1 - IL
COMPUTO DEL TEMPO
l
mondo venne creato, secondo il computo dei più attenti annalisti irlandesi, 5194
anni prima della nascita di Nostro Signore, Ísa
Críst.
|
2
- LA CREAZIONE DEL MONDO
|
Il più antico dei giorni (1794) |
Incisione di William Blake (1757-1827) |
In principio fecit Deus Cælum et
Terram...
n
principio, Dio fece il cielo e la terra, Lui che non ha inizio
né fine. Questo avvenne il quindicesimo giorno delle calende
di Aprile, secondo gli Ebrei ed i Latini, anche se fino ad
allora il mondo non aveva mai visto né albe né tramonti. Quella
prima domenica,
Dio fece la materia senza forma – fuoco e aria, terra e acqua
– e la luce
delle gerarchie angeliche. Lunedì fece i sette cieli e il
firmamento. Martedì fece la terra e il mare. Mercoledì fece il
sole e la luna e le stelle del cielo. Giovedì fece gli uccelli
dell'aria e i rettili del mare. Venerdì fece le bestie della
terra e quindi creò l'uomo affinché le governasse e le
amministrasse. Sabato, Dio si fermò al compimento della Sua
creazione e la benedisse. Ma ciò non significa che si distolse
dal governarla.
In
questo modo Dio fece le creature: alcune con un principio ma
senza una fine, come gli angeli; altre con un principio e con
una fine, come gli animali privi di ragione; altre ancora con
un principio e con una fine ma senza una fine, come gli
uomini, i quali hanno un principio quando nascono, un termine
nei loro corpi mortali, nessun termine nelle loro anime
immortali.
|
3
-
IL PARADISO TERRESTRE
io fece un
paradiso in terra, nella pianura di Arón
(che altri chiamano Eden), sulla costa meridionale di quella terra che si trova
ad oriente del mondo (così come Ériu
si trova all'estremo occidente della Terra, sul lato
settentrionale). Nel paradiso si leva la montagna del Pairtech,
che il sole illumina nel suo sorgere. Non
lontano si trova la sorgente di Nuchal, da cui sgorgano
quattro fiumi liberi e possenti.
Il Fison è il primo
fiume, fatto d'olio, che scorre verso est.
Il Tigris è il
secondo, di vino, che va ad ovest.
L'Eufraites è il terzo,
di miele, che scorre a sud.
Il Geon è il quarto, fatto di latte, che si dirige a nord.
Come dice
il poeta:
Il Fison sufflatio
si rivela,
il
Geon felicitas,
velocitas il Tigris possente,
e fertilitas l'Eufraites. |
Al centro del Paradiso,
nella pianura di Arón, si leva l'albero proibito, il cui nome
è Daisia (o Dechuiman),
e che dà molte specie di frutti meravigliosi.
|
Ĕlōhîm crea Āḏām
(1795) |
Incisione di William Blake (1757-1827) |
|
4
-
ÁDAM
ED ÉABA
|
Śāṭān spia le tenerezze di Āḏām
e Ḥawwāh (1808) |
Incisione di William Blake (1757-1827)
dal Paradise Lost di John Milton |
uando
Dio creò il primo uomo, lo fece in questa guisa: il corpo di comune terra, la testa della terra di Garad,
il petto della terra d'Arabia, il ventre dalla terra
di Lodain, le gambe della terra di Agoria. Altri dicono che Dio per la testa prese
la terra della regione di Malón, per il petto raccolse la terra di Arón, per il
ventre la terra di Babilonia, oppure quella di Biblo, per le
gambe la terra di Labano e di Gogoma.
Per
tre giorni rimase senza vita lo splendido sembiante di
Ádam,
dopo che era stato plasmato dalla terra. Il suo sangue e il suo sudore vennero dall'acqua, il suo respiro
dell'aria, il suo calore dal fuoco, la sua anima dal respiro di Dio. Fu sul lato
orientale del Pairtech, la montagna del Paradiso, che
Ádam
si
levò in piedi per la prima volta e diede il benvenuto al sole
che sorgeva. Fu allora che levò un inno al Signore. ― Ti adoro, ti
adoro, o mio Dio!
Furono queste le prime parole che mai
furono pronunciate.
Il
corpo di Ádam
era forte e perfetto. Si mosse, e poi corse
verso le sorgenti del Paradiso. Dio presentò ad
Ádam
tutti
gli animali, affinché egli attribuisse un nome a ciascuno. Ma
Ádam
fu preso da grande tristezza, perché ogni animale aveva
una compagna ed egli era solo. Allora Dio fece scendere il
sonno su di lui, gli trasse una costola e da questa creò
Éaba.
Non appena la donna fu presentata ad Ádam, egli rise
di gioia. E quella fu la prima risata.
E
disse Ádam: ― Ecco le ossa delle mie ossa e la carne della mia
carne.
E questa fu la prima profezia che venne proferita, in
quanto Dio, quando aveva addormentato
Ádam, gli aveva dato il
dono della profezia.
|
|
La donna, l'uomo, il serpente |
Dipinto di John Liston Byam Shaw (1872-1919) |
5
- LA CADUTA
io assegnò il governo
del cielo a Lucifiur, con
nove ordini di angeli al suo comando, e diede la terra ad
Ádam
ed Éaba, e alla loro
progenie.
Ma poi, accecato dalla
presunzione e dall'orgoglio, Lucifiur
si ribellò e diede
l'assalto al Cielo, sostenuto da un terzo di tutte le schiere
celesti. Dio lo abbatté e scagliò lui e tutti i suoi angeli
all'Inferno, dicendo: ―
Arrogante è questo Lucifiur; scendiamo dunque e
confondiamo le sue decisioni. ― E questo fu il primo giudizio che
fu mai pronunciato.
Allora Lucifiur
ebbe gelosia e odio nei
confronti di Ádam, al quale Dio aveva promesso la beatitudine
celeste in vece sua. Usando il potere che gli veniva dall'ineffabile nome
di Dio, Lucifiur
assunse l'aspetto di
un serpente, il corpo sottile come l'aria, e si pose sulla
strada del primo uomo e della prima donna. Il serpente
persuase la donna e poi l'uomo a peccare, inducendoli a
mangiare una mela dall'albero proibito. La ragione per cui Dio
aveva vietato di mangiare i frutti di quell'albero era che, se
Ádam
lo avesse fatto, egli avrebbe compreso di essere sotto
il potere e l'autorità del Signore.
|
6
- IL FRATRICIDIO
|
Fuga di Qayin (1808) |
Incisione di William Blake (1757-1827). Particolare |
ll'età
di trent'anni fu creato Ádam, ed
Éaba
ne dimostrava venti quando
Dio la trasse dalla costola dell'uomo. Dunque
Ádam
aveva soltanto quindici
anni di vita quando generò Cáin
e sua sorella Catafola
(o
Chalmana). Nel trentesimo anno
di vita di Ádam, nacquero
Abél
e sua sorella
Delbora.
