1 -
ARRIVO A ÚTGARĐR
opo essersi rimessi in cammino,
a mezzogiorno,
Þórr e
Loki, insieme a Þjálfi e Rǫskva, videro, in mezzo a una
pianura, una fortezza così imponente che dovettero inarcare il collo fino alla
schiena prima di riuscire a scorgerne la sommità.
Le porte di
Útgarðr erano chiuse da un cancello talmente poderoso che
Þórr non
riuscì ad aprirlo in alcun modo. Decisi a penetrare nella rocca, i quattro strisciarono fra le
sbarre e così riuscirono a passare. Le porte dell'edificio principale erano
aperte. Vi entrarono, e si trovarono in una vasta hǫll.
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Þórr dinanzi a Útgarðaloki
(✍ 1888) |
Alfred Kappes (1850-1894), illustrazione
(Baldwin 1888) |
2 -
ÚTGARĐALOKI
ungo due panche, stavano seduti uomini di proporzioni davvero
gigantesche. I quattro giunsero dinanzi al re della fortezza, Útgarðaloki, e lo
salutarono. Questi volse lentamente lo sguardo su di loro, sogghignò mostrando i
denti e disse:
— È tardi per chiedere notizie a chi ha percorso una lunga via. Ma mi sbaglio o
questo giovanotto è Ǫkuþórr? Spero tu sia migliore di quanto non sembri. Per
quali prove tu e i tuoi compagni pensate di esser pronti? Non resterà in mezzo a
noi chi non conosce un'arte di qualche tipo o sia più abile della maggioranza
degli uomini. |
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Loki e Logi
(✍ 1888) |
Autore sconosciuto, illustrazione
(Gordon 1910) |
3 - LOKI E LOGI, SFIDA TRA MANGIONI
arlò l'ultimo del gruppo,
Loki: — Io ho
un'abilità che sono disposto a mettere alla prova. Non c'è nessuno, in questa
sala, che può mangiare più velocemente di me.
Rispose Útgarðaloki: — È un'abilità solo se riuscirai a dimostrarla.
Chiamò dall'altra estremità della panca un tale chiamato
Logi, affinché
avanzasse nella sala e si misurasse con
Loki. Un trogolo fu posto sul
pavimento della sala e riempito di carne.
Loki sedette a un capo e Logi
all'altro; ciascuno mangiò più veloce che poteva e s'incontrarono nel mezzo. Ma
però
Loki aveva mangiato tutta la carne fino alle ossa,
Logi aveva anche le ossa
e persino il trogolo. Parve quindi a tutti che
Loki avesse perso la sfida. |
4 - GARA DI CORSA TRA ÞJÁLFI E HUGI
llora Útgarðaloki chiese cosa fosse in grado di fare
Þjálfi. Il giovane dichiarò avrebbe gareggiato nella corsa con chiunque
Útgarðaloki avesse scelto.
Útgarðaloki valutò il giovane con un'occhiata e approvò l'idea. Si alzò
e uscì dalla fortezza. Fuori si stendeva una lunga pianura, il luogo ideale per
lo svolgimento della gara. Útgarðaloki chiamò un giovane chiamato
Hugi e gli
chiese di gareggiare con Þjálfi.
Partirono e Hugi, giunto per primo al traguardo, si voltò ad aspettare
Þjálfi.
— Bisognerà, Þjálfi, che ti sforzi maggiormente se vuoi vincere la gara lo
incitò Útgarðaloki. — Bisogna però
ammettere che qui non è arrivato nessuno che sapesse correre più velocemente di
te.
Fecero un'altra gara e quando Hugi arrivò al traguardo,
Þjálfi era ancora
lontano quanto un lungo tiro di freccia.
— Sebbene Þjálfi abbia corso bene, non credo abbia vinto la gara
— osservò
Útgarðaloki. — Ma questo lo
decideremo dopo aver corso il terzo giro.
Partirono di nuovo, ma quando Hugi fu arrivato al traguardo,
Þjálfi non era
ancora a metà percorso. Tutti dichiararono che la gara aveva avuto il suo esito. |
5 - ÞÓRR ALLA PROVA DEL CORNO
questo punto, Útgarðaloki
si rivolse a
Þórr: — Gli uomini hanno narrato
grandi cose sulla tua forza e potenza. In quali prove vuoi dunque misurarti?
— Potrei sfidare chiunque a una gara di bevute! — rispose
Þórr.
Tornarono nella hǫll. Útgarðaloki chiamò il suo coppiere e gli ordinò
di prendere il vítishorn da cui solitamente bevevano i suoi hirðmenn.
Il coppiere tornò subito dopo col corno e lo diede in mano a
Þórr.
Disse quindi Útgarðaloki: — Vuotare questo corno in un sorso è quel che noi
chiamiamo una buona bevuta. Ad alcuni occorrono due sorsi, ma nessun bevitore è
così scarso da seccarlo in tre.
