ETIMOLOGIA Il nome del dio è fornito perlopiù nella forma
Dažĭbogŭ
[Дажьбогъ].
Un manoscritto del
Se
pověsti vremjanĭnichŭ lětŭ
riporta l'ortografia Dažebogŭ
[Дажебогъ]. Fa eccezione lo
Slovo o
pŭlku Igorevě che, accanto alla lezione regolare,
presenta anche la forma Daždĭbogŭ [Даждьбогъ] (la lezione è fornita in
entrambi i casi al genitivo: Daždĭboža,
Dažĭboža).
Sono state suggerite
due principali interpretazioni
alternative della figura di
Dažĭbogŭ. L'etimologia
«naturalistica» interpreta così il suo nome:
- dažĭ- | Forse da un proto-slavo *dagjo- «fiamma»
(cfr. antico slavo žeštĭ, polacco żgę, russo sžigat'
«bruciare; e ancora prussiano dagis «estate», lettone degt,
lituano dègti «bruciare»). La parola deriva a sua volta dalla radice
indoeuropea *DʰEGʷʰ- «bruciare» (cfr. sanscrito dāha
«calore»; avestico dažaiti «bruciare»; greco
téphra «cenere»; latino fovēre «scaldare»; gotico dags, anglosassone dæġ > inglese
day; tedesco Tag
e norreno dagr «giorno»), e non ha alcuna relazione col latino
diēs (< indoeuropeo
*DʲĒW-
«splendere»). (Korš 1909 | Pisani 1949)
- -bogŭ
| Il sostantivo bogŭ è la parola slava per «dio». Deriva da una
radice indoeuropea *BʰAG- dal significato originale di «distribuire,
ripartire» (cfr. sanscrito bhaga «padrone, signore, elargitore», antico
persiano baġa «dio»; ma anche greco phageîn «mangiare»).
Dunque, il nome
Dažĭbogŭ verrebbe a
significare il «dio che brucia», il «dio delle fiamme».
Secondo un'altra interpretazione la prima parte del nome (dažĭ-) come derivativa da un
verbo dati «dare, donare»; in tal caso fanno notare che il secondo
termine (-bogŭ), che in slavo ha il significato di «dio», deriva da una radice
correlata al senso della spartizione della ricchezza (cfr. paleoslavo bogatŭ
> russo bogatyj «ricco»). In questo caso
Dažĭbogŭ verrebbe ad essere il «dio che dà
la ricchezza»,
un nume della terza funzione, elargitore di ricchezza e di fecondità
(Vyncke 1970 | Boyer 1981).
|
LETTURA
Poche e laconiche le fonti che trattano di
Dažĭbogŭ, attestato perlopiù
nelle forme antico-russe Dažĭbogŭ
e Daždĭbogŭ.
Vi è
innanzitutto la
traduzione russa della Chronographía di Iōánnēs Malálas,
una cronaca bizantina del VI secolo. Questa, nella versione originale,
raccontava le vicende dei sovrani predinastici egiziani, secondo un testo che
dipendeva a sua volta dalla Aigyptiaká,
la storia egiziana in greco del sacerdote Manéthōn (III sec. a.C.).
Secondo Malálas, primo a regnare sull'Egitto era stato Miṣraym,
della stirpe di Ḥām, biblico progenitore degli
Egiziani (Bərē’šît [X: 6 | X: 13]). Dopo di
lui aveva regnato Hérmēs. Dopo, il trono era
passato a Hḗphaistos, sovrano «bellicoso
ma ingegnoso». Questi aveva introdotto una legge che vietava la promiscuità
femminile e introduceva un severo regime monogamico per entrambi i sessi. Sotto
il regno di Hḗphaistos erano cadute dal
cielo delle tenaglie da fabbro, e gli uomini – che fino ad allora si erano
combattuti con pietre e bastoni – avevano imparato a forgiare i metalli per
fabbricare le armi. Alla morte di Hḗphaistos,
gli era succeduto il figlio
Hḗlios. Potente e cupido di gloria,
costui aveva riformato il calendario egiziano e si era adoperato per mantenere
la morigeratezza di costumi che suo padre aveva imposto per legge. Dopo di lui –
continua Malálas – avevano regnato sull'Egitto Sósis,
Ósiris e Hṓros.
Nella
traduzione russa della Chronographía,
piuttosto libera e interpolata, Hḗphaistos
ed
Hḗlios vengono identificati con due
divinità slave:
Svarogŭ e
Dažĭbogŭ.
