I -
INTRODUZIONE PER UNO STUDIO DEL PANTHEON SLAVO
|
Conversazione con gli dèi |
Illustrazione di Viktor Anatol'evič Korol'kov
(1958-2004) |
Per troppo tempo il settore della mitologia slava, e russa
in particolare, ha dovuto farsi largo attraverso le maglie di un fastidioso
preconcetto, dovuto in parte agli stessi slavisti,
i quali, ancora nella prima metà del XX Secolo, si ostinavano nell'idea che gli
dèi enunciati dalle antiche cronache russe fossero stati introdotti
dagli invasori variaghi e fossero quindi di origine scandinava. Di conseguenza,
si riteneva che il popolo slavo non avesse che delle confuse tendenze animistiche
che trovavano in una impersonale «Madre Umida Terra» una sorta di vaga divinità ctonia e agricola.
Un
assunto come questo era certamente una conseguenza della scarsità di
informazioni riguardo alla mitologia slava. Ben pochi studiosi, in Occidente, si
preoccupavano di approfondire la religione slava precristiana, soggetto che
generalmente occupava al più qualche paragrafo nei testi di mitologia europea.
Negli anni appena precedenti lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, studiosi
tedeschi come Erwin Winecke e Leonard Franz reputavano gli Slavi incapaci di
sviluppare credenze superiori a qualche genere di animismo e affermavano che fu
solo grazie all'influenza dei dominatori variaghi, di ceppo ovviamente
germanico, se essi arrivarono a costruire un pantheon di divinità personali e
definite. Molti insigni
filologi, quali Alexander Brückner
o il nostro Vittore Pisani, si limitavano a isolare (talvolta a inventare) le
radici dei nomina divina, così da sbarazzarsi del «problema» posto da questo o
quel dio una volta individuatane l'origine iranica o germanica. Dopo la guerra, in Unione
Sovietica, la religione e la mitologia erano considerate semplici superstizioni,
assolutamente prive di rilevanza scientifica; gli studiosi di tradizioni
popolari e di folklore, tra cui lo stesso Volodimirŭ Jakovlevič Propp, si
accontentavano di individuare l'origine delle leggende e delle fiabe russe in
riti agrari o di passaggio.
Questi preconcetti
hanno condizionato per
decenni gli studi sulla mitologia slava. Può parere un'affermazione paradossale, ma soltanto
negli ultimi decenni gli studiosi sembrano essersi resi
conto che gli Slavi, il cui ceppo linguistico è
solidamente impiantato nel tronco della grande famiglia indoeuropea,
dovevano avere
un pantheon strutturato secondo le categorie che riscontriamo
tra gli altri popoli appartenenti allo stesso ceppo, stanziati dall'India all'Irlanda. E che
quindi, dèi e miti, lungi dall'essere stati importati dai Variaghi o dagli
Sciti, dovevano piuttosto appartenere al
retaggio slavo. La mitologia germanica
o iranica serviranno piuttosto da pietra di paragone, per
cercare di comprendere, dal confronto con un comune modello di
matrice indoeuropea, quali siano le affinità e le differenze
nell'esito slavo di tale matrice.
Gli studi attuali procedono
soprattutto col metodo della comparazione, anche se purtroppo non rimane molto
da comparare, visto l'esiguità e l'ambiguità delle fonti. Dai lavori
degli studiosi, che spesso procedono con faticosi veri sforzi di
interpretazione, deriva tutta una serie di opinioni, raramente convergenti, anzi,
molto spesso in contrasto tra loro, che il più delle volte confondono invece di
far luce. In questo capitolo faremo una carrellata delle fonti principali e ne
discuteremo l'attendibilità. Nei prossimi capitoli richiameremo, per ogni
singolo nomen divinum, la storia delle interpretazioni più rilevanti
avanzate dagli studiosi, prima di azzardare – se è il caso –
una nostra personale interpretazione. |
II - IL
«CANONE DI VOLODIMIRŬ»
Gli slavisti
definiscono «Canone di Volodimirŭ» il gruppo di sei divinità i cui idoli il gran
principe Volodimirŭ Svjatoslavičŭ
aveva eretto sulla collina di Boričevŭ, in Kiev, allorché inaugurò il suo regno,
nell'anno 980. A tramandarne i nomi è un celeberrimo passo del
Se pověsti vremjanĭnichŭ lětŭ,
la celebre «Cronaca degli anni passati, all'anno» 6488 (980).