Þórr esaminò il corno: non aveva un'ampia imboccatura, ma era piuttosto
lungo. L'áss aveva tuttavia molta sete, agguantò il corno e cominciò a
tracannarlo con gran foga, sicuro di riuscire a vuotarlo con una sola bevuta.
Quando però il fiato gli venne meno, abbassò il corno e ne esaminò il livello.
Era calato di pochissimo.
— Una buona bevuta, ma non certo sostanziosa — commentò Útgarðaloki, deluso.
— Non avrei mai pensato che Ásaþórr fosse
un così scarso bevitore, nemmeno se me lo avessero detto. Sono tuttavia certo
che vorrai vuotare il corno con una seconda bevuta.
Þórr non rispose e portò il corno alla bocca, deciso di tracannare
un'abbondante sorsata. E così fece, ma per quanto rovesciasse indietro la testa,
la punta del corno non si sollevava mai abbastanza.
Þórr si sforzò di bere
finché non gli mancò il respiro. Quando, infine, staccò il corno dalle labbra e
vi guardò dentro, gli parve che il liquido fosse sceso ancor meno della prima
volta.
— Che c'è ora,
Þórr? — lo irrise Útgarðaloki.
— Ti stai risparmiando per la
bevuta finale? Se berrai un terzo sorso, credo converrai che dovrà essere il più
profondo. Non ti chiameremo mai un uomo valente, così come ti ritengono gli
Æsir, se nelle altre tue imprese non dài miglior prova di te stesso, più di
quanto non faccia qui.
— Avrei trovato strano, quand'ero a casa con gli
Æsir, se simili bevute
fossero ritenute piccole! — dichiarò
Þórr. Ormai furioso, portò il corno alla
bocca e bevve quanto più poté, sostenendo la bevuta per tantissimo tempo. Quando
infine guardò dentro il corno,
Þórr vide che almeno il livello era calato
sensibilmente.
Vítishorn: «corno della punizione». Quando gli hirðmenn i
membri della corte di un sovrano nordico, o gli uomini della sua drótt,
non rispettavano le leggi o le consuetudini del gruppo, potevano subire
punizioni di vario tipo, fra cui c’era anche quella della bevuta tutta d’un
fiato da un corno che solitamente veniva riservato per tale scopo, detto per
l’appunto vítishorn. |
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6 - IL SOLLEVAMENTO DEL GATTO
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Þórr e il gatto
(✍ 1913) |
Frederick Richardson (1862-1937), illustrazione (Treadwell ~ Free 1913) |
ommentò Útgarðaloki:
— È evidente,
Þórr, che la tua forza non è così
grande come credevamo. Vuoi affrontare qualche altra prova? Mi sembra, però, che
non farai migliore figura.
— Io posso affrontare le sfide più ardue! — dichiarò
Þórr.
— Una cosa che qui fanno i giovani e che sembrerà di ben poco conto: sollevare
da terra il mio gatto. Non avrei certo proposto un giochino simile ad
Ásaþórr,
se non mi fossi reso conto di quanto poco vali.
Un grosso gatto grigio balzò in mezzo alla sala.
Þórr gli andò vicino, gli
mise la mano sotto la pancia e lo sollevò. Ma tanto
Þórr sollevava la mano,
tanto il gatto inarcava la schiena. E quando
Þórr ebbe rizzato il braccio più in
alto che poteva, il gatto aveva alzato da terra solo una zampa e
Þórr non riuscì
a ottenere un maggiore successo in questa prova.
— E anche questa prova è andata come avevo previsto — sospirò Útgarðaloki.
— Il
gatto è piuttosto grosso, e
Þórr è debole e piccolo in confronto ai grandi
uomini che sono qui con noi. |
7 - ÞÓRR CONTRO LA VECCHIA
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Þórr contro Elli (✍
1930) |
Charles E. Brock,
illustrazione (Keary ~ Keary 1930) |
órr era furibondo:
— Per quanto mi consideriate piccolo, venga avanti qualcuno e combatta con me!
Útgarðaloki guardò fra le panche e scosse il capo.
— Non vedo nessuno che non
possa ritenere una cosuccia da nulla un combattimento con te. Ma vediamo... c'è
Elli, la mia vecchia levatrice. Mandatela a chiamare. Che
Þórr combatta con lei,
se vuole. Ella ha abbattuto uomini che non erano certo più deboli di quanto sia
Þórr.
Una vecchia entrò nella hǫll e Útgarðaloki le disse che doveva
battersi con Ásaþórr. I due si agguantarono, tentando di rovesciarsi al suolo,
ma quanta più forza usava
Þórr, tanto più Elli resisteva. Poi la vecchia reagì,
Þórr perse l'equilibrio e la lotta si fece violenta. Dopo non molto
Þórr crollò
su un ginocchio.
Útgarðaloki mise allora fine allo scontro e disse che
Þórr non avrebbe più
dovuto sforzarsi di combattere contro altri dei suoi hirðmenn.
