LJÓÐA
EDDA |
BALDRS
DRAUMAR |
I SOGNI DI
BALDR |
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Titoli |
Baldrs draumar, «Sogni di Baldr»
Vegtamskviða, «Carme del Viandante» |
Genere |
Poema mitologico |
Voci |
Narrazione e dialogo (2 voci) |
Lingua |
Norreno |
Epoca
|
Composizione:
Redazione: |
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IX-X secolo (?)
Inizi XIV secolo |
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Manoscritti
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[A]
Reykjavík, Stofnun Árna Magnússonar. Codex Arnamagnæanus, ms. AM 748 4to |
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LJÓÐA
EDDA |
BALDRS DRAUMAR |
I SOGNI DI
BALDR |
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Il
poema
|
Vegtamr cavalca verso Hel (✍
1908) |
William Gershom Collingwood (1854-1932). Illustrazione (Bray
1908) |
Il Baldrs Draumar o
«Sogni di Baldr» (o Vegtamskviða
«Carme del Viandante») è una composizione di
argomento mitologico che svolge, in forma di
dialogo sapienziale, alcuni temi relativi al
ciclo di
Baldr.
Attestata unicamente nel Codex Arnamagnæanus,
il breve poema non è compreso nella raccolta del Codex Regius,
ragione per cui viene normalmente
classificato nel corpus della «Eddica
Minora». La dizione non va tuttavia
intesa in senso riduttivo: il Baldrs Draumar è un testo
affascinante, che non
sfigura affatto accanto ai poemi del
Codex Regius, e un'ideale raccolta della
poesia eddica non può assolutamente
ignorarlo.
Il poema svolge la cavalcata
sotterranea di
Óðinn nel regno di
Hel, e
il serratissimo dialogo che questi intreccia con una defunta
veggente [vǫlva], fatta appositamente
risorgere dal gelo della morte affinché
risponda alle sue domande sul tragico fato
di suo figlio
Baldr.
Questo espediente permette di approfondire i
dettagli del mito di
Baldr
attraverso le vaghe e fugaci allusioni
profetiche della vǫlva. L'argomento
del poema è dunque sapienziale, eppure il
gusto dell'erudizione mitologica passa in
secondo piano rispetto al quadro
vivido e fosco della scena infernale.
|
La
redazione
Il Baldrs Draumar è tramandato in un
unico manoscritto, il Codex Arnamagnæanus [A],
redatto agli inizi del XIV secolo e oggi custodito nella biblioteca
dell'Istituto Árne Magnússon, a Reykjavík,
con la segnatura AM 748 I 4°.
Pervenutoci assai frammentario, tale
manoscritto era probabilmente, in origine,
una raccolta di poemi eddici, così come il
più antico e famoso Codex Regius [R].
Nei soli sei fogli conservati, l'Arnamagnæanus
riporta infatti sette composizioni, di cui
sei sono contenute anche nel Regius. La settima, il Baldrs Draumar,
è invece un unicum, presente soltanto
in questo manoscritto, al verso del
primo foglio e al recto del secondo.
Segue l'Hárbarðsljóð
e precede lo
Skírnismál.
Riguardo all'epoca di composizione sussistono seri dubbi. Secondo Sophus Bugge,
il poema, almeno nella forma a noi a
pervenuta, sarebbe piuttosto recente,
databile all'età dello stesso manoscritto
(Bugge 1867).
In epoca più recente, Einar Ólafur Sveinsson,
lo assegna – seppure con un ampio margine di
dubbio – al periodo arcaico della poesia eddica, quindi
tra la fine del IX a tutto il X secolo.
(Sveinsson 1962)
Lo stile del Baldrs Draumar ha molti punti in
comune con quello della Þrymskviða. Addirittura, le
due composizioni inglobano un'identica
sequenza di sei semiversi, quella relativa
al þing
degli dèi (Þrymskviða
[14a-14f] e
Baldrs Draumar [1a-1f]),
anche se il contesto dei due poemi è
piuttosto diverso: nel primo caso gli dèi si stanno
chiedendo come recuperare il martello di
Þórr,
rubato dal gigante
Þrymr, mentre
qui
deliberano sulla natura dei sogni fatti da
Baldr.
Al riguardo, alcuni filologi hanno proposto di
identificare tra loro gli autori dei due
poemi.
D'altra parte,
il Baldrs Draumar rassomiglia, dal punto di vista formale, alla
Vǫluspá, e anche in questo
caso i due poemi presentano una comune sequenza di sei
semiversi (Vǫluspá
[32e-33d] e
Baldrs Draumar [11c-11j]).
Anche qui si potrebbe pensare che i due
testi abbiano un solo autore, ma è assai più
probabile che gli ignoti autori o redattori
delle varie composizioni abbiano attinto,
secondo il loro gusto, a un corpus di
materiale strofico, adattandolo alle proprie
esigenze.
L'estrema brevità del poemetto,
quattordici strofe in tutto, unito al fatto
che alcuni sezioni sembrano semplicemente
giustapposte (si veda la discussione sulla
domanda che permette alla vǫlva di
riconoscere
Óðinn
[infra]),
fa pensare che parecchie sequenze siano
andate perdute. L'impressione è avvalorata
da altre considerazioni, non ultima delle
quali il fatto che il manoscritto spezza due
strofe (la [3]
e la [12])
segnalandole come difettive in numero di
versi.
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Le due pagine manoscritte
che contengono il Baldrs Draumar. Codex Arnamagnæanus,
ms. AM 748 I 4°, ff 1v
e 2r.
Dall'edizione facsimile di Finnur
Jónsson, 1896. |
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Il contesto
Il poema Baldrs Draumar si iscrive nel ciclo di
Baldr
narrato da Snorri nella Prose
Edda. Vediamo in sintesi
il contesto del mito.
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La morte di Baldr (✍
1817) |
Dipinto di
Christoffer Wilhelm
Eckersberg (1783-1853) |
Museo: [Eckersberg]► |
Nel racconto di Snorri,
il sonno di
Baldr
era funestato da sogni premonitori di morte.
