1 -
IL FATTORE E I SUOI OSPITI
opo aver aggiogato al carro i suoi caproni
Tanngnjóstr e Tanngrisnir, Þórr
si mise in viaggio.
Lo accompagnava Loki.
|
Þórr
(✍
±1900) |
Max Koch (1854-1925), illustrazione. |
Dopo aver viaggiato tutto il giorno, all'imbrunire Þórr
e Loki giunsero alla
casa di un fattore (dicono si chiamasse Egill), dove ricevettero alloggio per la
notte. A sera, Þórr
uccise i suoi caproni, i quali vennero poi scuoiati e
arrostiti nel calderone. Quando furono cotti, Þórr
sedette a cena e non trascurò
di invitare a mangiare anche il fattore, sua moglie e i loro figli. Il figlio
del fattore si chiamava Þjálfi; la figlia
Rǫskva.
Þórr
mise le pelli dei caproni lontane dal fuoco e si raccomandò che tutti vi
gettassero sopra le ossa spolpate, senza romperle. Ma Þjálfi incise con il
coltello il femore di uno dei due caproni e lo spezzò per succhiarne il midollo.
Þórr
trascorse la notte a casa del fattore, ma quando giunse ótta, l'ora
che precede l'alba, si alzò, si vestì e, preso il martello
Mjǫllnir, lo fece
roteare e lo impose sulle pelli dei caproni. Subito gli animali si alzarono, di
nuovo vivi e vegeti, ma Þórr
notò che uno di essi zoppicava da una delle
zampe posteriori. Capì che il fattore, o uno dei suoi familiari, aveva
ignorato la sua raccomandazione. Si infuriò, aggrottò le sopracciglia e strinse
il martello con tanta forza che le nocche sbiancarono. Non appena il fattore
vide lo sguardo infuriato di Þórr, cadde bocconi al suolo, e tutti quanti
chiesero misericordia, offrendogli come ricompensa quanto possedevano.
Non appena Þórr
vide il loro terrore, la furia lo abbandonò. Si placò e, quale
compenso, prese con sé i figli del fattore. Fu così che Þjálfi e
Rǫskva
divennero i suoi servitori e da allora lo seguono sempre. |
2 - OLTRE IL MARE
asciati i caproni a casa del fattore, Þórr
e
Loki si misero in viaggio verso est. Þjálfi si rivelò un giovanotto assai lesto,
e fu affidato a lui il tascapane, sebbene dentro vi fossero poche provviste.
Rǫskva
andava con loro.
Dopo aver attraversato il mare, Þórr
e i suoi compagni
approdarono nello Jǫtunheimr. |
3 - NOTTE DI
PAURA
iunti nello
Jǫtunheimr, Þórr
e i suoi compagni camminarono per tutto il giorno
attraverso una grande foresta.
Quando fu buio, i quattro cercarono un riparo per la notte e arrivarono
davanti a uno strano rifugio. Era un edificio piuttosto grande, con un intero lato occupato dalla porta. Entrarono e si stabilirono per la notte.
Attorno a mezzanotte, la terra fu scossa da un gran terremoto e l'intera casa
si scosse. Þórr
balzò in piedi e chiamò i suoi compagni. Avanzarono nel buio e
trovarono una stanza laterale. Loki e gli altri vi si rifugiarono, terrorizzati,
e Þórr
ristette sulla porta, il martello in pugno. Udirono un gemito, quindi un
nuovo frastuono.
Avrebbero poi avuto a malignare, Loki e
Hárbarðr, che in quel frangente Þórr
era talmente terrorizzato che non osava dar fiato, né starnutire o tirar peti.
Se ne stava tutto rincantucciato in quel buco, dimentico persino di essere il
dio del tuono.
|
|
Þórr e Skrýmir
(✍ 1902) |
George Wright (1855-1922). Illustrazione.
(Mabie 1902) |
4 -
SKRÝMIR
uando si fece giorno, Þórr
uscì e, non lontano, nella foresta, trovò un
individuo di dimensioni enormi. Era stato lui a provocare il frastuono che aveva
udito durante la notte. Subito infuriato, Þórr
si cinse la cintura Meginjandar,
lasciando che l'ásmegin crescesse dentro di lui. Ma nel frattempo,
l'altro si svegliò e si levò in piedi. E torreggiava su di lui da una tale
statura che, per la prima volta, a Þórr
mancò il coraggio di colpire col
martello. Gli chiese chi fosse.
— Il mio nome è Skrýmir — fu la risposta. —Ma io non ho bisogno di chiedere il
tuo. So che sei Ásaþórr. Ma perché hai
portato via il mio guanto?
Allungò la mano verso il rifugio nel quale Þórr
e i suoi compagni avevano
trascorso la notte. Non era un edificio, ma il guanto di Skrýmir. La stanza
laterale, nella quale si erano rifugiati, era il pollice. |
5 - «DEVE ESSERMI CADUTA
UNA FOGLIOLINA SUL CAPO»
krýmir chiese a Þórr
se
desiderasse la sua compagnia e Þórr
rispose di sì. Skrýmir prese allora il
proprio tascapane e si apprestò a fare colazione. Þórr
e i suoi compagni si
radunarono poco lontano. Più tardi, Skrýmir propose di condividere le provviste.
Radunò ogni cosa nel proprio tascapane e se lo caricò in spalla, incamminandosi
davanti a loro.
L'ingombrante compagno procedeva a grandi passi, con i quattro che faticavano a tenergli
dietro. A sera, Skrýmir si trovò un riparo per la notte sotto un'immensa
quercia. — Vorrei mettermi a dormire, — spiegò a Þórr.
