1 -
IL PATTO
ra l'inizio del tempo. Il
Miðgarðr era stato appena stabilito e
l'aula di Valhǫll innalzata. Gli
Æsir si sentivano però poco sicuri.
La recinzione di legno della loro vecchia cittadella era stata infranta dai
Vanir, nel corso della guerra che
aveva opposto l'una all'altra le due stirpi divine. Ma cosa sarebbe accaduto se
i hrimþursar, o i
bergrisar, avessero dato la scalata alla dimora degli
dèi?
Un giorno, un artigiano giunse presso gli
Æsir e si offrì di costruire, in soli
tre misseri, una roccaforte di pietra intorno alla cittadella, così
solida e ben fatta, disse, che avrebbe resistito all'azione dei più possenti
giganti, se mai un giorno avessero violato i confini del
Miðgarðr. In cambio del suo lavoro,
però, pretese la dea Freyja, e anche di
prendersi il sole e la luna.
Gli dèi si riunirono nel þing per discutere sulla
proposta.L'artigiano apparteneva alla stirpe degli jǫtnar. E gli
Æsir, è evidente, non avevano
alcuna voglia di spogliare il cielo del sole e della luna, né di mandare la
splendida Freyja nello
Jǫtunheimr.
Dopo aver a lungo discusso tra loro, gli
Æsir riferirono all'artigiano che
avrebbe avuto ciò che aveva chiesto soltanto se avesse ultimato la costruzione
nel volgere di un solo misseri. Avrebbe lavorato tutto l'inverno: ma se
il primo giorno d'estate una qualche parte della fortezza fosse stata
incompiuta, avrebbe perduto ogni diritto sulla ricompensa. Inoltre, egli doveva
eseguire il lavoro da solo, senza ricevere aiuto da alcuno. Gli
Æsir ritenevano che, a tali
condizioni, lo jǫtunn non sarebbe mai riuscito a completare l'opera nei tempi
previsti e, con l'arrivo dell'estate, avrebbero liquidato il costruttore e si
sarebbero trovati con una buona parte del lavoro già compiuta.
L'artigiano accettò, a patto che gli fosse permesso di farsi
aiutare dal suo cavallo, Svaðilfǿri.
Gli Æsir si domandarono se in
questa richiesta non si celasse qualche tranello.
Loki fece da intermediario tra le due parti
e propose agli dèi di accettare la condizione. L'artigiano, che era uno
jǫtunn e non si sentiva tranquillo in mezzo agli
Æsir (soprattutto se fosse tornato
Þórr, che in quei giorni era in oriente a
combattere i troll), pretese, dietro molti giuramenti, che gli dèi gli
garantissero l'incolumità per tutto il tempo che fosse rimasto presso di loro e
si impegnassero a onorare l'accordo qualora i termini venissero rispettati.
Tra i Germani, l'anno era diviso in due misseri o «stagioni»
semestrali: l'inverno e l'estate. L'artigiano si propone completare la fortezza
in tre misseri, dunque in un anno e mezzo: inverno, estate e inverno. Gli
Æsir gli concedono un solo
misseri: il lavoro dovrà essere compiuto entro il semestre invernale. |
|
2 -
LA COSTRUZIONE PROCEDE
artigiano cominciò il suo lavoro il primo
giorno d'inverno e in men che non si dica le mura di Ásgarðr
cominciarono a crescere a vista d'occhio. Durante la notte,
Svaðilfǿri trasportava una gran
quantità di pietre fino ai cantieri. Agli
Æsir parve straordinario quanto quelle pietre fossero grandi e pesanti
quelle pietre, e parve loro che metà del lavoro fosse svolto dal possente
destriero. E mentre l'inverno procedeva, gli dèi cominciarono a preoccuparsi.
