MITI

CELTI
Irlandesi

MITI CELTICI
SUCELLOS
IL DIO COL MAZZUOLO
Progenitore dei Galli, era un dio nel quale i Romani videro Dis Pater, signore dei morti e re dell'oltretomba.
È possibile che tale divinità vada identificata nelle immagini del cosiddetto «dio col mazzuolo», il cui nome gallico era Sucellos.
Funerale in Gallia
Particolare

1 - DIS PATER: IL PROGENITORE DEI GALLI

l divo Caesar racconta, in un passo dei suoi commentarii, che i Galli affermano di essere tutti discendenti di Dis Pater, il signore degli inferi, e aggiungono che ciò sia stato loro tramandato dalla sapienza dei druidi. Questa è anche la ragione per cui essi non calcolano il tempo contando i giorni, ma le notti; le date natalizie, il principio dei mesi e degli anni sono contati facendo cominciare la giornata con la notte.

Secondi i Galli sarebbe Dis Pater il progenitore dell'umanità. Il primo uomo a nascere, ma anche il primo a morire, e come tale divenuto il signore dell'oltretomba. In suo onore, i Galli praticano sacrifici umani, bruciando degli uomini, vivi, dentro tini di legno.

Le iscrizioni e le dediche a Dis Pater provengono dalla Germania meridionale e dai Balcani nordoccidentali. Il dio vi compare accanto alla sua sposa Aericura, che i Romani considerano una forma locale di Proserpina e ha gli emblemi della grande madre.

2 - SUCELLOS: IL «DIO COL MAZZUOLO»

Sucellos
Danbrenos, disegno

uando Caesar parla del Dis Pater gallico, si riferisce forse al «dio col mazzuolo», che i Galli chiamano Sucellos, «il buon battitore» o «colui che ben colpisce».

Il culto di Sucellos ha il centro in Gallia Narbonensis, nella valle del Rhodanus e della Sauconna, dove è venerato dalle tribù dei Vocontii, degli Allobroges e dei Sequani. Da qui il suo culto si spinge verso nord; Sucellos è ben conosciuto e venerato nella Gallia Belgica e nella Germania Superior. Tracce di un suo culto si trovano persino nella lontana Britannia.

Nelle figurazioni che i Galli fanno di questa divinità, Sucellos appare come un uomo maturo, dall'aspetto mite, con la barba e i capelli folti e riccioluti. È vestito alla maniera gallica, con abiti semplici, paesani: una tunica stretta in vita e calzari ai piedi. Tiene nella sinistra una lunga asta, una cui estremità è puntata al suolo, mentre l'altra, più alta della testa del dio, termina in un grosso mazzuolo. Alcuni lo hanno descritto con un martello o di un maglio, ma in tal caso il manico sarebbe stato più corto e robusto. Piuttosto, Sucellos sembra impugnarlo come fosse uno scettro, dando un'impressione di calma regalità, piuttosto che di forza. Nella destra il dio porta invece un piccolo vaso simile a un'olla, che sembra offrire quale simbolo di ricchezza e di fecondità. In altre e diverse figurazioni, Sucellos regge una falx o una borsa per il denaro.

In altre figurazione, diffuse soprattutto ad Alesia, appare invece appoggiato a un grosso tino.

Spesso accompagna Sucellos la dea Nantosvelta, dignitosa e regale come il suo consorte. Molto spesso Sucellos è scortato da un cagnolino. A volte, da un corvo.

3 - SUCELLOS, NELL'INTERPRETAZIONE DI SILVANUS

Sucellos e Nantosuelta
Autore non identificato, illustrazione

Romani hanno identificato Sucellos con Hercules, ma anche e soprattutto con Silvanus, il dio romano delle selve e dell'agricoltura. Con questo nome il dio è onorato in tutta l'area celtica, ma sembra avere il centro del suo culto nella Gallia Narbonese. In Britannia Silvanus è equiparato a varie divinità locali; lungo il Vallum Hadrianii lo si onora come dio della caccia e il suo nome viene talora affiancato a quello di Sucellos. Sempre in Britannia viene invocato come Silvanus Callirius, il «re della foresta di noccioli», e sembra gli siano sacri i cervi.

Il Silvanus gallico conserva gli attributi tipici di Sucellos: un mazzuolo più alto della sua testa, che impugna maestosamente nella mano sinistra, e la piccola olla che porge con la mano destra. Tali attributi, il mazzuolo e il vaso, compaiono da soli anche nelle lapidi commemorative dedicate a Silvanus.

Nei panni di Silvanus, Sucellos ha un aspetto alquanto diverso: indossa solo una corta tunica di pelle, forse di lupo, che gli lascia scoperte le gambe e la spalla destra, e porta sul capo una coroncina di fronde d'alloro.

Attributi del Silvanus gallico (oltre il mazzuolo e il vaso) possono essere alberi da frutta, flauti, coltelli e asce. Talvolta viene raffigurato con una falx in mano, a indicare l'addomesticamento della natura selvaggia.

4 - EPITETI DEL SILVANUS GALLICO E BRITANNICO

n Gallia, a Silvanus sono attributi pochi epiteti, che qui riportiamo:

  1. Callirius
  2. Cocidius
  3. Sinquatis
  4. Sucellus
  5. Vinotonus, «dio del vino» (?)

In particolare, Callirius e Vinotonus erano diffusi tra i Britanni e Sinquatis tra i Belgi.

Vi è tuttavia da notare che alcuni di questi epiteti Silvanus li ha in comune con altre divinità. Ad esempio Cocidius è altrove epiteto di Mars.

5 - SUCELLOS, NELL'INTERPRETAZIONE DI DIS PATER

ltrove, il «dio col mazzuolo» compare in un terzo aspetto, completamente diverso. È nudo, con una pelle di lupo drappeggiata sulla schiena e sul braccio. In certi casi dal suo mazzuolo sembrano diramarsi cinque mazzuoli minori, in una sorta di emanazione e moltiplicazione del potere divino.

Qui, il «dio col mazzuolo» può venire identificato con Pluto o Dis Pater, che per i Romani è il dio dei morti, ma che i Galli considerano il padre della loro razza.

La sposa di questo Pluto gallico è Proserpina o Aericura. Sovente li accompagna un cane a tre teste.

Nantosuelta
Danbrenos, disegno
6 - NANTOSUELTA

ccanto a Sucellos appare spesso una dea dal portamento maestoso e regale, abbigliata con una lunga tunica, secondo l'uso romano. Il suo nome è Nantosuelta, la signora delle valli assolate.

Ella tiene una cornucopia, o talvolta una piccola patera. Presso i Raurici impugna una lunga asta sormontata da una sorta di fanum. I Mediomatrici la raffigurano invece con una piccola casa rotonda nella mano sinistra.

I Romani l'hanno identificata con Diana venatrix.

Quando Sucellos ha l'aspetto di Dis Pater, il nome della sua compagna è Aericura, anche se ovviamente i Romani la chiamano Proserpina.

Fonti

1-6 Caesar: De bello Gallico [VI: 18]
Tertullianus: Ad Nationes [I: 10]
M. Annaei Lucani Commenta Bernensia
Inscriptiones romanae selectae > Sucellus | Nantosuelta | Silvanus | Dis Pater | Aericura
Iconografia gallo-romana
Il «dio col mazzuolo»

Statuetta in bronzo del II-III sec. d.C., rinvenuta, forse, a Sauvat (dép. Cantal, Francia). Musée d’archéologie nationale, Saint-Germain-en-Laye (Yvelines, Francia).

Museo: [Il «dio col mazzuolo». Iconografia gallo-romana]►


I - IL «DIO COL MAZZUOLO»: INTRODUZIONE

Trattiamo adesso di un gruppo di divinità, diversamente attestate nelle varie fonti. Da un lato c'è il Dis Pater citato da Caesar in De bello Gallico [VI: 18], divinità primordiale che i Galli consideravano padre della loro stirpe. Dall'altra c'è il cosiddetto «dio col mazzuolo», presente in numerose figurazioni gallo-romane e riconoscibile per i due attributi che lo caratterizzano: un mazzuolo dal lungo manico e un vaso tipo olla. Nelle figurazioni il «dio col mazzuolo» assume tre aspetti:

  1. un dio vestito alla foggia gallica e chiamato, in due casi, Sucellos;
  2. un dio agricolo identificato dai romani con Silvanus;
  3. un dio vestito con pelle di lupo, forse di carattere infero.

Di tali divinità si è sostenuta la reciproca identificazione.

II - DIS PATER, IL PROGENITORE DEI GALLI

Dopo aver trattato le cinque principali divinità dei Galli, Caesar aggiunge:

Galli se omnes ab Dite patre prognatos praedicant idque ab druidibus proditum dicunt. ob eam causam spatia omnis temporis non numero dierum, sed noctium finiunt; dies natales et mensum et annorum initia sic obseruant ut noctem dies subsequantur.