Gli
Æsir
si riunirono allora in un
þing e
decisero di cercare protezione per il
dio nei confronti di qualsiasi
minaccia. Sua madre
Frigg
pretese che tutte gli elementi e le creature
promettessero che
non avrebbero mai arrecato del male a
Baldr,
e raccolse tale giuramento dal fuoco e
dall'acqua, dal ferro e dai metalli, dagli
animali, dagli uccelli e dai serpenti, dal
veleno, dalle pietre e da tutte le cose
esistenti. Fatto e proclamato ciò, gli
Æsir presero allora a divertirsi: posto
Baldr
al centro dell'assemblea, gli scagliavano
contro armi, pietre o altri oggetti, e si
meravigliavano nel vedere che il dio
rimaneva indenne con qualunque cosa lo si
bersagliasse. Il livoroso Loki
scoprì però che una pianticella di vischio
non aveva prestato giuramento. Ne trasse
una lancia e la mise in mano al dio cieco
Hǫðr, convincendolo a
celebrare l'invulnerabilità di suo fratello,
e gli indicò dove colpire.
Hǫðr
scagliò la lancia e
Baldr
cadde ucciso. In seguito il cadavere del dio
– insieme a quello della sua sposa
Nanna,
morta di dolore – venne deposto sulla nave
Hringhorni, che venne affidata alle
onde e data alle
fiamme.
Intanto,
Hermóðr
il veloce, figlio di
Óðinn, scese negli inferi per chiedere a
Hel di
restituire la vita a
Baldr.
Penetrato nel palazzo Éljúðnir,
Hermóðr poté incontrare
Baldr
e Nanna,
assisi nella sala da banchetto dei morti. Ma
Hel si
rifiutò di liberare
Baldr,
a meno che tutte le creature della terra non
piangessero la sua dipartita. Subito gli dèi
mandarono messaggeri in tutto il mondo a
chiedere che
Baldr fosse pianto. E tutti lo
fecero: gli uomini, gli animali, la terra,
le pietre, gli alberi e i metalli. Tranne
una gigantessa in una caverna, a nome
Þǫkk, che
rifiutò di versare lacrime per
Baldr.
A causa sua, il dio non poté tornare alla
vita e dovette rimanere negli
inferi. (Gylfaginning [49])
Questo il racconto
narrato da Snorri. Il Baldrs Draumar ne riprende la scena iniziale, il dettaglio degli
incubi che funestano il sonno del dio, ma
poi svolge un episodio affatto nuovo: durante
l'assemblea divina,
Óðinn,
dissimulato sotto il falso nome di
Vegtamr
«viandante»,
scende negli inferi per risvegliare una vǫlva dal sonno della
morte e obbligarla a rivelare quanto essa sa
sul destino che attende
Baldr.
Seppure di malavoglia, la morta donna rivela
quale sarà la tragica sorte del pacifico dio, rivela
chi
sarà a ucciderlo e chi a vendicarlo.
Un'ultima domanda, relativa all'identità
delle fanciulle
che leveranno
il canto funebre per
Baldr, fa' sì che la vǫlva
smascheri
Óðinn e lo cacci rifiutando di
rispondere ad altre domande.
Óðinn
reagisce rivelando l'identità della vǫlva:
non è una donna sapiente, ma piuttosto un
malvagia madre di giganti, quindi ritorna al regno degli dèi.
Il fatto che Snorri non citi questo episodio, fa pensare che
non conoscesse il poemetto. D'altra parte, egli sembra ignorare diversi altri
elementi citati nel Baldrs Draumar. Ad esempio,
non fa alcun riferimento al fatto che la
morte di
Baldr
verrà vendicata da
Váli,
figlio di
Óðinn
e Rindr.
Di tale episodio si accenna oscuramente
nella
Vǫluspá, testo che Snorri aveva ben
presente e cita più volte nel corso della sua opera, ma è solo nel
Baldrs Draumar che viene rivelata
l'identità del vendicatore. È dunque
possibile che Snorri, non disponendo del Baldrs Draumar, non abbia saputo dare un
senso all'oscuro accenno contenuto nella
Vǫluspá e abbia preferito ignorare il
problema. È anche possibile, tuttavia, che alcuni elementi del
Baldrs Draumar siano comunque confluiti per
altra via nella Prose Edda.
Ad esempio, il viaggio ipoctonio di
Hermóðr,
narrato da Snorri, ha molti punti in comune
con quello di
Óðinn
di cui si tratta in questo poemetto. In entrambi i casi, la
cavalcata infernale viene compiuta in groppa
a
Sleipnir, il cavallo a otto zampe
appartenente a
Óðinn,
il quale è in grado di scavalcare con un
balzo i cancelli di Éljúðnir;
nei due
episodi, inoltre, è presente il motivo della visita
alla sala dei banchetti di
Hel: ma
mentre nelpoema
Óðinn
può solo constatare che il salone sia stato
approntato
per accogliere un ospite di riguardo, nel
testo in prosa
Hermóðr
trova
Baldr
e Nanna
già assisi sui loro funebri troni.
D'altra parte, come
abbiamo detto,
il Baldrs Draumar ha molti elementi
in comune con un altro importante poema
eddico, la
Vǫluspá. Il primo punto da
sottolineare, il più ovvio, è che in
entrambi i poemi è una vǫlva,
interrogata da
Óðinn,
a fornire elementi di sapienza mitologica.
Ma mentre il Baldrs Draumar è un dialogo a due
voci, incentrato sulla morte di
Baldr, la
Vǫluspá è un vertiginoso
monologo in cui la vǫlva narra
l'inizio e la fine dell'universo. In questo
più ampio contesto tuttavia, l'episodio
della morte di
Baldr
diventa un tema centrale, e vi è una strofa
– quella appunto sul vendicatore
Váli –
di cui sei semiversi compaiono in forma
pressoché identica nei due poemi (Vǫluspá
[32e-33d] e
Baldrs Draumar [11c-11j]). Certo, vi sono anche delle
differenze altrettanto eclatanti. Ad
esempio, nella
Vǫluspá non è
chiaro se la profetessa sia stata
risvegliata dalla morte, anche se l'ultimo
semiverso, «ora lei s'inabissa» [nú mun hon sǫkkvask],
è forse interpretabile
col ritorno della vǫlva nel tumulo
dal quale è stata risvegliata (Vǫluspá
[66h]). Nel poema d'apertura del Codex
Regius, inoltre, la vǫlva sembra
trattare del destino di
Baldr
al passato. Nel Baldrs Draumar,
invece, la vǫlva si
riferisce a un evento in fieri,
che è prossimo ad accadere, ma a cui –
secondo le rigide leggi del fatalismo
germanico – non è
possibile opporsi in nessun modo.
|
Genere e
metrica
Il Baldrs Draumar è un poema mitologico, svolgendo un
episodio appartenente al ciclo di
Baldr.