И нача княжити Володимеръ въ
Киевѣ
единъ, и постави кумиры на холму внѣ
двора теремнаго: Перуна древяна, а главу его
сребрену, а усъ златъ, и Хърса, Дажьбога, и
Стрибога и Симарьгла, и Мокошь. |
I nača knjažiti Volodimerŭ vŭ Kievě edinŭ, i postavi
kumiry na cholmu vně dvora teremnago: Peruna drevjana, a glavu ego srebrenu, a
usŭ zlatŭ, i Chŭrsa, Dažĭboga, i Striboga i Simarĭgla, i Mokošĭ. |
E cominciò
a regnare Volodimirŭ
in Kievŭ, da solo, ed eresse simulacri sulla
collina che si trovava dietro il terem:
di
Perunŭ
in legno, con la testa d'argento e i baffi
d'oro, e di
Chŭrsŭ, di
Dažĭbogŭ, e di
Stribogŭ,
e di
Simarĭglŭ,
e di
Mokošĭ. |
Se pověsti vremjanĭnichŭ lětŭ [6488/980] |
|
Vladimir |
Illustrazione di Viktor M. Vasnecov
(1848-1926) |
MUSEO: [Vasnecov]► |
È evidente che l'autore
del
Se pověsti non
riteneva conveniente tramandare il carattere e gli attributi delle divinità
antico-russe: si limita a
citarne i nomi, senza entrare troppo nei dettagli. D'altronde il suo scopo non era
di informarci sulla teologia del paganesimo slavo, ma piuttosto documentare
la situazione di errore in cui viveva un tempo il popolo russo e mettere ancor
più in risalto la
conversione al Cristianesimo che lo stesso gran principe Volodimirŭ opererà otto
anni dopo (nel 988). Non ci è dato di sapere quanto e come il cronista calcò le tinte
nel descriverci i sanguinosi sacrifici umani che venivano compiuti ai piedi
degli idoli, che la sua penna si sofferma a demonizzare più che a
spiegare.
All'epoca in cui il cronista scriveva, all'inizio del XII
secolo, la fede cristiana ancora stentava a imporsi in un mondo le cui radici
rimanevano sostanzialmente ancorate nel paganesimo. Questa situazione di
dvoeverie o «bicredenza» si
trascinò per secoli, tanto che ancora nel XIX secolo, nelle regioni rurali
russe, si registravano esempi di compresenza di elementi cristiani ed elementi
pagani. L'autore della cronaca, da buon monaco, aveva tutte le ragioni per
tacere quanto sapeva delle divinità slave, alla sua epoca ancora vive e
radicate nell'anima del popolo, e questo spiega il suo
riserbo. Tuttavia, procedendo nella narrazione, allorché la cronaca
arriva al punto in cui Volodimirŭ apprende i rudimenti della religione cristiana,
il cronista non esita a riportarci un lunghissimo riassunto della storia sacra
biblica, di certo edificante per il gran principe, ma lo studioso di mitologia
ne è giustamente annientato! Se invece di rinarrarci punto per punto ciò che
conosciamo benissimo, il pio autore del
Se pověsti avesse speso altrettante parole per documentare quanto
sapeva sulle divinità slave, oggi non staremmo qui a cercare di strappare brandelli di
informazioni da un puro elenco di nomi!
Detto questo, il brano della cronaca
sopra riportato, pur nella sua irritante stringatezza, rimane, vista la
grande penuria
di fonti a nostra disposizione, di importanza inestimabile per lo studioso di
mitologia slava.
Il «Canone di Volodimirŭ» consiste di sei nomi:
Perunŭ,
Chŭrsŭ,
Dažĭbogŭ,
Stribogŭ,
Semarĭglŭ
e
Mokošĭ. Che esistessero altri
dèi, oltre a questi sei, è confermato dalla stessa cronaca.