I Galli affermano di discendere tutti da Dis Pater e che questa tradizione è stata tramandata dai druidi. Per questo motivo misurano la durata del tempo contando le notti, non i giorni; anche il giorno natale, l'inizio del mese o dell'anno vengono calcolati come se la notte precedesse il giorno.
Caesar: De bello Gallico [VI: 18]

Veniamo così a sapere che i Celti conoscevano un dio che consideravano loro progenitore e l'assimilazione di questo dio con il Dis Pater romano fa pensare a un dio dei morti e dell'aldilà. I due elementi di dio progenitore e dio dei morti non sono tra loro in disaccordo: potrebbe infatti trattarsi del mitema, noto agli indoeuropeisti, del primo nato e primo morto (e si può pensare, fatte le dovute cautele, al vedico Yama, primo uomo a sperimentare la morte e perciò assurto a re dei defunti (Pisani 1949)). ①

Il nome gallico di questo dio è sconosciuto. Conosciamo circa una ventina di dediche rivolte a Dis Pater, e possiamo anche presumere che il teonimo romano abbia sostituito il nome indigeno del dio.

Molti autori interpretano, sulla pura assonanza, il termine Dis Pater come «dio padre», avvicinandosi così alla descrizione cesariana del «dio padre» dei Galli, signore degli inferi e della morte. L'ipotesi, per quanto immediata, è però viziata: Dis Pater non vuol dire «dio padre», ma «padre ricco». In latino il nome Dis è la forma contratta di dives «ricco». Questo nome è a sua volta il calco perfetto dell'altro nomen del dio dei morti, Pluton, dal greco Plóutōn «colui che dà la ricchezza», epiteto di Háıdēs.

Secondo una supposizione, ormai superata, il nome Dis Pater sarebbe stata una latinizzazione di un nome collegato all'antico irlandese dith «morte» (Dottin 1906). Ma anche se il dio gallico avesse avuto un nome completamente diverso, Caesar lo avrebbe potuto sempre equiparare al Dis Pater romano.

Notiamo infine che Dis Pater e Iuppiter sono anche le due interpraetationes romanae che i Commenta Bernensia al Pharsalia di Marcus Annaeus Lucanus dànno del dio gallico Taranis. Ma è difficile dare un qualche credito a questa lettura, considerando quanto vaghi e contraddittori siano questi tardi scolî in tutte le loro identificazioni:

Taranis Ditis pater hoc modo aput eos placatur: in alueo ligneo aliquod homines cremantur. [...]. [Credunt] prasidem bellorum et caelestum deorum maximum Tarnanin Iouem adsuetum olim humanis placari capitibus, nunc uero gaudere pecorum. Taranis Dis Pater presso di loro viene placato in questo modo: uomini vengono bruciati vivi in tini di legno. [...]. [Credono] che Taranis sia Iuppiter, signore delle guerre e massimo fra gli dèi celesti, avvezzo un tempo a essere placato con vittime umane, ora con sacrificio di animali.
M. Annaei Lucani Commenta Bernensia

Un'ipotesi più solida identificherebbe il Dis Pater gallico al «dio col mazzuolo», che in due figurazioni è chiamato Sucellos, ma in altri monumenti, quale signore degli inferi, è chiamato appunto Dis Pater. Questa teoria spiegherebbe anche la distribuzione complementare dei monumenti dedicati alle due divinità. Infatti le dediche a Dis Pater provengono dalla Germania Superior e dal Noricum, quasi nessuna dalle Galliae. Quelle a Sucellos provengono invece dalla zona ad ovest del Rhin/Rhein e si infittiscono spostandosi in direzione del Rhône e della Saône, quindi proprio da quelle regioni in cui non compare Dis Pater.

In Irlanda si può forse vedere un probabile omologo del Dis Pater gallico nel personaggio di Donn, lo «scuro». Costui, secondo ildel Lebor Gabála Érenn, era uno dei capi dei Meic Míled il quale, mentre cercava di sbarcare in Ériu, annegò nei pressi di un'isoletta posta a sud-ovest dell'isola e chiamata Tech nDuinn, la «casa di Donn». È qui che secondo la tradizione arrivano tutti gli uomini dopo la morte. Ma ci occuperemo di questo personaggio nella sezione dedicata alla mitologia irlandese.

III - IL «DIO COL MAZZUOLO», LE FONTI ICONOGRAFICHE

Il «dio col mazzuolo»
Musée gallo-romain de Fourvière, Lyon (Rhône, Francia).

Circa duecento immagini gallo-romane sono dedicate al cosiddetto «dio col mazzuolo». Ha l'aspetto di un uomo maturo, con barba e capigliatura riccioluta. L'atteggiamento è maestoso, con una leggera ponderatio. È solitamente vestito alla maniera gallica, con una tunica manicata, trattenuta in vita e sui fianchi, e un mantello. Spesso indossa bracae e calzature. A volte è invece abbigliato con una sinistra pelle di lupo, il cui cranio è posato sul suo capo a mo' di elmo. Gli attributi costanti sono un mazzuolo dal lungo manico, più simile a uno scettro, che impugna nella sinistra, e nella destra un vaso tipo olla, in alcuni casi sostituito da una patera. In certe aree geografiche, invece del vaso compare un tino. Raramente il dio impugna una falx. Su una stele proveniente da Séguret (Vaucluse, Francia) ha, eccezionalmente, una siringa.

Spesso, il «dio col mazzuolo» è accompagnato da un cane [immagine]✦. Su un altare rinvenuto a Vacquerolles, vicino Nîmes (Gard, Francia), il dio è ritratto con un gallo. In due immagini è associato a un serpente: su un frammento di altare in calcare trovato nella chiesa di Saint-Thomas de Coloures, ancora presso Nîmes, dove l'animale è attorcigliato al manico del mazzuolo, e su una statuina di terracotta rinvenuta a Hochwald (Solothurn, Svizzera).

In tredici immagini, il «dio col mazzuolo» è raffigurato insieme a una divinità femminile. In alcune figurazioni compaiono i soli attributi: mazzuolo e olla [immagine]✦.

Le statuette bronzee, circa un centinaio, sono diffuse soprattutto alla foce del Rhône e nelle valli del Rhône e della Saône, tra Lyon e Dijon (Francia), nella zona di Besançon (Francia) e del lago Léman (Svizzera). Stilisticamente, presentano una fattura assai accurata. Il dio può essere raffigurato abbigliato alla maniera gallica [immagine]✦, o con una corta tunica [immagine]✦, o nudo [immagine]✦. In alcune immagini la tunica è ornata da segni a forma di croce, o inscritti in un cerchio [immagine]✦; tali simboli sono stati interpretati come simboli astrali, oppure legati a qualche aspetto ctonio del dio (Lambrecht 1942 | Duval 1957).

Le immagini in pietra, una settantina circa, hanno una diffusione maggiore sul territorio rispetto alle statuine in bronzo: sono state ritrovate lungo il corso del Rhône, della Saône, nel territorio degli Hedui; nella zona della Moselle, del Rhin/Rhein, del Main e della Saar. In Gallia Narbonensis quasi tutte le immagini ritrovate sono pertinenti ad altari, mentre nella Gallia Lugdunensis e Belgica e in Germania Superior si tratta, a parte qualche eccezione, di steli a rilievo. Sono assai meno raffinate rispetti ai bronzi: i tratti somatici sono semplificati, i panneggi rudimentali, le proporzioni sovente sbagliate.

In quanto alle statuette di terracotta, tre provengono dal territorio compreso tra la Moselle e il Rhin/Rhein: due di queste sono state trovate all'interno delle aree sacre a Dhronecken e a Hochscheid (Rheinland-Pfalz, Germania). Una quarta statuetta di terracotta proviene da Vichy (Allier, Francia).

Nella valle del Rhône – a Vichy, a Orange e a Sainte-Colombe-lès-Vienne (Francia) – sono stati rinvenuti frammenti di tre medaglioni di applicazione recanti l'immagine del «dio col mazzuolo» [immagine]✦; un quarto viene invece da Samobriva (Gallia Belgica) ⇒ Amiens (Somme, Francia) [immagine]✦. (De Vries 1961 | Baratta 1993)

Per quanto riguarda i rilievi rupestri, si riferiscono forse al «dio col mazzuolo» e alla sua paredra le immagini chiamate «Hänsel» e «Gretel» scolpite su una pietra, nella foresta di Sengscheid (Saarland, Germania) [immagine]✦. A questi si può aggiungere, con tutte le dovute cautele, il cosiddetto «viandante» di Carpene, in Valcamonica (Lombardia, Italia), che alcuni riconducono al «dio col mazzuolo» [immagine]✦.