Allo stesso tempo, ha carattere
gnomico-sapienziale, riguardando temi di
erudizione inerenti la vicenda
della morte del dio.
Il poema unisce la forma narrativa
(prime quattro strofe) a quella
dialogica (le dieci successive). Queste
riportano via via le domande poste di
Óðinn
e le risposte della vǫlva. Nel
manoscritto manca l'indicazione delle voci (Óðinn kvað «disse
Óðinn»,
vǫlva kvað «disse la vǫlva»),
che viene generalmente integrata nelle
edizioni moderne. L'ultima strofa, la
quattordicesima, contiene entrambe le voci.
Il
metro è il
fornyrðislag o
«metro
antico»,
formato in generale da quattro strofe divise
in due semiversi ciascuna.
Di seguito un esempio della divisione
metrica del
primo verso:
Senn váru æsir allir á þingi
ok ásynjur allar á máli,
ok um þat réðu ríkir tívar,
hví væri Baldri ballir draumar.
ís, er yfir kemr, ǫl, er drukkit er. |
|
Edizioni
italiane
Escludendo le strofe scorporate presenti nelle antologie, la prima traduzione
integrale del Baldrs Draumar è quella presente nel
libro I canti dell'Edda, a cura di Olga Gogala di Leesthal, pubblicato
nella collana «I grandi scrittori stranieri» dalla UTET
(Torino 1939). Riportata con il titolo alternativo di Vetamskvidha [sic], è una traduzione metrica in quartine
di endecasillabi. Sebbene non possa essere considerata una traduzione letterale, è sorretta da un
buon corredo di note.
Convengon gli Asa tutti al giudizio
e le Asìnne tutte al consiglio;
si concertarono i saggi Dei
quai mali sogni sognasse Baldr. |
Segue la traduzione di Alberto Mastrelli, in L'Edda. Carmi norreni,
nella collana «Classici della religione», edita da Sansoni (Firenze 1951, 1982).
Intitolata I sogni di Baldr, è in versi liberi, con le
coppie di
semiversi «cucite» in versi interi. Abbastanza libera, ma rigorosa, fittamente
annotata.
Subito si riunirono tutti gli Asi all'assemblea
e le donne degli Asi tutte a consiglio,
e su ciò discussero quei potenti dèi
perché Baldr facesse dei cattivi sogni. |
A nostra conoscenza, non vi sono altre traduzioni.
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The descent of Odin, un'ode di Thomas Gray
In appendice a questa pagina, riportiamo un'ispirata, suggestiva riscrittura
del
Baldrs draumar, eseguita nel 1761 da Thomas Gray (1716-1771), uno
dei maggiori esponenti del pre-romanticismo inglese, fondatore della cosiddetta
scuola cimiteriale. Ai lettori, il piacere di individuare affinità e differenze
tra il testo originale e la rielaborazione di Gray.
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LJÓÐA
EDDA |
BALDRS DRAUMAR |
I SOGNI DI
BALDR |
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BALDRS DRAUMAR
[VEGTAMSKVIÐA] |
I SOGNI DI BALDR
[CARME DEL VIANDANTE] |
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Discesa di
Óðinn agli inferi |
1
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Senn váru æsir
allir á þingi
ok ásynjur
allar á máli,
ok um þat réðu
ríkir tívar,
hví væri Baldri
ballir draumar. |
Radunati erano tutti gli
æsir in assemblea,
e le ásynjur tutte a discutere,
e si consultarono, gli dèi potenti,
perché facesse
Baldr sogni premonitori di
rovina. |
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2 |
Upp reis Óðinn,
alda gautr,
ok hann á Sleipni
sǫðul of lagði;
reið hann niðr þaðan
niflheljar til;
mætti hann hvelpi,
þeim er ór helju kom. |
Si alzò
Óðinn,
gautr dell'umanità,
e mise la sella a Sleipnir.
Cavalcò giù fino a Niflhel
e incontrò il cane, che veniva da Hel. |
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3
|
Sá var blóðugr
um brjóst framan
ok galdrs fǫður
gól of lengi;
fram reið Óðinn,
foldvegr dunði;
hann kom at hávu
Heljar ranni. |
Era macchiato di sangue davanti sul petto
e
al padre degli incantesimi abbaiò a lungo.
Continuò a cavalcare
Óðinn, il solido suolo
rimbombava;
e all'alta dimora di
Hel arrivò. |
|
|
4 |
Þá reið Óðinn
fyrir austan dyrr,
þar er hann vissi
vǫlu leiði;
nam hann vittugri
valgaldr kveða,
unz nauðig reis,
nás orð of kvað: |
Allora cavalcò
Óðinn verso la porta orientale
dove sapeva che era sepolta una veggente.
Per la strega intonò l'incantesimo,
finché ella costretta, risorse.
Subito parlò la morta: |
|
|
5
|
“Hvat er manna þat
mér ókunnra,
er mér hefir aukit
erfitt sinni?
Var ek snivin snævi
ok slegin regni
ok drifin dǫggu,
dauð var ek lengi”. |
“Chi è colui,
a me sconosciuto,
che al duro viaggio mi costringe?
Sono ricoperta di neve, sferzata dalla pioggia,
e intrisa di rugiada:
da tempo sono morta”. |
|
Le domande di
Óðinn e le risposte della veggente |
6
|
Óðinn kvað: |
Disse
Óðinn: |
|
|
“Vegtamr ek heiti,
sonr em ek Valtams;
segðu mér ór helju,
ek mun ór heimi:
Hveim eru bekkir
baugum sánir,
flet fagrlig
flóuð gulli?” |
“Mi chiamo
Vegtamr, e sono figlio di
Valtamr.
Parlami di Hel: dal mondo
io te lo chiedo.
