MITI

SLAVI
Russi

MITI SLAVI
SVAROGŬ E DAŽĬBOGŬ
LA LEGGE E IL FUOCO
Di due divinità, Svarogŭ e Dažĭbogŭ si diceva avessero regnato in tempi primordiali. Dèi legislatori, legati al mestiere di fabbro e al fuoco, alla luce e alla ricchezza.

 

Svarogŭ
Illustrazione di Andrej Klimenko (1956-)
MUSEO: [Klimenko]►

1 - SVAROGŬ E DAŽĬBOGŬ, ALLE ORIGINI DELLA CIVILTÀ... EGIZIANA

accontano alcuni cronisti, tramandando cronache trasmesse dagli Egiziani e dai Greci, che, dopo il Diluvio e la divisione delle lingue, cominciò a regnare prima di tutti Mestromŭ. Dopo di lui regnò Eremija, e dopo questo, Feostŭ.

Mestromŭ era colui che le Scritture chiamano Miṣraym, figlio di Ḥām, progenitore degli Egizi. Eremija i Greci lo chiamavano, nella loro lingua, Hērmês. Il suo successore Feostŭ era invece Hḗphaistos: però gli Egiziani lo chiamarono Svarogŭ e lo adorarono. Sotto il suo regno, caddero dal cielo delle tenaglie: gli uomini scoprirono come forgiare i metalli e fabbricarono delle armi. Prima di allora, infatti, si erano battuti soltanto con clave e pietre. Svarogŭ fu anche un grande legislatore: vietò per legge che le donne conducessero una vita promiscua, accoppiandosi con tutti, come avevano fatto fino ad allora, e stabilì la monogamia. I trasgressori, decretò, sarebbero stati gettati in una fornace arroventata.

Quando Svarogŭ morì, gli succedette suo figlio Solnce, cioè il sole (Hḗlios), detto Dažĭbogŭ. Questi riformò il calendario e seguì gli insegnamenti paterni, mantenendo un corretto e modesto stile di vita. Si narra che, scoprendo una donna sposata dare convegno a un altro uomo, Dažĭbogŭ la disonorò di fronte al popolo egiziano e fece decapitare il suo amante.

2 - I RUSSI, NIPOTI DI DAŽĬBOGŬ

e di Svarogŭ si perdono presto le tracce, sappiamo invece che Dažĭbogŭ era adorato dai nostri padri come un dio: nei tempi pagani il suo idolo si trovava, insieme agli altri, sulla collina di Boričevŭ, accanto al palazzo del gran principe di Kievŭ. Nei poemi, i Russi chiamavano sé stessi «nipoti di Dažĭbogŭ».

Poco sappiamo di questi antichi nomi che pure risuonarono devotamente sulla bocca dei nostri padri: Svarogŭ era forse un antico legislatore, come narrano le cronache greche, o un dio fabbro?

E Dažĭbogŭ era il dio del sole e della calura estiva, o forse, il dio che elargiva la ricchezza?

Sogno di Dažĭbogŭ
Illustrazione di Andrej Klimenko (1956-)
MUSEO: [Klimenko]►

3 - «E PREGANO IL FUOCO, CHIAMANDOLO SVAROŽIČĬ»

ome ancora oggi i contadini onorano le fiamme del focolare, non vi buttano cose sudice e impure, ed anzi, si rivolgono al fuoco dicendo: «batjuška, zar Fuoco, brucia tutte le mie preoccupazioni e miei dolori», così una volta i nostri antenati pregavano il fuoco sotto l'attizzatoio come fosse uno spirito, o un dio, e lo chiamavano Svarožičĭ.

Ma quelli erano tempi di dvoeverie, in cui era ancora diffusa la bicredenza. Nella traduzione russa di un'omelia di San Giovanni Crisostomo, si dice degli Slavi: «Credono in Svarožičĭ e in Ártemis

Ma chi era Svarožičĭ? Forse un vezzeggiativo, un diminutivo di Svarogŭ? O forse era suo figlio, e quindi da identificare con Dažĭbogŭ, altro dio legato al fuoco? Non lo sappiamo...

Sappiamo che presso i Leutici dell'Oder (una tribù slava del Baltico), in una città chiamata Radgost, si trovava un tempietto di legno sostenuto dalle corna di varie bestie. Sulle pareti esterne di questo tempio erano incise figure di dèi e dee, e nel suo interno si trovavano diversi idoli muniti di elmi e corazze. Di essi il primo si chiamava Swarożić (questo il nome locale di Svarožičĭ) ed era onorato dai pagani sopra tutti gli altri dèi. Il luogo era sede di un importante oracolo, e tutte le tribù slave vi si recavano per fare offerte e ottenere responsi. In certi giorni, gli venivano tributati dei sacrifici umani: un cristiano veniva catturato e immolato a Swarożić.

San Bruno riteneva che Swarożić avesse natura diabolica e, in una lettera che scrisse a Enrico II, del 1008, chiedeva: «Come possono andare d'accordo Zuarasic, il diavolo, e il vostro e nostro capo dei santi, Maurizio?»

Fonti

1 Iōánnēs Malálas: Chronographía [3.5.1] (traduzione russa)
Se pověsti vremjanĭnichŭ lětŭ (Codice Ipaziano) [6622/1114]
2 Se pověsti vremjanĭnichŭ lětŭ [6488/980]
Slovo o pŭlku Igorevě [40 | 48]
3 Slova i poučenija > Slovo Christoljubca
Slova i poučenija
> Slovo sv. Grigorija ob idolach
Slova i poučenija
> Slovo Ioanna Zlatousta
Thietmar: Chronicon [VI: 23]
Adamo di Brema: Gesta Hammaburgensis Ecclesiæ Pontificum [II: 18]
Helmond di Bosau: Chronica Slavorum [I: 21 | I: 52]

I - ANTICHI SOVRANI E LEGISLATORI NELLA CRONACA DI MALÁLAS

Un passo della Chronographía di Iōánnēs Malálas, una cronaca bizantina del VI secolo, descrive gli esordi della civiltà egiziana e i suoi primi sovrani. Primo a regnare in terra d'Egitto era stato Miṣraym, della stirpe di Ḥām, il biblico progenitore degli Egiziani (Bǝrēʾšîṯ [X:  | X: ]). Dopo di lui aveva regnato Hérmēs. Dopo, il trono era passato a Hḗphaistos, sovrano «bellicoso ma ingegnoso». Egli aveva introdotto una legge che vietava la promiscuità femminile e introduceva un severo regime monogamico per entrambi i sessi. Sotto il regno di Hḗphaistos erano cadute dal cielo delle tenaglie da fabbro, e gli uomini – che fino ad allora si erano combattuti con pietre e bastoni – avevano imparato a forgiare i metalli per fabbricare le armi.

«Dopo la morte di Hḗphaistos, suo figlio Hḗlios regnò sopra gli Egiziani per dodici anni e novantasette giorni», prosegue la cronaca di Malálas. Hḗlios fu un sovrano potente e cupido di gloria. Riformò il calendario egiziano e si adoperò per mantenere la morigeratezza di costumi che suo padre aveva imposto per legge. L'unico racconto che Malálas narra su Hḗlios, riguarda la crudele punizione inflitta a un'adultera e al suo amante. Dopo di lui – continua Malálas – regnarono sull'Egitto Sósis, Ósiris e Hṓros.

