1 -
MERCURIUS: L'INVENTORE DI TUTTE LE
ARTI
|
Il Mercurius gallico |
Toru Takamizawa, illustrazione |
l dio che
i Galli venerano sopra ogni altro è
Mercurius.
Questa notizia potrà apparire sorprendente a un
cittadino romano, il quale sa bene che è a
Iuppiter,
il re degli dèi, che va tributato il culto
supremo. Evidentemente non la pensano così i
Galli, come testimoniò il divo Caesar nei
commentarii delle sue campagne.
L'immagine che questi barbari si fanno di
Mercurius
non differisce molto dalla nostra. Anche in Gallia,
Mercurius
è il dio che indica il cammino ai viandanti,
che li guida e li protegge lungo le strade, che si
occupa dei commerci e delle attività
finanziarie, il più abile ad assicurare
buoni guadagni.
È inoltre a
Mercurius
che i Galli attribuiscono l'invenzione di tutte le
arti e le tecniche.
A
Mercurius
i Galli innalzano il maggior numero di monumenti, tale è la
devozione che gli portano. Tale pietas fu notata da Caesar ai tempi delle
sue campagne ma, ancora ai nostri giorni, il viaggiatore che attraversi le Gallie
può facilmente scorgere, lungo le strade, le molte statue e
iscrizioni dedicate al dio dei viandanti e degli
artigiani. Da quando furono romanizzati, i Galli
hanno preso a rappresentare
Mercurius secondo
l'immagine classica: un giovane nudo e sbarbato,
con il caduceo in pugno, il petaso in testa,
calzari ai piedi e in mano la borsa per il
denaro. Ma all'occorrenza si possono incontrare le
immagini, assai diverse, di un
Mercurius
vestito secondo la foggia gallica, dal mento
barbuto. Talvolta lo accompagnano degli animali: un
gallo, una capra, una lucertola o una testuggine.
Un greco potrà forse riconoscere nella
testuggine quella da cui il giovanissimo Herms ricavò
la sua prima lira, ma il gallo e la capra rimangono
simboli del tutto estranei alle figurazioni
classiche del dio. Altre volte accanto a
Mercurius
troviamo un serpente dalle corna d'ariete.
Spesso
Mercurius
è affiancato da una dea chiamata Rosmerta,
la «provvidente». I Romani l'hanno
identificata con Maia,
Fortuna, Felicitas e Salus. I Galli la chiamano
anche Visucia, la
«sapiente».
Nella città di Lugudunum, che i Romani
hanno posto a capitale della Gallia, il culto di
Mercurius viene particolarmente curato e messo in
intimo rapporto con quello dell'imperatore Augustus. |
2 - EPITETI DEL MERCURIUS
GALLICO
l viaggiatore che attraversi le Gallie, ammirando i numerosi monumenti che i Galli
hanno dedicato a
Mercurius
e soffermandosi a leggerne le dediche,
noterà con quanti e quali epiteti, sia
celtici che latini, il dio venga chiamato e
invocato in quelle terre. Alcuni di questi nomi
hanno grande diffusione, mentre altri attestano
piccoli culti locali.È difficile dire quanti di questi epiteti
siano effettivamente rivolti al dio supremo dei
Galli, il
Mercurius
inventore di tutte le arti, e quali invece
dissimulino altre divinità che, per
qualche ragione, hanno finito per essere
identificate con il dio romano.
Questi sono i principali epiteti
gallici di
Mercurius.
-
Abgatiacus
-
Adsmerius, «colui che provvede»
-
Alaunus
-
Andescox
-
Arcecius
-
Artaius, «ursino» o «artefice»
-
Arvernorix,
«re degli Arverni»
-
Arvernus, «arverniate»
-
Atesmertus, «colui che provvede»
-
Augustus,
«augusto»
-
Bigentius
-
Canetonnessis
/ Canetonessis,
«di Canetonnum»
-
Censualis
-
Channo
-
Cimbrianus
/ Cimbrius,
«cimbro»
-
Cimiacinus
- Cissonius
/ Cesonius
-
Clavariates
-
Colualis
-
Cosumias
-
Cultor,
«saggio»
-
Defensor,
«difensore»
-
Domesticus,
«domestico»
-
Dubnocaratiacus
-
Dumiatis
/ Dumius,
«del monte Dumus»
-
Esus /
Hesus,
«il buono»
(?)
-
Finitimus,
«difensore dei confini»
-
Friausius
-
Gebrinius
-
Iovantucarus «protettore della gioventù» (?)
-
Leud[ici?]anus
-
Magnus,
«grande»
-
Macniacus,
«di Magniocum»
-
Matutinus,
«mattutino»
-
Merc[ator?],
«mercante»
-
Moccus,
«porco»
-
Negotiator,
«contrattatore»
-
Nundinator,
«commerciante»
-
Peregrinorum,
«dei pellegrini»
-
Sam[†]
-
Sanctissimus,
«santissimo»
-
Seno[†]
-
Solitumarus
-
Susurrio
-
Teutates /
Toutatis,
«della tribù»
-
Toutenus
/ Tourenus
-
Vassocales
/ Vassocaletis,
«giovane e
duro» (?)
-
Vellaunus,
«valente» o «della tribù dei Vellauni»
-
Viator,
«viaggiatore»
-
Victor /
Victorinus,
«vincitore»
-
Viducus
-
Visucius,
«sapiente»
-
Vosegus,
«dei Vosegi» [Vosgi]
Questi nomi hanno diversi significati e
diverse origini. Molti di essi sono dei semplici epiteti
del
Mercurius
gallo-romano, alcuni di origine celtica, altri
schiettamente latini. Alcuni di questi epiteti sono
evidentemente legati a culti locali di varie tribù. Vi
sono, tra questi nomi, anche quelli di divinità galliche a
sé stanti che sono stati identificati con il
Mercurius
romano:
il caso di
Cissonius,
dio adorato dai Treveri, ma conosciuto anche in Aquitania, e
di
Gebrinius,
dio della tribù germanica degli Ubii.
Nell'elenco si
trovano anche i nomi di due grandi divinità galliche,
Esus
e Teutates, che i nostri
teologi hanno identificato tanto con
Mercurius
quanto
con Mars. |
3 - MERCURIUS, PROTETTORE DELLE TRIBÙ GALLICHE
ercurius
non è soltanto il dio supremo di tutti i Galli, ma anche il
protettore di molte singole tribù. Uno dei molti
nomi gallici di
Mercurius
è Teutates,
«padre della tribù» (anche se taluni associano questo nome a Mars).
Infatti
Mercurius
assume talora l'aspetto di un dio guerriero e come
tale vigila sul territorio della tribù e ne
salvaguarda i confini. Defensor e Finitimus sono appunto due
appellativi latini che i Galli associano volentieri
a
Mercurius
nel suo aspetto di dio tribale.
Molto devoti a
Mercurius
sono i Segusiavi, la cui città Lugudunum fu
fondata sotto gli auspici del dio.
Particolarmente vicini al dio si reputano
gli Arverni, che adorano
Mercurius
in un tempio innalzato sul monte Dumus. Ma molte
tribù galliche venerano
Mercurius sulle
vette dei monti. I Mediomatrici e i Leuci, per
esempio, adorano
Mercurius Clavariates sulle cime del Vosegus. Con lo stesso nome il dio
è conosciuto dai Lingones e dai Tricasses. I
Mediomatrici venerano un
Mercurius Vosegus.
Mercurius Vellaunus,
il «valente», è adorato con tale epiteto in
tutta la Gallia, ma soprattutto dalla tribù
dei Vellauni. È anche questi un dio
guerriero, tanto che in Britannia si parla
piuttosto di un Mars
Vellaunus.
In Gallia Belgica, i Treveri hanno identificato
Mercurius
con il loro dio
Cissonius.
Ma il culto gallico di
Mercurius è
sconfinato pure tra i popoli germanici che vivono
sulle due sponde del Rhenus.
Mercurius Visucius,
il
«sapiente», è il nome con cui il dio
è conosciuto nella Germania Superior. I Cimbri, genti di origine germanica, per quanto
celtizzate, adorano un
Mercurius
Cimbrianus
o
Cimbrius. Stessa cosa si può dire presso i Germani di
confine: gli Ubii identificano con Mercurius il loro dio
Gebrinius. I Nemetes si rivolgono parimenti a un
Mercurius Seno[†]. Ma anche i Germani,
conferma Tacitus,
vedono in
Mercurius
un dio supremo. |
4 - IL CULTO DEGLI ARVERNI
|
Mercurius Arvernus |
Possibile copia in bronzo della statua di Zēnódōros (II sec.?)
Musée Historique Saint-Remi, Reims (Francia). |
articolarmente devota a
Mercurius
è la tribù degli Arverni, che con il dio ha
stretto da sempre un legame particolare, tanto che
in tutta la Gallia, fin sul limes del Rhenus, si usa
invocare
Mercurius Arvernus,
come se il dio appartenesse agli Arverni, o piuttosto, come se al
Mercurius
arverniate fosse reso un culto più santo e
profondo. Altrove lo si invoca anche come
Arvernorix,
«re degli Arverni».
A
Mercurius
gli Arverni hanno dedicato un famoso tempio, eretto
sulla cima al monte Dumus [il Puy-de-Dôm],
splendente di marmi pregiati e con il tetto
rivestito di piombo. Qui si trova
l'imponente statua in bronzo di
Mercurius Dumiatis.
La forgiò, sotto il regno dell'imperatore
Lucius Domitius Nero, il famoso scultore e toreuta greco Zēnódōros, che vi
lavorò per dieci anni e ricevette dagli
Arverni un compenso di quaranta milioni di
sesterzi. La statua, alta più di cento piedi
[30 metri], ritrae il dio accovacciato su una
pietra; egli è raffigurato secondo i
modelli classici, nudo, con il petaso alato in capo e la
borsa per il denaro. Ai suoi piedi, un gallo, una capra e una
tartaruga.Questa statua è così nota tra i
Galli, che ne hanno fatto molte piccole copie che
tengono per devozione.
Dopo aver dato così bella prova del suo
talento, Zēnódōros venne chiamato a Roma
dell'imperatore Nero, e lì superò
sé stesso realizzando il colosso alto 119
piedi [35 metri] che rappresentava l'imperatore.
|
5 - MERCURIUS MOCCUS E MERCURIUS ARTAIUS
|
Moccus (✍ 2008) |
Marcus Mende, illustrazione. |
ra i numerosissimi epiteti che i Galli hanno
attribuito a Mercurius, ve ne sono due,
Mercurius Moccus
e
Mercurius Artaius,
dove il dio è avvicinato a questi due
animali: il porco e l'orso.Tali epiteti potranno forse sorprenderci, ma non
devono spingerci a frettolose accuse di
empietà. Per i Celti il maiale [moccos] è simbolo
di sapienza, e questo perché si nutre di
ghiande e nocciole, frutti di alberi che i druidi
considerano sacri, in quanto associati alle
conoscenze profonde e occulte. Il culto di
Mercurius Moccus
è particolarmente sentito dal popolo dei
Lingones, nella cui capitale, Andematunum, si
possono ammirare dediche e monumenti intitolati a
questo curioso
Mercurius
porcino.
L'orso [artos] è per i
Celti una bestia nobile, simbolo di forza e di
regalità. Molti nomi di persona gallici si
rifanno a questo animale: Articnos, Artomagus, Arctorix. E poiché l'orso abbatte le
arnie e si nutre del miele distillato dalle api, è forse
legato all'idea dell'immortalità: i Celti credono che gli dèi bevino
uno speciale idromele che mantiene eternamente
giovani.
Il culto di
Mercurius Artaius
è diffuso tra gli Allobroges, stanziati lungo
il fiume Rhodanus; monumenti a lui dedicati si
trovano nelle città di Vienna Allobrogum (Gallia
Narbonensis) e Cularo – oggi Gratianopolis –. Ma
questo non è l'unico culto che i Celti
dedicano all'orso: in Britannia viene adorato il
dio-orso Matunus, che
potrebbe essere l'equivalente locale di
Mercurius Artaius.
La dea Arduinna era raffigurata
in groppa a un cinghiale. Gli Helvetii adorano invece Artio, la dea degli orsi. |
6 - MERCURIUS TRIFALLICO
ungo le strade della Graecia vengono allineate
delle immagini dedicate ad Herms, chiamate
appunto «erme». Anche in Gallia vengono
poste immagini di
Mercurius
lungo le strade e può capitare che tali
immagini presentino spiccate caratteristiche
falliche. I Belgi presentano talvolta un curioso
Mercurius
con tre falli, di cui il secondo sul naso e il
terzo rizzato sulla sommità della testa. Così combinano il significato magico
della triplicità col simbolismo di
fertilità e fortuna tradizionalmente legato
al fallo. |
7 - ROSMERTA, LA DISPENSATRICE
n
molte immagini Mercurius
è accompagnato da una figura femminile.
|
Rosmerta |
Antonella Platano ~ Maria Caratti, illustrazione
«Universal Goddess Tarot Pics» |
A volte questa dea viene definita con un nome
romano: può essere Maia, la madre
del dio, oppure Fortuna, Felicitas, Diana, Salus o Minerva. Ma spesso porta il
nome gallico di Rosmerta,
la «grande dispensatrice».