Attualmente non si conoscono immagini del «dio col mazzuolo» provenienti dall'Aquitania.

IV - IL NOME: SUCELLOS

In due figurazioni, l'immagine del dio è accompagnato dal nome Sucellus.

Benché questo nome sia latinizzato in -us, esso è gallico, non latino, e la forma originale era sicuramente Sucellos.

Conosciamo tale nome grazie a un monumento iscritto che porta sia il nome che l'immagine del dio: è la stele di un'altare rinvenuta nei pressi del mitreo di Sarrebourg (dép. Moselle, Francia), nel territorio dei Mediomatrici [immagine | immagine]✦. Qui Sucellos veste alla maniera gallica, con una tunica e calzari ai piedi, ha barba e capelli ricci, impugna il lungo mazzuolo con la sinistra e tiene il vaso nella destra. Gli sta a fianco una dea che nella dedica è chiamata Nantosuelta. Abbigliata secondo l'uso romano, ella poggia la mano destra su una colonna lavorata e regge con la sinistra un'asta-scettro sormontata da un'edicola nella quale si è voluto vedere un piccolo tempio o fanum. Il portamento di entrambi è maestoso e regale, quale potrebbe essere quello di Iuppiter e Iuno. Sotto di essi, alla base della stele, compare enigmaticamente l'immagine di un corvo. L'iscrizione dice:

DEO SVCELLO
NANTOSVELTE
BELLAVSVS MAS
SE FILIVS V S L M

Deo Sucello
Nantosuelt(a)e
Bellausus Mas-
s(a)e filius v(otum) s(olvit) l(ibens) m(erito)

CIL [xiii: 4542]

Il nome Sucellos è associata al «dio col mazzuolo» anche sui medaglioni ornamentali applicati a vasi. In questi appliques il dio è raffigurato di profilo, nell'atto di avanzare, sempre reggendo il mazzuolo e l'olla, questa volta accompagnato da un piccolo cane. Disgraziatamente, in un solo reperto, quello proveniente da Vienna (Gallia Narbonensis) ⇒ Sainte-Colombe-lès-Vienne (dép. Rhône, Francia), il nome è stato conservato in una breve iscrizione «Sucellos ci sia propizio»:

SV[CELL]VM PROPITIVM
NOBIS

Su[cell]um propitium
nobis

CAG [69-01, p. 357]

Iscrizioni col nome di Sucellos (ma senza più l'immagine del dio) sono state trovate in Gallia Narbonensis (Vienna ⇒ Vienne), in Gallia Belgica (Mediolanum ⇒ Mâlain [immagine]✦; Divodurum ⇒ Metz); in Germania Superior (Eborudurum ⇒ Yverdon-les-Bains; Augusta Raurica ⇒ Augst [immagine]✦; Borbetomagus ⇒ Worms [immagine]✦), e una perfino in Britanna (Eboracum ⇒ York) ①. In tutto, quattro dediche sono incise su altari, due su anelli, una su una tabula ansata, quattro su medaglioni di applicazione e un'altra su un blocco di pietra appartenente a un architrave o a un fregio. Questa diversità lascia intendere che a Sucellos venissero praticati tanto riti domestici e privati – com'è il caso degli anelli e degli appliques – quanto, invece, un culto pubblico. La distribuzione dell'area cultuale di Sucellos, che con i monumenti figurati era limitata alla Gallia Narbonensis, si allarga considerevolmente, comprendendo una larga fascia che attraversa l'intera Gallia orientale da sud a nord, ma sempre a ovest del Rhin/Rhein.

In quanto all'etimologia, il nomen Sucellos risale all'epoca celtica preromana e va forse scomposto in su-, prefisso gallico dal significato di «buono», e in -cello, in cui si è vista la stessa radice del latino percellere o procella, e che si rintraccia anche nella forma greca kláō «rompere, spezzare». Il significato, secondo tale interpretazione, è «colui che ben colpisce» oppure «il buon battitore».

Una differente etimologia, sostenuta a suo tempo da Adolf Michaelis, fa derivare il nome da un germanico celdo, con il significato di «manico» (Michaelis 1895); tale etimologia non è ritenuta corretta, in quanto associa una radice celtica a un termine germanico. Come nota Johann Baptist Keune, la definizione del nomen Sucellos come di «[colui che ha] il bel manico» non è convincente, in quanto identifica il dio con un attributo fuorviante: il lungo manico del «dio col mazzuolo» ha infatti lo scopo di enfatizzare il mazzuolo (Keune 1896).

Sono state date infinite interpretazioni di Sucellos. Lo si è voluto vedere come un dio supremo, un dio del cielo e del tuono, un protettore degli uomini, un dio della ricchezza e della fecondità, un dio protettore delle case e delle piante, un dio della morte, il padre del popolo gallico, persino un dio della guerra. Vedremo tra pochi quali delle caratteristiche di Sucellos hanno suggerito tali interpretazioni della sua figura, quali siano pertinenti e quali meno. Come nota giustamente Jan De Vries, tali spiegazioni riflettono fin troppo le opinioni degli studiosi che le hanno formulate (De Vries 1961).

V - GLI ATTRIBUTI: IL VASO E IL MAZZUOLO

Altare con gli attributi di Iuppiter e Silvanus

Altare da Saint-Laurent-d'Aigouze (dép. Gard, Francia) in cui sono raffigurati il fulmine e la ruota, attribuiti dello Iuppiter gallico, e il mazzuolo e l'olla, attributi del «dio col mazzuolo», a cui si aggiunge la zappa, che rimanda all'identificazione di quest'ultimo come Silvanus.

Museo: [Il «dio col mazzuolo». Iconografia gallo-romana]►

I due attributi che rendono immediatamente riconoscibile il «dio col mazzuolo» sono il mazzuolo e il vaso tipo olla che il dio regge nella mano. I due attributi possono comparire anche da soli, come nell'altare rinvenuto a Saint-Laurent-d'Aigouze (dép. Gard, Francia), dedicato a Silvanus [immagine]✦.

È innanzitutto interessante la forma del mazzuolo. Non si tratta di un'arma o di uno strumento; si direbbe anzi che venga usato come uno scettro. La testa del mazzuolo si erge in cima a una lunga asta puntata al suolo, asta che il dio sorregge con il braccio alzato. In altre figurazioni, il mazzuolo è più corto, ed è deposto o innalzato accanto al dio: ma l'adattamento è imposto dalle dimensioni dalla rappresentazione.

Nonostante le numerose ipotesi avanzate, il significato del mazzuolo continua a sfuggire agli studiosi. Si è parlato di un simbolo risalente al neolitico preindoeuropeo (Heichelheim ~ Housman 1948), senza però spiegare la sua sopravvivenza tra i Celti. Altri lo hanno paragonato al martello del dio-tuono, sul modello di quello impugnato dal Þórr scandinavo (Keune 1932), e accessoriamente hanno voluto vedervi uno strumento di morte e resurrezione. Ma si è anche andati a cercare la bipenne di divinità orientali come Tešub o Iuppiter Dolichenus, o si è tirato in causa il culto cretese della doppia ascia (Lambrechts 1942). Altri hanno pensato al martello di Χarun, il dio etrusco della morte (Linckenheld 1929 | Drioux 1934 | Duval 1957) [infra]▼. Altri hanno interpretato il mazzuolo presente sulle lapidi commemorative del Silvanus gallico come un attrezzo da taglialegna (Guiraud 1935 | Toutain 1921) [infra]▼. Altri, su analoghe considerazioni, hanno parlato di un dio della viticoltura (Prümm 1954).

L'altro attributo di Sucellos è un vaso tipo olla presentato sulla mano destra, che il dio sembra offrire quale simbolo di ricchezza. Ma sono anche attestate delle varianti. In raffigurazioni meno dettagliate, un dio simile a Sucellos è fornito di una cornucopia. Ad Alesia e in Bourgogne, nei territori tribali degli Hedui e dei Lingones, sta invece appoggiato a un tino [immagine]✦. Vaso, tino e cornucopia sono variazioni di un medesimo attributo, un simbolo di ricchezza e di fecondità. È questa l'interpretazione su cui propende il maggior numero di studiosi. Si è voluto mettere in correlazione il vaso con il calice che sovente compare sulle stele tombali nella Gallia centro-orientale, presso gli Hedui ed i Lingones (Hubert 1896), e naturalmente con il calderone sacro della mitologia irlandese e gallese (Heichelheim ~ Housman 1948) e quindi con il Sangrail della tradizione arturiana. C'è stato pure chi ha voluto spiegare il tino ipotizzando un culto del dio basato su libagioni di birra (Hubert 1914).