Quando giunse la notte, Útgarðaloki offrì a
Þórr e ai suoi compagni un posto
dove dormire. I quattro trascorsero la notte a
Útgarðr, e nessuno di loro si
sentiva tranquillo e soddisfatto. |
8 - SPIEGAZIONI E
SJÓNHVERFINGAR
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Þórr sulla strada per Útgarðr
(✍ 1909) |
Dorothy Hardy. Illustrazione
(Guerber 1909) |
l mattino seguente, mentre albeggiava,
Þórr si alzò insieme
ai suoi compagni, si vestirono e si prepararono a partire. Venne allora
Útgarðaloki e fece imbandire per loro un tavolo. Non mancarono buona ospitalità,
cibo e bevande. Quando i quattro ebbero mangiato, si misero in viaggio.
Útgarðaloki li accompagnò per un tratto di strada e, al momento di separarsi,
chiese a
Þórr come pensasse fosse andato il suo viaggio.
Þórr ammise lo smacco
subito. — So che dirai che sono uomo dappoco e me ne dispiaccio.
— Ora che sei uscito dalla fortezza, posso dirti la verità — mormorò
Útgarðaloki. — E mi auguro, se vivrò e continuò a regnarvi, che tu non tornerai
più da noi. In fede mia, non ti avrei mai lasciato entrare, se solo avessi
saputo di quanta forza tu fossi dotato e quale grande pericolo rappresenti.
— Sappi che ti ho illuso con delle sjónhverfingar fin dal primo
incontro nella foresta, allorché giunsi a ricevervi, nelle vesti di
Skrýmir. Se
tu non riuscisti ad aprire il tascapane, era perché l'avevo legato con un fil di
ferro incantato. Poi mi hai sferrato tre colpi col tuo Mjǫllnir e il primo, il
più debole, era talmente possente che avrebbe potuto farmi secco, se solo fosse
arrivato a segno. Quando hai visto vicino alla mia hǫll un monte con tre
valli quadrate in cima, ebbene, quelli erano i segni del tuo martello. Ho usato quel monte per parare i tuoi colpi, sebbene tu non te ne sia accorto.
— Così è stato anche per le prove che tu e i tuoi compagni avete sostenuto
contro i miei hirðmenn. Il primo a gareggiare è stato
Loki. Era molto
affamato e ha mangiato voracemente la sua parte, ma il suo avversario,
Logi, era vilieldr,
il fuoco selvaggio, e insieme alla carne ha bruciato anche le ossa e il trogolo.
— Quando Þjálfi ha gareggiato con
Hugi, ebbene, quello era il mio hugr,
il pensiero, e non potevamo certo aspettarci che Þjálfi potesse misurarsi in
velocità con esso.
— Quando poi tu hai bevuto dal corno e ti sembrava di progredire lentamente,
in fede mia, è stato un prodigio a cui spero di non dover più assistere.
L'estremità del corno arrivava fino all'oceano, sebbene tu non te ne sia
accorto. Quando arriverai al mare potrai vedere quanto l'hai abbassato
bevendolo.
E infatti è proprio questa la causa della bassa marea.
Útgarðaloki continuò: — Né mi è sembrato meno stupefacente quando hai provato
a sollevare il gatto, e invero ti dico che tutti sono rimasti terrorizzati
quando gli hai fatto staccare una zampa da terra. Quel gatto non era ciò che
appariva: era Jǫrmungandr, il
Miðgarðsormr, il serpente che circonda
tutto il mondo. Bene, tu hai allungato tanto il braccio da sollevarlo quasi fino
al cielo.
— Ed è stato un grande prodigio anche la lotta che tu hai sostenuto tanto a
lungo con la mia levatrice, senza cedere se non con un ginocchio. Poiché nessuno
è mai riuscito e mai riuscirà a non crollare quando giunge Elli,
la vecchiaia, se diviene abbastanza anziano da incontrarla.
E fatta questa rivelazione, Útgarðaloki si congedò.
— Ma ora dobbiamo
separarci e sarà meglio che tu non venga ancora a cercarmi. La prossima volta
difenderò la mia fortezza con incantesimi anche migliori, in modo tale che voi
non possiate avere potere su di me .
Nell'udire queste parole,
Þórr afferrò il martello e lo sollevò
in aria, pronto a scagliarlo, ma d'un tratto Útgarðaloki era
scomparso dinanzi ai suoi occhi. Tornò alla fortezza, deciso a ridurla in pezzi,
ma al suo posto vide solo una vasta pianura, completamente vuoto. Allora si
voltò indietro e ritornò a Þrúðvangar.
Si dice però che, dopo questa esperienza, meditava in cuor suo di affrontare
il Miðgarðsormr, e così in seguito avvenne.