La cronaca di Malálas dipende da quella del sacerdote Manéthōn (III sec. a.C.). Il primo libro della perduta Aigyptiaká, nella versione armena di Eusebio, esordisce così: «Il primo uomo (o dio) in Egitto fu Hḗphaistos, assai famoso tra gli Egiziani per aver scoperto il fuoco. A suo figlio Hḗlios succedette Sósis, a questo, a sua volta, Krónos» (Aigyptiaká [1]). Si noti che sul Papiro di Torino, le divinità egiziane si succedono sul trono d'Egitto in maniera analoga, permettendoci di individuare le interprætationes græcæ di Manéthōn: Ptaḥ, Râ‛, Šu, Gebb, Ûsir, Ḥûr, etc. Nella sua versione, Malálas salta Krónos/Gebb, ma premette alla lista Miṣraym (conformandosi così al dettato biblico) e poi Hérmēs, che probabilmente è da identificare con Thṓth/Ḏḥûti.

Nella traduzione russa della Chronographía, piuttosto libera e interpolata, i personaggi della cronaca di Malálas vengono sottoposti a una ulteriore interpretazione, questa volta con divinità slave:

По умрьтвии же Феостовъ егож и Сварога наричить и царствова сынъ его именем Солнце, егож наричуть Дажьбог. Солнцеже царь сынъ Сварогов еже есть Дажьбог. Po umrĭtvii že Feostovŭ egož i Svaroga naričitĭ i carstvova synŭ ego imenem Solnce, egož naričutĭ Dažĭbog. Solnceže carĭ synŭ Svarogov eže estĭ Dažĭbog. Dopo la morte di Feostŭ [Hḗphaistos] detto Svarogŭ, regnò suo figlio Solnce [il «Sole», Hḗlios] detto Dažĭbogŭ. Re Solnce figlio di Svarogŭ, è questi Dažĭbogŭ.
Iōánnēs Malálas: Chronographía [3.5.1] (traduzione russa)

E riprendendo di pari passo il Malálas russo,  il Codice Ipaziano della Se pověsti vremjanĭnichŭ lětŭ, la «Cronaca degli anni passati», narra daccapo tutte le origini del regno egiziano, insistendo sulle interpretazioni slave. Riportiamo il raro brano per intero:

И бысть по потопѣ и по раздѣленьи языкъ, поча царьствовати пѣрвое Местромъ отъ рода Хамова, по немь Еремия, по немь Феоста, иже и Саварога нарекоша Егуптяне. Царствующю сему Феостѣ въ Егуптѣ, въ время царства его, спадоша клѣщѣ съ небесѣ, нача ковати оружье, прѣже бо того палицами и камениемь бьяхуся. Тъ же Феоста законъ устави женамъ за единъ мужь посагати и ходити говеющи, а иже прелюбы дѣющи казнити повелѣваше, сего ради прозваше и богъ Сварогъ, преже бо сего жены блудяху, к нему же хотяше, и бяху акы скотъ блудяще; аще родяшеть дѣтищь, который ѣй любъ бываше дашеть; се твое дѣтя, онъ же створяше празнество приимаше. Феость же сий законъ расыпа, и въстави единому мужю едину жену имѣти, и женѣ за одинъ мужь посагати, аще ли кто переступить, да ввергуть и в пещь огнену. Сего ради и прозваша и Сварогомъ и блажиша и Егуптяне. И по семъ царствова сынъ его, именемъ Солнце, егоже наричють Дажьбогъ, семъ тысящь и 400 и семъдесять дни, и яко быти лѣтома двемадесятьмати по лунѣ, видяху бо Егуптяне инии чисти, ови по лунѣ чтяху, а друзии... деньми лѣть чтяху, двою бо надесять мѣсяцю число потомъ увѣдаша, отнележе начаша человѣци дань давати царямъ. Солнце царь, сынъ Свароговъ, еже есть Дажьбогъ, бѣ бо мужь силенъ, слышавше нѣ отъ кого жену нѣкую отъ Егуптянинъ богату и всажену сущю, и нѣкоему въсхотѣвшю блудити с нею, искаше ся яти ю хотя, и не хотя отца своего закона расыпати Сварожа, поемъ со собою мужь нѣколко своихъ, разумѣвъ годину, егда прелюбы дѣеть нощью припаде на ню, не удоси мужа с нею, а ону обрѣте лежащю съ инѣмъ, с нимъже хотяше, емъ же ю и мучи и пусти ю водити по земли у коризнѣ, а того любодѣйца усѣкну; и бысть чисто житье по всей земли Егупетьской и хвалити начаша. Но мы не предложимъ слова, но рцѣмъ съ Давыдомъ: вся елико въсхотѣ и створи Господь на небеси и на земли, в мори въ всихъ безнахъ, възводяй облакы отъ послѣднихъ земли. Се бо и бысть послѣдняя земля, о нейже сказахомъ первое.

I bystĭ po potopě i po razdělenĭi jazykŭ, poča carĭstvovati pěrvoe Mestromŭ otŭ roda Chamova, po nemĭ Eremija, po nemĭ Feosta, iže i Savaroga narekoša Eguptjane. Carstvujuščju semu Feostě vŭ Eguptě, vŭ vremja carstva ego, spadoša klěščě sŭ nebesě, nača kovati oružĭe, prěže bo togo palicami i kameniemĭ bĭjachusja. Tŭ že Feosta zakonŭ ustavi ženamŭ za edinŭ mužĭ posagati i choditi govejušči, a iže preljuby dějušči kazniti povelěvaše, sego radi prozvaše i bogŭ Svarogŭ, preže bo sego ženy bludjachu, k nemu že chotjaše, i bjachu aky skotŭ bludjašče; ašče rodjašetĭ dětiščĭ, kotoryj ěj ljubŭ byvaše dašetĭ; se tvoe dětja, onŭ že stvorjaše praznestvo priimaše. Feostĭ že sij zakonŭ rasypa, i vŭstavi edinomu mužju edinu ženu iměti, i ženě za odinŭ mužĭ posagati, ašče li kto perestupitĭ, da vvergutĭ i v peščĭ ognenu. Sego radi i prozvaša i Svarogomŭ i blažiša i Eguptjane. I po semŭ carstvova synŭ ego, imenemŭ Solnce, egože naričjutĭ Dažĭbogŭ, semŭ tysjaščĭ i 400 i semŭdesjatĭ dni, i jako byti lětoma dvemadesjatĭmati po luně, vidjachu bo Eguptjane inii čisti, ovi po luně čtjachu, a druzii... denĭmi lětĭ čtjachu, dvoju bo nadesjatĭ měsjacju čislo potomŭ uvědaša, otneleže načaša čelověci danĭ davati carjamŭ. Solnce carĭ, synŭ Svarogovŭ, eže estĭ Dažĭbogŭ, bě bo mužĭ silenŭ, slyšavše ně otŭ kogo ženu někuju otŭ Eguptjaninŭ bogatu i vsaženu suščju, i někoemu vŭschotěvšju bluditi s neju, iskaše sja jati ju chotja, i ne chotja otca svoego zakona rasypati Svaroža, poemŭ so soboju mužĭ několko svoichŭ, razuměvŭ godinu, egda preljuby děetĭ noščĭju pripade na nju, ne udosi muža s neju, a onu obrěte ležaščju sŭ iněmŭ, s nimŭže chotjaše, emŭ že ju i muči i pusti ju voditi po zemli u korizně, a togo ljubodějca usěknu; i bystĭ čisto žitĭe po vsej zemli Egupetĭskoj i chvaliti načaša.

