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LJÓÐA EDDA

SVIPDAGSMÁL

IL DISCORSO DI SVIPDAGR
LJÓĐA EDDA
Ljóða Edda. Edda poetica o antica
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Hávamál. Il discorso di Hár
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Skírnismál. Il discorso di Skírnir

Hymiskviða. Il carme di Hymir
Baldrs draumar. I sogni di Baldr
Grottasǫngr. La canzone del Grotti
Svipdagsmál. Il discorso di Svipdagr
Schema
SVIPDAGSMÁL - Saggio
SVIPDAGSMÁL - Testo
Note
Bibliografia

Titolo

Svipdagsmál, «Discorso di Svipdagr»

Titolo Grógaldr, «Incantesimo di Gróa»
Titolo Fjǫsvinnsmál, «Discorso di Fjǫlsviðr»
Genere Poema gnomico
Voci Dialogo (2 voci + 3 voci)
Lingua Norreno
Epoca
Composizione:
Redazione:
  XIII-XIV secolo
XVII secolo
LJÓÐA EDDA
SVIPDAGSMÁL
IL DISCORSO DI SVIPDAGR

Un poema composito

Ultimo titolo in un'ideale antologia della poesia eddica, lo Svipdagsmál o «discorso di Svipdagr» è il più tardo e, in un certo senso, il più problematico dei poemi mitologici islandesi. Esso non è compreso nella raccolta del Codex Regius, ma a causa della sua relativa modernità e dei vari problemi testuali che presenta, è difficilmente inquadrabile persino nel corpus dell'«Eddica Minora», e molti editori tendono a escluderlo. Inoltre, lo Svipdagsmál non è nemmeno un poema unitario, essendo sorto dall'artificiosa giustapposizione, effettuata da Sophus Bugge, di due tardi poemi di argomento mitologico, il Gró[u]galdr, l'«incantesimo di Gróa», e il Fjǫsvinnsmál, il «discorso di Fjǫlsviðr».

I due poemi sono presenti in un certo numero di manoscritti islandesi del XVII secolo, in alcuni dei quali si trovano disposti in senso inverso rispetto alle edizioni moderne, e tra i due è a volte interposto un terzo poema, l'Hyndluljóð. La loro data di composizione viene fatta risalire tra il XIII e il XIV secolo, un'epoca decisamente posteriore a quella di ogni altro poema eddico.

A puntare per primo l'attenzione su questo testo, fu il folklorista Svend Grundtvig, celeberrimo curatore delle Danmarks gamle Folkeviser, le «Antiche ballate popolari di Danimarca» (Grundtvig 1857). Studiando una ballata popolare intitolata Ungen Sveidal «Il giovane Sveidal» (o Herr Svedendal, o Hertig Silfverda) (DgF 70), Grundtvig mise in correlazione la prima parte della visa con un tardo poema islandese, il Grógaldr. In seguito, lo stesso Bugge notò come il finale della ballata corrispondesse a un secondo poema, il Fjǫlsvinnsmál, e ipotizzò che la ballata dano-svedese avesse conservato la vicenda unitaria che in Islanda era stata tramandata in due composizioni separate (Bugge 1860). Nonostante Grundtvig avesse già proposto un titolo per un poema complessivo: Svipdagsfǫr, «viaggio di Svipdagr», quando esso fu pubblicato da Bugge, nella sua storica edizione della Ljóða Edda (1867), venne intitolato Svipdagsmál, «discorso di Svipdagr».

Il Grógaldr

Svipdagr al tumulo di Gróa ( 1911)
John Bauer (1882-1918). Illustrazione (Rydberg Hiersche 1911)

Il primo dei due poemi che compongono lo Svipdagsmál, il Grógaldr, o «incantesimo di Gróa», consta di sole sedici strofe, e può essere diviso in due parti. Nella prima, redatta in forma di dialogo, il giovane Svipdagr evoca dal tumulo la sua defunta madre Gróa, affinché lo aiuti ad assolvere un compito che gli è stato importo dalla malvagia matrigna: quello di recarsi presso una donna, Menglǫð [1-5]. La seconda parte del carme è invece un monologo: Gróa – che è probabilmente la stessa vǫlva che, nello Skáldskaparmál viene consultata affinché tolga la scheggia conficcata nella fronte di Þórr – canta al figlio una serie di incantesimi [galdrar] che potranno essergli utili nel corso della sua impresa [6-16].

Se il motivo dell'evocazione di una vǫlva dal tumulo è un motivo appartenente alla più antica poesia eddica, dalla Vǫluspá al Baldrs Draumar, gli incantesimi mostrano una stretta affinità con quelli recitati da Óðinn nell'Hávamál e, in almeno un paio di casi [10 | 11], presentano delle strette somiglianze formali.

Il Fjǫsvinnsmál

Svipdagr e Freyja [Menglǫð] ( 1911)
John Bauer (1882-1918). Illustrazione (Rydberg Hiersche 1911)

Il secondo poema confluito nel Svipdagsmál, il Fjǫsvinnsmál, o «discorso di Fjǫlsviðr», è assai più lungo e elaborato del primo (50 strofe). Uno sconosciuto giunge a una fortezza circondata dal fuoco e, presentandosi sotto il nome di Vindkaldr, chiede al guardiano del luogo, Fjǫlsviðr, chi sia a governare quelle terre. Saputo il nome della signora della fortezza, Menglǫð, il nuovo venuto rivolge a Fjǫlsviðr una lunga serie di domande. S'informa dapprima sul bastione che protegge la fortezza: vuole sapere chi abbia edificato le possenti mura e il terribile cancello [9-12]. Chiede quindi informazioni sul misterioso albero Mímameiðr che si trova dentro i recinti: vuole sapere quali siano le sue virtù, come si chiami il gallo che vive tra le due fronde e i cani che lo vigilano [19-24]. Saputo tutto ciò, Vindkaldr comincia a porre delle attente domande su come penetrare nella fortezza, superare i guardiani ed eluderne i pericoli. La cosa si rivela però impossibile: per acquietare i cani bisogna dar loro – se la delicata traduzione è corretta – le ali arrostite del gallo Viðófnir [13-18]. Unico modo per uccidere il gallo, rivela Fjǫlsviðr, è utilizzare una magica verga chiamata Lævateinn, la quale è custodita dalla gigantessa Sinmara. Ma per indurre Sinmara a consegnare la verga, bisogna darle in cambio la falce che è in possesso del gallo stesso [25-30]. Si configura dunque un circolo vizioso irrisolvibile. È evidente che non è possibile per nessuno superare il bastione, tranne per l'eroe destinato all'impresa.

