1 -
ÞÓRR PRETENDE BIRRA, ÆGIR CHIEDE UN CALDERONE
na volta, di ritorno da una battuta di
caccia, carichi di selvaggina, gli
Æsir, sul punto di sedersi a
banchetto, si chiesero dove trovare una quantità sufficiente di birra per
accompagnare il pranzo. Praticarono un
sacrificio, intinsero nel sangue i hlaut-teinar e li scossero. Stabilirono
che solo presso Ægir avrebbero trovato
calderoni pieni di ǫl, in sufficiente quantità per vincere la loro sete.
|
Þórr
ed Ægir
(✍ 1895) |
Lorenz Frølich (1820-1908), illustrazione
(Gjellerup 1895). |
Subito partì
Þórr e trovò
Ægir seduto, felice come un bimbo,
dinanzi alla propria dimora. L'áss fissò negli occhi, assai duramente, il figlio di
Miskorblindi: — Per gli
Æsir tu preparerai la dolce bevanda.
Quel tono da attaccabrighe irritò non poco Ægir,
che subito pensò al modo di ritorcere la richiesta contro gli dèi.
— Se vuoi che per tutti voi possa fabbricare ǫl, allora forniscimi un paiolo
adatto.
La richiesta mise in difficoltà gli
Æsir, i quali, nonostante le ricerche,
non furono in grado di rimediare un paiolo abbastanza ampio per fornire di birra
tutti gli dèi. Poi
Týr si avvicinò a
Þórr e, in confidenza, gli disse:
— Dimora, a oriente degli Élivágar,
ai confini del cielo, il sapiente Hymir. Lui
possiede, il mio irascibile genitore, una caldaia molto capiente, profonda
un rǫst.
— Ma riusciremo a ottenere quel recipiente da mettere sul fuoco?
— Solo se agiremo con astuzia e inganno, amico mio — fu la risposta di
Týr. |
2 - VISITA AI PARENTI DI TÝR
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Týr
(✍ 1895) |
Lorenz Frølich (1820-1908),
illustrazione
(Gjellerup 1895) |
asciata l'Ásgarðr,
tra i rimbombi delle ruote del carro, Týr e
Þórr viaggiarono per l'intera giornata, finché
giunsero alla casa di Egill, un gigante della
pietraia, a cui
Þórr lasciò in custodia i suoi caproni dalle
magnifiche corna, affinché li curasse in sua assenza. Poi, i due proseguirono il cammino finché, giunti
al limite cielo, arrivarono alla hǫll di Hymir.
Non fu certo entusiastico il benvenuto che
Týr si vide riservato dai suoi parenti. Da
un canto stava l'odiosa nonna, che aveva novecento teste. La madre – tutta
ornata d'oro, con bianche sopracciglia – si fece avanti porgendo al figlio una coppa di
birra.
— Prole di jǫtnar, andate subito a mettervi laggiù, se avete senno,
sotto quei paioli — disse subito la frilla di Hymir. —
Il mio compagno è sovente avaro con gli ospiti, malevolo nell'hugr.
Quasi non aveva finito di parlare, che Hymir
irruppe in casa. Deforme d'aspetto, spregevole, con la barba gelata, avanzò nella
hǫll, facendo tintinnare i ghiaccioli. La frilla corse da lui, cercando di
acquietarlo:
— Salve, Hymir, sta' di buon hugr! Guarda, è
venuto nostro figlio, che aspettavamo dopo un lungo cammino. Lo accompagna l'avversario di
Hróðr, l'amico degli uomini, colui che è chiamato
Veórr. Eccoli lì al riparo, in fondo alla hǫll, dietro la colonna...
Subito andò in pezzi la colonna, sotto lo sguardo di
Hymir; si spaccò in due la trave maestra, lasciando cadere gli otto paioli
appesa sopra la testa dei due æsir:
solo uno, ben foggiato, rimase intatto. Týr e
Þórr si fecero avanti.
Hymir fissò
Þórr con sguardo sospettoso: nulla di
buono presentì alla vista dell'áss, ben noto per muovere al pianto le
donne degli jǫtnar. Subito tre tori vennero condotti dalla
mandria. Hymir ordinò di cucinarli. Gli animali
vennero decapitati e messi a cuocere nel seyðir. Fu imbandita la cena e
Þórr, da solo, si mangiò due tori. Parve ad Hymir,
il grigio confidenze di
Hrungnir, un po' abbondante la porzione di
Þórr. — Se avete intenzione di cenare
anche domani sera — disse ai suoi ospiti — noi tre dovremmo procurarci del cibo,
cacciando o pescando. |
3 - HIMINHRJÓTR:
L'ESCA
uando fu giorno, Hymir si alzò, si vestì e si preparò per
uscire a pesca in
barca. Þórr balzò in piedi, subito
pronto, e chiese a Hymir di portarlo con lui sul mare.
Hymir
gli rispose che sarebbe stato di scarso aiuto. — Gelerai, se mi tratterrò al
largo com'è mia intenzione.
A questa risposta, Þórr ebbe voglia di colpirlo con il martello. Si trattenne, tuttavia, perché aveva
intenzione di provare altrove la sua forza. — Remerò tanto a lungo e tanto
lontano dalla riva che sarai tu il primo a tornare indietro — lo avvertì.
— Piuttosto, forniscimi delle esche per la pesca.
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Þórr e il toro di Hymir
(✍ 1895) |
Lorenz Frølich (1820-1908), illustrazione
(Gjellerup 1895). |
— Volgiti alle mandrie, se hai saldo l'hugr, tu, massacratore dei
Danir delle montagne! — lo irrise
Hymir. — Immagino che per te sia facile trarre
esche da un toro!
Þórr
si recò alla selva, dove aveva visto il bestiame di Hymir. Gli
si fece avanti un toro tutto nero: era Himinhrjótr,
la bestia più grande e magnifica di tutta la mandria.
Þórr
gli strappò la
testa e la portò con sé verso la costa.
— Tu combini più danni quando lavori che quanto siedi a cena — grugnì
Hymir, poco soddisfatto. |
4 - LA PESCA DEL MIÐGARÐSORMR
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La pesca del Miðgarðsormr
(✍ 1895) |
Lorenz Frølich (1820-1908), illustrazione
(Gjellerup 1895). |
o jǫtunn aveva già spinto in acqua il
nǫkkvi. Þórr salì a bordo, sedette a poppa,
afferrò i remi e cominciò a darsi da fare. A prua, Hymir
dovette ammettere che le vogate di Þórr
producevano una buona velocità. Lo jǫtunn si mise a remare a sua volta, e per un po' il
nǫkkvi procedette spedito sulle scure acque dell'úthaf.
A un certo punto Hymir disse che ora potevano fermarsi per pescare sogliole, ma
Þórr
ribatté che intendeva spingersi un po' più al largo e fecero un altro sforzo. — Sarebbe pericoloso spingerci oltre — osservò
Hymir. — Potremmo
incontrare il
Miðgarðrsormr.
— A dire il vero io vorrei andare avanti ancora un poco — rispose
Þórr, e
procedette. Hymir cominciò a sentirsi piuttosto turbato.
Poi Þórr tirò i remi in barca,
i due si accinsero a pescare. Hymir gettò l'amo e,
di malumore, pescò due balene. Intanto, a poppa,
Þórr preparava una lenza molto resistente, con un amo robusto. Vi
agganciò la testa del bue e la gettò fuori bordo.
L'esca arrivò sul fondale. Il
Miðgarðrsormr ingoiò la testa del
bue, ma l'amo gli si conficcò nelle fauci. Quando il serpente se ne
accorse, tirò con tanta forza che entrambi i pugni di
Þórr
urtarono contro frisata del
nǫkkvi. Furioso Þórr, sentì
crescere il suo ásmegin, piantò i piedi sul fondo della barca e tirò
su il serpente. Alcuni dicono, certo esagerando, che Þórr
avesse addirittura sfondato la chiglia e che i suoi piedi si fossero piantati
sul fondo dell'úthaf. La testa di
Jǫrmungandr emerse dalle acque e colpì la fiancata del
nǫkkvi, rovesciando alte onde all'interno dalla fragile
imbarcazione. Si può ben dire che non abbia mai assistito a scene
terribili chi non vide con quali occhi Þórr
guardava il serpente, che lo fissava a sua volta dal basso, stillando veleno. Poi
Þórr
brandì il Mjǫllnir e lo scagliò contro la testa del serpente.
Tutta la terra si scosse, gemettero le rocce scoscese tra gli ululati dei lupi.
Dicono che Hymir divenne livido per il terrore quando vide il Miðgarðrsormr,
che abbia afferrato il coltello da pesca e tagliato la lenza, così che il
serpente poté sprofondare di nuovo negli abissi. Aggiungono che
Þórr, infuriato, avesse dato un
violentissimo pugno a Hymir dietro l'orecchio,
scagliandolo a capofitto fuori dalla barca. Dopo
di che, visto che la chiglia della barca era ormai sfondata,
Þórr
avrebbe guadato l'úthaf fino a raggiungere la terraferma.