Ad esempio, in una serie di tre giuramenti
che sanciscono altrettanti trattati di
pace con Costantinopoli, stretti rispettivamente dai gran
principi Olegŭ
[6415/907],
Igorĭ Rjurikevičŭ [6453/945] e
Svjatoslavŭ Igorevičŭ [6479/971],
viene citato Perunŭ, ma nel primo e nel
terzo di questi giuramenti gli è affiancato un dio non presente nel «Canone»,
Volosŭ. D'altronde
pare che l'idolo di
Volosŭ si trovasse nella parte bassa della città:
sembra
quindi logico che questo dio non faccia parte del gruppo dei sei
idoli innalzati in cima alla collina di Kiev.
Concludendo, il «Canone di Volodimirŭ» è l'elenco dei sei idoli che un sovrano, in un
preciso momento storico, aveva innalzato presso il suo palazzo, sulla collina
principale di Kiev. Al contrario, il «Canone» non è un documento
teologico, non esaurisce il pantheon slavo e probabilmente non
circoscrive un gruppo di divinità che debbano essere considerate speciali
rispetto ad eventuali non citate. Il «Canone» si limita a suggerire una
preminenza di Perunŭ
sugli altri dèi, ma tace riguardo al carattere, al rango e alla
natura di tali dèi.
|
III -
LE FONTI ECCLESIASTICHE
I nomi divini citati nel «Canone di
Volodimirŭ»
sono attestati anche in antiche fonti cristiane. In un apocrifo russo del XII secolo,
il
Choždenie bogorodicy po mukam, la «Discesa della Vergine all'Inferno»
– dove la Vergine Maria, testimone dei tormenti infernali, intercede presso Dio
per ottenere un periodo annuale di sospensione delle pene per i dannati –,
viene riportato un nuovo
«canone» di divinità (anzi di dèmoni adorati come
tali), di cui tre nomi su quattro già presenti nella
Se pověsti vremjanĭnichŭ lětŭ:
Это те, кто не веровали в отца и сына и святого духа,
забыли бога и веровали в то, что сотворил нам бог для трудов наших, прозвав это
богами: солнце и месяц, землю и воду, и зверей и гадов; все это те люди сделали
из камней, — Траяна, Хорса, Велеса, Перуна в богов превратили, и были одержимы
злым бесом, и веровали, и до сих пор во мраке злом находятся, потому здесь так
мучаются |
Ėto te, kto ne verovali v otca i syna i svjatogo
ducha, zabyli boga i verovali v to, čto sotvoril nam bog dlja trudov našich,
prozvav ėto bogami: solnce i mesjac, zemlju i vodu, i zverej i gadov; vse ėto te
ljudi sdelali iz kamnej, — Trajana, Chorsa, Velesa, Peruna v bogov prevratili, i
byli oderžimy zlym besom, i verovali, i do sich por vo mrake zlom nachodjatsja,
potomu zdesĭ tak mučajutsja. |
Questi sono coloro che non credono nel Padre, nel Figlio
e nello Spirito Santo, hanno dimenticato Dio e non credono in ciò che Dio a
creato per noi, ed essi hanno chiamato dèi il sole e la luna, la terra e
l'acqua, gli animali e i rettili, più tutti quegli idoli di pietra,
Trojanŭ,
Chorsŭ,
Velesŭ e
Perunŭ,
ed essi adorarono come dèi questi dèmoni malvagi, e sono ancora nelle tenebre
del male, perché ancora credono in essi. |
Choždenie bogorodicy po mukam |
Il quarto nome,
Trojanŭ, non presente nel
Se pověsti, è invece attestato nello
Slovo o pŭlku Igorevě,
il celeberrimo «Cantare delle gesta di Igorĭ», segno
sicuro che la Choždenie bogorodicy non deriva dal
Se pověsti, ma viceversa ne conferma
l'affidabilità.
Vi è poi un ampio corpus di
Slova i poučenija napravlennye protiv jazičestva, testi ecclesiastici, sermoni e omelie
contro il paganesimo, che confermano i nomi di alcune divinità del «Canone
di Volodimirŭ». Questi testi, pur tramandati a noi in copie tarde (tra il XIV e il
XVII secolo), risalgono con ogni probabilità ai secoli XI-XII, un'epoca in cui
il paganesimo era ancora diffuso. Pur scritti con intento polemico, gli
slova finiscono con l'essere documenti importantissimi per la nostra
conoscenza dell'antica mitologia slava. Ad esempio nello
Slovo Christoljubca, il
«Sermone del Christoljubec»,
troviamo citate, in due passi distinti, alcune delle divinità attestate nel
«Canone».
