þat varð,
er ek vætt hefi,
at þú ert kominn, mǫgr, til minna sala. |
Per molto tempo sono stata seduta
sul
Lyfjaberg
e ti ho atteso giorno dopo giorno. Ora si è realizzato
ciò che ho desiderato, vederti arrivare a casa mia. |
|
|
50 |
Þrár hafðar
er ek hefi til þíns gamans,
en þú til míns munar;
nú er þat satt,
er vit slíta skulum
ævi ok aldr saman”. |
La sofferenza è finita, io ti ho pensato ardentemente
e tu desideravi possedere il mio amore. Ora è certo,
che insieme vivremo fino al nostro ultimo giorno”. |
|
|
|
|
|
|
|
|
NOTE
Gróagaldr
1
―
Gróa è forse la vecchia
vǫlva citata da Snorri nello
Skáldskaparmál, a cui
Þórr si rivolge
per farsi estrarre dalla fronte il frammento della cote
di Hrungnir che
vi si è conficcato. Il nome potrebbe essere connesso al
gallese groach «strega».
4
―
(d-f)
Il senso di questa helming non è molto chiaro. Il significato sembra
essere che, quali che siano le possibilità di un uomo, o quale che sia l'aiuto
che possa ricevere, si riesce nei propri sforzi solo se si è destinati al
successo.
6
―
(c)
«Rindr per
Rani»: a seconda
dei manoscritti, questi nomi possono trovarsi in
relazione inversa Rindr
è probabilmente la madre di Váli,
nominata in Baldrs Draumar
[11]. In quanto al nome Rani, non nominato
altrove in letteratura, non possiamo aggiungere nulla.
Si tratterebbe, forse, dello stesso Váli
(Gering 1892), oppure di
Óðinn,
che ne fu il padre (Bellows
1936).
8
―
(c)
Dei fiumi
Horn e Ruðr non vi è traccia nelle lunghe e dettagliate descrizioni
che i testi eddici dànno del sistema fluviale
dell'universo [MITO].
Sophus Bugge emenda i due nomi in
Hrǫnn
«onda»
e Hríð «tempestoso»,
citati in
Grímnismál [28]
come due dei fiumi che scorrono nel regno dei
morti (Bugge 1867).
10
― Questa strofa è simile nel senso a una contenuta nel Ljóðatal o «Dissertazione sui canti magici», nell'Hávamál:
Eef mér fyrðar bera
bǫnd að boglimum,
svá ek gel,
at ek ganga má,
sprettr mér af fótum fjǫturr,
en af hǫndum haft. |
Se uomini impongono
ceppi alle mie membra,
così io canto
che me ne possa andare:
la catena salta via dai piedi
e dalle mani il laccio.
|
Ljóða Edda >
Hávamál
[149] |
Anche se le due strofe non sono derivative,
esse segnalano un'esigenza evidentemente avvertita dai
popoli germanici, a cui si richiedeva una soluzione
magica: quella di potersi liberare da corde e catene e
sfuggire dai nemici. Ha questa funzione anche il primo
dei due
Merseburger Zaubersprüche,
nel quale si invocano le Idisi
pregandole di spezzare i ceppi dei prigionieri e liberarli dai nemici.
11 ― Questo incantesimo
è simile nel senso a un altro contenuto nel Ljóðatal,
nell'Hávamál:
Ef mik nauðr um stendr
at bjarga fari mínu á floti,
vind ek kyrri
vági á
ok svæfik allan sæ. |
Se mi trovo in difficoltà
per salvare la mia nave sui flutti,
il vento io calmo
sulle onde
e addormento tutto il mare.
|
Ljóða Edda >
Hávamál
[154] |
13
― «Una donna cristiana
morta» [kristin dauð kona]:
questo passaggio è stato eliminato da alcuni curatori,
ed emendato con «una strega morta» o simili
(Bellows 1923). Questo
motivo, probabilmente più antico del poema in cui è
stato incluso, testimonia un periodo in cui il
cristianesimo cominciava a diffondersi nei paesi nordici
e i pagani guardavano ai cristiani con sospetto. Si erano evidentemente diffuse
strane superstizioni, come quella che i fantasmi delle donne cristiane fossero
estremamente pericolosi.