Un giorno Cáin
e
Abél
offrirono due arieti al
Signore. Ma Dio non gradì l'offerta di
Cáin, mentre accettò quella di
Abél. Ed ecco, colto dalla gelosia e dalla superbia,
Cáin
brandì una mascella di
cammello e colpì suo fratello, così come si colpiscono le
vittime dei sacrifici, uccidendolo. Il sangue di
Abél
macchiò le pietre della
terra, che da allora cessarono di crescere. Alcuni dicono
che sia stato Seth, scorgendo il
sangue del peccato, a raccogliere l'osso di cammello, ma
questo non è possibile perché fu solo molto tempo dopo la
morte di Abél, nel cento e
trentesimo anno di vita di Ádam,
che venne alla luce Seth, da cui
sarebbe discesa la posterità di Ádam.
Altri dicono che l'odio di Cáin
nei confronti di Abél
fu dettato
dalla gelosia, in quanto erano entrambi innamorati di
Catafola. Ma
Ádam, giudicando troppo stretta
la parentela tra
Cáin e la sua gemella, aveva sostenuto la
pretesa di Abél
contro quella di
Cáin, provocando la reazione
omicida di quest'ultimo. Altri dicono che
Pendan
figlio di
Ádam
fu in seguito lo sposo di
Catafola, e ciò spinse
Cáin
a un secondo fratricidio.
Dopo l'uccisione di Abél, sette
piaghe comparvero sul corpo di Cáin:
due alle mani, due ai piedi, due sulle guance ed una in
fronte. E fu proprio nella piaga in fronte che
Cáin, molto tempo dopo, sarebbe
stato colpito dalla mela scagliata da
Laimíach, terminando così i suoi giorni sciagurati.
L'ariete che Abél
aveva offerto al
Signore avrebbe in seguito sostituito Isacco, figlio di
Abrám, sull'altare del
sacrificio. La stessa pelle sarebbe stata veduta in seguito,
quando Ísa Críst
lavò i piedi ai
suoi discepoli.
|
7
- L'ETÀ DEI PATRIARCHI
opo
l'uccisione di Abél, Dio decise
di mandare il diluvio [dílinn] sulla terra per
cancellare l'umanità, che viveva nel peccato. Unico a
salvarsi fu Nóe, a bordo della
sua arca. Questa è la genealogia di Nóe:
Nóe figlio di
Laimíach figlio di
Mathasalem
figlio di Enóc figlio di
Iareth figlio di Malaleth
figlio di
Cainan figlio di Enós
figlio di Seth figlio di
Ádam.
Erano tre i figli di Ádam che
avevano avuto discendenza, come dice il poeta:
Tre figli di Ádam ebbero progenie:
Seth, Sile,
Cáin
depravato e perverso:
le loro tre mogli, forza vittoriosa!,
Olla, Pip
e
Pithíp. |
Ma soltanto la razza di Seth
sopravvisse al diluvio mentre la razza di
Cáin
venne spazzata via, così
come la razza di Sile. Secondo
gli annalisti ebrei, che hanno sommato gli anni delle
generazioni dei patriarchi, tra la creazione di
Ádam e il diluvio trascorsero mille seicento e
cinquantasei anni. Questo calcolo è confermato dai versi
degli antichi poeti di Ériu:
La prima età del melodioso mondo
da Ádam
al diluvio,
cinquantasei anni, computo chiaro,
più seicento più mille |
|
8 -
AN DÍLINN, IL DILUVIO
uando,
invero, Dio vide che le genti del clan di
Seth
trasgredivano il suo
comando, che non vi fossero rapporti o alleanze con le genti
della razza del malvagio Cáin,
decise di mandare il diluvio [dílinn] per spazzare via il genere
umano. Soltanto Nóe
aveva continuato ad ubbidire al comando divino e aveva evitato di unirsi al
clan di Cáin. Così Dio decise che
Nóe
si sarebbe salvato con la sua famiglia e gli
comandò di approntare un'arca affinché scampasse alla
catastrofe.
L'arca era di legno, spalmata di bitume dentro e
fuori. Trenta cubiti era la sua altezza, trecento cubiti
misurava in lunghezza e la sua larghezza era di cinquanta
cubiti. La porta si apriva sul lato orientale.
Nóe
condusse nell'arca una coppia
di tutti gli animali impuri e tre coppie (o sette) dei puri,
in modo da poter disporre delle vittime per il sacrificio
una volta che fossero usciti dall'Arca.
Nóe
aveva per moglie Cobba, che era
sua sorella. Aveva tre figli, Sem,
Cham
e
Iafeth, i quali avevano sposato le loro tre sorelle
Olla, Oliva e Olívana.
Come dice il poeta:
Una compagnia che gelida morte non
schiacciò:
Nóe, eroe senza debolezze,
una vicenda terrificante resa lieta dalla passione,
Sem,
Cham
e
Iafeth. |
Donne eccellenti senza i colori
della malizia,
sopra il diluvio senza soccombere,
Cobba, vigorosa come un bianco cigno,
Olla, Oliva e Olívana. |
Seicento anni era l'età di
Nóe
quando entrò nell'arca. Vi salì
a bordo, con la sua famiglia, il diciassettesimo giorno della luna di maggio, di
venerdì, e Dio chiuse la porta dietro di lui. Piovve
ininterrottamente per quaranta giorni e l'acqua ricoprì la
terra. Il diluvio sommerse tutti gli uomini e le bestie,
tranne gli otto che erano sull'arca e gli animali che vi
avevano caricato. (Gli antiquari ricordano tuttavia che si
salvarono anche Enóc, che era in paradiso a combattere contro
l'Anticristo, e
Fintan
mac Bóchra, che si trovava
rinchiuso nella sua grotta in Ériu, in quanto Dio lo aveva
prescelto perché riferisse agli uomini le storie dei tempi
antichi.)
Dodici cubiti era il livello dell'acqua sulle più
alte montagne e questo per un'evidente ragione: l'arca era
immersa per dieci cubiti ed emergeva per venti: in questo modo
le cime delle più alte montagne sarebbero rimaste ben due
cubiti sotto la chiglia dell'arca, senza danneggiarla.
Dopo cento e
cinquanta giorni le acque iniziarono a prosciugarsi. Per sette mesi e ventisette
giorni l'arca fu sballottata da onda ad onda, finché infine si posò sui monti
dell'Armenia. Le acque si ritirarono fino al decimo mese ed il primo giorno del
decimo mese si iniziarono a vedere le cime dei monti. Alla fine di altri
quarantasette giorni, Nóe
aprì la finestra dell'arca e mandò fuori il corvo; e
quello non tornò più indietro. L'indomani lasciò andare la colomba, e quella
tornò in quanto non aveva trovato un posto dove posarsi.
Nóe
la mandò di nuovo
fuori dopo sette giorni, e alla sera la colomba ritornò, recando nel becco un
ramoscello d'olivo con le foglie. Dopo altri sette giorni,
Nóe
la mandò fuori di
nuovo e la colomba non tornò più indietro.