— Ma voi non fate
complimenti. Prendete il tascapane e preparatevi la cena. — E subito, chiusi gli
occhi, Skrýmir si addormentò e cominciò a russare forte.
Þórr
prese il tascapane e fece per aprirlo ma, per quanto possa sembrare
incredibile, non riuscì a sciogliere in alcun modo i nodi, né ad allentare le
corde. Quando si avvide che i suoi sforzi erano inutili, s'infuriò, afferrò a
due mani il Mjǫllnir, andò a grandi passi verso
Skrýmir e gli vibrò una
martellata sul capo.
Skrýmir si svegliò. — Deve essermi caduta una fogliolina sul capo
— commentò.
Poi chiese a Þórr: — E voi, avete mangiato? Credo che ora dovreste andare a
riposare.
Þórr
rispose che stavano giusto per andare a dormire. Si ritirò con i
suoi compagni sotto un'altra quercia, e quasi non riuscirono a chiudere occhio
per la paura. |
|
Þórr e Skrýmir
(✍ 1930) |
Charles E. Brock,
illustrazione (Keary ~ Keary 1930) |
6 - «MI È ARRIVATA UNA
GHIANDA IN TESTA»
mezzanotte, Skrýmir era immerso
nel sonno e russava da far rintronare l'intera foresta. Þórr
gli si avvicinò, sollevò il martello e glielo scagliò con forza proprio
al centro del cranio, vedendolo affondare profondamente nella testa.
Si svegliò e chiese: — E ora che c'è? Mi è arrivata una ghianda in testa? Cosa
ti succede, Þórr?
Þórr
farfugliò che si era appena svegliato; disse che era mezzanotte e che
era tempo di dormire. Arretrò rapidamente, pensando tra sé che, se avesse potuto
sferrare a Skrýmir un terzo colpo, quello non si sarebbe mai più rialzato.
Sedette, attento che Skrýmir riprendesse a dormire profondamente. |
7 - «UN UCCELLINO SI È PER CASO APPOLLAIATO
SULL'ALBERO?»
|
Þórr e Skrýmir
(✍ 1886) |
Edward O. Davey. Illustrazione
(Davey 1886) |
oco prima del
giorno, Þórr
capì che Skrýmir si era addormentato. Balzò su di lui e,
roteando il martello, glielo abbatté proprio sulla tempia. Questa volta,
Mjǫllnir sprofondò fino al manico. Ma
Skrýmir aprì gli occhi e si sfregò le
guance chiedendo:
— Un uccellino si è per caso appollaiato sull'albero? Mi è parso,
svegliandomi, che mi cadesse in testa un ramoscello. Sei sveglio anche tu, Þórr? Su, è ora di di alzarsi e di vestirsi. Non resta ancora molto per
arrivare ad
Útgarðr.
Skrýmir si levò in piedi e indicò davanti a sé.
— Ora io vado a nord, verso i
monti che potete scorgere laggiù. Voi, immagino siate diretti ad est Ho sentito
dicevate tra voi che non sono quel che si dice un uomo di piccola statura.
Bene, se arriverete a
Útgarðr, troverete persone assai più grandi di me!
Immagino sia meglio per voi tornare indietro, ma se proprio insistete a
continuare il vostro viaggio, vi consiglio di non fare gli sbruffoni,
nella fortezza di Útgarðaloki. I suoi hirðmenn
non tollerano beffe da piccoletti come voi.
Skrýmir prese il tascapane, se lo gettò sulla schiena, allontanandosi per la
foresta. Þórr
e i suoi compagni non gli augurarono certo buona fortuna. |
Fonti
|
|
I - LA «SAGA DI ÞÓRR E ÚTGARÐALOKI»
«Qui comincia la saga di Þórr
e Útgarðaloki» [Hér hefr sǫgu
Þórs ok Útgarðaloka] è l'incipit, presente nel Codex Uppsaliensis
[U] della
Prose Edda,
che raccoglie in un'ideale unità narrativa la lunga vicenda del viaggio di
Þórr a
Útgarðr: un divertente racconto che
Snorri mette in bocca a Þriði e fa procedere, senza interruzioni
da parte degli altri interlocutori, per un'ampia sezione della sua opera
(Gylfaginning [44-48]).
La «saga» è composta di tre episodi giustapposti
tra loro:
-
Il pernottamento di Þórr
e Loki presso un fattore, che si
conclude con l'azzoppamento di uno dei caproni del dio; di conseguenza, i
figli del fattore, Þjálfi e
Rǫskva, diventano i servitori di
Þórr.
(Gylfaginning [44])
-
L'episodio dell'incontro di
Þórr e Skrýmir:
il pernottamento nel guanto dello jǫtunn, la divertente scenetta del
sacco delle provviste che Þórr non
riesce a slegare, e il paradossale racconto di Skrýmir
che resiste ai più possenti colpi del dio del tuono.
(Gylfaginning [45])
-
L'arrivo a
Útgarðr e le sfide poste da
Útgarðaloki, in cui
Þórr e i suoi compagni vengono
regolarmente sconfitti. Sono però in gioco degli inganni magici, come sarà
rivelato nella lunga spiegazione finale.
(Gylfaginning [46-48])
Possiamo chiederci se i tre episodi siano a loro volta delle
leggende separate, artificialmente giustapposte da Snorri. L'analisi delle
vicende mostra effettivamente un'origine indipendente. Il primo episodio
è anche presente in un poema eddico, dove l'azzoppamento del caprone e
l'«assunzione» dei due servitori sono dislocati in coda al racconto della pesca
di Jǫrmungandr da parte del dio del
tuono (Hymiskviða [37-38]). Il secondo episodio, la vicenda di
Þórr e Skrýmir, è invece un unicum,
presente soltanto nel
Gylfaginning
(sebbene vi si accenni rapidamente in Harbarðsljóð
[26] e in Lokasenna [60 | 62]). Del terzo episodio, la vera e propria
«saga di Þórr e
Útgarðaloki» – che tratteremo alla prossima pagina
① –,
esiste una versione parallela, fornita da Saxo
Grammaticus nella sua Historia Danorum, che evidenzia caratteri più arcaici
ed è inserita in un
contesto completamente diverso.