Di fronte all'erudita ironia di Fjǫlsviðr, Vindkaldr sembra desistere dai suoi progetti e chiede notizie sulla dimora che si leva al centro della fortezza, su Menglǫð che la governa e sulle fanciulle che sono accanto a lei [31-40]. Dopo una serie di domande, chiede chi sia l'uomo destinato a giacere tra le braccia della donna. Fjǫlsviðr rivela che solo una persona è degna dell'amore di Menglǫð e si tratta di Svipdagr [41-42]. A questo punto il nuovo venuto si rivela: è lui Svipdagr! Fjǫlsviðr corre all'interno della fortezza è avvisa Menglǫð che l'uomo che attendeva è arrivato alla fortezza. La donna rifiuta inizialmente di credergli. Sospettosa esce e interroga lei stessa il nuovo venuto. Riconosciutolo, accoglie Svipdagr con trepidazione e i due innamorati finalmente si congiungono [43-50].

Per quanto il Fjǫlsvinnsmál risenta senza alcun dubbio delle convenzioni della poesia sapienziale norrena, basata su uno scambio di domande e risposte erudite (si veda il Vafþrúðnismál), la trama ha un modello assai diverso, quello della ricerca della sposa. Come Viktor Rydberg ha mostrato nella sua analisi, il poema presenta più di un parallelismo con il Skírnismál. In entrambi i casi c'è una fanciulla difficile da raggiungere (Gerðr; Menglǫð), e un giovane che intraprende il viaggio (Skírnir è pronubo per Freyr; Svipdagr parte per un non meglio precisato ordine impartitogli dalla matrigna). Per affrontare le difficoltà del viaggio sono necessarie delle particolari precauzioni (Skírnir porta con sé la spada di Freyr, Svipdagr si premunisce con gli incantesimi della madre Gróa). La roccaforte della fanciulla è sorvegliata in entrambi i casi da un solerte guardiano (quella di Gerðr da un pastore; quella di Menglǫð ha Fjǫlsviðr). Entrambe sono infine difese da cani feroci e circondate da fiamme che solo l'eroe predestinato è in grado di superare. (Rydberg 1886-1889 | Branston 1955)

Analisi critica

Per quanto venga solitamente associato al genere di composizioni presenti nella Ljóða Edda, il poema se ne distacca per molte ragioni. Nel suo stile composito, infatti, lo Svipdagsmál dà la viva impressione che il suo autore si eserciti a imitare i vari generi della poesia eddica, senza però dominarne lo spirito. Inoltre, i temi mitologici affrontati nel Fjǫlsvinnsmál hanno solo minimi riscontri con le notizie fornite nelle due Edda, tali da far pensare che l'autore non ne avesse una conoscenza approfondita. Ad esempio, di Svafrþorinn, nonno di Menglǫð, o di Sinmara, supposta moglie di Surtr, non si sa nulla, e i loro nomi non sono citati in altre fonti. Anche il gallo Viðófnir fa qui la sua unica apparizione, ma i suoi tratti ricordano quelli di Gullinkambi, il gallo destinato a chiamare a raccolta gli dèi nell'ultima battaglia. Anche l'albero Mímameiðr sembra una tarda rielaborazione dell'Yggdrasill, anche se qui si indugia non tanto sul suo carattere cosmologico, ma soprattutto sulle proprietà curative dei suoi frutti.

Un'analisi formale che tenga conto del lessico, dei temi mitologici, dello stile e della ricchezza di kenningar, pongono lo Svipdagsmál piuttosto lontano dal resto delle composizioni della Ljóða Edda. Viene così giustificata la tarda epoca di composizione che viene assegnata ai due poemi, e cioè tra il XIII e il XIV secolo.

Nel corso del tempo, lo Svipdagsmál è stato soggetto a una quantità di interpretazioni, per quanto non si sia ancora arrivati a una sostanziale unità di vedute. Il primo interrogativo riguarda i personaggi stessi. Nomi come Svipdagr «giorno veloce» e Menglǫð «lieta della collana» sembrano essere degli epiteti, e gli studiosi si sono a lungo tormentati nel tentativo di identificarli con l'una o l'altra divinità della mitologia scandinava. L'unico personaggio del poema abbastanza trasparente è Fjǫlsviðr «assai sapiente», che è evidentemente Óðinn (l'epiteto è citato tra gli heiti del dio in Grímnismál [47]). Come Óðinn plasmò la terra a partire dal corpo smembrato di Ymir, così Fjǫlsviðr si vanta di aver innalzato il bastione di Menglǫð con le membra del gigante Leirbrimir. I due cani di Fjǫlsviðr, inoltre, Gífr e Geri, ricordano da vicino i due lupi di Óðinn, Freki e Geri. (Rydberg 1889).

In quanto agli altri personaggi, già Jacob Grimm proponeva di identificare Menglǫð («lieta della collana») con Freyja, a cui appartiene la collana Brísingamen (Grimm 1835). Lo stesso Viktor Rydberg proponeva assimilare Svipdagr a Óðr, sposo di Freyja (Rydberg 1889), ma le indicazioni che egli porta a sostegno sono piuttosto fragili. Ma poiché Frigg e Freyja sono figure corradicali (così come Óðinn e Óðr), non stupisce di trovare in Menglǫð dei tratti della regina degli Æsir. L'immagine di Frigg attorniata dalle sue serve è molto vicina a quella di Menglǫð circondata dalle sue soccorrevoli ancelle. Molti dettagli funzionali, nella descrizione della fortezza di Menglǫð, sembrano riferirsi a pratiche medicinali. Vi è l'albero Mímameiðr i cui frutti favoriscono il travaglio delle donne e le cui foglie sono la materia prima per un «antico rimedio» non ben identificato; il Lyfjaberg, o «monte della guarigione», su cui siede Menglǫð, ha la proprietà di guarire i feriti e i malati che vi salgono; infine le ancelle di Menglǫð hanno tutti nomi legati ad attività salutifere, e tra esse vi è anche Eir, dea della medicina, che Snorri assegna al seguito di Frigg.