Il culto della coppia divina formata da Mercurius
e Rosmerta
è praticato in gran parte delle regioni
gallo-romane, ma è diffuso
particolarmente nella Gallia centrale e orientale, lungo i fiumi
Rhodanus, Mosa e Mosella, e su entrambe le rive del
Rhenus. A Rosmerta
sono devote le tribù dei Lingones, dei
Treveri, dei Mediomatrici e dei Leuci. Nelle
figurazioni Rosmerta
è solitamente in piedi e regge in mano una cornucopia o
una borsa. Spesso ha il caduceo, come il suo
compagno Mercurius,
col quale costituisce una coppia
rivolta ai profitti materiali e alle distribuzioni.
I Galli la invocano perché la
prosperità li favorisca e non rimangano mai
privi di nulla.
La coppia divina è venerata persino in Britannia, dove Rosmerta
è rappresentata con un secchio
di legno e un mestolo. Vi sono templi a loro
dedicati tra i Dobunni, e alcuni di questi templi
si trovano nelle colonie romane. Un altro luogo di
culto dedicato a Mercurius
e Rosmerta,
si trova ad Aquae Sulis.
Varianti del nome di Rosmerta
sono Atesmerta
e Cantismerta.
Tutti questi nomi contengono una radice celtica il
cui significato è «dispensare», la
stessa che si trova nel nomen di Adsmerius
o Atesmertus,
con il quale Mercurius è onorato presso la
tribù dei Lingones. Così, Adsmerius
e Rosmerta,
o, con correlazione ancora più stretta,
Atesmerius
e Atesmerta,
vengono ad essere il «dio che dispensa» e
la «dea che dispensa».
Altre volte,
Mercurius
e la sua compagna sono
invece chiamati Visucius
e Visucia,
il «sapiente» e la «sapiente», nuovamente con perfetta simmetria
di ruoli e attributi. |
|
*Lugos |
Danbrenos, disegno |
8 - IL NOME GALLICO DI MERCURIUS
bbiamo finora parlato del dio a cui i Galli
attribuiscono il culto supremo e che in epoca
romana è stato identificato con
Mercurius.
Ma non sappiamo quale sia l'originale nome gallico di
questo dio.
I problemi di identificazione sono piuttosto
complessi. Per esempio, gli
dèi Teutates
ed Esus
sono stati entrambi associati sia a
Mercurius
che a Mars.
Si ha il sospetto che i nostri informatori non
avessero le idee molto chiare!
Qual era dunque il nome gallico di
Mercurius?
Alcuni dicono sia *Lugos,
il «lucente».
Questo nome, a quanto ci risulta, non è mai attestato nelle
epigrafie o nei rilevamenti dei nostri scrittori, ma molte
località sparse in Gallia, in Germania, in Britannia e
persino in Hispania,
località non di rado sacre a
Mercurius, hanno un nome che deriva un *Lugos.
Una di queste, è proprio la città di
Lugudunum, che nei tempi di Augustus è
divenuta la capitale di tutte le Gallie. |
9 - LA FONDAZIONE DI LUGUDUNUM
|
Fondazione di Lugudunum |
Autore non identificato |
u un colle, non
lontano dal luogo dove i fiumi Rhodanus e Arar
mescolano le loro acque, sorge la città di Lugudunum.
Dapprima centro della tribù dei Segusiavi,
Lugudunum è divenuta poi, in epoca romana, la
capitale politica e culturale e religiosa di tutti
i Galli, che qui si riuniscono nelle loro
assemblee, i Concilia Galliarum. È
una città bella e popolosa, sita in un luogo
ameno, da cui si gode la vista meravigliosa delle
Alpes. È anche un grande emporio commerciale
e i governatori romani vi fanno coniare monete
d'oro e d'argento.
Si narra che questo luogo ebbe il suo nome
quando vi giunsero due capi galli,
Atepomaros e
Momoros. Costoro, cacciati
da
Seseroneos, vennero
qui, ubbidendo all'ordine di un oracolo, per
fondarvi una città.
Si stavano scavando i fossati per le fondamenta,
quando apparve uno stormo di corvi. Gli uccelli
svolazzarono sopra di loro e coprirono gli
alberi. Momoros,
esperto nella scienza degli àuguri,
chiamò la nuova città Lugudunum, perché –
dicono gli autori ellenici – nella lingua celtica
il corvo si chiama lugos e un luogo
fortificato dunum.
A testimonianza di questi fatti, vennero battuti
dei medaglioni in cui si raffigurava il dio della
città con un corvo ai suoi piedi. Detto questo, però,
bisogna dire che i Greci sbagliano: «corvo» in gallico non è
lugos, ma brennos. Infatti Lugudunum significa
«fortezza lucente» o, forse, «fortezza del [dio] lucente».
In seguito, l'imperatore Augustus, nel porre una capitale al centro della Gallia ormai
sottomessa, scelse proprio Lugudunum. E di
fronte alla città, alla confluenza dei due
fiumi, i Galli vollero dedicare ad Augustus un
magnifico santuario. Vi collocarono uno splendido
altare su cui scrissero i nomi delle sessanta
tribù galliche e posero una statua per
ciascuna tribù.
E quando l'imperatore volle porre la sua
festività annuale, le Feriae
Augusti, scelse come ricorrenza proprio il
primo agosto, il giorno che tra i Galli era sacro a
Mercurius.
|
10 - I LUGOVES
n Hispania, i Celtiberi adorano gli dèi Lugoves,
patroni dei calzolai.
Si tratta di una forma
plurale del dio *Lugos
in più genî protettori di tale
mestiere? Non lo sappiamo. Certo è che
Mercurius
era l'inventore di ogni tecnica, e dunque potrebbe
esserlo anche di quella della calzoleria. |
Fonti
|
|
|
Mercurius |
Statuetta in bronzo e argento proveniente da Argentomagos,
oppidum dei Bituriges
⇒ Saint-Marcel, presso Argenton-sur-Creuse (dép. Indre,
Francia). |
Museo: [Mercurius.
Iconografia gallo-romana]► |
I - IL MERCURIUS GALLICO:
INTRODUZIONEParlando del
Mercurius gallico, si corre il rischio di non
riuscire bene a definire i confini dell'ampio
spettro di figure divine a lui correlate. La sfera
d'influenza del dio è talmente vasta,
spaziando dal commercio all'artigianato alla
guerra, che troppo spesso si
sovrappone con quella di altre divinità, galliche e
romane,
prima tra tutte Mars.
La principale fonte letteraria
per la nostra conoscenza del
Mercurius gallico è il
De bello
Gallico di Caesar (✍ ~50 a.C.),
le cui informazioni sono preziose quanto
succinte. Altre fonti meno importanti trattano invece del
culto o dei templi intitolati al dio.
Assai ricche, sono le
fonti iconografiche consegnate dall'archeologia. Vi
sono numerosissimi monumenti di epoca
gallo-romana che ritraggono
Mercurius, sia secondo i canoni classici sia nel
suo aspetto celtico, e una dovizia di iscrizioni a
lui dedicate che ci tramandano i suoi molti
epiteti.
Purtroppo non sappiamo quale
fosse il nome gallico di
Mercurius, e questo per un'ottima ragione: di nomi
a lui attribuiti ne conosciamo fin troppi. È difficile
decidere tra i circa cinquanta epiteti associati a
Mercurius, quale possa celare il nome originale
del dio. I più importanti sono Teutates ed Esus, che
Mercurius ha però in comune con
Mars.
Il nome *Lugos,
che gode di una certa popolarità tra gli appassionati, non è direttamente
attestato: è stato ricostruito a partire
dalle tracce lasciate nella toponomastica dei paesi
celtici, anche se presenta indubbi riscontri con la
mitologia irlandese. |
II - IL
MERCURIUS GALLICO.
L'INTERPRAETATIO ROMANA
C'era un dio che i Galli
veneravano sopra ogni altro e nel quale i Romani
videro una versione barbara del loro
Mercurius. È Caesar a riferirci di questa
grande divinità gallica, spiegandola attraverso il nome e la
figura di
Mercurius.
Deorum
maxime Mercurium colunt,
huius sunt plurima
simulacra, hunc omnium
inuentorem artium
ferunt, hunc uiarum
atque itinere ducem,
hunc ad quaestus pecuniae
mercaturasque habere uim
maximam arbitrantur.
post hunc Apollinem et
Martem et Iouem et
Minerua. |
Il dio
che i Galli onorano di
più è
Mercurius: le sue
statue sono le
più numerose,
essi lo considerano come
l'inventore di tutte le
arti, egli è per
loro il dio che indica
il cammino, che guida il
viaggiatore, è il più
abile ad assicurare i
guadagni e a proteggere
il commercio. Dopo di
lui adorano Apollo,
Mars,
Iuppiter e
Minerva. |
Caesar:
De bello
Gallico [VI: 17] |
Non sappiamo se fu Caesar il primo ad
operare tale interpretazione (non dimentichiamo che
ci sono sempre stati profondi contatti tra il mondo
classico e il mondo celtico); certo fu il primo
a darcene testimonianza.
Secondo Caesar, il
Mercurius gallico era un dio dal fertile ingegno,
iniziatore delle tecniche e di tutte le arti, un
dio che indicava il cammino ai viandanti e li
guidava lungo le strade, che proteggeva il
commercio e favoriva i profitti. Tutti aspetti che
giustificavano la sua identificazione con il
Mercurius romano. Ma rimaneva il fatto che i
Galli adoravano il loro
Mercurius più di ogni altro dio, e questo
era un particolare incompatibile con l'immagine
classica di Mercurius. Non a caso, nell'elencare le
principali divinità galliche, Caesar cita
Mercurius al primo posto, e solo dopo di lui fa
seguire
Apollo,
Mars,
Iuppiter e
Minerva.
(De bello
Gallico [VI: 17]).
L'ordine, palesemente non
romano, con cui Caesar dispone questi nomi divini,
è garanzia di credibilità: il
Mercurius
gallico rassomigliava al
Mercurius
romano, ma apparteneva a un pántheon organizzato in
maniera affatto diversa.
L'importanza che
Mercurius aveva presso i Galli è
indirettamente confermata da un passo dell'Octavius
di Marcus Minucius Felix (✍ ~197),
il quale afferma che a questo dio i Galli tributavano
sacrifici umani e animali:
Tauris etiam Ponticis et Aegyptio Busiridi
ritus fuit hospites immolare, et Mercurio
Gallis humanas vel inhumanas victimas
caedere... |
Anche
presso i Tauri del Ponto, e
all'egizio Busiris, è un rito
immolare gli ospiti, e tra i Galli
sacrificare a
Mercurius
vittime
umane o inumane... |
Marcus Minucius Felix:
Octavius [IV:
1] |
La cosa più delicata è forse proprio
il cercare di definire la posizione di
preminenza del
Mercurius gallico. Era forse il dio supremo del
pántheon gallico? Era il re degli dèi?
Oppure solo il dio maggiormente presente nel culto
e nella devozione del popolo? È impossibile
dare una risposta definitiva a queste domande,
però possiamo ottenere delle interessanti
indicazioni sia facendo dei raffronti con la
mitologia dei Celti insulari, sia rintracciando
figure omologhe nelle altre mitologie indoeuropee e
cercando di delineare la loro evoluzione.
Per ora si noti soltanto che la
preminenza di
Mercurius nel pántheon gallico non era dovuta a una forma di
regalità. Secondo Caesar, i Galli ritenevano che il re
degli dèi fosse
Iuppiter, solo che per qualche ragione
Iuppiter era meno importante di
Mercurius, tant'è vero che Caesar lo cita
solo al quarto posto della lista. Il
Mercurius gallico deteneva quella che, in mancanza
di una definizione più precisa, chiameremo
qui «supremità»: godeva
cioè di un'importanza superiore a quella
dovuta alla semplice regalità, e distinta da
essa.
In conclusione, è
evidente che il
Mercurius gallico era una figura diversa dal
Mercurius romano,
col quale aveva in comune taluni
aspetti, tanto da giustificare l'interpretazione secondo
il modello classico, ma che per altri
sostanzialmente differiva. |
III - IL
MERCURIUS GALLICO.
LE TESTIMONIANZE ARCHEOLOGICHE
Dopo
aver detto che i Galli onoravano
Mercurius più di ogni altro dio, Caesar
aggiunge che a lui innalzavano un gran numero di
monumenti [plurima
simulacra]
(De bello
Gallico [VI: 17]).
La notizia è confermata
da altre fonti. Plinius parla dell'enorme statua di
Mercurius Dumiatis eretta sul monte Dumus (l'attuale
Puy-de-Dôme), alta più di trenta metri, che ritraeva
il dio in posizione accovacciata:
|
Ma ogni grandezza di
statue di questo genere
l'ha superata ai nostri
tempi Zēnódōros con il
Mercurius
fatto per la popolazione
degli Arverni in Gallia,
durante dieci anni di
lavoro e per un prezzo
di quaranta milioni di
sesterzi. |
Gaius Plinius Secundus:
Naturalis historia [XXXIV: 45] |
|
Mercurius e Rosmerta (✍
150) |
Bassorilievo rinvenuto a Reims nel 1912.
Musée Historique Saint-Remi, Reims (dép. Marne, Francia). |
MUSEO: [Mercurius >
Bassorilievo
di Reims]► |
Le agiografie c'informano dell'esistenza di altre statue, poi distrutte dai
santi: a Gent (Vita S. Bavonis), a Brantôme
(Vita S.
Frontonis), a Senlis (Vita S.
Reguli). Gregorius Turonensis riferisce di un grande
delubrum a
Brionde: un'altissima colonna che portava le
immagini di
Mercurius e Mars (De
Miraculis).
