I - IL «DIO COL MAZZUOLO»:
INTRODUZIONE
Trattiamo adesso di un gruppo di
divinità, diversamente attestate nelle varie fonti. Da un lato c'è il
Dis
Pater citato da Caesar in
De bello Gallico
[VI: 18], divinità
primordiale che i
Galli consideravano padre della loro stirpe. Dall'altra c'è il cosiddetto
«dio col mazzuolo», presente
in numerose figurazioni gallo-romane e riconoscibile per i due attributi che lo
caratterizzano: un mazzuolo dal lungo manico e un vaso tipo olla.
Nelle figurazioni il
«dio col mazzuolo» assume tre
aspetti:
-
un dio vestito alla foggia
gallica e chiamato, in due casi, Sucellos;
-
un dio agricolo identificato
dai romani con Silvanus;
-
un dio vestito con pelle di lupo, forse
di carattere infero.
Di tali divinità si è sostenuta la reciproca
identificazione. |
II - DIS PATER, IL
PROGENITORE DEI GALLI
Dopo aver trattato le cinque
principali divinità dei Galli, Caesar
aggiunge:
Galli se
omnes ab Dite patre
prognatos
praedicant idque ab
druidibus proditum
dicunt. ob eam causam
spatia omnis temporis
non numero dierum, sed
noctium finiunt; dies
natales et mensum et
annorum initia sic
obseruant ut noctem dies
subsequantur. |
I Galli
affermano di discendere
tutti da
Dis Pater e che
questa tradizione
è stata
tramandata dai druidi.
Per questo motivo
misurano la durata del
tempo contando le notti,
non i giorni; anche il
giorno natale, l'inizio
del mese o dell'anno
vengono calcolati come
se la notte precedesse
il giorno. |
Caesar:
De bello
Gallico [VI: 18] |
Veniamo così a sapere che
i Celti conoscevano un dio che consideravano loro
progenitore e l'assimilazione di questo dio con il Dis
Pater romano fa pensare
a un dio dei morti e dell'aldilà. I due
elementi di dio progenitore e dio dei morti non
sono tra loro in disaccordo: potrebbe infatti trattarsi del mitema,
noto agli indoeuropeisti, del primo nato e
primo morto (e si può pensare, fatte le dovute cautele, al vedico
Yama, primo uomo a sperimentare
la morte e perciò assurto a re dei defunti (Pisani 1949)). ①
Il nome gallico di questo dio
è sconosciuto. Conosciamo circa una ventina
di dediche rivolte a Dis
Pater, e possiamo anche
presumere che il teonimo romano abbia sostituito il
nome indigeno del dio.
Molti autori interpretano, sulla
pura assonanza, il termine Dis
Pater come «dio padre»,
avvicinandosi così alla descrizione
cesariana del «dio padre» dei Galli,
signore degli inferi e della morte. L'ipotesi, per
quanto immediata, è però viziata: Dis
Pater non vuol dire
«dio padre», ma «padre ricco».
In latino il nome Dis è la forma contratta di
dives
«ricco». Questo nome è a sua volta
il calco perfetto dell'altro nomen del dio dei
morti, Pluton, dal
greco Plóutōn «colui che dà la
ricchezza», epiteto di Háıdēs.
Secondo una supposizione, ormai superata,
il nome Dis
Pater sarebbe stata una latinizzazione
di un nome collegato all'antico irlandese
dith
«morte» (Dottin
1906). Ma anche se il dio gallico avesse avuto
un nome completamente diverso, Caesar lo avrebbe
potuto sempre equiparare al Dis
Pater romano.
Notiamo infine che Dis
Pater e Iuppiter sono
anche le due interpraetationes romanae che i
Commenta Bernensia
al
Pharsalia
di
Marcus Annaeus Lucanus
dànno del dio gallico Taranis. Ma è difficile
dare un qualche credito a questa lettura, considerando quanto vaghi e contraddittori siano questi tardi
scolî in tutte le loro identificazioni:
Taranis
Ditis pater hoc modo aput eos placatur: in alueo ligneo aliquod homines
cremantur. [...]. [Credunt] prasidem bellorum et
caelestum deorum maximum Tarnanin Iouem adsuetum olim humanis placari capitibus,
nunc uero gaudere pecorum. |
Taranis
Dis Pater presso di loro viene
placato in questo modo: uomini vengono bruciati
vivi in tini di legno. [...]. [Credono] che
Taranis sia
Iuppiter, signore delle guerre
e massimo fra gli dèi celesti,
avvezzo un tempo a essere
placato con vittime umane, ora
con sacrificio di animali. |
M. Annaei Lucani Commenta Bernensia |
Un'ipotesi più solida
identificherebbe il Dis
Pater gallico al
«dio col mazzuolo», che in due
figurazioni è chiamato Sucellos, ma in altri monumenti, quale signore
degli inferi, è chiamato appunto
Dis
Pater. Questa teoria
spiegherebbe anche la distribuzione complementare dei monumenti
dedicati alle due divinità. Infatti le
dediche a Dis
Pater provengono dalla
Germania Superior e dal Noricum, quasi nessuna dalle Galliae. Quelle a Sucellos provengono invece dalla zona ad ovest
del Rhin/Rhein e si infittiscono spostandosi in direzione
del Rhône e della Saône, quindi proprio da quelle
regioni in cui non compare Dis
Pater.
In Irlanda si può forse
vedere un probabile omologo del Dis
Pater gallico nel
personaggio di Donn, lo
«scuro». Costui, secondo ildel
Lebor Gabála Érenn, era uno dei capi dei
Meic Míled il quale, mentre cercava di sbarcare in Ériu, annegò nei pressi di un'isoletta posta a
sud-ovest dell'isola e chiamata Tech nDuinn, la «casa
di Donn». È qui che secondo la tradizione
arrivano tutti gli uomini dopo la morte. Ma ci
occuperemo di questo personaggio nella sezione
dedicata alla mitologia irlandese.
|
III -
IL «DIO COL MAZZUOLO», LE FONTI ICONOGRAFICHE
Circa duecento immagini gallo-romane sono dedicate
al cosiddetto
«dio col mazzuolo».
Ha l'aspetto di un uomo maturo, con barba e capigliatura
riccioluta. L'atteggiamento è maestoso, con una leggera
ponderatio. È solitamente vestito alla maniera gallica,
con una tunica manicata, trattenuta in vita e sui fianchi, e
un mantello. Spesso indossa bracae e calzature. A volte è
invece abbigliato con una sinistra pelle di lupo, il cui
cranio è posato sul suo capo a mo' di elmo. Gli attributi costanti sono un
mazzuolo dal lungo manico, più simile a uno scettro,
che impugna nella sinistra, e nella destra un vaso tipo
olla, in alcuni casi sostituito da una patera. In
certe aree geografiche, invece del vaso compare un tino.
Raramente il dio impugna una falx. Su una stele
proveniente da Séguret (Vaucluse, Francia) ha,
eccezionalmente, una siringa.
Spesso, il
«dio col mazzuolo» è
accompagnato da un cane [immagine]✦. Su un altare rinvenuto a Vacquerolles, vicino Nîmes (Gard, Francia), il dio è ritratto
con un gallo. In due immagini è associato a un
serpente: su un frammento di altare in calcare trovato
nella chiesa di Saint-Thomas de Coloures, ancora presso Nîmes,
dove l'animale è attorcigliato al manico del mazzuolo, e su una
statuina di terracotta rinvenuta a Hochwald (Solothurn, Svizzera).
In tredici immagini, il
«dio col mazzuolo» è
raffigurato insieme a una
divinità femminile. In alcune figurazioni compaiono i soli attributi: mazzuolo e
olla [immagine]✦.
Le statuette bronzee, circa un centinaio,
sono diffuse soprattutto alla foce del Rhône e nelle valli
del Rhône e della Saône, tra Lyon e Dijon (Francia), nella
zona di Besançon (Francia) e del lago Léman (Svizzera).