Stabilito che le tre vicende sono originariamente
indipendenti tra loro, ci si può chiedere se la «cucitura» sia opera di Snorri,
o se egli abbia già ereditate la «saga» nella forma in cui l'ha trasmessa. Non è
facile da dire, e d'altra parte non è nemmeno escluso che Snorri non abbia
ulteriormente «lavorato» una materia già ampiamente elaborata dai suoi
antigrafi. L'andamento del racconto, che ha l'aria di una fiaba, e la totale assenza di frammenti
poetici, sembra tuttavia suggerire che Snorri abbia adattato delle vicende originariamente in prosa.
Si noti che Snorri giustappone a questa lunga «saga» il
racconto della pesca di Jǫrmungandr
da parte di Þórr
(Gylfaginning [49]). L'allacciamento dell'una all'altra vicenda
appare piuttosto pretestuoso (la sfida del sollevamento del
Miðgarðsormr avrebbe fatto
venire al dio del tuono una gran voglia di confrontarsi con il serpente),
suggerendo implicitamente il metodo narrativo utilizzato da Snorri. L'assenza di inserti in poesia non è
però un'indicazione decisiva. Ad
esempio, il mito della pesca di Jǫrmungandr
– che è argomento di un poema eddico, l'Hymiskviða – è
riportato da Snorri in un racconto completamente prosastico. Si può tuttavia
obiettare che la versione dell'Hymiskviða è talmente più complessa e
dettagliata dello scarno racconto di Snorri da mettere in dubbio che quest'ultimo
conoscesse il poema. ②
|
II - ÞJÁLFI E RǪSKVA Il primo episodio di quella che
il Codex Upsaliensis chiama la
«saga di Þórr e
Útgarðaloki», introduce i simpatici
Þjálfi e Rǫskva, i figli del fattore destinati a diventare i þjónustumenn «servitori» del
dio del tuono.
Dei due, Þjálfi è
quello meglio caratterizzato; è lesto e vivace, e nel prossimo capitolo
affronterà addirittura il gigante Hugi in una gara di corsa.
Ricomparirà in seguito,
sempre accanto a Þórr, in imprese talora
ardite e
pericolose. Combatterà al fianco del suo amico e padrone contro il terribile
jǫtunn Hrungnir
(Skáldskaparmál
[24]) e contro il non meno bieco Geirrøðr
(Þórsdrápa).
Rǫskva, invece, sembra destinata a svanire nel
nulla. Sebbene sia anch'essa partita per Útgarðr
insieme a Þórr e a tutti gli altri, di lei non
viene più fatta parola. Si presume sia rimasta insieme ai suoi compagni nel corso del
viaggio, ma non interviene mai nel dialogo e nell'azione, ed è l'unica del gruppo a non affrontare
alcuna sfida
presso Útgarðaloki. Il ruolo di
Rǫskva nell'economia del racconto è praticamente
nullo, né si può dire che il suo personaggio venga introdotto per usi
futuri, com'è il caso di Þjálfi. Dopo quest'unica piccola comparsata,
la povera Rǫskva
scompare dalla mitologia.
Abbiamo, insomma, il paradosso di un racconto costruito per
introdurre una coppia di personaggi, uno dei quali, però, è destinato a svanire
nel nulla. Perché la coppia Þjálfi ~
Rǫskva appare così nettamente sbilanciata dalla
parte di Þjálfi? È senz'altro possibile che, in una fase antecedente
del mito,
Rǫskva avesse un'importanza assai maggiore, altrimenti non avrebbe senso introdurla al fianco del fratello. In
seguito, per qualche ragione, i racconti su di lei sono scomparsi e il suo
personaggio è stato pressoché dimenticato.
Cosa rappresentassero in origine Þjálfi e
Rǫskva è difficile da dire. L'analisi etimologica
può fornirci tuttavia qualche indicazione.
Il sostantivo þjálfi significa forse «scavatore» (Cleasby ~ Vigfússon 1874).
Alcuni autori però interpretano il nome del giovane come «elfo servitore», facendolo derivare da
un *þewa-alfaR. Questa interpretazione viene generalmente scartata sulla base
dell'osservazione che Þjálfi non sembra essere
un álfr. Tuttavia, in un passo della Þórsdrápa
di Eilífr Goðrúnarson si dice che, nello scontro contro il gigante
Geirrøðr, Þórr
combattesse at álfi, «al fianco dell'elfo», cioè di Þjálfi
(Þórsdrápa
[19]). Al riguardo, Eysteinn Björnsson nota
come la comunissima formula æsir ok álfar (cfr.
Vǫluspá [48];
Hávamál [159 |
160];
Grímnismál [4];
Skírnismál [7 | 17-18]; Lokasenna [2 | 13 | 30]; Þrymskviða [7]; Sigurdrífumál
[18])
suggerisca una connessione tra le due classi di esseri soprannaturali, dove gli álfar
potrebbero essere immaginati come compagni, servi o aiutanti degli æsir.