Avevano siglato i loro accordi con giuramenti solenni e inoppugnabili
testimonianze, e non potevano tirarsi indietro nel caso lo jǫtunn avesse
concluso la sua parte di lavoro nei tempi stabiliti.
|
Svaðilfǿri avverte il richiamo di Loki
(✍ 1909) |
Dorothy Hardy. Illustrazione
(Guerber 1909) |
Così, mentre l'inverno volgeva lentamente al termine,
l'edificazione della fortezza avanzava a ritmo serrato. Le mura erano talmente
alte e solide che nessuno sarebbe mai riuscito a espugnarle. E quando mancavano
ormai soltanto tre giorni all'inizio dell'estate, la costruzione della fortezza
era arrivata quasi ai cancelli. Allora gli
Æsir indissero una nuova assemblea e si chiesero l'un l'altro come
avessero potuto accettare un patto così disastroso. Chi poteva aver consigliato
di consegnare agli jǫtnar Freyja, compagna
di Óðr, e di distruggere il cielo
privandolo del sole e della luna? Era evidente che tale consiglio era uscito
dalla bocca di Loki, che da sempre è la
causa dei peggiori malanni. Gli dèi lo aggredirono e gli dissero che lo
avrebbero condannato a una morte terribile, a meno che non avesse fatto in modo
che l'artigiano perdesse il diritto al compenso. Spaventato dalle minacce,
Loki giurò che avrebbe fatto in modo che
l'artigiano non adempiesse ai suoi impegni.
Così ricorda infatti la vǫlva:
— Andarono allora gli dèi tutti
divinità santissime
chi avesse nell'aria
e alla progenie dei giganti |
|
ai troni del giudizio
e su questo deliberarono:
immesso il male
dato la compagna di Óðr. |
|
3 - SVAÐILFǾRI S'IMBIZZARRISCE
uella stessa notte, mentre
Svaðilfǿri trainava un gran
quantità di pietre verso la fortezza, sotto l'occhio vigile e soddisfatto
dell'artigiano, una giumenta uscì dal bosco e nitrì più volte.
Quando lo stallone si avvide che si trattava di una cavalla, s'imbizzarrì.
Invano l'artigiano cercò di trattenerlo.
Svaðilfǿri ruppe le redini e
inseguì la giumenta fin dentro la foresta.
I due cavalli s'inseguirono per tutta la notte e, nonostante i suoi sforzi
disperati, l'artigiano ne perse le tracce. All'alba, se ne tornò mesto alla
fortezza, la fissò, e si rese subito conto che non sarebbe più riuscito a
completarla nei tempi stabiliti. Allora fu preso dallo jǫtunmóðr, la
furia dei giganti, e si avventò contro gli dèi.
Quando ebbero la certezza che l'artigiano era un
bergrisi, gli
Æsir invocarono
Þórr. Questi comparve immediatamente,
roteando il Mjǫllnir. E fu a suon di
martellate, e non certo con il sole e la luna, che pagò il compenso
all'artigiano. Al primo colpo gli frantumò il cranio in mille pezzi e lo
sprofondò sotto il Niflhel.
Come dice la vǫlva:
— Là solo Þórr si
levò
non indugiò un istante
Ruppero i giuramenti,
ogni possente patto |
|
gonfio di furore:
quando seppe tali fatti.
le parole e i sacri voti,
che tra loro avevano stretto. |
|
4 - NASCITA DI SLEIPNIR
oco tempo dopo, abbandonate le sembianze della giumenta,
Loki tornò in
Ásgarðr. Si era comportato in modo
tale, con Svaðilfǿri, che in
seguito partorì e diede alla luce un puledro.
Il cavallino era grigio, e aveva otto zampe. Era velocissimo, e nessun altro
destriero poteva stargli dietro. Gli fu messo nome
Sleipnir, e divenne la cavalcatura
abituale di Óðinn. Lo si reputa il
miglior cavallo esistente fra gli dèi e gli uomini, e da lui sono discesi molti
portentosi destrieri.