...non potendo sopportare i cristiani che vivono nella
doppia fede e credono in
Chŭrsŭ, in
Simŭ, in
Rĭglŭ, in
Mokošĭ, nelle
vile... |
...Quelli che pregano il fuoco sotto l'essiccatoio, le
vile,
Mokošĭ,
Simŭ,
Rĭglŭ,
Perunŭ,
Volosŭ dio del bestiame,
Chŭrsŭ,
Rodŭ,
le
rožanizy e tutti i loro dèi
maledetti... |
Slova i poučenija
>
Slovo Christoljubca |
L'elenco dello
Slovo Christoljubca
porta, rispetto al «Canone», delle significative differenze che testimoniano la
sua indipendenza dalla fonte storica. La prima volta i nomi sono citati
nello stesso ordine del «Canone»:
Perunŭ,
Chŭrsŭ,
Simŭ,
Rĭglŭ,
Mokošĭ; ma vi sono delle interessanti
differenze: innanzitutto mancano
due nomi importanti come
Dažĭbogŭ e
Stribogŭ; inoltre il dio
Semarĭglŭ
viene apparentemente diviso nei due nomina
Simŭ
e
Rĭglŭ;
infine si aggiungono le vile.
Ciò prova forse che l'ordine degli dèi dato dal «Canone di Volodimirŭ» non
era casuale ma rifletteva una qualche relazione teologica tra le varie divinità.
Nella seconda lista di divinità, lo
Slovo Christoljubca fornisce invece una serie invertita
rispetto alla prima: si parte dalle
vile, quindi
Mokošĭ,
Simŭ,
Rĭglŭ,
Perunŭ, a cui si aggiunge per la prima
volta il nome di
Volosŭ,
quindi
Chŭrsŭ,
e poi
Rodŭ
e le Rožanicy.
Nello
Slovo sv. Grigorija ob idolach,
il «Sermone di San Gregorio sugli idoli»,
compare una serie simile, ma diversa nei dettagli, che sembra riflettere
soprattutto le divinità dello strato inferiore:
...A tali dèi compie sacrifici anche
il popolo slavo: alle
vile,
a
Mokošĭ, a Diva, a
Perunŭ, a
Chŭrsŭ, a
Rodŭ e
alle
rožanizy,
agli
upyri, alle
beregyni,
a
Pereplutĭ
e girando, bevono per lui nei corni... |
...E questi iniziarono a compiere sacrifici a
Rodŭ e
alle
rožanizy prima di
Perunŭ, loro dio, e prima di
questo facevano sacrifici agli
upyri
e alle
beregyni... |
...Ma
adesso nei sobborghi pregano il maledetto
dio
Perunŭ e
Chŭrsŭ e
Mokošĭ e le
vile e questo lo
fanno di nascosto; di questo non
possono farne a meno, cominciando
dal tempo del paganesimo fino ad
ora, della preparazione della
maledetta seconda mensa a
Rodŭ e
alle
rožanizy, con grave
scandalo per i devoti cristiani e con grande offesa al sacro battesimo e
provocando l'ira di Dio.. |
Slova i poučenija
>
Slovo sv. Grigorija ob idolach |
È pur vero che l'antichità
di tali citazioni è dibattuta. Se è vero che gli slova i poučenija
risalgono al periodo tra l'XI e il XII
secolo, sembra che le liste delle divinità pagane siano state aggiunge
in epoca posteriore (Aničkov 1914), probabilmente
non prima dell'inizio del XII Secolo (Łowmiański 1978);
se questo è vero tali liste rifletterebbero una situazione teologica posteriore
e non sarebbero quindi confrontabili con la situazione presentata invece dal
«Canone di Volodimirŭ».
|
IV -
LE FONTI EPICHE Un'ultima
importantissima fonte per la nostra conoscenza delle
divinità slave è costituita dall'epica antico-russa. La
quale, purtroppo, si riduce a un unico titolo utile, lo
Slovo o pŭlku Igorevě,
il «Cantare delle gesta di Igorĭ»,
essendo la Zadonščina (la
«Spedizione oltre il Don») e il
Povestĭ o razorenii Rjazani Batyem (il «Racconto
sulla distruzione di Rjazan'») avari di riferimenti
sul paganesimo slavo.