(Isnardi 1991 | Eysteinn 2006)
Più difficile interpretare la figura di
Rǫskva,
in quanto compare soltanto nella scena qui descritta del
Gylfaginning. Il suo nome sembra connesso a un concetto di «crescita» (cfr.
roskinn «maturo, cresciuto», rosknask «crescere»). Dunque,
Þjálfi e Rǫskva erano un
álfr e una dea della fecondità? Difficile da dire. Tanto più che il loro
genitore, come vedremo nel prossimo capitolo, era probabilmente un gigante. |
III - LA STAZIONE AI CONFINI DEL MONDO A una differente versione del mito dell'«assunzione» di Þjálfi
e Rǫskva accenna l'Hymiskviða.
In questo poema il nome dei due þjónustumenn non è citato, ma compare quello del
loro padre, Egill. È presso costui, infatti, che si
fermano Þórr e
Týr, prima di recarsi alla dimora dello
jǫtunn Hymir. La scena è descritta in una sola
strofa:
Fóru drjúgum
dag þann fram
Ásgarði frá,
unz til Egils kvómu.
Hirði hann hafra
horngǫfgasta;
hurfu at hǫllu
er Hymir átti. |
Viaggiarono decisi
avanti tutto il giorno
dall'Ásgarðr,
finché giunsero da Egill;
al sicuro [Þórr] mise i caproni
dalle splendide corna;
poi entrarono nella hǫll
che apparteneva a Hymir. |
Ljóða Edda
>
Hymiskviða [7] |
|
Þórr e i suoi compagni attraversano il mare
(✍ 1875) |
Lorenz Frølich (1820-1908).
Illustrazione (Oehlenschläger
1875-1877) |
L'Hymiskviða non spiega la ragione per
cui Þórr e
Týr parcheggiano carro e caproni a casa di Egill,
prima di proseguire a piedi verso la dimora di Hymir.
Ma dove siamo, esattamente? Su questo, il poema è abbastanza preciso.
Hymir, abitava «a oriente degli
Élivágar» [fyr austan Élivága],
«al limite del cielo» [at himins enda]
(Hymiskvíða
[5]). Ci troviamo dunque ai confini del mondo, in una regione posta sulle
sponde dell'úthaf, l'oceano esterno. Un luogo cosmologicamente non
dissimile dall'Útgarðr descritto da Snorri
nel suo racconto. Per Þórr è
evidentemente impossibile proseguire con il carro attraverso l'úthaf,
che qui sembra identificarsi con i fiumi cosmici
Élivágar; non dimentichiamo che
Þórr è quotidianamente costretto a guadare
una serie di fiumi celesti (l'Ǫrmt,
il Kǫrmt e i due
Karlaugar) per recarsi al
þing degli Æsir, perché il suo carro non può salire sul ponte
Bifrǫst, né, evidentemente, può
oltrepassare quei corsi d'acqua
(Grímnismál
[29]).
La sosta presso Egill è forse legata a
qualche ragione analoga: carro e caproni non possono guadare gli
Élivágar e arrivare at himins enda,
«al limite del cielo». (Eysteinn 2006)
Nel
Gylfaginning,
invece, Þórr e i suoi compagni si
trovano impossibilitati a proseguire il viaggio con il carro per la semplice
ragione che uno dei due caproni è rimasto azzoppato. La colpa è di
Þjálfi, che, contravvenendo alle raccomandazioni di
Þórr, ha inciso il femore con il
coltello per succhiarne il midollo. A causa dell'incuria del giovane, il
gruppetto è costretto ad affrontare un lungo itinerario a piedi, per
di più attraversando – a guado? – un indefinito braccio di mare.
L'impressione,
alla luce di quanto suggerito dal parallelo con l'Hymiskviða,
è che Snorri stia razionalizzando una materia mitica, anzi, cosmologica, offrendo una
spiegazione «logica» all'abbandono del carro e dei caproni.
Ma torniamo all'Hymiskviða. Alla fine del
poema, Þórr e
Týr tornano da Egill,
trascinandosi dietro l'enorme calderone che hanno rubato a
Hymir. Sono decisi a riprendere il carro per tornare in
Ásgarðr, ma ecco, sorpresa, uno dei
caproni è azzoppato.
Fórut lengi,
áðr liggja nam
hafr Hlórriða
hálfdauðr fyrir.
Var skær skökuls
skakkr á beini,
en því inn lævísi
Loki um olli. |
Non avevano viaggiato a lungo
che stramazzò
un caprone di Hlórriði,
mezzo morto;
si era il destriero della stanga
slogato un osso:
di ciò il maestro d'inganni,
Loki, era la causa. |
En ér heyrt hafið
- hverr kann um þat
goðmálugra
gørr at skilja -
hver af hraunbúa
hann laun um fekk,
er hann bæði galt
börn sín fyrir. |
Voi avete ben udito,
- e chi può questo
più di chi conosce le storie degli dèi
compiutamente narrare? -
quale, dall'abitatore della pietraia,
indennizzo ricevette:
gli dette in cambio entrambi
i suoi figli. |
Ljóða Edda
> Hymiskviða
[37-38] |
Nell'Hymiskviða, il motivo dell'azzoppamento
del caprone è finalizzato
unicamente all'assunzione dei due figli di Egill
(cioè Þjálfi e Rǫskva
del
Gylfaginning)
da parte di Þórr. L'incidente si svolge
peraltro sulla via del ritorno dal viaggio ai confini del mondo, non all'andata, e viene
detto
che il colpevole sia Loki, sebbene questi
non compaia mai nel poema. ①
Viene anche dato un suggerimento sulla natura di Egill,
qui definito hraunbúi, «abitatore della pietraia» (la parola hraun indica gli sterili campi di lava del paesaggio islandese). Si tratta di un epiteto
certo adatto a un þursar, un ruvido gigante delle rocce, più che a un
essere umano, dettaglio che
spiegherebbe la sua presenza ai confini del mondo. D'altra parte, il nome
dell'uomo, attestato come <Egils> nella versione dell'Hymiskviða
contenuta nel Codex Regius [R], appare nella
lezione <Ægis> in quella del Codex Arnamagnæanus [A].