Nel corso degli anni sono state avanzate molte possibili interpretazioni del poema, spesso in aperta contraddizione tra loro. Hjalmar Falk ed Einar Ólafur Sveinsson, seppure in tempi piuttosto diversi, hanno voluto vedervi un'origine celtica: un racconto ispirato alle quêtes medievali del Sangrail (Falk 1893) o alle vicende del semimitico re irlandese Art mac Cuinn (Sveinsson 1975). Otto Höfler vi ha voluto vedere un mito naturalistico sul sole che risveglia la terra in primavera (Höfler 1952). Non sono mancate letture psicologiche o antropologiche. Brian Branston, che basa la sua interpretazione della natura del mito sulla teoria degli archetipi di Gustav Jung, afferma che tanto lo Skírnismál quanto lo Svipdagsmál rappresenterebbero il rito di passaggio di un giovane all'età adulta e la sua prima esperienza sessuale (Branston 1955).

Conclusiva, a nostro parere, la lettura di Jan De Vries, che ha escluso un'origine mitica della vicenda e ha voluto vedere nello Svipdagsmál l'opera letteraria di un anonimo poeta islandese, il quale si è esercitato a raccontare una fiaba sul modello della Bella Addormentata utilizzando motivi, immagini e stilemi della poesia eddica. (De Vries 1941)

Genere e metrica

Preso nel suo complesso, lo Svipdagsmál non sembra appartenere a un genere preciso. È un poema mitologico, condotto nello stile di una ballata, non diversamente dallo Skírnismál; la vicenda passa tuttavia in secondo piano di fronte alle lunghe tirate di carattere gnomico-sapienziale. L'una e l'altra composizione che compongono il poema, sono infatti di carattere dialogico. Nel Grógaldr vi sono solo due voci: Svipdagr e Gróa, ma a quest'ultima viene assegnato un lungo monologo di carattere magico, che compone i due terzi del testo complessivo (undici strofe su sedici). Il Fjǫlsvinnsmál è introdotto da un solo helmingr di carattere narrativo; il resto è un fittissimo dialogo tra due voci, Svipdagr e Fjǫlsviðr, le cui domande e risposte affrontano temi di sapienza mitologica; solo in chiusura interviene una terza voce, quella di Menglǫð, a cui è affidata la bellissima dichiarazione d'amore finale.

Il metro di entrambe le composizioni che costituiscono lo Svipdagsmál è il ljóðaháttr o «metro strofico», che nella sua forma canonica è formato da quattro versi, in cui due «lunghi», costituiti da due semiversi, si alternano a due versi «pieni», formati di un solo semiverso. La versificazione del testo è molto regolare e non presenta varianti metriche.

Nella nostra pagina pagina, per ragioni grafiche, i due semiversi che compongono i «versi lunghi» sono stati spezzati e disposti su due righe. Così le strofe risultano organizzate su un numero di righe diverso da quelle originali. Ecco, per confronto, la versificazione di Grógaldr [1]:

Vaki þú, Gróa,          vaki þú, góð kona,
vek ek þik dauðra dura,
ef þú þat mant,          at þú þinn mǫg bæðir
til kumbldysjar koma.

Le due composizioni, il Grógaldr e il Fjǫlsvinnsmál, sono state tenute ben distinte nella nostra edizione, e ciascuna ha una numerazione indipendente dall'altra. Questo potrebbe provocare una variazione nell'indicazione del numero del verso con altre edizioni dello Svipdagsmál. La sezione Fjǫlsvinnsmál [19-24] è stata anticipata dopo la strofa [12], ma la numerazione non è stata toccata.

Edizioni italiane

Escludendo le strofe scorporate presenti nelle antologie, l'unica traduzione integrale dello Svipdagsmál è quella di Alberto Mastrelli, nel libro L'Edda. Carmi norreni, nella collana «Classici della religione», edita da Sansoni (Firenze 1951, 1982). Intitolata Svipdagsmal. Il carme di Svipdag (e quindi, Il canto magico di Groa e il Carme di Fiolsvidh), è in versi liberi, con le coppie di semiversi «cucite» in versi interi. Abbastanza libera, ma rigorosa, fittamente annotata.

Svegliati, Groa! Svegliati buona donna!
      Io evoco dalla porta dei morti:
Ti ricordi di avere invitato tuo figlio
      a venire al tuo tumulo?

Gabriella Agrati e Maria Letizia Magini riportano una riscrittura in prosa – una rielaborazione – dello Svipdagsmál, nel loro Miti e saghe vichinghi, intitolata Svipdag e Menglad (Agrati ~ Magini 1990), apparentemente condotta sulla traduzione inglese di Henry Adams Bellows. Gianna Chiesa Isnardi ne fa un puntuale riassunto nel suo I miti nordici, citando ventun strofe appositamente tradotte (Isnardi 1991).

LJÓÐA EDDA
SVIPDAGSMÁL
IL DISCORSO DI SVIPDAGR
L'INCANTESIMO DI GRÓA

IL DISCORSO DI FJǪLSVIÐR

  GRÓGALDR
er hún gól syni sínum dauð.
L'INCANTESIMO DI GRÓA,
che ella, morta, cantò a suo figlio.
 
         
Invocazione della madre morta 1

 

Sonr kvað: Disse il figlio:  

“Vaki þú, Gróa,
vaki þú, góð kona,
vek ek þik dauðra dura,
ef þú þat mant,
at þú þinn mǫg bæðir
til kumbldysjar koma”.

“Svégliati, Gróa!
svégliati, brava donna!
io ti invoco innanzi alla porta dei morti.
Se ti ricordi,
hai esortato tuo figlio a venire
al tumulo vicino alla tua tomba”.

Nota
  2 Gróa kvað: Disse Gróa:  
 

“Hvat er nú annt
mínum eingasyni,
hverju ertu nú bǫlvi borinn,
er þú þá móður kallar,
er til moldar er komin
ok ór ljóðheimum liðin?”

“Cosa preoccupa
il mio unico figlio?
Che male ti affligge,
tanto da chiamare tua madre
che è giunta sotterra
e vaga lontano dal mondo dei mortali?”

 
  3 Sonr kvað: Disse il figlio:  
 

“Ljótu leikborði
skaut fyr mik in lævísa kona,
sú er faðmaði minn fǫður;
þar bað hon mik koma,
er kvæmtki veit,
móti Menglǫðu”.

“Un compito pericoloso
mi impone la donna perfida
che ha sposato mio padre.
Mi ordina di recarmi,
là dove sa che è impossibile andare,
per incontrarmi con Menglǫð”.

 
  4 Gróa kvað: Disse Gróa:  
 

“Lǫng er fǫr,
langir ro farvegar,
langir ro manna munir,
ef þat verðr,
at þú þinn vilja bíðr,
ok skeikar þá Skuld at skǫpum”.