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Fonti
|
|
I - LE
«SOLIDE»
BASI DI UNA FORTEZZA
Il racconto della costruzione delle mura di
Ásgarðr è riferito da Snorri nel
quarantaduesimo capitolo della
Gylfaginning.
Gangleri domanda: «Chi possiede quel
cavallo, Sleipnir, e cosa c'è da dire
su di esso?», e la risposta è appunto il racconto qui riportato. La base, invero
non molto solida, di questa narrazione, si trova in due affrettate strofe della
Vǫluspá,
tra l'altro non necessariamente collegate tra loro:
Þá gengu regin ǫll
á rǫkstóla,
ginnheilǫg goð,
ok gættusk of þat,
hverr hefði lopt alt
lævi blandit
eða ætt jǫtuns
Óðs mey gefna. |
Andarono allora gli dèi tutti
ai troni del giudizio
divinità santissime
e su questo deliberarono:
chi avesse l'aria
intriso di sventura
e alla stirpe dei giganti
dato la fanciulla di Óðr. |
Þórr einn þar vá
þrunginn móði,
hann sjaldan sitr,
es slíkt of fregn;
á gengusk eiðar,
orð ok særi,
mál ǫll meginlig,
es á meðal fóru. |
Là solo Þórr si
levò
gonfio di furore:
non indugiò un istante
quando seppe tali fatti.
Ruppero i giuramenti,
le parole e i sacri voti,
ogni possente patto
che fra loro avevano stretto. |
Ljóða Edda >
Vǫluspá [25-26] |
È Snorri ad
associare queste due strofe al racconto della costruzione delle mura di
Ásgarðr. Senza la sua autorità, sarebbe
stato arduo stabilire una relazione tra l'enigmatica scena di
Vǫluspá [25-26] e il mito narrato in
Gylfaginning [42]. Anche così, tuttavia, qualche dubbio rimane. Nelle
due strofe della
Vǫluspá, ad esempio, non si parla mai della
costruzione della mura dell'Ásgarðr.
Essi si limitano ad accennare a una vicenda indefinita, senza spiegarla in alcun
modo, senza una base che la sostenga e le dia significato. È Snorri a fornire
tale base: ma fino a che punto possiamo fidarci della sua interpretazione?
Ad esempio, riguardo al contesto temporale della
vicenda, Snorri afferma sia avvenuta agli inizi del tempo:
La
Vǫluspá, invece, colloca le strofe
[25-26]
subito dopo quelle relative alla guerra tra
Æsir e Vanir
[23-24], senza però fornire alcun legame tra le due
scene. Ma è bastata questa semplice giustapposizione per suggerire alcune
ingegnose interpretazioni. Ad esempio, poiché, in
Vǫluspá [24] si dice che i
Vanir infransero la palizzata di legno
che circondava la città degli Æsir,
si ritiene che la costruzione della mura dell'Ásgarðr (presumendo che
Vǫluspá [25-26] implichi l'intero mito di
Gylfaginning [42]) fosse in realtà una ri-costruzione della
fortificazione, questa volta non più in legno, ma in pietra. Si tratta di
un'interpretazione molto diffusa in letteratura (Isnardi
1991), a cui ci siamo attenuti anche noi nella nostra sintesi.
Ma per comprendere in quale modo Snorri abbia
lavorato sul suo materiale, riprendiamo qui la seconda parte della strofa
Vǫluspá [25], dove gli dèi, riuniti nel þing, si
chiedono...