Si tratta di un probabile errore scribale, certamente dovuto al fatto che la
scena si è appena spostata dalla dimora di
Ægir a quella di Egill; l'errore potrebbe anche
essere indicativo di una possibile natura soprannaturale, jǫtunica, dello
stesso Egill. (Eysteinn 2006)
Sia nella versione di Snorri che nell'Hymiskviða,
la casa del fattore si trova a oriente, non
lontano dall'oceano cosmico, sulla strada per i confini del mondo. Ci troviamo
proiettati in una dimensione cosmologica, dove Egill
non è un semplice essere umano, ma un personaggio soprannaturale, il
guardiano di una sorta di stazione «astronomica» in cui è necessario sostare
prima di uscire dal mondo.
|
IV - ÞÓRR E SKRÝMIR, UN GIOCO DI PARADOSSI La vicenda dell'incontro di Þórr con
Skrýmir è tutta basata su un gioco di paradossi, la
cui morale sembra essere: «nonostante la sua leggendaria forza, anche il dio del
tuono può incontrare qualcuno più forte di lui». In seguito Snorri si premurerà
di fornirci una spiegazione «logica» dell'inferiorità di Þórr
nei confronti di Skrýmir, interpretandola come il
risultato di una serie di inganni magici [sjónhverfingar] architettati da
Útgarðaloki, e quindi
rassicurandoci sul fatto che nessuno può sconfiggere Þórr,
almeno sul piano della forza fisica. Detto questo, la spiegazione di Snorri
appare piuttosto una razionalizzazione dell'episodio aggiunto a posteriori.
In realtà, la vicenda di Þórr e
Skrýmir è perfettamente completa e autosufficiente.
Il racconto, riportato da Snorri in
Gylfaginning [44],
ha tutto l'andamento di una fiaba, o di una leggenda popolare, ed è basata su un gioco continuo di cambi di prospettiva.
Skrýmir è talmente grande che Þórr
e i suoi compagni pernottano in un suo guanto scambiandolo per una casa. Ed è
talmente robusto che una martellata del Mjǫllnir gli fa l'effetto di una ghianda o di
un ramoscello che gli siano caduti in capo. Al tutto, si aggiunge la beffa: il suo tascapane, nel quale è contenuto tutto il cibo della comitiva, non può
essere aperto nemmeno dal dio del tuono, nonostante la sua forza.
Che Snorri abbia ingentilito l'episodio, mostrandoci volutamente un Þórr
insofferente, infuriato, a tratti addirittura umiliato, ma mai davvero
sconfitto, sembra confermato da due citazioni tratte dai poemi eddici, che sono
di ben altro tenore. Ad esempio, nell'Hárbarðsljóð,
il truce traghettatore Hárbarðr così rinfaccia al
dio del tuono:
Þórr á afl ærit,
en ekki hjarta;
af hræðslu ok hugbleyði
þér var í hanzka troðit,
ok þóttisk-a þú þá Þórr vera;
hvárki þú þá þorðir
fyr hræðslu þinni
hnjósa né físa,
svá at Fjalarr heyrði. |
Forza bastante possiede Þórr
ma non coraggio;
dalla paura, dalla vigliaccheria
ti eri infilato nel guanto,
e d'essere Þórr non te la sentivi.
Non osasti allora
per la gran paura
starnutire o tirar scorregge,
che non sentisse Fjalarr. |
Ljóða Edda
> Hárbarðsljóð [26] |
È probabile che
Fjalarr sia lo stesso Skrýmir (il nome
sembra indicare un gigante anche in
Hávamál
[14]).
Sebbene rimanga il dubbio che Hárbarðr esageri
allo scopo di irritare Þórr, sicuramente
la vicenda che dipinge è molto diversa da come ce l'ha narrata Snorri: Þórr
non si pone dinanzi alla «porta» della casa-guanto, il martello in pugno, deciso
a difendere sé e i suoi compagni. Qui non
è soltanto preoccupato e intimorito: è rincantucciato nel guanto, terrorizzato,
e non osa fiatare. La stessa versione è riportata anche da Loki
in un altro poema:
Austrförum þínum
skaltu aldregi
segja seggjum frá,
síz í hanska þumlungi
hnúkðir þú einheri,
ok þóttisk-a þú þá Þórr vera. |
Dei tuoi viaggi in oriente
tu non vuoi mai
far parola con nessuno.