Dopo il Diluvio e la divisione delle lingue, cominciò a regnare prima di tutti Mestromŭ [Miṣraym], della stirpe di Xam [Ḥām], dopo di lui Eremija [Hérmēs], dopo questo Feostŭ [Hḗphaistos], che gli  Egiziani chiamarono anche Svarogŭ. Mentre Feostŭ regnava sull'Egitto, caddero dal cielo delle tenaglie, e la gente cominciò a forgiare armi, mentre prima di allora avevano combattuto solo con clave e pietre. Feostŭ promulgò la legge, secondo la quale una donna avrebbe dovuto sposare un solo uomo e osservare il digiuno, e ordinò ci punire coloro che commettevano adulterio. Perciò lo chiamarono Svarogŭ. Precedentemente le donne si accoppiavano con chi volevano, e si accoppiavano come bestie. Se avevano dei figli, lo donavano a chi volevano: «Ecco, questo è tuo figlio», e quelli, accettandolo, facevano festa. Feostŭ abolì questa usanza e dispose che ogni uomo avrebbe dovuto avere una sola donna, e ogni donna avrebbe potuto sposare un solo uomo; se qualcuno avesse trasgredito a questa legge, sarebbe stato gettato nella fornace ardente. Perciò gli Egiziani lo chiamarono Svarogŭ e lo adorarono. Dopo di lui, regnò suo figlio Solnce  [Hḗlios] detto Dažĭbogŭ. Egli regnò settemila quattrocento anni e settanta giorni, cioè venti anni e mezzo. Gli Egizi non sapevano contare diversamente; contavano secondo la luna, mentre gli altri [contavano] i giorni dell'anno; più tardi ebbero la nozione del tempo nei dodici anni, dal tempo in cui gli uomini avevano cominciato a pagare il tributo al re [car']. Re Solnce, figlio di Svarogŭ, cioè Dažĭbogŭ, era un uomo forte: aveva udito di una certa donna egiziana ricca e nota, e di un certo uomo che avrebbe voluto unirsi a lei. Andò in cerca di costei, volendo averla per sé e non volendo trasgredire la legge del padre suo, Svarogŭ. Avendo avuto sentore dell'ora in cui ella avrebbe commesso adulterio, prese con sé alcuni uomini e capitò da lei di notte. Non trovò il marito di lei, ma lo trovò con un altro che ella amava. Presala, la seviziò e la lasciò andare disonorata per la terra. E decapitò l'adultero. E si visse una vita casta in tutta la terra egizia, e presero a lodarlo.
Se pověsti vremjanĭnichŭ lětŭ (Codice Ipaziano) [6622/1114]

In passato, alcuni eminenti autori si siano basati su questo brano per «ricostruire» una supposta mitologia slava. Ad esempio, lo storico Boris Aleksandrovič Rybakov, agguerrito nazionalista, vi ha voluto vedere un antico mito russo delle età del mondo, ripartito più o meno in questo modo:

  1. un'epoca primitiva, priva di tecniche, leggi e costumi sociali;
  2. l'eta di Svarogŭ, in cui gli uomini cominciano a lavorare i metalli e stabiliscono la famiglia monogamica;
  3. l'eta di Dažĭbogŭ, in cui emerge lo stato. (Rybakov 1981)

Sfortunatamente per Rybakov, la leggenda riportata da Malálas non ha assolutamente nulla di slavo: i copisti russi si limitarono a inserire delle interpolazioni, identificando rispettivamente – forse a scopo esplicativo – Hḗphaistos ed Hḗlios con Svarogŭ e Dažĭbogŭ. Detto questo, il testo potrebbe ancora esserci utilissimo, se solo riuscissimo a comprendere le ragioni che sono dietro alle equazioni operate dai traduttori russi.

Dunque, perché i compilatori delle cronache identificarono Hḗphaistos con Svarogŭ e Dažĭbogŭ con Hḗlios? L'associazione fu fatta in virtù di qualche analogia della coppia di dèi russi con i corrispettivi greci? Se così fosse, dovremmo aspettarci uno Svarogŭ dio del fuoco, fabbro e artefice divino, e un Dažĭbogŭ dal carattere luminoso e solare. Peccato che, nel testo di Malálas, Hḗphaistos viene detto essere una sorta di sovrano e legislatore primordiale, mentre niente del genere si può dire per il dio-fabbro greco, mentre Hḗlios sembra impegnato soprattutto nel perseguire la punizione di due adulteri, non avendo peraltro nulla del dio-sole ellenico. I traduttori russi, nell'operare le loro identificazioni, si rifecero al carattere delle due divinità greche, o al loro ruolo nel testo di Malálas?

Altri studiosi hanno suggerito che, nello stabilire la loro equazione, i cronisti russi abbiano semplicemente scelto due divinità che fossero tra loro in relazione di padre e figlio, così come Hḗphaistos ed Hḗlios nel testo di Malálas (ma non nella mitologia greca!). Ne risulterebbe che, nell'antica mitologia slava, Svarogŭ sarebbe stato il padre di Dažĭbogŭ, ipotesi che non aiuta affatto a decifrare il carattere delle due divinità. È anzi assai probabile che nell'attribuire alle divinità un rapporto di padre e figlio, il traduttore russo abbia seguito troppo alla lettera il testo di Malálas.

La cosa più ragionevole, sicuramente, è di non insistere troppo sull'assimilazione operata dai cronisti russi: si ha la netta impressione che, cercare nel carattere delle divinità greche (Hḗphaistos ed Hḗlios) una descrizione di quelle slave (Svarogŭ e Dažĭbogŭ) sia impresa fuorviante. È evidente che già Malálas, nell'originale greco, recuperava dei nomina divina del mondo classico impiegandoli in ruoli che ad essi poco competevano, sostituendoli a nomi di originali divinità egiziane. I traduttori russi associarono a loro volta ai nomi greci quelli di antiche divinità slave... ma di nuovo, secondo quali criteri?

La presenza di Svarogŭ nella traduzione del Malálas, potrebbe in effetti avere delle diverse giustificazioni: forse Svarogŭ fu il sovrano di un'età primordiale e un mitico legislatore? oppure fu un dio fabbro o un dio del fuoco, com'era Hḗphaistos secondo il mito greco (ma non secondo Malálas)? oppure fu il padre del dio-sole slavo e in questo caso si spiegherebbe il rapporto di paternità con Dažĭbogŭ? Quello che sarebbe importante sapere – e che purtroppo ci sfugge – furono proprio i criteri con cui furono operate queste assimilazioni.

II - SVAROGŬ: ANALISI ETIMOLOGICA

Il teonimo antico-russo Svarogŭ sembra sia connesso con la radice sanscrita var- «avvolgere, legare», la stessa che si trova nel nome del dio vedico Varuṇa. Il teonimo verrebbe dunque a significare qualcosa come «colui che lega» o «colui che avvolge». Si è pure ipotizzato un legame col sanscrito svarga «cielo luminoso», il che ricondurrebbe il nostro personaggio alla sfera degli dèi celesti. Si è anche pensato a un legame con il russo svarščik «fabbro», cosa che darebbe una ragione alla sua identificazione con Hḗphaistos.