A dimostrazione di quanto detto
c'è la gran dovizia di reperti archeologici
dedicati a
Mercurius: sono state rinvenute in area celtica
più di 500 iscrizioni votive e 350 monumenti
figurati.
Da alcune di queste immagini si può individuare l'aspetto
originario del dio. È un personaggio vestito alla foggia
gallica, barbuto, talvolta dalla sua compagna indigena
Rosmerta. Gli animali che lo affiancano, il
gallo, il cinghiale, la capra e la tartaruga,
sono perlopiù ignoti all'iconografia classica, per quanto la
tartaruga sembri riecheggiare il mito
greco. Particolarmente degno di nota è
il simbolo gallico del serpente criocefalo, con testa e corna d'ariete, che
però non è esclusivo di
Mercurius.
In epoca gallo-romana, sotto
l'influenza sempre più decisa della cultura
classica, l'aspetto e gli attributi del Mercurius
romano sostituirono quelli del
Mercurius gallico, finché l'aspetto
originale del dio venne quasi del tutto cancellato
da quello del suo equivalente classico. Ciò
spiega le numerose figurazioni che ci presentano un
Mercurius
di stampo classico: un giovane nudo e
sbarbato, con caduceo, petaso, borsa per il denaro
e sandali alati. ①
|
IV - IL
MERCURIUS GALLICO. LE
TESTIMONIANZE ARCHEOLOGICHE: ASPETTI DIVERGENTI
Accessoriamente si presentano
immagini, che pur dedicate a Mercurius, si
distaccano dal carattere del dio. Un rilievo a
Strasbourg (dép. Bas-Rhin, Francia) mostra
Mercurius con un mazzuolo, tipico
attributo del dio Sucellos. Un altro a Limmesberg
(Hessen, Germania) lo mostra
con delle molle per il fuoco, attrezzo certo adatto
a un dio degli artigiani, ma che ci saremmo
aspettati di vedere impugnato piuttosto da
Vulcanus.
(De Vries 1961)
Assai curiosa una statuetta di
bronzo trovata a Tongeren (Belgio), in cui il dio, che tiene
nelle mani una borsa e un uccello, è
raffigurato con tre grossi falli, di cui il secondo sul naso e il terzo sulla
testa. Anche in altre località
(un'iscrizione a Poitiers, un bassorilievo a
Châlons-en-Champagne) il fallo è collegato a
Mercurius; ma in effetti il fallo, nell'antica
Grecia, era un attributo collegato ad
Herms.
(De Vries 1961)
Sembra di capire che le
divinità celtiche che finirono con l'essere
identificate con Mercurius, in base a qualche loro
attributo, furono più di una. Ciò
sembra confermato dal gran numero di epiteti
attribuiti a
Mercurius, molti dei quali celano sicuramente il
nome di altre e differenti divinità. |
V - GLI EPITETI DEL MERCURIUS
GALLICO
Dalle cinquecento iscrizioni
dedicate al
Mercurius gallico, si ricavano una cinquantina
circa di epiteti, i quali contribuiscono a
delineare (ma anche a confondere) la fisionomia di
questo dio.
Alcuni epiteti sono schiettamente
latini.
Peregrinorum e
Viator potrebbero essere facilmente attribuiti
anche al
Mercurius classico, protettore dei viandanti e dei
pellegrini.
Augustus,
Magnus e
Sanctissimus sembrano più adeguati per un dio
supremo, qual era del resto il
Mercurius gallico.
Defensor,
Finitimus e
Victor/Victorinus si adattano meglio a un dio guerriero,
magari visto nel ruolo di protettore della
tribù, di dio che vigila sul territorio tribale e sui
suoi confini.
Matutinus ha un senso ancora oscuro.
Comunque sia, non si tratta di nomi propri ma di attributi,
associabili ad eventuali funzioni e caratteristiche del dio.
Altri
epiteti in funzione di attributo sono invece di origine
celtica, come Adsmerius/Atemertus,
Artaius,
Iovantucarus,
Moccus,
Vellaunus,
Visucius, e questi sono in
genere più preziosi dei precedenti, in quanto contribuiscono
in parte a definire la fisionomia del
Mercurius gallico.
Ma ci
sono anche molti epiteti di
origine celtica, e di questi diversi sono
incomprensibili. Alcuni sono legati a una
località o a una tribù, o comunque si
riferiscono a culti locali:
Arvernus,
Canetonnessis,
Dumiatis,
Dubnocaratiacus,
Macniacus
e, forse,
Vellaunus. Un epiteto,
Cimbrianus, porta il dio
Mercurius a un ambito non-celtico, e precisamente
alla tribù germanica dei Cimbri.
Alcuni epiteti embrano nascondere delle identificazioni con Mercurius di
divinità locali, in particolare il
Cissonius
della tribù dei Treveri e il
Gebrinius degli Ubii. Entrambe le popolazioni,
di origine germanica, erano
profondamente celtizzate.
Per concludere, esaminando i
vari epiteti che l'epigrafia gallo-romana associa al nome di
Mercurius, possiamo
suddividere i nomina divina in diverse classi. Molti
epiteti sono semplici attributi latini o
gallici. Alcuni di questi erano degli attributi del
Mercurius
classico
trasferiti al mondo gallo-romano, altri erano probabilmente
degli attributi
originali del
Mercurius
celtico.
Alcuni attributi
gallici, di
origine topica o tribale, erano manifestazione di piccoli
culti locali e non ci dànno molte informazioni sul dio
gallico. Alcuni epiteti sono invece dei nomi propri di divinità celto-germaniche che vennero ugualmente identificate
con il
Mercurius
romano.
Rimangono fuori un gran numero di epiteti dall'etimologia
ancora oscura, di cui non si conosce il significato, ed è
difficile capire in quale campo farli ricadere o come
interpretarli. Non è sempre agevole capire a quale dei
suddetti gruppi vada collocato questo o quell'epiteto: ciò può
essere suggerito dal significato o dalla distribuzione
geografica.
Vediamo
adesso, brevemente, gli epiteti più importanti.
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Mercurius Abgatiacus e Rosmerta |
Immagine da Neumagen-Dhron (Germania) |
Abgatiacus
Epiteto di
Mercurius
attestato in un'unica iscrizione
(Finke [80]),
rinvenuta a Kleinich, non lontano da Noviomagus Trevirorum (Gallia Belgica) ⇒
Neumagen-Dhron (Rheinland-Pfalz, Germania), dunque
nel territorio dei Treveri.
Il nomen è interpretato attraverso il
celtico *ab «acqua» e il gallico gabi
«prendere, governare», quindi nel probabile senso di
«[colui che] governa le acque». Tutto questo fa di
Abgatiacus un dio
probabilmente legato alle proprietà curative che i
Celti associavano alle sorgenti e alle acque in
generale, quindi più appartenente alla sfera di
Apollo che
non di
Mercurius.
L'iscrizione è accompagnata da un'immagine in cui
compaiono
Mercurius e Rosmerta. Il dio è
raffigurato nudo; regge un galletto nella sinistra e
impugna, con la destra, il caduceo. Rosmerta,
abbigliata con una lunga veste, impugna uno scettro
nella sin istra e regge, nella destra, una ciotola
con la quale sembra attingere acqua da un secchio
deposto tra le due figure. Sul lato sinistro
dell'immagine compare un gallo, animale che i Celti
associavano tipicamente a
Mercurius.
Questo il testo dell'iscrizione:
In
honor(em) d(omus) d(ivinae)
Mercur(io) Abgatiac(o?)
Dosmertae [sic] aedem qui
filius |
Finke [80] |
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Adsmerius/Atesmerius
Adsmerius o
Atesmertus viene dalla radice
smer- «provvidenza»; in tal
caso significherebbe «colui che
provvede».
Mercurius «che provvede» si trova nella
forma
Adsmerius in una iscrizione
rinvenuta a Limonum (Aquitania) ⇒ Poitiers (dép. Vienne, Francia), nel territorio dei Pictones
(CIL [xiii: 1125]), ma è Atesmertus a Iatinum/Fixtinnum (Gallia Lugudunensis)
⇒ Meaux (dép. Seine-et-Marte, Francia),
presso i Senones (CIL [xiii: 3023]).
Si noti che, sempre a Poitiers, è stata rivenuta
un'iscrizione rivolta ad Augusto Adsmerio
(AE [1967: 301]).
La radice che
caratterizza l'epiteto è la medesima
che troviamo nel nome di
Rosmerta, la dea che in Gallia si
accompagna a
Mercurius. Dunque
Adsmerius e
Rosmerta
vengono a formare una coppia
divina ben assortita: «colui che
provvede» e «colei che
provvede». Tale simmetria etimologica
fa chiaramente capire che abbiamo di
fronte, con tutte le probabilità,
un epiteto originale del dio
gallico.
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Artaius
Artaius «ursino» è
aggettivo derivato dal sostantivo celtico
*artos «orso» (cfr. gaelico
art, gallese
arth, bretone
arzh), a sua volta dall'indoeuropeo
*H₂T- (cfr. sanscrito
ṛkṣa, greco
árktos, latino
ursus «orso»).
Un'altra etimologia,
meno probabile, farebbe invece derivare
l'epiteto dal latino
ars «arte»
(Pisani 1949); in tal caso
il nome del dio verrebbe a significare
«l'artefice», con chiaro
riferimento alle qualità
artigianali del
Mercurius gallico.
L'epiteto
Artaius è attestato in tre
iscrizioni rinvenute a Vienne, a Grenoble
e a Beucroissant (dép. Isère)
(CIL [xii: 2199]), dunque nel
territorio degli Allobroges. Si è
pensato innanzitutto a un culto celtico
dell'orso, ma nessuna notizia dimostra che
tra i Celti fosse mai esistita tale
forma di zoolatria. I tentativi di
interpretazione si sono sempre scontrati
con la difficoltà di stabilire che
cosa simboleggiasse per i Celti l'orso. Miranda Jane
Green mette solo insieme le
interpretazioni più evidenti,
quando dice che
Mercurius Artaius sarebbe stato venerato come dio
della caccia, difensore dei cacciatori
contro gli orsi, e allo stesso tempo
protettore degli stessi orsi
(Green 1992). Secondo
altri,
Mercurius Artaius era un epiteto del dio
concepito come «re supremo»,
essendo l'orso uno dei simboli della casta
guerriera da cui veniva il sovrano
(Le Roux 1970).
Non si può
tacere di una dea degli Helvetii chiamata
Artio, raffigurata in compagnia di un
orso. E sono anche attestati alcuni nomi
teriofori come Articnos, Artomagus, Artorix. Anche il nome di re
Arthur in ultima analisi vuol dire
«orso».
Da diversa radice,
è attestato in Britannia anche un
dio-orso
Matunus (da
matu «orso»), da cui
un'altra serie di nomi di persona
teriofori: Matunus, Matugenus e Teutomatus. Non ci spingiamo fino a
dichiarare che
Matunus
sia stato il nome gallico di
Mercurius Artaius, ma è
comunque un'indicazione in più che,
tra i Celti, l'orso, se non un oggetto di
culto, aveva comunque una forte valenza
simbolica.
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Arvernus/Arvernorix
Due epiteti del
Mercurius gallico sembrano associare il
nome del dio a quello della tribù
degli Arverni. Sono:
Arvernus «arverniate» e Arvernorix «re degli Arverni»,
epiteti che vengono da molte iscrizioni
rivenute nella regione del Reno, e quindi
assai lontani dal territorio degli
Arverni, in cui non è stata trovata
alcuna iscrizione con tale epiteto. Da
tali iscrizioni, tutte latine, risultano
nomi romanici o romanizzati
(CIL [xiii: 1522 (?), 6603,
7845, 8164, 8235, 8579, 8580, 8709]).
Che gli Arverni fossero
particolarmente devoti a
Mercurius è altresì
testimoniato dal fatto che nella loro
terra si trovava il monte Dumus [il
Puy-de-Dôme], sul quale, secondo Plinius, si trovava un tempio dedicato
al dio, con un'enorme statua di
Mercurius forgiata dal bronzista e toreuta greco
Zēnódōros, il maggior interprete del
barocco neroniano in scultura. Zēnódōros aveva
lavorato dieci anni a questa statua ed era stato
pagato la bellezza di quaranta milioni di sesterzi
(Naturalis historia [XXXIV: 45]).
Il
Mercurius di Zēnódōros è andato
perduto, ma di esso ci rimangono delle
copie provenienti dall'area gallica: il
dio era ritratto in posizione
accovacciata, con gli attributi classici
del petaso e della borsa con il denaro; a
terra erano raffigurati un gallo, una capra e una
tartaruga. L'immagine, apprestata per
una visione di tre quarti, doveva
suggerire un effetto di
instabilità, per il quale Zēnódōros si era probabilmente rifatto
all'Herms seduto di Lýsippos. Questa
statua spiega gli epiteti
rivolti a un
Mercurius Dumiatis o
Dumius.
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Augustus
«Augusto»,
epiteto latino, da riferirsi probabilmente
a un dio supremo, quale sembra fosse il
Mercurius gallico. Sappiamo inoltre che
nella città di Lugudunum [Lyon] il culto di
Mercurius era
associato a quello dell'imperatore
Augustus. |
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Caneton(n)essis
Presente in una serie strettamente correlata di
iscrizioni rinvenute a
Berthouville (dép. Eure, Francia), sembra essere un epiteto topico legato forse
al vicino villaggio di Canetonnum (dép. Eure), nel territorio
degli Aulerci Eburovices.