Stilisticamente, presentano una fattura assai accurata. Il dio
può essere raffigurato abbigliato alla maniera gallica [immagine]✦,
o con una corta tunica [immagine]✦,
o nudo [immagine]✦. In alcune
immagini la tunica è ornata da segni a forma di croce, o inscritti in un cerchio
[immagine]✦; tali simboli sono stati
interpretati come simboli astrali, oppure legati a qualche
aspetto ctonio del dio (Lambrecht 1942
| Duval 1957).
Le
immagini in pietra, una settantina circa, hanno una
diffusione maggiore sul territorio rispetto alle statuine in
bronzo: sono state ritrovate lungo il corso del Rhône, della
Saône, nel territorio degli Hedui; nella zona della Moselle,
del Rhin/Rhein, del Main e della Saar. In Gallia Narbonensis
quasi tutte le immagini ritrovate sono pertinenti ad altari,
mentre nella Gallia Lugdunensis e Belgica e in Germania
Superior si tratta, a parte qualche eccezione, di steli a
rilievo. Sono assai meno raffinate rispetti ai bronzi:
i tratti somatici sono semplificati, i panneggi rudimentali,
le proporzioni sovente sbagliate.
In quanto alle statuette di terracotta, tre
provengono dal territorio compreso tra
la Moselle e il Rhin/Rhein: due di queste sono state
trovate all'interno delle aree sacre a Dhronecken e a
Hochscheid (Rheinland-Pfalz, Germania). Una quarta statuetta di terracotta proviene da
Vichy (Allier, Francia).
Nella valle del Rhône – a Vichy, a Orange e
a Sainte-Colombe-lès-Vienne (Francia) – sono stati rinvenuti frammenti di
tre
medaglioni di applicazione recanti l'immagine del
«dio col mazzuolo»
[immagine]✦;
un quarto viene invece da Samobriva (Gallia Belgica) ⇒
Amiens (Somme, Francia) [immagine]✦. (De
Vries 1961 | Baratta 1993)
Per quanto riguarda i rilievi rupestri,
si riferiscono forse al
«dio col mazzuolo»
e alla sua paredra le immagini chiamate «Hänsel» e
«Gretel» scolpite su una pietra, nella foresta di Sengscheid (Saarland,
Germania) [immagine]✦. A questi si può aggiungere,
con tutte le dovute cautele, il cosiddetto
«viandante» di Carpene, in Valcamonica (Lombardia, Italia), che alcuni
riconducono al
«dio col mazzuolo»
[immagine]✦.
Attualmente non si conoscono immagini del
«dio col mazzuolo»
provenienti dall'Aquitania.
|
IV - IL NOME: SUCELLOS
In due figurazioni, l'immagine del dio è
accompagnato dal nome
Sucellus.
Benché questo nome sia latinizzato in
-us, esso è gallico, non latino, e la forma originale
era sicuramente Sucellos.
Conosciamo tale nome grazie a un
monumento iscritto che porta sia il nome che
l'immagine del dio: è la stele di un'altare rinvenuta nei pressi del mitreo di
Sarrebourg (dép. Moselle, Francia), nel territorio dei
Mediomatrici [immagine
|
immagine]✦. Qui Sucellos veste alla maniera gallica, con una
tunica e calzari ai piedi, ha barba e capelli
ricci, impugna il lungo mazzuolo con la sinistra e
tiene il vaso nella destra. Gli sta a fianco una
dea che nella dedica è chiamata
Nantosuelta. Abbigliata secondo l'uso romano, ella
poggia la mano destra su una colonna lavorata e
regge con la sinistra un'asta-scettro sormontata da
un'edicola nella quale si è voluto vedere un
piccolo tempio o fanum. Il
portamento di entrambi è maestoso e regale,
quale potrebbe essere quello di Iuppiter e Iuno. Sotto di essi, alla base della stele,
compare enigmaticamente l'immagine di un corvo. L'iscrizione dice:
DEO
SVCELLO
NANTOSVELTE
BELLAVSVS MAS
SE FILIVS V S L M |
Deo Sucello
Nantosuelt(a)e
Bellausus Mas-
s(a)e filius v(otum) s(olvit) l(ibens) m(erito) |
|
CIL [xiii:
4542] |
Il nome
Sucellos è associata
al
«dio col mazzuolo»
anche sui medaglioni ornamentali applicati a vasi. In
questi appliques il dio è raffigurato di profilo, nell'atto di
avanzare, sempre reggendo il mazzuolo e l'olla, questa volta
accompagnato da un piccolo cane. Disgraziatamente, in un
solo reperto, quello proveniente da Vienna (Gallia Narbonensis) ⇒ Sainte-Colombe-lès-Vienne
(dép. Rhône,
Francia), il nome è stato conservato in una breve iscrizione «Sucellos ci sia propizio»:
Iscrizioni
col nome di Sucellos (ma senza più l'immagine del dio)
sono state trovate in Gallia Narbonensis (Vienna ⇒ Vienne), in
Gallia Belgica (Mediolanum ⇒
Mâlain [immagine]✦;
Divodurum ⇒ Metz); in Germania Superior (Eborudurum ⇒
Yverdon-les-Bains; Augusta Raurica ⇒
Augst [immagine]✦;
Borbetomagus ⇒ Worms [immagine]✦), e una perfino in Britanna (Eboracum ⇒ York) ①. In
tutto, quattro dediche sono incise su altari, due su anelli,
una su una tabula ansata, quattro su medaglioni di
applicazione e un'altra su un blocco di pietra appartenente
a un architrave o a un fregio. Questa diversità lascia
intendere che a Sucellos
venissero praticati tanto riti domestici e privati – com'è il
caso degli anelli e degli appliques – quanto, invece, un
culto pubblico. La
distribuzione dell'area cultuale di Sucellos, che con i monumenti figurati
era
limitata alla Gallia Narbonensis, si allarga
considerevolmente, comprendendo una larga fascia
che attraversa l'intera Gallia orientale da sud a
nord, ma sempre a ovest del Rhin/Rhein.
In quanto all'etimologia, il nomen Sucellos
risale all'epoca celtica preromana
e va
forse scomposto in su-, prefisso gallico dal
significato di «buono», e in -cello, in cui si è
vista la stessa radice del latino percellere o
procella, e che si rintraccia anche nella forma greca
kláō «rompere, spezzare». Il significato, secondo tale
interpretazione, è «colui che ben colpisce»
oppure «il buon battitore».
Una differente etimologia, sostenuta a
suo tempo da Adolf Michaelis, fa derivare il nome da un germanico
celdo, con il significato di «manico»
(Michaelis 1895); tale
etimologia non è ritenuta corretta, in quanto
associa una radice celtica a un termine germanico. Come nota Johann Baptist Keune,
la definizione del nomen Sucellos
come di «[colui che ha] il bel manico» non è convincente, in
quanto identifica il dio con un attributo fuorviante: il
lungo manico del
«dio col mazzuolo»
ha infatti lo scopo di enfatizzare il mazzuolo (Keune
1896).
Sono state date infinite
interpretazioni di Sucellos. Lo si è voluto vedere come un
dio supremo, un dio del cielo e del tuono, un
protettore degli uomini, un dio della ricchezza e
della fecondità, un dio protettore delle
case e delle piante, un dio della morte, il padre
del popolo gallico, persino un dio della guerra.
Vedremo tra pochi quali delle caratteristiche di
Sucellos hanno suggerito tali interpretazioni
della sua figura, quali siano pertinenti e quali
meno. Come nota giustamente Jan De Vries, tali spiegazioni
riflettono fin troppo le opinioni degli studiosi
che le hanno formulate
(De Vries 1961).
|
V - GLI ATTRIBUTI: IL VASO E IL MAZZUOLO
|
Altare con gli attributi di Iuppiter e Silvanus |
Altare da Saint-Laurent-d'Aigouze (dép.