Da quando nel pollice di un guanto
te ne stesti accoccolato, eroe,
e non ti rivelasti come Þórr. |
[...] skarpar álar
þóttu þér Skrýmis vera,
ok máttir-a þú þá nesti ná,
ok svalzt þú þá hungri heill. |
[...] Dure ti parvero
le cinghie di Skrýmir,
e non potevi allora raggiungere le provviste,
e sano ti consumasti dalla fame. |
Ljóða Edda
> Lokasenna [60 | 62] |
Hárbarðr e Loki
sono coerenti tra loro: «d'essere Þórr
non te la sentivi» dice il primo, «non ti rivelasti come Þórr»
rincara il secondo. Non solo il dio del tuono si è rifugiato nel
guanto, spaventato a morte, ma la sua statura del dio del tuono, la sua stessa identità, è stata messa in
dubbio dalla presenza di Skrýmir. Rispetto a queste
dichiarazioni, Snorri affronta la sua materia in modo assai meno radicale, per
infine addirittura negarla sostenendo che l'umiliazione del dio non fosse dovuta
all'incontro con un essere più potente di lui, ma semplicemente
agli incantesimi e agli inganni di
Útgarðaloki. La possibilità di
collocare l'umiliante confronto di Þórr
con Skrýmir sotto il mantello magico delle sjónhverfingar
di Útgarðaloki, è forse la ragione
letteraria della cucitura tra i due episodi. La sua sconfitta viene così
spostata funzionalmente, dal piano della forza a quello della magia. Quale
personaggio di seconda funzione,
Þórr spiega le sue capacità nel campo
della pura forza fisica: ma se la sua improvvisa défaillance trova la
spiegazione in un inganno magico, la narrazione può essere conservata senza che
la statura del dio del tuono venga sminuita. In realtà, come vedremo nel
prossimo capitolo, l'episodio di Þórr
e Skrýmir non è già completo e indipendente, ma fa
anche parte di una classe di narrazioni ben conosciuta in molti altri sistemi
mitici. |
V - IL POSSENTE E IL GIGANTESCO: CONFRONTO DI CAMPIONI TRA LA
RUSSIA E IL CAUCASO Del racconto di Þórr e
Skrýmir possediamo purtroppo la sola versione di
Snorri, a parte i due brevi accenni di Hárbarðsljóð
e Lokasenna. Ci viene però in aiuto la mitologia
comparata, dove riconosciamo un motivo universale.
Nella bylina russa
Il'ja i Svjatogor, di cui conosciamo
circa venticinque varianti, il bogatyr'
Il'ja Muromec affronta
Svjatogor, un mastodontico
cavaliere che si muove ai confini della Rus'. Le byliny descrivono
Svjatogor come un vecchio e
gigantesco titano: si muove su un cavallo a lui proporzionato, e cammina sulle
cime dei monti perché la terra non potrebbe reggere il suo peso. Invece,
Il'ja Muromec è un
vecchio, formidabile cosacco, che nella sua forza e nel suo appetito presenta
molti tratti dell'antico dio-tuono indoeuropeo. L'arma prediletta di Il'ja
è una mazza di bulat del peso di seicento pud, un'arma
imparentata al martello di Þórr. In alcune
versioni della bylina, prima di affrontare il combattimento contro
Svjatogor, Il'ja
prova la sua clava contro una quercia, e la quercia va in pezzi. La
dimostrazione è necessaria per conferire le corrette proporzioni alla vicenda e
metterne in risalto il lato paradossale: la forza sovrumana di
Il'ja Muromec si rivelerà
insignificante nel combattimento contro
Svjatogor.
Non appena vede da lontano il gigantesco
bogatyr' avvicinarsi, in
groppa al suo imponente cavallo,
Il'ja Muromec lo chiama. Ma
Svjatogor non risponde: si è
addormentato in sella. Il'ja
lo chiama più volte, con voce tonante, ma non riesce a svegliarlo. Tanto basta
perché Il'ja senta la rabbia salirgli in corpo. I due bogatyri sono l'uno di
fronte all'altro, l'uno addormentato e ignaro della situazione, l'altro
infuriato e bellicoso. Ma citiamo da una versione della bylina
(Meriggi 1974):
Razgorelos' serdce bogatyrskoe
A u starogo kazaka Il'i Muromca,
Kak beret on palicu bulatnuju,
Udarjaet on bogatyrja da po belým grudjam,
A bogatyr' spit ne prosypaetsja.
Rasserdilsja tut da Il'ja Muromec,
Razŭezžaetsja on vo čistó pole,
A s razŭezdu udarjaet on bogátyrja
Puŝe prežnego on palicej bulatnoju.
Bogatyr' spit, ne prosypaetsja.
Rasserdilsja tut staryj kazak da Il'ja Muromec,
A beret on šelepugu podorožnuju,
A ne malu šelepugu da vo sorok pud,
Razŭezžaetsja on so čista polja,
I udaril on bogatyrja po belym grudjam,
I otšib on sebe da ruku pravuju.
Tut bogatyr' na kone da prosypaetsja,
Govorit bogatyr' takovo slovo:
«Och, kak bol'no russki muchi kusajutsja».
Pogljadel bogatyr' v ruku pravuju,
Uvidal tut Il'ju Muromca,
On beret Il'ju da za želtý kudri,
Položil Il'ju da on k sebe v karman,
Il'ju s lošad'ju da bogatyrskoej... |
S'accese il cuore da bogatyr'
a Il'ja Muromec, vecchio
cosacco,
prende egli la sua clava, di bulat,
colpisce il bogatyr' sul bianco petto,
ma dorme il bogatyr', e non si sveglia.
Si adirò allora Il'ja Muromec,
si lancia al galoppo per li campo aperto,
e galoppando colpisce il bogatyr',
più forte di prima, con la clava di bulat,
e dorme il bogatyr' e non si sveglia.
Si adirò allora Il'ja Muromec,
vecchio cosacco,
dà di piglio alla šalapuga da viaggio,
non piccola è la šalapuga, sarà quaranta pud,
dal campo aperto si lancia al galoppo,
e colpì il bogatyr' sul bianco petto,
perfino si slogò la mano destra.
Sul destriero si desta il bogatyr',
tiene il bogatyr' questo discorso:
«Och, fanno male le mosche russe!»