Non risulta a tutte le fonti, tuttavia, che Hymir
abbia avuto parte nella fuga di
Jǫrmungandr. A quanto pare, lo jǫtunn e l'áss se ne tornarono
insieme a riva a colpi di
remi, entrambi in silenzio e di pessimo umore.
Questionano, i sapienti, se il colpo che Þórr
sia arrivato a segno e quali danni abbia provocato al serpente. Dicono, alcuni,
che abbia addirittura staccato la testa di
Jǫrmungandr sotto le onde. Non lo crediamo. È assai probabile che il serpente sia
ancora vivo e giaccia sul fondo del mare.
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5 - LA PROVA DEL CALICE E IL FURTO DEL
CALDERONE
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Þórr nella dimora di Hymir
(✍ 1895) |
Lorenz Frølich (1820-1908), illustrazione
(Gjellerup 1895). |
na volta tornati a riva, Hymir fissò Þórr,
duramente:
— Si era stabilito che avremmo fatto ciascuno metà del lavoro. Dunque,
scegli: o porti le due balene fino alla fattoria, oppure ormeggi il «capro dei flutti».
E Þórr, senza una parola, afferrò il
nǫkkvi per la prua e lo sollevò, con dentro le due
balene, i remi, l'acqua di sentina e la gottazza, e tenendolo alto sopra il capo, attraversò la conca sotto la rupe, fino alla fortezza di Hymir.
La prova di forza di Þórr
non bastò a risollevare Hymir della sua
irritazione. Nel corso della cena lo jǫtunn non smise di provocarlo.
— Un uomo non lo si può definire «forte» solo perché rema con vigore. «Forte» è solo colui che riuscirà a infrangere il mio calice!
Era questo un calice di vetro, all'apparenza fragile, ma in realtà assai
robusto. Non appena lo ebbe tra le mani,
Þórr la scagliò contro una colonna di
pietra. Il pilastro andò in pezzi, ma il calice fu riportato intatto a Hymir.
— La prossima volta, colpisci il cranio di Hymir
— sussurrò a Þórr la gentile frilla. —
È più dura la testa di uno jǫtunn sazio di qualunque
calice.
Saldo, si alzò allora in piedi il signore dei caproni, facendo appello a
tutto il suo ásmegin, e un istante dopo la coppa andò in pezzi contro il cranio di Hymir.
— Ho perduto un pezzo di gran pregio, ora che il calice mi è stato strappato
dai ginocchi — brontolò lo jǫtunn. — Che
tristezza, non poter più dire, mai più, «birra, eccoti pronta!». Ma c'è ancora
una prova da superare
— aggiunse, sollevando infuriato lo sguardo sui suoi due ospiti — se riuscite a
portare via da qui il mio calderone.
Subito,
Týr cercò di sollevare l'enorme paiolo. Due
volte ci provò, ma non riuscì nemmeno a smuoverlo. Ma
Þórr lo afferrò per il bordo e se lo
rovesciò sul capo. Era talmente pesante che i piedi del dio del tuono
sprofondarono nel pavimento. Poi
Þórr si spostò verso l'uscita della hǫll, verso l'uscita, con
gli anelli che
gli tintinnavano all'altezza dei calcagni.
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6 - LA FINE DI
HYMIR
on avevano viaggiato a lungo, però, i due fuggitivi, che
dovettero voltarsi indietro. Alle loro spalle, verso oriente, schiere dalle
molte teste avanzavano in armi. Hymir, infuriato,
le guidava. Þórr si tolse il calderone
dalle spalle, deponendolo a un canto, e, avvertita un improvviso desiderio di
strage, brandì Mjǫllnir. Tutti gli jǫtnar,
balene delle aspre petraie, colpì a morte.
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Þórr e Týr inseguiti dagli jǫtnar (✍ 1895) |
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Þórr contro Hymir
(✍ 1895) |
Lorenz Frølich (1820-1908), illustrazione
(Gjellerup 1895). |
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7 - LA BUONA ǪL NELLA STAGIONE CHE
UCCIDE I SERPENTI
oco c'è da dire sul ritorno di
Þórr e
Týr. A casa di Egill
trovarono uno dei due caproni azzoppati, e pare che la colpa fosse di
Loki. In cambio, il gigante della pietraia diede a
Þórr, quali servitori, i suoi due figli.
Pieno di vigore, giunse Þórr al
þing degli
Æsir, portando il grande calderone che era stato di Hymir.
Grazie ad esso, da quel giorno, tutti gli
Æsir poterono bere a sazietà, presso Ægir,
la buona ǫl, nella stagione che uccide i serpenti: l'inverno. |
Fonti
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I - LE FONTI EDDICHE: L'HYMISKVIÐA
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Þórr pesca il serpente di Miðgarðr
(✍ 1790) |
Johann Heinrich Füssli (1741-1825), dipinto
Royal Academy of Arts, London (Regno Unito) |
Il mito di
Þórr che pesca il serpente Jǫrmungandr
è attestato innanzitutto nell'Hymiskviða,
una composizione della
Ljóða Edda, dove l'episodio è inserito in un'elaborata e complessa
narrazione incentrata sul dio del tuono. C'è poi il sunto prosastico che ne fa Snorri
nella sua Prose
Edda
(Gylfaginning [48]). Sebbene il nucleo della vicenda sia
abbastanza simile nelle due fonti, variano considerevolmente sia gli elementi di contorno
sia il contesto generale.
Il poema
Hymiskviða, tramandato sia dal Codex
Regius (ms. R) sia dal Codex Arnamagnæanus
(ms. A), è uno
dei più tardi della raccolta eddica, risalendo con ogni probabilità all'XI
secolo. Non è infatti una composizione gnomico-sapienziale (com'è il
caso della
Vǫluspá, del
Vafþrúðnismál, del
Grímnismál, che fanno invece
sfoggio di sapienza mitologica), ma una ballata eroicomica, composta in uno
stile scaldico elaborato e non di rado paradossale, per il divertimento delle sale o delle
piazze.
Nell'Hymiskviða,
motore della vicenda è il tentativo di
Þórr e
Týr di procurarsi un paiolo abbastanza
capiente affinché Ægir possa distillare
birra sufficiente per il banchetto degli dèi. Perciò due æsir si recano alla
dimora del gigante Hymir – che in questo testo è
detto padre di
Týr – per impossessarsi del suo enorme calderone. Dopo aver lasciato carro e caproni in custodia a
un certo Egill, i due arrivano alla hǫll di
Hymir. Invitati a desinare dal malevolo jǫtunn,
è proprio l'eccessivo appetito di
Þórr a rendere necessaria, il giorno
successivo, una battuta di pesca. Per procurarsi un'esca,
Þórr uccide uno splendido toro della
mandria di Hymir, non certo con l'approvazione di
quest'ultimo. Poi Hymir e
Þórr si mettono in mare e, spintisi al
largo, gettano le lenze: a quella di Hymir
abboccano due balene, a quella di
Þórr abbocca
Jǫrmungandr,
il serpente che cinge il mondo.
Þórr lo colpisce col martello ma
il Miðgarðsormr scompare negli abissi.
I due ritornano a riva,
entrambi di malumore, e per tutta la sera Hymir
provoca
Þórr sfidandolo a mettere alla prova
la sua forza.
Þórr risponde spaccando il
calice di Hymir, reputato infrangibile,
scagliandolo contro il cranio di quest'ultimo. Poi, sfidato a smuovere l'enorme
calderone dello jǫtunn,
Þórr fugge dalla hǫll
portandolo
capovolto sul capo. Gli jǫtnar si gettano all'inseguimento dei due æsir
ma, in un rapido combattimento,
Þórr uccide Hymir e
tutti i suoi compagni. Intanto, uno dei caproni di
Þórr si è azzoppato ed Egill
gli offre in ricompensa i suoi due figli. Þórr e
Týr tornano infine al þing degli
Æsir recando il prezioso calderone e d'ora in poi godranno di birra
abbondante ai banchetti che Ægir imbandirà
per gli dèi.
Sebbene molti studiosi abbiano sbrigativamente spacciato l'Hymiskviða
per un poema composito e mal strutturato, gli episodi
formano una struttura perfettamente simmetrica:
-
Ægir. Richiesta di un calderone per i
banchetti degli dèi.
-
Egill. Þórr e
Týr lasciano carro e caproni.
-
Hymir. Prima cena nella dimora dello jǫtunn:
Þórr mangia due tori.
-
La
pesca. Þórr
uccide il miglior toro della mandria di Hymir.
La pesca. Þórr
prende all'amo il serpente
Jǫrmungandr.
-
Hymir. Seconda cena alla dimora
dello jǫtunn: sfide lanciate a Þórr.
-
Egill. Þórr e
Týr si riprendono carro e caproni.
-
Ægir. Ritorno al þing degli
Æsir: banchetto di
Ægir.