Gard, Francia) in cui sono raffigurati il fulmine e la ruota, attribuiti dello
Iuppiter gallico, e il mazzuolo e l'olla,
attributi del
«dio col mazzuolo»,
a cui si aggiunge la zappa, che rimanda all'identificazione di quest'ultimo come
Silvanus. |
Museo: [Il
«dio col mazzuolo». Iconografia gallo-romana]► |
I due attributi che rendono immediatamente riconoscibile il
«dio col mazzuolo» sono il
mazzuolo e il vaso tipo
olla
che il dio regge nella mano. I due attributi possono comparire
anche da soli, come nell'altare rinvenuto a Saint-Laurent-d'Aigouze
(dép. Gard, Francia), dedicato a
Silvanus [immagine]✦.
È innanzitutto interessante la forma del
mazzuolo. Non si tratta di un'arma o di uno strumento; si
direbbe anzi che venga usato come uno scettro. La testa del
mazzuolo si erge in cima a una lunga asta puntata al suolo,
asta che il dio sorregge con il braccio alzato. In altre
figurazioni, il mazzuolo è più corto, ed è deposto o
innalzato accanto al dio: ma l'adattamento è imposto dalle
dimensioni dalla rappresentazione.
Nonostante le numerose ipotesi avanzate, il
significato del mazzuolo continua a sfuggire agli studiosi.
Si è parlato di un simbolo risalente al neolitico
preindoeuropeo
(Heichelheim ~ Housman 1948),
senza però spiegare la sua sopravvivenza tra i Celti. Altri
lo hanno paragonato al martello del dio-tuono, sul modello
di quello impugnato dal
Þórr
scandinavo
(Keune 1932), e accessoriamente
hanno voluto vedervi uno strumento di morte e resurrezione.
Ma si è anche andati a cercare la bipenne di divinità
orientali come Tešub o
Iuppiter Dolichenus, o si è
tirato in causa il culto cretese della doppia ascia
(Lambrechts 1942). Altri hanno pensato al martello di
Χarun, il dio etrusco della morte
(Linckenheld 1929 | Drioux 1934 | Duval 1957) [infra]▼.
Altri hanno interpretato il mazzuolo presente sulle lapidi
commemorative del
Silvanus gallico come un attrezzo da taglialegna
(Guiraud 1935 | Toutain 1921) [infra]▼.
Altri, su analoghe considerazioni, hanno parlato di un dio
della viticoltura (Prümm 1954).
L'altro attributo di
Sucellos è un vaso
tipo
olla presentato sulla mano destra, che il dio sembra
offrire quale simbolo di ricchezza. Ma sono anche attestate
delle varianti. In raffigurazioni meno dettagliate, un dio
simile a
Sucellos è fornito
di una cornucopia. Ad Alesia e in Bourgogne, nei territori
tribali degli Hedui e dei Lingones, sta invece appoggiato a
un tino [immagine]✦.
Vaso, tino e cornucopia sono variazioni di un medesimo
attributo, un simbolo di ricchezza e di fecondità. È questa
l'interpretazione su cui propende il maggior numero di
studiosi. Si è voluto mettere in correlazione il vaso con il
calice che sovente compare sulle stele tombali nella Gallia
centro-orientale, presso gli Hedui ed i Lingones
(Hubert 1896), e naturalmente
con il calderone sacro della mitologia irlandese e gallese
(Heichelheim ~ Housman 1948) e
quindi con il Sangrail della
tradizione arturiana. C'è stato pure chi ha voluto spiegare
il tino ipotizzando un culto del dio basato su libagioni di
birra (Hubert 1914).
Altri autori hanno sospeso il giudizio,
ritenendo che non vi siano sufficienti dati per interpretare
il simbolo del vaso
(Toutain 1921 | De Vries 1961).
Apprezziamo la prudenza di questi studiosi, ma crediamo non
sia così azzardato interpretare l'olla di
Sucellos come un esito gallico del più ampio mitema
celtico del calderone sacro.
Si noti ancora che altre figurazioni
mostrano Sucellos
con oggetti diversi in luogo del vaso o del mazzuolo: una
falx, una clava, persino una borsa per il denaro. |
VI - NANTOSUELTA
|
Altare di Sarrebourg con Sucellos e Nantosuelta |
Le immagini di Sucellos e Nantosuelta,
accompagnate da una iscrizione dedicatoria che ne chiarisce i nomi, sul famoso
altare rinvenuto nel Mitreo di
Sarrebourg (dép. Moselle, Francia), nel
territorio dei Mediomatrici |
|
|
Secondo altare di Sarrebourg |
Immagine di Nantosuelta su un altare rinvenuto
non lontano dal precedente (dép. Moselle, Francia). |
Museo: [Il
«dio col mazzuolo».
Iconografia gallo-romana]► |
In tredici delle circa duecento
raffigurazioni del
«dio col mazzuolo»,
il nostro protagonista accompagnato da una figura femminile. Le due divinità compaiono
innanzitutto nel bassorilievo dell'altare di Sarrebourg [immagine
|
immagine]✦, dove sono chiamati Sucellos e
Nantosuelta
(CIL [xiii:
4542]). Abbigliata secondo l'uso romano,
Nantosuelta poggia la mano destra su una colonna lavorata e
regge con la sinistra un'asta-scettro sormontata da
un'edicola nella quale si è voluto vedere un
piccolo tempio o fanum. Il
portamento di entrambi è maestoso e regale,
quale potrebbe essere quello di Iuppiter e Iuno.
Alla loro base è raffigurato un grosso corvo.
Un'altra
raffigurazione rinvenuta assieme all'altare di Sarrebourg, mostra soltanto la dea
[immagine
|
immagine]✦.
Anche in questo caso ella regge in mano un'asta con
in cima un'edicola, mentre sull'altra
mano tiene un oggetto che si crede possa essere un
alveare sul quale è appollaiato, ancora una
volta, un uccello, probabilmente un corvo. Nell'angolo alla sua sinistra si trovano
ammucchiati tre oggetti, interpretati
generalmente come favi (Green 1998).
Altre immagini, prive di nome,
sono comunque ricollegate alla dea a causa del
medesimo simbolismo. Un ritratto proveniente da Speyer, e dunque dal territorio dei
Nemeti, rappresenta la
dea con il suo scettro sormontato da un fanum,
sopra il quale è poggiato un uccello; ella tiene in mano dei
frutti [immagine]✦. A Teting, nel territorio dei Treveri, una
divinità femminile porta un vaso e di nuovo
l'asta con l'edicola. Altre rappresentazioni di una
dea che potrebbe essere
Nantosuelta sono stati rinvenuti nel
Lussemburgo, sempre nel territorio dei Treveri: le
immagini ritraggono una divinità femminile
seduta in un'edicola o in un piccolo tempio, in
compagnia di un corvo. In altre figurazioni, una
dea identificata con
Nantosuelta sembra portare una cornucopia.
Dalla Britannia viene una sola immagine che sembra
riconducibile alla dea: una pietra trovata
a East Stroke (Nottinghamshire) nel territorio dei
Corieltauvi ritrae una coppia: un anziano
«dio col mazzuolo» e accanto
una dea dai capelli irsuti, un pesante torques al
collo e una gonna a balze. Ella tiene una scodella
di mele davanti a sé.
L'etimologia
del nomen
Nantosuelta non è chiara. Per la prima parte del nome si è pensato
al termine celtico nanto
«valle», ma si è pure ipotizzato un possibile nesso
con il nome del dio irlandese
Nét (< *Nanto). La seconda parte è stata invece connessa a un indoeuropeo *SWEL-
«ardere» (Le Roux 1952 | Olmsted 1994).
Secondo Xavier Delamarre, il nome di
Nantosuelta significherebbe «valle riscaldata dal
sole» (Delamarre 2001).
Il simbolismo che prevale in queste
immagini sembra legato a una situazione di benessere,
prosperità e abbondanza. Tuttavia, la natura del fanum impilato
sulla cima dello scettro della dea non è stata mai del tutto
chiarita dagli studiosi. Al riguardo, Henri Hubert ha
pensato che potesse rappresentare un'arnia, e che dunque
Nantosuelta fosse in realtà la dea elargitrice
dell'idromele (Hubert 1913);
ipotesi non condivisa da E. Linkenheld, il quale ha invece
fatto notare la somiglianza tra la casetta di
Nantosuelta e
le case galliche, così come le mostrano le stele della zona
di Sarrebourg e dei Vosgi (Linkenheld
1913). Da qui, l'ovvia interpretazione di Miranda
Green, secondo la quale
Nantosuelta doveva essere una divinità
domestica, guardiana del focolare e della casa
(Green 1998).