14
― Trovarsi a un certamen di sapienza con un
gigante era una situazione topica di un certo tipo di
letteratura mitico-sapienziale. Questo è in effetti
l'argomento del
Vafþrúðnismál.
15
― Si riferisce qui all'amore di
Svipdagr per
Menglǫð,
di cui si tratta nel Fjǫlsvinnsmál,
seconda composizione della sequenza dello
Svipdagsmál.
Fjǫlsvinnsmál
1 ―
Sophus Bugge ha proposto una
diversa disposizione dei primi
quattro helmingar che rendano il dialogo più
naturale. La sua ripartizione, seguita da alcuni
editori, è la seguente: [1a-1c | 2a-2c];
[2d-2f | 1d-1f].
2
―
(c)
Le «fiamme pericolose» [hættan loga] sembrano essere un elemento
ricorrente al motivo della conquista di una sposa. In
Skírnismál [8], l'eroe attraversa una
«guizzante fiamma famosa» [vísan vafrloga] prima
di giungere alla dimora di
Gerðr. Nell'introduzione al
Sigrdrífumál,
si dice che Sigurdr dovette
attraversare un muro di fiamme per raggiungere il luogo
ove riposava la valchiria Sigrdrífa.
4
―
Fjǫlsviðr «molto saggio» è un epiteto di
Óðinn
(Grímnismál
[47]).
6
―
(d-f) Pur nascondendo la sua identità,
l'eroe fornisce una falsa genealogia che sembra dissimulare la sua autentica
natura.
Vindkaldr è «vento
freddo», Várkaldr è «primavera fredda», e
Fjǫrkaldr è
«molto freddo». Hugo Gering suggerisce che, fornendo questi
nomi, Svipdagr voglia convincere
Fjǫlsviðr
che egli abbia natura di un gigante di brina.
8 ―
(c)
Svafrþorinn è un nome oscuro,
interpretato come «audace nell'addormentare» (nel
senso di «uccidere»), dove la prima parte della parola è un
derivato di svapnir > svafnir «[colui che]
addormenta» (cfr. latino sopitor) e la seconda è
connesso con il verbo þora
«osare». Gianna Chiesa Isnardi propone di emendare
þorinn in þorn «spina» e interpreta il nome
come «spina che addormenta». Per quanto linguisticamente
un po' forzata, questa lettura potrebbe però accordarsi al
contesto del mito: Menglǫð, che attende l'amato in una
dimora circondata da un muro di fiamme, ricorda la figura
di Brynhildr, che, in un
luogo assai simile, attende l'arrivo di Sigurðr, sprofondata in un sonno magico
provocato da
Óðinn con una spina.
(Isnardi 1991)
10
―
(a)
Þrymgjǫll è «che risuona con fragore», nome
evidentemente adatto a un cancello lento e pesante che
cigola nell'aprirsi.
―
(c)
Sólblindi «accecato dal sole»; a giudicare dal nome, il
padre dei tre operai che hanno innalzato il cancello
della fortezza,
sembrerebbe essere un nano, che la luce del sole
può uccidere e trasformare in pietra, o un gigante come
Vafþrúðnir.
12
―
(a)
Gastrópnir, forse «che soffoca gli intrusi».
―
(a)
Leirbrimir «Brimir d'argilla». L'aver
costruito un bastione con le membra di un gigante fa
ovviamente pensare al sacrificio di
Ymir. In questo
caso il bastione potrebbe anche avere un significato
cosmologico: forse è quello che divide
Miðgarðr
da Jǫtunheimr?
19
― Seguendo la lezione di alcuni editori, anticipiamo la
sezione [19-24]
che introduce l'albero Mímameiðr e
il gallo Víðófnir, in modo
da giustificare la loro presenza, data per scontata
nelle strofe [14-18].
20
― (a)
Mímameiðr
«albero di Mími(r)»
(cfr. meiðs Míma [24]).