La narrazione inizia e si conclude alla dimora di
Ægir (punti 1 e 7), per cui si può parlare
di andamento circolare: l'organizzazione del banchetto, problematica al punto 1,
viene risolta al punto 7. La dimora di Egill
(punti 2 e 6) costituisce una tappa necessaria nel percorso tra l'Ásgarðr
e la terra degli jǫtnar. La dimora di Hymir
(punti 3 e 5) è teatro di due cene: nella prima
Þórr sfida inconsapevolmente lo jǫtunn
divorando due tori; nella seconda è Hymir a
lanciare delle sfide al dio del tuono. La pesca del serpente
Jǫrmungandr è il climax
dell'intera vicenda.
Il compilatore del Codex Regius fornisce inoltre al nostro poema un contesto generale: colloca infatti,
l'uno accanto all'altro, l'Hymiskviða
e il
Lokasenna – poema dove gli
Æsir sono appunto riuniti a banchetto
nella dimora di Ægir – e introduce quest'ultima
composizione
con un breve prologo prosastico in cui ricapitola i fatti salienti dell'Hymiskviða.
In pratica, fa dell'Hymiskviða
un testo propedeutico al Lokasenna.
|
II - LA VERSIONE DI SNORRI: UNA QUESTIONE DI CONTESTO
Nella Prose Edda
di Snorri Sturluson, l'episodio della pesca di
Jǫrmungandr (che nel nostro
schema dell'Hymiskviða
corrisponde al punto 4) è invece un racconto indipendente,
narrato in Gilfaginning
[48]. Diverso è anche il contesto
fornito da Snorri: la vicenda viene piuttosto collegata al viaggio di
Þórr a
Útgarðr. ①
Nel corso di quell'avventura, il potente Útgarðaloki
aveva sfidato il dio del tuono a varie prove, tra cui sollevare un gatto. Ma per
quanto avesse provato a sollevare l'animale sopra il capo,
Þórr non era riuscito
che a fargli alzare una zampa da terra. Il giorno successivo,
Þórr aveva lasciato
Útgarðr credendo di non essersi fatto
troppo onore, ma Útgarðaloki
gli aveva rivelato che il gatto non era altri che il
Miðgarðsormr, dissimulato attraverso un sjónhverfingr (un inganno
magico dei sensi), e che lui, sotto lo sguardo attonito degli
hirðmenn, lo aveva alzato fin quasi al cielo.
Þórr era tornato di malumore a
Þrúðvangar, con
l'impressione di una situazione irrisolta. Conclude Snorri:
En þat er satt at segja at þá hafði
hann ráðit fyrir sér at
leita til ef saman mætti bera fundi þeira Miðgarðsorms, sem síðan varð. |
A dire il vero egli decise in cuor suo di
affrontare ancora il Miðgarðsormr,
e così in seguito avvenne. |
Snorri Sturluson: Prose Edda
> Gilfaginning [47] |
Così, in breve tempo,
Þórr era partito di nuovo, in fretta e furia:
Eigi er þat ókunnigt, þótt eigi sé
frǿðimenn, at Þórr leiðrétti þessa
ferðina er nú var frá sagt, ok
dvalðisk ekki lengi heima áðr hann
bjósk svá skyndiliga til
ferðarinnar at hann hafði eigi reið
ok eigi hafrana ok ekki fǫruneyti.
Gekk hann út of Miðgarð svá sem
ungr drengr ok kom einn aptan at
kveldi til jǫtuns nǫkkurs, sá er Ymir nefndr. Þórr dvalðisk þar at
gistingu of nóttina. |
È risaputo, anche presso chi non è dotto,
che Þórr rimediò a
questo viaggio di cui si è ora parlato e non rimase a casa molto a lungo; si
preparò così precipitosamente da partire senza carro, capri
né scorta. Egli uscì da Miðgarðr
camuffato come un robusto giovanotto e una sera giunse presso uno jǫtunn che aveva
nome Hymir, presso cui venne ospitato per la notte. |
Snorri Sturluson: Prose Edda
> Gylfaginning [48] |
|
Þórr pesca Jǫrmungandr (✍ 1680) |
Dall'Edda
Oblongata, ms. SÁM 738 4°
Stofnum Árna Magnússonar, Reykjavík (Islanda) |
Già si notano le differenze con l'Hymiskviða.
Manca del tutto l'episodio di Egill (che Snorri
aveva collocato prima del viaggio a
Útgarðr): Þórr
lascia frettolosamente
Þrúðvangar, «dimenticando»
carro e caproni a casa. Snorri sottolinea anche l'assenza di una scorta,
concedendosi quindi l'agio di eliminare l'inessenziale presenza di
Týr. Inoltre il dio del tuono è camuffato:
un escamotage grazie al quale Snorri può evitare la rivalità tra Þórr
e Hymir, che costituisce un'importante sottotrama
dell'Hymiskviða,
e ignorare anche il motivo delle sfide lanciate dallo jǫtunn al dio del
tuono. Tutte queste «toppe» hanno però l'aria di un'excusatio non petita:
Snorri sta evidentemente rielaborando il suo materiale.
Ma la differenza principale tra la versione di Snorri e l'Hymiskviða
è l'aver trattato l'episodio della pesca di
Jǫrmungandr come un racconto
isolato, eliminando il contesto del poema eddico: in pratica l'intera vicenda
della ricerca del calderone. Il Þórr
di Snorri si muove motivato da semplice un senso di rivalsa nei confronti di
Jǫrmungandr. Ma tale
motivazione è pretestuosa, così come il collegamento imbastito con l'episodio
del viaggio ad
Útgarðr. Snorri collega fragilmente due
vicende indipendenti. Non dà
alcuna descrizione della casa e della famiglia di Hymir
e, grazie all'escamotage del travestimento, può ignorare anche il motivo
delle sfide lanciate dallo jǫtunn al dio del tuono.
Insomma, Snorri si concentra
unicamente sull'episodio della pesca di
Jǫrmungandr, a cui aggiunge una variazione nel momento decisivo: nella
Prose Edda è infatti
Hymir, preso dal terrore, a tagliare la lenza,
permettendo al Miðgarðsormr
di sfuggire. Þórr, furibondo, colpisce
Hymir con un pugno e lo scaglia fuoribordo. Poi –
avendo sfondato la chiglia del nǫkkvi con i piedi –
torna a riva guadando l'oceano (nell'Hymiskviða
non veniva spiegato come
Jǫrmungandr si fosse liberato dell'amo, e Þórr
e Hymir tornavano insieme in barca, entrambi
di malumore). Avendo eliminato sbrigativamente lo jǫtunn, Snorri chiude
qui la vicenda.
A questo punto dobbiamo chiederci la ragione delle varianti tra i due testi.
La struttura simmetrica dell'Hymiskviða dimostra un'elaborazione piuttosto consapevole.
Forse dobbiamo vedervi più un'opera letteraria che un'esibizione di sapienza mitologica.
Comunque stiano le cose, è
difficile dire in quale modo abbia lavorato il compositore il
poema (il quale tuttavia sembra definirsi un goðmálugr, un «esperto di
racconti divini», al verso [38c]). L'intervento del
compilatore del Codex Regius si è sicuramente limitato a rendere l'Hymiskviða propedeutico al Lokasenna. Snorri
aveva certamente maggiore libertà di movimento. Ma come se ne servì? Egli
conosceva l'Hymiskviða,
o una qualche versione del poema? In che modo lavorò sulle fonti a sua
disposizione?
|
III - I FRAMMENTI SCALDICI
|
Þórr pesca
Jǫrmungandr insieme a Hymir (✍
1765-1766) |
Ms. SÁM 66. Stofnum Árna Magnússonar,
Reykjavík (Islanda). |
Tra i vari brani di poemi eddici citati da Snorri nella sua
Edda,
non compaiono mai versi tratti dall'Hymiskviða
e dalla Þrimskviða. Effettivamente questi
due poemi si distinguono tra quelli raccolti nel Codex Regius (ms.
R) per essere, più che composizioni erudite di
argomento mitologico, due ballate narrative, composte con ogni probabilità in epoca
piuttosto tarda. Dunque, se
anche Snorri aveva letto e/o udito l'Hymiskviða
e la Þrimskviða, è probabile che le
considerasse meno «autorevoli» del resto del canone eddico. Peraltro, la vicenda della
Þrimskviða è completamente ignorata nella
Prose Edda.
Nel suo lavoro di elaborazione del quarantaquattresimo capitolo del
Gylfaginning, Snorri rivela tuttavia dei
dettagli che, sebbene in negativo, fanno pensare che egli conoscesse una versione
del mito della pesca di Þórr vicina a quella
dell'Hymiskviða.
Laddove Snorri scrive che Þórr «si preparò così
precipitosamente da partire senza carro, capri né scorta» [hann
bjósk svá skyndiliga til
ferðarinnar at hann hafði eigi reið
ok eigi hafrana ok ekki fǫruneyti] sembra voler giustificare la propria
versione rispetto a un'altra assai diversa dalla propria.