(CIL [xiii: 13183, 19-23])
Secondo la macchinosa
etimologia di Vittore Pisani, il nome
significherebbe qualcosa come
«legatore di canti» (come il
greco
rhapsōdós), essendo la prima parte legata
al gaelico
canim «io canto» (cfr.
latino
cano), la seconda parte al gaelico
nascim «io lego».
(Pisani 1949)
|
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Channo
Almeno una iscrizione epigrafica
(CIL [xiii: 7781]),
rinvenuta a
Rohr (dép. Bas-Rhin, Francia), dedicata a un «MERCVRI[O]CHANNINI» (dativo).
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Cimbrianus / Cimbrius
Con questi epiteti
Mercurius
era associato ai Cimbri, genti di origine germanica,
sebbene celtizzate. Anche i Germani, afferma
Tacitus in
Germania
[9], vedevano in
Mercurius un dio supremo: si tratta del
dio chiamato antico germanico
*Wōđanaz e più tardi,
Wōtan/Óðinn, e che ha a sua
volta numerosi punti in comune con il
Mercurius gallico.
Attestato in iscrizioni dedicatorie trovate a Meinz,
Miltenberg ed Heidelberg (Germania)
CIL [xiii: 6402 6604 6605 6742]
e
Finke [182].
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Cimiacinus
Un'unica iscrizione epigrafica
(CIL [xiii: 5773]), datata al consolato di
Gentianus e Bassus (289), rinvenuta a Ludenhausen, presso Epfach (Bayern,
Germania), nel territorio dei Vindelici. Si ritiene possa trattarsi di una
divinità locale assimilata a
Mercurius.
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Mercurius Cissonius |
Bassorilievo proveniente da Rheinzabern (presso Karlsruhe,
Baden-Württemberg, Germania). |
[Museo]> |
Mercurius Cissonius
Per
quanto il termine
Cissonius sia ancora oscuro, questo
epiteto di
Mercurius,
attestato in un gran numero di iscrizioni
(CIL [xiii: 3659 4564 5373
6085 4500 3020 6345 7359 8237 11476
11607]), è incentrato nella
Germania superiore, soprattutto nella zona
di Trier e Colonia, nell'antico territorio
dei Treveri. ①
Vista la concentrazione
delle iscrizioni nella zona, gli studiosi
propendono nel fare di
Mercurius Cissonius il destinatario locale di un
culto tribale dei Treveri. E poiché
un dio
Cissonius (senza alcun riferimento
al nome di
Mercurius) è attestato in una dedica
Creutzwald-la-Croix (dép. Moselle, Francia)
(CIL [xiii: 4500])
e in una a
Hohenburg (Bayern, Germania)
(CIL [xiii: 6119]), si pensa che
Cissonius sia stato un dio
originariamente indipendente in seguito
identificato col
Mercurius romano. Nelle figurazioni, come
in quella mostrata a lato
(CIL [xiii: 6085]),
il dio è rappresentato nel suo aspetto greco-romano,
nudo con petaso e caduceo. Sotto la sua mano destra
si trova l'ariete che il dedicatario dell'immagine
gli ha offerto in sacrificio.
Almeno una iscrizione dedicatoria
rivolta a
Mercurius Cissonius è stata rinvenute anche in
una regione lontanissima dal territorio
dei Treveri, e precisamente a
Saintes (dép. Charente-Maritime), in
Aquitania, dunque nel territorio dei Santoni
(CIL [xiii: 6119]). Non è ben chiaro se il
Mercurius Cissonius aquitano sia da identificare
con quello renano, o se non si tratti
piuttosto di un epiteto generalizzato.
Non sarà facile chiarire questo
punto finché i filologi non
chiariranno il significato del teonimo. ① È indicativo il fatto, tuttavia,
che è attestata anche una dea
Cissonia.
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Clavariates
Con questo epiteto,
Mercurius era adorato dalle tribù
dei Lingones, dei Tricasses e dei
Mediomatrici. Aveva un luogo di culto sul
monte Le Donon, nei Vosgi (dép. Bas-Rhin).
(CIL [xiii:
3020; 4568]).
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Colualis
Epiteto celtiberico di
Mercurius attestato in almeno una iscrizione
rinvenuta a Salvatierra de Santiago (Estremadura, Spagna)
(AE [1904: 689]).
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Cosumias
Attestato in una iscrizione rinvenuta a
Metz (dép. Moselle, Francia),
dedicata alle Deae Matres Senonum tres
e al dominus
Mercurius Cosumias.
(CIL [xiii: 4304]).
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Cultor
Epiteto attestato almeno in tre iscrizioni
rinvenute in luoghi piuttosto lontani tra loro: da
Titelberg (Lussemburgo), nel territorio dei Treveri
(CIL [xiii: 4037]),
a
Böckingen (Baden-Württemberg, Germania)
(CIL [xiii: 6476]),
e a
Ziegetsdorf (Bayern, Germania), in Rhaetia
(Wagner [103]).
|
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Defensor
«Difensore»,
epiteto latino. Attesterebbe forse un
Mercurius, difensore delle tribù
galliche.
(CIL [xiii: 11697]).
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Dubnocaratiacus
Il nomen
Dubnocaratiacus è attestato in quattro ex
voto rinvenuti a
Champoulet, piccolo villaggio vicino
a Saint-Fargeau (dép. Loiret, Francia), nel
territorio dei Carnutes (Gallia Lugudunensis).
In due di essi il nomen è epiteto di
Mercurius
(AE [1980: 641-642]),
in uno di Rosmerta
(AE [1980: 641-643])
e nell'ultimo di
Apollo
(AE [1980: 644]).
La prima e la terza iscrizione sono incise sulla
base di due splendide statuette di bronzo che
raffigurano, rispettivamente,
Mercurius e Rosmerta.
Il nomen
Dubnocaratiacus significa qualcosa come «caro
alle tenebre», dalla parola *dubno-
«oscurità, tenebre, buio» o anche «altro mondo» e
*cara- «caro». Il fatto tuttavia che in uno
stesso sito ben tre tre divinità, di cui una
femminile, siano legate a questo epiteto, suggerisce
che non si tratti di un nome proprio, ma di un
epiteto topico, legato forse al nome della località
dove i tre dèi venivano venerati. Così
Mercurius Dubnocaratiacus
non sarebbe un «Mercurius caro alle tenebre», ma più
semplicemente un «Mercurius di Dubnocaratiacum».
Una delle due iscrizioni a
Mercurius è opera di una certa Messa, figlia di
Marullus; il dedicatario dell'ex voto a Rosmerta
appare invece essere Marossus, figlio di Marullus e
quindi fratello di Messa. Sebbene l'iscrizione sia
in latino, tutti e tre i nomi sono gallici.
Aug(usto) sac(rum) Merc(urio) Dubnocaratiaco
Messa Marulli v(otum) s(olvit) l(ibens) m(erito) |
Aug(usto) sac{c}r(um) [sic] d(e)ae Rosmer
t(a)e Dubno- caratiaci Maross(us) Marulli filius v(otum) s(olvit) l(ibens) m(erito) d(e) s(uo) d(edit) |
AE [1980: 642] |
AE [1980: 643] |
Si è ipotizzato che Dubnocaratiacum fosse
stata una proprietà della famiglia di
Marullus, e che qui sorgesse un tempio
dedicato a
Mercurius, Rosmerta
e Apollo.
|
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Dumius/Dumiatis
Epiteto topico,
relativo al culto di
Mercurius sul monte Dumus [il
Puy-de-Dôm], sul quale, secondo Plinius, era
stata eretta un'enorme statua al dio
(Naturalis
historia [XXXIV: 45]).
(CIL [xiii: 1523]).
|
|
Finitimus
«Confinante»;
da intendere nel senso di «Protettore
dei confini». Epiteto latino, il cui
carattere sembra più adatto a un
Mars che a un
Mercurius.
|
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Frausius
In una iscrizione da
Noviomagus Batavorum (⇒ Alem, Paesi Bassi), territorio dei Batavii.
(CIL [xiii: 8726])
|
|
Gebrinius
Il
nome di
Mercurius Gebrinius è attestato in diverse
iscrizioni dedicatorie, alcune delle quali incise su
altari figurati ritrovati a Castra Bonnensia (od. Bonn,
Germania), e quendi nel territorio della tribù germanica degli
Ubii, risalenti
al I e II sec.
(Nesselhauf: [186
187 188 189 190 191 192 193 194 195]). ①
Nelle immagini, il dio è ritratto
secondo l'iconografia classica: nudo con
un mantello sulle spalle e il caduceo
nella mano sinistra. Più
tipicamente celtico il grosso ariete che
affianca Mercurius, il
quale lo accarezza con la mano destra, probabilmente
a indicare che il sacrificio gli è stato gradito.
Secondo una possibile etimologia, il nome di
Gebrinius andrebbe appunto
connesso al gallico gabros «ariete», a
dispetto della diversa vocale radicale.
② Si ritiene che
Gebrinius sia stata una divinità
degli Ubii identificata in epoca romana
con
Mercurius
(Horn 1987 |
Green 1995).
|
|
Iovantucarus
Il nomen
Iovantucarus,
interpretato «protettore della gioventù», è
attestato da diverse iscrizioni provenienti dal
territorio dei Treveri. In una sola, rinvenuta a Tholey (Saarland,
Germania), il nomen
Iovantucarus è epiteto di
Mercurius
(CIL [xiii: 4256].
Cinque ex voto composti per l'avvenuta guarigione dei figli dei dedicatari
provengono da un tempio dedicato a
Mars
Lenus, a Trier (Rheinland-Pfalz, Germania):
in due di esse il nomen
Iovantucarus
viene identificato con
Mars
(Finke [16, 17]),
altre due sono mutile ma si presume
che anche qui l'epiteto sia riferito a
Mars
(Finke [15, 19]),
l'ultima, anch'essa mutila, è apparentemente rivolta a un Deo Iovantucaro
(dativo), questa volta senza alcuna
interpraetatio
(Finke [18]). ①
A giudicare da quel che sappiamo del
carattere di
Mars e
Mercurius, un epiteto come
Iovantucarus poteva essere
associato tanto all'uno quanto all'altro dio, in quanto entrambi potevano essere assunti a
salvaguardia della gioventù. Come
fa notare Jan De Vries, nel caso di
Mercurius si metteva l'accento sulla
maturità sessuale, nel caso
di Mars sul carattere guerriero
(De Vries 1961). L'ipotesi di De Vries
difetta però della mancanza di
informazioni più precise. Non
sappiamo perché
Mercurius dovesse essere considerato un
protettore della gioventù: non
c'è nulla che ci faccia preferire
l'ipotesi della maturità sessuale
alle altre. In quanto a
Mars
Lenus, non era un dio della
guerra, ma un dio guaritore, preposto a quanto pare
soprattutto alla salute e alla guarigione dei
bambini.
La doppia attribuzione
dell'epiteto lo rende abbastanza
problematico: difficile dire se l'epiteto Iovantucarus
appartenesse in origine a
Mercurius o a
Mars, sebbene
l'identificazione con
Mars
Lenus sembra quella più
fondata. È anche possibile che l'epiteto
appartenesse a una divinità celtica a sé stante, associata
indipendentemente, e per ragioni diverse,
al
Mercurius o al
Mars romani.
|
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Leud[ici?]anus
Questo epiteto, mutilo, di
Mercurius dipende da
un'unica iscrizione, rinvenuta a Weisweiler presso
Aachen (Nordrhein-Westfale, Germania).
...†] MERCVRIO
LEVD
...†]ANO 〈
AMRAT
...†]A
IMPENDIO
...†]VI
PROCULI |
CIL [xiii: 7859] |
La lacuna di tre lettere, sul lato sinistro
dell'epigrafe, rende difficile ricostruire il
nomen originale, che potrebbe essere stato *Leudicianus,
*Leudiacanus o *Leudisianus. Si tratta
probabilmente di un epiteto topico legato alla
vicina località di Leudicus (⇒ Liège/Luik, Belgio).
|
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Magnus
«Grande».
Epiteto latino. |
|
Magniocus
Epiteto indicante un
culto locale del dio nella cittadina di
Magniacum (l'odierna località di
Magnieu, dép. Ain, Francia).
|
|
Matutinus
«Mattutino».
Epiteto latino, dal senso non ben
compreso, attestato in Aquitania, Germania Superior e
Rhaetia.
(CIL [xiii: 1523, 5234c, 5235, 6092], AE [1992: 1300])
|
|
Merc[ator?]
Due epigrafi votive, l'una da Metz
(CIL [xiii: 4308])
e l'altra da Hultehouse
(CIL [xiii: 11644a]) (dép. Moselle,
Francia), sono dedicate a un «MERCVRIO
MERC[†...».
Si ritiene che la parola mutila sia Mercator
o Mercalis, dunque un epiteto legato al
latino
mercari «commerciare». Tale epiteto, se
confermato, viene a essere posto sulla stessa linea
di altri nomina del
Mercurius gallico, quali
Nundinator o
Negotiator, che lo
qualificano quale dio del commercio, delle
transazioni finanziare, dei guadagni.
|
|
Moccus
|
Moccus (✍ I sec.
a.C. - I sec. d.C.) |
Cinghiale in bronzo, un pezzo del «tesoro»
rinvenuto nel 1861 a Neuvy-en-Sullias (dép. Loiret, Francia). |
In gallico
moccos vuol dire «porco»
(irlandese
muc, gallese
moch, bretone
moc'h). Si noti che si tratta di un
sostantivo e non di un aggettivo
derivato.