Analogamente, l'uccello presente nelle
immagini della dea non
introduce necessariamente un ruolo della dea come
protettrice delle anime nell'oltretomba. Nell'altare di
Sarrebourg esso è un grosso corvo, il quale, nel mondo germanico, è legato
piuttosto alla saggezza e all'onniveggenza, e
comunque era animale sacro a
Mercurius.
Questi sono alcuni dei
problemi di identificazioni legati alla figura di
Nantosuelta. Né ci aiuta il fatto che la
compagna del
«dio col mazzuolo» è
chiamata Diana venatrix nell'altare di Mainz. In realtà
non è chiaro se la dea che accompagna il
«dio col mazzuolo» nelle molte
immagini in cui quest'ultimo compare in coppia, sia
davvero da identificare con
Nantosuelta.
|
VII -
SILVANUS, INTEPRAETATIO ROMANA DEL «DIO COL
MAZZUOLO»
In alcune immagini, quali ad esempio il bronzo di Glanum
[immagine]✦ e quello di Orpierre
[immagine]✦, il
«dio col mazzuolo» ha
l'aspetto di Silvanus, il dio romano dei boschi e delle selve.
In quest'ultima figurazione, egli indossa
unicamente una corta tunica di pelle che gli lascia
nude la spalla destra e le gambe. È barbuto
e porta una corona d'alloro sul capo. Il mazzuolo
che impugna nella mano sinistra è più
alto della sua testa. La mano destra è
protesa in avanti, nell'atto di offrire il
contenuto del suo piccolo vaso.
È fuor di dubbio che i
Celti venerassero una versione locale del dio
romano Silvanus. In Gallia sono state rinvenute diverse
iscrizioni dedicate a Silvanus,
di cui è particolarmente bella quella offerta da un certo Pomponius
Victor procuratore di Augustus ad Axima (Alpes Graiae)
⇒
Aime (Savoie, Francia).
[immagine]✦
Silvane sacra semicluse fra[xino] et huius alti summe custos hor[tuli] tibi hasce grates dedicamus musicas quod nos per arva perq(ue) montis Alpicos tuique luci suaveolentis hospites dum ius guberno remq(ue) fungor Caesarum tuo favore prosperanti sospitas tu me meosque reduces Romam sistito daque itala rura te colamus praeside ego iam dicabo mil(l)e magnas arbor[es] T(iti) Pomponi Victoris proc(uratoris) Augustor[um] |
O Silvano, semicelato nel sacro frassino
e sommo custode di questo nobile giardino,
a te dedichiamo riconoscenti questa poesia,
giacché attraverso i campi e i monti delle Alpi
(siamo) ospiti del tuo bosco dal soave profumo.
Finché amministro la giustizia e agisco
nell'interesse dei Caesari,
proteggi con il tuo amore che dona felicità
me e i miei che torniamo a Roma,
continua a sostenerci
e concedici terre italiane (che) coltiviamo sotto la tua protezione.
Tosto (ti) consacrerò mille grandi alberi.
Di Titus Pomponius Victor, procuratore di Augustus. |
CIL [xii: 103]
Traduzione
di Valeria Muscarà |
Le sole figurazioni del vaso e
del mazzuolo appaiono anche in alcune iscrizioni dedicate Silvanus
[immagine]✦. Al riguardo, si è fatto notare
che tutte le rappresentazioni del
«dio col mazzuolo» vengono
dalla Gallia Narbonensis (Hubert 1914), la stessa regione in cui veniva
venerato Silvanus. Qui si assiste infatti a prestiti
reciproci tra le due figure divine: il mazzuolo e
l'olla, u tipici attribuiti del
«dio col mazzuolo»,
si sovrappongono a quelli di Silvanus:
seminudità, pelle d'animale, corona
d'alloro, falx e siringa.
Adolf Michaelis ha particolarmente
sottolineato l'interpraetatio
del
«dio col mazzuolo»
come
Silvanus, leggendo
quindi la figura del dio gallico secondo le caratteristiche
del nume romano. Dunque, il
«dio col mazzuolo»
sarebbe stato una divinità
silvestre, agricola, che proteggeva il raccolto e il bestiame
(Michaelis 1895). Tale
interpretazione è stata successivamente ripresa da altri
studiosi (Hubert 1915 | Lambrechts
1942 | Duval 1957), e ha portato alcuni a leggere il mazzuolo come un attrezzo da taglialegna
(Toutain 1921 | Guiraud 1935).
Qui
però bisogna procedere con prudenza. Le
identificazioni tra divinità che venivano
operate nell'antichità erano raramente
basate su affinità filologiche: in genere si
tendeva a mettere in correlazione l'aspetto esteriore dei vari
personaggi, o qualche loro attributo o funzione.
È più prudente ritenere che qualche
aspetto secondario di Sucellos abbia originato un'interpretazione del
dio come Silvanus, piuttosto che trasformarlo
tout-court
in una divinità silvestre e agricola.
L'archeologa Giulia Baratta, che
sottolinea a più riprese le molte affinità tra l'iconografia del
«dio col mazzuolo»
e quella di
Silvanus
(tunica, mantello, bracae, barba, bastone, cane, etc.),
ammette che l'assenza di una soluzione di continuità tra i
due personaggi sia dovuta a un processo di assimilazione
nell'aspetto e nella funzione tra la divinità romana e
quella gallica; le due divinità si sarebbero sovrapposte formando una figura ibrida. Tale processo
sarebbe avvenuto soprattutto in Gallia Narbonensis e in
Germania Superior, dove la presenza e l'influenza romana
erano più forti che altrove. Secondo la studiosa, è possibile
che il
«dio col mazzuolo»
avesse avuto originariamente molte funzioni diverse: in tal
caso, l'assimilazione con
Silvanus
avrebbe finito per evidenziare quelle
caratteristiche legate alla vegetazione, alla fertilità, ai
campi e ai boschi, e il
«dio col mazzuolo»
si
sarebbe rapidamente cristallizzato in una sorta di versione
celtica di
Silvanus.
(Baratta 1993)
L'autrice segnala, come importante prova
in favore di questa ipotesi, un altare rinvenuto a
Borbetomagus (Germania Superior)⇒
Worms (Rheinland-Pfalz, Germania), con una dedica congiunta a
Silvanus e Sucellos,
indicazione che le due divinità, inizialmente distinte,
partecipavano a una comune sfera di funzioni:
DEO SV
CELO
SILVANO
TI GPIP |
Deo Su-
celo
[S]ilvano
Ti(berius) GPIP |
|
CIL [xiii: 6224] |
|
VIII - GLI EPITETI DEL SILVANUS
GALLO-BRITANNICO Alcune iscrizioni
dedicate a Silvanus sono
accompagnate da epiteti, tanto in Gallia quanto,
soprattutto, in Britannia.
|
Callirius
L'epiteto Callirius,
«re della foresta» o «dio dei boschi di nocciolo», è
attestato da una sola iscrizione, rinvenuta in Britannia, a
Camulodunum ⇒
Colchester.
La dedica, offerta al dio da un ramaio, è incisa a
punzonatura su una placca di bronzo trovata
in una fossa nei pressi di un santuario.