Sjónhverfingar: «visioni ingannevoli», incantesimi atti a confondere
i sensi dell'avversario. In islandese moderno la parola si è mantenuta
inalterata col significato di «illusioni ottiche». |
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Fonti
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I - INGANNI DELLA VISTA, O
FORSE SOLO DELLA LETTERATURA
L'ultimo movimento di quella che il Codex Upsaliensis
[U] chiama «saga di Þórr
e Útgarðaloki», è un po' il cuore
della divertente storia del viaggio del dio del tuono a
Útgarðr. Nella pagina precedente
abbiamo riportato i primi due
episodi: la necessaria scena nella quale Þjálfi e
Rǫskva diventano i servitori di Þórr,
e il confronto/scontro del dio con Skrýmir.
Quest'ultimo è un individuo talmente colossale da creare un paradosso di proporzioni con lo stesso Þórr, le cui più possenti
martellate non riescono neppure a scalfirlo. ①
E ora, arrivati finalmente a
Útgarðr,
Þórr e i suoi compagni vengono ripetutamente
surclassati, nei piani delle rispettive e vantate capacità, da Útgarðaloki
e dai suoi hirðmenn. Alla fine si scopre che le sfide erano viziate
da sjónhverfingar, magici inganni della vista e dei sensi. Sebbene umiliato,
Þórr non ne esce però sconfitto. Quale personaggio di seconda funzione,
Þórr spiega le sue capacità nel campo
della pura forza fisica, ma è del tutto impotente contro la magia. Se le sfide
di Útgarðaloki si fossero svolte
sul corretto piano funzionale, il dio del tuono ne sarebbe uscito
vincitore. E infatti, a ben guardare, ne è uscito vincitore: l'apparente
sconfitta si rivela un inganno svolto nella dimensione dei sensi. La grande abilità di Útgarðaloki
è stata quella di far credere a
Þórr e ai suoi compagni di essere
stati sconfitti in gare che in realtà hanno superato (la prova del corno o il
sollevamento del gatto), o che erano del tutto impossibili da superare (il confronto con
le personificazioni dei principi astratti: logi, hugi, elli,
ovvero, rispettivamente, il fuoco, il pensiero, la vecchiaia).
Le spiegazioni di Útgarðaloki
vengono estese anche all'episodio dell'incontro con Skrýmir.
Quest'ultimo era infatti lo stesso signore di
Útgarðr sotto mentite spoglie, e se
era rimasto indifferente alle potenti martellate di Þórr,
era stato perché si era fatto scudo con un'invisibile montagna. È probabile che i
tre episodi della «saga» fossero dei racconti originariamente separati,
ed è possibile che sia stato proprio l'autore della cucitura a voler collocare l'umiliante confronto di Þórr
con Skrýmir sotto il mantello magico delle sjónhverfingar
di Útgarðaloki, con il preciso
intento di razionalizzare e giustificare la défaillance di
Þórr nell'episodio del suo
incontro/scontro con Skrýmir.
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II - ÚTGARĐALOKI: PROBLEMI INTERPRETATIVI La figura di
Útgarðaloki è stato oggetto di
ipotesi e controversie da parte degli studiosi.
Che
Útgarðaloki sia un gigante non è affatto pacifico, nonostante la letteratura
divulgativa lo dia per scontato. Sia nell'episodio
di Skrýmir, che in quello di
Útgarðaloki, Snorri non utilizza
mai nessuna delle molte parole che indicano i giganti:
Skrýmir e Útgarðaloki
non sono mai definiti jǫtnar, hrímþursar o bergrísar, ma
solo e semplicemente menn «uomini». Nella letteratura mitologica, la parola viene menn viene utilizzata per indicare
qualsiasi essere di aspetto umano, compresi gli dèi e i giganti, e Snorri
sottolinea a più riprese le enormi dimensioni di Skrýmir o degli
«uomini» al seguito di Útgarðaloki.
Ma questa, in realtà, è più un'eccezione, perché nella letteratura i
giganti non sono quasi mai descritti come esseri giganteschi; anzi, di solito
paiono avere dimensioni paragonabili a quelle degli stessi
Æsir: partecipano ai medesimi
banchetti (come Hrungnir nella
Valhǫll, o
Þórr nella dimora di Þrymr), si dànno il cambio
ai remi di una barca (Þórr e
Hymir), o addirittura hanno
storie d'amore o si sposano tra loro (Skaði e
Njǫrðr; Járnsaxa
e
Þórr). La letteratura mitologica presenta dunque la paradossale situazione dove gli jǫtnar non sono
quasi mai
descritti con taglie superiori a quelle degli dèi, ma alcuni menn possono
svettare assai ben alti sopra le teste di
Þórr e dei suoi compagni.
L'ambiente dove Útgarðaloki
accoglie i suoi ospiti appare essere una corte nordica
assai simile a quelle dell'epoca di Snorri.
Útgarðaloki è definito konungr
«re», ed è ovviamente circondato dai suoi hirðmenn o «cortigiani».