Nel panorama delle fonti sulla mitologia
slava, il bellissimo
Slovo o pŭlku Igorevě
si staglia come un unicum: è il solo monumento poetico
pagano antico russo, il più vicino a un'ipotetica sapienza
slava. In una serie di passi si citano alcune divinità già
attestate nel
Se pověsti vremjanĭnichŭ lětŭ,
ma questa volta i nomi sono soventi accompagnati da piccole
specificazioni, dettagli minimi ma preziosissimi. Tra le
divinità citate vi sono
Dažĭbogŭ, di cui i Russi sono
detti «nipoti», e
Stribogŭ, i cui «nipoti»
sono invece i venti. Vi è
Velesŭ,
regolarmente associato al vate-cantore
Bojan. È citato
ancora
Chŭrsŭ,
che gli tagliano la strada i lupi mannari. E
Trojanŭ, già attestato
nella Discesa
della Vergine all'Inferno,
che qui è citato quattro volte in strane locuzioni quali «tempo di
Trojanŭ», «terra
di Trojanŭ», eccetera.
Stranamente
nello
Slovo o pŭlku Igorevě non troviamo mai
Perunŭ,
e la ragione di questa assenza non è mai stata spiegata. Si
tratta di una mancanza casuale, oppure il nome è stato
ignorato per qualche ragione difficile da stabilire? Non si
può saperlo. Con le fonti epiche abbiamo esaurito la lista dei
documenti antico-russi che trattino delle antiche divinità
slave.
|
Giuramento agli dèi |
Illustrazione di Boris Ol'šanskij (1956-) |
MUSEO: [Ol'šanskij]► |
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V - INAFFIDABILITÀ DELLE
FONTI APOCRIFE
A meno di non amare
svisceratamente il mondo
slavo, la mitologia russa non ha mai riscosso molto interesse da parte degli
stessi appassionati di miti e leggende, sempre troppo occupati ad elencare le
genealogie greche o a perdersi dietro le nebbie dell'epica celtica. Gli autori dei soliti dizionari mitologici, si
limitano a citare le divinità russe solo per completezza di esposizione,
liquidandole con qualche nota frettolosa:
Perunŭ
dio del tuono, Svarogŭ
dio del fuoco,
Velesŭ dio del bestiame, ma senza un
reale interesse. Dato che questi «autori» si
limitano a scopiazzarsi tra di loro, gli errori e le approssimazioni si
perpetuano e si moltiplicano. Moltissimi testi riportano informazioni
tratte dalle fonti più svariate, senza il minimo senso critico, e finiscono con
l'assegnare a questo o quel dio una personalità precostituita.
Questo è tanto più vero
da quando il mezzo informatico ha permesso a studiosi e appassionati di tutto
il mondo di scambiarsi informazioni in tempo reale.
D'un tratto si sono resi disponibili studi e fonti altrimenti irreperibili. Di
contro, alla quantità delle informazioni non corrisponde necessariamente la loro
qualità. Esplorando il web su qualunque argomento si possono trovare
studi pregevoli, rigorosi e ben documentati, e poco importa se portino firme
note nel mondo accademico o quelle di semplici appassionati. Naturalmente vi è anche
una gran quantità di spazzatura: ma basta un minimo di senso
critico per escludere quanto è stato scritto da dilettanti
o da incompetenti. Wikipedia, purtroppo, non fa eccezione: i suoi
redattori si limitano a prendere notizie da fonti secondarie, senza alcuna
competenza filologica
Esplorando i non
pochi siti – soprattutto russi e serbi – incentrati sulla tradizione, la mitologia e la sapienza slava,
non è difficile trovare una quantità di
informazioni, genealogie, miti, preghiere, invocazioni, su questo o quel dio, questo o quel personaggio, ben superiore
a quanto si può trovare – o evincere – dalle fonti in nostro
possesso. Una piccola ricerca (le bibliografie di tali siti sono tutto tranne
rigorose) rivela che la maggior parte di tali informazioni sono state
tratte da testi mitologici poco o per nulla attendibili, prodotti in epoca
piuttosto recente.