In realtà Snorri trae le sue fonti dal corpus scaldico, di cui lui
stesso cita alcune composizioni nello
Skáldskaparmál. Uno dei più importanti
poemi, per
quanto riguarda il mito di cui ci stiamo occupando, è la
Ragnarsdrápa di Bragi Boddason. È il testo scaldico più antico che ci
sia pervenuto (VIII sec.), il primo a esibire, a quanto ne
sappiamo, il dróttkvætt, il metro scaldico per eccellenza. Tra le
immagini dipinte sullo scudo descritto da Bragi nella sua composizione vi è
appunto una scena dove Þórr è ritratto
nell'atto di pescare il
serpente
Jǫrmungandr. Lo riportiamo nella bellissima traduzione di Ludovica Koch
(Koch 1984):
Þat erumk sýnt, at snemma
sonr Aldafǫðrs vildi
afls við úri þœfðan
jarðar reist of freista. |
Vedo poi ancora il figlio di
Aldafǫðr [=
Þórr]
sfidare d'improvviso a una gara di forza
la biscia che il mare sciacqua [=
Jǫrmungandr], e si attorciglia
tutto in giro alla terra. |
Hamri fórsk í hǿgri
hǫnd, þás allra landa,
ǿgir Ǫflugbarða
endiseiðs of kendi. |
Afferrò con la destra il suo martello,
l'incubo di Ǫflugbarði [=
Þórr], rendendosi conto
che stava emergendo il verme che segna i confini
di tutte le parti del mondo [=
Jǫrmungandr]. |
Vaðr lá Viðris arfa
vilgi slakr, er rakðisk,
á Eynæfis ǫndri,
Jǫrmungandr at sandi. |
Non era certo allentata, la lenza
dell'erede di Viðrir [=
Þórr] – mentre il serpe
mostruoso aggrovigliava le sue spire
sopra lo sci di Eynæfr [= la barca] – sulla sabbia. |
Ok borðróins barða
brautar þvengr inn ljóti
á haussprengi Hrungnis
harðgeðr neðan starði |
Fissò allora dal basso uno sguardo arrogante
il nodo ripugnante del sentiero
delle navi [=
Jǫrmungandr], sospinte da un fianco e dall'altro coi remi,
su chi aveva spaccato il cranio di Hrungnir [=
Þórr]. |
Þás forns Litar flotna
á fangboða ǫngli
hrøkkviáll of hrokkinn
hekk Vǫlsunga drekku. |
Si appese all'amo – e si divincolava
convulsa – di chi invita alla sua stretta
il decrepito Litr e i suoi compari [=
Þórr],
l'anguilla sputaveleno dei Vǫlsungar [=
Jǫrmungandr]. |
Vildit vrǫngum ofra
vágs byrsendir œgi,
hinn er mjótygil máva
mǿrar skar fyr Þóri. |
In acque tanto malfide non ci teneva a remare,
lo spartifuoco dell'onda [= Hymir?];
così tagliò a Þórr la correggia
sottile della terra dei gabbiani [= la lenza]. |
Bragi
Boddason: Ragnarsdrápa [14-19] |
Sebbene gravato dal peso di complesse kenningar, questo testo appare assai vicino al racconto di Snorri: lo
sguardo del serpente, che scruta dal basso il dio del tuono, è un dettaglio non
presente nell'Hymiskviða.
Ma ritroviamo qui, soprattutto, il motivo della lenza tagliata da un terzo
personaggio. Nella
Prose Edda è
Hymir che taglia la lenza, permettendo a
Jǫrmungandr di tornare a inabissarsi (e scongiurando lo scontro devastatore tra
Þórr e il
Miðgarðsormr), e non c'è ragione
per presumere che anche qui non si tratti dello stesso personaggio. Unica nota
curiosa è che nell'Hymiskviða
lo jǫtunn è ritratto come un malevolo taccagno, mentre Bragi lo definisce ʻspartifuoco dell'ondaʼ, una kenning che sottolinea
in realtà la generosità
di uno járl (il ʻfuoco dell'ondaʼ è l'oro; ʻcolui che spartisce l'oroʼ è
il principe che premia gli scaldi alla sua corte). Annotate queste piccole
perplessità, la Ragnarsdrápa ci rivela dove
Snorri abbia tratto la scena in cui Hymir taglia la
lenza di Þórr.
Alla pesca di
Jǫrmungandr da parte di Þórr accenna
anche Úlfr Uggason, uno scaldo di poco posteriore a Bragi, nella
Húsdrápa. Anche questa composizione è citata
da Snorri nello Skáldskaparmál,
ma non nella sua completezza. Di questo poema sono infatti pervenute soltanto
alcune strofe disorganizzate. L'argomento, questa volta, sono le scene dipinte
su alcuni pannelli all'interno della casa di un certo Óláfr Pái, a Hjarðarholt,
in Islanda, e una di queste rappresentava il mito della pesca del serpente.
Þjokkvǫxnum kvað þykkja
þikling firinmikla
hafra njóts at hǫfgum
hætting megindrætti. |
Lo stupido barcaiolo [= Hymir], si narra,
pensò che
il padrone dei caproni [=
Þórr]
lo trascinasse verso un grande pericolo. |
Innmáni skein ennis
ǫndótts vinar banda;
áss skaut œgigeislum
orðsæll á men storðar. |
Splendeva la luna della fronte
del possente amico degli dèi [=
Þórr];
il rinomato áss terribili occhiate
lanciava alla collana del mondo [=
Jǫrmungandr]. |
En stirðþinull starði
storðar leggs fyrir borði
fróns á folka reyni
fránleitr ok blés eitri. |
Ma la possente fune della terra [=
Jǫrmungandr]
con occhi fiammeggianti fissava oltre la fiancata
colui che sfida il popolo delle ossa
della terra [=
Þórr], spuntando veleno. |
Fullǫflugr lét fellir
fjall-Gauts hnefa skjalla
– ramt mein vas þat – reyni
reyrar leggs við eyra.
Víðgymnir laust Vimrar
vaðs af fránum naðri
hlusta grunn við hrǫnnum... |
Il massacratore del Gautr della
montagna [=
Þórr],
colmo di forza, lasciò cadere il pugno
– che colpo possente! – dietro l'orecchio
dell'esploratore delle ossa del canneto.
Il Víðgymnir
del guado di Vimur [=
Þórr]
colpì alla base dell'orecchio
il serpente scintillante tra le
onde... |
Úlfr
Uggason: Húsdrápa [3-6] |
Anche in questi versi vi è un gioco molto complesso di kenningar,
alcune delle quali sono spiegate dallo stesso Snorri nel
suo Skáldskaparmál.
Ma concentriamoci sulla strofa [6].
In essa
Þórr vibra due colpi. Il primo a un problematico ʻesploratore
delle ossa del cannetoʼ, il quale viene colpito
all'orecchio [eyra]; il secondo a
Jǫrmungandr, colpito nel grunnr hlusta, cioè al «fondamento del
condotto auricolare»: questa espressione, interpretata
come una kenning per «testa», potrebbe anche indicare il
fragile osso dietro l'orecchio a cui sovente miravano i lottatori nei corpo a
corpo. Se non c'è alcun dubbio su chi abbia incassato il secondo colpo (Jǫrmungandr), rimane
un margine di incertezza sulla vittima del primo. Chi è l'eynir leggs reyrar,
l'ʻesploratore
delle ossa del cannetoʼ? Nelle kenningar le ossa metaforizzano sovente le
rocce, in quanto formate appunto a partire dalle ossa fratturate di
Ymir. Se le ʻossa del cannetoʼ sono dunque le
pietre, il loro ʻesploratoreʼ potrebbe essere uno jǫtunn. Questa è stata
probabilmente
l'interpretazione di Snorri, secondo cui
Þórr avrebbe vibrato un pugno a Hymir. Ma
l'interpretazione di Snorri è corretta? E se il testo rappresentasse,
ripetendolo sotto una formula differente, un medesimo evento, dove
Þórr colpisce una sola volta il serpente (il quale è un gigante), e non
Hymir? Tale ipotesi viene sostenuta, con buoni
argomenti, da Eysteinn Björnsson (Eystein 2006).