Si guardò la mano destra il bogatyr',
ed ecco che lì scorse Il'ja
Muromec,
per i gialli riccioli afferra
Il'ja,
si mise Il'ja nella sua
tasca,
con tutto il suo destriero bogatyrico... |
Perilova
~ Sojmonov, Byliny Pudožkogo kraja [4] |
La situazione è esattamente la stessa che avevamo già incontrato nel racconto
di Snorri. I giganteschi
Svjatogor e Skrýmir sono addormentati; i
possenti Il'ja e Þórr
infuriati. Sia il bogatyr' russo che l'áss scandinavo
colpiscono per tre volte l'avversario incosciente, l'uno con la clava, l'altro
con il martello, e vibrano mazzate in grado
di frantumare querce e spianare montagne. In entrambe le situazioni, però, non
solo il gigante sembra del tutto impermeabile ai colpi, ma svegliandosi esce in un commento paradossale:
Svjatogor lamenta di essere
stato punto da una mosca; Skrýmir di essere stato
bersagliato da una ghianda, sfiorato da una foglia, colpito da un ramoscello
fatto cadere da un uccellino. Il contrasto tra la straordinaria forza dei colpi e la
levità della reazione produce un anticlimax da manuale. ①
Nel seguito del racconto russo,
Svjatogor si accorge che Il'ja
gli è finito in tasca – con tutto il cavallo – soltanto perché viene avvertito dal proprio destriero,
che non può portare il peso di due bogatyr'. Questo motivo è analogo
all'episodio in cui Þórr si rifugia nel
guanto di Skrýmir. Sebbene il dio del tuono si
infili volontariamente in quella che crede essere una casa, e
Il'ja venga invece
introdotto
suo malgrado nella tasca di
Svjatogor, i due racconti evidenziano un medesimo contrasto di proporzioni: sia il bogatyr' russo
che l'áss scandinavo, nonostante siano stati fino ad ora presentati
come individui praticamente invincibili, sono in realtà talmente piccoli da
poter essere accolti in un guanto o nella tasca del loro avversario.
(cfr. Propp
1978)
Questo motivo è diffuso, in particolar modo, nei miti e nelle leggende
caucasiche: nel momento in cui l'eroe è divenuto talmente potente da fare piazza
pulita di qualsiasi avversario, deve affrontare una sorta di «nevrosi del
destino» espressa dalla domanda:
esiste qualcuno più forte di me? È un punto culminante nella carriera dei
guerrieri caucasici, che, giunti al culmine della loro potenza, partono alla
ricerca dell'avversario definitivo, necessario, introvabile. In ossetico, l'eroe che parte
per questa ricerca è persino contraddistinto da un termine tecnico: tyxagur,
il «cercatore di forza». (Dumézil 1930 | Dumézil 1965 | Charachidzé 1986).
Nei miti ossetici, questo paradossale gioco di proporzioni può
raggiungere notevoli livelli di complessità. In un mito registrato da Georges
Dumézil, il più possente dei nartæ, Soslan,
stanco di uscire vincitore da ogni prova, parte un giorno per cercare qualcuno
più forte di lui. Scendendo lungo un fiume incontra in successione tre
pescatori, intenti a pigliar pesci usando come canne alberi via via più maestosi
e come esche buoi sempre più imponenti. Convinto di aver trovato gli uomini più
forti del mondo, Soslan si lascia invitare a casa
dai tre pescatori, i quali però tentano di imprigionarlo e divorarlo.
Soslan riesce a fuggire in un bosco, inseguito dai
tre possenti pescatori. Lungo la strada, incontra un wæjug, sorta di
gigantesco orco della mitologia ossetica, al quale chiede aiuto. Il wæjug,
che è orbo da un occhio e privo di un braccio, mette al sicuro
Soslan infilandolo sotto la sua lingua, quindi si
sbarazza facilmente dei tre fortissimi inseguitori, legandoli con un pelo della
sua gamba. (Dumézil 1965) Ma questo continuo
confronto con avversari via via più potenti non ha ancora raggiunto il suo climax. Saputo che Soslan
era partito alla ricerca di un eroe più forte di lui, il wæjug lo
sconsiglia di procedere oltre e, a scopo educativo, racconta la sua storia:
«Ero il più giovane di sette fratelli e nostro padre era ancora vigoroso come un
cervo. Una volta, partimmo in spedizione, ma errammo a lungo senza trovare
nulla. Un giorno, dopo aver mangiato, vedemmo il cielo che si copriva e cominciò
a piovere. Mentre cercavamo un rifugio, tutti e otto, con i nostri cavalli,
scorgemmo una caverna. Vi entrammo. Poco dopo, guardando fuori, vedemmo lì
vicino un pastore che pascolava il suo gregge. Un dannato caprone si diresse
verso di noi e si strofinò contro la caverna, che cominciò a dondolare come una
culla: quel che avevamo preso per una caverna era il cranio di un cavallo. Il
pastore aveva un bel gridare: Vattene! Vattene! Il capro, indifferente,
continuava a grattarsi. Allora il pastore si arrabbiò e corse dalla nostra
parte. Il capro fuggì, ma il pastore ficcò il suo bastone nell'orbita del
cranio, lo sollevò e lo lanciò. Il cranio volò per aria e urtò il corno del
dannato capro. Naturalmente cavalli e uomini caddero. Per disgrazia il pastore
ci vide. Uccise mio padre, uccise i miei sei fratelli, a me non strappò che un
braccio e mi lasciò lì. Avevo inoltre perduto un occhio. Questa è la nostra
avventura. Da allora non sono mai più alla ricerca di qualcuno più forte di me.» |
Narty kaǯǯitæ |
Il lettore riconoscerà agevolmente tutti i motivi che abbiamo fin qui
analizzato, a partire dal gioco di proporzioni, che il racconto
ossetico porta avanti come in un labirinto di specchi, come per dire che, per quanto un
eroe sia forte e potente, troverà sempre qualcuno ancora più forte e potente di
lui. I già imponenti wæjug che scambiano il cranio di un gigantesco
cavallo per una caverna in fondo non sono diversi da Þórr e
i suoi compagni che si rifugiano nel guanto di
Skrýmir, scambiandolo per una casa.