Ma per spiegare il nome Svarogŭ sono stati anche chiamati in causa l'indoeuropeo *SWĒL- «sole», anche con la mediazione dell'avestico xvarə «sole», facendo di Svarogŭ un dio solare; il russo svara «lotta», come se fosse stato un dio della guerra; il sanscrito svarāj- «autogoverno», conferendogli un carattere regale; il sanscrito īśvara, epiteto di Śiva, come se Svarogŭ fosse stato visto come un essere supremo nell'antica mitologia slava (Unbegaun 1948). Queste etimologie appaiono tuttavia meno probabili.

Svarogŭ
Illustrazione di Viktor Anatol'evič Korol'kov (1958-2004)

III - SVAROGŬ: LE INTERPRETAZIONI

Altrettanto complessa l'interpretazione della fisionomia e del carattere del dio. Le ipotesi più plausibili sono riconducibili a quattro possibilità:

1. Svarogŭ è un dio del fuoco, con caratteristiche di forgeron. Vale qui l'identificazione con Hḗphaistos, operata dai traduttori russi di Malálas, giustificata da un legame – forse solo paraetimologico – con il russo svarščik «fabbro». A sostegno di questa ipotesi può essere fatta valere la possibile identificazione del nome di Svarogŭ con quella del dio del fuoco Svarožičĭ. In tal caso, Svarogŭ si inquadrerebbe nel mitologema del dio artefuce, come il dio greco Hḗphaistos o l'indiano Tvaṣṭṛ.

2. Svarogŭ è un legislatore primordiale. Viene qui fatta valere, seppure in senso diverso, l'identificazione operata dai traduttori russi di Malálas, che avrebbero visto Svarogŭ nell'antico re egiziano che introdusse la monogamia al posto della poliandria. Se questo è vero, Svarogŭ potrebbe essere avvicinato, fatte le dovute cautele, a un personaggio affine al Varuṇa vedico. A sostegno di questa teoria si ha la possibile corradicalità dei nomi delle due divinità.

3. Svarogŭ è un dio-cielo, con caratteristiche varuṇiche e/o uraniche. I fautori di questa ipotesi si basano sulla possibile etimologia di Svarogŭ col sanscrito svarga «cielo». Questa interpretazione viene in genere fatta avvalorare dagli studiosi sul principio che non si conosce un dio-cielo nella mitologia russa mentre esso è presente nella mitologia baltica.

4. Viceversa, secondo altri studiosi, il nome di Svarogŭ sarebbe del tutto da escludere dal pantheon paleorusso. A favore dei sostenitori di questa ipotesi vi è innanzitutto il fatto che il nome di Svarogŭ non è contemplato nel «Canone di Volodimirŭ». Secondo Pisani il nome stesso del dio è il risultato di un errore dei copisti del Malálas, ragione per cui il dio andrebbe bandito dalla mitologia slava (Pisani 1949) [infra]. Altri autori sono meno drastici: una volta identificato con  Svarožičĭ, considerato niente più dello spirito del fuoco, Svarogŭ verrebbe ad appartenere tutt'al più al livello inferiore del sistema mitologico slavo (Michailov 1995).

IV - SVAROGŬ: SUPREMITÀ COSMICA?

Non pretendiamo qui di risolvere il problema rappresentato da Svarogŭ: d'altronde qualunque cosa si possa suggerire al riguardo, data la scarsità e la cattiva qualità delle fonti a nostra disposizione, rimarrà soltanto una teoria. Quanto segue è semplicemente un'ipotesi di lavoro basata sul fatto che il mitologema di un re e legislatore primordiale non è incompatibile con quello di un dio uranico.

Come detto, questa interpretazione viene in genere fatta avvalorare dagli studiosi sul principio che non si conosce un dio-cielo nella mitologia russa mentre esso è ben presente nella mitologia baltica. Si tratta del dio che le dainas lituane e lettoni chiamano Diēvs e presentano con spiccati caratteri odinici. Come abbiamo detto, una delle possibile etimologie del nome di Svarogŭ lo riconnetterebbe al termine sanscrito svarga «cielo luminoso», giustificando appunto l'appartenenza di Svarogŭ a tale mitologema.

Svarogŭ
Illustrazione di Viktor Križanovskij

Una così vaga etimologia non basta, purtroppo, a confermare una simile classificazione per Svarogŭ. Questa però non è colpa degli studiosi, ma del fatto che ne sappiamo troppo poco e da qualche parte bisogna pure cominciare, fosse anche da un'etimologia alquanto incerta.

Ma facciamo un po' d'ordine. Nelle mitologie indoeuropee sembrano esistere due tipi diversi di divinità celesti. Vi è innanzitutto un dio-cielo, spesso riconoscibile dall'etimologia del nome, in quanto i suoi esiti derivano da un antico *DʲĒW- «cielo» indoeuropeo, spesso accompagnato dalla specificazione *PHTER «padre». Abbiamo così Dyauṣ Pitār in India, Zeús Patḗr in Grecia, Iūppiter a Roma. L'immagine di questa divinità sembra essere l'incarnazione del cielo nel suo aspetto diurno e luminoso. Ma gli esiti che abbiamo elencato sono tutti più o meno trasfigurati: Dyauṣ Pitār è quasi scomparso dalla mitologia, Zeús ha assorbito i tratti temporaleschi delle divinità semitiche, Iūppiter ha mantenuto un carattere celeste, pur assorbendo la mitologia del suo omologo greco. Ⓐ

Da un *DEJW- «celeste», formazione aggettivale della precedente radice, è derivato il termine per «dio» in molte lingue indoeuropee (cfr. sanscrito deva, iranico daēva, latino deus, norreno pl. tívar). Questo termine si è ipostasizzato, a volte, nel nome di specifiche divinità: il Tīwaz/Týr germanico, o il baltico Diēvs. Ma in questi ultimi casi, trattandosi di individuazioni particolari di un sostantivo generale, non si tratta necessariamente di figure omologhe al mitema del dio-cielo. Ⓑ

Sembra poi vi fosse, nei panthea indoeuropei, un dio del cielo cosmico e notturno, dai tratti piuttosto inquietanti. La sua incarnazione più nota sembra essere il Varuṇa vedico: un dio legislatore, guardiano dell'ordine universale e signore della sapienza magica. Georges Dumézil lo ha associato, almeno sul piano analogico, all'Óðinn norreno, ma il suo nome deriva dalla radice sanscrita var- «avvolgere, legare», con forse sottesa l'idea del cielo che avvolge il mondo. I primi indoeuropeisti proposero una possibile parentela etimologica tra il vedico Varuṇa e l'Ouranós greco. Purtroppo tale parentela non solo non è stata mai completamente accettata, ma anzi, ha perso di credibilità al vaglio della critica più recente. Ricordiamo questo punto per dovere, ma ci preme aggiungere che, nonostante le perplessità dei filologi, tra i mitologi non si è mai spenta del tutto la sensazione che possa comunque sussistere un'omologia tra il dio vedico e il dio greco.