Di altre fonti scaldiche, purtroppo, sono pervenuti soltanto dei frammenti. È
il caso di due versi di Ǫlvir hnúfa (IX sec.):
Ǿstisk allra landa
umgjǫrð ok sonr Jarðar... |
S'infuriò la cintura di tutta la terra [=
Jǫrmungandr]
e il figlio di Jǫrð [=
Þórr]... |
Ǫlvir
hnúfa: «Ǿstisk allra landa» |
Assai interessante il frammento di una composizione
di Gamli gnævaðarskáld (X sec.):
Þás gramr, hinn er svik samðit,
snart Bilskírnis, hjarta,
grundar fisk með grandi
gljúfrskeljungs nam rjúfa... |
Allorché il signore di
Bilskírnir
[=
Þórr],
dal cuore incapace d'inganni,
rapido massacrò il pesce dalla terra [=
Jǫrmungandr]
con il distruttore delle balene delle rupi [=
Mjǫllnir]... |
Gamli
gnævaðarskáld: «Þás gramr, hinn er svik samðit» |
L'ambiguità di questo brano verte sul verbo rjúfa, «rompere, spaccare,
lacerare». In letteratura questo verbo viene utilizzato con molte
sfumature di significato, anche in relazione a danni inflitti a persone o esseri
viventi. Ad esempio rjúfa undir significa «infliggere ferite» in
Rígsþula
[48], mentre la formula regin rjúfask, «le potenze divine
crolleranno», esprime la distruzione finale degli dèi nel
ragnarǫk (Grímnismál
[4] |
Vafþrúðnismál [41]).
A seconda di quale sia l'esatto senso della parola, nel contesto del
frammento di Gamli, il
serpente
Jǫrmungandr potrebbe essere stato gravemente ferito o addirittura
ucciso. Siamo confortati dal fatto che lo stesso Snorri si era posto il problema
quando esprime le sue perplessità
al riguardo: «alcuni dicono che [Þórr] gli
abbia staccato la testa sotto le onde, ma io penso invece che il
Miðgarðsormr sia ancora vivo...»
[segja menn at hann lysti af honum
hǫfuðit við grunninum, en ek hygg
hitt vera þér satt at segja at
Miðgarðsormr lifir enn ok liggr í umsjá]
(Gylfaginning [48]). D'altra parte, il
frammento di Gamli gnævaðarskáld presenta una
variante, attestata nel Codex Upsaliensis (ms. U), dove il verbo è volto al futuro, suggerendo che l'uccisione di
Jǫrmungandr vada collocata nel tempo escatologico del
ragnarǫk. Il materiale è comunque
troppo ermetico per trarre conclusioni definitive.
Un ultimo frammento, anch'esso citato da Snorri, proviene da un poema su
Þórr dello scaldo Eysteinn Valdason (~ 1000), dove leggiamo:
Sín bjó Sifjar rúni
snarla fram með karli
(hornstraum getum Hrímnis
hrœra) veiðarfǿri. |
Subito lo sposo di Sif,
insieme al karl, approntò
– noi sappiamo come mescere il liquore
del corno di Hrímnir – l'attrezzatura da pesca. |
Leit á brattrar brautar
baug hvassligum augum,
ǿstisk áðr at flausti
ǫggs búð, faðir Þrúðar. |
Guardò fisso il padre di Þrúðr
all'anello dalle ripide strade
quando infuriata si levò la dimora
dei pesci contro la barca. |
Svá brá viðr, at sýjur,
seiðr, rendu fram breiðar,
jarðar, út at borði
Ulls mágs hnefar skullu. |
Reagì con tale potenza il pesce della terra
da scuotere l'ampia fiancata della barca,
e urtarono i pugni del patrigno
di Ullr contro la frisata. |
Eysteinn
Valdason: «Sín bjó Sifjar rúni» [1-3] |
Il dettaglio dei pugni di
Þórr che, strattonati dal serpente, battono contro il capo di banda del
nǫkkvi, è stato sicuramente tratto da questa composizione. Non conoscendo il
resto del poema di Eysteinn Valdason è impossibile dire
se, nel seguito, fosse presente anche il motivo di
Þórr che sfonda con i piedi la chiglia della barca, che al momento non ha una
fonte conosciuta. Al riguardo, Eysteinn Björnsson pensa a un'analogia con la
scena, descritta in Hymiskviða
[34], dove
Þórr, sotto il peso del calderone, sprofonda nel pavimento della hǫll
di Hymir (Eysteinn 2003).
Ma il brano di Eysteinn Valdason contiene un altro
dettaglio interessante. Nella seconda strofa, quando
Þórr guarda giù dalla barca, dopo aver gettato la lenza, vengono
utilizzate due kenningar assai rivelatrici. La prima, baugr brattrar
brautar, «l'anello dalle ripide strade», è generalmente interpretato come
una metafora per indicare il
Miðgarðsormr, che con le sue
spire cinge ad anello tutto il mondo aspro e montuoso
(Eysteinn 2003); tuttavia la medesima
kenning potrebbe anche indicare lo stesso úthaf, l'oceano esterno
che scorre intorno al mondo, fungendo da strada per le navi. La seconda, ǫggs
búð, «la dimora dei pesci», è però sicuramente una kenning per
indicare il mare: e quando il poeta scrive «infuriata si levò la dimora dei
pesci contro la barca», descrivendo un'immensa ondata che colpisce il nǫkkvi
di
Þórr, sembra stia identificando il serpente Jǫrmungandr
con l'oceano stesso. Le connotazioni mitologiche legate a tale identificazione sono
talmente arcaiche che possiamo certamente dubitare del fatto che Eysteinn Valdason esprimesse più di un elegante paragone poetico. Di certo, tuttavia,
nell'equazione serpente = oceano la strada della comparazione mitologica
è aperta e facilmente percorribile. ①
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IV - ÞÓRR E IL SERPENTE: LE FONTI ICONOGRAFICHE
Il mito della pesca di Jǫrmungandr
da parte di
Þórr è attestato in una serie di fonti iconografiche, essendo uno dei
motivi più popolari delle raffigurazioni litiche di epoca vichinga. Ben quattro
incisioni raffigurano infatti il mito in questione.
L'immagine più pregevole, ma anche forse la più soggetta a interpretazioni, è
quella della cosiddetta pietra Ardre VIII, scoperta – in
una serie di dieci pietre incise con rune o immagini – intorno al 1900 sotto il pavimento di legno di una chiesa ad Ardre,
villaggio a nord di Stånga, nel Gotland (Svezia), e oggi custodita all'Historiska
museet
di Stockholm. Risalente all'VIII sec., la pietra è ricca di scene mitologiche. Si riconosce in alto
Óðinn in groppa a Sleipnir; sotto è
raffigurata
una splendida nave, spesso messa in correlazione con
Naglfar; vi è una bottega di fabbro che si è voluto
identificare con quella di Vǫlunðr; mentre la
figura legata potrebbe rappresentare
Loki. La parte che a noi ci interessa è nella parte inferiore della pietra, generalmente interpretata
dagli studiosi come
una serie di raffigurazioni dell'Hymiskviða.
Sulla destra si vedono due uomini entrare in una casa. All'interno
dell'abitazione, al centro, si distingue un animale che potrebbe essere un bue o
un toro: due uomini stanno uscendo, e uno dei due porta sulle spalle qualcosa
nel quale si è voluta riconoscere la testa di un toro. Sulla sinistra, due
uomini stanno pescando: uno sta arpionando un pesce, il secondo sembra aver
gettato una lenza. Vi è un motivo intrecciato che gira intorno al perimetro
della pietra, circondandola completamente: forme stilizzate del
serpente Jǫrmungandr
erano decorazioni molto comuni nell'arte antico-nordica. Sopra i due pescatori si
vede un uomo a colloquio con un individuo inginocchiato, che sembra avere molte
teste, e, visto il contesto, è facile pensare a
Týr e alla sua bizzarra nonna policefala.
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Pietra di Ardre
viii
(✍ VIII sec.) |
Historiska
museet,
Stockholm (Svezia) |
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Pietra di Hørdum
(✍ VIII-XI sec.) |
Chiesa di Hørdum (Danimarca) |
Assai più lineare, l'immagine raffigurata sulla pietra di Hørdum, scoperta nel 1954 durante dei lavori presso
la chiesa dell'omonima località, in Danimarca, e oggi custodita in loco. L'immagine risale a un periodo compreso tra l'VIII
e l'XI secolo: si riconoscono due personaggi in una barca
dalla forma a mezzaluna, ovviamente identificati con Hymir
e
Þórr. A sinistra, «Hymir» regge una
sorta di grosso arpione o uncino; a destra, «Þórr» ha
gettato una lenza, che scende in mare disegnando un'elegante linea a spirale.
Un tratto sembra rappresentare il profilo di Jǫrmungandr,
forse cancellato dai danni sulla superficie della pietra. Un dettaglio
interessante è rappresentato dai piedi di «Þórr»
che fuoriescono da sotto la chiglia della barca: un episodio presente
nel
Gylfaginning di Snorri ma ignorato dall'Hymiskviða.
Nel cortile della chiesa di Saint Mary a Gosforth, nella contea di Cumbria (Inghilterra), in una zona interessata da insediamenti scandinavi,
nel 1886 fu rinvenuta una croce anglosassone finemente istoriata, eretta tra il 920 e il 950, che
ritrae, nei suoi quasi quattro metri e mezzo d'altezza, una serie di scene mitologiche, interpretate
alla luce della tradizione eddica (Víðarr
e Fenrir,
Loki incatenato,
Heimdallr con il corno e il serpente Jǫrmungandr...).