Certamente, in tali corti non mancava un personale impiegato all'intrattenimento
– scaldi, giullari, fantasisti –, e ciò spiega in parte la richiesta affinché
Þórr e i suoi compagni esibiscano le proprie íþróttir, «talenti, doti, capacità
artistiche». «Non resterà in mezzo a noi chi non conosce un'arte di qualche tipo
o sia più abile della maggioranza degli uomini» [engi skal hér vera með oss
sá er eigi kunni nǫkkurs konar list eða kunnandi um fram flesta menn],
dichiara Útgarðaloki. Una regola
che ricorda quella che, nella mitologia irlandese, viene imposta da
Núada Airgetlám, re
delle Túatha Dé Danann:
«Nessuno può entrare in Temáir se non possiede un'arte» [ar ni teid nech cin dan i Temruig]
(Cath
Maige Tuired). La richiesta che gli
ospiti, per essere bene accolti, debbano dimostrare di eccellere in qualche
list eða kunnandi, «arte o capacità», sembra far parte del registro di
queste corti mitologiche. Contrariamente all'ideale nordico del sovrano prodigo
e ospitale, infatti,
Núada e
Útgarðaloki
non ammettono tutti al
proprio desco, ma soltanto coloro che ne sono giudicati meritevoli. Gli ospiti,
seppure provati da un
lungo e difficile viaggio, non vengono immediatamente fatti accomodare e rifocillare; al contrario,
cibo e bevande diventano oggetto di dure e difficili prove.
La sicumera che
Þórr aveva mostrato, in precedenza, nella casa del fattore (Egill),
a
Útgarðr viene meno: egli fallisce nelle prove, si dimostra goffo e incapace.
Un'ulteriore indicazione che ci troviamo in un ambiente regale:
Þórr era legato alla categoria dei contadini, degli uomini
liberi, dei servi; Óðinn, al contrario,
era il dio degli járlar e dei re. Su questa base, non sono mancati
studiosi che hanno interpretato Útgarðaloki
come un döppelganger di
Óðinn. Effettivamente, Útgarðaloki si presenta
come re di una vasta corte che ricorda la
Valhǫll, è esperto nello stesso
tipo di incantesimi (sjónhverfingar) che gli
Æsir utilizzano contro re
Gylfi all'inizio del
Gylfaginning;
inoltre, come Óðinn è affiancato dai
suoi corvi, visti come emanazioni sciamaniche,
Útgarðaloki è scortato dalla
personificazione del proprio pensiero, Hugi, e da
quella del
fuoco, Logi. Anche le prove che deve affrontare
Þórr, bere da un corno che arriva fino al mare, sollevare un gatto che in
realtà è il serpente Jǫrmungandr,
combattere contro la vecchiaia, sembrano celare inganni di natura
poetico-linguistica, come se il dio del tuono fosse messo di fronte a
kenningar che non è in grado di risolvere. E anche qui ci troviamo nel campo
funzionale di Óðinn. (Ström 1956 |
Lindow 2000)
Ma l'interpretazione di
Útgarðaloki quale ipostasi di Óðinn
presenta una difficoltà piuttosto seria. Il nome del sovrano, lungi dal
rimandare alla sfera odinica, è costruito sul nome di
Loki. Útgarðaloki è infatti «Loki
degli
Útgarðar» (Útgarða- è genitivo
plurale), cioè, il «Loki dei recinti esterni».
Come dobbiamo intendere questa particolare determinazione di
Loki? Útgarðaloki è una
kenning costruita sul nome di
Loki, una sua forma alternativa, o un personaggio a lui paragonabile?
È certamente possibile che il nome Útgarðaloki
vada inteso come una kenning. Snorri specifica che
uomini e donne possono essere metaforicamente chiamati con nomi di divinità
(Skáldskaparmál
[39]). Tuttavia, un procedimento utilizzato in poesia con una certa
disinvoltura, può rivelarsi più delicato nei testi mitologici, dove il
collegamento andrebbe sorretto da un'impalcatura narrativa. Ad esempio,
il nome del frassino Yggdrasill,
«destriero di Yggr», è anch'esso una
kenning, ma giustificata
dal fatto che l'albero servì da forca a
Yggr, cioè a Óðinn.
Forse, il nome di Útgarðaloki
potrebbe qualificare il personaggio come paragonabile a
Loki, più esattamente, un loki esperto in inganni magici e
metamorfosi. Secondo la prudente ipotesi di John Lindow,
sembrerebbe logico che il mondo dei giganti, visto come speculare a quello
divino, dovesse avere un suo loki. (Lindow 2000)
Alternativamente, però, un nome teoforo può essere usato come estensione
particolare del nome originale: Ásaþórr «Þórr
degli Æsir»
e Ǫkuþórr «Þórr
del carro» sono due epiteti di
Þórr costruiti come estensione del nome stesso del dio del tuono. Quindi,
forse, Útgarðaloki non è «un loki»,
ma proprio una forma alternativa di
Loki. Se così è, nulla traspare tuttavia dal testo. Dunque, il teonimo loki nel nome del re di
Útgarðr non sarebbe tanto una cosciente scelta del mitografo,
quanto il risultato di una errata trasmissione del materiale
originale da parte degli antigrafi di Snorri, che ha portato a un'erronea
duplicazione di
Loki in due personaggi distinti. |
III - LA VERSIONE DI SAXO GRAMMATICUS: UTGARTHILOCUS Una
differente versione del viaggio di
Þórr alla corte di Útgarðaloki
è narrata dal cronista danese Saxo Grammaticus (1150-1220), contemporaneo di Snorri
Sturluson,
nell'ottavo libro della sua Historia Danorum. Al contrario di
quelli snorriani, i racconti di Saxo
sono presentati come una cronaca storica, e quindi sono fortemente evemerizzati: la mitologia è cangiata in una narrazione ibrida,
che non ha più né la suggestione del mito, né la verosimiglianza della realtà.