Mercurius Moccus si trova in
una sola dedica ad Andematunum (Gallia Belgica)
⇒ Langres (dép. Haute-Marne, Francia), nel territorio dei Lingones:
In h(onorem) d(omus) d(ivinae)
deo Mercur(io) Mocco
L(ucius) Mascl(ius?) Masculus et
Sedatia Blandula
mater ex voto |
CIL [xiii: 5676] |
L'associazione di un dio a un
maiale non deve stupire: presso i Celti il
maiale era considerato sacro, anzi,
l'animale druidico per eccellenza, simbolo
di sapienza in quanto si ciba di ghiande e
nocciole, frutti dei tradizionali alberi
della conoscenza. Nella posteriore
mitologia irlandese e gallese, inoltre, il
maiale è spesso il travestimento
di un eroe. Si noti che
anche la dea
Arduina era raffigurata accanto a un
cinghiale.
Bisogna tuttavia menzionare anche la problematica
iscrizione
«TİNCO / MOCCO» (con puntino sulla
«i») che compare su una roccia lungo la via romana
per il passo del Sempione, presso Crevola d'Ossola
(Piemonte, Italia), di cui sono ancora da accertare significato e
datazione
(CIL [v: 6650]). Si
ritiene si tratti dello scioglimento di un voto
legato verosimilmente alle difficoltà di un percorso
compiuto attraverso un tratto particolarmente
impervio dell'arco alpino: ma se
Moccus è lo stesso epiteto presente
nell'iscrizione di Andematunum, come interpretare il
nomen Tincus? Si è parlato, nonostante
l'enorme distanza geografica, del
Mars Thincsus attestato
nell'iscrizione di Vercovicium (Britannia) ⇒
Housesteads (Regno Unito) (AE
[2008, +15] = RIB-01 [1593), ma si è anche
indicata la radice nel nome di Tincomarus, sovrano
della tribù britannica degli Atrebates (cfr. latino
tinca e gallese tens, «tinca»). C'è
anche la possibilità che il nome inciso a Crevola d'Ossola
appartenga all'autore dell'iscrizione e non a una
divinità.
|
|
Nundinator
«Commerciante». Epiteto attestato in una iscrizione a Wiesbaden (Hessen,
Germania)
(CIL [xiii: 7569]).
|
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Peregrinorum
«Dei
pellegrini». Epiteto latino,
ricollegabile alla figura di
Mercurius quale dio dei viandanti e dei
pellegrini. Una iscrizione proviene da Treverorum (Gallia Belgica)
⇒
Trier (Rheinland-Pfalz, Germania), cioè nel
territorio dei Treveri.
(AE [1928, 181])
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Sanctissimus
«Santissimo»,
epiteto latino. |
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Sam[†]
Un'iscrizione proveniente da Altenstadt (Assia,
Germania) è dedicata a un «DEO M / SAM»
(CIL [xiii: 6077]).
Se «M» indica
Mercurius, come spesso accade nell'epigrafia
gallo-romana, ci si chiede quale epiteto
sia abbreviato nella sigla Sam.
In un'iscrizione proveniente da
Speyer (Rheinland-Pfalz,
Germania) si
legge «...†]CVRIO SAMVS»
(CIL [xiii: 11692]), ma Samus è probabilmente il
nome del dedicatario dell'ex voto, non l'epiteto
del dio.
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Seno[†]
Che un culto di
Mercurius fosse stato assai sentito dalla
tribù dei Senones, lo si è voluto dedurre (ma
senza alcuna certezza) da un epiteto, purtroppo
mutilo, proveniente da una sola iscrizione trovata a
Pforzheim (Baden-Württemberg,
Germania), nel territorio
dei Nemetes, dove si legge soltanto «MERC
/ SENO [†...»
(CIL [xiii: 6335]).
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Solitumarus
Epiteto di
Mercurius attestato in un'iscrizione dedicata
all'Aug(usto) Deo Mercurio Solitumaro
(dativo) e proveniente
da Châteaubleau (Seine-et-Marne,
Francia), territorio della Gallia Lugudunensis
(AE [1998: 948]).
Forse è riferibile a questo nomen anche
l'iscrizione da
Tabernae (Germania Superior) ⇒
Rheinzabern (Rheinland-Pfalz, Germania), dedicata a
Iuppiter
Optimus Maximus, ad
Apollo e a
un «VISV[†...
/ SOLIT[†...» che potrebbe essere un
Visucius
Solitumarus.
Il nomen Solitumarus
viene di solito interpretato dal gallico *sollo- «tutto»,
*tu- «a» e *māro- «grande», quindi nel
possibile senso di «[colui che è] il più grande». È
probabilmente da mettere in correlazione con l'antroponimo
Solimarus, ben diffuso nell'epigrafia gallo-romana.
È anche attestata una dea
Solimara, presente in un'iscrizione
proveniente da Avaricum
(Aquitania) ⇒ Bourges (dép. Cher,
Francia)
(CIL [xiii: 1195]).
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Susurrio
Attributo attestato in una iscrizione dedicata a
Mercurio Susurrioni (dativo) proveniente da
Aquae Granni (Germania Inferior) ⇒ Aachen (Nordrhein-Westfalen, Germania).
(CIL [xiii: 12005])
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Toutenus
Epiteto formato dal gallico *teutā- «popolo,
tribù» ed *-en «relativo, appartenente»,
dunque nel senso di «[colui che] appartiene al
popolo».
Questo epiteto di
Mercurius è inferito da due iscrizioni, entrambi
mutile. La prima, proveniente da Bingen (Rheinland-Pfalz, Germania), è
dedicata a «MERC[†...
/ TOV[†...» (AE [1927: 70]).
Nella seconda, pressoché incomprensibile, leggiamo:
Se la seconda riga andasse scissa in «IO TOV[†]E», e
«IO» venisse inteso come
parte finale del nomen Mercur- presente nella
prima riga, allora l'epiteto potrebbe essere lo
stesso dell'iscrizione di Bingen. Il nome
viene interpretato nella lezione
Toutenus sia sul
modello di un'iscrizione a un Deo Touteno Avento
rinvenuta a Speyer (Rheinland-Pfalz,
Germania), sia sulla scolta delle numerose testimonianze epigrafiche provenienti
dalla Pannonia (soprattutto da Bölcske,
Ungheria) dedicate a IOM
Teutano (Iuppiter Optimus
Maximus Teutanus).
Un'altra possibilità è che il nomen nelle iscrizioni
AE [1927: 70]
e
CIL [xiii: 6122]
sia
Toutatis, la divinità gallica
citata da Lucanus
(Pharsalia [])
e interpretata nei
Commenta Bernensia
con
Mercurius e Mars.
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Vassocales
Forse composto da
vasso «giovane» e
calet «duro», con significato poco
chiaro, quest'epiteto di
Mercurius, proveniente da
Bitburg (Rheinland-Pfalz, Germania), potrebbe essere forse associato a
un'informazione di Gregorius Turonensis, che ci parla
di un santuario presso Clermont chiamato, in lingua
gallica,
Vasso-Galate
(Historiarum [I:
32]).
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Vellaunus
Il nomen
Vellaunus è stato variamente interpretato. È
stato letto come il «valente»
(De Vries? 1961), il «buono»
(Billy 1993), il «capo,
comandante», da un *elna-mon-
(Lambert 1994), quest'ultimo accettato come
definitivo nel dizionario gallico di Xavier
Delamarre (Delamarre 2001).
L'epiteto dipende da due iscrizioni, l'una in
Gallia Narbonensis, l'altra in Britannia.
La prima iscrizione, da Hieres-sur-Amby (dép.
Isère, Francia), è dedicata a un Mercurio
Victori Macniaco Vellauno (dativo)
(CIL [xiii: 2373]);
Mercurius vi è evidentemente invocato come dio
guerriero, in grado di portare alla vittoria in
battaglia. La seconda iscrizione, proveniente da
Venta Silurum ⇒ Caer Went (Galles, Regno Unito),
recita:
[Deo]
Marti Leno
[s]ive Ocelo Vellaun(o) et num(ini)
Aug(usti)
M(arcus) Nonius Romanus ob
immunitatem collegni [sic]
d(onum) d(e) s(uo) d(edit)
Glabrione et H[om]ulo co(n)s(ulibus)
d(iem) X K(alendas) Sept(embres) |
AE [1905: 168] |
«Al dio Mars Lenus, o
Ocelus
Vellaunus, e al nume dell'imperatore, Marcus
Nonius Romanus, per il privilegio garantitogli dal
collegio [dei magistrati], questa [epigrafe] dedicò
a sue spese sotto il consolato di Glabrio e Homulus
[152], dieci giorni prima delle calende di
settembre».
Il fatto che il nomen
Vellaunus sia attribuito sia a
Mercurius che a
Mars può dipendere da tre
possibilità.
-
Vellaunus,
il «valente», può essere stato un semplice
aggettivo attribuibile a qualsiasi divinità
guerriera.
- Questo nomen potrebbe indicare un culto di
Mercurius da parte della tribù dei
Vellavi/Vellauni. Ma di nuovo, vellaunus,
«valente», potrebbe essere un aggettivo generico, e il nome
della tribù potrebbe essere interpretato appunto
come i «valenti» (senza contare che troviamo
l'epiteto anche in Britannia, al di fuori dell'area controllata dai Vellauni).
- Infine,
Vellaunus potrebbe essere una divinità
a carattere guerriero, identificata con
Mercurius in Gallia e con
Mars Lenus in
Britannia. Il nome Ocelus
Vellaunus, che nell'iscrizione britannica
viene utilizzato come sinonimo di
Mars Lenus,
potrebbe essere stato il nome di questa
divinità.
Etimologicamente, il nome
Vellaunus è legato al nome della dea
Icovellauna, nonché, in
Britannia, al nome di re Caswallawn fap Beli e
a quello della tribù dei Catuvellauni (forse «valenti nella
battaglia», da cat- «battaglia»).
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Viator
«Viandante».
Epiteto latino, ricollegabile alla figura
di
Mercurius quale dio dei viandanti e dei
pellegrini. Da mettere in correlazione con
l'epiteto
Végtamr «Viandante» relativo
a
Óðinn.
CIL [xii: 1084 5849] |
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Victor
«Vincitore».
Epiteto latino, dal carattere più
adatto a un dio della guerra che a un
Mercurius.
CIL [xiii: 6267].
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Visucius
Nomen conosciuto da dieci iscrizioni, di cui
otto in ambito renano: sette dalla Germania
Superior
(CIL [xiii: 3660 4478 5991
6118 6347 6384 6404]) e uno dalla Gallia Belgica
(CIL [xiii: 4257]).
Degli altri due, uno proviene da Burdigala (Aquitania)
⇒ Bordeaux (dép Gironde, Francia)
(CIL [xiii: 577]) e
l'ultimo addirittura dall'Hispania Citerior
(AE [1976: 327]).
Nella maggior parte delle iscrizioni,
Visucius viene identificato con
Mercurius; tre delle iscrizioni germaniche sono
invece dedicata al solo
Visucius
(CIL [xiii:
4257 5991 6404]); in particolare, è assai
interessante l'iscrizione di
Rheinzabern (Rheinland-Pfalz, Germania), dove il dio viene invocato insieme a
Iuppiter
Optimus Maximus e
Apollo:
L'espressione mutila «SOLIT[†...»
potrebbe indicare un nomen sul tipo di
Visucio Solitumaro, dove al dio
Visucius
viene associato l'epiteto
Solitumarus,
epiteto di
Mercurius in
AE [1998: 948] (a
meno che Selitumarus non fosse il dedicatario
dell'iscrizione: la lacuna non permette di arrivare
a una conclusione).
Quest'epiteto, il cui significato è probabilmente
«sapiente»,
dalla radice verbale
visu- «sapere», può
essere messo in parallelo con il norreno
Fjǫlnir «assai sapiente», che
nelle due
Edda è epiteto del
Mercurius germanico,
Óðinn.
La vicinanza alla frontiera renana suggerisce una
possibile contaminazione con la mitologia germanica.
L'iscrizione spagnola, da Agoncillo, riporta un
dativo problematico «Visuceu»
(AE [1976: 327]).
L'iscrizione da Grinario (Germania Superior) ⇒
Köngen (Baden-Württemberg, Germania)
è dedicata a
Mercurius
Visucius e
a sancta Visucia,
creando così una coppia divina
(CIL [xiii: 6384]).
La dea Visucia
è anche presente in una iscrizione da Trier
(CIL [xiii: 3665]).
Pettazzoni, dopo aver
identificato
Mercurius nelle figurazioni del «dio tricefalo», ha
spiegato tale attributo come un carattere
solare, e poiché l'occhio del sole
è considerato onniveggente, ha
concluso che il
Mercurius gallico fosse un dio
onnisciente; l'epiteto
Visucius sarebbe appunto una prova di
tale onniscienza
(Pettazzoni
1955). Come
giustamente nota De Vries, l'onniscienza
non deve essere per forza ricondotta a un
carattere solare:
Wotan/Óðinn, un altro dio assai vicino a
Mercurius, era considerato onnisciente,
ma non era certamente un dio solare.