По
умрьтвии же Феостовъ егож и Сварога наричить
и царствова сынъ его именем Солнце, егож
наричуть Дажьбог. Солнцеже царь сынъ
Сварогов еже есть Дажьбог. |
Po umrĭtvii že Feostovŭ egož i Svaroga naričitĭ i
carstvova synŭ ego imenem Solnce, egož naričutĭ Dažĭbog. Solnceže carĭ synŭ
Svarogov eže estĭ Dažĭbog. |
Dopo la
morte di
Hḗphaistos[Feostŭ]
detto
Svarogŭ,
regnò suo figlio Hḗlios [Solnce] detto
Dažĭbogŭ.
Il Re Sole figlio di
Svarogŭ,
è questi
Dažĭbogŭ. |
Iōánnēs Malálas:
Chronographía
[3.5.1] (traduzione russa) |
E riprendendo di pari passo il Malálas russo, il Codice Ipaziano della
Se pověsti vremjanĭnichŭ lětŭ,
la «Cronaca degli anni passati», narra daccapo tutte le origini del regno
egiziano, insistendo sulle interpretazioni slave. Su
Dažĭbogŭ racconta:
И по семъ царствова сынъ
его, именемъ Солнце, егоже наричють Дажьбогъ, семъ тысящь и 400 и семъдесять дни,
и яко быти лѣтома двемадесятьмати по лунѣ,
видяху бо Егуптяне инии чисти, ови по лунѣ
чтяху, а друзии... деньми лѣть чтяху,
двою бо надесять мѣсяцю число потомъ увѣдаша,
отнележе начаша человѣци дань давати
царямъ. Солнце царь, сынъ Свароговъ, еже есть Дажьбогъ, бѣ
бо мужь силенъ, слышавше нѣ отъ кого
жену нѣкую отъ Егуптянинъ богату и
всажену сущю, и нѣкоему въсхотѣвшю
блудити с нею, искаше ся яти ю хотя, и не хотя отца своего закона расыпати
Сварожа, поемъ со собою мужь нѣколко
своихъ, разумѣвъ годину, егда прелюбы дѣеть
нощью припаде на ню, не удоси мужа с нею, а ону обрѣте
лежащю съ инѣмъ, с нимъже хотяше, емъ же
ю и мучи и пусти ю водити по земли у коризнѣ,
а того любодѣйца усѣкну;
и бысть чисто житье по всей земли Егупетьской и хвалити начаша. Но мы не
предложимъ слова, но рцѣмъ съ Давыдомъ:
вся елико въсхотѣ и створи Господь на
небеси и на земли, в мори въ всихъ безнахъ, възводяй облакы отъ послѣднихъ
земли. Се бо и бысть послѣдняя земля, о
нейже сказахомъ первое. |
I po sеmŭ carstvova synŭ еgo,
imеnеmŭ Solncе, еgožе naričjutĭ Dažĭbogŭ, sеmŭ tysjaščĭ i 400 i sеmŭdеsjatĭ dni,
i jako byti lětoma dvеmadеsjatĭmati po lуně, vidjachу bo Еgуptjanе inii čisti,
ovi po lуně čtjachу, a drуzii... dеnĭmi lětĭ čtjachу, dvoju bo nadеsjatĭ
měsjacju čislo potomŭ уvědaša, otnеlеžе načaša čеlověci danĭ davati carjamŭ.
Solncе carĭ, synŭ Svarogovŭ, еžе еstĭ Dažĭbogŭ, bě bo mуžĭ silеnŭ, slyšavšе ně
otŭ kogo žеnу někуju otŭ Еgуptjaninŭ bogatу i vsažеnу sуščju, i někoеmу
vŭschotěvšju blуditi s nеju, iskašе sja jati ju chotja, i nе chotja otca svoеgo
zakona rasypati Svaroža, poеmŭ so soboju mуžĭ několko svoichŭ, razуměvŭ godinу,
еgda prеljuby děеtĭ noščĭju pripadе na nju, nе уdosi mуža s nеju, a onу obrětе
lеžaščju sŭ iněmŭ, s nimŭžе chotjašе, еmŭ žе ju i mуči i pуsti ju voditi po
zеmli у korizně, a togo ljubodějca уsěknу; i bystĭ čisto žitĭе po vsеj zеmli
Еgуpеtĭskoj i chvaliti načaša.
|
Dopo di lui [Svarogŭ], regnò suo figlio Hḗlios [Solnce] detto
Dažĭbogŭ. Egli regnò settemila
quattrocento anni e settanta giorni, cioè venti anni e mezzo. Gli Egizi non
sapevano contare diversamente; contavano secondo la luna, mentre gli altri
[contavano] i giorni dell'anno; più tardi ebbero la nozione del tempo nei dodici
anni, dal tempo in cui gli uomini avevano cominciato a pagare il tributo al re [car'].