Sicuramente, un nome o un'ipostasi del frassino
Yggdrasill. Il
motivo delle radici che nessuno sa dove si trovano, appartiene anche
all'albero su cui
Óðinn praticò il
suo autosacrificio:
...Á þeim meiði
er manngi veit
hvers af rótum renn. |
...Su quell'albero
che nessuno sa
dove dalle radici s'innalzi.
|
Ljóða Edda >
Hávamál
[138] |
24
―
(a)
Questo gallo Víðófnir «dal vasto canto», che compare
soltanto in questo testo e nelle
þulur, appartiene
allo stesso mitologema di altri galli della
mitologia scandinava, come Gullinkambi, che dimora presso gli
Æsir e con il quale va forse
identificato. Le sue strane caratteristiche sono descritte
nelle strofe successive.
― (b) L'aggettivo
veðrglasir è di incerto significato. Henry Adams
Bellows traduce «Víðófnir si chiama | e ora brilla» [Vithofnir
his name | and now he shines] (Bellows
1923), e su questa linea Gianna Chiesa Isnardi
rende il verso con «Víðófnir si chiama | e sta luminoso
nell'aria» (Isnardi 1991).
Eysteinn Björnsson emenda il secondo semiverso in «en
hann stendur Veðurglasi á» e traduce come toponimo: «Víðófnir si chiama | e sta sopra Veðrglasir» [Vithofnir
his name | and he stands upon Vedurglasir]
(Eysteinn 2005). ―
(f)
Riguardo a Sinmara «incubo [che opprime con] crampi»,
sembra essere una gigantessa [gýgr]. Può darsi sia la sposa di
Surtr.
13
―
(d)
Nel testo norreno i due «cani affamati» sono definiti
garmar, plurale del nome di
Garmr, il
ferocissimo cane legato sulla via per
Hel.
― (e-f)
Gli ultimi due semiversi, che in originale suonano «er gífrari hefik
| ǫnga fyrr í lǫndum litit»
sembrano non avere un senso. Henry Bellows traduce
ipoteticamente con «che davanti alla casa | sono così
aggressivi e affamati» [that before the house | so
fierce and angry are]. In genere però i due semiversi
vengono emendati
in: «er gífrir rata | ok varða fyr lundi lim»
«che vanno avanti e indietro | e fanno la guardia al
fogliame dell'albero». L'albero in questione, se la
correzione al testo è giustificata, è forse il
Mímameiðr di
cui si parla alla strofa [20].
14
―
(a-b)
Gífr e
Geri sono i nomi
dei due cani che fanno la guardia al bastione di
Fjǫlsviðr e all'albero
Mímameiðr. Sono probabilmente una variante di
Freki e
Geri, i due lupi
di
Óðinn. ― (d)
Questo semiverso, che in originale è varðir ellifu,
sembra non avere un senso. La parola ellifu, che
vuol dire «undici», viene in genere emendata in elli
lyf «antica cura», con evidente riferimento alle
strofe successive. Così ad esempio Eysteinn Björnsson
traduce l'intera helming: «l'antica cura del guardiano | sempre terranno al
sicuro | finché gli dèi non moriranno» [the guardians'
old-age remedy | they will ever keep safe | until the gods
perish] (Eysteinn 2005),
lasciandoci tuttavia perplessi sia riguardo l'identità del
«guardiano» [varða], sia la natura della sua
«cura», che comunque sembra riferirsi alle proprietà
curative evidentemente attribuite al fogliame
dell'albero
Mímameiðr,
oltre che ai suoi frutti. Altri traduttori rendono il semiverso in
maniera diametralmente opposta. Ad esempio. così Henry
Bellows traduce la stessa helming: «essi sono grossi
| e la loro potenza crescerà | finché gli dèi non saranno
destinati alla morte» [great they are | and their might
will grow | till the gods to death are doomed] (Bellows
1923). Gianna
Chiesa Isnardi la rende invece: «essi qui sempre |
faranno la guardia | fino a che crollino gli dèi»
(Isnardi 1991).
18 ― (a)
La parola vegnbráðir è un hápax legómenon,
comparendo soltanto in questo testo. Di difficile interpretazione, il termine
viene generalmente interpretato come «ali arrostite».