Il fatto è che, alla fine del Settecento, con la riscoperta delle mitologie
nazionali, i popoli slavi si riscoprirono del tutto privi di un corpus di
miti e leggende paragonabile a quello degli altri popoli, e molti intellettuali,
perlopiù usciti dalle file dei vari nazionalismi, provvidero alla bisogna,
producendo essi stessi il necessario materiale. Un caso emblematico è
rappresentato dal manoscritto
medievale latino
Mater verborum, prodotto in Svizzera nel IX
secolo. Inizialmente custodito nella biblioteca del conte František Antonín
Kolovrat-Libštejnský [Franz Anton von Kolowrat-Liebsteinsky] (1778-1861), esso era passato nel 1818 al Museo Nazionale
[Národní muzeum] di Praga, inaugurato nello stesso anno. Pochi anni dopo, nel 1827, il filologo Václav Hanka
(1791-1861), attirò l'attenzione del mondo della cultura su una serie di glosse
in ceco appuntate ai margini del manoscritto. La scoperta ebbe da subito una
notevole risonanza, in quanto si trattava di una delle più antiche testimonianze
in
lingua ceca. Tra l'altro, alcune glosse riportavano i nomi di antiche divinità
slave, illsutrate tramite la comparazione con analoghe figure del mondo classico. Ad esempio,
Velesŭ veniva identificato con
Pán; Živa con
Ceres; Marzanna con
Hekátē. I nomina corrispondevano
perlopiù a quelli di divinità già conosciute, ma alcuni erano del tutto nuovi,
come gli dèi Kirt, Hladolet
e Sytiwrat, quest'ultimo paragonato a
Saturnus. Uno studio paleografico sul documento
venne eseguito solo nel 1878, e si scoprì che buona parte delle glosse erano
false o contraffatte. Il colpevole, ovviamente, era proprio Hanka, il quale,
ardente panslavista, non era nuovo alla fabbricazione di presunto materiale
mitologico (Potebnja 1989).
Ma lo glosse del
Mater verborum sono solo la punta dell'iceberg: il numero di
falsi documenti mitologici prodotti in Boemia nella prima metà dell'Ottocento è
davvero impressionante (Gaskill 2002). Ad ogni buon
conto, si tenga presente che, all’epoca, la Cecoslovacchia era parte dell’Impero
Austroungarico: questi documenti, avanzati come prova dell’antichità della
cultura ceca e della sua pari dignità nei confronti di quella tedesca,
contribuivano ad alimentare la coscienza nazionale del popolo boemo.
C'è poi il caso dei Veda Slovena,
pretesi canti precristiani della Bulgaria, pubblicati a Belgrado nel
1874 e a San Pietroburgo nel 1881. In una sequela di ben ventitremila versi,
questi canti mescolano le divinità slave e indiane ad Alessandro il Grande. Il loro compilatore,
il serbo-bosniaco Stjepan Verković,
aveva preteso di averli raccolti dalla viva voce del popolo in una remota
regione della Macedonia. In realtà i canti erano stati commissionati al bulgaro Ivan Gologanov (1839-1895), un maestro elementare del villaggio
di Tarlis, presso Valovišta (attuale Sidērókastro
in Grecia), il quale aveva una buona conoscenza dell'epica omerica. La mistificazione aveva
anche in questo caso ragioni patriottiche: fornire alla Bulgaria un épos nazionale
che restituisse al paese, allora sottomesso all'Impero Ottomano, la dignità e
la fierezza di un passato mitico. L'autenticità dei Veda Slovena
fu per molti anni al centro di un acceso dibattito tra i più insigni slavisti
d'Europa e
quando, molti anni dopo, il primo ministro della moderna Bulgaria, Stefan
Stambolov, invitò Gologanov a Sofia e gli offrì un vitalizio, ebbe a
giustificarsi dicendo che non aveva importanza se Gologanov avesse inventato lui
quei canti o gli fossero stati tramandati: essi avevano attirato l'attenzione
dell'Europa colta sull'ignorata nazione bulgara e questo era ciò che importava.