...hverr hefði lopt alt
lævi blandit
eða ætt jǫtuns
Óðs mey gefna. |
...chi avesse l'aria
intriso di sventura
e alla stirpe dei giganti
dato la fanciulla di Óðr. |
Ljóða Edda >
Vǫluspá [25e-25h] |
Questi versi vengono rielaborati così da Snorri in
forma prosastica:
...Ok spurði hverr annan hverr því hefði
ráðit at gipta Freyju í Jǫtunheima eða spilla loptinu ok himninum svá at taka
þaðan sól ok tungl ok gefa jǫtnum. |
[Gli dèi] si chiesero l'un l'altro chi
avesse consigliato di consegnare Freyja
allo Jǫtunheimr o di annientare aria
e cielo privandoli del sole e della luna per consegnarli ai giganti. |
Snorri Sturluson: Prose Edda
> Gylfaginning [42] |
|
I giganti portano via Freyja
(✍ 1910) |
Arthur
Rackham (1867-1939). Illustrazione. |
Nella rielaborazione di Richard Wagner dei miti
nordici, costruttori della mura di Ásgarðr sono i giganti Fasolt e Fafner. Essi
portano via Freyja, che nel ciclo operistico wagneriano assume su di sé le
caratteristiche e gli attributi di Iðunn. |
È molto interessante mettere in parallelo i versi dell'Ljóða Edda
con la lettura che ne dà Snorri. Ma entriamo nel dettaglio.
La «compagna di Óðr» [Óðs mær],
che nella
Vǫluspá rischia di essere consegnata ai giganti, è la dea
Freyja. Anche nella versione di Snorri,
l'artigiano [smiðr] giunto a innalzare le mura della fortezza, la
pretende in cambio del proprio lavoro.
Assai più delicato, nella
Vǫluspá, è il punto dove gli dèi si
chiedono chi abbia «intriso di sventura l'aria»
[lopt alt lævi blandit]. Non sappiamo cosa voglia dire esattamente questa
frase, né viene detto chi abbia compiuto tale infausta opera. Snorri modifica
opportunamente l'espressione in un «annientare l'aria e il cielo» [spilla
loptinu ok himninum], che non vuol dire esattamente la stessa cosa.
Se la
Vǫluspá aveva parlato unicamente di «aria» [lopt], Snorri
amplia in «aria e cielo» [lopt ok himinn], cercando di interpretare
l'oscura espressione del poema come il tentativo dell'artigiano di appropriarsi
del sole e della luna.
Insomma, è possibile che nella versione prosastica di Snorri vi sia un certo
grado di rilettura del racconto originale, anche se non sappiamo dire fino a che
punto sia stata fedele al materiale che aveva sottomano o, viceversa, l'abbia
modificato o travisato. Non sappiamo se Snorri conoscesse altre fonti del mito
e, nel caso, quali versione fornissero della vicenda. Forse, in origine,
Freyja era l'unica richiesta avanzata dal
gigante, e non si parlava né del sole né della luna, che in effetti paiono
essere degli elementi ridondanti. Può darsi sia stato Snorri a inserirli,
giustificando l'oscuro verso di
Vǫluspá [25]. Non lo sappiamo. |
II - ANCHE GLI
DÈI VIOLANO I PATTI
Presa di per sé stessa, la versione di Snorri non offre difficoltà, a parte
qualche piccola ambiguità sulla natura dei patti che l'artigiano ha stretto con
gli Æsir, i quali non riguardano
solo i tempi di lavoro e il compenso pattuito, ma anche, evidentemente, una
sorta di garanzia d'immunità pretesa dal costruttore. Dice infatti Snorri:
En at kaupi þeira váru sterk vitni ok
mǫrg sǿri, fyrir því at jǫtnum þótti ekki trygt at vera með ásum griðalaust ef
Þórr kvæmi heim, en þá var hann farinn í austrveg at berja troll. |
Sul loro accordo però c'erano testimonianze
inoppugnabili e numerosi giuramenti, dal momento che i giganti non si sentivano
al sicuro quando si trovavano fra gli Æsir
privi di un accordo, soprattutto nel caso in cui
Þórr fosse tornato a casa, ma in quei
giorni era andato a est a combattere i troll. |
Snorri Sturluson: Prose Edda
> Gylfaginning [42] |
Sembra qui evidente che l'artigiano [smiðr] si sia da subito rivelato
agli dèi come un gigante, o che la sua natura non potesse comunque essere
ignorata, tanto da richiedere agli Æsir
un solenne impegno a non ucciderlo. Analogamente, quando gli dèi si chiedono
«chi avesse consigliato di consegnare Freyja
allo Jǫtunheimr»
(Gylfaginning [42]), sembra sappiano
benissimo che la dea è destinata ad essere ceduta a uno jǫtunn. Non
bisogna però dimenticare che questa frase è espressa in tali termini perché è un
calco degli ultimi due semiversi di
Vǫluspá [25].