Nel racconto di Saxo, Thorkillus è un marinaio
islandese, agli ordini del re danese Gormo (non
necessariamente identificabile con il semimitico Gormr gamli, il
«vecchio»).
Sobillato dai suoi consiglieri, che in realtà vogliono la morte di
Thorkillus, il re
lo invia in un pericolosissimo viaggio ai confini del mondo, affinché
chieda al dio Útgarthilocus quale sarà la sua
dimora ultraterrena, dopo la morte. Thorkillus
naviga per giorni, finché la sua nave si ritrova ad avanzare sotto un cielo
privo di sole e di stelle, avvolto in una notte perpetua. Dopo essere arrivato in una «terra oltremondana» [extramundanum clima],
Thorkillus
sbarca su un'isola
brulla e dirupata. Il buio è pressoché totale e, accese delle fiaccole, gli
uomini penetrano all'interno di una caverna. Da ogni parte, si rilevano ai loro
occhi seggi di ferro, alternati da fitti grovigli di serpenti. Attraversato un
fiumiciattolo, gli uomini giungono in una sala tenebrosa e ripugnante...
Intra quod Utgarthilocus manus pedesque
immensis catenarum molibus oneratus
aspicitur, cuius olentes pili tam
magnitudine quam rigore corneas aequaverant
hastas. Quorum unum Thorkillus, adnitentibus
sociis, mento patientis excussum, quo
promptior fides suis haberetur operibus,
asservavit; statimque tanta foetoris vis ad
circumstantes manavit, ut nisi repressis
amiculo naribus respirare nequirent. |
Dentro quella sala si vedeva Útgarthilocus, con i
piedi e le mani carichi di enormi catene; i suoi peli maleodoranti erano simili,
per grandezza e durezza, a rami di corniolo. Con l'aiuto dei suoi compagni,
Thorkillus ne strappò uno a Útgarthilocus, senza che questi opponesse la minima resistenza, e lo
conservò per ottenere una più immediata credibilità delle sue fatiche. Subito si
sparse tutt'intorno un fetore talmente acuto che, se non si fossero coperti il
naso con il mantello, non sarebbero stati capaci di respirare... |
Saxo Grammaticus:
Historia Danorum [VIII: xv, 8] |
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Thorkillus e Utgarthilocus
(✍
1898) |
Louis Moe (1857-1945) |
Thorkillus e i suoi compagni fuggono, mentre nuguli di serpenti lasciano piovere sopra di loro sputi velenosi: a chi
consumano un braccio, a chi staccano la testa, a chi bruciano gli occhi. I
marinai riescono a tornare alla nave e salpare. In quanto a
Thorkillus, è tale la ripugnanza che gli ha ispirato l'incontro con quel dio
pagano, puzzolente e incatenato, che si convertirà al cristianesimo...
La maggior parte degli studiosi è concorde nel ritenere che l'Historia Danorum
descriva qui un viaggio nel regno dei morti. L'ipotesi centra probabilmente l'intentio
auctoris di Saxo, che in altri episodi identifica senza alcun dubbio le
destinazioni oltremondane di
Thorkillus con i reami dell'aldilà. Tuttavia, la cosmologia sottesa alla
vicenda è, più che metafisica, mitologica. Quello che Saxo sta descrivendo non è
l'oltretomba, ma piuttosto un luogo fuori dal mondo; o, per usare la bella
formula eddica, un reame «al limite del cielo» [at himins enda]
(Hymiskviða
[5]). Siamo nello stesso ordine di idee del viaggio di
Þórr a
Útgarðr descritto da Snorri.
La differenza sostanziale con il racconto snorriano sta proprio nella
descrizione di Utgarthilocus, che
in Saxo non è il gigantesco sovrano di una terra oltremondana, ma un dio
decaduto, malvagio, incatenato. Questi tre aggettivi sono particolarmente
significativi. Quella che Saxo ci consegna è un'immagine di
Loki.
L'ipotesi non richiede particolari dimostrazioni. Nel racconto di Snorri,
Loki
viene incatenato in una profonda caverna, in punizione per aver causato la morte
di Baldr, e un serpente stillante veleno
gli viene sospeso sopra il suo capo. Si tratta dello stesso macchinario di
tortura messo in atto per Utgarthilocus.