Ora nello sviluppo della mitologia greca, dovuto soprattutto al magistero dell'interpretazione esiodea, la figura greca di Ouranós si è modellata sull'immagine dell'Anu mesopotamico, distaccandosi dall'archetipo indoeuropeo. Invano cercheremo in Ouranós dei tratti che lo avvicinino a Varuṇa. Rimane tuttavia l'idea di un Ouranós quale sovrano di una generazione di divinità primordiali, così come Varuṇa era il primo degli Asura, gli dèi antichi del pantheon indiano. ①

Ora, che cosa sappiamo di Svarogŭ? Come abbiamo detto, l'etimologia più probabile del suo nome lo riconnette alla radice sanscrita var- «avvolgere, legare», la stessa che si trova (forse) nel nome di Varuṇa e (forse) in Ouranós. Sappiamo che Svarogŭ – almeno secondo il Malálas russo – fu un antico sovrano e legislatore. Ouranós fu il primo sovrano dell'universo nel mito esiodeo, Varuṇa è il legislatore del pantheon vedico. Tutti e due, in qualche modo, sono legati al cielo cosmico e notturno: Varuṇa è signore del firmamento notturno (in seguito trasformato in dio dell'oceano, inteso però come oceano cosmico), Ouranós com'è noto è il cielo personificato, il quale, dice Esiodo, avvolge la terra portando la notte stellata. ②

Se quanto detto è possibile, si potrebbe ipotizzare per Svarogŭ il carattere di un dio antico, sovrano di un'età primordiale e legislatore della prima età dell'uomo. Ma ci stiamo muovendo su un terreno particolarmente infido.

Secondo Vyncke, Svarogŭ, in qualità di «colui che lega», verrebbe ad essere il dio che sancisce le istituzioni del clan e conferma gli impegni presi dai membri di questo. Questa funzione divina troverebbe la sua espressione mitica nella figura del fabbro che salda gli oggetti sul fuoco (Vyncke 1970). Forse stiamo spingendo le metafore oltre il consentito, ma a questo punto non si può fare a meno di pensare al misterioso «fabbro del destino [Kuznec Sud'by], presente in una bylina del ciclo di Svjatogor, il quale ci permetterebbe appunto di associare il carattere di Svarogŭ quale legislatore e la sua identificazione con Hḗphaistos. Altro, purtroppo, non possiamo aggiungere.

Radice: [*DʰEGʷʰ-]
Radice: [*BʰAG-]

 

Studi: [La separazione del cielo e della terra]
Saggi: [Ouranós e Gê > La separazione del cielo e della terra]

V - PRESENZA DI DAŽĬBOGŬ NELLE FONTI ANTICHE

Poche e laconiche le fonti che trattano di Dažĭbogŭ, attestato perlopiù nelle forme paleorusse Dažĭbogŭ e Daždĭbogŭ. Vi è innanzitutto, come abbiamo visto, la traduzione russa della Chronographía di Malálas, a cui si affianca la citazione del Codice Ipaziano del Se pověsti vremjanĭnichŭ lětŭ [6622/1114], nella quale Dažĭbogŭ viene identificato con il sole Hḗlios e si dice avrebbe regnato sugli Egiziani alla morte di suo padre Svarogŭ [supra].

Il nome di Dažĭbogŭ compare anche nel «Canone di Volodimirŭ» tra le sei divinità i cui idoli il gran principe aveva fatto erigere sul colle di Boričevŭ in Kievŭ.

И нача княжити Володимеръ въ Киевѣ единъ, и постави кумиры на холму внѣ двора теремнаго: Перуна древяна, а главу его сребрену, а усъ златъ, и Хърса, Дажьбога, и Стрибога и Симарьгла, и Мокошь. I nača knjažiti Volodimerŭ vŭ Kievě edinŭ, i postavi kumiry na cholmu vně dvora teremnago: Peruna drevjana, a glavu ego srebrenu, a usŭ zlatŭ, i Chŭrsa, Dažĭboga, i Striboga i Simarĭgla, i Mokošĭ. E cominciò a regnare Volodimirŭ in Kievŭ, da solo, ed eresse simulacri sulla collina che si trovava dietro il terem: di Perunŭ in legno, con la testa d'argento e i baffi d'oro, e di Chŭrsŭ, di Dažĭbogŭ, e di Stribogŭ, e di Simarĭglŭ, e di Mokošĭ.
Se pověsti vremjanĭnichŭ lětŭ [6488/980]

Infine, nello Slovo o pŭlku Igorevě, il celebre «Cantare delle gesta di Igorĭ», i Russi vengono chiamati in due occasioni «nipoti di Dažĭbogŭ» [Daž(d)ĭboža vnuka], sottintendendo forse che che un'altra funzione di questo dio era di proteggere gli Slavi di cui veniva considerato il divino capostipite:

Тогда при Олзѣ Гориславличи сѣяшется ирастяшеть усобицами; погыбашеть жизнь Даждь-Божа внука, въ княжихъ крамолахъ вѣци человѣкомъ скратишась... Togda pri Olzě Gorislavliči sějašetsja irastjašetĭ usobicami; pogybašetĭ žiznĭ Daždĭ-Boža vnuka, vŭ knjažichŭ kramolachŭ věci čelověkomŭ skratišasĭ... Al tempo di Olegŭ figlio di Amara Gloria, si seminavano e crescevano le discordie, periva la potenza dei nipoti di Dažĭbogŭ e nelle contese dei principi si accorciava la vita alla gente.
Slovo o pŭlku Igorevě [40]
Уже бо братіе невеселая година въ стала, уже пустыни силу прикрыла; въстала обида въ силахъ Дажь-Божа внука... Uže bo bratіe neveselaja godina vŭ stala, uže pustyni silu prikryla; vŭstala obida vŭ silachŭ Dažĭ-Boža vnuka... Perché ormai, o fratelli, è sorto il tempo del dolore e la steppa ha sopraffatto le schiere! Perché la sconfitta si è levata sulle le schiere del nipote di Dažĭbogŭ...
Slovo o pŭlku Igorevě [48]

Entrambi i brani si riferiscono a una fase di decadenza del popolo russo. Il primo si affligge poiché le discordie interne dei principi hanno portato pianto e povertà sulla terra di Rus', il secondo perché la brama di gloria del principe Igorĭ ha portato le genti russe alla sconfitta. Ci si può chiedere perché Dažĭbogŭ venga citato proprio in tali contesti. A meno che il dio non venga chiamato in causa semplicemente per via della metafora poetica, come la maggior parte degli studiosi sembra ritenere, dobbiamo pensare che, richiamando l'immagine del dio quale progenitore e fondatore del popolo russo, si voglia mostrare per contrasto la corruzione e l'avidità con la quale i principi sono riusciti a corrompere il paese.

Che Dažĭbogŭ fosse popolare anche in altre aree del mondo slavo sembra attestato da alcuni toponimi come il monte Dajbog in Serbia e le località polacche di Daczbogy e Daźbóg (Michajlov 1995). In Polonia è registrato anche un cognome Daćbog (Unbegaun 1948).