Ma non è la croce di Gosforth a interessarci ora, ma la pietra di
Gosforth: ovvero il frammento di una seconda croce, rinvenuto poco lontano, su cui è raffigurata una
scena solitamente interpretata come l'episodio dell'Hymiskviða.
Su una barca, due personaggi reggono un qualche strumento: in quello della
figura a sinistra si è voluto vedere un martello. La lenza è raffigurata con una
spessa linea trasversale, in fondo alla quale appare una forma
irregolare interpretata come la testa del bue usata come esca. In basso sono
raffigurati dei pesci: il serpente Jǫrmungandr
è forse rappresentato dal motivo intrecciato scolpito «sopra» la barca.
(Sørensen 1986 | Eysteinn 2003)
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Pietra di Gosforth
(✍ X sec.) |
Nella riproduzione grafica, a destra, lo studioso ha
evidenziato il martello di «Þórr» e la
testa del bue più di quanto non traspaia nel bassorilievo originale.
Chiesa di St. Mary,
Gosforth (Regno Unito). |
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Pietra di Altuna
(✍ X sec.) |
Altuna (Svezia) |
L'ultima raffigurazione, forse la più chiara in assoluto, è quella visibile
sulla
pietra runica di Altuna (XI secolo), scoperta nel 1918
nell'omonima località, nell'Uppland (Svezia). Notabile anche per le sue
iscrizioni in fuþark (Rundata [U 1161]),
la pietra presenta un'immagine, piuttosto lineare, nella quale è facile
riconoscere Þórr mentre pesca il serpente Jǫrmungandr.
La figura sulla barca è sola (manca «Hymir»);
l'oggetto che regge nella destra ha tutta l'aria di essere un martello;
inoltre i piedi sporgono sotto la barca, come nel
Gylfaginning. La lenza anche qui viene
raffigurata come una fune piuttosto spessa e si riconosce la testa del toro
usata come esca. Jǫrmungandr è
raffigurato come un elegante intreccio di spire: è facilmente distinguibile la
testa del serpente con le mascelle che stanno per chiudersi sull'esca.
(Sørensen 1986)
|
V - NOTERELLE SU
HYMIR Poco sappiamo su Hymir, sebbene l'Hymiskviða
ci faccia balenare l'esistenza di molti possibili miti, oggi perduti. Il suo
nome potrebbe forse essere corradicale con il norreno himinn («cielo), da un
protogermanico *himinaz (da radice indoeuropea *EM-,
«coprire»), dettaglio che fornisce forse un barlume di
significato a una battuta presente nel poema, dove
Týr dice:
I fiumi cosmici
Élivágar, in questo caso, sembrano
indicare l'úthaf, l'oceano esterno nel quale
Jǫrmungandr circonda il mondo. La formula «alla fine del cielo» [at himins enda] viene
invece
utilizzata
per indicare il luogo da dove l'aquila Hræsvelgr
produce i venti che soffiano sulla terra
(Vafþrúðnismál
[37]) (Snorri la usa anche per
indicare il luogo dove sorge Himinbjǫrg,
la dimora dove Heimdallr sta di
sentinella, all'estremità celeste del ponte
Bifrǫst
(Gylfaginning [17 |
27])). Entrambe le nozioni sembrano indicare l'orizzonte, il punto
dove la terra ha fine e dove l'oceano diviene una nozione astronomica, forse
affine all'equatore celeste o all'eclittica. Estendendo queste poche nozioni, Hymir
potrebbe essere descritto come una sorta di «guardiano» che sorveglia i confini del mondo. ①
Poco altro sappiamo su questo personaggio. Nel
Lokasenna si citano le sue figlie, il cui trattamento nei riguardi di
Njǫrðr è a dir poco irriguardoso:
Þegi þú, Njǫrðr,
þú vart austr heðan
gíls of sendr at goðum;
Hymis meyjar hǫfðu
þik at hlandtrogi
ok þér i munn migu. |
Zitto, tu,
Njǫrðr!
Sei stato da qui in oriente,
come ostaggio inviato dagli dèi;
le figlie di Hymir
ti tennero come vaso da notte
e ti pisciarono in bocca. |
Ljóða Edda
>
Lokasenna [34] |
L'Hymiskviða tratteggia
Hymir come un essere minaccioso, di statura
possente e carattere malevolo e violento, cosa che rende piuttosto comica la
sua continua insofferenza di fronte ai continui guai che gli combina Þórr.
Snorri, invece, descrive Hymir come un
personaggio piuttosto pavido e remissivo: quasi una vittima di Þórr,
piuttosto che un suo antagonista. Il contrasto tra le due versioni del
personaggio non potrebbe essere più accentuato. È significativo il fatto che, pur
nello stile volutamente grottesco del poema,
Hymir tira su con un sol colpo due balene; nel
testo di Snorri, invece, Hymir afferma di spingersi
al largo per pescare sogliole. Anche la fine del gigante, che nell'Hymiskviða
viene risolta in un sia pur sbrigativo scontro con Þórr,
è piuttosto antieroica in Snorri, dove il gigante viene colpito da un pugno e
scagliato in mare.
Si ha l'impressione che il personaggio fosse divenuto, già all'epoca
di Snorri, piuttosto sbiadito. I manoscritti della
Prose Edda riportano il nome nella
lezione <Ymir> o <Ymer> (<Eymir> nel Codex Upsaliensis, ms.
U), confondendo Hymir con
il macroantropo primordiale Ymir.
Probabilmente è proprio a Ymir (e non a
Hymir) che si riferisce la strana kenning
per «corvo» citata in Haraldskvæði [2],
Hymis hausreytir, «colui che stacca il cranio di Hymir»
(Ymis hauss, «cranio di Ymir», è
infatti una kenning per «cielo»).
|
VI - I PANNI SPORCHI SI LAVANO IN FAMIGLIA:
LE «IMBARAZZANTI» PARENTELE DI TÝR Un dettaglio interessante dell'Hymiskviða
è costituito dalla famiglia di Hymir. Essa è
formata, in questo testo, da una bizzarra nonna con novecento teste e da una
frilla (contrazione di friðla, «amante, sposa, compagna») di
aspetto molto fine e gradevole. Il contrasto tra le due donne non potrebbe
essere più rimarcato:
Mǫgr fann ǫmmu
mjǫk leiða sér,
hafði hǫfða
hundruð níu,
en ǫnnur gekk
algullin fram
brúnhvít bera
bjórveig syni: |
Il rampollo [Týr] incontrò la nonna,
da lui assai detestata:
di teste ne aveva
novecento;
un'altra venne avanti
tutta d'oro adornata,
bianche le sopracciglia, recando
al figlio una coppa di bjórr... |
Ljóða Edda
> Hymiskviða [8] |
Nel poema, Týr appartiene alla famiglia di
Hymir. Egli stesso si riferisce allo jǫtunn
chiamandolo «mio padre» [minn faðir]
(Hymiskviða
[5]), e la frilla, avvertendo Hymir
dell'arrivo dell'áss, lo definisce «figlio» [sonr]
(Hymiskviða
[11]).
Nú er sonr kominn
til sala þinna,
sá er vit vættum
af vegi lǫngum... |
È giunto ora il figlio
nella tua sala,
che noi attendevamo
da lunghi cammini. |
Ljóða Edda
> Hymiskviða [11] |
Le sue parole dànno l'impressione di riferirsi a un mito perduto, nel quale
si raccontava, forse, come
Týr avesse lasciato la sua casa molto tempo prima e fosse andato a vivere in
Ásgarðr, forse in qualità di ostaggio
(Eysteinn 2003). D'altra parte, non dimentichiamo
che, nello stesso testo, è proprio
Týr a consigliare Þórr
di agire con l'inganno e l'astuzia nei confronti di Hymir: un dettaglio che fa pensare a un rapporto non certo idilliaco tra padre e
figlio.
Questa parentela contrasta con un'affermazione di Snorri il quale, nell'elencare le kenningar di
Týr, lo definisce son Óðins «figlio di
Óðinn»
(Skáldskaparmál [16]), notizia che però
non viene giustificata in alcun modo, né Snorri fornisce miti alternativi sulla nascita di
Týr. L'Hymiskviða,
al contrario, è abbastanza preciso nel descriverci la famiglia dell'einhǫnd;
almeno nell'ambito del poema non si può dubitare in alcun modo che
Týr sia detto figlio di Hymir.
Nondimeno alcuni traduttori hanno cercato di «ammorbidire» tale
scomoda discendenza. È il caso di Lee Milton Hollander che ha tentato di emendare il
testo dell'Hymiskviða sostituendo, in traduzione, father con kinsman,
e segnalando in nota che la sposa di
Hymir dovesse essere una qualche dea, unita al
gigante contro la sua volontà (Hollander 1928). Il
contrasto tra la bellezza della madre di
Týr e la bruttezza della nonna ha fatto anche ipotizzare che quest'ultima
fosse madre di
Hymir e non della frilla.