Ma se possiamo guardare con un po' di simpatia
ai Veda
Slovena, che in fondo non si discostano molto, nelle intenzioni, dai
canti ossianici di James Macpherson, non è questo il caso del
cosiddetto Velesova Kniga, il «Libro di
Veles», che è un falso.
La «scoperta» di questo testo viene fatta risalire al 1919, ad opera di un
colonnello dell'esercito bielorusso, certo Ali Fëdor
Arturovič Izenbek, il quale avrebbe trovato, in un maniero dei pressi di
Charkov, una serie di circa trentacinque tavolette di legno sulle quali
apparivano delle iscrizioni in un alfabeto simile al cirillico. Le tavolette sarebbero state poi portate da Izenbek
a Bruxelles, dove sarebbero scomparse nel 1941, durante l'occupazione
tedesca. Secondo una versione, esse sarebbero state requisite dalla Ahnenerbe
Forschungs und Lehrgemeinschaft (la famigerata «Società di ricerca
dell'eredità ancestrale»); secondo un'altra, sarebbero andate distrutte in un
incendio. Ne sarebbero però rimaste delle trascrizioni, eseguite da un altro
emigrato bielorusso, il paleografo e bizantinista Jurij Petrovič Miroljubov (1892-1970),
l'unica persona a cui il geloso Izenbek avrebbe
mostrato le
preziose tavolette. Il testo di Miroljubov venne pubblicato a San Francisco, sulla
rivista di slavistica Žar Ptica, tra il 1957 e il 1959. Si noti che, poco
tempo dopo, l'entomologo ucraino Sergej Jakovlevič Paramonov (1894-1967), già
autore di vari studi di letteratura e storia slava pubblicati sotto lo
pseudonimo di Sergej Lesnoj, si mise al lavoro sugli appunti di Miroljubov e curò
un'altra traduzione del Velesova Kniga, non del tutto compatibile con quella uscita su
Žar Ptica.
Il testo, apparentemente scritto da sacerdoti pagani tra il V e il IX sec.
d.C., si apre con un'invocazione al dio Veles,
per poi raccontare l'etnogenesi dei popoli slavi dalla preistoria fino alla
conversione della Russia al cristianesimo (anno 988). Secondo il testo, i più
lontani antenati degli Slavi erano anticamente stanziati in una lontana terra
artica, da dove sarebbero poi migrati verso sud per sfuggire alle glaciazioni.
Dopo essersi divisi in tribù ed aver a lungo combattuto con altre popolazioni,
questi proto-Slavi – che il testo identifica con gli Ariani tout-court –
sarebbero passati dall'Asia alla Persia, quindi alla Mesopotamia e all'Egitto.
Giunti in Anatolia, avrebbero fondato la città di Troia, per poi scontrarsi con
gli Achei. Stabilitisi più tardi nelle steppe russe, gli Slavi avrebbero
condotto un'esistenza pacifica, guidati da sovrani benevoli e sapienti
sacerdoti. Si noti che il Velesova Kniga
attribuisce agli Slavi un alto livello etico e un elevato grado di spiritualità,
al contrario degli altri popoli, Greci e Romani in primis, presentati
invece come barbari e rapaci. Affrontati vittoriosamente i Romani guidati da
Traiano, e quindi i Goti, i Russi sarebbero stati infine sottomessi dai Variaghi.
La conversione a opera dei Bizantini avrebbe messo fine fine all'idilliaco
paganesimo slavo, creando le condizioni della nascita dello Stato russo come la
conosciamo oggi.
Oltre al fatto che non sussiste alcuna possibilità di verifica sui presunti
«originali», se mai siano esistiti (l'unica foto scattata da Miroljubov è
piuttosto controversa), il Velesova Kniga
è considerato da tutti gli slavisti privo di qualsiasi fondamento di
autenticità. Autore del testo è, assai probabilmente, lo stesso Miroljubov, il
quale avrebbe anche inventato l'intera storia del ritrovamento delle tavolette e
della loro scomparsa.