In Snorri, le coordinate della caverna non vengono specificata: che essa sia
posta ai confini dello spazio sembra un'ovvia deduzione, e se questo luogo fosse
stato proprio
Útgarðr, il «recinto esterno», potrebbe
esserne derivato, per
Loki, esiliato e allontanato dal consesso degli dèi, un epiteto come
Útgarðaloki,
il «Loki dei recinti esterni».
Se, come sembra, l'Utgarthilocus di
Saxo rappresenta una versione più arcaica del personaggio, possiamo chiederci in
quale modo sia derivato l'Útgarðaloki
di Snorri. Il quale rassomiglia a
Loki
nel carattere ingannevole e metamorfico, ma non è un prigioniero, bensì un
sovrano, a capo di una ricca corte. Anch'egli, come
Utgarthilocus, ha la sua dimora in
una terra ai confini del mondo, oltre l'oceano esterno, e ha addirittura, come
Utgarthilocus e come
Loki, un serpente nella sua corte: in questo caso
Jǫrmungandr. Ma non è gravato da
catene, e non sta scontando condanne. Inoltre,
Loki
stesso fa parte del gruppetto dei suoi ospiti, cosicché i due duplicati del
medesimo personaggio convivono fianco a fianco nella medesima scena:
Útgarðaloki e
Loki.
Quest'ultimo punto non è effettivamente un problema: si pensi al caso di
Frigg e
Freyja, due dee scandinave derivate da un'unica figura continentale,
*Frīgja. La mitologia, nella sua evoluzione, fa
spesso di questi scherzi. Se la nostra ipotesi è corretta, e se
Útgarðaloki (Utgarthilocus)
è una versione divergente dello stesso
Loki, sembra ovvio che la vicenda narrata in
Gylfaginning [46-47]
sia andata incontro a lunghe e complesse manipolazioni. |
IV - LE «FATICHE» DI ÞÓRR Il significato complessivo della vicenda del viaggio di
Þórr alla corte di Útgarðaloki
si comprende meglio comparando tra loro un ampio spettro di racconti omologhi,
tratti da sistemi mitologici differenti. In altra sede, abbiamo tentato una
comparazione tra
Loki e Promētheús, due astuti titani, entrambi
parvenu nei rispettivi pánthea, e infine incatenati ai confini del
mondo per aver sfidato gli dèi ①. La «terra oltremondana» [extramundanum clima]
dove è imprigionato Útgarthilocus
(che Snorri chiama Útgarðr, il
«recinto esterno»), cosmologicamente è molto simile alla regione remota dove era
stato inchiodato
Promētheús: il Caucaso era infatti, nell'esperienza greco-arcaica, l'estremo limite
orientale del mondo conosciuto. «L'estrema plaga della terra, la Scizia solitaria, inaccessibile» [chthonòs mèn es tēlouròn hḗkomen pédon,
Skýthēn es hoîmon, ábroton eis erēmían], la definisce
Aischýlos nella sua tragedia
(Promētheús
desmṓtēs
[-]). Il viaggio di
Thorkillus presso Útgarthilocus
(cioè di
Þórr presso Útgarðaloki)
ricorda, sotto molti aspetti, l'incontro di Hēraklês
con
Promētheús incatenato. Hēraklês è
l'esito greco del dio-tuono indoeuropeo, un personaggio perfettamente omologo al
Þórr scandinavo. Inesausti viaggiatori,
Hēraklês e
Þórr percorrere il mondo per
abbattere, a colpi delle loro armi funzionali – rispettivamente una clava e un
martello –, i mostri e i giganti che minacciano l'ordine cosmico. La loro affinità
era ben nota anche nel mondo classico, e anche Tacitus li identifica
(Germania [9]).
Re Gormo, che,
divorato dalla curiosità di comprendere i fenomeni e i segreti della natura,
invia Thorkillus nei luoghi più lontani del mondo,
ricorda molto re Eurystheús, il quale spediva Hēraklês in continui viaggi
dall'uno all'altro capo della terra, alla ricerca delle creature e degli oggetti
più favolosi. L'uno e l'altro sovrano coltivavano inoltre la malcelata
speranza che il loro esploratore finisse per soccombere nell'una o nell'altra
delle sue missioni. Uno degli érga più interessanti svolti da Hēraklês
è l'undicesimo: quello relativo ai pomi delle Hesperídes.