DEO SILVANO
CALLIRIO D
INTVSMVS
AERARIVS
V S L M |
Deo Silvano
Callirio d(onum)
intusmus
aerarius
v(otum) s(olvit) l(ibens) m(erito) |
AE [1949: 94] |
Insieme alla
placca si trovava la figurina in bronzo di un
cervo.
|
|
Cocidius
Il
nomen Cocidius,
assai diffuso in Britannia, compare in numerose iscrizioni sia da
solo, sia riferito a Mars;
in una singola iscrizione, proveniente da
Vercovicium ⇒
Housesteads è però epiteto di Silvanus:
DEO
SILVANO
COCIDIO
Q FLORIVS
MATERNVS
PRAEF COH
I TVNG
V S L M |
Deo
Silvano
Cocidio
Q(uintus) Florius
Maternus
praef(ectus) coh(ortis)
I Tung(rorum)
v(otum) s(olvit) l(ibens) m(erito) |
CIL [vii: 642] |
Si noti che un'altra iscrizione, questa volta da Habitancum ⇒
Risingham, e purtroppo mutila, è dedicata a «Deo Cocidio et / Sil[vano †]»,
mettendo le due divinità in stretta correlazione ma, di
fatto, distinguendole:
DEO COCIDIO ET
SILVANO [†] SEV
...†]IOV
...†]ARAM
...†...
...†...
...†...
V S L M |
Deo Cocidio et
Sil[vano †] Sev
...†]iov
...† a]ram
...†...
...†...
...†...
[v(otum)] s(olvit) l(ibens) m(erito) |
AE [1938: 112] |
|
|
Silvanus Sinquatis
Il nomen Sinquatis
è attestato in due iscrizioni dal territorio dei
Treveri. È epiteto di Silvanus in
un'iscrizione sul piedistallo di un nudo maschile in
bronzo, purtroppo danneggiato, rinvenuto in Gallia Belgica, nell'odierna
Gérouville, presso Meix-devant-Virton (Wallonie, Belgio):
DEO SILVANO SINQV
PATERNIVS PRO SA
LVTE EMERITI FILI
SUI IO S L M |
Deo Silvano Sinqu(ati)
Paternius pro sa-
lute Emeriti fili(i)
sui io(tum) [recte: vo(tum)] s(olvit) l(ibens) m(erito) |
|
CIL [xiii: 3968] |
La seconda iscrizione, su una
tabula ansata proveniente dallo stesso sito,
è dedicata a un «Deo Sinquati», senza però alcun riferimento
a Silvanus.
DEO SINQVATI
L HONORAT
IVS AVNVS
V S L M |
Deo Sinquati
L(ucius) Honorat-
ius Aunus
v(otum) s(olvit) l(ibens) m(erito) |
|
CIL [xiii: 3969] |
|
|
Silvanus Vinotonus
Un dio Vinotonus
è attestato in quattro iscrizioni in Britannia,
tutte provenienti da Lavatrae, odierno villaggio di
Bowes (co. Durham, Regno Unito). In due di esse
(AE [1949, 96a] = RIB
[01: 733] e RIB
[01: 737]) il nome è a sé stante, ma in altre
due è utilizzato come epiteto di Silvanus
(AE [1947, 133 | AE 1988,
150]).
Il nomen significa forse «dio
del vino»: è probabile che si tratti di una divinità
minore adorata a ridosso del vallum, identificata
dai Romani con Silvanus.
|
|
|
IX -
SUCELLOS: UN DIO-TUONO?
|
Il
«dio col mazzuolo» |
Immagine ispirata da una statuetta di bronzo
ritrovata presso il villaggio di Prémeaux-Prissey (dép.
Côte-d'Or, Francia)
[immagine]✦. |
Diversi studiosi
hanno voluto identificare il
«dio col mazzuolo» con lo
Iuppiter gallico a
cui accenna Caesar in
De bello
Gallico [VI: 17]
(Keune 1932). Il mazzuolo di Sucellos
è stato avvicinato al martello del dio-tuono
germanico Þórr, più
di quanto non sia possibile con i fulmini retti dal
«dio con la
ruota», e che di
conseguenza lo Iuppiter gallico sarebbe
da identificare con il
«dio col mazzuolo», a cui in
tal caso sarebbe da attribuire il nome di Taranis.
L'ipotesi è molto resistente, ed è stata sostenuta anche in tempi
recenti. Giulia Baratta è andata oltre la facile
identificazione tra il mazzuolo di Sucellos
e il martello di
Þórr
e ha lavorato con impegno sulle funzioni agricole delle due
divinità: il
«dio col mazzuolo»,
soprattutto nella sua assimilazione a Silvanus,
viene messo in relazione con
Þórr,
a cui era tributato un culto soprattutto
da parte dei proprietari terrieri, in quanto dio
temporalesco, legato alla fertilità dei campi.
(Baratta 1993)
In realtà il
«dio col mazzuolo»
non sembra avere
alcuna caratteristica di dio-tuono; viceversa, il carattere agrario
sembra piuttosto importante nella definizione della sua figura. Al
contrario, il carattere agricolo di
Þórr
è il risultato finale di una speculazione teologica sulle
funzioni secondarie del dio, il quale è e rimane un dio
guerriero, appartenente alla seconda funzione duméziliana.
Inoltre, il mazzuolo di Sucellos, montato su una lunga asta,
rassomiglia
più a una sorta di scettro che a un simbolo del tuono, e
non sembra assolutamente confrontabile con il
martello di Þórr.
Infine è probabile
che il martello di Þórr sia un punto d'arrivo
nell'evoluzione di un attributo del dio-tuono germanico
*Þūnraz, che in origine era più
probabilmente un fulmine o una clava. Ciò
rende più problematica, piuttosto che
spiegare, l'interpretazione del mazzuolo.
Alcuni autori hanno puntato lo sguardo sulla breve iscrizione dedicatoria rivenuta a Mogontiacum
(Germania Superior) ⇒ Mainz (Germania), dedicata a «I O M SUCAELO»
(dativo) e al genius loci
(CIL [xii: 6730])
①, vedendovi una possibile indicazione del fatto che
Sucellos sia stato il dio supremo della religione
celtica e quindi fosse senz'altro da identificare con lo
Iuppiter gallico
(Pisani 1949 | Lambrechts
1954). Tuttavia, come altri
ha notato Jan De Vries,
il nomen Sucaelus può essere solo un epiteto
locale dello
Iuppiter gallico, a indicare il carattere celeste
del dio (cfr. latino coelum). In tal caso si esclude, in tale
dedica, qualsiasi riferimento a Sucellos (De Vries 1961).
Effettivamente sembra riduttivo interpretare l'iscrizione di Mainz
in senso tale da ridurre un nomen divinum
come Sucellos, che buona parte dell'epigrafia tratta come nome
di una divinità a sé stante, a epiteto locale di
Iuppiter. E se anche accessoriamente
Sucellos sia stato interpretato
come Iuppiter, si
tratta evidentemente di un episodio isolato, insufficiente
per operare identificazioni tra le due divinità.
Con ogni probabilità,
Sucellos non è un dio-tuono,
né un dio-cielo, e
non sembra identificabile con Iuppiter o Taranis. A giudicare dai dati iconografici, il
«dio col mazzuolo» e il
«dio con la
ruota» sono personaggi da
tenere ben distinti.
|
X -
IL «DIO COL MAZZUOLO»,
L'INTERPRETAZIONE CON DIS PATER
Su un altare del
III secolo, rinvenuto a Oberseebach (Bas-Rhin, Francia), il
«dio col mazzuolo»
compariva a fianco della sua paredra, e accanto a loro si trovava
un cane a tre teste
[immagine]✦. L'immagine è andata
parzialmente distrutta nel 1870, ma ad essa si può
affiancare un'altra figurazione, proveniente questa
volta da Ulpia Traiana Sarmizegetusa,
antica capitale della Dacia romana (odierna Grădiște/Várhely, in Romania),
dove accanto al
«dio col mazzuolo»
compaiono una dea con una chiave e un cane a tre teste.
Questa presenza di un cane tricipite,
simile al Kérberos
classico, è forse una indicazione che il
«dio col mazzuolo»
fosse considerato un dio dei morti? Il problema ha lungamente diviso gli
studiosi ed è lungi dall'essere risolto. In una ventina di
immagini, il
«dio col mazzuolo»
è effettivamente accompagnato da un cane, animale che scorta le
anime nell'aldilà e fa la guardia agli inferi. In tal caso,
l'aspetto «cerberico» della bestia raffigurata nelle immagini
di Oberseebach e di
Grădiște/Várhely potrebbe essere
un'ulteriore caratterizzazione infera aggiunta in
epoca classica al
«dio col mazzuolo». Tuttavia, la presenza del cane, da sola,
non fornisce un'indicazione decisiva: nel pántheon
classico quest'animale non ha solo un significato ctonio,
ma è legato altrettanto bene al mondo dei boschi e della
caccia, della medicina e della magia
(Baratta 1993).