“Lungo è il viaggio,
lungo il cammino,
lungo il desiderio degli uomini.
Se così accadrà,
che si esaudirà il tuo volere,
allora il decreto di Skuld è incerto”.

Nota
    Sonr kvað: Disse il figlio:  
  5 “Galdra þú mér gal,
þá er góðir eru,
bjarg þú, móðir, megi;
á vegum allr
hygg ek, at ek verða muna,
þykkjumk ek til ungr afi”.
“Canta per me incantesimi,
che siano buoni.
Salva, madre, tuo figlio!
Ho paura, per strada,
di incappare nella sfortuna;
sono ancora troppo giovane”.
 
Gli incantesimi di Gróa 6 Gróa kvað: Disse Gróa:  

“Þann gel ek þér fyrstan,
þann kveða fjǫlnýtan,
– þann gól Rindi Rani, –
at þú of ǫxl skjótir,
því er þér atalt þykkir;
sjalfr leið þú sjalfan þik.

“Ti canterò il primo,
che molti considerano vantaggioso
– lo cantò Rindr per Rani
e dalle spalle ti scuoterai
ciò che riterrai fastidioso.
Ti lascerai guidare solo da te stesso.

Nota
  7 Þann gel ek þér annan,
ef þú árna skalt
viljalauss á vegum,
Urðar lokur
haldi þér ǫllum megum,
er þú á sinnum sér.
Il secondo ti canterò,
se dovessi percorrere
la strada senza gioia.
La protezione di Urðr
ti assista da ogni lato
ovunque tu veda turpitudine.
 
  8 Þann gel ek þér inn þriðja,
ef þér þjóðáar
falla at fjǫrlotum,
Horn ok Ruðr
snúisk til heljar meðan,
en þverri æ fyr þér.
Il terzo ti canterò,
se fiumi impetuosi
scrosciando, mettessero in pericolo la tua vita.
Horn e Ruðr
scorrano verso Hel
ma si acquietino sempre dinanzi a te.
Nota
  9 Þann gel ek þér inn fjórða,
ef þik fjándr standa
gǫrvir á galgvegi,
hugr þeim hverfi
til handa þér,
ok snúisk þeim til sátta sefi.
Il quarto ti canterò,
se i nemici stessero
in agguato sulla via del capestro.
Il loro cuore si muti
in tuo favore,
la loro mente volga all'amicizia.
 
  10 Þann gel ek þér inn fimmta,
ef þér fjǫturr verðr
borinn at boglimum,
leysigaldr læt ek
þér fyr legg of kveðinn,
ok stǫkkr þá láss af limum,
en af fótum fjǫturr.
Il quinto ti canterò,
se ti legassero con catene
braccia e gambe.
Farei cantare incantesimi
di liberazione su di te:
i ceppi ti cadrebbero dalle braccia,
e dai piedi i vincoli.
Nota
  11 Þann gel ek þér inn sétta,
ef þú á sjó kemr
meira en menn viti,
logn ok lǫgr
gangi þér í lúðr saman
ok léi þér æ friðdrjúgrar farar.
Il sesto ti canterò,
se sulla via del mare incontrassi
una tempesta, mai vista da nessuno.
L'aria sospesa sul mare
si stiperà nella tua nave
permettendoti un viaggio tranquillo.
Nota
  12 Þann gel ek þér inn sjaunda,
ef þik sækja kemr
frost á fjalli háu,
hræva kulði
megi-t þínu holdi fara,
ok haldisk æ lík at liðum.
Il settimo ti canterò,
se tagliente ti pungesse
il gelo in alta montagna.
Il freddo fatale
non morderà le tue carni
né il corpo si raggrinzirà.
 
  13 Þann gel ek þér inn átta,
ef þik úti nemr
nótt á niflvegi,
at því firr megi
þér til meins gera
kristin dauð kona.
L'ottavo ti canterò,
se sul sentiero nebbioso
fossi sorpreso dalla notte.
Non potrebbe farti
del male nemmeno
lo spettro di una donna cristiana morta.
Nota
  14 Þann gel ek þér inn níunda,
ef þú við inn naddgǫfga
orðum skiptir jǫtun,
máls ok mannvits
sé þér á minni ok hjarta
gnóga of gefit.
Il nono ti canterò,
se venissi a parole
con un gigante armato.
Misura e saggezza
nel cuore e nella mente
ti daranno molto aiuto.
Nota
  15 Far þú nú æva,
þar er forað þykkir,
ok standi-t þér mein fyr munum;
á jarðfǫstum steini
stóð ek innan dura,
meðan ek þér galdra gól.
Va' ora
dove non ci sarà mai pericolo,
e nessun maleficio ostacolerà il tuo amore.
Su una pietra fissa nel terreno
sono stata in piedi tra le porte,
mentre ti cantavo gli incantesimi.
Nota
  16 Móður orð
ber þú, mǫgr, heðan
ok lát þér í brjósti búa;
iðgnóga heill
skaltu of aldr hafa,
meðan þú mín orð of mant”.
Porta con te
le parole di tua madre, figlio mio,
e lascia che si fissino nel tuo petto,
poiché piena fortuna
avrai in vita,
finché ricorderai le mie parole”.
 
         
  FJǪLSVINNSMÁL IL DISCORSO DI FJǪLSVIÐR  
         
Arrivo alla fortezza 1 Utan garða
hann sá upp um koma
þursa þjóðar sjǫt:
Fuori dalla fortezza
[Fjǫlsviðr] vide uno giungere
alla tana dei giganti.
Nota
Fjǫlsviðr kvað: Disse Fjǫlsviðr:
    “Úrgar brautir
árnaðu aftur héðan;
átt-at-tu hér, verndar vanur, veru!”
“Per le umide vie
ritornatene a casa!
Qui non c'è asilo per te, miserabile!”
2 Kómumaðr kvað: Disse il sopraggiunto: Nota
    “Hvað er það flagða,
er stendur fyr forgǫrðum,
og hvarflar um hættan loga?”
“Che mostro sei,
che stai fuori della proprietà
e giri intorno le fiamme pericolose?”
Fjǫlsviðr kvað: Disse Fjǫlsviðr:
    “Hvers þú leitar,
eða hvers þú á leitum ert,
eða hvað viltu, vinlaus, vita?”
“Chi stai cercando?
che cosa vuoi?
cosa desideri, tu, privo di amici?”
  3 Kómumaðr kvað: Disse il sopraggiunto:  
    “Hvat er þat flagða,
er stendr fyr forgarði
ok býðrat líðǫndum lǫð?”
“Che mostro sei
che stai fuori della proprietà
e non offri ospitalità al viandante?”
 