Ma torniamo ancora una volta, appunto, alla seconda
parte della strofa
Vǫluspá [25],
dove gli dèi, riuniti nel þing, si domandano...
...hverr hefði lopt alt
lævi blandit
eða ætt jǫtuns
Óðs mey gefna. |
...chi avesse l'aria
intriso di sventura
e alla stirpe dei giganti
dato la fanciulla di Óðr. |
Ljóða Edda >
Vǫluspá [25e-25h] |
Se il poema eddico non fornisce alcuna risposta a quel retorico hverr
«chi?», ci pensa Snorri a sciogliere l'enigma:
En þat kom ásamt með ǫllum at þessu
mundi ráðit hafa sá er flestu illu ræðr, Loki Laufeyjarson... |
Furono allora d'accordo che dovesse averlo
suggerito colui che sempre malconsiglia, ovvero
Loki figlio di Laufey |
Snorri Sturluson: Prose Edda
> Gylfaginning [42] |
Il lavoro procede come stabilito, la fortezza è quasi pronta e l'artigiano
già pregusta il momento in cui stringerà tra le sue braccia la dea
Freyja e riceverà il sole e la luna, che
forse gli serviranno per illuminare e riscaldare lo
Jǫtunheimr. Ma il trucco di
Loki, trasformato in giumenta, lo priva
all'ultimo momento dell'indispensabile ausilio di
Svaðilfǿri, impedendogli di portare
a termine la costruzione. A questo punto l'artigiano viene colto dalla furia dei
giganti...
Ok þá er smiðrinn sér at eigi mun lokit
verða verkinu, þá fǿrisk smiðrinn í jǫtunmóð. En er æsirnir sá þat til víss at
þar var bergrisi kominn, þá varð eigi þyrmt eiðunum, ok kǫlluðu þeir á Þór |
Quando l'artigiano vide che il lavoro non
poteva essere completato fu preso dallo jǫtunmóðr. Quando gli
Æsir videro chiaramente che era un
gigante di montagna, allora non onorarono la loro promessa e chiamarono
Þórr... |
Snorri Sturluson: Prose Edda
> Gylfaginning [42] |
Se prima Snorri aveva dato per scontato che gli
Æsir fossero perfettamente al
corrente del fatto che l'artigiano fosse uno jǫtunn, visti i solenni
impegni che costui aveva preteso per sentirsi tutelato sul posto di lavoro, ora
cambia le carte in tavola, e gli Æsir
sembrano accorgersi d'un tratto che, sotto le mentite spoglie del costruttore
delle mura di Ásgarðr, si celava un
gigante delle montagne. Il colpo di scena serve a Snorri per giustificare la
brutale apparizione di Þórr, che è
presente in
Vǫluspá [26] e
non può essere ignorata.
Molti interpreti moderni hanno dedotto che gli
Æsir uccisero il gigante perché
colpevole di averli ingannati dissimulando la sua identità. Ma non è così
semplice. La verità è che gli dèi, attraverso le macchinazioni di
Loki, provvedono a far sì che l'artigiano
non completi il lavoro, perdendo ogni diritto al compenso. L'artigiano, che fino
ad ora aveva agito rispettando un contratto regolarmente pattuito tra le due
parti, si sente imbrogliato e defraudato. La sua comprensibile ira minaccia di
abbattersi contro gli dèi, rei di aver agito slealmente nei suoi confronti. I
giuramenti che gli Æsir infrangono,
non riguardano solo i termini del contratto, ma anche la violazione
dell'immunità che avevano garantito al gigante. Chiamano
Þórr, il quale, si sa, ha l'abitudine di
comparire in scena non appena qualcuno invoca il suo nome.