È nel corso di questo viaggio che Hēraklês
ascende le vette del
Caucaso e scorge
Promētheús, appesa alla rupe. Con il
permesso di Zeús, Hēraklês
uccide con un colpo di freccia l'aquila che rodeva il fegato al titán e
gli rende la libertà. Una conclusione diversa da quella del racconto di Saxo. Ma
abbiamo già visto quali trasformazioni ideologiche, in Grecia, abbiano mutato la
sorte dell'eroe incatenato ②. Ma allo stesso
tempo, lo hanno duplicato in un'immagine speculare: quella di
Átlas, il fratello di
Promētheús, condannato a sorreggere le colonne che
sostengono il cielo (Hómēros: Odýsseia
[I: 52-54]), o alternativamente, a portare sulle spalle il
peso della volta celeste. Lasciato
Promētheús, Hēraklês si
dirige infatti all'estremo settentrione, nella terra degli
Hyperbóreoi, e giunge al cospetto di
Átlas, il quale non avrà tuttavia la stessa sorte fortunata del
fratello. La punizione che nel mondo nordico spetta a
Loki e/o Útgarthilocus, il
mondo greco la devia da
Promētheús su
Átlas. Ed è proprio accanto a questi che ritroviamo il serpente, Ládōn,
il drákōn hespérios, a guardia dei pomi delle Hesperídes,
e in alcune versioni della vicenda, Hēraklês
lo uccide, per potersene impadronire. (Apollódōros:
Bibliothḗkē
[II: 5]) Sia nel mito greco che in quello scandinavo è fortissimo il motivo cosmologico. Per arrivare al cospetto del dio incatenato,
sia Hēraklês che
Thorkillus/Þórr
compiono un lunghissimo periplo fino ai confini del mondo. Un poema
eddico ci fornisce una buona collocazione geografica di questo reame
ultramondano: si trova «a oriente degli
Élivágar» [fyr austan Élivága],
«al confine del cielo» [at himins enda]
(Hymiskviða
[5]). I fiumi cosmici
Élivágar sono analoghi all'úthaf,
l'oceano esterno della tradizione norrena, che
Þórr e i suoi compagni attraversano prima di giungere a
Útgarðr
(Gylfaginning [45]).
Anche Hēraklês naviga sul fiume Ōkeanós
Questo oceano esterno, nelle impalcature cosmologiche, non era un semplice tratto di mare,
ma il confine tra la terra e il firmamento. Le fatiche di Hēraklês
rappresentano un viaggio zodiacale, e non per nulla egli naviga sulla
barca del dio-sole Hḗlios. Il motivo astronomico,
nei viaggi di Thorkillus/Þórr,
è più sfumato, ma sempre presente. Le uscite dal mondo, in queste antiche
cosmologie, sono contrassegnate dai punti equinoziali: i punti dove l'eclittica incontra l'equatore celeste.
Questi punti, situati al limite del cielo, indicano le «porte» da cui si può accedere nello spazio
zodiacale. Nell'epopea di Gilgameš, l'eroe
imbocca la porta orientale, situata tra i picchi gemelli del monte
Mâšu:
è attraverso di essi che il sole passa ogni giorno al suo sorgere. L'eroe deve
attraversare il buio anfratto tra le due montagne, se vuole arrivare sulle sponde
del mare della morte. E una volta arrivato su questo oceano zodiacale, dovrà
usare anch'egli la barca del dio-sole, Utu/Šamaš
(Ša nagba imuru [X]). Nel mito greco, il punto
equinoziale è rappresentato, a occidente, dalle
Hērákleioi
Stêlai, le colonne che Hēraklês aveva
innalzato sugli opposti capi di quello che è oggi lo stretto di Gibilterra, altro passaggio
obbligato per accedere al fiume Ōkeanós.
I geografi greci le consideravano il limite occidentale del
mondo (Strábōn: Geōgraphiká
[III: v, 5]). Secondo Plinius,
Hēraklês aveva addirittura aperto la porta tra
il Mediterraneo e l'Oceano Atlantico: «gli abitanti del luogo le chiamano
colonne di Hēraklês, e credono che quel dio
avesse cavato un varco in mezzo ad esse, mettendo in comunicazione i due mari
prima separati e mutando l'aspetto della natura» [indigenae columnas eius dei
vocant creduntque perfossas exclusa antea admisisse maria et rerum naturae
mutasse faciem] (Naturalis historia [III: 4]).
Incredibilmente, il mito scandinavo ha conservato questo passaggio di
Þórr attraverso la porta del punto
equinoziale.
...ganga til borgarinnar ok var grind fyrir
borghliðinu ok lokin aptr. Þórr gekk á
grindina ok fekk eigi upp lokit, en er þeir
þreyttu at komask í borgina þá smugu þeir
milli spalanna ok kómu svá inn, sá þá hǫll
mikla ok gengu þannig. |
...Giunsero fino alla rocca, davanti alle porte, che erano chiuse da un
cancello.
Þórr andò al cancello ma non riuscì ad aprirlo. Decisi a penetrare
nella rocca, essi strisciarono fra le sbarre e così riuscirono a passare. |
Snorri Sturluson: Prose Edda
> Gylfaginning [46] |
E così, incredibilmente, in una scena insignificante, e che sarebbe passata
del tutto inosservata, se non fosse rimasta incagliata nel giusto contesto,
sentiamo riecheggiare il passaggio di Gilgameš
attraverso i picchi gemelli del monte Mâšu e
ritroviamo Hēraklês stagliato sul limitare
delle sue imponenti colonne.
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Bibliografia
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BIBLIOGRAFIA ► |
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