(De Vries 1961)
|
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VI - IL MERCURIUS GALLICO:
ALLA RICERCA DI UN'IDENTIFICAZIONE
A dispetto
dell'immensa quantità di epiteti riferiti al
Mercurius gallico, il nome del dio non è
stato direttamente tramandato. L'unica notizia che
ci arriva in tal senso dal mondo classico è
riportata dai
Commenta Bernensia.
Il punto di partenza è un passo della
Pharsalia di Marcus
Annaeus Lucanus in cui si trattano
–
indubbiamente con qualche esagerazione poetica – gli orribili
sacrifici che i Galli tributavano ai loro dèi:
...et quibus immitis placatur sanguine
diro
Teutates horrenseque feris
altaribus
Esus et Taranis Schythicae non
mitior ara Dianae. |
...e quelli che spietatamente placano con sangue
Toutatis, e il terribile
Esus dai crudeli santuari,
e l'ara di
Taranis non più mite di quella
di Diana scitica. |
Marcus Annaeus Lucanus:
Pharsalia [I: -] |
Commentando
questo brano, l'ignoto scoliaste equipara
Esus
e
Teutatis
a
Mars
e
Mercurius,
operando con un fitto gioco di
identificazioni:
Mercurius lingua Gallorum Teutates dicitur qui
humano apud illos sanguine colebatur. Teutates Mercurius sec apud Gallos
placatur: in plenum semicupium homo in caput demittitur ut ibi suffocetur. Hesus
Mars sic placatur: Homo in arbore suspenditur usque donec per curorem membra
digesserit. [...]. Item aliter exinde in aliis inuenimus. Teutates mars
«sanguine diro placatur», siue quod proelia numinis eius insticntu
administrantur, siue quod Galli antea soliti ut aliis deis huic quoque homines
immolare. Hesum Mercurium credunt, si quidem a mercatoribus colitur... |
Nella lingua dei Galli,
Mercurius è
chiamato
Teutates e presso di loro
veniva onorato con sangue umano.
Tra i Galli,
Teutates
Mercurius viene placato in
questo modo: un uomo viene messo
con la testa in una tinozza piena e
qui muore soffocato.
Esus
Mars viene placato in questo
modo: un uomo è appeso a un albero
a morire dissanguato.
[...]. Presso altri autori si hanno
spiegazioni.
Teutates
Mars «spietatamente viene
placato con sangue», o perché le
guerre sono gestite a volontà da
quel dio, o perché i Galli un
tempo, come agli altri dèi, così
anche a questo erano soliti
immolare vittime umane. Credono che
Esus sia
Mercurius, dal momento che è
onorato dai mercanti... |
M. Annaei Lucani Commenta Bernensia |
Il testo
parla dunque di un
Esus Mars e di un
Esus Mercurius, di un
Teutatis Mars e di un
Teutatis Mercurius. Questo prova che già nell'antichità c'era
una gran confusione in materia di identificazioni!
Da qui è stato facile,
per gli studiosi, identificare il
Mercurius gallico ora con
Teutatis e
ora con
Esus
(Reinach
1912). Peccato che sappiamo assai poco di
entrambe le divinità per stabilire pacificamente tali identificazioni.
Effettivamente entrambi i nomi potrebbero essere
tanto il nome originale del
Mercurius gallico tanto quello del
Mars gallico. Difficile dire chi siano gli
originari destinatari dei vari epiteti.
Gli studiosi hanno anche
avanzato altre congetture. Già Dom Martin, agli albori degli
studi celtici, volle identificare il
Mercurius gallico nel dio
Ogmios di cui parla
Loukianós Samosateús
(Martin 1727), seguito in questo da molti
altri autori fino ai giorni nostri
(Raude 1937). Benoît ha
accennato a un carattere ctonio di
Mercurius
(Benoît
1950). Pettazzoni ha voluto vedere
Mercurius nelle anonime figurazioni del
«dio tricefalo», facendone un dio
solare (Pettazzoni
1942). Lambrechts ha decisamente esagerato
con le identificazioni, visto che ha finito col vedere
Mercurius nelle
figure del «dio dai palchi cervini», nel «dio accovacciato», nel
serpente criocefalo e nel «dio tricefalo»
(Lambrechts
1942)!
Tutte queste teorie hanno le
loro ragioni, e, tutte, a un esame più
dettagliato, mostrano la loro fragilità. Il
fatto è che le notizie in nostro possesso
sono talmente vaghe e imprecise che nulla
può essere dimostrato. |
VII - L'IPOTETICO DIO
*LUGOS
Abbiamo visto che, nel tentativo
di identificare il
Mercurius gallico con questo o con quel dio, gli
studiosi hanno esaurito di fatto la lista delle possibilità, ma
senza arrivare a una conclusione convincente. Una
strada diversa è stata presa da Amable Audin e
Paul-Louis Couchaud, i quali hanno suggerito di cercare il
nome originale del
Mercurius gallico nella toponomastica francese
(Audin ~ Couchoud 1955).
Che località dedicate a
Mercurius fossero diffuse nell'area celtica,
è testimoniato dai numerosi toponimi
derivati dal nome romano del dio: in Francia
(Marcour, Marcouray, Mercœur, Mercoire, Le
Mercou, Mercurey e Mont-Mercure), sul Reno
(Mercuriusberg), in Lussemburgo (Macouray) e in
Italia settentrionale (Mercurago).
È logico presumere,
allora, data la grande importanza del
Mercurius gallico, di poter trovare qualche
località che abbia conservato il nome
originale del dio.
Audin e Couchaud hanno attirato
l'attenzione degli studiosi sulla città di Lyon, già sacra a
Mercurius, che in gallico era chiamata
Lugudunum. Il
nome di questa località era stato
interpretato «fortezza splendente»
(Quentel 1954), dalla radice
*LEUK
«luce» (cfr. greco
leukós «luminosità, biancore»
e latino
lux
«luce»). I due studiosi si sono chiesti se il nome del
Mercurius gallico non
fosse qualcosa come
*Lugos, il «radioso». Il nome
Lugudunum
sarebbe dunque da interpretare come «fortezza
del radioso». Secondo un'altra etimologia il
nome sarebbe invece spiegabile come «fortezza
circondata da paludi»
(Whatmough 1955) ma è improbabile
che una denominazione di tale significato possa spiegare
quindici diverse località.
In seguito sono state indicate una
quindicina di località, sparse in tutta
l'Europa occidentale, il cui nome sarebbe parimenti
derivato da un *Lugos: in Francia (Laon e
Saint-Lizier), in
Polonia (Liegnica), in Olanda (Leiden). Anche il nome
di Carlisle, nel Regno Unito, deriverebbe da un
britannico Luguvalos
«forte come il radioso», poi divenuto in
latino Luguvalium.
Ma quanta validità ha la
ricostruzione di un nome divino a posteriori, se
non è sorretta da indicazioni più
dirette? Non vi è infatti alcun nome divino,
in ambito gallico, che possa essere avvicinato a
*Lugos, tranne un
Mars Loucetius, che con
*Lugos ha in comune l'etimologia. Si
può anche ipotizzare che
Mars
Loucetius fosse in
realtà una versione di
Mercurius visto in
qualità di dio guerriero, e vista la confusione che le due
divinità presentavano in ambito celtico. La cosa non è impossibile, ma si
tratta di segnali piuttosto
incerti. In Spagna, invece, è stata rinvenuta una serie di
iscrizioni votive dedicate a un dio Lucus (o, al
plurale, Lugoves), che pur con tutte le cautele del
caso, sorregge, sebbene in maniera trasversale, l'ipotesi di Audin e Couchaud.
Certamente ci si può chiedere perché il nomen
*Lugos sia scomparso in Gallia ma
sia frequente in ambito celtibero.
Queste indicazioni,
tuttavia, non sarebbero sufficienti a fare
accettare il nome
*Lugos, se questo non venisse ad incastrarsi
così bene nel quadro della mitologia celtica
insulare. Gli studiosi hanno indicato un importantissimo personaggio dell'epica
irlandese, che sembrava il perfetto calco del
Mercurius gallico descritto da Caesar, e che portava un nome trasparentissimo:
Lúg
Samildánach, letteralmente «lo
splendente che unisce ogni arte».
Il
Lúg
irlandese sembra adattarsi perfettamente al poco
che sappiamo del
Mercurius gallico. È un artigiano esperto
in ogni arte, un poeta e mago, un guerriero armato
di lancia, e si batte con la potenza della magia.
Il suo titolo di
Samildánach «che unisce ogni arte»
è un perfetto calco semantico del titolo
«inventore di ogni arte» [omnium inventorem
artium] che Caesar
attribuisce al
Mercurius
gallico
(De bello
Gallico [VI: 17]). Ma
esamineremo in dettaglio le
caratteristiche di
Lúg
nella sezione dedicata all'epica irlandese ①.
|
VIII - IL MITOLOGEMA DEL
DIO-VENTO: CORRELAZIONE TRA IL MERCURIUS GALLICO E
ALTRE FIGURE OMOLOGHE NELLE MITOLOGIE
INDOEUROPEE
Riconducendo la figura del
Mercurius gallico al fondo comune della mitologia
indoeuropea, la troveremo particolarmente
trasparente. Si tratta del dio-vento,
un archetipo attestato in quasi tutte le culture di
matrice indoeuropea.
L'originaria figura del dio-vento
indoeuropeo è ovviamente difficile da
delineare: ma se ne può trarre un'immagine
comparando le sue tarde manifestazioni nelle
diverse culture in cui esso appare.
È un dio legato al vento,
al soffio creatore, all'ebbrezza poetica, e alla
poesia. E poiché la poesia è
sapienza, il dio-vento
è il signore della magia, che agisce,
combatte e seduce grazie alle sue arti. E
poiché poesia e magia vanno a braccetto con
la scrittura, egli sarà l'inventore
dell'alfabeto, delle note musicali, del modo di
tenere i conti. È l'artigiano, l'inventore,
l'eroe culturale.
Il dio-vento si
muove dovunque, con grande rapidità.
È lo sciamano che conduce le anime dei morti
all'aldilà. Scorta i viaggiatori, i
pellegrini, i mercanti lungo le strade. Questi
ultimi sembrano particolarmente cari al dio-vento,
che li accompagna e li favorisce accrescendo le
loro ricchezze. È un dio economico, legato
alla pecunia, al bestiame, alle proprietà. E
come accresce il denaro, il dio fa moltiplicare gli
armenti. Tuttavia non è un dio della
fecondità, ma semplicemente il dio del
reddito.
Il dio-vento
non è diretto. Astuto e furbo, inganna,
froda, imbroglia, mente. Come il vento, si
introduce in ogni spiraglio, silenzioso e
invisibile. È dunque il dio dei ladri e
degli ingannatori. È il
trickster.
Ovviamente, nelle diverse
culture derivate dalla comune matrice indoeuropea,
la figura e il ruolo del dio-vento
sono andate incontro a profondi mutamenti. Le fasi
di questa evoluzione ci sono sconosciute:
conosciamo soltanto i loro esiti finali,
allorché tali culture cominciarono a
registrare per iscritto le loro tradizioni
mitologiche. Il dio-vento
compare come
Vayu/Vāta in
India,
Vāyu in
Irān,
Herms
in Grecia,
Mercurius a
Roma,
Mercurius/Lúg
tra i Celti,
Wotan/Óðinn tra i Germani, e forse
Velesŭ
tra gli Slavi.
Com'è noto, Dumézil distingueva tre funzioni nel pensiero indoeuropeo:
- la funzione magica, giuridica e sacrale;
- la funzione guerriera;
- la funzione economica.
Tale tripartizione funzionale
avrebbe lasciato le sue tracce in molte
società di radice indoeuropea. La ritroviamo
nella suddivisione delle caste in India
(brāhmaṇa, kśatriya e vaiṣya), ma anche in quella della
società celtica (druidi, guerrieri e
proprietari terrieri). In questo contesto, la
regalità è un attributo
tradizionalmente legato alla casta guerriera. Il re dev'essere dunque un guerriero, un esponente della
seconda funzione
(Dumézil 1969). Riferiamo questo per chiarezza di
esposizione; la tripartizione funzionale di
Dumézil è uno schema che permette di
classificare vari campi di attività nel
pensiero religioso e mitologico, più che una
condizione a priori delle culture
indoeuropee.
Distinguiamo dunque nelle
mitologie indoeuropee: un dio-cielo,
distaccato dalle vicende umane; un dio-tuono, re degli dèi e spacciatori dei
mostri che minacciano l'ordine cosmico; un dio-vento,
signore della magia e della tecnica.
In India, nella fase più
antica delle rispettive mitologie, il ruolo del dio-cielo
era occupato da
Dyaus Pitar,
una divinità che la mitologia ha reso sempre
più lontana e inaccessibile. Il ruolo del dio-tuono
era occupato da
Indra, il re
degli dèi, armato del fulmine [vajra] e uccisore del serpente
Vṛtra. Il ruolo del dio-vento
era occupato da
Vayu. Nella
fase vedica di questa mitologia (che è la
più antica a cui possiamo arrivare), notiamo
che a
Vayu
è stato dato ampio risalto nei suoi aspetti
naturalistico e guerriero a detrimento dell'aspetto
magico-sacrale, che è spostato sul
personaggio di
Varuṇa.