Altri autori hanno sospeso il giudizio, ritenendo che non vi siano sufficienti dati per interpretare il simbolo del vaso (Toutain 1921 | De Vries 1961). Apprezziamo la prudenza di questi studiosi, ma crediamo non sia così azzardato interpretare l'olla di Sucellos come un esito gallico del più ampio mitema celtico del calderone sacro.

Si noti ancora che altre figurazioni mostrano Sucellos con oggetti diversi in luogo del vaso o del mazzuolo: una falx, una clava, persino una borsa per il denaro.

VI - NANTOSUELTA

Altare di Sarrebourg con Sucellos e Nantosuelta

Le immagini di Sucellos e Nantosuelta, accompagnate da una iscrizione dedicatoria che ne chiarisce i nomi, sul famoso altare rinvenuto nel Mitreo di Sarrebourg (dép. Moselle, Francia), nel territorio dei Mediomatrici

 
Secondo altare di Sarrebourg

Immagine di Nantosuelta su un altare rinvenuto non lontano dal precedente (dép. Moselle, Francia).

Museo: [Il «dio col mazzuolo». Iconografia gallo-romana]►

In tredici delle circa duecento raffigurazioni del «dio col mazzuolo», il nostro protagonista accompagnato da una figura femminile. Le due divinità compaiono innanzitutto nel bassorilievo dell'altare di Sarrebourg [immagine | immagine]✦, dove sono chiamati Sucellos e Nantosuelta (CIL [xiii: 4542]). Abbigliata secondo l'uso romano, Nantosuelta poggia la mano destra su una colonna lavorata e regge con la sinistra un'asta-scettro sormontata da un'edicola nella quale si è voluto vedere un piccolo tempio o fanum. Il portamento di entrambi è maestoso e regale, quale potrebbe essere quello di Iuppiter e Iuno. Alla loro base è raffigurato un grosso corvo.

Un'altra raffigurazione rinvenuta assieme all'altare di Sarrebourg, mostra soltanto la dea [immagine | immagine]✦. Anche in questo caso ella regge in mano un'asta con in cima un'edicola, mentre sull'altra mano tiene un oggetto che si crede possa essere un alveare sul quale è appollaiato, ancora una volta, un uccello, probabilmente un corvo. Nell'angolo alla sua sinistra si trovano ammucchiati tre oggetti, interpretati generalmente come favi (Green 1998).

Altre immagini, prive di nome, sono comunque ricollegate alla dea a causa del medesimo simbolismo. Un ritratto proveniente da Speyer, e dunque dal territorio dei Nemeti, rappresenta la dea con il suo scettro sormontato da un fanum, sopra il quale è poggiato un uccello; ella tiene in mano dei frutti [immagine]✦. A Teting, nel territorio dei Treveri, una divinità femminile porta un vaso e di nuovo l'asta con l'edicola. Altre rappresentazioni di una dea che potrebbe essere Nantosuelta sono stati rinvenuti nel Lussemburgo, sempre nel territorio dei Treveri: le immagini ritraggono una divinità femminile seduta in un'edicola o in un piccolo tempio, in compagnia di un corvo. In altre figurazioni, una dea identificata con Nantosuelta sembra portare una cornucopia.

Dalla Britannia viene una sola immagine che sembra riconducibile alla dea: una pietra trovata a East Stroke (Nottinghamshire) nel territorio dei Corieltauvi ritrae una coppia: un anziano «dio col mazzuolo» e accanto una dea dai capelli irsuti, un pesante torques al collo e una gonna a balze. Ella tiene una scodella di mele davanti a sé.

L'etimologia del nomen Nantosuelta non è chiara. Per la prima parte del nome si è pensato al termine celtico nanto «valle», ma si è pure ipotizzato un possibile nesso con il nome del dio irlandese Nét (< *Nanto). La seconda parte è stata invece connessa a un indoeuropeo *SWEL- «ardere» (Le Roux 1952 | Olmsted 1994). Secondo Xavier Delamarre, il nome di Nantosuelta significherebbe «valle riscaldata dal sole» (Delamarre 2001).

Il simbolismo che prevale in queste immagini sembra legato a una situazione di benessere, prosperità e abbondanza. Tuttavia, la natura del fanum impilato sulla cima dello scettro della dea non è stata mai del tutto chiarita dagli studiosi. Al riguardo, Henri Hubert ha pensato che potesse rappresentare un'arnia, e che dunque Nantosuelta fosse in realtà la dea elargitrice dell'idromele (Hubert 1913); ipotesi non condivisa da E. Linkenheld, il quale ha invece fatto notare la somiglianza tra la casetta di Nantosuelta e le case galliche, così come le mostrano le stele della zona di Sarrebourg e dei Vosgi (Linkenheld 1913). Da qui, l'ovvia interpretazione di Miranda Green, secondo la quale Nantosuelta doveva essere una divinità domestica, guardiana del focolare e della casa (Green 1998).

Analogamente, l'uccello presente nelle immagini della dea non introduce necessariamente un ruolo della dea come protettrice delle anime nell'oltretomba. Nell'altare di Sarrebourg esso è un grosso corvo, il quale, nel mondo germanico, è legato piuttosto alla saggezza e all'onniveggenza, e comunque era animale sacro a Mercurius.

Questi sono alcuni dei problemi di identificazioni legati alla figura di Nantosuelta. Né ci aiuta il fatto che la compagna del «dio col mazzuolo» è chiamata Diana venatrix nell'altare di Mainz. In realtà non è chiaro se la dea che accompagna il «dio col mazzuolo» nelle molte immagini in cui quest'ultimo compare in coppia, sia davvero da identificare con Nantosuelta.

VII - SILVANUS, INTEPRAETATIO ROMANA DEL «DIO COL MAZZUOLO»

In alcune immagini, quali ad esempio il bronzo di Glanum [immagine]✦ e quello di Orpierre [immagine]✦, il «dio col mazzuolo» ha l'aspetto di Silvanus, il dio romano dei boschi e delle selve. In quest'ultima figurazione, egli indossa unicamente una corta tunica di pelle che gli lascia nude la spalla destra e le gambe. È barbuto e porta una corona d'alloro sul capo. Il mazzuolo che impugna nella mano sinistra è più alto della sua testa. La mano destra è protesa in avanti, nell'atto di offrire il contenuto del suo piccolo vaso.

È fuor di dubbio che i Celti venerassero una versione locale del dio romano Silvanus. In Gallia sono state rinvenute diverse iscrizioni dedicate a Silvanus, di cui è particolarmente bella quella offerta da un certo Pomponius Victor procuratore di Augustus ad Axima (Alpes Graiae) ⇒ Aime (Savoie, Francia). [immagine]✦

Silvane sacra semicluse fra[xino]
et huius alti summe custos hor[tuli]
tibi hasce grates dedicamus musicas
quod nos per arva perq(ue) montis Alpicos
tuique luci suaveolentis hospites
dum ius guberno remq(ue) fungor Caesarum
tuo favore prosperanti sospitas
tu me meosque reduces Romam sistito
daque itala rura te colamus praeside
ego iam dicabo mil(l)e magnas arbor[es]
T(iti) Pomponi Victoris proc(uratoris) Augustor[um]
O Silvano, semicelato nel sacro frassino
e sommo custode di questo nobile giardino,
a te dedichiamo riconoscenti questa poesia,
giacché attraverso i campi e i monti delle Alpi
(siamo) ospiti del tuo bosco dal soave profumo.
Finché amministro la giustizia e agisco nell'interesse dei Caesari,
proteggi con il tuo amore che dona felicità
me e i miei che torniamo a Roma, continua a sostenerci
e concedici terre italiane (che) coltiviamo sotto la tua protezione.
Tosto (ti) consacrerò mille grandi alberi.
Di Titus Pomponius Victor, procuratore di Augustus.
CIL [xii: 103]
Traduzione di Valeria Muscarà

Le sole figurazioni del vaso e del mazzuolo appaiono anche in alcune iscrizioni dedicate Silvanus [immagine]✦. Al riguardo, si è fatto notare che tutte le rappresentazioni del «dio col mazzuolo» vengono dalla Gallia Narbonensis (Hubert 1914), la stessa regione in cui veniva venerato Silvanus. Qui si assiste infatti a prestiti reciproci tra le due figure divine: il mazzuolo e l'olla, u tipici attribuiti del «dio col mazzuolo», si sovrappongono a quelli di Silvanus: seminudità, pelle d'animale, corona d'alloro, falx e siringa.

«Dio col mazzuolo» in aspetto di Silvanus

Statuetta di bronzo rinvenuta a Orpierre (dép. Hautes-Alpes, Francia).