Per chi sono le panche
giuncate d'anelli
e le belle pareti
ricoperte d'oro?” |
|
|
7
|
Vǫlva kvað: |
Disse la vǫlva: |
|
|
|
“Hér stendr Baldri
of brugginn mjǫðr,
skírar veigar,
liggr skjǫldr yfir,
en ásmegir
í ofvæni;
nauðug sagðak,
nú mun ek þegja”. |
“Qui sta l'idromele preparato per
Baldr,
la chiara bevanda coperta da uno scudo.
I figli degli æsir sono angosciati.
Costretta ho parlato, ora voglio tacere”. |
|
|
8
|
Óðinn kvað: |
Disse
Óðinn: |
|
|
|
“Þegj-at-tu, vǫlva,
þik vil ek fregna,
unz alkunna,
vil ek enn vita:
Hverr mun Baldri
at bana verða
ok Óðins son
aldri ræna?” |
“Non zittirti, veggente! Io chiederò
finché non saprò tutto. Questo voglio ancora sapere:
chi sarà di Baldr l'assassino
e priverà della vita il figlio di
Óðinn?” |
|
|
9 |
Vǫlva kvað: |
Disse la vǫlva: |
|
|
|
“Hǫðr berr hávan
hróðrbaðm þinig,
hann mun Baldri
at bana verða
ok Óðins son
aldri ræna;
nauðug sagðak,
nú mun ek þegja”. |
“Hǫðr
porterà quaggiù il grande eroe;
lui
sarà di Baldr l'assassino
e priverà della vita il figlio di
Óðinn.
Costretta ho parlato, ora voglio tacere”. |
|
|
10 |
Óðinn kvað: |
Disse
Óðinn: |
|
|
|
“Þegj-at-tu, vǫlva,
þik vil ek fregna,
unz alkunna,
vil ek enn vita:
Hverr mun heift Heði
hefnt of vinna
eða Baldrs bana
á bál vega?” |
“Non zittirti, veggente! Io chiederò
finché non saprò tutto. Questo voglio ancora sapere:
chi il misfatto di Hǫðr vendicherà
o l'assassino di Baldr
porterà sul rogo?” |
|
|
11 |
Vǫlva kvað: |
Disse la vǫlva: |
|
|
|
“Rindr berr Vála
í vestrsǫlum,
sá mun Óðins sonr
einnættr vega:
hǫnd of þvær
né hǫfuð kembir,
áðr á bál of berr
Baldrs andskota;
nauðug sagðak,
nú mun ek þegja”. |
“Rindr partorirà Váli in Vestrsalir.
Il figlio di
Óðinn combatterà nato da una
sola notte:
non si laverà le mani né si pettinerà la
testa,
prima che abbia portato sul rogo
l'uccisore di Baldr.
Costretta ho parlato, ora voglio tacere”. |
|
|
12 |
Óðinn kvað: |
Disse
Óðinn: |
|
|
|
“Þegj-at-tu, vǫlva,
þik vil ek fregna,
unz alkunna,
vil ek enn vita:
Hverjar ro þær meyjar,
er at muni gráta
ok á himin verpa
halsa skautum?” |
“Non zittirti, veggente! Io chiederò
finché non saprò tutto. Questo voglio ancora sapere:
chi sono le fanciulle, che canteranno il
lamento funebre
gettando al cielo i loro veli?” |
|
La veggente riconosce
Óðinn |
13 |
Vǫlva kvað: |
Disse la vǫlva: |
|
|
“Ert-at-tu Vegtamr,
sem ek hugða,
heldr ertu Óðinn,
aldinn gautr”. |
“Tu non sei Vegtamr, come mi hai fatto
credere,
piuttosto
Óðinn,
gautr dell'umanità”. |
|
|
Óðinn kvað: |
Disse
Óðinn: |
|
|
“Ert-at-tu vǫlva
né vís kona,
heldr ertu þriggja
þursa móðir”. |
“Tu non sei una veggente,
né una donna sapiente!
Piuttosto sei di tre
giganti la madre”. |
|
14 |
Vǫlva kvað: |
Disse la vǫlva: |
|
|
|
“Heim ríð þú, Óðinn,
ok ver hróðigr,
svá komir manna
meir aftr á vit,
er lauss Loki
líðr ór bǫndum
ok ragna rǫk
rjúfendr koma”. |
“Tornatene a casa,
Óðinn,
a vantare il tuo orgoglio.
Così che nessun altro mi rivedrà più
fino al giorno in cui Loki si libererà dalle sue
catene
e quelli che distruggeranno tutto, verranno per il ragnarǫk”. |
|
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|
Traduzione di Luca Taglianetti |
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|
NOTE
1 —
I primi sei semiversi di questa strofa li ritroviamo,
formalmente identici, in una scena della Þrymskviða, dove gli dèi e
le dee si riuniscono per discutere sul come recuperare il
martello di Þórr,
rubato dal gigante Þrymr.
Senn váru æsir
allir á þingi
ok ásynjur
allar á máli,
ok um þat réðu
ríkir tívar
hvé þeir Hlórriða
hamar of sætti. |
Radunati erano tutti gli
æsir in assemblea,
e le ásynjur tutte a discutere.
E si consultarono, gli dèi potenti,
come di Hlórriði
il martello riprendersi.
|
Ljóða Edda >
Þrymskviða [14] |
Nel Baldrs Draumar, il þing divino è ovviamente finalizzato
a un altro scopo: stabilire se gli inquietanti sogni che
Baldr ha riferito loro, siano premonitori
di una qualche sciagura. E, nel caso, quali provvedimenti
prendere per salvaguardare la vita del dio. Questa scena era
stata già narrata nella Prose
Edda
di Snorri.
En þat er upphaf þessar sǫgu at Baldr inn góða
dreymði drauma stóra ok hættliga um líf sitt. En er
hann sagði ásunum draumana, þá báru þeir saman ráð
sín, ok var þat gert at beiða griða Baldri fyrir
alls konar háska. |
Questa storia ebbe inizio quando
Baldr il buono fece sogni grandiosi e
terribili che riguardavano la sua vita. Egli raccontò questi sogni agli
Æsir,
ed essi si radunarono allora in consiglio e fu deciso di proteggere
Baldr da
ogni tipo di pericolo. |
Snorri
Sturluson: Prose Edda
>
Gylfaginning [49] |
Nel racconto di Snorri, gli dèi sembrano subito consci della
terribile premonizione contenuta nei sogni fatti da
Baldr e subito stabiliscono di proteggere
il dio da ogni tipo di pericolo. Al contrario, in questo
poema, il senso dei sogni sembra rimanere ostico agli dèi e, prima di
prendere qualunque decisione,
Óðinn
stabilisce di recarsi negli inferi per interrogare una defunta
vǫlva, affinché gli sveli il significato di quei sogni
e gli riveli il destino che attende
Baldr.