Diversa la situazione nel mondo
classico. In Grecia, a causa dell'influenza delle
concezioni del Medio Oriente, l'antico dio-cielo
Zeús
era venuto ad assumere una regalità di
stampo semitico, assai diversa dalla
regalità guerriera tipica del pensiero
indoeuropeo, e questo aveva portato un grande
sviluppo della sua mitologia. Il dio-tuono
Hērakls, ormai privato della regalità
guerriera, era calato d'importanza e trasformato al
rango di semidio. Tale spostamento aveva lasciato
intatta la nicchia riservata al dio-vento. L'evoluzione della figura di
Herms
aveva portato a una divinità più
abbordabile e simpatica, priva di elementi magici e
naturalistici, in cui si dava ampia rilevanza al
lato economico.
Nel mondo celtico e in quello
germanico era avvenuta parallelamente un'altra
grande trasformazione: un capovolgimento mitologico
che avevo portato il dio-vento ad
assurgere ai vertici del pántheon. In una fase
precoce del loro sviluppo, in entrambe queste
mitologie, il dio-cielo
ebbe un forte calo d'importanza (sia tra i Celti che tra i
Germani questa figura non è più rintracciabile con certezza:
il personaggio di
*Tīwaz/Týr, sebbene
etimologicamente legato al termine indoeuropeo per «cielo»,
ha forse un'origine indipendente);
il dio-tuono
conservò la sua regalità guerriera
solo in ambito celtico (lo
Iuppiter gallico), mentre fu ridotto al rango di
semplice dio atmosferico e ammazza-mostri in ambito
germanico (*Þūnraz/Þórr). Lo
sviluppo parallelo del pensiero mitologico di Celti
e Germani ha evidentemente portato il dio-vento ad assurgere al ruolo supremo del
pántheon dall'una e dall'altra parte del
Reno.
Il
Mercurius gallico ricopre appunto questo ruolo,
legato contemporaneamente alla sfera magica, alla guerra e
all'economia. Questa situazione è illustrata dalla mitologia
irlandese. Re delle
Túatha Dé
Dánann è qui
il guerriero
Núada, la cui regalità è
limitata al campo della seconda funzione. Al
contrario,
Lúg,
pur non essendo il re, ha un potere che si estende
su tutt'e tre le funzioni: magica, guerriera,
economica. Da qui l'epiteto di Samildánach «che unisce ogni arte». Non ci
stupiamo allora di vedere il legittimo re
Núada
cedere il trono a
Lúg in caso di necessità, come nell'episodio
della seconda battaglia di Mág Tuired.
Ecco perché Cesare cita
Iuppiter, il re degli dèi, solo al quarto
posto della sua lista, mentre dà la massima
importanza a
Mercurius
(De bello Gallico [VI: 17]).
Anche Tacitus, parlando dei Germani, notava che essi adoravano
Mercurius sopra gli altri dèi
(Germania [9]),
tanto che il brano di Caesar e quelli di Tacitus utilizzano le
identiche parole:
Deorum
maxime Mercurium colunt, cui certis diebus humanis quoque hostiis litare fas
habent. |
Il dio che [i
Germani] onorano di più è Mercurius, cui ritengono
lecito, in certi giorni, fare anche sacrifici umani. |
Cornelius Tacitus:
Germania
[2] |
Deorum
maxime Mercurium colunt, huius sunt plurima simulacra, hunc omnium inuentorem
artium ferunt, hunc uiarum atque itinere ducem, hunc ad quæstus pecuniæ
mercaturasque habere uim maximam arbitrantur. |
Il dio che [i
Galli] onorano di più è Mercurius:
le sue statue sono le più numerose, essi lo considerano come l'inventore di
tutte le arti, egli è per loro il dio che indica il cammino, che guida il
viaggiatore, egli è il più abile ad assicurare i guadagni e a proteggere il
commercio. |
Caius Iulius Caesar:
De Bello Gallico
[VI: 17] |
De Vries ha notato numerose
somiglianze tra le figure di
Mercurius/Lúg
e
quella di
*Wōđanaz/Wotan/Óðinn
(De Vries 1961):
- Il
Mercurius gallico e
Óðinn
hanno la supremità dei
rispettivi pántheon.
- Il
Mercurius gallico è protettore dei
viandanti,
Óðinn
è il «viandante» [Végtamr]
- *Lugos è in relazione con i corvi, a
Óðinn
i corvi sono sacri.
- Il
Lúg
irlandese e
Óðinn
sono entrambi comandanti di
eserciti.
- Lúg
e
Óðinn
posseggono una
lancia.
- Lúg
e
Óðinn
fanno uso in guerra della magia
più che del vigore fisico.
- Lúg
chiude un occhio nelle sue azioni
magiche,
Óðinn
ha solo un occhio.
- Lúg
è un maestro dell'arte
poetica,
Óðinn
è il patrono degli scaldi.
È ovvio concludere che
abbiamo a che fare con due figure corradicali, che
si sono evolute parallelamente, con influenze
vicendevoli da entrambe le parti, fin da un'epoca
remota. Ed è significativo che i Romani,
registrando la religione dei Celti e dei Germani,
equipararono sia la figura del
Mercurius che quella di
*Wōđanaz
al loro
Mercurius. |
IX - ROSMERTA, LA COMPAGNA
DEL MERCURIUS GALLICO
|
Rosmerta |
Dal pilastro della Sainte-Chapelle (✍ I sec. a.C.) |
Musée des
Antiquités Nationales, Saint-Germain-en-Laye (dép.
Yvelines, Francia) |
Museo: [Mercurius. Iconografia gallo-romana]► |
Molto spesso il
Mercurius gallico veniva rappresentato insieme a
una figura femminile. Nella regione della Mosella,
del Reno e del Rodano, questa dea si chiama
Rosmerta
(CIL
[xiii: 4208, 5677, 5939, 6222, 6263, 6388, 7683, et al.]). Il suo culto era diffuso
particolarmente presso le tribù dei Lingones,
dei Leuci, dei Mediomatrici e dei Treveri, e dunque
proprio nel cuore del territorio gallico.
Il nome
Rosmerta (<
Prosmerta) è formato dal prefisso intensivo
ro-
(<
pro-) e la radice
*smert-,
che viene interpretato da alcuni come
«ricordare» o «prevedere», da
altri come «provvidenza». La stessa
radice caratterizza anche nelle due varianti
attestate di questo nome:
Atesmerta
(AE [1925: 98]) e
Cantismerta
(CIL [xii: 131]).
Le molte iscrizioni sono la
prova della popolarità di
Rosmerta, ma le figurazioni che portano
contemporaneamente il suo nome e la sua immagine
sono assai rare; ciò avviene per esempio ad
Eisenberg e Metz. La dea è generalmente
raffigurata in piedi accanto a
Mercurius, e tiene tra le mani una cornucopia,
simbolo di ricchezza e di fecondità. Sulla
stele di Malmaison, presso Reims (dép. Marne), la dea si trova
in coppia con
Mercurius, e sopra di loro vi è il «dio tricefalo». C'è poi
una scultura proveniente da Mannheim (Baden-Württemberg,
Germania), dove la dea
tiene la borsa dell'abbondanza, sulla quale un
serpente appoggia la testa, come a trarne
nutrimento. La dea con la cornucopia appare in
molte figurazioni: a Metz, a Sablon (presso Metz),
a Châtelet (nel territorio dei Leuci), a
Landstuhl (presso i Vangiones) e nel territorio
degli Hedui. A Toul compare una dea con una
cornucopia e con una sacca.
Talvolta troviamo una dea
raffigurata con la borsa con i soldi e il caduceo,
segno di un'affinità con
Mercurius, per cui è stata a sua volta
assimilata a
Rosmerta. La ritroviamo a Donan, Langensoultzbach,
Stetten (dép Haut-Rhin), Schorndorf, Neustadt-am-Haardt,
Devant-les-Ponts (Metz). Su una faccia di una pilastro del I
sec. a.C., rinvenuto dietro la Sainte-Chapelle, sull'Île de la Cité
(Paris, Francia), è raffigurata una dea con un caduceo, e il
pannello vicino è
occupato da
Mercurius. A Bierstadt
(presso Wiesbaden) entrambi gli dèi siedono
in posizione identica, ognuno tenendo un caduceo
appoggiato sulla spalla sinistra, ma anche qui non
si tratta necessariamente di
Rosmerta.
Diverse le immagini della dea
diffuse in Britannia. Ne sono state trovate
nell'Inghilterra sud-occidentale (nella regione dei
Dobunni); almeno un tempio dovette essere stato
eretto nella colonia romana di Colonia Nervia Glevensium (⇒ Gloucester), dove
sono state scoperte tre sculture in pietra delle
due divinità. Qui l'immagine di
Rosmerta presenta attributi propri e distintivi,
indipendenti da quelli di
Mercurius: la dea è ritratta con una lunga
asta poggiata al suolo, che ella regge a mo' di
scettro con la mano sinistra, mentre nella destra
regge un mestolo sopra un secchio poggiato al
suolo. Un simile secchio di legno si trova in
un'immagine trovata a Bath; qui
Mercurius e la sua compagna siedono l'uno accanto
all'altro nella medesima posizione, proprio come
nella figurazione di Bierstadt, ma la dea non ha il
caduceo, bensì un secchio di legno con
guarnizioni in ferro. In un altro rilievo
proveniente da Gloucester, ella è
accompagnata dalla dea
Fortuna.
Fortuna
porta una una torcia rivolta verso l'alto e
Rosmerta una torcia rivolta verso il basso.
Secondo la Green il secchio sarebbe analogo
all'olla del «dio
con il mazzuolo», e quindi
al calderone celtico della rigenerazione, mentre le
torce rappresenterebbero forse la vita e la morte
(Green 1992).
La dea raffigurata accanto a
Mercurius in queste e molte altre immagini
è generalmente identificata dagli studiosi
con
Rosmerta, ma essendo tali monumenti privi di
dedica non vi è assoluta certezza che sia
proprio lei. Ne deriva che forse non tutte le
figurazioni attribuite a
Rosmerta siano veramente da riferirsi a lei. Ci
potevano essere infatti tra i Celti molte dee
dispensatrici di abbondanza con attributi simili,
anche se con nomi differenti, che venivano
associate a
Mercurius.
Nelle iscrizioni e figurazioni,
Mercurius è spesso raffigurato accanto alla
sua madre greco-romana
Maia
(CIL [xii:
2570 | xiii: 1769, 2355, 6025, 6157, 7532, 7533, et al.]), ma anche accanto ad altre
divinità quali
Fortuna,
Diana,
Felicitas,
Salus e
Minerva. In
certi casi anche le
Matres
compaiono accanto a
Mercurius. Sarebbe assurdo pretendere di
identificare
Rosmerta con tutte queste divinità;
è infatti possibile che
Mercurius abbia vincolato a sé delle dee di
natura diversa, per motivi legati a qualche culto
locale di cui non possiamo sapere nulla.
Al contrario,
Mercurius è il solo compagno di
Rosmerta a noi conosciuto. Anche se la dea poteva
accessoriamente apparire da sola: sembra fosse
questa la caratteristica saliente del culto che le
tributavano gli Edui. Nel sito di
Escolives-Sainte-Camille (dép. Yonne),
Rosmerta era venerata senza il suo compagno:
è infatti raffigurata da sola in una nicchia
con la patera e la cornucopia, e la dedica la
associa al culto dell'imperatore. Nel medesimo
territorio, a Gissey-la-Vieil,
Rosmerta compare ancora una volta da sola,
nuovamente associata in una dedica all'imperatore,
ma in questa occasione è raffigurata come
divinità tutelare di una fonte sacra.
Essendo la cornucopia un
attributo troppo vago, e il caduceo vicino alla
natura classica di
Mercurius, l'unico punto di partenza che abbiamo
per definire il carattere di
Rosmerta viene dal suo nome.
Questo si trova il più
delle volte nella forma
Rosmerta
(CIL
[xiii: 4208, 5677, 5939, 6222, 6263, 6388, 7683, et al.]), ma abbiamo anche una
Atesmerta
(AE [1925: 98]) a Le
Corgebin (dép. Haute-Marne, Francia) e una
Cantismerta a Saint-Clément (Valais, Svizzera)
(CIL [xii: 131]). Respinta la vecchia
concezione che voleva riconnettere il nome di
Rosmerta alla parola greca
Moîra
(e quindi creando l'idea di una dea del fato)
(Vendryes 1937), oggi si tende a
presumere che il nome della dea abbia il
significato di «colei che provvede». Si
tratta della stessa radice che troviamo
nell'epiteto di
Mercurius Adsmerius, e anche in quello di
Mars
Smertrios. Così si ha
una coppia
Adsmerius e
Rosmerta (o
Atesmerius e
Atesmerta), che vengono ad essere, con perfetto
parallelismo, il «dio che provvede» e la
«dea che provvede».
Anche l'altro nome gallico di
una compagna di
Mercurius,
Visucia, può essere a sua volta
avvicinato all'epiteto di
Mercurius Visucius. Anche in questo caso si ha un perfetto
parallelismo tra il «dio sapiente» e la
«dea sapiente».
|
X - LA LEGGENDA DELLA
FONDAZIONE DI LUGDUNUM
Citata dallo pseudo-Ploútarchos nel suo «I
nomi dei fiumi e delle montagne» (Perí
potamṓs kai órōn epōnymóas kai tōn en autois euriskoménōn
[VI: 1-4]),
che l'avrebbe desunta del tredicesimo libro delle perdute
«Fondazioni»
di Kleitophn, la leggenda della fondazione di Lugudunum
[Lyon] non stonerebbe affatto accanto alle
raccolte di leggende toponomastiche
(dinnṡenchas) caratteristiche della letteratura
irlandese, le quali sembrano essere un motivo
ricorrente nella mitologia celtica.
|
Vicino
all'Arar vi è il monte Lugudunum che
prese tale nome per la seguente
ragione:
Momoros e
Atepomaros,
essendo stati cacciati dal trono da
Seseroneos, vennero, secondo un
consiglio dell'oracolo, su questa
collina per costruire una città. Si
scavavano i fossati per le
fondamenta, quando improvvisamente
comparvero dei corvi i quali,
volando qua e là, ricoprirono gli
alberi lì intorno.