Gloria di Dažĭbogŭ (1992)
Illustrazione di Boris Ol'šanskij (1956-)
MUSEO: [Ol'šanskij]►
VI - DAŽĬBOGŬ: ANALISI ETIMOLOGICA: DIO DEL SOLE O DIO DEGLI INFERI?

Dažĭbogŭ
Illustrazione di Viktor Anatol'evič Korol'kov (1958-2004)

Sono state suggerite due interpretazioni alternative della figura di Dažĭbogŭ, secondo le due etimologie principali proposte per spiegare della prima parte del suo nome.

Secondo la prima interpretazione, la prima parte del teonimo, dažĭ-, risalirebbe a un *dagjo- «fiamma» (cfr. antico slavo žeštĭ, polacco żgę, russo sžigat' «bruciare; e ancora prussiano dagis «estate», lettone degt, lituano dègti «bruciare»). La parola deriva a sua volta dalla radice indoeuropea *DʰEGʷʰ- «bruciare» (cfr. sanscrito dāha «calore»; avestico dažaiti «bruciare»; greco téphra «cenere»; latino fovēre «scaldare»; gotico dags, anglosassone dæġ e norreno dagr «giorno») Ⓐ. (Korš 1909 | Pisani 1949)

Secondo questa etimologia, Dažĭbogŭ verrebbe ad essere il «dio che brucia». Dunque un dio del sole e della calura estiva. Si tratta di un'interpretazione naturalistica, come ne andavano di moda ai primi del Novecento, in questo caso sorretta dalla traduzione russa del Malálas, nella quale Dažĭbogŭ viene identificato con il dio-sole Hḗlios. Questa è anche l'immagine del dio che è riportata nella maggior parte dei testi divulgativi.

L'ipotesi alternativa fa invece risalire la prima parte del teonimo alla forma verbale dažĭ, imperativo di dati «dare, donare». Dažĭbogŭ verrebbe così ad essere il «dio che dà la ricchezza», un nume della terza funzione, elargitore di ricchezza e di fecondità. Ricordiamo anche che il termine slavo bogŭ «dio» deriva da una radice indoeuropea *BʰAG- dal significato originale di «distribuire, ripartire» (cfr. sanscrito bhaga «signore, elargitore», antico persiano baγa «dio»; ma anche greco phageîn «mangiare»), con correlazione al concetto di spartizione della ricchezza (cfr. paleoslavo bogatŭ > russo bogatyj «ricco») Ⓑ. (Vyncke 1970 | Boyer 1981)

I fautori di questi ipotesi hanno richiamato l'attenzione sul «re della terra» [car zemlje] di una fiaba serba raccolta nel XIX secolo, un personaggio dal carattere ctonio chiamato Dabog (e Daba in serbo è uno dei nomi eufemistici di đavo, il diavolo) (Michajlov 1995). Il classicista serbo Veselin Čajkanović (1881-1946), nel suo tentativo di ricostruire il pantheon slavo-meridionale, riteneva addirittura che Dabog ne fosse stato il dio supremo. «Quando gli antichi dèi sono stati privati di ogni potere ed eliminati dal vecchio pantheon sotto la pressione del cristianesimo, solo Dabog [...] funge da divinità uguale a Dio e con lo stesso potere di Dio. Nel raggiungere questo grado, Dabog è stato aiutato dalla circostanza che egli era stato un dio nazionale, generatore dell'intero popolo». Čajkanović sosteneva che molti caratteri di Dabog fossero passati ai santi cristiani: San Giovanni [Sveti Jovan], San Giorgio [Sveti Đorđe], Sant'Arcangelo [Sveti Arkanđeo], San Nicola [Sveti Nikola], San Mrata [Sveti Mrata] e soprattutto San Saba [Sveti Sava], fondatore della chiesa autocefala serba, la cui biografia è in gran parte leggendaria. Ed è appunto sulla mitologia di costoro che Čajkanović partiva per reinventarsi la fisionomia del presunto dio supremo Dabog. (Čajkanović 1941). Ed era un personaggio composito, quello che emergeva dai suoi appassionati studi: dio supremo, sì, ma dal carattere ctonio, progenitore del popolo serbo, signore delle ricchezze della terra e re dei morti.

Purtroppo, la ricostruzione di Čajkanović risponde più a necessità nazionalistiche che filologiche, e il personaggio da lui delineato esiste solo nella mente del suo autore. Dabog rimane il protagonista di una singola fiaba, peraltro tarda e isolata, e qualsiasi collegamento con leggende citate nelle locali leggende agiografiche, appare forzato e pretestuoso. Un possibile legame con Dažĭbogŭ rimane un'ipotesi assolutamente improponibile (Unbegaun 1948).

Radice: [*DʰEGʷʰ-]
Radice: [*BʰAG-]

VII - ALTRE INTERPRETAZIONI DELLA FIGURA DI DAŽĬBOGŬ

Nikos Čausidis accoglie senz'altro l'ipotesi di Dažĭbogŭ quale divinità infera. Secondo l'ipotesi di questo studioso, il racconto di Malálas di Dažĭbogŭ quale successore di Svarogŭ sarebbe di origine iranica e più precisamente andrebbe fatto risalire alle concezioni teologiche dello Zərvanismo. Secondo questa tarda corrente del mazdeismo, da Zərvan Akaranak, il tempo infinito, sarebbero discesi Ahura Mazdāh e Aṅra Mainyu, il dio e l'anti-dio, il cui terreno di opposizione sarà l'universo e la cui battaglia sarà la storia. Secondo Čausidis, Svarogŭ corrisponderebbe a Zərvan. Invece Dažĭbogŭ ed Hḗlios, che nella traduzione russa del Malálas sono identificati l'uno con l'altro, andrebbero tenuti ben distinti: in particolare, Hḗlios sarebbe da identificare con Ahura Mazdāh, e Dažĭbogŭ, tornato ad essere un dio infernale, sarebbe da associare ad Aṅra Mainyu (Čausidis 2000).

Dažĭbogŭ
Illustrazione di Viktor Križanovskij

Ora, anche se vi sono delle sicure attinenze tra mitologia slava e iranica, l'ipotesi di Čausidis pecca per eccesso di fantasia. Innanzitutto il racconto di Zərvan Akaranak non è un mito quanto piuttosto una tarda speculazione teologica del mazdeismo. Che la teoria di Čausidis consideri un errore l'identificazione tra Hḗlios e Dažĭbogŭ, possiamo considerarla un'ipotesi di lavoro, tanto più che le identificazioni del traduttore di Malálas sono molto discutibili: ma Čausidis arriva a porre Hḗlios e Dažĭbogŭ in opposizione antinomica, sulla scolta dell'opposizione iranica di Ahura Mazdāh e Aṅra Mainyu. Questa è un'interpretazione che esula dai dati a nostra disposizione: non solo non spiega ciò che conosciamo, ma inventa un mito di cui non si ha traccia. In più Dažĭbogŭ non è più una semplice divinità ctonia, ma, quale versione slava dell'antidio iranico, viene caricato di assoluti connotati negativi.