Tali ipotesi non
sono tuttavia necessarie: nel mito germanico gli
dèi possono discendere dai giganti (è il caso dello stesso
Óðinn), e le figlie degli jǫtnar possono essere, a volte, di
abbagliante bellezza (come Gerðr
e Skaði). La stessa frilla,
rivolgendosi a
Týr e Þórr, li comprende entrambi
nell'espressione áttniðr jǫtna, «prole di giganti»
(Hymiskviða
[5]), ricordandoci come certe categorie, nel mondo del mito,
possano essere sfumate e labili. |
VII - HĒRAKLS, GĒRYṒN E AKHELOS: I PARALLELI ELLENICI Che Þórr ed
Hērakls
siano personaggi omologhi è un'ipotesi che, in queste pagine, abbiamo spesso
sostenuto. Ci proponiamo ora di individuare, nell'ambito del ciclo di
Hērakls,
il possibile esito ellenico del mito della lotta del dio-tuono con il serpente-delle-acque. Nell'esaminare l'Hymiskviða,
gli studiosi hanno generalmente accusato il poema di essere un patchwork di
episodi scollegati tra loro: la cerca del calderone di Hymir,
ad esempio, apparterebbe a una tradizione separata dal mito della pesca di
Jǫrmungandr, e se troviamo insieme
questi due temi – dicono gli studiosi – è solo merito della fantasia
del compositore dell'Hymiskviða.
Ma come già abbiamo notato, la trama dell'Hymiskviða,
lungi dall'essere un disordinato collage, è strutturata in maniera
geometrica, segno di una non comune
attenzione letteraria. Questa considerazione è tuttavia una semplice
indicazione che il nostro poeta conosceva il suo mestiere: non prova
necessariamente che i temi della
cerca del calderone e della pesca del serpente fossero collegati nella
tradizione «originaria». È quanto cercheremo ora di capire analizando il mito
ellenico.
La parte centrale del ciclo di Hērakls è
costituita da due dei suoi érga, in particolare la decima e l'undicesima
«fatica»,
rispettivamente il furto del bestiame di Gēryṓn e
la ricerca dei pomi delle Hesperídes. In entrambi i
casi l'eroe ellenico deve arrivare ai confini del mondo, spostandosi da un
contesto geografico a uno astronomico. Alla base c'è
un antichissimo mito della ricerca dell'immortalità che ha uno dei suoi
archetipi nell'epopea mesopotamica di Gilgameš.
Ma qui ci interessa soprattutto il decimo érgon,
nel quale Hērakls viene inviato da Eurystheús a rubare le
mandrie di Gēryṓn. Costui, una sorta di mandriano
primordiale, era dotato di tre teste o, secondo la versione più popolare del
mito, di tre
busti umani che si dipartivano da una sola vita, sicché due sole gambe
sostenevano tre cuori, sei braccia e tre teste. Gēryṓn custodiva le sue rosse
giovenche nella remota isola di Erýtheia, ai limiti occidentali della terra. Giunto sulle coste
atlantiche della penisola iberica,
Hērakls si trovò di fronte ai
flutti del fiume
Ōkeanós, che nessun uomo aveva
mai attraversato prima d'allora. C'era però la coppa d'oro a bordo della quale
Hḗlios, il sole, dopo essere tramontato a
occidente, si lasciava trasportare durante la notte dalla corrente oceanica,
tutto intorno al mondo, per poter poi sorgere il mattino successivo a oriente.
A bordo di questa inusitata imbarcazione, Hērakls
fu il primo mortale a inoltrarsi sulle acque di Ōkeanós. Giunto a Erýtheia, l'eroe uccise
Gēryṓn, dopo di che, imbarcate le rosse giovenche
sulla coppa del sole, ritornò indietro... ①
Un confronto tra Gēryṓn e
Hymir potrebbe sembrare piuttosto fragile, sebbene i
due personaggi presentino una serie piuttosto puntuale di elementi comuni.
Entrambi vivono ai «confini del cielo», l'uno oltre il fiume
Ōkeanós, l'altro al di là dei fiumi
Élivágar:
in entrambi i casi per arrivare alla loro dimora è necessario uscire dal mondo
ed entrare in uno spazio cosmologico. Tutt'e due sono dei mandriani, sebbene in
Hymir questo dettaglio appaia secondario. È
tuttavia vero che
Hērakls porta via le intere mandrie di
Gēryṓn, il cui manto era stato tinto di rosso dai
raggi del tramonto, mentre Þórr si limita
a uccidere un unico toro di Hymir, una magnifica bestia di cui Snorri fornisce un nome rivelatore,
Himinhrjótr: la prima parte di questo nome è
infatti costruita sulla radice himin-,
«cielo», e sebbene la seconda parte non sia chiara, questo toro
«celeste» abbattuto da Þórr fa pensare
a Gudanna, il «toro del cielo» affrontato da
Gilgameš. Riguardo al triplice corpo di
Gēryṓn, non è il caso di insistere
troppo sulla deformità di Hymir, espressa senza
convinzione dall'Hymiskviða,
ma è anche vero che nell'entourage di Hymir
vi è una tendenza piuttosto insistita sulla policefalia – motivo raro nella mitologia nordica – a partire dalla nonna fornita di novecento teste fino
alla «schiera dalle molte teste» che insegue
Týr e Þórr dopo la loro fuga dalla
casa di Hymir (a meno che l'espressione non
indichi una «schiera composta da molte persone»)
(Hymiskviða
[35]).
Sottolineate queste affinità tra Gēryṓn
e Hymir, bisogna però anche notare delle importanti differenze:
innanzitutto nel mito ellenico Hērakls si reca a Erýtheia
con il preciso compito di rubare le mandrie. Tuttavia sbaglieremmo nel dire che
manca nella versione greca qualsiasi riferimento a
recipienti e paioli: in fondo l'eroe attraversa le acque di Ōkeanós
dentro la coppa di Hḗlios,
così come Þórr fugge col calderone di
Hymir sulle spalle. In un frammento di Teólytos di Mḗthymna (forse tratto dalla
perduta
Titanomakhía di Eúmēlos di Kórinthos), tramandato da Athḗnaios
Naukratítēs, leggiamo:
Theólytos d' en deutérōi Hṓrōn epì lébētós
phēsin autòn diapleûsai, toûto prṓtou eipóntos toû tḕn Titanomakhían poiḗsantos. |
Theólytos dice che [Hērakls]
attraversò il mare in un calderone; ma il primo a riferire questa vicenda è
l'autore della
Titanomakhía. |
Teólytos
apud
Athḗnaios: Deipnosophistaí [XI, 39]
= FGrHist [478 F 1] |
In greco, lébēs è un calderone, un caldaia, un bacile di metallo. Sia
Hērakls
che Þórr si spostano dunque, nel loro
viaggio ai/dai confini del mondo, con un calderone. Nel mito nordico, tuttavia,
il calderone ha anche un'altra importante funzione che manca completamente nel
mito greco: quello di fungere da riserva
inesauribile di birra per i banchetti divini.
Un'altra importante differenza è che, nel
mito di Hērakls e Gēryṓn, manca
qualsiasi riferimento alla lotta con il serpente. Ma come abbiamo sottolineato,
Jǫrmungandr è tutt'uno, a livello
simbolico, con l'úthaf, l'oceano che cinge il mondo: quando si scatenerà,
nel ragnarǫk, il serpente rovescerà le acque cosmiche
sulla terra, sterminando il genere umano. Scrive Snorri: «Il mare dilagherà
sulla terraferma, poiché in esso il Miðgarðsormr si agiterà in preda allo
jǫtunmóðr e assalirà la terra» [Þá geysisk
hafit á lǫndin fyrir því at þá snýsk Miðgarðsormr í jǫtunmóð ok sǿkir upp á
landit]
(Gylfaginning [51]).
Il fiume Ōkeanós, nel mito greco,
sembra invece piuttosto passivo. Fa eccezione un racconto che Athḗnaios afferma
questa volta di aver tratto dal terzo libro di Pherekýdēs di Athnai
(Jacoby 1923-1959):
|
Allora Hērakls su quella coppa raggiunse Erýtheia.
E quando fu in mare aperto,
Ōkeanós per
metterlo alla prova fece beccheggiare tremendamente la
coppa tra le onde. Hērakls stava per rivolgersi contro l'arco
ma
Ōkeanós
s'intimorì e lo pregò di desistere. |
Pherekýdēs
apud
Athḗnaios: Deipnosophistaí [XI, 38,
c-d] = FGrHist [3 F 18a] |
Ma a parte questa interessantissima variante, tutte le fonti elleniche
sembrano concordi sul fatto che il fiume Ōkeanós
non abbia contrastato in alcun modo il transito
di Hērakls. A quanto pare, nel carattere di Ōkeanós
sono confluiti mitemi di
diversa origine, probabilmente risalenti al concetto mesopotamico di Abzu/Apsû. È una difficoltà non da poco. Ma se ipotizziamo che, nel rileggere
un antico mito di probabile origine indoeuropea, incentrato sul dio-tuono che si
affronta il serpente-delle-acque, i proto-elleni si siano scontrati con una
cosmologia contraddittoria, di possibile origine mesopotamica, dove l'oceano
cosmico si limitava a giacere passivo e inerte ai confini del kósmos,
dove potrebbe essere finito il mito in questione? In che cosa potrebbe essersi
trasformato?