Ciò non basta per identificare il
«dio col mazzuolo»
con il
Dis
Pater cesariano, e Jan De Vries ha certamente ragione a
manifestare un cauto scetticismo (De
Vries 1961). Inoltre, le due sculture
acefale su un altare trovato nel 1813 presso Sulzbach (Baden-Württemberg, Germania), che
l'iscrizione identifica con
Dis
Pater e con la sua compagna Aericura,
non hanno
nulla della tipica iconografia del
«dio col mazzuolo»
[immagine]✦.
Non vi è traccia
dell'olla, del mazzuolo e nemmeno del cane: le
due figure sono sedute l'una accanto all'altra, con le
braccia deposte in grembo. La figura maschile regge qualcosa
che, da alcuni, è stato identificato come un rotolo di
pergamena. Tanto è bastato a molti studiosi
per negare l'identificazione del
«dio col mazzuolo»
con il
Dis
Pater cesariano
(Baratta 1993). Ma vi è anche la possibilità che le immagini non rappresentino le due divinità, ma Veterius Paternus e Adi
(?) Paterna, i dedicatari
dell'iscrizione, o forse i due defunti affidati alla
benevolenza degli dèi degli inferi (Courcelle-Seneuil
1910).
I H D D D
S AERICVR ET DITI PAT
VETER PATERNVS
ET ADI PATER |
|
I(n) h(onorem) d(omus) d(ivinae) d(eae) s(anctae)
Aericur(ae) et Diti Pat(ri)
Veter(ius) Paternus et Adi (?) Pater(na) |
CIL [xiii: 6322] |
In altre figurazioni, come
nel bronzo di
Vienne (Isère, Francia), il
«dio col mazzuolo» è
ritratto nudo, con una pelle di lupo sulle spalle, il cranio
a mo' di elmo
[immagine]✦. Anche Hádēs,
versione ellenica di
Dis Pater, era talora
raffigurato con una pelle di lupo, e aveva come
attributi uno scettro e un vaso tipo kántharos, che ricordano effettivamente
gli strumenti del
«dio col mazzuolo».
Al riguardo è stata avanzata una
possibile correlazione con il dio dei morti etrusco
Aita, dipinto
su una parete della tomba dell'Orco, a Tarquinia, il
quale indossa a sua volta una pelle di lupo
[immagine]✦. Tuttavia, nel
caso del
«dio col mazzuolo»,
la pelle di lupo potrebbe indicare un legame con il mondo naturale, avvalorando piuttosto
l'identificazione con
Silvanus. La pelle di leone,
presente in un secondo bronzo rinvenuto sempre a Vienne [immagine]✦,
potrebbe invece rimandare alla tipica iconografia di
Hercules/Hēraklês.
Se queste correlazioni hanno un senso,
allora il mazzuolo di Sucellos
potrebbe suggerire il martello
impugnato da Χarun, il
dio etrusco del trapasso, che se ne serviva per
recare la morte agli uomini, anch'egli presente
nell'inquietante tomba di Tarquinia
[immagine]✦ (Linckenheld
1929 | Drioux
1934). Nel rimproverare ai pagani il
loro gusto per gli spettacoli estremi e sanguinosi,
l'apologeta Tertullianus riferisce di una comparsa
chiamata Dis
Pater che impugnava un martello
quando portava i cadaveri fuori dell'arena:
Vidimus
saepe castratum Attin
deum a Pessinunte, et
qui uiuus cremabatur,
Herculem induerat;
risimus at meridiani
ludi de deis lusum, quo
Ditis pater, Iouis
frater, gladiatorum
exsequias cum malleo
deducit, quo Mercurius
in caluitio pennatulus,
in caduceo ignitulus,
corpora exanimata iam
mortem que simulantia e
cauterio probat. |
Spesso abbiamo visto
in un criminale castrato
il vostro dio di
Pessinoús, Attis;
ed
Hercules
impersonato da un
infelice che veniva
bruciato vivo. Abbiamo
riso ai vostri giochi di
mezzogiorno, quando
Dis
Pater, il fratello
di
Iuppiter,
portava via, col
martello in pugno, le
spoglie dei gladiatori
uccisi; e quando
Mercurius,
il cappello alato in testa, provava il caduceo
arroventato sui corpi esanimi, distinguendo
quelli che erano davvero senza vita da quelli
che simulavano la morte. |
Quintus Septimius Florens
Tertullianus: Ad Nationes [I: 10] |
Come ricorda Jan De Vries, molte
tradizioni celtiche associavano il martello alla
morte (Hartmann 1961). In Irlanda fino
tempi piuttosto recenti si
poneva un martello sulla bara «per bussare
alla porta del Purgatorio» (Hartmann 1952). In Bretagna,
soprattutto nel Morbihan, era in uso il marteaux de la bonne
mort: se l'agonia durava
troppo a lungo, la più anziana donna del
paese veniva a reggere un martello sul capo del
morente dicendo che doveva prepararsi ad
abbandonare la terra (Varagnac 1941).
Il mazzuolo impugnato dal nostro dio
gallico può essere dunque un'altra indicazione del suo
carattere di dio infero? Difficile da dire, anche perché la mitologia del
Dis
Pater gallico ci è quasi
completamente sconosciuta. Se l'ipotesi è corretta,
l'attributo del
«dio col mazzuolo» verrebbe
a essere correlato a una classe di armi ambivalenti, capaci
di date tanto la morte quanto di riportare alla vita. Così
funzionava la mazza del dio irlandese
Dagda
Mór, che sembra essere l'omologo irlandese del
«dio col mazzuolo». In un racconto gallese,
Arawn, il re dei morti, consiglia al principe
Pwyll di
colpire il suo nemico una volta sola,
perché, mentre il primo colpo l'avrebbe
ferito a morte, il secondo l'avrebbe risanato
(Mabinogion > Pwyll pendefyg Dyfed).
Anche il martello di Þórr era dotato di entrambi i poteri:
il dio lo utilizzava per far tornare in vita i caproni dopo
averli uccisi. In tal caso, suggerisce De Vries, il nomen Sucellos,
«colui che ben colpisce», potrebbe essere letto,
interpretando il prefisso su-, come «colui che dà
buoni colpi», cioè che elargisce benedizioni
(De Vries 1961).
Sebbene con tutta la cautela del caso, il
linguista olandese ipotizza l'immagine di un dio dei morti
dal carattere ambivalente. Non un crudele nume degli inferi,
ma un elargitore di fecondità e ricchezza, sorgente ctonia
da cui germoglia il nutrimento che dà la vita agli uomini,
così come si evince dal suo nome latino, Dis
Pater, il «padre ricco» (cfr. Plóutōn
«colui che dà la ricchezza») (De Vries
1961). Questo potrebbe spiegare l'ambivalenza delle
caratterizzazioni del dio: ora un
allegro e maestoso Silvanus, re della vita che sboccia e fiorisce,
ora il cupo e oscuro Dis
Pater, signore
dell'oltretomba. E insieme, quali suoi attributi,
l'olla che dà la vita (il Sangrail nel mito arturiano) e il maglio che
dà la morte (la lancia associata al
Sangrail).