Nóe
uscì dall'arca il
ventisettesimo giorno della luna di maggio, di martedì, nell'anno seicento e
uno della sua vita. E la prima cosa che fece una volta uscito dall'arca, fu
innalzare un altare a Dio e tributargli un sacrificio. Come dice il poeta:
Di venerdì, salirono a bordo
dell'Arca ultimata, allestita.
Di martedì, uscirono fuori
dal vascello ben lavorato. |
|
9 - LA SECONDA ETÀ DEL MONDO
bbe inizio la seconda età del mondo.
Nóe
fu il primo
uomo che intraprense i lavori agricoli, nel primo anno dopo
il diluvio. Cominciò ad arare e mietere, e piantò una vigna. Sua moglie
Cobba fu la prima a cucire abiti per la piccola comunità.
|
«Chi conosce lo spirito dell'uomo?» |
Dipinto di John Liston Byam Shaw (1872-1919)
Cfr. 1 Corinti [2: 11] |
Sem, figlio di
Nóe
, fu il primo fabbro, il primo artigiano
e il primo
carpentiere dopo il diluvio. Iafeth fu il primo a suonare
l'arpa e l'organo dopo il diluvio.
Cham fu il primo poeta e il
primo bardo. Si dice che, prima del diluvio,
Cham avesse
innalzato tre colonne a quattro lati, una di calce, una d'argilla ed una di cera,
e avesse scritto su di esse le storie dei tempi antidiluviani
affinché venissero conosciute dopo la catastrofe. La colonna di calce e quella di argilla
furono distrutte dal diluvio, ma la colonna di cera rimase
intatta: e fu così che le storie del
tempo prima del diluvio vennero tramandate e sopravvissero nelle successive età
del mondo.
Nóe
divise il mondo
in tre parti tra i suoi figli:
Sem s'insediò nella piacevole Asia,
Cham con i suoi figli in Africa;
il nobile Iafeth e la sua discendenza,
furono loro a insediarsi in Europa.
|
Si dice anche che
Cham venne maledetto da
Nóe, e venne reso schiavo dei suoi due
fratelli. Da lui discesero allora schiatte deformi e grottesche, come i
Lupracanaig, i
Fomóraig e i Gaburchinn dalla
testa di cavallo. Questa fu l'origine dei mostri.
Altri dicono che un quarto figlio
nacque a
Nóe
dopo il diluvio, di nome Eoinitus. Ethan si chiamava il territorio
che egli ricevette, scelto lontano dagli altri tre, nell'estremo oriente del
mondo. Egli fu
un buon astrologo, avendo appreso l'arte dell'osservazione degli astri da suo padre
Nóe.
Nóe
aveva seicento anni quando era giunto il diluvio. Dopo il
diluvio visse ancora trecentocinquanta anni. Egli fu, insieme
ad Ádam,
Iareth e
Mathasalem, uno dei quattro uomini che
ebbero vita più lunga.
I quattro che godettero di più lunga vita,
ha rivelato il Canone perfetto:
Ádam, Iareth,
elogio brillante,
il nobile Nóe e
Mathasalem. |
Trent'anni più novecento, senza rimprovero,
la vita venerabile di Ádam:
due, sessanta e novecento radiosi,
la vita di Iareth dalle splendide ciglia. |
Nove, sessanta e novecento
a
Mathasalem, senza falsità:
cinquanta e novecento, non fu meschina,
la vita di
Nóe figlio di
Laimíach. |
|
Fonti
1 |
Míchél
Ó Cléirigh [Michael
O'Clery]: Annála
Ríoghdhachta Éireann [A.M. 2242-3471] |
2 |
Lebor gabála Érenn
R1 [I: 1-2];
R2
[I: 1-3];
R3 [Traduzione
Bǝrēʾšîṯ]
Lebor gabála Érenn >
Poema V: «Athair cáich, Coimsid
Nime» [1-3]
Cfr. Bǝrēʾšîṯ [I: 1-26 | II: 1-4]
|
3 |
Lebor gabála Érenn
Rμ [I: 2]
Lebor gabála Érenn
> Poema V:
«Athair cáich, Coimsid Nime» [29]
Lebor gabála Érenn
>
Poema VI:
«Tobar Parrduis, búan a blad»
Thenga Bithnua
Cfr. Bǝrēʾšîṯ [II: 8-17]
|
4 |
Lebor gabála Érenn
R2 [I: 4-5]
Lebor gabála Érenn
> Poema V:
«Athair cáich, Coimsid Nime»
[4-12]
Cfr.
Bǝrēʾšîṯ [I: 27-31 | II: 7,
18-25]
|
5 |
Lebor gabála Érenn
R1 [I: 3-5];
R2
[I: 6-7 | I: 10]
Lebor gabála Érenn
> Poema V:
«Athair cáich, Coimsid Nime»
[13-16]
Cfr. Bǝrēʾšîṯ [III]
|
6 |
Lebor gabála Érenn
R1 [I: 6-7];
R2
[I: 11];
R3
[I: 2-3, 42]
Lebor gabála Érenn
> Poema V:
«Athair cáich, Coimsid Nime»
[17-28]
Seathrún
Céitinn (Geoffrey Keating):
Foras feasa ar Éirenn [I: 4]
Cfr.
Bǝrēʾšîṯ [IV: 1-16]
Cfr. Petrus Comestor:
Historia scholastica [XXV]
|
7 |
Lebor gabála Érenn
R1 [I: 7-8];
R3
[I: 4, 7-8]
Lebor gabála Érenn
> Poema V:
«Athair cáich, Coimsid Nime»
[31-37]
Lebor gabála Érenn
> Poema VII:
«Cét aimsir in bethad bind»
Cfr.
Bǝrēʾšîṯ [IV: 25-26 | V]
|
8 |
Lebor gabála Érenn
R1 [I: 8-10];
R2 [I: 13-20];
R3 [I: 8]
Lebor gabála Érenn
> Poema I: Slúag nád chlóe cúa-chel
Lebor gabála Érenn
> Poema V:
«Athair cáich, Coimsid Nime» [38-39,
43-45]
Lebor gabála Érenn
> Poema VIII: Dia hAine docuas inti
Cfr.
Bǝrēʾšîṯ [VI-VIII]
|
9 |
Lebor gabála Érenn
R1 [I: 11];
R2 [I: 21];
R3 [I: 41-47]
Lebor gabála Érenn
> Poema II: Sem rogab i n-Aisia n-ait
Lebor gabála Érenn
> Poema V:
«Athair cáich, Coimsid Nime»
[40]
Lebor gabála Érenn
> Poema IX:
«Cetrar as (s)ía saegal slán»
Lebor gabála Érenn
R3 [glossa]
Cfr.