Museo: [Il «dio col mazzuolo». Iconografia gallo-romana]►

Adolf Michaelis ha particolarmente sottolineato l'interpraetatio del «dio col mazzuolo» come Silvanus, leggendo quindi la figura del dio gallico secondo le caratteristiche del nume romano. Dunque, il «dio col mazzuolo» sarebbe stato una divinità silvestre, agricola, che proteggeva il raccolto e il bestiame (Michaelis 1895). Tale interpretazione è stata successivamente ripresa da altri studiosi (Hubert 1915 | Lambrechts 1942 | Duval 1957), e ha portato alcuni a leggere il mazzuolo come un attrezzo da taglialegna (Toutain 1921 | Guiraud 1935).

Qui però bisogna procedere con prudenza. Le identificazioni tra divinità che venivano operate nell'antichità erano raramente basate su affinità filologiche: in genere si tendeva a mettere in correlazione l'aspetto esteriore dei vari personaggi, o qualche loro attributo o funzione. È più prudente ritenere che qualche aspetto secondario di Sucellos abbia originato un'interpretazione del dio come Silvanus, piuttosto che trasformarlo tout-court in una divinità silvestre e agricola.

L'archeologa Giulia Baratta, che sottolinea a più riprese le molte affinità tra l'iconografia del «dio col mazzuolo» e quella di Silvanus (tunica, mantello, bracae, barba, bastone, cane, etc.), ammette che l'assenza di una soluzione di continuità tra i due personaggi sia dovuta a un processo di assimilazione nell'aspetto e nella funzione tra la divinità romana e quella gallica; le due divinità si sarebbero sovrapposte formando una figura ibrida. Tale processo sarebbe avvenuto soprattutto in Gallia Narbonensis e in Germania Superior, dove la presenza e l'influenza romana erano più forti che altrove. Secondo la studiosa, è possibile che il «dio col mazzuolo» avesse avuto originariamente molte funzioni diverse: in tal caso, l'assimilazione con Silvanus avrebbe finito per evidenziare quelle caratteristiche legate alla vegetazione, alla fertilità, ai campi e ai boschi, e il «dio col mazzuolo» si sarebbe rapidamente cristallizzato in una sorta di versione celtica di Silvanus. (Baratta 1993)

L'autrice segnala, come importante prova in favore di questa ipotesi, un altare rinvenuto a Borbetomagus (Germania Superior)⇒ Worms (Rheinland-Pfalz, Germania), con una dedica congiunta a Silvanus e Sucellos, indicazione che le due divinità, inizialmente distinte, partecipavano a una comune sfera di funzioni:

DEO SV
CELO
SILVANO
TI GPIP

Deo Su-
celo
[S]ilvano
Ti(berius) GPIP

CIL [xiii: 6224]
VIII - GLI EPITETI DEL SILVANUS GALLO-BRITANNICO

Alcune iscrizioni dedicate a Silvanus sono accompagnate da epiteti, tanto in Gallia quanto, soprattutto, in Britannia.


Callirius

L'epiteto Callirius, «re della foresta» o «dio dei boschi di nocciolo», è attestato da una sola iscrizione, rinvenuta in Britannia, a Camulodunum ⇒ Colchester. La dedica, offerta al dio da un ramaio, è incisa a punzonatura su una placca di bronzo trovata in una fossa nei pressi di un santuario.

DEO SILVANO
CALLIRIO D
INTVSMVS
AERARIVS
V S L M

Deo Silvano
Callirio d(onum)
intusmus
aerarius
v(otum) s(olvit) l(ibens) m(erito)

AE [1949: 94]

Insieme alla placca si trovava la figurina in bronzo di un cervo.


Cocidius

Il nomen Cocidius, assai diffuso in Britannia, compare in numerose iscrizioni sia da solo, sia riferito a Mars; in una singola iscrizione, proveniente da Vercovicium ⇒ Housesteads è però epiteto di Silvanus:

DEO
SILVANO
COCIDIO
Q FLORIVS
MATERNVS
PRAEF COH
I TVNG
V S L M

Deo
Silvano
Cocidio
Q(uintus) Florius
Maternus
praef(ectus) coh(ortis)
I Tung(rorum)
v(otum) s(olvit) l(ibens) m(erito)

CIL [vii: 642]

Si noti che un'altra iscrizione, questa volta da Habitancum ⇒ Risingham, e purtroppo mutila, è dedicata a «Deo Cocidio et / Sil[vano †]», mettendo le due divinità in stretta correlazione ma, di fatto, distinguendole:

DEO COCIDIO ET
SILVANO [†] SEV
...†]IOV
...†]ARAM
...†...
...†...
...†...
V
S L M

Deo Cocidio et
Sil[vano †] Sev
...†]iov
...† a]ram
...†...
...†...
...†...
[v(otum)] s(olvit) l(ibens) m(erito)

AE [1938: 112]

Silvanus Sinquatis

Il nomen Sinquatis è attestato in due iscrizioni dal territorio dei Treveri. È epiteto di Silvanus in un'iscrizione sul piedistallo di un nudo maschile in bronzo, purtroppo danneggiato, rinvenuto in Gallia Belgica, nell'odierna Gérouville, presso Meix-devant-Virton (Wallonie, Belgio):

DEO SILVANO SINQV
PATERNIVS PRO SA
LVTE EMERITI FILI
SUI IO S L M

Deo Silvano Sinqu(ati)
Paternius pro sa-
lute Emeriti fili(i)
sui io(tum) [recte: vo(tum)] s(olvit) l(ibens) m(erito)

CIL [xiii: 3968]

La seconda iscrizione, su una tabula ansata proveniente dallo stesso sito, è dedicata a un «Deo Sinquati», senza però alcun riferimento a Silvanus.

DEO SINQVATI
L HONORAT
IVS AVNVS
V S L M

Deo Sinquati
L(ucius) Honorat-
ius Aunus
v(otum) s(olvit) l(ibens) m(erito) 

CIL [xiii: 3969]


Silvanus Vinotonus

Un dio Vinotonus è attestato in quattro iscrizioni in Britannia, tutte provenienti da Lavatrae, odierno villaggio di Bowes (co. Durham, Regno Unito). In due di esse (AE [1949, 96a] = RIB [01: 733]RIB [01: 737]) il nome è a sé stante, ma in altre due è utilizzato come epiteto di Silvanus (AE [1947, 133 | AE 1988, 150]).

Il nomen significa forse «dio del vino»: è probabile che si tratti di una divinità minore adorata a ridosso del vallum, identificata dai Romani con Silvanus.


IX - SUCELLOS: UN DIO-TUONO?

Il «dio col mazzuolo»

Immagine ispirata da una statuetta di bronzo ritrovata presso il villaggio di Prémeaux-Prissey (dép. Côte-d'Or, Francia)  [immagine].

Diversi studiosi hanno voluto identificare il «dio col mazzuolo» con lo Iuppiter gallico a cui accenna Caesar in De bello Gallico [VI: 17] (Keune 1932). Il mazzuolo di Sucellos è stato avvicinato al martello del dio-tuono germanico Þórr, più di quanto non sia possibile con i fulmini retti dal «dio con la ruota», e che di conseguenza lo Iuppiter gallico sarebbe da identificare con il «dio col mazzuolo», a cui in tal caso sarebbe da attribuire il nome di Taranis. L'ipotesi è molto resistente, ed è stata sostenuta anche in tempi recenti. Giulia Baratta è andata oltre la facile identificazione tra il mazzuolo di Sucellos e il martello di Þórr e ha lavorato con impegno sulle funzioni agricole delle due divinità: il «dio col mazzuolo», soprattutto nella sua assimilazione a Silvanus, viene messo in relazione con Þórr, a cui era tributato un culto soprattutto da parte dei proprietari terrieri, in quanto dio temporalesco, legato alla fertilità dei campi. (Baratta 1993)

In realtà il «dio col mazzuolo» non sembra avere alcuna caratteristica di dio-tuono; viceversa, il carattere agrario sembra piuttosto importante nella definizione della sua figura. Al contrario, il carattere agricolo di Þórr è il risultato finale di una speculazione teologica sulle funzioni secondarie del dio, il quale è e rimane un dio guerriero, appartenente alla seconda funzione duméziliana. Inoltre, il mazzuolo di Sucellos, montato su una lunga asta, rassomiglia più a una sorta di scettro che a un simbolo del tuono, e non sembra assolutamente confrontabile con il martello di Þórr. Infine è probabile che il martello di Þórr sia un punto d'arrivo nell'evoluzione di un attributo del dio-tuono germanico *Þūnraz, che in origine era più probabilmente un fulmine o una clava. Ciò rende più problematica, piuttosto che spiegare, l'interpretazione del mazzuolo.