Ma tale identificazione è anche viziata
dal fatto che non sappiamo bene come definire l'entità del
culto del Dis
Pater gallico. La limitata diffusione delle immagini
del
«dio col mazzuolo» è stata
giudicata, da molti studiosi, contraddittoria rispetto alla preminenza che Caesar
attribuisce a Dis
Pater
(De bello
Gallico [VI: 18]); inoltre, gli abiti indossati dal dio ne
fanno una divinità rustica, adorata dalla gente semplice (De Vries
1961). Il problema, tuttavia, è mal posto: nulla ci
autorizza a ritenere che, nonostante la sua posizione di dio
progenitore o signore dei morti, Dis
Pater dovesse godere di un culto paragonabile a quello di
una «divinità suprema». Ma lo era davvero? O piuttosto,
quale divinità primordiale e infera, a Dis
Pater non doveva piuttosto essere attribuito un culto
particolare, notturno, o secondario? La verità è che non ne
sappiamo abbastanza per stabilire l'esatta posizione di Dis
Pater nel pántheon gallico. I
Commenta Bernensia a Lucanus, nel quale Iuppiter
e Dis
Pater sono considerati due interpraetationes di Taranis,
suggeriscono che quest'ultimo fosse considerato una divinità
antitetica al dio celeste e/o fulminante, forse simile al
Summanus etrusco-latino, il cui
culto non era certamente equiparabile a quello attribuito al
suo «gemello» diurno. Ma poi, era davvero così? Stiamo
avanzando su un terreno piuttosto fragile, e i
Commenta Bernensia
non sono certamente una fonte attendibile e affidabile.
Un discorso sui
cani inferi ci porterebbe troppo lontano.
L'esempio più conosciuto è il
Kérberos
greco, il cane a tre teste incatenato alle
soglie dell'oltretomba. Nella mitologia
scandinava questo cane ha nome
Garmr.
Anche lo Yama
indiano, in quanto considerato allo
stesso tempo progenitore dell'umanità e dio
dei morti, era accompagnato da cani con
quattro occhi. Ma senza andare troppo
lontano, anche i Celti conoscevano il
mitema del cane infero: basti pensare ai cwn annwfn,
i «cani dell'altro mondo» del mito gallese, i cani
bianchi con le orecchie rosse che scortavano
Arawn durante i suoi viaggi nel
nostro mondo. |
|
|
La falce della
morte è la falce del tempo
che nulla risparmia. Tale falce
deriva da quella impugnata da
Saturnus, antico dio italico
della semina e del raccolto, poi
associato al dio greco
Krónos, il cui falcetto
d'ádamas, in
Hēsíodos, era
servito per evirare Ouranós e incidentalmente per
rompere l'immobile
staticità dei primordi e
dare inizio allo scorrere del
tempo. Ora, per la somiglianza
tra il nome Krónos e il termine greco
chrónos «tempo», a
Saturnus vennero conferite
caratteristiche di «dio del
tempo» (non inconciliabili
con il suo carattere di dio
stagionale). A ogni buon conto,
si tenga presente che anche
Sucellos è talora
raffigurato con una falce in
mano. E si tenga ancora presente
che nel folklore della Bretagna
francese, lo spirito della morte,
l'Ankou, impugna una falce
montata al contrario. |
|
|
XI - AERICURA, LA
REGINA DEGLI INFERI In alcune
iscrizioni dedicatorie, Dis
Pater viene invocato insieme a una dea, il cui nome sembra
essere Aericura. La dea viene
anche invocata singolarmente in un'altra serie di
iscrizioni. Il numero complessivo di dediche non è
elevatissimo, una ventina in tutto, ma sono sparse su
un'area piuttosto vasta: sono state rinvenute in Gallia, in
Germania, in Italia, in Pannonia, in Dacia, addirittura in
Numidia. Il regolare affiancamento
con Dis
Pater ci permette di interpretare
Aericura come una dea degli inferi. Al riguardo,
alcune delle iscrizioni sono piuttosto esplicite, come
quella proveniente da
Carnuntum (Pannonia Superior) ⇒
Petronell-Carnuntum (Bruck an der Leitha, Austria), dedicata a Dis
Pater, Veracura [sic]
e Cerberus:
SATE DITE PA
TER ET VERA
CVRA ET CERBER
E AVXILIE QI TENES
IMINA INFERNA SIVE
SIVE SVPERNA |
Sa(nc)te Dite Pa-
ter et Vera-
cura et Cerber-
e auxilie [recte: auxilium] q(u)i tenes
imina inferna sive
{sive} superna |
AE [1929, 228] |
Nell'iscrizione di
Raviana (Noricum) ⇒
Mautern an der Donau (Krems-Land, Austria), Aericura
fa coppia con Pluto, e i due
sono definiti, significativamente, Iuppiter infernus
e Iuno inferna
(AE [1950, 112]). In
un'iscrizione proveniente da
Colonia Claudia Ara Agrippinensium (Germania Inferior) ⇒
Köln (Nordrhein-Westfalen, Germania), Dis
Pater fa invece coppia con Proserpina
(CIL [xiii: 8177]). Questo
continuo scambio di nomi ed epiteti ci rivela che, nei primi
secoli dell'era volgare, la coppia celto-germanica
Dis
Pater ~ Aericura
era considerata equivalente alla coppia classica Pluto
~ Proserpina. La maggior parte dei monumenti dedicati a
Aericura proviene dalla
Germania Superior; oltre all'altare di Sulzbach (Rheinland-Pfalz,
Germania) [immagine]✦[supra]▲,
tre iscrizioni sono state rinvenute a
Rottenburg am Neckar e altre due a
Bad Cannstatt presso Stuttgart (Baden-Württemberg, Germania); un'altra
iscrizione viene invece da
Stockstadt am Main (Bayern, Germania).
I due rilievi di
Bad Cannstatt sono accompagnati da immagini. Nella prima, la dea è seduta,
abbigliata con una lunga tunica e i capelli acconciati in
uno chignon; tiene in grembo un cesto di frutta:
...†]CURE SIG VAL
...†] V S L L M |
[Herec]ur(a)e sig(num) Val(erius)
...†] v(otum) s(olvit) l(ibens) l(aetus) m(erito) |
|
CIL [xiii: 6322] |
La seconda immagine, è purtroppo mutila
della parte superiore, ma si riconosce il cesto di frutta,
poggiato sulle ginocchia tra gli eleganti panneggi della
veste.
HERECURE COTTVS
G[†]I EX VOTO SVSCEPTO
POSVIT V S L L M |
Herecur(a)e Cottus
G[all]i (?) ex voto suscept[o]
posuit v(otum) s(olvit) l(ibens) l(aetus)
m(erito) |
|
CIL [xiii: 6438] |
Appartiene probabilmente a
Aericura un'altra immagine,
anch'essa rinvenuta a
Bad Cannstatt, dove la dea è assisa su un trono, con un cesto di frutta in
grembo [immagine]✦.
Stante la genericità degli attributi, è difficile
identificare con sicurezza Aericura
tra le immagini di dee rinvenute nell'Europa
centro-orientale. È forse Aericura,
però, la dea con la chiave che compare accanto al
«dio col mazzuolo»
e al cane a tre teste nel monumento di Ulpia Traiana Sarmizegetusa
(Dacia) ⇒ Grădiște/Várhely (Romania).
Nell'epigrafe rinvenuta in Numidia,
presso l'odierna
Ṯībīlīs (Wilāya Qālma, Algeria), la dea viene apparentemente definita Terra
Mater e Matri deum:
TERRAE MATRI
AERECVRAE MA
TRI DEVM MAG
NAE IDEAE
POPILIA M FIL
MAXIMA TAVRO
BOLIVM ARAM
POSVIT MOVIT
FECIT |
Terrae Matr[i]
Aerecurae Ma-
tri deum Mag-
nae Id(a)eae
Popilia M(arci) fil(ia)
Maxima tauro-
bolium aram
posuit movit
fecit |
CIL [vii:
5524] |
Nonostante si tratti di un esempio
isolato, e anche piuttosto lontano dai centri di culto
celtici, alcuni studiosi non hanno esitato a definire
tout-court
Aericura una
«madre
terra»
o una
«dea
madre»,
sottolineando la frequente presenza del cesto di frutta
nelle immagini della dea (Green 1999).
In realtà, attributi e funzioni agrarie non sembrano incompatibili con la natura infera e ctonia
di
Aericura, la quale, come guardiana delle profondità
della terra, poteva tanto regnare sui defunti quanto
controllare le sorgenti della fecondità e della vita. De Vries ha paragonato
Aericura ad
Hekátē
(De Vries 1961), ma le relazioni più strette appaiono
essere proprio con Persephónē, che era
insieme la sposa di
Hádēs, re degli inferi, e figlia di
Dēmḗtēr, dea delle messi.