Bǝrēʾšîṯ [IX]
Cfr. Petrus Comestor:
Historia scholastica [XXXVII]
|
|
|
I - IL MITO CELTICO E LA BIBBIA:
MECCANICA DI UN SINCRETISMO
Se gli
antichi Celti tramandavano oralmente le loro tradizioni,
furono i monaci cristiani che compilarono l'antica storia
d'Irlanda basandosi in larga misura sulle leggende locali,
sempre premurandosi di accordare l'intera loro tradizione con
il sistema universale elaborato sulla base dell'autorità
biblica, della storiografia classica e dei testi dei padri
della Chiesa. I testi più importanti a cui essi fecero
riferimento furono il De
civitate dei di sant'Agostinus (354-430), le
Historiarum adversos paganos
libri di Orosius (385-420), la traduzione di San
Hieronymus del Chronicon di Eusébios di
Kaisáreia (±275-339) e naturalmente le imponenti
Etymologiæ
di Isidorus Hispaliensis (560-636). È
anche per questo che non sono stati tramandati
miti irlandesi sulla creazione del mondo,
opportunamente sostituiti dal racconto
biblico.
(Carey 1993)
Questo
riscrivere le tradizioni irlandesi alla luce del dettato
biblico, progressivamente elaborato nel corso dei secoli, fu
principiato dai grandi bardi del IX secolo, i quali misero in
poesia le leggende e le genealogie bibliche, mescolandole alle
tradizioni irlandesi;
fu
adottato in seguito dalla maggior parte dei testi genealogici
e culminò nel XII secolo nel resoconto del
Lebor gabála Érenn. Intorno alla metà del XVII
secolo, la monumentale storia irlandese di Seathrún Céitinn (Geoffrey
Keating), i Foras feasa
ar Éirenn, parte senza ripensamenti dal mito
biblico per seguire le complicate genealogie dei
popoli invasori di Ériu. Ancora oggi,
consultando i complessi alberi genealogici dei clan
irlandesi o scozzesi (ve ne sono diversi pubblicati
in rete), è evidente come si faccia risalire
la discendenza del clan stesso a qualche eroe della mitologia irlandese, a sua volta
discendente dalla stirpe dei
Clanna Míled, da cui il mito
ci fa risalire, di generazione in
generazione, ai capostipiti biblici, a
Yāẹṯ/Iafeth
figlio di Nōh/Nóe, fino ad
arrivare, risalendo la linea dei patriarchi antidiluviani, allo stesso
Āḏām/Ádam.
I brani pseudo-biblici riportati in questa pagina sono stati desunti sia dai poemi bardici di argomento biblico, sia dagli annali e dai testi storici d'Irlanda,
tra cui spicca il primo capitolo del
Lebor gabála Érenn, ricchissimo di spunti scritturali. La terza redazione del
Lebor gabála inizia addirittura con una
traduzione irlandese dei primi undici capitoli del Bǝrēʾšîṯ,
la «Genesi», infarciti di glosse esplicative che contengono
interessanti notizie delle concezioni bibliche diffuse
nell'Irlanda medievale. È interessante confrontare il Bǝrēʾšîṯ
con la versione che ne diedero i bardi e gli
storici irlandesi, per evidenziarne i punti di contatto o di
divergenza.
Gli annalisti irlandesi dunque
presero sì la Bibbia come punto di
riferimento, come confine invalicabile entro cui
circoscrivere le tradizioni celtiche, ma vi
mescolarono in qualche modo tradizioni di diversa
provenienza ed antichi miti locali.
|
II
- IL PARADISO TERRESTRE E IL TÍR NA N-ÓC
La descrizione del paradiso terrestre, come presentata nel
Lebor gabála Érenn e in altri testi irlandesi
d'ispirazione biblico-cristiana, appare sottilmente
orientata in senso celtico. È arduo capire da dove i vari
poeti e redattori abbiano tratto il nome della montagna del
paradiso, Pairtech
(«Athair
cáich, Coimsid Nime»
[8b, 12b]) , o il nome della sorgente dei quattro
fiumi del paradiso, Nuchal
(«Tobar
Parrduis, búan a blad» [1a]), o
addirittura il nome dell'albero proibito, ricco di
meravigliosi frutti, posto «nella pianura di Arón», che è
chiamato Daisia
(«Athair
cáich, Coimsid Nime»
[29a])
o Deachuimhan
(in una tarda versione del
Thenga Bithnua, la «Lingua della vita nuova»,
composto tra la fine del IX e l'inizio del X secolo). In
quanto alla alla pianura di
Arón
(«Athair
cáich, Coimsid Nime»
[7a, 29c]), citata anche come il luogo da cui Dio
trasse la terra con la quale plasmò il petto di
Ádam, sarebbe sorta da
un errore di lettura della parola
ʿEden, in qualche fase
della trasmissione e traduzione del testo ebraico, a causa
del quale la lettera dālẹṯ [ד] sarebbe stata letta come
rēš
[ר]
(Macalister 1932).
Attenendosi in parte alla localizzazione del giardino di
ʿEden fornita dalla Bibbia, «in oriente», l'autore della redazione
míniugudh del
Lebor gabála ne sposta la «latitudine» verso sud,
in modo da renderne la posizione perfettamente speculare a
quella dell'Irlanda:
Hybernia insola possita est in
occidente; sicut Ade Paradisus in australi plaga orientis, poissitus est, ita
Hibernia in septimprionali parte, apud occasum sita est. Sic similes sunt natura
humi, sicut similes sunt ambo locis in orbe: quoniam sicut absque bestia
Paradisus est, ita periti Hiberniam non habere serpentem uel leonem uel ranam
uel murem nocentem uel draconem uel scorpium uel unum noxium animal nisi lupum
tantum testantur. |
L'isola di Hibernia è
situata ad occidente; come il Paradiso di
Ádam si trova sulla costa meridionale
dell'oriente, allo stesso modo l'Hibernia è nella parte settentrionale dell'occidente. Così come
quelle terre sono simili per natura, lo sono anche per la loro posizione nel
mondo: come il Paradiso non ha animali nocivi, così l'Hibernia non ha il
serpente, il leone, il rospo, il nocivo ratto, il drago, lo scorpione o qualche
altra bestia pericolosa, a parte soltanto il lupo. |
Lebor gabála Érenn
Rμ [I: 2] |
L'Irlanda
diventa così ipostasi del paradiso terrestre. Come
ʿEden è il
paradiso d'oriente, così Ériu è il paradiso d'occidente,
o è, perlomeno, una terra che condivide alcune
caratteristiche del giardino edenico. Ma c'è ancora un dettaglio
da far notare: gli autori del
Lebor gabála sembrano
confondere la nozione di paradiso celeste con quella di
paradiso terrestre. Prima ci informano che Dio aveva dato a
Lucifiur il governo del Cielo e il governo della Terra ad
Ádam ed alla sua progenie. Ma quando
Lucifiur viene cacciato
del Cielo, il
Lebor gabála
racconta che provò
odio e invidia nei confronti di
Ádam perché a questi Dio
aveva promesso – al posto suo, di Lucifiur
– la beatitudine
del Cielo [línad Nime]
(Lebor gabála Érenn
R1
[I: 3-4], R2
[I: 6-7]).