    Fjǫlsviðr kvað: Disse Fjǫlsviðr:  
    “Sǿmðar orða lauss
hefir þú seggr of lifat,
ok haltu heim héðan.
“Neanche una parola d'onore
è stata spesa per te:
vattene a casa subito!
 
Presentazione degli interlocutori 4 Fjǫlsviðr ek heiti,
en ek á fróðan sefa,
þeygi em ek míns mildr matar;
innan garða
þú kemr hér aldregi,
ok dríf þú nú vargr at vegi”.
Fjǫlsviðr mi chiamo,
e sono molto saggio
anche se non sono prodigo del mio cibo.
Entro questo bastione
non entrerai mai,
quindi vattene, lupo!”
Nota
  5 Kómumaðr kvað: Disse il sopraggiunto:  
    “Augna gamans
fýsir aptr fán,
hvars hann getr svást at sjá;
garðar glóa mér þykkja
of gullna sali,
hér munda ek eðli una”.
“Il piacere dell'occhio
desidera ancora,
colui che ha visto la bellezza.
Mi sembra che risplenda questo bastione
intorno a sale dorate.
Qui ho voglia di vivere”.
 
6 Fjǫlsviðr kvað: Disse Fjǫlsviðr: Nota
    “Segðu mér hverjum
ertu, sveinn! of borinn
eða hverra ertu manna mǫgr?”
“Dimmi allora di chi,
o giovane, sei figlio,
da quale stirpe di uomini discendi?”
Kómumaðr kvað: Disse il sopraggiunto:
    “Vindkaldr ek heiti,
Várkaldr hét minn faðir,
þess var Fjǫrkaldr faðir.
“Mi chiamo Vindkald,
Várkaldr si chiamava mio padre,
Fjǫrkaldr era suo padre.
  7 Segðu mér þat, Fjǫlsviðr!
er ek þik fregna mun
ok ek vilja vita:
hverr hér ræðr
ok ríki hefir
eign ok auðsǫlum?”
Dimmi questo, Fjǫlsviðr!
Questo ti chiedo
e questo voglio sapere:
chi comanda
e ha pieni poteri
su queste terre e su queste lussuose sale?”
 
  8 Fjǫlsviðr kvað: Disse Fjǫlsviðr:  
    “Menglǫð of heitir,
en hana móðir of gat
við Svafrþorins syni;
hon hér ræðr
ok ríki hefir
eign ok auðsǫlum”.
Menglǫð si chiama
sua madre l'ha generata
col figlio di Svafrþorinn.
Lei comanda
e ha pieni poteri
su queste terre e su queste lussuose sale”.
Nota
Domande sul bastione che protegge la fortezza 9 Vindkaldr kvað: Disse Vindkaldr:  
  “Segðu mér þat, Fjǫlsviðr!
er ek þik fregna mun
ok ek vilja vita:
hvat sú grind heitir,
er með goðum sáat
menn it meira forað?”
“Dimmi questo, Fjǫlsviðr!
Questo ti chiedo
e questo voglio sapere:
come si chiama questo cancello,
che tra gli dèi, nessun uomo
ne ha mai visto uno più temibile?”
 
  10 Fjǫlsviðr kvað: Disse Fjǫlsviðr:  
    “Þrymgjǫll hon heitir,
en hana þrír gerðu
Sólblinda synir;
fjǫturr fastr verðr
við faranda hvern,
er hana hefr frá hliði”.
Þrymgjǫll si chiama;
in tre l'hanno fabbricato,
i figli di Sólblindi.
Una catena si stringe
su chiunque osi oltrepassarlo,
su chiunque osi aprirlo”.
Nota
  11 Vindkaldr kvað: Disse Vindkaldr :  
    “Segðu mér þat, Fjǫlsviðr!
er ek þik fregna mun
ok ek vilja vita:
hvat sá garðr heitir,
er með goðum sáat
menn it meira forað?”
“Dimmi questo, Fjǫlsviðr!
Questo ti chiedo
e questo voglio sapere:
come si chiama questo bastione,
che tra gli dèi, nessun uomo
ne ha mai visto uno più temibile?”
 
  12 Fjǫlsviðr kvað: Disse Fjǫlsviðr:  
    “Gastrópnir heitir,
en ek hann gǫrfan hefk
ór Leirbrimis limum;
svá hefik studdan,
at hann standa mun
æ meðan ǫld lifir”.
Gastrópnir si chiama
e io stesso l'ho costruito
dalle membra di Leirbrimir.
L'ho così rinforzato
che resterà saldo
fino alla fine dei tempi”.
Nota
Domande sull'albero Mímameiðr 19 Vindkaldr kvað: Disse Vindkaldr:  
  “Segðu mér þat, Fjǫlsviðr!
er ek þik fregna mun
ok ek vilja vita:
hvat þat barr heitir,
er breiask um
lǫnd ǫll limar?”
“Dimmi questo, Fjǫlsviðr!
Questo ti chiedo
e questo voglio sapere:
come si chiama il pino
che stende i suoi rami
su tutti i mondi?”
Nota
  20 Fjǫlsviðr kvað: Disse Fjǫlsviðr:  
    “Mímameiðr hann heitir,
en þat mangi veit,
af hverjum rótum renn;
við þat hann fellr,
er fæstan varir;
fellirat hann eldr né járn”.
“Si chiama Mímameiðr,
ma molti non sanno
da quali radici nasca.
Pochi sanno
come abbatterlo;
né fiamma né ferro lo attaccano”.
Nota
  21 Vindkaldr kvað: Disse Vindkaldr:  
    “Segðu mér þat, Fjǫlsviðr!
er ek þik fregna mun
ok ek vilja vita:
hvat af móði verðr
þess ins mæra viðar,
er hann fellirat eldr né járn?”
“Dimmi questo, Fjǫlsviðr!
Questo ti chiedo
e questo voglio sapere:
quale frutto dona
quell'albero possente,
che non lo attacca né fiamma né ferro?”
 