26
―
(a-b)
Lævateinn
«ramo di male», unica arma in grado di uccidere il gallo
Víðófnir, è probabilmente una verga magica, come risulta anche dalle strofe
[27-28], dove l'arma è
chiamata teinn «ramo,
verga, bacchetta» (cfr. gotico tains,
anglosassone tān,
inglese tiny, danese teen). Non stupisce
che questo malefico
strumento sia stato creato da
Loptr (cioè
Loki) utilizzando
rune e incantesimi, e si può senz'altro pensare al
ramoscello di vischio col quale fu ucciso
Baldr. ― (d)
Questo verso è stato variamente interpretato, anche a
causa delle difficoltà legate alla lettura dei
manoscritti. La parola ker può indicare, a seconda
dei contesti, uno scrigno, un calice, un secchio, un
recipiente di qualsiasi tipo, o addirittura il petto di
una persona. L'altra parola, seigjárn, è invece
piuttosto enigmatica e viene in genere interpretata come
un composto di járn «ferro». Le traduzioni in
questo senso variano dunque da uno «scrigno di ferro»
(Isnardi 1991) a un «petto di
ferro» (Eysteinn 2005), in
questo caso attribuito a Sinmara. Altri
hanno inteso la
parola come nome proprio: Hjalmar Falk ritiene che il brano parli
dello scrigno di Sægjarn, nome interpretabile come
«amante del mare», ma privo di riscontri nella letteratura
(Falk 1893). Henry
Bellows emenda il termine in Lægjarn «amante dei
mali» (Bellows 1923), epiteto
applicato a
Loki in
Vǫluspá
[35].
28
―
(f)
L'espressione eiri ǫrglasis, evidentemente una
kenning per Sinmara, è
di difficile interpretazione e gli studiosi hanno cercato
di penetrarla con lambiccate traduzioni. Viktor Rydberg
traduce «dea dall'armilla splendente» [dis of the
shining arm-ring] (Rydberg 1886),
emendando la prima parola eiri nel nome della dea
Eir e quindi
intendendo quest'ultimo come metafora per indicare una
«dea» in generale, in base a un noto procedimento della
poesia scaldica (esemplificato da Snorri in
Skáldskaparmál
[7e-7f]). Henry Bellows riprende la lettura di
eiri come «dea» e traduce l'espressione eiri
ǫrglasis con «dea dell'oro splendente», che lo
studioso considera una
kenning per «donna»
(Bellows 1923). Tuttavia la
traduzione di ǫr con «oro» è però una grave
forzatura, che presuppone un prestito dal
latino aurus o da una forma da esso derivata. Ora,
è vero che in
norreno è attestata una parola aurar
«monete» (che però al singolare è eyrir e nei
composti assume la forma aura-), ma la parola per
«oro» è piuttosto gull, radice che appartiene al
più antico registro delle lingue germaniche (cfr. gotico
gulþ, inglese gold, danese guld). Al
contrario, in norreno ǫr
significa innanzitutto «freccia» (cfr. anglosassone
aruwe, inglese arrow), da cui una traduzione
più attinente della kenning potrebbe essere «dea
dalla freccia splendente». Un'altra possibilità è
intendere il secondo termine come *aurglsis. Poiché aurr è l'«argilla umida»,
l'espressione significherebbe a questo punto
«dea dell'argilla splendente», che non ha maggior senso. Eysteinn Bjǫrnsson intende
il secondo
termine come toponimo, traduce il verso con «dea di Aurglasir» (Eysteinn 2005).
29
―
(f)
Sinmara è detta fǫlva gýgr «pallida
gigantessa» perché probabilmente vive in caverne o tumuli, al riparo della luce
del sole, che potrebbe esserle fatale.
Þórr, in
Alvíssmál [2],
investe il nano dicendogli: «perché sei così pallido
sul naso? | sei stato di notte tra i cadaveri?» [hví
ertu svá fǫlr um nasar? | vartu í nótt með ná?]. La parola fǫlr < fǫlvir
«pallido» appartiene al registro indoeuropeo, essendo
corradicale col latino flavus.
30
―
(a-c)
Versi di difficile interpretazione. Cos'è la «falce lucente [...] che sta nella coda di
Viðofnir»?