Le
ragioni di questa confusione vanno forse fatte risalire al
concetto irlandese di «altro mondo». Il
Tír na nÓc era di fatto
immaginato come una terra di felicità e d'incanto, continua al
nostro mondo, dove i
secoli trascorrevano lievi come brezza e non esisteva né
vecchiaia né malattia. Il concetto della morte degli Irlandesi precristiani, da quello che ci è dato da capire dalla
posteriore letteratura, sembra essere indistinguibile dal
soggiorno in questa terra felice, oppure in qualche isola remota del lontano occidente molto
simile nei tratti a quella del biblico
ʿEden. Questo mondo
edenico, qui chiamato Tír Mór «Grande
Terra», viene così descritto in una famosa composizione lirica:
Cid mesc lib coirm
Inse Fáil,
is mescu coirm Tíre Máir;
amra tíre tír as-biur;
ní tét oac and ré siun. |
Se inebriante è la birra
dell'isola di Fál
più inebriante la birra del Tír Mór.
Terra incantata è quella che
racconto,
non vi muoiono i giovani prima dei
vecchi. |
Srotha téithmilsi tar tír,
rogu de mid ocus fhín,
doíni delgnaidi cen on,
combart cen peccad, cen chol. |
Dolce, gentile, a ruscelli
sul terreno,
il vino migliore e l'idromele.
Nobile popolo senza macchia
concepisce senza colpa né peccato. |
Tochmarc Étaíne
>
A finn bann [4-5] |
Nell'interpretazione cristiana i due termini verranno sempre
più confusi tra loro, tanto che negli immrama, i
racconti irlandesi di «navigazione», assistiamo spesso ai
viaggi di questi mistici navigatori in isole meravigliose del
lontano occidente: in questi testi i motivi pagani e quelli
cristiani si integrano perfettamente gli uni con gli altri, e
il
Tír na nÓc diventa
indistinguibile dall'ʿEden
biblico.
|
III - LA STORIA «IRLANDESE»
DI ÁDAM ED ÉABA
|
Ádam ed Éaba, Cáin e Abél |
Bassorilievo sulla «Croce delle Scritture» (VIII secolo), particolare.
Clonmacnoise, Irlanda |
Il racconto di
Ádam ed
Éaba,
così come compare nel Lebor gabála Érenn,
deriva senz'altro dal Bǝrēʾšîṯ,
ma il racconto canonico di Āḏām
e Ḥawwāh viene integrato da una serie di motivi
extrabiblici che i redattori irlandesi trassero dalla
posteriore letteratura cristiana e la cui origine si trova
negli apocrifi dell'Antico Testamento.
Ad esempio, la formazione di
Āḏām dai quattro elementi
è un motivo presente già nell'antica tradizione ebraica e
conosciuto anche nel mondo classico. In Phílōn Alexandreús,
filosofo filogiudaico del I
secolo, si legge che il corpo umano
è simile al mondo intero poiché è
composto dalla medesima combinazione dei
quattro elementi (terra, acqua,
fuoco, aria)
(De opificio Mundi [51]).
Si diceva che Dio
avesse raccolto la polvere di
Āḏām ai quattro angoli della terra
affinché, se a un uomo dell'oriente
fosse accaduto di morire in
occidente, o un uomo dell'occidente
di morire in oriente, la terra non
avrebbe potuto rifiutarsi di
accogliere la loro polvere
(Ginzberg 1909). In tal modo
l'etimologia del nome di
Āḏām veniva interpretata, nelle fonti
cristiane, come acrostico delle
parole greche Anatolḗ
«oriente», Dýsis
«occidente», Árktos
«settentrione» e Mesēmbría
«meridione»; concezione che
si trova già nel
Sēẹr Ḥănôq slavo
(2 Ḥănôq [XXX: 13]). In una variante di
questa leggenda, riferita in una glossa alla traduzione
irlandese del Bǝrēʾšîṯ,
nella terza redazione del Lebor gabála
(la parte omessa in antologia), Dio chiede
ai quattro angeli Michele,
Raffaele, Gabriele e Uriele di
cercare un nome per il primo uomo;
questi si recano ai quattro angoli
del mondo e – pur con qualche
confusione nell'attribuzione dei punti cardinali – vedono quattro stelle,
chiamate rispettivamente Anatoile,
Dissis, Arethos e Mesimbria, e
dalle iniziali di ciascuna di esse viene il nome del primo
uomo. Alcune fonti ebraiche specificano
anche
dove venne raccolta la polvere
destinata a formare varie parti del
corpo di
Āḏām; il suolo della Palestina fornì
la materia per la testa, quella di
Babilonia per il tronco, quella di Akra (una città della Babilonia,
famosa per la licenziosità dei suoi
abitanti) per i genitali, quella di
tutti gli altri paesi per gli arti
(Sanhẹdrîn
[38a-38b]). Questa tradizione fu poi raccolta e sviluppata nella
posteriore tradizione cristiana e
araba. Il Lebor gabála
presenta due versioni di questo
mito, la prima nel
testo della seconda redazione
(R2 [I:
4]);
l'altra nel poema
V,
«Athair cáich, Coimsid Nime»
[6-7],
con alcune significative variazioni, dovute probabilmente al
fatto che l'autore del testo in prosa e quello del poema si
rifecero a fonti differenti, che tuttavia non è facile
identificare.
|
|
R2 [I: 4] |
|
Poema V |
Testa:
Petto:
Ventre:
Gambe: |
|
Garad
Arabia
Lodan
Agoiria |
|
Malón
Arón
Babilonia
Laban, Gogoma |
Alcuni passi del Lebor gabála
(come
R2
[I: 9]) si riferiscono alla
leggenda extracanonica
secondo la quale Dio avrebbe
presentato ad
Āḏām tutti gli
animali, affinché egli desse loro
un nome, ma
Āḏām fu preso da un
profondo senso di solitudine vedendo che tutte le creature
avevano una compagna tranne lui: per tale ragione Dio creò Ḥawwāh
(Bǝrēʾšîṯ
Rabbah [17: 4]).
La gioia di
Āḏām alla vista
di Ḥawwāh,
a cui si accenna anche nel poema
V,
«Athair cáich, Coimsid Nime»
[11] ,
è anch'esso un motivo della
letteratura apocrifa
antico-testamentaria.
Nella
Spelunca Thesaurorum siriaca si legge che, non appena
Āḏām si svegliò dal sonno in cui
Dio l'aveva sprofondato per
toglierli la costola e vide per la
prima volta Ḥawwāh, se ne rallegrò
grandemente.
|
IV - CÁIN E ABÉL, LE LORO SORELLE E UN
OSSO DI CAMMELLO
Stessa cosa bisogna dire per
quanto riguarda le notizie extrabibliche relative a
Qayin/Cáin ed
Hẹḇẹl/Abél.