  22 Fjǫlsviðr kvað: Disse Fjǫlsviðr:  
    “Út af hans aldni
skal á eld bera
fyr kelisjúkar konur;
utar hverfa
þaz þær innar skyli,
sá er hann með mǫnnum mjǫtuðr”.
“Il suo frutto sarà
posto sul fuoco
per le donne in travaglio.
Fuori sarà cacciato
ciò che rimarrebbe dentro,
tra gli uomini questo è il suo uso”.
 
  23 Vindkaldr kvað: Disse Vindkaldr:  
    “Segðu mér þat, Fjǫlsviðr!
er ek þik fregna mun
ok ek vilja vita:
hvat sá hani heitir,
er sitr í enum háva viði,
allr hann við gull glóir?”
“Dimmi questo, Fjǫlsviðr!
Questo ti chiedo
e questo voglio sapere:
come si chiama quel gallo,
che sta appollaiato sull'alto albero
e risplende tutto d'oro?”
 
  24 Fjǫlsviðr kvað: Disse Fjǫlsviðr:  
    “Viðófnir hann heitir,
en hann stendr veðrglasi
á meiðs kvistum Míma;
einn um ekka
þryngr hann orófsaman
Svartrar Sinmǫru”.
“Si chiama Viðófnir,
e nel vento, splendente, sta,
sui rami dell'albero di Mímir.
Un tormento
infligge inesorabile,
di Surtr, a Sinmara”.
Nota
Domande su come superare i guardiani della fortezza 13 Vindkaldr kvað: Disse Vindkaldr:  
  “Segðu mér þat, Fjǫlsviðr!
er ek þik fregna mun
ok ek vilja vita:
hvat þeir garmar heita,
er gífrir rata
ok varða fyr lundi lim
?”
“Dimmi questo, Fjǫlsviðr!
Questo ti chiedo
e questo voglio sapere:
come si chiamano questi cani affamati,
che vanno avanti e indietro
e fanno la guardia al fogliame dell'albero?”
Nota
  14 Fjǫlsviðr kvað: Disse Fjǫlsviðr:  
    “Gífr heitir annarr,
en Geri annarr,
ef þu vilt þat vita;
varðir elli lyf
æ þeir varða,
unz rjúfask regin”.
“Uno si chiama Gífr,
l'altro Geri,
se ci tieni a saperlo.
All'antico rimedio del guardiano
faranno la guardia,
fino alla caduta degli dèi”.
Nota
  15 Vindkaldr kvað: Disse Vindkaldr:  
    “Segðu mér þat, Fjǫlsviðr!
er ek þik fregna mun
ok ek vilja vita:
hvárt sé manna nǫkkut,
þat er megi inn koma,
meðan sókndjarfir sofa?”
“Dimmi questo, Fjǫlsviðr!
Questo ti chiedo
e questo voglio sapere:
è possibile che qualcuno trovi
il modo per entrare
quando quei rapidi predatori dormono?”
 
  16 Fjǫlsviðr kvað: Disse Fjǫlsviðr:  
    “Missvefni mikit
var þeim mjǫk of lagit,
síðan þeim var varzla vituð;
annarr of nætr sefr,
en annarr of daga,
ok kemsk þá vætr, ef þá kom”.
“Sonno alterno
gli fu imposto
da quando furono assegnati alla guardia.
Uno dorme di notte,
l'altro di giorno,
cosicché nessuno può entrare”.
 
  17 Vindkaldr kvað: Disse Vindkaldr:  
    “Segðu mér þat, Fjǫlsviðr!
er ek þik fregna mun
ok ek vilja vita:
hvárt sé matar nǫkkut,
þat er menn hafi,
ok hlaupi inn, meðan þeir eta?”
“Dimmi questo, Fjǫlsviðr!
Questo ti chiedo
e questo voglio sapere:
non c'è un qualche cibo
che l'uomo possieda
così da gettarglielo mentre mangiano?”
 
  18 Fjǫlsviðr kvað: Disse Fjǫlsviðr:  
    “Vegnbráðir tvær
liggja í Víðófnis liðum,
ef þú vilt þat vita:
þat eitt er svá matar,
at þeim menn of gefi,
ok hlaupi inn, meðan þeir eta”.
“Due ali arrostite
possiede Víðófnir,
se ci tieni a saperlo.
Sono l'unico cibo
che si potrebbe dare ai cani
e gettarglielo mentre mangiano”.
Nota
  25 Vindkaldr kvað: Disse Vindkaldr:  
    “Segðu mér þat, Fjǫlsviðr!
er ek þik fregna mun
ok ek vilja vita:
hvárt sé vápna nǫkkut,
þat er knegi Viðófnir fyr
hníga á Heljar sjǫt?”
“Dimmi questo, Fjǫlsviðr!
Questo ti chiedo
e questo voglio sapere:
se c'è un'arma
con cui Viðófnir
possa essere precipitato in Hel?”
 
  26 Fjǫlsviðr kvað: Disse Fjǫlsviðr:  
    “Lævateinn hann heitir,
en hann gerði Loptr rýninn
fyr nágrindr neðan;
í seigjárn keri
liggr hann hjá Sinmǫru,
ok halda njarðlásar níu”.
Lævateinn si chiama,
e l'ha creata Loptr con le rune
giù dinanzi al cancello dei morti.
In uno scrigno di ferro
si trova vicino a Sinmara,
ed è chiuso da nove serrature”.
Nota
  27 Vindkaldr kvað: Disse Vindkaldr:  
    “Segðu mér þat, Fjǫlsviðr!
er ek þik fregna mun
ok ek vilja vita:
hvárt aptr kemr,
sá er eptir ferr
ok vill þann tein taka?”
“Dimmi questo, Fjǫlsviðr!
Questo ti chiedo
e questo voglio sapere:
se ritorna
colui il quale va in cerca
e riesce a prendere la verga?”
 