Altri studiosi, sulla linea di Georges Dumézil, sono partiti dall'interpretazione secondo la quale Svarogŭ sarebbe omologo al vedico Varuṇa, e hanno proposto – immancabilmente – di fare di Dažĭbogŭ un dio omologo a Mitra. È noto, dai rigorosi studi duméziliani, come nel sistema teologico vedico, Mitra e Varuṇa formassero una coppia di dèi appartenenti alla prima funzione, legati alle legge e ai giuramenti, strettamente uniti nelle invocazioni e rapportati in una sorta di opposizione complementare. Secondo i funzionalisti, anche Svarogŭ e Dažĭbogŭ verrebbero a formare una coppia omologa a quella vedica: due divinità strettamente unite, di cui Svarogŭ rappresenterebbe il lato magico, terrifico, oscuro, e Dažĭbogŭ il lato giuridico, conciliante, luminoso. Questa ipotesi avrebbe il vantaggio di appoggiarsi a un archetipo ben noto, suggerendo quindi tutta una serie di interessanti raffronti, ma per quanto suggestiva, è sfortunatamente molto debole.

Proponiamo una possibile interpretazione della figura di Dažĭbogŭ. La nostra ipotesi ci porta al mitologema del dio progenitore, una classe di divinità legate ai tempi primordiali, ai passaggi ed ai cicli cosmici, talora considerate sovrane di tempi antichissimi, a cui si fanno risalire le strutture delle classi sociali. Citiamo in questo mitologema, l'Agni vedico, dio del fuoco e progenitore delle caste indiane; il romano Ianus, signore di un tempo primordiale, guardiano delle soglie e dei passaggi, creatore della società umana; e infine il norreno Heimdallr, dio degli inizi, guardiano delle porte di Ásgarðr e progenitore delle classi sociali. Ricordiamo nella Vǫluspá islandese gli esseri umani vengono chiamati «stirpi di Heimdallr», con espressione parallela al «nipoti di Dažĭbogŭ» riportato nello Slovo o pŭlku Igorevě.

In molte mitologie, il dio infero è associato alla ricchezza: così in Grecia uno dei nomi di Hádēs è proprio Plóutōn «colui che elargisce la ricchezza», ed anche a Roma il nome di Dis Pater sembra essere una forma contratta di dives pater «padre ricco». Ora, a dispetto delle opinioni di Veselin Čajkanović sul suo dio serbo Dabog, nulla del poco che sappiamo di Dažĭbogŭ ci autorizza ad attribuirgli un carattere ctonio, o a farne un dio dei morti. Tuttavia, una possibile etimologia del nome di Dažĭbogŭ, sembra indicarlo come il «dio che elargisce la ricchezza», il che forse potrebbe avvicinarlo alla sfera del Dis Pater celtico, elargitore di fecondità, da cui, secondo Cesare, i Galli pretendevano discendesse la loro stirpe (De bello Gallico [VI: 18]).

VIII - PRESENZA DI SVAROŽIČĬ NELLE FONTI ANTICHE

Le fonti principali che riguardano Svarožičĭ sono latine, risalgono nel periodo tra l'XI e il XII secolo e si riferiscono alla tradizione degli Slavi del Baltico. Thietmar di Merseburgo (975-1018), riferendosi ai Redarii, una tribù lusaziana dell'Oder, riferisce di un tempietto di legno, posto nella città di Riedegost (Rethra, slavo *Radgost). Al suo interno vi erano gli idoli degli dèi locali. Le fonti latine riportano il nome del dio principale nelle forme Zuarasizi e Zuarasic; nome che Vittore Pisani ha suggerito di ricostruire nella forma *Swarożić.

Est urbs quædam in pago Riedirierun, Riedegost nomine, tricornis ac tres in se continens portas, quam undique silva ad incolis intacta et venerabilis circumdat magna. Duæ eiusdem portæ cunctis introeutibus patent; tercia, quæ orientem respicit et minima est, tramitem ad mare iuxta positum et visu nimis horribile monstrat. In eadem est nil nisi fanum de ligno artificiose compositum, quod pro basibus diversarum sustentatur cornibus bestiarum. Huius parietes variæ deorum dearumque imagines mirifice insculptæ, ut cernentibus videtur, exterius ornant; interius autem dii stant manu facti, singulis nominibus insculptis, galeis atque loricis terribiliter vestiti, quorum primum Zuarasizi dicitur et præ ceteris a cunctis gentilibus honoratur et colitur. C'è una città nella terra dei Redarii, chiamata Riedegost, con forma triangolare e tre porte, circondata da una grande foresta lasciata intatta dagli abitanti del luogo e venerata come sacra. Due delle porte possono essere raggiunte per via terra; la terza, assai piccola, che guarda a oriente, è posta dinanzi al lago e mostra un aspetto davvero orribile. Nella fortezza, c'è un tempio edificato in legno, le cui fondamenta sono sostenute da corna di animali. Sulle sue pareti sono meravigliosamente scolpite le immagini di molti dèi e dee, i quali adornano la parte esterna. All'interno si trovano gli idoli degli dèi, i quali portano incisi i loro nomi e sono abbigliati con elmi e corazze. Il primo di essi si chiama Zuarasizi [*Swarożić] ed è onorato dalle genti pagane sopra tutti gli altri dèi...
Thietmar: Chronicon [VI: 23]

Questa posizione di preminenza di *Swarożić (almeno tra gli Slavi del Baltico) sembra confermata da una lettera di San Bruno ad Enrico II, del 1008: «Come possono andare d'accordo Zuarasic [*Swarożić] il diavolo, e il vostro e nostro capo dei santi, Mauritius?» [Quomodo conveniunt Zuarasiz diabolus et dux sanctorum vester et noster Mauritius?]. Da questa notizia Vittore Pisani aveva dedotto che, come Mauritius era dux sanctorum, così *Swarożić doveva essere il capo degli dèi pagani! (Pisani 1949)

La notizia di Thietmar ha indotto altri a congetturare che *Swarożić fosse stato un dio guerriero. Ma Thietmar descrive come bardati di elmo e corazze tutti gli dèi del tempio di Riedegost e non il solo *Swarożić. Inoltre, questa caratterizzazione guerriera può essere una semplice caratteristica del culto locale tra i Leutici, nient'affatto estendibile a tutta l'area slava. La stessa cosa, certo, si può dire delle differenti descrizioni fornite dalle altre poche fonti in nostro possesso. In quanto alla strana posizione di preminenza del dio tra gli Slavi occidentali, nulla si può dire.

Enrico Campanile, ricordando il legame del russo Svarožičĭ con il fuoco, ha invece avanzato un interessante parallelo con il Miθra iranico (Campanile 1994).

Sono da riferire allo stesso *Swarożić le notizie riportate su un dio chiamato, con evidente confusione con il nome della città, Redigast in Adamus Bremensis (Gesta Hammaburgensis Ecclesiæ Pontificum [II: 18]) e Radigast in Helmond di Bosau (Chronica Slavorum [I: 21 | I: 52]).

Svarožičĭ è presente anche in Russia, dov'è citato negli Slova i poučenija (omelie e ammaestramenti ecclesiastici). È infatti l'unica divinità attestata sia tra gli Slavi Settentrionali che presso gli Slavi Orientali. Qui però sembra appartenere al livello inferiore del pantheon:

...E così compiono loro sacrifici e a loro dedicano pregando il korovaj, sgozzano polli, e pregano il fuoco, chiamandolo Svarožičĭ...
Slova i poučenija > Slovo Christoljubca
...E pregano il fuoco, chiamandolo Svarožičĭ, e per le navi fanno il bagno e fanno ponti e pozzi nella pasta e molte altre cose.
Slova i poučenija > Slovo sv. Grigorija ob idolach
...Ed altri credono in Svarožičĭ e in Ártemis...
Slova i poučenija > Slovo Ioanna Zlatousta
Svarožičĭ
Illustrazione di Viktor Anatol'evič Korol'kov (1958-2004)

IX - SVAROŽIČĬ: POSSIBILI ETIMOLOGIE

I teonimi Svarožičĭ e Svarogŭ sono evidentemente corradicali.