La sorella gemella
di Cáin, che nel Lebor gabála Érenn
è chiamata
Chalmana o
Catafola, è derivata dall'anteriore
letteratura cristiana.
Per quanto riguarda Chalmana, la fonte è lo
Pseudo-Methódios citato da Comestor:
Et anno creationis vitæ Adam decimo quinto natus est ei Caino et soror eius
Chalmana. |
E nel quindicesimo anno di vita di
Āḏām
gli nacque
Cáin
e la sorella di questi Chalmana. |
Petrus Comestor:
Historia
Scholastica [XXV] |
Catafola
compare invece in una serie di tarde leggende irlandesi.
Nell'Is uimpi
doronad an t-éd si
racconta della rivalità tra Cáin e
Abél, entrambi innamorati
di Catafola.
Ádam aveva preso
le parti di
Abél, in quanto
considerava troppo stretta la
consanguineità di
Cáin con la
gemella, e proprio fu la ragione
che spinse Cáin a uccidere
Abél. In quanto a
Pendan, che fu poi il marito di
Catafola,
tratta di lui una tarda redazione del
Thenga Bithnua, che lo descrive quale seconda vittima
della gelosia di Cáin. Una
Catafolofia appare inoltre nelle
Banṡenchas, le«Storie dei nomi delle donne»,
come nome della moglie di Cáin.
La letteratura apocrifa ed esegetica contempla numerosissime
speculazioni su quale sia stato lo strumento con il quale
Qayin diede la morte ad
Hẹḇẹl. Nel testo
antico-inglese Þe lyff of
Adam and Eue, «La vita di Āḏām e Ḥawwāh», si
dice che Qayin avesse
utilizzato un osso d'asino: «con lo zigomo di un asino lo
colpì in capo» [wiþ þe cheke-bon of an asse he smot him
on þe hed]. La scena è stata presumibilmente suggerita
dalla scena in cui Šimšôn
sconfigge i Filistei con una mascella d'asino. Può darsi i
redattori del Lebor gabála
(o i loro antigrafi), poco adusi
agli animali esotici, abbiano confuso l'asino con il
cammello, forse ritenendo che si trattasse di animali simili
se non identici.
|
V
- I PATRIARCHI ANTIDILUVIANI E IL COMPUTO DEL TEMPO
Le dieci generazioni da
Āḏām a
Nōḥ,
riportate nel quinto capitolo della
Bǝrēʾšîṯ,
costituiscono un albero genealogico perfettamente lineare in
quanto tutti i rami al di fuori di quello noachico sono
comunque ad essere «potati» dal Diluvio. Tali generazioni rivestivano una
grande importanza per gli studiosi di storia sacra, poiché permettevano
di calcolare il tempo intercorso dalla creazione al
diluvio.
Il guaio era che le cifre
offerte delle varie traduzioni della Bibbia erano molto
diverse tra loro. Ad esempio, se nella Bibbia ebraica questo
tempo assommava a 1969 anni, nella traduzione greca dei
Settanta arrivava a 2242, mentre nella Vulgata in
latino si riduceva a 1656. Gli autori irlandesi si basarono soprattutto
sull'autorità dei Settanta, sostenuta da Isidorus Hispaliensis;
ma nonostante questo, i molti documenti che vennero utilizzati
dai redattori del Lebor gabála Érenn
riportavano cifre molto diverse, le
quali confluirono separatamente nel
testo creando una serie di computi
incongruenti tra loro e nei
confronti del testo sacro.
Nello
schema abbiamo messo in relazione le età dei Patriarchi nelle varie redazioni della
Bibbia
(quella greca dei Settanta e la Vulgata latina), con le età
fornite dalla traduzione irlandese
della
Bǝrēʾšîṯ riportata
all'inizio della redazione
R3
del Lebor gabála Érenn (omessa nella nostra
traduzione),
con il poema V,
«Athair cáich, Coimsid Nime»
[31-36],
e con la tavola dei patriarchi in
R3
[I: 8], a sua
volta interpolata dal
Sex Ætates
Mundi. (Il numero tra
parentesi indica l'età che aveva ogni patriarca quando nacque
il suo primogenito, nel caso di Nōḥ/Nóe il numero tra parentesi
quadre indica l'età quando giunse il diluvio).
|
Settanta |
Vulgata |
Tradizione
irlandese |
«Athair cáich, Coimsid Nime» |
Lebor gabála Érenn
R3 [I: 8] |
Āḏām/Ádam
|
(130)
930 |
(130)
930 |
(130)
930 |
930 |
930 |
Šēṯ/Seth |
(205)
912 |
(105)
912 |
(105)
612 |
915 |
612 |
Ĕnôš/Enós |
(190)
905 |
(90)
905 |
(190)
905 |
905 |
905 |
Qênān/Cainán |
(170)
910 |
(70)
910 |
(170)
910 |
910 |
910 |
Mahălalǝʾēl/Malalael |
(165)
895 |
(65)
895 |
(165)
895 |
895 |
800 |
Yereḏ/Iareth |
(162)
962 |
(162)
962 |
(162)
962 |
965 |
965 |
Ḥănôq/Enóc
|
(165)
365 |
(65)
365 |
(165)
365 |
365 |
365 |
Mǝṯûšelaḥ/Mathasalem |
(167)
969 |
(187)
969 |
(187)
945 |
980 |
969 |
Lemeq/Laimíc |
(188)
753 |
(182)
777 |
(182)
677 |
775 |
777 |
Nōḥ/Nóe |
[600]
950 |
[600]
950 |
[600]
950 |
950 |
|
|
La
maggior parte delle contraddizioni sembra dovute a banali
errori di trascrizione avvenuti nel corso
della trasmissione dei documenti. Ad esempio, il passaggio
dell'età di
Šēṯ/Seth da 915 a 912 anni (nel poema V,
«Athair cáich, Coimsid Nime»),
è probabilmente dovuto ad un'alterazione della cifra romana da
DCCCCXII
a DCCCCXV,
provocando una contraddizione con la traduzione in irlandese
del Bǝrēʾšîṯ
riportato in
R3,
dove la durata della vita di
Šēṯ/Seth è stata erroneamente ridotta a
612 anni. Nel secondo dei due testi
del Lebor gabála Érenn
contenuti ms. M
(Lebor Mór Lecáin),
il testo del poema V è stato
poi conformato alla versione in prosa. Identico errore per
quanto riguarda la vita di
Yereḏ/Iareth, che passa da 962 a 965 anni. Anche qui bisogna ipotizzare un
errore di trascrizione che ha alterato la cifra romana da
DCCCCLXII
a DCCCCLXV.