Ok kǫlluðu þeir á Þór, ok jafnskjótt kom
hann, ok því næst fór á lopt hamarrinn Mjǫlnir, galt þá smíðarkaupit ok eigi sól
ok tungl, heldr synjaði hann honum at byggva í Jǫtunheimum ok laust þat hit
fyrsta hǫgg er haussinn brotnaði í smán mola ok sendi hann niðr undir Niflhel.
|
Chiamarono
Þórr, il quale giunse immediatamente
vibrando in aria il martello Mjǫllnir,
pagando in questo modo il compenso dell'artigiano: non col sole o la luna, e non
gli concesse nemmeno di abitare nello
Jǫtunheimr. Col primo colpo gli frantumò la testa in mille schegge e lo
sprofondò giù sotto il Niflhel. |
Snorri Sturluson: Prose Edda
> Gylfaginning [42] |
Ma Loki, si sa, è la cattiva coscienza
degli dèi. Vituperato quando sbaglia, tollerato quando fa comodo. E gli
Æsir sanno bene come trovarsi
sempre dalla parte vincente.
|
III - GIGANTI COSTRUTTORI Il
motivo di un gigante o troll al quale viene affidata qualche gigantesca
costruzione, è ben presente nel folklore scandinavo. Di queste storie ce ne dà notizia Andreas Faye nella sua storica
raccolta di leggende norvegesi, Norske folke-sagn.
Il racconto intitolato Trold som Bygmestre
(«Il troll mastro costruttore»), ad esempio, mette in scena la costruzione della
cattedrale di Níðaros (attuale Trondheim), definita «una delle più straordinarie chiese della
Cristianità» [en af Christenhedens merkeligste Kirker]. Dopo aver
ultimato la costruzione dell'imponente edificio, Sant'Olaf (cioè
re Óláfr II Haraldsson, R 1015-1028) si accorse che
mettervi sopra una guglia andava oltre le sue possibilità. In questa
situazione imbarazzante, il santo monarca promise il sole a chiunque si fosse assunto
l'impegno di completare la costruzione. Un troll che viveva
in un dirupo, nelle vicinanze della città, si presentò allora a Sant'Olaf e gli disse
che avrebbe ultimato lui quel lavoro titanico, ricordandogli che si era
impegnato, in cambio, a consegnargli il sole.
Come ulteriore condizione, impose a Sant'Olaf di non
pronunciare il suo nome, nel caso ne fosse venuto a conoscenza. Sant'Olaf
si rese conto di essersi messo in un bell'impiccio con quella sconsiderata promessa e, deciso ad
infrangere il patto, si diede da fare per scoprire il nome del troll. A
mezzanotte navigò lungo il fiordo e, giunto nei pressi del dirupo dove abitava
il gigantesco essere, udì il pianto di un bimbo provenire dall'interno della roccia e subito
sentì la voce della madre
acquietarlo, dicendo: «Riceverai presto l'oro del cielo, quando Tvester tornerà
a casa». Sollevato, Olaf si precipitò
in città e giunse proprio all'ultimo momento: la guglia già si stagliava alta
sopra la cattedrale e il troll stava per fissare l'ultimo pomello d'oro sul segnavento. Allora
Sant'Olaf gridò: «Tvester! Hai fissato la banderuola troppo ad occidente!»
Nell'istante in cui il troll udì il suo nome, cadde giù morto.