Re Hḗlios, figlio di
Svarogŭ, cioè
Dažĭbogŭ, era un uomo forte:
aveva udito di una certa donna egiziana ricca e nota, e di un certo uomo che
avrebbe voluto unirsi a lei. Andò in cerca di costei, volendo averla per sé e
non volendo trasgredire la legge del padre suo,
Svarogŭ. Avendo avuto sentore
dell'ora in cui ella avrebbe commesso adulterio, prese con sé alcuni uomini e
capitò da lei di notte. Non trovò il marito di lei, ma lo trovò con un altro che
ella amava. Presala, la seviziò e la lasciò andare disonorata per la terra. E
decapitò l'adultero. E si visse una vita casta in tutta la terra egizia, e
presero a lodarlo. |
Se pověsti vremjanĭnichŭ lětŭ (Codice Ipaziano) [6622/1114] |
Il nome di
Dažĭbogŭ compare
anche nel «Canone di Volodimirŭ»
tra le sei divinità i cui idoli il gran
principe aveva fatto erigere sul colle
di Kievŭ, ma in questo caso non si aggiungono altre informazioni:
И нача княжити Володимеръ въ
Киевѣ
единъ, и постави кумиры на холму внѣ
двора теремнаго: Перуна древяна, а главу его
сребрену, а усъ златъ, и Хърса, Дажьбога, и
Стрибога и Симарьгла, и Мокошь. |
I nača knjažiti Volodimerŭ vŭ Kievě edinŭ, i postavi
kumiry na cholmu vně dvora teremnago: Peruna drevjana, a glavu ego srebrenu, a
usŭ zlatŭ, i Chŭrsa, Dažĭboga, i Striboga i Simarĭgla, i Mokošĭ. |
E cominciò
a regnare Volodimirŭ
in Kievŭ, da solo, ed eresse simulacri sulla
collina che si trovava dietro il terem:
di
Perunŭ
in legno, con la testa d'argento e i baffi
d'oro, e di
Chŭrsŭ, e di
Dažĭbogŭ, e di
Stribogŭ,
e di
Semarĭglŭ,
e di
Mokošĭ. |
Se pověsti vremjanĭnichŭ lětŭ [6488/980] |
Infine, nello
Slovo o
pŭlku Igorevě,
il celebre «Cantare delle gesta di Igor'»,
i Russi vengono chiamati in due occasioni «nipoti di Dažĭbogŭ» [Daž(d)ĭboža
vnuka], sottintendendo forse che che un'altra funzione di questo dio era di
proteggere gli Slavi di cui veniva considerato il divino capostipite:
Тогда при Олзѣ
Гориславличи
сѣяшется ирастяшеть
усобицами; погыбашеть жизнь Даждь-Божа
внука, въ княжихъ крамолахъ вѣци человѣкомъ
скратишась... |
Togda pri Olzě Gorislavliči sějašetsja irastjašetĭ
usobicami; pogybašetĭ žiznĭ Daždĭ-Boža vnuka, vŭ knjažichŭ kramolachŭ věci
čelověkomŭ skratišasĭ... |
Al tempo di
Olegŭ Gorislаvičĭ, il figlio di Malagloria, si
seminavano e crescevano le
discordie, periva la potenza dei
nipoti di
Dažĭbogŭ
e nelle contese dei principi si
accorciava la vita alla gente. |
Slovo o
pŭlku Igorevě [40] |
Уже бо
братіе невеселая година въ стала, уже
пустыни силу прикрыла; въстала обида въ
силахъ Дажь-Божа внука... |
Uže bo bratіe neveselaja godina vŭ stala, uže pustyni
silu prikryla; vŭstala obida vŭ silachŭ Dažĭ-Boža vnuka... |
Perché ormai, o fratelli, è sorto
il tempo del dolore e la steppa ha
sopraffatto le schiere! Perché la
sconfitta si è levata sulle schiere del
nipote di
Dažĭbogŭ... |
Slovo o
pŭlku Igorevě [48] |
Entrambi i brani si riferiscono a una fase di
decadenza del popolo russo. Il primo si affligge poiché le discordie interne dei
principi abbiano portato pianto e povertà sulla terra di Rus', il secondo perché
la brama di gloria del principe
Igorĭ ha
portato le genti russe alla sconfitta. Ci si può chiedere perché
Dažĭbogŭ venga citato
proprio in tali contesti. A meno che il dio non venga chiamato in causa
semplicemente per via della metafora poetica, come
la maggior parte degli studiosi sembra ritenere, dobbiamo pensare che,
richiamando l'immagine del dio quale progenitore e fondatore del popolo russo,
si voglia mostrare per contrasto la corruzione e l'avidità con la quale i
principi sono riusciti a corrompere il paese.
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