Alcuni autori hanno puntato lo sguardo sulla breve iscrizione dedicatoria rivenuta a Mogontiacum (Germania Superior) ⇒ Mainz (Germania), dedicata a «I O M SUCAELO» (dativo) e al genius loci (CIL [xii: 6730]) ①, vedendovi una possibile indicazione del fatto che Sucellos sia stato il dio supremo della religione celtica e quindi fosse senz'altro da identificare con lo Iuppiter gallico (Pisani 1949 | Lambrechts 1954). Tuttavia, come altri ha notato Jan De Vries, il nomen Sucaelus può essere solo un epiteto locale dello Iuppiter gallico, a indicare il carattere celeste del dio (cfr. latino coelum). In tal caso si esclude, in tale dedica, qualsiasi riferimento a Sucellos (De Vries 1961). Effettivamente sembra riduttivo interpretare l'iscrizione di Mainz in senso tale da ridurre un nomen divinum come Sucellos, che buona parte dell'epigrafia tratta come nome di una divinità a sé stante, a epiteto locale di Iuppiter. E se anche accessoriamente Sucellos sia stato interpretato come Iuppiter, si tratta evidentemente di un episodio isolato, insufficiente per operare identificazioni tra le due divinità.

Con ogni probabilità, Sucellos non è un dio-tuono, né un dio-cielo, e non sembra identificabile con Iuppiter o Taranis. A giudicare dai dati iconografici, il «dio col mazzuolo» e il «dio con la ruota» sono personaggi da tenere ben distinti.

X - IL «DIO COL MAZZUOLO», L'INTERPRETAZIONE CON DIS PATER

Rilievo di Oberseebach

Il «dio col mazzuolo»: quanto resta dell'altare di Oberseebach. Musée archéologique de Strasbourg, Strasbourg (Bas-Rhin, Francia).

Museo: [Il «dio col mazzuolo». Iconografia gallo-romana]►

Su un altare del III secolo, rinvenuto a Oberseebach (Bas-Rhin, Francia), il «dio col mazzuolo» compariva a fianco della sua paredra, e accanto a loro si trovava un cane a tre teste [immagine]✦. L'immagine è andata parzialmente distrutta nel 1870, ma ad essa si può affiancare un'altra figurazione, proveniente questa volta da Ulpia Traiana Sarmizegetusa, antica capitale della Dacia romana (odierna Grădiște/Várhely, in Romania), dove accanto al «dio col mazzuolo» compaiono una dea con una chiave e un cane a tre teste.

Questa presenza di un cane tricipite, simile al Kérberos classico, è forse una indicazione che il «dio col mazzuolo» fosse considerato un dio dei morti? Il problema ha lungamente diviso gli studiosi ed è lungi dall'essere risolto. In una ventina di immagini, il «dio col mazzuolo» è effettivamente accompagnato da un cane, animale che scorta le anime nell'aldilà e fa la guardia agli inferi. In tal caso, l'aspetto «cerberico» della bestia raffigurata nelle immagini di Oberseebach e di Grădiște/Várhely potrebbe essere un'ulteriore caratterizzazione infera aggiunta in epoca classica al «dio col mazzuolo». Tuttavia, la presenza del cane, da sola, non fornisce un'indicazione decisiva: nel pántheon classico quest'animale non ha solo un significato ctonio, ma è legato altrettanto bene al mondo dei boschi e della caccia, della medicina e della magia (Baratta 1993).

Ciò non basta per identificare il «dio col mazzuolo» con il Dis Pater cesariano, e Jan De Vries ha certamente ragione a manifestare un cauto scetticismo (De Vries 1961). Inoltre, le due sculture acefale su un altare trovato nel 1813 presso Sulzbach (Baden-Württemberg, Germania), che l'iscrizione identifica con Dis Pater e con la sua compagna Aericura, non hanno nulla della tipica iconografia del «dio col mazzuolo» [immagine]✦. Non vi è traccia dell'olla, del mazzuolo e nemmeno del cane: le due figure sono sedute l'una accanto all'altra, con le braccia deposte in grembo. La figura maschile regge qualcosa che, da alcuni, è stato identificato come un rotolo di pergamena. Tanto è bastato a molti studiosi per negare l'identificazione del «dio col mazzuolo» con il Dis Pater cesariano (Baratta 1993). Ma vi è anche la possibilità che le immagini non rappresentino le due divinità, ma Veterius Paternus e Adi (?) Paterna, i dedicatari dell'iscrizione, o forse i due defunti affidati alla benevolenza degli dèi degli inferi (Courcelle-Seneuil 1910).

I H D D D S AERICVR ET DITI PAT
VETER PATERNVS ET ADI PATER

I(n) h(onorem) d(omus) d(ivinae) d(eae) s(anctae) Aericur(ae) et Diti Pat(ri)
Veter(ius) Paternus et Adi (?) Pater(na)

CIL [xiii: 6322]

In altre figurazioni, come nel bronzo di Vienne (Isère, Francia), il «dio col mazzuolo» è ritratto nudo, con una pelle di lupo sulle spalle, il cranio a mo' di elmo [immagine]✦. Anche Hádēs, versione ellenica di Dis Pater, era talora raffigurato con una pelle di lupo, e aveva come attributi uno scettro e un vaso tipo kántharos, che ricordano effettivamente gli strumenti del «dio col mazzuolo». Al riguardo è stata avanzata una possibile correlazione con il dio dei morti etrusco Aita, dipinto su una parete della tomba dell'Orco, a Tarquinia, il quale indossa a sua volta una pelle di lupo [immagine]✦. Tuttavia, nel caso del «dio col mazzuolo», la pelle di lupo potrebbe indicare un legame con il mondo naturale, avvalorando piuttosto l'identificazione con Silvanus. La pelle di leone, presente in un secondo bronzo rinvenuto sempre a Vienne [immagine]✦, potrebbe invece rimandare alla tipica iconografia di Hercules/Hēraklês.

Se queste correlazioni hanno un senso, allora il mazzuolo di Sucellos potrebbe suggerire il martello impugnato da Χarun, il dio etrusco del trapasso, che se ne serviva per recare la morte agli uomini, anch'egli presente nell'inquietante tomba di Tarquinia [immagine]✦ (Linckenheld 1929 | Drioux 1934). Nel rimproverare ai pagani il loro gusto per gli spettacoli estremi e sanguinosi, l'apologeta Tertullianus riferisce di una comparsa chiamata Dis Pater che impugnava un martello quando portava i cadaveri fuori dell'arena:

Vidimus saepe castratum Attin deum a Pessinunte, et qui uiuus cremabatur, Herculem induerat; risimus at meridiani ludi de deis lusum, quo Ditis pater, Iouis frater, gladiatorum exsequias cum malleo deducit, quo Mercurius in caluitio pennatulus, in caduceo ignitulus, corpora exanimata iam mortem que simulantia e cauterio probat. Spesso abbiamo visto in un criminale castrato il vostro dio di Pessinoús, Attis; ed Hercules impersonato da un infelice che veniva bruciato vivo. Abbiamo riso ai vostri giochi di mezzogiorno, quando Dis Pater, il fratello di Iuppiter, portava via, col martello in pugno, le spoglie dei gladiatori uccisi; e quando Mercurius, il cappello alato in testa, provava il caduceo arroventato sui corpi esanimi, distinguendo quelli che erano davvero senza vita da quelli che simulavano la morte.
Quintus Septimius Florens Tertullianus: Ad Nationes [I: 10]

Come ricorda Jan De Vries, molte tradizioni celtiche associavano il martello alla morte (Hartmann 1961). In Irlanda fino tempi piuttosto recenti si poneva un martello sulla bara «per bussare alla porta del Purgatorio» (Hartmann 1952). In Bretagna, soprattutto nel Morbihan, era in uso il marteaux de la bonne mort: se l'agonia durava troppo a lungo, la più anziana donna del paese veniva a reggere un martello sul capo del morente dicendo che doveva prepararsi ad abbandonare la terra (Varagnac 1941).

«Dio col mazzuolo». Bronzo di Vienne

Particolare della statuetta in bronzo del «dio col mazzuolo» da Vienne (Isère, Francia). Walters Museum, Baltimore (USA).

Museo: [Il «dio col mazzuolo». Iconografia gallo-romana]►

Il mazzuolo impugnato dal nostro dio gallico può essere dunque un'altra indicazione del suo carattere di dio infero? Difficile da dire, anche perché la mitologia del Dis Pater gallico ci è quasi completamente sconosciuta. Se l'ipotesi è corretta, l'attributo del «dio col mazzuolo» verrebbe a essere correlato a una classe di armi ambivalenti, capaci di date tanto la morte quanto di riportare alla vita. Così funzionava la mazza del dio irlandese Dagda Mór, che sembra essere l'omologo irlandese del «dio col mazzuolo». In un racconto gallese, Arawn, il re dei morti, consiglia al principe Pwyll di colpire il suo nemico una volta sola, perché, mentre il primo colpo l'avrebbe ferito a morte, il secondo l'avrebbe risanato (Mabinogion > Pwyll pendefyg Dyfed). Anche il martello di Þórr era dotato di entrambi i poteri: il dio lo utilizzava per far tornare in vita i caproni dopo averli uccisi. In tal caso, suggerisce De Vries, il nomen Sucellos, «colui che ben colpisce», potrebbe essere letto, interpretando il prefisso su-, come «colui che dà buoni colpi», cioè che elargisce benedizioni (De Vries 1961).