Nonostante il Velesova Kniga
circolasse anche in Russia, durante il periodo comunista, il governo vigilava
per evitare gli eccessi nazionalistici. Ma dopo la caduta dell'Unione Sovietica,
nel 1991, i fanatici del Velesova Kniga
hanno potuto rilanciare la pubblicazione del testo e gli ambienti neopagani sono
diventati i più avidi recettori di tale letteratura apocrifa. Tra i difensori
più conosciuti, lo scrittore Aleksandr Igorevič Asov si è battuto a favore
dell'autenticità del testo, in libri, articoli e programmi televisivi,
rivestendolo di un carattere eminentemente «sacro».
A fronte, tuttavia, dell'entusiastica pretesa di autenticità del Velesova Kniga,
nonché delle numerose edizioni continuamente ristampate, lo studioso Anatolij Alekseevič Alekseev,
dopo aver raccolto in un libro le opinioni di molti dei più autorevoli filologi
russi, ha concluso così l'annosa querelle: «La questione dell'autenticità del Velesova Kniga
si risolve in modo semplice e inequivocabile: si tratta di un falso malamente
contraffatto. Non vi è alcun argomento in difesa della sua autenticità.
Un gran numero di argomenti depongono invece a suo sfavore». (Alekseev 2004)
Difatti, la forma di
cirillico utilizzata – con le lettere allineate sotto una linea, al modo della
scrittura devanāgarī – è incompatibile con le
più elementari conoscenze di paleografia slava, oltre a rivelare un'accozzaglia
di fenomeni fonetici risalenti a periodi e lingue diverse, nonché incompatibili
tra loro. La lingua è un miscuglio incoerente di parole russe, polacche, ucraine
e ceche, con singolari strutture grammaticali che non è possibile ricondurre ad
alcuna lingua slava, né antica, né moderna; le caratteristiche letterarie sono
in conflitto con ogni tipo conosciuto di epica antica (nessuna allitterazione,
ritmica goffa, esagerata magniloquenza, linguaggio scarsamente poetico, etc.). L'autore del Velesova Kniga
rivela infine una conoscenza del folklore slavo, ma nessuna competenza in
fatto di storia e religione. Il testo sottintende sia le concezioni esoteriche
sulle origini iperboree della civiltà ariana (si vedano gli scritti di Bāl
Gaṃgādhar Tilak), sia le teorie dell'eurasismo,
anch'esse in voga tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo,
secondo il quale gli antenati degli Slavi sarebbero giunti nelle attuali sedi
dall'Asia centrale. In effetti, alcune delle pubblicazioni di Miroljubov –
prolifico autore di saggi sulla mitologia e il folklore slavo – mostrano il suo
interesse verso interpretazioni di questo genere.
Nonostante le glosse del Mater verborum
siano un'evidente contraffazione, i
Veda Slovena un'opera romantica e
il Velesova Kniga un falso costruito in
evidente malafede, tutti questi testi continuano a venire utilizzati come fonti da
molti appassionati mitografi, e considerati «autentici»
– se non
«sacri» – dai vari gruppi nazionalisti e neopagani sorti nei paesi
slavi dopo la caduta dei regimi comunisti.
E capita spesso, consultando la saggistica prodotta nei paesi
dell'est europeo, imbattersi in ricercatori assai ben disposti a effettuare prodigi di
interpretazione, al fine di aggiungere materiale mitologico... anche a costo di
inventarselo. È il caso del serbo Veselin Čajkanović (1881-1946),
insigne classicista, teologo e storico delle religioni, a volte paragonato
addirittura a Mircea Eliade. I suoi scritti tracciano vividissime descrizioni di divinità
slavo-meridionali... che a un esame attento appaiono però completamente
inconsistenti. Le tracce esiziali pescate nel folklore e nelle
agiografie non giustificano in nessun modo le appassionate ed
entusiastiche ricostruzioni di Čajkanović e dei suoi emuli.
Così, buona parte delle informazioni che circolano in rete riguardo la mitologia
slava sono invenzioni assolutamente infondate e prive di valore mitologico.
Dispiace vedere come vengano spesso prese sul serio da studiosi ed appassionati,
i quali non hanno gli strumenti necessari per separare il grano dal loglio. Molte
recenti divulgazioni, anche in Italia, riportano stralci di mitologia slava
derivate in ultima analisi da fonti inconsistenti. |
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