L'anabasi di Persephónē dagli
inferi, dopo la lunga stagione invernale, era motivo del
rifiorire della vegetazione a primavera.
Molte ipotesi sono state avanzate nel
tentativo di fornire una possibile etimologia del nome
della dea. La prima difficoltà è il gran numero di lezioni
in cui questo è attestato nell'epigrafia. È Aeracura a Roma
(CIL [vi: 142]) [immagine]✦, Aeraecurae a Perusia
(AE [1993, 651]), Aerecurae
ad Aquileia
(CIL [v: 725]) e in Numidia
(CIL [viii: 5524]),
Eracura nel Noricum
(AE [1950, 112]) ed Aer(e?)cur(a)e
in Dacia [immagine]✦. In Germania Superior, dove si concentra il maggior
numero di iscrizioni, compare in molte forme: Aericur(ae)
(CIL [xiii: 6322]) [immagine]✦, [H]eracur(a)e
(CIL [xiii: 6631a]) [immagine]✦,
Herecur(a)e
(CIL [xiii: 2359]) [immagine]✦
e
(CIL [xiii: 6438]) [immagine]✦,
[Ha]erecur(a)e
(AE [1956, 89]) [immagine]✦; Ericur(a)e
(CIL [xiii: 2363]) [immagine]✦ ed Erecur(ae)
(AE [1931: 67])
[immagine]✦. In Gallia
Lugdunensis compare come Erecur(a)e
(CIL [xiii: 2539]) e
Haricura
(CIL [xiii: 10024, 311]).
Vi è infine la Veracura in Pannonia
(AE [1929, 228]), che è
stata considerata via via una cacografia, un epiteto della dea
o una diversa pronuncia del suo nome, o addirittura il
nome di un personaggio diverso. Altre
lezioni sono troppo mutile perché sia possibile risalire alla forma originale.
Ad esempio, il problematico «HRQR»
attestato in Germania Superior
(CIL [xiii: 2360]) [immagine]✦, va
forse letto come abbreviazione di una lezione *Herequrae?
La prima parte del nome della
dea è piuttosto instabile e l'alternanza tra le forme Aer-/Her-/Er- non
ha ancora una spiegazione convincente. La lezione Her-,
attestata in Germania Superior e, in un caso, in Gallia
Lugdunensis, potrebbere essere sorta per un errore di lettura della
forma Aer- (le lettere A e H
possono essere confuse tra loro); la lezione Er-
potrebbe essere spiegata come
abbreviazione o semplificazione tanto di Aer- che di
Her-.
Tra l'altro gli studiosi non sono nemmeno certi
se il nome sia celtico o germanico. Julius Pokorny fa
derivare la prima parte del nome da un protoceltico *āφer-
> *āher- «sponda, spiaggia», a sua volta da un
indoeuropeo *HaEHxPER- (cfr. greco
Ḗpeiros «Epiro», tedesco Ufer «sponda di fiume»)
(Pokorny 1959). La seconda
parte è stata ricondotta a una radice proto-celtica *kur-
«cerchio» (cfr. antico irlandese curu) o *kurr-
«angolo» (medio irlandese cer > cear «angolo»,
gallese cwr «orlo») (MacBain
1982 | Koch 2002). Alternativamente, l'elemento *kur-,
presente tanto nel nome della dea che in quello del britannico Arecurius, potrebbe
essere una contrazione di un proto-celtico *kawaro-
«eroe, gigante» (medio irlandese curad, caur,
«eroe, campione», gallese cawr, cornico cauro
«gigante»), da cui anche il nome dell'ultimo re celtico di
Tracia, Kaúaros (in Polýbios,
Historíai [IV, 46]); questo termine sarebbe
a sua volta corradicale con il greco kýrios «signore» e il
sanscrito śūra «eroe, guerriero».
Tra gli studiosi più recenti, Garrett Olmsted fa derivare il
primo elemento del nomen
Aericura da un prefisso intensivo celtico eri-
«oltre» e interpreta il secondo elemento, -cura, come
grado zero di un *kueru- «mulino, farina»; il nome
della dea avrebbe dunque l'improbabile significato di «verso il
pane» (Olmsted 1994). Xavier Delamarre ricostruisce invece il nome in *Ēri-cūrā,
«vento dell'ovest», interpretazione forse più suggestiva
ma altrettanto priva di
significato (Delamarre 2001).
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XII - UN PARALLELO
IRLANDESE: IL DAGDA
MÓR
Un interessante parallelo con
Sucellos può essere offerto da uno degli
dèi più importanti della mitologia
irlandese, il
Dagda Mór. Si tratta di un dio onnisciente, rozzo
e gaudente, abbigliato con una corta tunica grigia
dotata di cappuccio e stivali di cuoio ai piedi,
che trascina la sua enorme clava montata su ruote,
la quale da un lato uccide chiunque colpisca e dall'altro lo
resuscita,
e possiede un gran paiolo che non è mai
vuoto. ①
Al riguardo, tuttavia, Jan De Vries è
piuttosto scettico. Nota che il culto del
«dio col mazzuolo» fosse
limitato alle parti orientali della Gallia, dunque in una
zona piuttosto ristretta, e proprio per questo trova poco
probabile trovare delle analogie in Britannia o in Irlanda (De Vries 1961).
Tuttavia, la clava e il paiolo del
Dagda Mór
ricordano irresistibilmente il mazzuolo e
l'olla di Sucellos. Almeno a livello di attributi, i rapporti tra le due
divinità sembrano piuttosto
stretti (Heichelheim ~ Housman 1948 | Duval 1954). Altri
studiosi considerano invece questa somiglianza
piuttosto superficiale. De Vries segnala,
critico: «Una clava è qualcosa di completamente diverso da
un maglio fornito di un lungo manico. La piccola olla
che ci si aspetta di vedere piuttosto nelle mani di un
dedicante che offre un sacrificio, non è senz'altro da
identificare con il mitico calderone dell'abbondanza e della
rinascita» (De Vries 1961).
Il problema, tuttavia, è mal posto. Che
gli attribuiti del
Dagda Mór e
quelli del
«dio col mazzuolo»
possano apparire più o meno affini tra loro è questione
puralmente soggettiva. Quello che,
da una certa distanza, può sembrare simile, mostra
inevitabili divergenze se esaminato con maggiore attenzione.
L'esame, in realtà, dovrebbe essere posto secondo un'ottica
funzionale: ad esempio, la clava di
Hēraklês, il martello di
Þórr e il vajra di
Indra, pur essendo tre
strumenti completamente diversi, sono funzionalmente omologhi; ma se non conoscessimo i miti sottesi
dietro i tre personaggi, difficilmente potremmo stabilire
una correlazione tra loro. Nel caso che stiamo esaminando,
ci manca purtroppo la mitologia del
«dio col mazzuolo», cosa
che rende problematico un tentativo di confronto con il
Dagda Mór.
Abbiamo però, a sorreggerci, uno schema dove i due strumenti
vengono regolarmente appaiati:
olla e maglio compaiono insieme in tutte le
figurazioni del
«dio col mazzuolo» e, anzi,
lo identificano come tale. Analogamente, sebbene non
possediamo immagini antiche del
Dagda Mór,
i testi confermano sempre i suoi due attributi: una
clava e un calderone. Quindi, anche se le due coppie di
strumenti non mostrano una perfetta coincidenza, lo schema
si ripete con una certa regolarità.
È dunque possibile che il
«dio col mazzuolo»/Sucellos e il
Dagda Mór siano personaggi omologhi,
almeno a livelli di attribuiti. Inoltre, se è giustificata
l'identificazione del
«dio col mazzuolo»
con il Dis
Pater gallico, si può puntualizzare che quest'ultimo
era considerato il padre della stirpe
celtica, così come il Dagda Mór
veniva definito Ollathair, «padre di tutti», sebbene
i testi irlandesi non diano una giustificazione di questo
epiteto.
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