Non convince l'ipotesi di Gianna Chiesa Isnardi, secondo la quale
la falce corrisponderebbe alla coda stessa del gallo
(Isnardi 1991). D'altra
parte nulla vieta di ipotizzare che lo stesso
Viðofnir possa
effettivamente portare una vera e propria falce nella
coda (nelle fiabe e nelle leggende si trovano animali
che portano oggetti o strumenti nel loro corpo). Si
tratta in ogni caso di un oggetto particolare, visto che
deve essere portato in una speciale bisaccia. Ma perché
questa falce fa gola a Sinmara,
la quale è disposta a dare in cambio la verga
Lævateinn? Non conosciamo il mito che sta alla base
di questi versi, e qualsiasi interpretazione rimane altamente ipotetica.
32 ―
(a) È il verso stesso ad avvertirci che di
questa sala escatologica ne sappiamo poco, a partire dal suo stesso nome. Lýr
è infatti il pesce merlano [Gadus
pollachius], ragione per cui il nome della sala viene
a volte emendato in Hýr(r) «luminosa», inteso a causa del fuoco che la
circonda (Eysteinn 2005).
34
― I nomi dei costruttori della sala sembrano appartenere a dei nani. Óri e
Dóri sono
citati nella versione di Snorri (Gylfaginning [14e {19}]) del catalogo
dei nani in
Vǫluspá.
Degli altri non c'è notizia nelle fonti, anche se
Íri e Úri
sembrano posti nel novero semplicemente per allitterare
con Óri.
Dellingr
è invece un personaggio delle cosmogonie primordiali, citato in
Vafþrúðnismál
[25] come padre di
Dagr (e ripreso da Snorri in
Gylfaginning
[10]), e fa stupore trovarlo qui. Un collegamento di
questo personaggio col mondo dei nani è però attestato
in Hávamál [150],
dove si dice che il nano Þjóðrǿrir avrebbe cantato dinanzi
«alle porte di Dellingr» [Dellings durum]. Anche Loki
compare curiosamente in questo catalogo di nani.
36
― Lyfjaberg «montagna della
salute» (da lyfja «curare»). Molte immagini e
metafore legate alla fortezza di
Menglǫð sembrano
legati a motivi salutiferi,
compreso il rimedio che sarebbe possibile ricavare dai frutti
dell'albero
Mímameiðr.
38
― Assai poco si può dire sui nomi delle nove fanciulle che
sono accanto a Menglǫð. I nomi sono qui dati secondo
l'edizione di Adams Bellows, che emenda le forme Blíð
e Blíðr, presenti nell'edizione di Sophus Bugge
(Bugge 1867 | Jónnson 1926),
in Bleik e Blíð, seguìto in questo da altri
interpreti (Bellows 1923 | Neckel
1962 | Isnardi 1991). Hlíf vuol dire «protettrice» e
Hlífþrasa
«[colei che] aspira alla protezione» (si confrontino con
Líf e
Lífþrasir, i due giovani che
ripopoleranno il mondo dopo il
ragnarǫk);
Þjóðvarta è un nome oscuro, forse «[colei che]
custodisce il popolo»; Bjǫrt è «splendente»;
Bleik è
«pallida»; Blíð è «amichevole»;
Fríð è «graziosa»,
Eir è «[colei che dà] aiuto»
(ed è la
dea guaritrice degli
Æsir, citata da Snorri in
Gylfaginning [35d]);
Aurboða è
«[colei che] offre l'oro» (nome della gigantessa madre di
Gerðr), ma, se
letto Ǫrboða, è «[colei che] offre la freccia»
(Bellows 1923 | Isnardi 1991). Per gli altri nomi
non rimangono che le possibili etimologie, indicanti attività salutifere.
39-40
― Queste due strofe mancano in uno dei manoscritti.
47
― Chi è questo Sólbjart? Il suo nome vuol dire
«splendore del sole» e
potrebbe assimilarsi allo stesso nome di Svipdagr
«giorno veloce». Ma si tratta del nome proprio di un
personaggio che non conosciamo, o di un epiteto?
|
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Archivio:
Biblioteca - Guglielmo da Baskerville
Sezione: Fonti - Nabū-kudurri-uṣur
Area: Germanica - Brynhilldr |
Traduzione di Luca Taglianetti.
Introduzione e note della Redazione Bifröst. |
|
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Creazione pagina:
01.05.2005
Ultima modifica:
29.11.2014 |
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