Errori di traduzione, di lettura o addirittura sviste dei vari
redattori spiegano la grande incertezza nei calcoli del tempo.
|
VI -
LA FAMIGLIA DI NÓE
|
Nóe e la sua famiglia, a bordo dell'arca |
Disegno eseguito sul secondo foglio del
Lebor Baile an Móta. Ms. 23 P 12,
p. 2. |
I nomi delle donne della famiglia
di Nōḥ sono state oggetto di
speculazioni senza fine. Diverse lezioni sono fornite dagli apocrifi dell'Antico Testamento. Nel
Sēẹr
ha-Yôḇēlîm, il «Libro dei Giubilei»
etiopico,
la sposa di Nōḥ si chiama ʾEmzârâ,
e le mogli dei figli hanno nome Sêdêqêtêlĕbâb,
Nêʾêlâtamâʾûk e ʾAdâtanʾêsês. Altri testi suggeriscono vari altri
nomi per la moglie di Nōḥ, come Noria,
Noema, Bathenos, Tithea o Haical. Eutychius chiama le
mogli dei figli di Nōḥ Salit, Nahlat
e Arisisah. In un'altra fonte, la sposa di
Nōḥ si chiama Naamah, è detta figlia di Ḥănôq
e sembra fosse l'unica donna
rimasta pura in quella generazione corrotta; le mogli dei loro figli sono invece
figlie di Ẹliyāqîm figlio di Mǝṯûšelaḥ
(Graves 1963).
Tra le
notizie extracanoniche fornite dal Lebor gabála Érenn,
una delle più interessanti riguarda proprio proprio i nomi
delle donne della famiglia di
Nōḥ/Nóe. La sposa del patriarca viene
chiamata Cobba le mogli dei tre figli
Olla,
Oliva e
Olívana (Olla,
Oliua e
Olíuana). La fonte sembra
essere una delle composizioni poetiche inserite nel Lebor gabála,
più esattamente il poema I,
Slúag nád chlóe cúa-chel, contenuto in tutt'e tre
le redazioni del testo:
Mná cen mídend, mór-fheba,
ós dílind cen díbada;
Coba, brígda in báin-ela,
Olla, Oliua, Olíuana. |
Donne eccellenti senza i colori
della malizia,
sopra il diluvio senza
soccombere,
Cobba, vigorosa come un bianco
cigno,
Olla,
Oliva e
Olívana. |
Lebor gabála Érenn
>
Poema I:
Slúag nád chlóe cúa-chel
[2] |
Nella
seconda redazione, la notizia è completata dal dettaglio che
Nóe aveva sposato la propria sorella, e stessa cosa avevano
fatto Sem, Cham e
Iafeth
(R2 [I: 12]).
Nel poema V,
«Athair cáich, Coimsid Nime» , si dà un altro nome alle mogli dei figli di
Nóe, e cioè
Cata Rechta,
Cata Casta,
Cata
Flavia (mentre il nome di Olla viene qui attribuito alla
sposa di Seth):
Cata Rechta ba ben Sem,
Cata Chasta ben Iafeth,
Cata Flauia, co ngrád ngrinn,
ainm mná Caim, nocho celim. |
Cata Rechta, ella fu sposa di
Sem,
Cata Casta, sposa di
Iafeth,
Cata Flavia, dal dolce affetto,
il nome della sposa di Cham, non
lo nascondo. |
Lebor gabála Érenn
>
Poema V:
«Athair cáich, Coimsid Nime»
[39] |
Petrus Comestor, un teologo francese del XII secolo, fornisce
nomi abbastanza simili a questi ultimi: Phuarpara
per la moglie di
Nōḥ, e Pharphia,
Cataflua e Fliva per le mogli dei figli.
In quanto a
Catafolofia, come abbiamo già detto, appare nelle
Banṡenchas, le«Storie dei nomi delle donne»,
come nome della moglie di Cáin
(forse a causa di una confusione, tra Cáin
e Cham). Nel
dialogo antico-inglese
Salomon and Saturnus, la moglie di
Nōḥ è chiamata Dālila, quelle di Ḥām
e Yāẹṯ sono dette
rispettivamente Jaītarecta e Catafluvia, ma
l'autore aggiunge che sono anche chiamate «Olla, and
Ollīna, and Ollibana».
“Saga me, hƿæt hātte Noes ƿīf?”
“Ic ðe secge, heō hātte Dālila.”
“And hƿset hātte Chames ƿīf?”
“Ȝaītarecta heō hātte.”
“And hƿæt hātte Ȝafeðes ƿīf?”
“Ic ðe secge, Catafluuia heō hātte; and ōðrum naman hīg sindon genemnede, Olla,
and Ollīna, and Ollibana; sƿā hig þreo hātton.” |
“Dimmi, com'era chiamata la moglie di
Noe?”
“Te lo dirò, era chiamata Dālila.”
“E com'era chiamata la moglie di Cham?”
“Era chiamata Jaītarecta.”
“E com'era chiamata la moglie di Jafeð?”
“Te lo dirò, era chiamata Catafluvia. Ma anche con
altri nomi, erano chiamate: Olla,
Ollīna e Ollibana:
così esse si chiamavano.” |
Salomon and Saturnus [19-21] |
La notizia viene completata nel
Master of Oxford's
Catechism del XV secolo, dove la moglie di
Nōḥ è chiamata
Dalida e le mogli dei figli Cateslinna,
Laterecta e Aurca, altrimenti dette «Ollia,
Olina, Olybana».
“What hicht Noes wyf?
“Dalida; and the wif of Sem, Cateslinna; and the wif of Cam, Laterecta;
and the wif of Japheth, Aurca. And other iij. names, Ollia, Olina, and Olybana.” |
“Come si chiamava la moglie di
Noe?”
“Dalida. E la moglie di Sem,
Cateslinna; e la moglie di
Cam, Laterecta; e la moglie di
Japheth, Aurca. E
altri tre nomi, Ollia, Olina
e Olybana.” |
Master of Oxford's
Catechism |
Nella Genesi
anglosassone di Cædmon i nomi di queste donne sono dati come
Percoba, Olla, Oliva, Ollivani. Questa Percoba
compare di nuovo nella
Banṡenchas come
moglie di Nóe, in un
brano non privo di ironia:
Percoba ben Noe co n-nári,
cen choi, cen gári, ba gand!
Copa séim ba comse a cáem-fhir,
toirsech ca cóniud a cland.
Olla setig Séim bláith bithi,
ben Chaim Oliuan o háis,
commám Iafeth Olíuane,
na tarat barr for báis. |
Percoba la moglie di Nóe, con
vergogna,
senza lacrime, senza risate,
quanto noiosa!
Era modesta, adatta per il suo
nobile marito,
tristi lamentandola i suoi
figli.
Olla la sposa di
Sem, aggraziata
e femminile,
la sposa di
Cham,
Oliva,
capricciosa,
la sposa di
Iafeth,
Olívana,
che non vinse la morte. |
Banṡenchas |
|
VII - IN DIFESA DEI MONACI
IRLANDESI
L'accusa che
la critica moderna muove ai
monaci irlandesi, di aver
irrevocabilmente travisato gli
antichi miti celtici, adattandoli
alla visione cristiana, è
sostanzialmente corretta. Tutto quanto non
si accordava all'indiscutibile verità del
dettato biblico, venne espunto o adattato.