  28 Fjǫlsviðr kvað: Disse Fjǫlsviðr:  
    “Aptr mun koma,
sá er eptir ferr
ok vill þann tein taka,
ef þat fǿrir,
er fáir eigu,
eiri ǫrglasis”.
“Ritornerà
colui il quale va in cerca
e riesce a prendere la verga,
se porta con sé
ciò che pochi posseggono,
per la dea dall'oro splendente”.
Nota
  29 Vindkaldr kvað: Disse Vindkaldr:  
    “Segðu mér þat, Fjǫlsviðr!
er ek þik fregna mun
ok ek vilja vita:
hvárt sé mæta nǫkkut,
þat er menn hafi,
ok verðr því hin fǫlva gýgr fegin?”
“Dimmi questo, Fjǫlsviðr!
Questo ti chiedo
e questo voglio sapere:
se c'è qualcosa di particolare
che gli uomini posseggono
e che può rallegrare la pallida gigantessa?”
Nota
  30 Fjǫlsviðr kvað: Disse Fjǫlsviðr:  
    “Ljósan ljá
skaltu í lúðr bera,
þann er í Viðofnis vǫlum,
Sinmǫru at selja,
áðr hon sǫm telisk
vápn til vígs at ljá”.
“La falce lucente,
porterai nella bisaccia,
che sta nella coda di Viðofnir.
Dàlla a Sinmara;
così diverrà servizievole
e ti donerà l'arma da battaglia”.
Nota
Domande sulla sala interna e sulla signora che la governa 31 Vindkaldr kvað: Disse Vindkaldr:  
  “Segðu mér þat, Fjǫlsviðr!
er ek þik fregna mun
ok ek vilja vita:
hvat sá salr heitir,
er slunginn er
vísum vafrloga?”
“Dimmi questo, Fjǫlsviðr!
Questo ti chiedo
e questo voglio sapere:
come si chiama la sala
circondata
da magiche fiamme guizzanti?”
 
  32 Fjǫlsviðr kvað: Disse Fjǫlsviðr:  
    “Lýr hann heitir,
en hann lengi mun
á brodds oddi bifask;
auðranns þess
munu um aldr hafa
frétt eina fírar”.
“Si chiama Lýr
e per sempre
tremerà come punta di spada.
Di questa sala sontuosa,
in tutte le epoche,
le persone hanno saputo poco”.
Nota
  33 Vindkaldr kvað: Disse Vindkaldr:  
    “Segðu mér þat, Fjǫlsviðr!
er ek þik fregna mun
ok ek vilja vita:
hverr þat gǫrði,
er ek fyr garð sák
innan, ásmaga?”
“Dimmi questo, Fjǫlsviðr!
Questo ti chiedo
e questo voglio sapere:
chi l'ha costruita,
tra coloro i quali vedo
nella corte dei figli degli Æsir?”
 
  34 Fjǫlsviðr kvað: Disse Fjǫlsviðr:  
    “Uni ok Íri,
Bari ok Óri,
Varr ok Vegdrasill;
Dóri ok Úri,
Dellingr, Atvarðr,
Liðskjálfr, Loki”.
Uni e Íri,
Bari e Óri,
Var e Vegdrasill,
Dóri e Úri,
Dellingr, Atvarðr,
Liðskjálfr, Loki”.
Nota
  35 Vindkaldr kvað: Disse Vindkaldr:  
    “Segðu mér þat, Fjǫlsviðr!
er ek þik fregna mun
ok ek vilja vita:
hvat þat bjarg heitir,
ver ek sé brúði á
þjóðmæra þruma?”
“Dimmi questo, Fjǫlsviðr!
Questo ti chiedo
e questo voglio sapere:
come si chiama la montagna
su cui vedo la fanciulla
in alto seduta, splendida?”
 
  36 Fjǫlsviðr kvað: Disse Fjǫlsviðr:  
    “Lyfjaberg þat heitir,
en þat hefir lengi verit
sjúkum ok sárum gaman;
heil verðr hver,
þótt hafi árs sótt,
ef þat klífr, kona”.
“Si chiama Lyfjaberg
e da tempo esiste
per curare i feriti e i malati.
Risana la donna,
anche se da lungo malata,
che vi sale sopra”.
Nota
  37 Vindkaldr kvað: Disse Vindkaldr:  
    “Segðu mér þat, Fjǫlsviðr!
er ek þik fregna mun
ok ek vilja vita:
vat þær meyjar heita,
er fyr Menglaðar knjám
sitja sáttar saman?”
“Dimmi questo, Fjǫlsviðr!
Questo ti chiedo
e questo voglio sapere:
come si chiamano le fanciulle
che dinanzi alle ginocchia di Menglǫð
siedono in armonia insieme?”
 
  38 Fjǫlsviðr kvað: Disse Fjǫlsviðr:  
    “Hlíf heitir,
ǫnnur Hlífþrasa,
þriðja Þjóðvarta,
Bjǫrt ok Blíð,
Blíðr, Fríð,
Eir ok Ǫrboða”.
“Una si chiama Hlíf,
la seconda Hlífþrasa,
la terza è conosciuta come Þjóðvarta,
Bjǫrt e Bleik,
Blíð, Fríð,
Eir e Aurboða”.
Nota
  39 Vindkaldr kvað: Disse Vindkaldr:  
    “Segðu mér þat, Fjǫlsviðr!
er ek þik fregna mun
ok ek vilja vita:
hvart þær bjarga
þeim er blóta þær,
ef gǫrask þarfar þess?”
“Dimmi questo, Fjǫlsviðr!
Questo ti chiedo
e questo voglio sapere:
se aiutano
coloro che danno profferte,
coloro che hanno bisogno di aiuto?”
Nota
  40 Fjǫlsviðr kvað: Disse Fjǫlsviðr:  
    “[Bjarga] svinnar,
hvar er menn blóta þær
á stallhelgum stað;
eigi svá hátt forað
kemr at hǫlða sonum,
hvern þær ór nauðum nema”.
“Danno aiuto le sagge,
se le si fanno sacrifici
nei luoghi dove si trovano gli altari.
Nessun male così grande
minaccia i figli degli uomini,
che non riescano a curare”.
 
  41 Vindkaldr kvað: Disse Vindkaldr:  
    “Segðu mér þat, Fjǫlsviðr!
er ek þik fregna mun
ok ek vilja vita:
hvárt sé manna nǫkkut,
þat er knegi á Menglaðar
svásum armi sofa?”
“Dimmi questo, Fjǫlsviðr!
Questo ti chiedo
e questo voglio sapere:
se c'è uomo
che nelle braccia di Menglǫð
possa dormire in serenità?”
 
  42 Fjǫlsviðr kvað: Disse Fjǫlsviðr:  
    “Vætr er þat manna,
er knegi á Menglaðar
svásum armi sofa:
nema Svipdagr einn,
hánum var sú in sólbjarta
brúðr at kván of kveðin”.
“Non c'è uomo
che nelle braccia di Menglǫð
possa dormire in serenità,
tranne Svipdagr solo;
la fanciulla bella come il sole
a lui è promessa in sposa”.
 