Sebbene con tutta la cautela del caso, il linguista olandese ipotizza l'immagine di un dio dei morti dal carattere ambivalente. Non un crudele nume degli inferi, ma un elargitore di fecondità e ricchezza, sorgente ctonia da cui germoglia il nutrimento che dà la vita agli uomini, così come si evince dal suo nome latino, Dis Pater, il «padre ricco» (cfr. Plóutōn «colui che dà la ricchezza») (De Vries 1961). Questo potrebbe spiegare l'ambivalenza delle caratterizzazioni del dio: ora un allegro e maestoso Silvanus, re della vita che sboccia e fiorisce, ora il cupo e oscuro Dis Pater, signore dell'oltretomba. E insieme, quali suoi attributi, l'olla che dà la vita (il Sangrail nel mito arturiano) e il maglio che dà la morte (la lancia associata al Sangrail).

Ma tale identificazione è anche viziata dal fatto che non sappiamo bene come definire l'entità del culto del Dis Pater gallico. La limitata diffusione delle immagini del «dio col mazzuolo» è stata giudicata, da molti studiosi, contraddittoria rispetto alla preminenza che Caesar attribuisce a Dis Pater (De bello Gallico [VI: 18]); inoltre, gli abiti indossati dal dio ne fanno una divinità rustica, adorata dalla gente semplice (De Vries 1961). Il problema, tuttavia, è mal posto: nulla ci autorizza a ritenere che, nonostante la sua posizione di dio progenitore o signore dei morti, Dis Pater dovesse godere di un culto paragonabile a quello di una «divinità suprema». Ma lo era davvero? O piuttosto, quale divinità primordiale e infera, a Dis Pater non doveva piuttosto essere attribuito un culto particolare, notturno, o secondario? La verità è che non ne sappiamo abbastanza per stabilire l'esatta posizione di Dis Pater nel pántheon gallico. I Commenta Bernensia a Lucanus, nel quale Iuppiter e Dis Pater sono considerati due interpraetationes di Taranis, suggeriscono che quest'ultimo fosse considerato una divinità antitetica al dio celeste e/o fulminante, forse simile al Summanus etrusco-latino, il cui culto non era certamente equiparabile a quello attribuito al suo «gemello» diurno. Ma poi, era davvero così? Stiamo avanzando su un terreno piuttosto fragile, e i Commenta Bernensia non sono certamente una fonte attendibile e affidabile.

Museo: [Il «dio col mazzuolo». Iconografia gallo-romana]►
Fonti: [Inscriptiones latinae selectae > Dis Pater]►

Un discorso sui cani inferi ci porterebbe troppo lontano. L'esempio più conosciuto è il Kérberos greco, il cane a tre teste incatenato alle soglie dell'oltretomba. Nella mitologia scandinava questo cane ha nome Garmr. Anche lo Yama indiano, in quanto considerato allo stesso tempo progenitore dell'umanità e dio dei morti, era accompagnato da cani con quattro occhi. Ma senza andare troppo lontano, anche i Celti conoscevano il mitema del cane infero: basti pensare ai cwn annwfn, i «cani dell'altro mondo» del mito gallese, i cani bianchi con le orecchie rosse che scortavano Arawn durante i suoi viaggi nel nostro mondo.
 
La falce della morte è la falce del tempo che nulla risparmia. Tale falce deriva da quella impugnata da Saturnus, antico dio italico della semina e del raccolto, poi associato al dio greco Krónos, il cui falcetto d'ádamas, in Hēsíodos, era servito per evirare Ouranós e incidentalmente per rompere l'immobile staticità dei primordi e dare inizio allo scorrere del tempo. Ora, per la somiglianza tra il nome Krónos e il termine greco chrónos «tempo», a Saturnus vennero conferite caratteristiche di «dio del tempo» (non inconciliabili con il suo carattere di dio stagionale). A ogni buon conto, si tenga presente che anche Sucellos è talora raffigurato con una falce in mano. E si tenga ancora presente che nel folklore della Bretagna francese, lo spirito della morte, l'Ankou, impugna una falce montata al contrario.

XI - AERICURA, LA REGINA DEGLI INFERI

In alcune iscrizioni dedicatorie, Dis Pater viene invocato insieme a una dea, il cui nome sembra essere Aericura. La dea viene anche invocata singolarmente in un'altra serie di iscrizioni. Il numero complessivo di dediche non è elevatissimo, una ventina in tutto, ma sono sparse su un'area piuttosto vasta: sono state rinvenute in Gallia, in Germania, in Italia, in Pannonia, in Dacia, addirittura in Numidia.

Il regolare affiancamento con Dis Pater ci permette di interpretare Aericura come una dea degli inferi. Al riguardo, alcune delle iscrizioni sono piuttosto esplicite, come quella proveniente da Carnuntum (Pannonia Superior) ⇒ Petronell-Carnuntum (Bruck an der Leitha, Austria), dedicata a Dis Pater, Veracura [sic] e Cerberus:

SATE DITE PA
TER ET VERA
CVRA ET CERBER
E AVXILIE QI TENES
IMINA INFERNA SIVE
SIVE SVPERNA

Sa(nc)te Dite Pa-
ter et Vera-
cura et Cerber-
e auxilie [recte: auxilium] q(u)i tenes
imina inferna sive
{sive} superna

AE [1929, 228]

Nell'iscrizione di Raviana (Noricum) ⇒ Mautern an der Donau (Krems-Land, Austria), Aericura fa coppia con Pluto, e i due sono definiti, significativamente, Iuppiter infernus e Iuno inferna (AE [1950, 112]). In un'iscrizione proveniente da Colonia Claudia Ara Agrippinensium (Germania Inferior) ⇒ Köln (Nordrhein-Westfalen, Germania), Dis Pater fa invece coppia con Proserpina (CIL [xiii: 8177]). Questo continuo scambio di nomi ed epiteti ci rivela che, nei primi secoli dell'era volgare, la coppia celto-germanica Dis Pater ~ Aericura era considerata equivalente alla coppia classica Pluto ~ Proserpina.

La maggior parte dei monumenti dedicati a Aericura proviene dalla Germania Superior; oltre all'altare di Sulzbach (Rheinland-Pfalz, Germania) [immagine]✦[supra]▲, tre iscrizioni sono state rinvenute a Rottenburg am Neckar e altre due a Bad Cannstatt presso Stuttgart (Baden-Württemberg, Germania); un'altra iscrizione viene invece da Stockstadt am Main (Bayern, Germania). I due rilievi di Bad Cannstatt sono accompagnati da immagini. Nella prima, la dea è seduta, abbigliata con una lunga tunica e i capelli acconciati in uno chignon; tiene in grembo un cesto di frutta:
...†]CURE SIG VAL
...†] V S L L M

[Herec]ur(a)e sig(num) Val(erius)
...†] v(otum) s(olvit) l(ibens) l(aetus) m(erito)

CIL [xiii: 6322]

La seconda immagine, è purtroppo mutila della parte superiore, ma si riconosce il cesto di frutta, poggiato sulle ginocchia tra gli eleganti panneggi della veste.

HERECURE COTTVS
G[†]I EX VOTO SVSCEPTO
POSVIT V S L L M

Herecur(a)e Cottus
G[all]i (?) ex voto suscept[o]
posuit v(otum) s(olvit) l(ibens) l(aetus) m(erito)

CIL [xiii: 6438]

Appartiene probabilmente a Aericura un'altra immagine, anch'essa rinvenuta a Bad Cannstatt, dove la dea è assisa su un trono, con un cesto di frutta in grembo [immagine]✦. Stante la genericità degli attributi, è difficile identificare con sicurezza Aericura tra le immagini di dee rinvenute nell'Europa centro-orientale. È forse Aericura, però, la dea con la chiave che compare accanto al «dio col mazzuolo» e al cane a tre teste nel monumento di Ulpia Traiana Sarmizegetusa (Dacia) ⇒ Grădiște/Várhely (Romania).