Le affinità tra il mito di Þórr e
Skrýmir e i suoi analoghi russi e caucasici non
sono certamente una novità, sebbene gli studiosi li abbiano spesso
sottovalutati. È indubbio che le biografie mitiche di Þórr
e di
Svjatogor presentino motivi caratteristici delle leggende caucasiche. La
celto-germanista Hilda Roderick Ellis Davidson si è interrogata sulle relazioni
tra miti scandinavi e caucasici (e dunque anche
sulle strane rassomiglianze tra lo scandinavo Loki
e il georgiano Amirani), concludendo che tali
leggende potessero essere arrivate dal Caucaso in Scandinavia grazie ai mercanti vichinghi che commerciavano con Bisanzio
(Ellis Davidson 1976 | Ellis Davidson 2011).
Effettivamente, l'imponente rete commerciale che i variaghi avevano stabilito
lungo le vie fluviali russe, dal Baltico al Mar Nero, potrebbe spiegare la diffusione di
diversi
motivi mitici attraverso la Russia, fino in Scandinavia. Ma la
spiegazione della Ellis Davidson stabilisce semplicemente un singolo
collegamento storico-geografico tra due mitemi posti a grande distanza
l'uno dall'altro. In realtà, molti motivi delle biografie mitiche del dio-tuono
o del titano incatenato si riscontrano in
un'area assai più vasta, che si stende dalla Scandinavia alla Grecia all'Īrān, segno di
una diffusione tanto più antica e radicata, certamente non spiegabile
semplicemente attraverso
i commerci alto-medievali dei variaghi. ②
|
Bibliografia
- ARNOLD Martin, Thor. Myth to Marvel.
Continuum International Publishing Group, London/New York 2011.
- BRANSTON Brian, Gods of the North. Thames & Hudson,
London 1955.
→ ID., Gli dèi del nord.
Mondadori, Milano 1991.
- CHARACHIDZÉ Georges [ŠARAŠIƷE Georgi], Prométhée ou
le Caucase, Flammarion, Parigi 1986. →
ID.,
Prometeo o il Caucaso. Feltrinelli, Milano
1988.
- CLEASBY Richard ~ VIGFÚSSON Guðbrandur, An
Icelandic-English Dictionary. Oxford, 1874.
- DOLFINI Giorgio [cura]: SNORRI Sturluson, Edda. Adelphi, Milano 1975.
- DUMÉZIL Georges, Légendes sur les Nartes.
Parigi, 1930.
- DUMÉZIL Georges, Les dieux des Germains.
Presses Universitaires de France, Paris 1959. → ID.,
Gli
dèi dei Germani. Adelphi, Milano 1974.
- DUMÉZIL Georges, Le livre des Héros. Légendes sur
les Nartes. In «Collection Unesco d'œuvres représentatives».
Unesco, Parigi, 1965.
→ ID., Il
libro degli eroi. Adelphi, Milano 1969.
- ELLIS DAVIDSON Hilda Roderick, The Viking Road to
Byzantium. Allen and Unwin, London 1976.
- ELLIS DAVIDSON Hilda Roderick, The Lost Beliefs of
Northern Europe. Routledge, London 2011.
- EYSTEINN Björnsson, Hymiskviða. Þórr dró
Miðgarðsorm. Reykjavík 2008.
- ISNARDI Gianna Chiesa [cura]: SNORRI Sturluson, Edda di Snorri, Rusconi, Milano 1975.
- ISNARDI Gianna Chiesa, I miti nordici.
Longanesi, Milano 1991.
- JÓNSSON Finnur, Sæmundar Edda. Reykjavík 1926.
-
MERIGGI
Bruno: Le byline. Canti popolari russi. Milano 1974.
- PARILOVA G.N. ~ SOJMONOV Aleksej Dmitrievič [cura], Byliny Pudožkogo kraja.
Petrozavodsk 1941.
-
PROPP
Vladimir Jakovlevič: Russkij geroičeskij ėpos. San
Pietroburgo 1958. → ID.:
L'epos eroico russo.
Newton Compton, Roma 1978.
- RYDBERG Viktor, Undersökningar i germanisk
mythologi. Adolf Bonnier, Stockholm 1886. → ID.,
Teutonic
Mythology. Gods and Goddesses of the Northland. Norrœna Society,
London 1889.
- SCARDIGLI Piergiuseppe ~ MELI Marcello [cura], Il
canzoniere Eddico. Garzanti, Milano 1992.
- SIMROCK Karl Joseph, Handbuch der Deutschen
Mythologie. Bonn 1855, 1869.
Iconografia
- BRANSTON Brian, Gods & Heroes from Viking Mythology, Eurobook,
London 1978.
→ ID., Dèi e eroi della mitologia
vichinga. Mondadori, Milano 1981.
- DAHN Felix ~ DAHN Therese, Walhall: Germanische
Götter- und Heldensagen. Für Alt und Jung am deutschen Herd erzählt.
Von R. Voigtländer, Kreuznach 1885.
- DAVEY Annette L., Old Tales and Legends for Young
People. London Literary Society, London 1886.
- KEARY Annie ~ KEARY Eliza, The Heroes of Asgard.
MacMillan
- MABIE Hamilton Wright, Norse Stories retold from
the Eddas. Mead Dodd, New York 1901.
- OEHLENSCHLÄGER Adam, Nordens Guder.
Copenhagen 1875-1877.
- WARNER Elizabeth, Heroes, Monsters and Other Worlds
from Russian Mythology. Eurobook, London 1985. → ID.,
Dèi, eroi e mostri dalla mitologia russa.
Mondadori, Milano 1985.
|
BIBLIOGRAFIA ► |
|