2 — (a)
Gautr: epiteto
di
Óðinn,
compare due volte in questo poema: in [2a]
e in [13d], nella forma alda/aldinn
gautr «gautr
dell'umanità» (o «antico gautr», come prediligevano le
vecchie traduzioni). Di non facile interpretazione, è probabilmente
inerente a una qualificazione di
Óðinn
come dio o antenato dei Goti.
L'epiteto si connette infatti con la regione del Götland
(Svezia occidentale), toponimo che presuppone la
forma antica Gautar come designazione del
popolo che la abitava (cfr anglosassone
Geātes). Da essi si sarebbero mossi,
intorno al I secolo, genti destinate a formare il
popolo germanico orientale dei Goti (Ostrogoti e
Visigoti). Questo farebbe pensare a un possibile
collegamento con Gapt, il progenitore degli Amali (famiglia reale degli
Ostrogoti) secondo Iordanes (De origine actibusque
Getarum [XIV: 79]). Nel testo, abbiamo
preferito non tradurlo. — (2g-3b)
È il cane che si erge di guardia sulla strada che conduce
negli inferi, secondo un motivo ben conosciuto alla tradizione
di tutto il mondo. Vi corrisponde ovviamente, quale archetipo
classico, il cane a tre teste Kérberos,
che nel mito greco è incatenato alle porte dell'Ade. Questi
animali hanno il compito di impedire
il passaggio, nei due sensi, tra il mondo dei vivi e quello
dei morti.
L'animale che qui compare viene in genere identificato con
Garmr, il cane
incatenato davanti a
Gnipahellir, di cui la
Vǫluspá
[44 | 49 | 58] prevede lo scioglimento alla vigilia del
ragnarǫk. Tale identificazione è tuttavia priva di
elementi probanti, tantopiù che il cane citato nei Baldrs Draumar non risulta
incatenato. Affatto nuovo, invece, è il motivo del
petto insanguinato di questo cane, a indicarne l'assoluta
ferocia e malvagità.
3 — (c)
«Padre degli incantesimi» [galdrs fǫður], splendida
kenning a indicare
Óðinn,
in virtù della sua sapienza e della sua capacità di dominare
gli elementi e le creature con canti magici [galdrar].
Si veda in proposito l'impressionante quadro dei poteri magici del dio in
Ynglingasaga
[7]. — (e) Il
manoscritto marca il quinto semiverso come inizio di una nuova
strofa. Di conseguenza, alcune edizioni moderne combinano in
maniera differente le strofe successive. È probabile che il
testo, così come ci è pervenuto, sia piuttosto lacunoso. — (g-h)
La dimora di
Hel
aveva nome Éljúðnir: era un
palazzo dalla pareti e dal tetto fatti di serpenti
intrecciati, protetto da un'alta quanto impenetrabile
palizzata. Nel suo salone principale, gelido e triste,
sedevano le anime di tutti coloro che, non essendo stati in
vita dei guerrieri, non potevano accedere alla
Valhǫll.
4 —
Questa strofa presenta un interessante quadro delle tecniche
necromantiche e del linguaggio inerente. Che
Óðinn
fosse in grado di far parlare i morti è attestato nell'Hávamál, dove si dice conoscesse un
incantesimo che gli permettesse di discorrere con gli
impiccati:
Ef ek sé á tré uppi
váfa virgilná,
svá ek ríst
ok í rúnum fák
at sá gengr gumi
ok mælir við mik. |
Se io vedo su un albero in alto
un impiccato oscillare,
in tal modo incido
e in rune dipingo
così che quell'uomo cammini
e parli con me.
|
Ljóða Edda >
Hávamál
[157] |
Anche Snorri ricorda che
Óðinn
«a volte resuscitava dalla terra i morti o si sedeva sotto i
corpi penzolanti dalle forche; perciò era detto signore degli
spiriti dei morti o degli impiccati» [en stundum vakti hann
upp dauða menn or jǫrðu, eða settist undir hanga; fyrir því
var hann kallaðr drauga dróttinn eða hanga dróttinn]
(Ynglingasaga [7]). —
(g) Valgaldr,
letteralmente «incantesimo dei caduti», è il termine qui
attribuito al canto magico in grado di resuscitare i morti. —
(h) Letteralmente:
«pronunciò parole di cadavere». Nás orð sono le parole
pronunciate da un defunto.
6 — (a-b)
Óðinn
si presenta alla vǫlva con due epiteti piuttosto
trasparenti.
Vegtamr
è «aduso alle vie», dunque
«viandante», con riferimento al carattere pellegrino e
vagabondo del dio.
Valtamr,
che nella presentazione fatta dal dio sarebbe il presunto
padre di
Vegtamr,
è anch'esso epiteto inerente alla natura del dio:
«aduso [alla scelta] dei caduti».
Il fatto che
Óðinn debba nascondere la sua identità è, in questo
caso, abbastanza logico, visto che a quanto pare la vǫlva
appartiene alla razza dei giganti
[13] e potrebbe non volere rispondere alle domande di
un dio. — (e-h) «Per chi sono le panche
giuncate d'anelli
e le belle pareti
ricoperte d'oro?» è la prima
domanda che
Óðinn
pone alla vǫlva. Il dio si riferisce al salone del
palazzo di Hel, nel quale
egli ha avuto evidentemente modo di gettare un'occhiata mentre
vi cavalcava accanto. Il salone è stato addobbato per una
festa di benvenuto, segno evidente che in
Éljúðnir fervono i preparativi
per accogliere un ospite di rango.
Óðinn
teme possa trattarsi di
Baldr, e la risposta della vǫlva
conferma i suoi timori.