Nell'epigrafe rinvenuta in Numidia, presso l'odierna Ṯībīlīs (Wilāya Qālma, Algeria), la dea viene apparentemente definita Terra Mater e Matri deum:

TERRAE MATRI
AERECVRAE MA
TRI DEVM MAG
NAE IDEAE
POPILIA M FIL
MAXIMA TAVRO
BOLIVM ARAM
POSVIT MOVIT
FECIT

Terrae Matr[i]
Aerecurae Ma-
tri deum Mag-
nae Id(a)eae
Popilia M(arci) fil(ia)
Maxima tauro-
bolium aram
posuit movit
fecit

CIL [vii: 5524]

Nonostante si tratti di un esempio isolato, e anche piuttosto lontano dai centri di culto celtici, alcuni studiosi non hanno esitato a definire tout-court Aericura una «madre terra» o una «dea madre», sottolineando la frequente presenza del cesto di frutta nelle immagini della dea (Green 1999). In realtà, attributi e funzioni agrarie non sembrano incompatibili con la natura infera e ctonia di Aericura, la quale, come guardiana delle profondità della terra, poteva tanto regnare sui defunti quanto controllare le sorgenti della fecondità e della vita. De Vries ha paragonato Aericura ad Hekátē (De Vries 1961), ma le relazioni più strette appaiono essere proprio con Persephónē, che era insieme la sposa di Hádēs, re degli inferi, e figlia di Dēmḗtēr, dea delle messi. L'anabasi di Persephónē dagli inferi, dopo la lunga stagione invernale, era motivo del rifiorire della vegetazione a primavera.

Molte ipotesi sono state avanzate nel tentativo di fornire una possibile etimologia del nome della dea. La prima difficoltà è il gran numero di lezioni in cui questo è attestato nell'epigrafia. È Aeracura a Roma (CIL [vi: 142]) [immagine]✦, Aeraecurae a Perusia (AE [1993, 651]), Aerecurae ad Aquileia (CIL [v: 725]) e in Numidia (CIL [viii: 5524]), Eracura nel Noricum (AE [1950, 112]) ed Aer(e?)cur(a)e in Dacia [immagine]✦. In Germania Superior, dove si concentra il maggior numero di iscrizioni, compare in molte forme: Aericur(ae) (CIL [xiii: 6322]) [immagine]✦, [H]eracur(a)e (CIL [xiii: 6631a]) [immagine]✦, Herecur(a)e (CIL [xiii: 2359]) [immagine]✦ e (CIL [xiii: 6438]) [immagine]✦, [Ha]erecur(a)e (AE [1956, 89]) [immagine]✦; Ericur(a)e (CIL [xiii: 2363]) [immagine]✦ ed Erecur(ae) (AE [1931: 67]) [immagine]✦. In Gallia Lugdunensis compare come Erecur(a)e (CIL [xiii: 2539]) e Haricura (CIL [xiii: 10024, 311]). Vi è infine la Veracura in Pannonia (AE [1929, 228]), che è stata considerata via via una cacografia, un epiteto della dea o una diversa pronuncia del suo nome, o addirittura il nome di un personaggio diverso. Altre lezioni sono troppo mutile perché sia possibile risalire alla forma originale. Ad esempio, il problematico «HRQR» attestato in Germania Superior (CIL [xiii: 2360]) [immagine]✦, va forse letto come abbreviazione di una lezione *Herequrae?

La prima parte del nome della dea è piuttosto instabile e l'alternanza tra le forme Aer-/Her-/Er- non ha ancora una spiegazione convincente. La lezione Her-, attestata in Germania Superior e, in un caso, in Gallia Lugdunensis, potrebbere essere sorta per un errore di lettura della forma Aer- (le lettere A e H possono essere confuse tra loro); la lezione Er- potrebbe essere spiegata come abbreviazione o semplificazione tanto di Aer- che di Her-.

Tra l'altro gli studiosi non sono nemmeno certi se il nome sia celtico o germanico. Julius Pokorny fa derivare la prima parte del nome da un protoceltico *āφer- > *āher- «sponda, spiaggia», a sua volta da un indoeuropeo *HaEHxPER- (cfr. greco Ḗpeiros «Epiro», tedesco Ufer «sponda di fiume») (Pokorny 1959). La seconda parte è stata ricondotta a una radice proto-celtica *kur- «cerchio» (cfr. antico irlandese curu) o *kurr- «angolo» (medio irlandese cer > cear «angolo», gallese cwr «orlo») (MacBain 1982 | Koch 2002). Alternativamente, l'elemento *kur-, presente tanto nel nome della dea che in quello del britannico Arecurius, potrebbe essere una contrazione di un proto-celtico *kawaro- «eroe, gigante» (medio irlandese curad, caur, «eroe, campione», gallese cawr, cornico cauro «gigante»), da cui anche il nome dell'ultimo re celtico di Tracia, Kaúaros (in Polýbios, Historíai [IV, 46]); questo termine sarebbe a sua volta corradicale con il greco kýrios «signore» e il sanscrito śūra «eroe, guerriero».

Tra gli studiosi più recenti, Garrett Olmsted fa derivare il primo elemento del nomen Aericura da un prefisso intensivo celtico eri- «oltre» e interpreta il secondo elemento, -cura, come grado zero di un *kueru- «mulino, farina»; il nome della dea avrebbe dunque l'improbabile significato di «verso il pane» (Olmsted 1994). Xavier Delamarre ricostruisce invece il nome in *Ēri-cūrā, «vento dell'ovest», interpretazione forse più suggestiva ma altrettanto priva di significato (Delamarre 2001).

XII - UN PARALLELO IRLANDESE: IL DAGDA MÓR

Un interessante parallelo con Sucellos può essere offerto da uno degli dèi più importanti della mitologia irlandese, il Dagda Mór. Si tratta di un dio onnisciente, rozzo e gaudente, abbigliato con una corta tunica grigia dotata di cappuccio e stivali di cuoio ai piedi, che trascina la sua enorme clava montata su ruote, la quale da un lato uccide chiunque colpisca e dall'altro lo resuscita, e possiede un gran paiolo che non è mai vuoto. ①

Al riguardo, tuttavia, Jan De Vries è piuttosto scettico. Nota che il culto del «dio col mazzuolo» fosse limitato alle parti orientali della Gallia, dunque in una zona piuttosto ristretta, e proprio per questo trova poco probabile trovare delle analogie in Britannia o in Irlanda (De Vries 1961).

Tuttavia, la clava e il paiolo del Dagda Mór ricordano irresistibilmente il mazzuolo e l'olla di Sucellos. Almeno a livello di attributi, i rapporti tra le due divinità sembrano piuttosto stretti (Heichelheim ~ Housman 1948 | Duval 1954). Altri studiosi considerano invece questa somiglianza piuttosto superficiale. De Vries segnala, critico: «Una clava è qualcosa di completamente diverso da un maglio fornito di un lungo manico. La piccola olla che ci si aspetta di vedere piuttosto nelle mani di un dedicante che offre un sacrificio, non è senz'altro da identificare con il mitico calderone dell'abbondanza e della rinascita» (De Vries 1961).

Il problema, tuttavia, è mal posto. Che gli attribuiti del Dagda Mór e quelli del «dio col mazzuolo» possano apparire più o meno affini tra loro è questione puralmente soggettiva. Quello che, da una certa distanza, può sembrare simile, mostra inevitabili divergenze se esaminato con maggiore attenzione. L'esame, in realtà, dovrebbe essere posto secondo un'ottica funzionale: ad esempio, la clava di Hēraklês, il martello di Þórr e il vajra di Indra, pur essendo tre strumenti completamente diversi, sono funzionalmente omologhi; ma se non conoscessimo i miti sottesi dietro i tre personaggi, difficilmente potremmo stabilire una correlazione tra loro. Nel caso che stiamo esaminando, ci manca purtroppo la mitologia del «dio col mazzuolo», cosa che rende problematico un tentativo di confronto con il Dagda Mór. Abbiamo però, a sorreggerci, uno schema dove i due strumenti vengono regolarmente appaiati: olla e maglio compaiono insieme in tutte le figurazioni del «dio col mazzuolo» e, anzi, lo identificano come tale. Analogamente, sebbene non possediamo immagini antiche del Dagda Mór, i testi confermano sempre i suoi due attributi: una clava e un calderone. Quindi, anche se le due coppie di strumenti non mostrano una perfetta coincidenza, lo schema si ripete con una certa regolarità.

È dunque possibile che il «dio col mazzuolo»/Sucellos e il Dagda Mór siano personaggi omologhi, almeno a livelli di attribuiti. Inoltre, se è giustificata l'identificazione del «dio col mazzuolo» con il Dis Pater gallico, si può puntualizzare che quest'ultimo era considerato il padre della stirpe celtica, così come il Dagda Mór veniva definito Ollathair, «padre di tutti», sebbene i testi irlandesi non diano una giustificazione di questo epiteto.

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BIBLIOGRAFIA
Intersezione Aree: Holger Danske
Sezione Miti: Asteríōn
Area Celtica: Óengus Óc
Ricerche e testi di Dario Giansanti e Oliviero Canetti.
Traduzione della dedica a Silvanus: Valeria Muscarà.
Creazione pagina: 10.11.2003
Ultima modifica: 25.08.2014
 
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