Non perdiamoci d'animo: nel mito greco,
Ōkeanós aveva tremila figli, i
Potamoí, o «fiumi». Il primogenito era
Akhelos, dio del principale fiume della Grecia.
Alcuni studiosi sono persuasi che, in una fase arcaica del mito,
Akhelos si confondesse con lo stesso
Ōkeanós.
Concluso il ciclo delle érga,
Hērakls dovette affrontare proprio
Akhelos, col quale contese per la mano di
Dēïáneira,
figlia di Oineús, re di Kalydṓn. Questo
Oineús fu il primo a diffondere l'uso del
vino [oînos], bevanda ottenuta
mescolando l'acqua dell'Akhelos al succo fermentato della vite (Vergilius:
Georgicae [I:
]).
Il dio fluviale
Akhelos aveva tre aspetti: di serpente
screziato, di toro, oppure umano, con una lunga barba stillante acqua. Ma
Dēïáneira
aveva orrore di un tale sposo e avrebbe voluto morire piuttosto che
unirsi a lui. Quando Hērakls giunse in Aithōlía,
contese al potamós il diritto di sposare la ragazza.
Akhelos si trasformò dapprima in un serpente, ma
Hērakls
non si lasciò intimorire (lui che strangolava serpenti già nella culla!).
Akhelos si trasformò allora in toro, ma Hērakls gli strappò un corno. Ad
Akhelos non rimase che arrendersi e
Hērakls poté sposare Dēïáneira.
(Sophokls: Trakhíniai [9-21] |
Ovidius: Metamorphoseon
[IX: -] | Hyginus: Fabulæ [31]).
Il corno strappato ad
Akhelos divenne la cornucopia, l'inesauribile
recipiente di abbondanza che spandeva fiori e frutti senza mai svuotarsi. Nella
versione di
Apollódōros, invece, non
era il corno di
Akhelos a essere inesauribile, ma quello della
capra
Amáltheia. Ma poco cambia:
Akhelos consegnò quest'ultimo a
Hērakls in cambio di quello che l'eroe gli aveva
strappato (Bibliothḗkē
[II: 7]). Non ci stupiamo a questo punto di scoprire una terza versione che collega la cornucopia direttamente all'érgon gerioneo:
Hērakls avrebbe ricevuto la
cornucopia da Herms per sostentarsi durante la
traversata dell'Africa, all'epoca in cui era andato a rubare le mandrie di Gēryṓn
(Hēsýkhios: Synagōgḕ pasn léxeōn katà
stoicheîon [Amalteías kéras]).
Nel mito della lotta tra Hērakls e
Akhelos ritornano quasi tutti gli elementi
dell'Hymiskviða.
In entrambi i casi, abbiamo un mito di lotta del dio-tuono contro il
serpente-delle-acque. Nella versione germanica, il serpente mantiene il suo
status cosmologico, legato alle acque dell'oceano cosmico, trattenute tra le sue spire; in quella ellenica si è ormai declassato in
un dio fluviale, sebbene di una certa importanza. In entrambi i casi è il
serpente a uscire malconcio dal combattimento con il dio-tuono. Il mito comprende
anche il motivo di uno scontro
contro un toro, a cui viene strappato un corno (Hērakls)
oppure l'intera testa (Þórr). Sebbene
la lotta contro il serpente-delle-acque abbia ragioni diverse nel mito ellenico
e in quello germanico, l'esito dello scontro
ha come conclusione, in entrambi i casi, la conquista di un
recipiente di inesauribile abbondanza: la cornucopia nel mito greco o il
calderone di Hymir in quello germanico. In entrambi
i miti, inoltre, il dio-tuono agisce per conto di un «padrino» caratterizzato
come inventore/produttore di una bevanda conviviale: il vino (Oineús)
o la birra (Ægir). Vediamo di mettere
insieme uno schema comparativo:
|
GERMANI (Hymiskviða) |
ELLENI
(Hērakls I) |
ELLENI
(Hērakls II) |
1 |
Þórr si reca alla dimora
di
Ægir, il fabbricante di birra, e gli chiede di
preparare da bere per i convivi divini. |
|
Hērakls si reca alla dimora di
Oineús, l'inventore del vino,
e gli chiede il permesso di sposarne la figlia. |
2 |
Il mandriano Hymir abita ai confini
del mondo, a oriente dei fiumi cosmici
Élivágar. |
Il mandriano Gēryṓn
abita ai confini del mondo, a occidente del fiume cosmico
Ōkeanós. |
|
3 |
Þórr si spinge in barca
sull'úthaf, l'oceano che circonda il mondo, per una battuta
di pesca. |
Hērakls attraversa il
fiume Ōkeanós che circonda
il mondo per arrivare nell'isola di Erýtheia. |
|
4 |
Þórr affronta e uccide
miglior il toro della mandria di Hymir,
e gli strappa la testa. |
Hērakls ruba le mandrie
di Gēryṓn. |
Hērakls combatte contro il
dio-fiume Akhelos trasformato in toro,
e gli strappa un corno. |
5 |
Preso all'amo, il serpente Jǫrmungandr assale la barca di
Þórr. Il dio lo colpisce col
martello e lo fa fuggire. |
Ōkeanós scuote con le
onde l'imbarcazione di Hērakls.
Il semidio lo minaccia con l'arco convincendolo a desistere. |
Hērakls combatte contro il
dio-fiume Akhelos trasformato in
serpente e lo costringe ad arrendersi. |
6 |
Þórr ruba l'inesauribile
calderone di Hymir. |
Herms ristora
Hērakls donandogli la cornucopia,
recipiente inesauribile di cibo. |
Hērakls conquista il corno di
Akhelos, recipiente inesauribile di
cibo. |
7 |
Þórr uccide
Hymir e i suoi jǫtnar dalle
molte teste. |
Hērakls uccide
Gēryṓn, che ha tre
teste, e i suoi mandriani. |
|
8 |
Þórr fugge dai confini del
mondo con il calderone di Hymir sulle
spalle. |
Hērakls attraversa il
fiume Ōkeanós a bordo della
coppa, o del calderone, di Hḗlios. |
|
Se entrambi i miti –
ellenico e germanico – hanno alla base un motivo comune, possiamo chiederci
quale abbia conservato i tratti più arcaici, più vicini a un ipotetico sistema
«originario». Domanda a cui è difficile rispondere. Parlando in generale, sappiamo che il sistema
mitologico greco è andato incontro a mutamenti piuttosto
profondi e significativi, a causa sia delle tradizioni di substrato sia delle
influenze medio-orientali. Un'importante chiave di rilettura, nel mondo
ellenico, è dovuta alla ridefinizione dell'identità e delle funzioni di molti personaggi. Gli
sforzi di Hērakls – antico dio-tuono
trasformato in eroe – non sono più mirati a proteggere l'ordine cosmico, ma
servono ora per scopi assai più «terreni». Nei
vari érga, Hērakls deve trovare animali o oggetti favolosi per il serraglio di
re Eurystheús, mentre, nel mito di
Akhelos, combatte per il diritto di sposare una donna.
Niente a che vedere con il mito nordico, Þórr
e Jǫrmungandr sono nemici
escatologici. Inoltre il mito ellenico tiene nettamente separati l'episodio di Gēryṓn
da quello di
Akhelos, laddove quello germanico (o almeno la
versione dell'Hymiskviða)
tiene insieme in una stessa narrazione sia Hymir
sia
Jǫrmungandr.
È difficile dire quale dei due scenari sia andato incontro a maggiori
rielaborazioni. Non ci aiuta molto, in questo caso, aprire il ventaglio delle
comparazioni. Ad esempio, sebbene il mito indiano e iranico presentino strutture indubbiamente
affini, sono comunque abbastanza diversificate da non permetterci una
conclusione precisa.
Il dio-tuono indiano Indra sostiene dapprima l'eroe Trita Āptya nel
furto della mandria del tricefalo Viśvarūpa/Triśiras
per poi scendere a battaglia contro il serpente-delle-acque
Vṛtra, che trattiene l'oceano
cosmico tra le sue spire, condannando il mondo alla siccità. (Il mito parallelo, in Īrān, ha per protagonisti
rispettivamente
Vǝrǝθraγna, l'eroe
Θraētaona e il tricefalo
Aži Dahāka, il quale diventerà il serpente escatologico.)
Sebbene i singoli motivi siano spesso riconoscibili, il modo come sono combinati
e interpretati nelle varie culture varia al punto tale da rendere difficile arrivare a conclusioni definitive.
La vastità e la difficoltà di questa ricerca è tale da non poterla affrontare in
questo breve articolo.
|
Bibliografia
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BIBLIOGRAFIA ► |
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