7 — (d) Uno
scudo è qui usato come coperchio del calderone dell'idromele,
forse per proteggerlo dal malocchio? (Gering
1927-1931). — (g-h)
«Costretta ho parlato, | ora voglio tacere» [nauðug sagðak,
|
nú mun ek þegja]: la formula conclusiva nelle risposte della vǫlva
esprime l'estrema riluttanza dei morti a essere risvegliati e
obbligati a rivelare i segreti a loro accessibili. Nel manoscritto, tale formula è
indicata con un acrostico
nelle strofe [9] e
[11].
8 — (a-c)
«Non zittirti, veggente! | Io chiederò | finché non saprò
tutto» [Þegj-at-tu, vǫlva, |
þik vil ek fregna, |
unz alkunna]: all'accorata preghiera della vǫlva di tornare al suo
sonno di morte, corrisponde la formula imperiosa con la quale
Óðinn
la obbliga a parlare. Nel manoscritto, tale formula è indicata
con un acrostico nelle strofe [10] e
[12].
9 — (a-f).
Cfr.
Prose Edda
> Gylfaginning
[49]. Per i dettagli, vedi l'introduzione [supra].
11 — (a-f).
Del dio
Váli, Snorri dice semplicemente: «Áli o
Váli si chiama un áss figlio di
Óðinn e di Rindr. Egli è coraggioso in battaglia e un esperto tiratore» [Áli eða Váli heitir einn, sonr
Óðins ok Rindar. Hann er djarfr í
orrostum ok mjǫk happskeytr].
Detto questo, Snorri ignora del tutto il ruolo di questo dio
quale vendicatore di
Baldr, nonostante il motivo sia citato in
un passo della
Vǫluspá:
Baldrs bróðir vas
of borinn snimma,
sá nam Óðins sonr
einnættr vega. |
Era il fratello di
Baldr
nato precocemente;
il figlio di
Óðinn
vecchio di una notte combatté. |
Þó hann æva hendr
né hǫfuð kembði,
áðr á bál of bar
Baldrs andskota. |
Non lavò mai le mani
né si pettinò il capo
finché non trascinò sul rogo
il nemico di
Baldr. |
Ljóða Edda >
Vǫluspá
[32-33] |
La somiglianza tra
Vǫluspá
[32e-33d] e
Baldrs Draumar [11c-11j] mostra
che entrambi i passi dipendono da una fonte comune.
Baldrs bróðir vas
of borinn snimma,
sá nam Óðins sonr
einnættr vega. |
|
Rindr berr Vála
í vestrsǫlum,
sá mun Óðins sonr
einnættr vega: |
Þó hann æva hendr
né hǫfuð kembði,
áðr á bál of bar
Baldrs andskota. |
|
hǫnd of þvær
né hǫfuð kembir,
áðr á bál of berr
Baldrs andskota... |
Tra l'altro, è proprio dal confronto tra i due poemi che si
evince che sia proprio
Váli l'anonimo personaggio a cui il sopracitato
passo della
Vǫluspá attribuisce la
vendetta dell'assassinio di
Baldr. È possibile che, in
qualche fase di interpolazione del passo nella
Vǫluspá,
sia caduto il verso in cui il vendicatore
veniva presentato come
Váli. Tale verso è stato invece conservato nel Baldrs Draumar; se non
disponessimo di quest'ultimo testo, dunque, avremmo
serie difficoltà a comprendere a chi si riferisca la
Vǫluspá. Forse Snorri
non conosceva il Baldrs Draumar, ragione per
cui evitò di citare la presenza di un vendicatore di cui non comprendeva
l'identità. Sembra comunque evidente che il brano originale sia pervenuto mutilo
in entrambi i testi. Nel caso del Baldrs Draumar,
si nota che l'aggiunta della formula di chiusura «Costretta ho
parlato, | ora voglio tacere» porta la strofa a dieci
semiversi, in luogo dei canonici otto. Questo suggerisce
ancora una volta che il testo originale sia stato oggetto di
pesanti manomissioni. — (b)
Vestrsalir «sale d'occidente»: questo toponimo, dimora
di Rindr, non è citato in nessun'altra
fonte.
12 —
Chi sono queste misteriose fanciulle che intonano il canto
funebre e gettano al cielo i loro veli? Sophus Bugge rimanda
alla scena del funerale di Baldr
narrata da Snorri:
En æsirnir tóku lík Baldrs ok fluttu til sævar. Hringhorni hét skip Baldrs. Hann
var allra skipa mestr [...]. Þá var borit út á skipit lík Baldrs, ok er þat sá
kona hans, Nanna Nepsdóttir, þá sprakk hon af harmi ok dó. Var hon borin á bálit
ok slegit í eldi. |
Gli
Æsir in seguito presero il corpo di
Baldr e lo condussero al mare.
Hringhorni si chiamava la nave di Baldr e di tutte era la più grande
[...].
Venne allora posto
sulla nave il corpo di Baldr e quando lo vide sua moglie,
Nanna figlia di Nepr, per il dolore il
cuore le cedette e morì. Fu posta anche ella sulla pira e venne appiccato il
fuoco. |
Snorri
Sturluson:
Prose Edda
>
Gylfaginning [49] |
Sulla scolta di questo brano, Bugge identifica le fanciulle
citate da
Óðinn come le nove figlie di
Ægir e
Rán, personificazioni
delle onde del mare, che sollevano la nave Hringhorni
in modo che la vela arrivi a toccare il cielo, e vi vede un
parallelo con Teti e le figlie di Nereo che piangono Achille
(Bugge 1881-1889). Skaut,
in norreno, è un lenzuolo, un velo, un mantello, o la vela di
una nave; e secondo Gustav Neckel, però, l'espressione halsa skaut
indicherebbe tanto il «fazzoletto da collo» che la «scotta
della vela» (Neckel 1962). H.A. Bellows traduce in quest'ultimo
senso: «Chi sono le fanciulle | che leveranno lamenti | e
getteranno al cielo | i pennoni delle vele?» [What maidens
are they | who then shall weep, | and toss to the sky | the
yards of the sails?] (Bellows 1923).