Momoros, che era
esperto nella scienza degli auguri,
chiamò la città Lugudunum. Questo
poiché nella loro lingua corvo si
dice lugos ed un luogo
elevato dunu, come abbiamo
appreso da Kleitophn nel libro
tredicesimo delle «Fondazioni». |
Pseudo-Ploútarchos:
Perí potamṓs
kai órōn epōnymóas kai tōn en autois euriskoménōn [VI:
1-4] |
Il particolare dei corvi, che
sarebbero scesi dal cielo proprio mentre
Atepomaros
(il re) e
Momoros
(il druido) stavano
gettando le fondamenta della città, sembra
attestato dall'iconografia. Vi sono da un lato le
raffigurazioni di un corvo posto su di una
cornucopia, e quindi tre medaglioni dove un corvo
si trova tra i piedi del genio della città.
Tuttavia altre analogie tra
Mercurius e
il corvo non sono attestate tra i Celti, ma tra i
Germani, che considerano i corvi uccelli sacri a
Wotan/Óðinn. Evidentemente si pensava che il dio
avesse fatto scendere i corvi dal cielo per
manifestare la sua approvazione per la fondazione
della città.
Secondo
Haggarty Krappe, questa leggenda sarebbe stata costruita a
imitazione di leggende simili riguardanti la fondazione di
Alessandria e di Antiochia, nelle quali però compare un'aquila
(Krappe). Però un'analogia tra
due racconti non indica necessariamente che l'uno dipenda
dall'altro, tanto più che la posizione di Krappe si limita a
spostare la spiegazione e non ci aiuta certo a decifrare il
racconto celtico. Al contrario, si direbbe che la presenza di
uccelli nel corso della fondazione di una città sia un preciso
modello mitico. Nella leggenda gallica, l'apparizione dei
corvi è un segno augurale che viene devotamente interpretato
da
Momoros
come un buon auspicio per la fondazione della futura Lugudunum,
così come nella leggenda romana Romulus
e Remus si affidano
all'osservazione degli avvoltoi per stabilire a chi dei due
sarà affidato il compito di scavare il solco della futura
Roma.
Rimane
tuttavia da spiegare perché, nella leggenda gallica, aquile e
avvoltoi vengano sostituiti proprio dai corvi.
Lo pseudo-Ploútarchos afferma che la città prese nome
Lugudunum dal nome celtico del corvo: ma in
gallico «corvo» si diceva
brennos («corvo» significava infatti
il nome di
Brennos, il
condottiero gallico che invase Roma ai tempi
di Furius Camillus). Tralasciando ingegnose ipotesi etimologiche
(come quella che pretenderebbe di far risalire la prima parte
del nome della città ad una forma primitiva *plugo, in
modo da permettere la connessione col germanico *fuglaz
«uccello»), non rimane da ritenere che lo pseudo-Ploútarchos, ignaro di filologia celtica, abbia
ricercato all'uopo qualche ingegnosa etimologia per
spiegare il nome della città.
La cosa rimane comunque curiosa,
perché, mentre il nome
*Lugos
è semanticamente legato alla luce, il corvo
è un uccello dalla livrea nera. Ci si
è chiesti il perché di questa strana
associazione tra il dio della luce e il corvo. Markale dice che tale ambivalenza luce/tenebre
è voluta, ma senza spiegarne la ragione
(Markale 1985). De Vries pensa alla
notizia di Strábōn secondo cui esisteva sulla
costa oceanica della Gallia un «porto dei due
corvi», dove detti uccelli avrebbero avuto
un'ala bianca e avrebbero composto le liti
(De Vries 1961). Secondo il mito
greco, il corvo era in origine un animale
completamente bianco, ma poi, maledetto da
Apóllōn, dio della luce, da bianco com'era
divenne tutto nero.
L'importanza che Lugudunum ebbe
per i Celti può essere bene spiegata dal
fatto che il dio tutelare della città era il
dio più importante dei Celti. Sempre Markale
fa notare che furono proprio i Romani a fare di
Lugudunum la capitale dei Galli. Allo stesso modo non
bisogna stupirsi nel constatare che Lugudunum fu la
prima città gallica ad essere toccata dal
cristianesimo. E non bisogna neppure dimenticare
che, nella nomenclatura della Chiesa Cattolica
Romana, l'arcivescovo metropolita di Lyon porta da
sempre il titolo ufficiale «Primate dei
Galli»
(Markale
1985). |
XI - I
LUGOVES, LA CONTROVERSA PRESENZA DEL DIO *LUGOS NELLE
ISCRIZIONI ISPANICHE
Seppure assente nell'epigrafia gallica, il nomen divinum *Lugos
sembra invece ben attestato in ambito celtibero, in una
serie di iscrizioni testimoniate in Spagna, soprattutto in
Galizia.
Particolarmente interessante è un'iscrizione
rupestre risalente al II o I sec. a.C., rinvenuta nel
santuario di Peñalba de Villastar, presso Teruel (Aragón,
Spagna), di fatto la più lunga iscrizione celtibera in
alfabeto latino. In essa il nome «Lugus» sembra comparire
due volte:
|
eni‧orosei
uta‧tigino‧tiatunei
trecaias‧to‧luguei
araianom‧comeimu
eni‧orosei‧equeisvique
ogris‧olocas‧togias‧sistat‧luguei‧tiaso
togias |
Peñalba de Villastar [3] |
L'esatta traduzione è piuttosto dibattuta. Rolf
Ködderitzsch interpreta così il testo:
«A Eniorosis e al Tiatū di Tigino noi consacriamo i
solchi, a Lugus un campo. A Eniorosis e a Equaesos, a Lugus, Ogris stabilisce protezione ai terreni coltivati,
protezione alla terra bruciata» (Ködderitzsch
1985). Wolfgang Meid traduce: «Per il
montanaro e per il [?] del padrone, noi veniamo insieme
attraverso i campi a Lugus degli Araiani. Per il
montanaro e il cavaliere, a Lugus, il capo della
comunità stabilisce protezioni opportune, protezioni per
[?]» (Meid 1994).
La distanza tra le traduzioni effettuate dai due
specialisti rende evidenti le enormi difficoltà di
decifrazione presentati da questo testo. Per soffermarci
sulla prima riga, l'espressione
ENI‧OROSEI è
stata intesa da Francisco Villar Liébana come un locativo, «in Orosis», dal
presunto nome della località dove avrebbe avuto luogo la
cerimonia descritta nell'iscrizione (Villar
1991). Per Michel Lejeune, il termine ENIOROSEI
indicherebbe invece il carattere annuale delle offerte
al dio «Lugus» e, al riguardo, lo studioso fa notare una
possibile coincidenza della parola
EQVEIS con un mese del calendario
gallico di Coligny (Lejeune 1955).
Per António Tovar, ENIOROSEI potrebbe
essere il mese in cui cade la celebrazione, oppure il nome di un magistrato o di un sacerdote (Tovar
1973). Tanto basta a Francisco Marco Simón per
ipotizzare un equivalente celtibero della festività irlandese
di Lugnasad (Marco 1986). Per Hans Schwarteck
ENIOROSEI significa invece «dedicò» ed
ERECAIAS (lettura alternativa a TRECAIAS)
«diga, terrapieno» (Schwarteck 1979). Wolfgang Meid
interpreta ENIOROSEI
come il «montanaro», con riferimento al santuario del dio, costruito in cima a un'altura: la parola
deriverebbe in tal caso dal protoceltico *ene «in» + *oros «montagna» (cfr.
greco óros) (Meid 1994).
(Burrillo Mozota 1997)
In una traduzione tanto problematica, dove i
singoli termini devono venire interpretati per via etimologica,
capita che gli studiosi cedano alla tentazione di tradurre
le parole più ostiche intendendole
come nomi propri. Ad esempio, Tovar identifica ARAIANOM
come un etnonimo o un gentilizio, seguito in questo da Meid (Tovar
1973 | Meid 1994),
Ködderitzsch interpreta ENIOROSEI
ed
EQVEIS come nomi di mesi,
TIGINO come una località e
OGRIS come nome proprio (Ködderitzsch
1985). Il termine LVGVEI, che
compare due volte nell'iscrizione, viene solitamente inteso come
il
dativo «a Lugus», dove «Lugus» rimanda appunto al nomen divinum
*Lugos
ipotizzato da Audin e Couchaud a partire dalla toponomastica gallica.
Su dati così esiziali, il ragionamento diviene per forza
di cose circolare. Un nome ipotizzato in Gallia su base
toponomastica viene utilizzato per interpretare un termine
in un'iscrizione celtibera; questa, a sua volta, funge da
supporto per l'ipotesi del *Lugos
gallico. Applicando un metodo ipercritico, nulla ci garantisce che il termine LVGVEI
, presente nell'iscrizione di Peñalba de Villastar, sia
un nome proprio, o che si riferisca a un dio e non a un
magistrato o a un sacerdote (l'epigrafia latina in Spagna ci
restituisce una serie di antroponimi compatibili con il nome
«Lugus/Lucus»).
Esposte le necessarie premesse metodologiche, bisogna
però constatare che l'epigrafia spagnola ci offre un
nomen divinum assai simile a *Lugos...
ma al plurale. Una serie di iscrizioni votive dedicate
rispettivamente ai «LVGVBO / ARQVIENOB[†...»
(ILugo [67]) e ai «LVCOBV
/
ARQVIENI»
(ILugo
[68]), ai «LVCOBO / AROVSA[†...»
(AE [2003: 951] = MH [432])
e ai «LVC[†.. GVD/AROVIS»
(AE [2003: 952] = MH [533])
sono state infatti rinvenute nella provincia di Lugo, in
Galizia. Solo un'iscrizione è stata
ritrovata in Gallia Narbonensis, una dedica ai «LVCVBVS»
da Nemeusus ⇒ Nîmes (dép. Gard,
Francia)
(CIL [xii:
3080]). La desinenza
-(V)bo è la regolare uscita del dativo plurale in
celtico continentale (il nominativo plurale può essere
ricostruito in *Lugoi o *Lucoi). ①
|
Iscrizione «Lugoves» |
Avenches (Svizzera) |
Ma prima di avanzare altre ipotesi è doveroso chiederci
se il nomen citato in queste
epigrafia non sia un epiteto topico legato alla località
dove la maggior parte delle iscrizioni sono state rinvenute,
e cioè Lucus Augusti, l'odierna Lugo.
C'è anche la possibilità che il nome della località
sia derivato da quello da un santuario locale dedicato ai *Lucoi; ma
viceversa non possiamo nemmeno escludere che il toponimo
sia di origine latina (da lucus, «bosco sacro»).
Il nomen appare con desinenza latina in due soli
testimoni. Uno è un capitello trovato ad Avenche (Svizzera),
in cui troviamo incisa una sola parola,
Lugoves, al
nominativo plurale
(CIL [xiii:
5078]).
L'altro testimone è un'interessante iscrizione
proveniente da El Burgo de Osma (Castilla y León, Spagna),
dove il nomen, latinizzato, compare al dativo plurale
Lugovibus:
LVGOVIBVS
SACRVM
L L
VRCI
CO COLLE
GIO SVTORV
M D D |
Lugovibus
sacrum
L(ucius) L(icinius?) Urci-
co(m) colle-
gio sutoru
m d(onum) d(edit) |
CIL [ii: 2818] |
Ma come interpretare questo plurale? Gli studiosi hanno
pensato via via a un gruppo di divinità femminili legate a *Lugos
(Windisch 1912), oppure a un epiteto generico di
dèe del tipo
Matres,
oppure ancora a una pluralizzazione del dio *Lugos
visto come divinità triplice, identificandolo con le
anonime immagini del «dio tricefalo» attestata in Gallia
(Sjœstedt 1940).
Nell'iscrizione di Osma compare un collegium sutorum,
una bottega di calzolaî. Questa informazione è piuttosto interessante. Che
Mercurius fosse l'inventore di ogni arte, e quindi
verosimilmente anche il patrono dei calzolaî, non
ci aiuta molto. Però esiste un'altra possibile
connessione tra il dio e il mestiere del calzolaio.
I
Mabinogion gallesi riportano un'antica leggenda
dove
Gwydion e il
suo figlio adottivo
Llew Llaw Gyffes (l'omologo britannico di
Lúg Samildánach) si travestirono da
calzolaî per
effettuare uno stratagemma
ai danni della maga Arianrhod
(De Vries 1961). ①
Si è anche pensato che i
patroni cristiani dei calzolaî, i santi Crispinus e Crispinianus, due martiri uccisi a Soissons nel 284,
potrebbero tranquillamente essere i successori
di una coppia di dèi pagani
(Rhŷs 1888).
Abbiamo forse a che fare con una
coppia di dèi calzolaî, uno dei quali o
entrambi sono da identificare con
Mercurius/*Lugos?
Non possiamo dirlo. È però un'ipotesi
assai interessante.
|
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