Le antiche cosmogonie, teogonie e antropogonie vennero completamente
eliminate, tanto che oggi non
sappiamo neppure più quale fosse il mito celtico della
creazione. Ogni trattato storico che
il Medioevo irlandese ci abbia tramandato
prende immancabilmente le mosse dalla
Bǝrēʾšîṯ, la genealogia di qualunque tribù o clan si
diparte senza fallo dalla discendenza dei
figli di
Nōḥ/Nóe, qualsiasi antica figura pagana
ci è pervenuta fortemente evemerizzata e
inserita in una cornice biblico-cristiana.
Tutto questo ha fatto sì che gli studiosi e
gli appassionati di mitologia celtica,
esasperati dal continuo sforzo di dover
leggere in controluce gli antichi miti
attraverso le innumerevoli incrostazioni
cristiane, non abbiano risparmiato maledizioni a quei monaci troppo osservanti,
«rei» di aver distrutto per sempre il
prezioso patrimonio mitologico dei Celti
irlandesi. Quest'accusa, certamente corretta
nella sua formulazione, ha tuttavia portato
a un pesante fraintendimento – diffuso
soprattutto tra certi appassionati o nelle
conventicole neopagane – per il quale tutto
ciò che si riferisca a temi biblici, o abbia
una verniciatura o un aspetto cristiani, sia
da rigettare.
La verità è molto più sfumata.
La forma di Cristianesimo che si sviluppò
nell'Isola dei Santi, si adattò
armoniosamente al modo di vita del popolo
irlandese, al suo sentire e alla sua
cultura. Anche se vi furono inevitabili
contrasti tra gli evangelizzatori cristiani
e gli antichi druidi, gelosi del loro
retaggio e dei loro privilegi, col crollo del druidismo furono i monaci
ad ereditarne il ruolo di custodi del sapere
e della tradizione. I più antichi
documenti della letteratura irlandese
mostrano già la mitologia celtica
solidamente innestata sul tronco biblico, e molti di quei poemi
genealogici e gnomici non furono opera dei
monaci, ma degli stessi bardi del IX-X
secolo, i quali contribuirono ad amalgamare
la tradizione celtica e l'alto magistero
delle Scritture, fino a creare un sistema
internamente coerente. Tutto questo materiale servì in
seguito come fonte per il Lebor gabála Érenn,
che fu compilato in ambiente monastico e nel
quale ebbero un gran peso le vicende della
Bibbia e
gli scritti dei Padri della Chiesa. Questo
modo di procedere deformò irrimediabilmente
l'antica mitologia celtica, ma allo stesso
tempo contribuì a salvarla. L'amore per la
conoscenza che animava quei monaci, unito
all'attitudine e alla pazienza nell'ars scriptoria, permise loro di tramandare una
grandissima quantità di materiale di valore
inestimabile. In un periodo particolarmente
difficile, essi dedicarono le intere
esistenze a trascrivere con amore le antiche
storie del popolo irlandese, salvandole
dall'oblio e permettendo che venissero
trasmesse fino a noi. È grazie a loro se
oggi possiamo ancora cercare di indovinare
il mito originale lavorando per sottrazione
del materiale biblico e classico.
Non è inutile ricordare che tutto questo non
è avvenuto tra i Celti continentali, dove la
caduta del druidismo creò un vuoto
che nessuno poté colmare. Estranei
com'erano all'idea di mettere per iscritto
la loro sapienza tradizionale, i druidi
lasciarono perire tutta la loro cultura, i
loro miti e la loro sapienza. La verità è
che nessun altro paese d'Europa ha
tramandato una mole così imponente di
materiale precristiano quanto l'Irlanda,
tranne naturalmente il mondo classico (e
anche qui in buona parte proprio grazie agli
amanuensi cristiani).
Non era
possibile evitare
che gli antichi miti scampassero
al filtro di un'ottica che non
era più quella degli
antichi druidi, ma questo era
vero anche per quei druidi che a
loro volta ereditarono quei miti
da tradizioni precedenti.
Ciò che è stato
tramandato non è meno
«celtico» di ciò
che è andato perduto, e
agli occhi dello studioso il
mito cristianizzato ha
altrettanto valore di quello
originale. Non si
ribatterà mai abbastanza sul fatto che non
sono mai esistiti miti «puri» ed a questi
monaci irlandesi, che invece di limitarsi a
sopravvivere vollero trasmetterci ciò che
avevano di più caro e prezioso, le loro
antiche storie e tradizioni, dobbiamo tutta
la nostra riconoscenza.
|
Bibliografia
- CAREY John, A New Introdution to Lebor Gabála
Érenn, Irish Tests Society, Londra
1993.
- CATALDI Melita, Antiche storie e fiabe
irlandesi, Einaudi, Torino 1985.
- COMYN David ~ DINEEN
Patrick S. [traduzione]: CÉITINN Seathrún (KEATING Geoffrey),
The History of Ireland, Londra 1902-1908.
-
GINZBERG
Louis, The Legend of the Jews,
vol. 1, Filadelfia 1909 (?)
→
ID.,
Le leggende degli Ebrei,
vol. 1, Adelphi, Milano 1995.
-
GRAVES
Robert ~ PATAÏ Raphael, The Hebrew
Myths, New York 1963
→ ID.,
I miti ebraici, Longanesi, Milano 1980.
- MACALISTER R.A.
Stewart [traduzione], Lebor Gabála Érenn: The
Book of the Taking of Ireland, voll. 1-5, Irish Texts
Society, Voll. XXXIV, XXXV, XXXIX, XLI, XLIV, Londra 1938-1956 [1993].
- MacCULLOCH John A., The Religion of Ancient
Celts, Edimburgo 1911
→ ID.,
La religione degli antichi
Celti, Vicenza 1998.
-
MARKALE Jean,
Le
Druidisme, Parigi 1985
→ ID.,
Il Druidismo: religione e
divinità dei Celti, Mediterranee, Roma 1991, Mondadori, Milano 1999.
- MORGANTI Adolfo [cura]: NENNIUS (Nennio): La storia di re Artù e dei
Britanni, Il Cerchio, Rimini 2003.
- REES Brinley, Origini: il popolamento mitico
dell'Irlanda, in: BONNEFOY
Yves [cura], «Dictionnaire des Mythologies», Parigi 1981.
→ ID., «Dizionario delle
mitologie e delle religioni», 3, Rizzoli, Milano 1989.
-
REES Alwyn ~ REES Brinsley,
Celtic Heritage, Thames
& Hudson, Londra 1961
→ ID.,
L'eredità celtica, Mediterranee, Roma 2000.
-
RHŶS Sir John,
Studies in Early Irish History, Londra 1905.
- ROSS Anne, Druids, Gods and Heroes from
Celtic Mythology, Eurobook Limited, Londra 1986
→ ID., Dèi e eroi della mitologia
celtica, Mondadori, Milano 1986.
|
BIBLIOGRAFIA ► |
|