Più attendibile ancora, il suggerimento di Finnur Jónnson,
tuttavia, il quale spiega halsa skaut come
kenning per la schiuma del mare proiettata in alto dalle
onde (Egilsson ~
Jónsson 1860). (Ránar
skaut «velo di
Rán» è infatti una
nota
kenning per «onde». (Cleasby ~
Vigfússon 1874))
13 —
Che cosa ha permesso alla vǫlva di riconoscere
Óðinn? La domanda che questi le
aveva posto in [12] – chi siano
le fanciulle che avrebbero intonato per
Baldr il canto funebre –
non sembra infatti così significativa da suscitare lo
smascheramento del dio. Il parallelo va al certamen di sapienza tra
Óðinn e il gigante
Vafþrúðnir; anche
qui
Óðinn si è presentato sotto
mentite spoglie, ma quando chiede al gigante: «Che cosa disse
Óðinn, |
a chi saliva sul rogo |
lui stesso nell'orecchio del
figlio?» (Vafþrúðnismál [54]),
viene immediatamente riconosciuto. È evidente che solo
Óðinn può rispondere a un
simile indovinello:
Vafþrúðnir scopre
l'identità del suo sfidante, ma intanto ha perduto la gara. Se
nel Vafþrúðnismál le
domande scambiate tra
Óðinn e il gigante hanno lo scopo di mettersi la prova l'un l'altro, nel
Baldrs Draumar hanno una
ragione informativa:
Óðinn chiede alla vǫlva
quanto desidera sapere sul destino di suo figlio.
Ma non è chiaro che cosa, nella banale domanda sull'identità
delle prefiche di
Baldr, permetta alla
vǫlva di smascherare
Óðinn. Sembra ragionevole presumere
che la domanda giusta, quella destinata a suscitare il
riconoscimento del dio, fosse in realtà la stessa già posta da
Óðinn e
Vafþrúðnir. La
medesima domanda viene pure formulata in
una scena nella Hervarar saga ok Heiðreks,
dove
Óðinn, qui anche qui
dissimulato sotto una
falsa identità,
intrattiene re Heiðrekr
con un gioco di indovinelli; e quand'egli chiede: «Che
cosa disse
Óðinn |
all'orecchio di Baldr |
prima che fosse issato sul rogo?»,
il re riconosce il dio e tenta di colpirlo (Hervarar
saga ok Heiðreks [10]). È evidente che tale
motivo che doveva essere ben noto alla poesia
norrena. È dunque possibile che, in un ipotetico antigrafo del
Baldrs Draumar,
Vegtamr
chiedesse alla vǫlva, alla fine di una lunga serie di
domande riguardo al destino di
Baldr, che cosa avrebbe
mormorato
Óðinn all'orecchio del figlio
morto, e che da questa domanda la veggente avrebbe riconosciuto il
dio; in seguito, quando il poema venne redatto nella sua forma
a noi nota, è possibile che questa parte sia andata perduta
e i versi riguardanti la domanda di
Óðinn sull'identità delle prefiche di
Baldr e riguardanti il
riconoscimento da parte della vǫlva siano stati disposti l'una di seguito
all'altro per semplice giustapposizione.
Va anche notate che
il manoscritto del Codex Arnamagnæanus
contrassegna il quinto semiverso [12e]
come incipit di una nuova strofa, evidenziando
la possibile presenza di una lacuna. — (d)
Aldinn gautr
«antico gautr»: v. nota 2
[supra]. —
(g-h) «Piuttosto sei di tre
giganti la madre»:
Óðinn risponde al
riconoscimento da parte della vǫlva identificandola a
sua volta come un essere appartenente alla stirpe dei giganti.
Alberto Mastrelli suggerisce si tratti forse di
Angrboða,
madre di Fenrir,
Hel e
Jǫrmungandr
(Mastrelli 1951).
|
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Thomas Gray |
THE DESCENT OF ODIN.
AN ODE |
LA DISCESA DI ODIN.
UN'ODE |
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THE DESCENT OF ODIN. AN ODE |
LA DISCESA DI ODIN. UN'ODE |
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5
10
15
|
Uprose the King of Men with speed,
And saddled straight his coal-black steed;
Down the yawning steep he rode,
That leads to Hela's drear abode.
Him the dog of darkness spied,
His shaggy throat he opened wide,
While from his jaws, with carnage filled,
Foam and human gore distilled:
Hoarse he bays with hideous din,
Eyes that glow and fangs that grin;
And long pursues with fruitless yell
The father of the powerful spell.
Onward still his way he takes,
(The groaning earth beneath him shakes,)
Till full before his fearless eyes
The portals nine of hell arise. |
S'alzò il Re degli Uomini rapidamente,
e sellò subito il suo destriero nero carbone;
scese cavalcando il pendio aperto
che conduce alla terribile dimora di Hela.
Lo spiò il cane delle tenebre,
la sua gola pelosa spalancò,
mentre dalle sue mascelle, piene di carneficina,
gocciolavano schiuma e sangue umano:
abbaia rauco con spaventoso frastuono,
occhi che rifulgono e zanne che ghignano;
e a lungo insegue con vane grida
il padre dei possenti incantesimi.
Continua il suo cammino,
(trema sotto di lui la terra che geme)
fino a che dinanzi ai suoi occhi impavidi
si innalzano le nove porte dell'inferno. |
|
20
25 |
Right against the eastern gate,
By the moss-grown pile he sate,
Where long of yore to sleep was laid
The dust of the prophetic maid.
Facing to the northern clime,
Thrice he traced the runic rhyme;
Thrice pronounced, in accents dread,
The thrilling verse that wakes the dead;
Till from out the hollow ground
Slowly breathed a sullen sound. |
Proprio di fronte al cancello orientale,
Si sedette accanto al pilastro coperto di muschio,
Dove anticamente fu messa a dormire
La polvere della vergine profetica.
Rivolto al clima nordico,
tre volte tracciò la rima runica;
tre volte pronunciò, in terribili accenti,
il verso acuto che sveglia i morti;
finché dal terreno incavato,
un suono cupo lentamente trapelò. |
|
|
Pr. |
Profetessa: |
|
30
35 |
“What call unknown, what charms, presume
To break the quiet of the tomb?
Who thus afflicts my troubled sprite,
And drags me from the realms of night?
Long on these mouldering bones have beat
The winter's snow, the summer's heat,
The drenching dews, and driving rain!
Let me, let me sleep again.