Addirittura, Svarožičĭ potrebbe essere una forma declinata del nome di Svarogŭ, quale ad esempio un diminutivo, sul tipo «piccolo Svarogŭ». Tali diminutivi sono molto comuni nel parlato finnico, baltico e slavo orientale (si veda l'affettuoso batjuška, «piccolo padre», attribuito alle persone anziane, agli spiriti, al fuoco, allo stesso Stalin).

Alternativamente, Svarožičĭ potrebbe essere inteso come un patronimico, in questo caso a significare «figlio di Svarogŭ». E ricordando che, nella traduzione russa del Malálas, Dažĭbogŭ è figlio di Svarogŭ, si è finiti con l'identificare Svarožičĭ con Dažĭbogŭ [infra].

Tra le altre etimologie proposte, è assolutamente da scartare quella avanzata da Vittore Pisani. La riportiamo a titolo di curiosità. L'antico russo Svarožičĭ sarebbe da considerare l'ipostasi di un ipotetico sva rožičĭ, in cui *sva sarebbe un'antica forma nominativa di «cane» (cfr. śvan, lituano šuõ, greco kúōn), mentre rožičĭ sarebbe lo sviluppo russo di un pre-slavo *rogītio «cornuto» (< rogŭ «corno»). In sintesi, nella proposta di Pisani, il nome Svarožičĭ significherebbe qualcosa come «cane cornuto». A giustificare tale grottesca etimologia, o per lo meno la sua metà canina, Pisani ricordava che nell'antichità Sirio era chiamata «Stella del Cane», in quanto, apparendo nel crepuscolo mattutino, recava con sé il tempo più caldo dell'anno, i dies caniculares. In slavo occidentale questo nome sarebbe quindi suonato Swarożyć, comportando la trascrizione di Thietmar e quella di S. Bruno Zuarasic (Pisani 1949).

X - SVAROŽIČĬ: IDENTIFICAZIONI E CONFUSIONI

Molti studiosi identificano tra loro Svarogŭ e Svarožičĭ, e questa è un'ipotesi sostenuta anche dagli autori più recenti (Michajlov 1995). Che Svarožičĭ sia detto essere uno spirito del fuoco (come ad esempio nello Slovo Christoljubca) viene a supportare questa identificazione, visto che il traduttore russo di Malálas aveva già interpretato Svarogŭ con Hḗphaistos.

Altri studiosi identificano, viceversa, Svarožičĭ con Dažĭbogŭ. Costoro partono dall'interpretazione del teonimo Svarožičĭ come «figlio di Svarogŭ» e, ricordando che, nella traduzione russa del Malálas, il figlio di Svarogŭ è appunto Dažĭbogŭ, l'interpretazione diviene quasi ovvia. È questa la conclusione di Vittore Pisani: gli antichi Slavi conoscevano solo uno Svarožičĭ, dio del sole e del fuoco, che sarebbe stato tutt'uno con Dažĭbogŭ. Senonché, seguendo questa linea di pensiero, Pisani finisce col capovolgere addirittura i termini della questione: il traduttore russo di Malálas, avendo già identificato Hḗlios con Dažĭbogŭ/Svarožičĭ, si sarebbe ritenuto autorizzato a ricavare dal nome Svarožičĭ, in cui credeva di scorgere un patronimico in -vič, un dio Svarogŭ altrimenti inesistente, destinato a far da padre a Dažĭbogŭ. Questo spiegherebbe perché il nome di Svarogŭ è assente da tutte le altre fonti (Pisani 1949).

L'ipotesi di Pisani è davvero cervellotica, tanto più che, nel Malálas russo, il nome Svarožičĭ non compare neppure! In effetti è più probabile, se un legame vi è tra i due nomi, che Svarožičĭ sia derivato da Svarogŭ e non viceversa.

Nel corso del tempo, gli studiosi si sono accaniti sulla relazione tra Svarogŭ e Dažĭbogŭ e Svarožičĭ, finendo con l'esaurire di fatto tutte le possibili combinazioni tra i tre personaggi, pur senza arrivare a nulla di definitivo. Ad esempio, lo studioso croato Franjo Ledić ha identificato tra loro Svarogŭ e Dažĭbogŭ (Ledić 1974). I filologi russi Vjačeslav Vsevolodovič Ivanov e Vladimir Nikolaevič Toporov hanno avanzato l'ipotesi che Svarogŭ fosse un dio del fuoco, simile all'Hḗphaistos greco, e che avesse due figli: Dažĭbogŭ a rappresentare il fuoco celeste, ovvero il sole, e Svarožičĭ il fuoco terrestre, ad esempio quello che arde nella fucina del fabbro (Ivanov ~ Toporov 1992). Il serbo Henrik Lovmjanjski ha teorizzato che Svarogŭ fosse un dio del cielo diurno e luminoso, possibile continuazione del DʲĒWOS PHTER indoeuropeo, mentre Dažĭbogŭ e Svarožičĭ sarebbero stati, sì, un'unica divinità, ma con due aspetti: uno ardente, da associare al sole, e uno notturno, da associare alla luna (Lovmjanjski 1996).

È nostra opinione che Svarogŭ e Dažĭbogŭ siano da considerare dèi separati e che – ma qui la situazione è più incerta – il teonimo Svarožičĭ sia stato in origine un nomen divinum attribuito a Svarogŭ, o da lui derivato, ormai sceso, in epoca cristiana, al livello inferiore del pantheon e trasformatosi in un semplice spirito del focolare. In tal caso, lo Slovo Christoljubca e lo Slovo sv. Grigorija ob idolach si riferiscono sicuramente a quest'ultimo stadio del culto del dio. Questo spiegherebbe anche il fatto che il nome Svarogŭ sia completamente assente nei testi ecclesiastici i quali, tra i vari nomina divina, citano Svarožičĭ e non Svarogŭ.

D'altronde gli Slavi hanno sempre avuto un culto del fuoco, che è probabilmente stato influenzato dai relativi culti ugro-finnici (derivato forse dalle figure degli spiriti-signori, in questo caso del fuoco, diffusi tra i popoli uralo-altaici). Ancora in epoca cristiana, i Russi veneravano la fiamma del focolare e il fuoco acceso sotto l'essiccatoio del grano (Vyncke 1970), evitavano di sputare sulle fiamme, e si rivolgevano allo Zar Fuoco con l'epiteto affettuoso di batjuška «piccolo padre», indirizzandogli brevi preghiere.

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BIBLIOGRAFIA
Intersezione: Aree - Holger Danske
Sezione: Miti - Asteríōn
Area: Slava - Koščej Vessmertij
Ricerche e testi di Dario Giansanti.
Creazione pagina:26.10.2004
Ultima modifica: 25.08.2014
 
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