(Faye 1833)
Nelle annotazioni, Faye riporta che, secondo un'altra leggenda, narrata da Gerhard Schøning nella sua descrizione della cattedrale, il troll si
sarebbe chiamato Skale (cioè Skallete «calvo») e avrebbe richiesto come ricompensa sia il sole che la
luna. Secondo un terzo racconto, il troll si chiamava invece Blester («raffica»).
(Faye 1833)
Il motivo di
grandi costruzioni erette da giganti, sembra piuttosto diffuso in tutto il mondo
germanico. Ne fa testimonianza, proprio al confine tra Italia e Austria, una
leggenda proveniente dalla cittadina altoatesina di Innichen (San Candido,
provincia di Bolzano). La costruzione, in questo caso, è la locale chiesa della
Collegiata (XI sec.). Per sostenerne la volta, gli scalpellini di Sexten
(Sesto), famosi in tutta l'alta Pusteria per la loro abilità e mastria, avevano
scolpito otto enormi
pilastri, ma questi erano così grandi e pesanti che non si sapeva come
trasportarli ad Innichen. I frati Benedettini si rivolsero allora al gigante Haunold,
che abitava nelle imponenti montagne nei dintorni della città, e lo convinsero a compiere lui l'ingrato lavoro. Il gigante accettò,
ma pretese, come ricompensa del lavoro, un pasto
quotidiano consistente in un vitello arrosto, tre staia di fagioli e una botte
di vino. Così venne fatto ma,
terminata la costruzione della chiesa, il gigante continuò a pretendere il suo
pranzo giornaliero e la richiesta ben presto cominciò a pesare sul magro bilancio
della cittadina.
Si riunì il consiglio, e dopo lunghe consultazioni, venne deciso che bisognava sbarazzarsi di Haunold.
I paesani scavarono una fossa e, attirato il gigante con l'inganno, ve lo fecero
precipitare, per poi ucciderlo con lance e frecce.
Secondo un'altra versione, assai simile alla leggenda norvegese, Haunold
sarebbe precipitato cadendo dal campanile l'ultimo giorno di lavoro, mentre
sistemava sulla cima del tetto la grande croce. Per conservare il ricordo del
gigante, gli abitanti della città chiamarono Haunold la montagna che
domina Innichen (la rocca dei Baranci) ed appesero una delle sue enormi costole nel vestibolo della
Collegiata, dove la si può ammirare ancora oggi. |
Bibliografia
- BRANSTON Brian, Gods of the North.
Thames & Hudson, Londra 1955. → ID., Gli dèi del nord.
Mondadori, Milano 1991.
- CLEASBY Richard ~ VIGFÚSSON Guðbrandur, An
Icelandic-English Dictionary. Oxford, 1874.
- DOLFINI Giorgio [cura]: SNORRI Sturluson, Edda. Adelphi, Milano 1975.
- DUMÉZIL Georges,
Les dieux des Germains, Presses
Universitaires de France, Paris 1959 →
ID., Gli dèi dei Germani, Presses Adelphi, Milano 1974.
- FAYE Andreas, Norske folke-sagn. In: «Norsk folkeminnelags skrifter»
63. Norsk folkeminnelags
forlag, Oslo 1833 [1948].
- ISNARDI Gianna Chiesa [cura]: SNORRI Sturluson,
Edda di Snorri, Rusconi, Milano 1975.
- ISNARDI Gianna Chiesa, I miti nordici,
Longanesi, Milano 1991.
- RYDBERG Viktor, Undersökningar i germanisk
mythologi, Stoccolma 1886 →
ID., Teutonic
Mythology: Gods and Goddesses of the Northland, New York 1889.
Iconografia
- BRANSTON Brian, Gods & Heroes from Viking Mythology, Eurobook,
London 1978.
→ ID., Dèi e eroi della mitologia
vichinga. Mondadori, Milano 1981.
- GUERBER Hélène Adeline, Myths of Norsemen. From the
Eddas and Sagas. George G. Harrap and Co., London 1908.
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BIBLIOGRAFIA ► |
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