Who is he, with voice unblest,
That calls me from the bed of rest?” |
“Quale richiamo sconosciuto, quali incanti, osano
rompere la quiete della tomba?
Chi affligge in tal maniera il mio spirito turbato,
e mi trascina fuori dai reami della notte?
A lungo su queste ossa in sfacelo hanno battuto
la neve dell'inverno, il calore dell'estate,
la rugiada che inzuppa e la pioggia che precipita!
Lasciami, lasciami dormire ancora.
Chi è colui che, con voce sacrilega,
mi chiama dal letto del riposo?” |
|
|
O. |
Odin: |
|
40 |
“A Traveller, to thee unknown,
Is he that calls, a Warrior's son.
Thou the deeds of light shalt know;
Tell me what is done below,
For whom yon glittering board is spread,
Dressed for whom yon golden bed.” |
“Un Viaggiatore , a te ignoto,
è colui che chiama, figlio di un Guerriero.
Conoscerai gli atti della luce,
dimmi cosa succede qui sotto,
per chi sono apparecchiate le tavole splendenti,
per chi rivestito quel letto dorato.” |
|
|
Pr. |
Profetessa: |
|
45
50 |
“Mantling in the goblet see
The pure beverage of the bee,
O'er it hangs the shield of gold;
'Tis the drink of Balder bold:
Balder's head to death is given.
Pain can reach the sons of Heaven!
Unwilling I my lips unclose:
Leave me, leave me to repose.” |
“Vedi ammantata nella coppa
la pura bevanda delle api,
pende sopra di essa lo scudo d'oro;
è la bevanda del fiero Balder:
la testa di Balder è consegnata alla morte.
Il dolore può raggiungere i figli celesti!
Riluttante ho dischiuso le mie labbra:
lasciami, lasciami riposare.” |
|
|
O. |
Odin: |
|
|
“Once again my call obey.
Prophetess, arise and say,
What dangers Odin's child await,
Who the author of his fate.” |
“Obbedisci di nuovo al mio richiamo.
Profetessa, alzati e parla,
Quali pericoli aspettano il figlio di Odin,
chi l'autore del suo fato?” |
|
|
Pr. |
Profetessa: |
|
55 |
“In Hoder's hand the hero's doom:
His brother sends him to the tomb.
Now my weary lips I close:
Leave me, leave me to repose. |
“Nella mano di Hoder sta il destino dell'eroe:
suo fratello lo manderà alla tomba.
Ora chiudo le mie labbra stanche:
lasciami, lasciami riposare.” |
|
|
O. |
Odin: |
|
60 |
“Prophetess, my spell obey,
Once again arise and say,
Who the avenger of his guilt,
By whom shall Hoder's blood be spilt.” |
“Profetessa, obbedisci al mio incantesimo,
àlzati di nuovo e parla,
chi sarà il vendicatore della sua colpa,
da chi sarà versato il sangue di Hoder?” |
|
|
Pr. |
Profetessa: |
|
65
70 |
“Pr. In the caverns of the west,
By Odin's fierce embrace compressed,
A wondrous boy shall Rinda bear,
Who ne'er shall comb his raven-hair,
Nor wash his visage in the stream,
Nor see the sun's departing beam:
Till he on Hoder's corse shall smile
Flaming on the funeral pile.
Now my weary lips I close:
Leave me, leave me to repose.” |
“Nelle caverne occidentali,
stretta dall'ardente abbraccio di Odin,
un ragazzo meraviglioso Rinda partorirà,
che non si pettinerà i capelli neri corvini,
né si laverà il volto nel ruscello,
né vedrà gli ultimi raggi del sole:
prima che sul cadavere di Hoder sorrida
la fiamma del rogo funereo.
Ora chiudo le mie labbra stanche:
lasciami, lasciami riposare.” |
|
|
O. |
Odin: |
|
75
80 |
“Yet a while my call obey.
Prophetess, awake and say,
What virgins these, in speechless woe,
That bend to earth their solemn brow,
That their flaxen tresses tear,
And snowy veils, that float in air.
Tell me whence their sorrows rose:
Then I leave thee to repose.” |
“Ancora per un po' obbedisci al mio richiamo. Profetessa, svegliati e parla,
chi sono queste vergini, in muto dolore, che piegano le loro solenni fronti
a terra,
che si strappano le trecce biondissime, e i veli bianchi come la neve, che
fluttuano in aria.
Dimmi da dove provengono le loro sofferenze:
poi ti lascerò riposare.” |
|
|
Pr. |
Profetessa: |
|
|
“Ha! no Traveller art thou,
King of Men, I know thee now,
Mightiest of a mighty line—” |
“Ha! non sei un Viaggiatore,
Re degli Uomini, ti riconosco ora,
Il più potente di una potente stirpe...” |
|
|
O. |
Odin: |
|
85 |
“No boding maid of skill divine
Art thou, nor prophetess of good;
But mother of the giant-brood!” |
“Non donna di abilità divina nel presagire,
sei tu, né profetessa del bene;
ma madre della razza dei giganti!"” |
|
|
Pr. |
Profetessa: |
|
90 |
“Hie thee hence and boast at home,
That never shall enquirer come
To break my iron-sleep again,
Till Lok has burst his tenfold chain;
Never, till substantial Night
Has reassumed her ancient right;
Till wrapped in flames, in ruin hurled,
Sinks the fabric of the world.” |
“Vattene da qui svelto e vàntati a casa tua,
che nessun indagatore verrà
di nuovo a rompere il mio sonno di ferro,
finché Lok avrà distrutto le sue catene dieci volte;
mai più, fino a che la grande Notte
avrà ripreso il suo antico diritto;
fino a che avvolto dalle fiamme, gettato in rovina,
affonderà l'edificio del mondo.” |
|
|
|
|
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|
|
Traduzione di Luca Taglianetti |
|
|
Bibliografia
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BIBLIOGRAFIA ► |
|
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Archivio:
Biblioteca - Guglielmo da Baskerville
Sezione: Fonti - Nabū-kudurri-uṣur
Area: Germanica - Brynhilldr |
Traduzione di Luca Taglianetti.
Introduzione e note di Luca
Taglianetti e Dario Giansanti. |
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Creazione pagina:
24.11.2008
Ultima modifica:
29.11.2014 |
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Tutti i diritti riservati |
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