Agnizione finale: incontro di Svipdagr e Menglǫð 43 Vindkaldr kvað: Disse Vindkaldr:  
  “Hrittu á hurðir,
láttu hlið rúm,
hér máttu Svipdag sjá;
en þó vita far,
ef vilja muni
Menglǫð mitt gaman”.
“Aprite le porte!
Spalancate i cancelli!
Qui potete vedere Svipdagr.
Va' a chiederle
se accetta volentieri,
Menglǫð, il mio amore”.
 
  44 Fjǫlsviðr kvað: Disse Fjǫlsviðr:  
    “Heyrðu, Menglǫð!
hér er maðr kominn,
gakk þú á gest sjá!
hundar fagna,
hús hefir upp lokizk,
hygg ek, at Svipdagr sé”.
“Ascolta Menglǫð!
Un uomo è giunto qua;
va' a dare un'occhiata all'ospite!
I cani gli scodinzolano
la casa si è aperta da sola
sembra che sia Svipdagr”.
 
  45 Menglǫð kvað: Disse Menglǫð:  
    “Horskir hrafnar
skulu þér á hám gálga
slíta sjónir ór,
ef þúþat lýgr,
at hér sé langt kominn
mǫgr til minna sala.
“Saggi corvi
ti strappino gli occhi
sull'alta forca,
se non dici il vero:
che un giovane è giunto
da lontano alle mie stanze.
 
  46 Hvaðan þú fórt,
hvaðan þú fǫr gǫrðir,
hvé þik hétu hjú?
at ætt ok nafni
skal ek jartegn vita,
ef ek var þér kván of kveðin”.
Da dove vieni?
Come sei arrivato qui?
Come si chiamano le tue genti?
Il tuo nome e la tua parentela
devo conoscere,
se sono stata promessa in sposa a te”.
 
  47 Svipdagr kvað: Disse Svipdagr:  
    “Svipdagr ek heiti,
Sólbjart hét minn faðir,
þaðan ráumk vindar kalda vegu;
Urðar orði
kveðr engi maðr,
þótt þat sé við lǫst lagit”.
Svipdagr mi chiamo,
Sólbjart si chiama mio padre;
il vento mi ha guidato lotnano su vie fredde.
Al decreto del destino
nessuno si può opporre,
anche se non è incline alla fortuna”.
Nota
  48 Menglǫð kvað: Disse Menglǫð:  
    “Vel þú nú kominn!
hefik minn vilja beðit,
fylgja skal kveðju koss;
forkunnar sýn
mun flestan glaða,
hvars hefir við annan ást.
“Fortunatamente sei arrivato!
Ho sopportato il mio desiderio:
come saluto un bacio affettuoso.
In alcuni la vista
fa felice in modo eccessivo
quando si ama l'altro.
 
  49 Lengi ek sat
Lyfjabergi á,
beið ek þín dǿgr ok daga;
nú þat varð,
er ek vætt hefi,
at þú ert kominn, mǫgr, til minna sala.
Per molto tempo sono stata seduta
sul Lyfjaberg
e ti ho atteso giorno dopo giorno.
Ora si è realizzato
ciò che ho desiderato,
vederti arrivare a casa mia.
 
  50 Þrár hafðar
er ek hefi til þíns gamans,
en þú til míns munar;
nú er þat satt,
er vit slíta skulum
ævi ok aldr saman”.
La sofferenza è finita,
io ti ho pensato ardentemente
e tu desideravi possedere il mio amore.
Ora è certo,
che insieme vivremo
fino al nostro ultimo giorno”.
 
         

NOTE
 

Gróagaldr

1 ― Gróa è forse la vecchia vǫlva citata da Snorri nello Skáldskaparmál, a cui Þórr si rivolge per farsi estrarre dalla fronte il frammento della cote di Hrungnir che vi si è conficcato. Il nome potrebbe essere connesso al gallese groach «strega».Torna al testo

4 ― (d-f) Il senso di questa helming non è molto chiaro. Il significato sembra essere che, quali che siano le possibilità di un uomo, o quale che sia l'aiuto che possa ricevere, si riesce nei propri sforzi solo se si è destinati al successo. Torna al testo

6 ― (c) «Rindr per Rani»: a seconda dei manoscritti, questi nomi possono trovarsi in relazione inversa Rindr è probabilmente la madre di Váli, nominata in Baldrs Draumar [11]. In quanto al nome Rani, non nominato altrove in letteratura, non possiamo aggiungere nulla. Si tratterebbe, forse, dello stesso Váli (Gering 1892), oppure di Óðinn, che ne fu il padre (Bellows 1936). Torna al testo

8 ― (c) Dei fiumi Horn e Ruðr non vi è traccia nelle lunghe e dettagliate descrizioni che i testi eddici dànno del sistema fluviale dell'universo [MITO]. Sophus Bugge emenda i due nomi in Hrǫnn «onda» e Hríð «tempestoso», citati in Grímnismál [28] come due dei fiumi che scorrono nel regno dei morti (Bugge 1867). Torna al testo

10 ― Questa strofa è simile nel senso a una contenuta nel Ljóðatal o «Dissertazione sui canti magici», nell'Hávamál:

Eef mér fyrðar bera
bǫnd að boglimum,
svá ek gel,
at ek ganga má,
sprettr mér af fótum fjǫturr,
en af hǫndum haft.

Se uomini impongono
ceppi alle mie membra,
così io canto
che me ne possa andare:
la catena salta via dai piedi
e dalle mani il laccio.

Ljóða Edda > Hávamál [149]

Anche se le due strofe non sono derivative, esse segnalano un'esigenza evidentemente avvertita dai popoli germanici, a cui si richiedeva una soluzione magica: quella di potersi liberare da corde e catene e sfuggire dai nemici. Ha questa funzione anche il primo dei due Merseburger Zaubersprüche, nel quale si invocano le Idisi pregandole di spezzare i ceppi dei prigionieri e liberarli dai nemici. Torna al testo

11 ― Questo incantesimo è simile nel senso a un altro contenuto nel Ljóðatal, nell'Hávamál: Torna al testo

Ef mik nauðr um stendr
at bjarga fari mínu á floti,
vind ek kyrri
vági á
ok svæfik allan sæ.

Se mi trovo in difficoltà
per salvare la mia nave sui flutti,
il vento io calmo
sulle onde
e addormento tutto il mare.

Ljóða Edda > Hávamál [154]

13 ― «Una donna cristiana morta» [kristin dauð kona]: questo passaggio è stato eliminato da alcuni curatori, ed emendato con «una strega morta» o simili (Bellows 1923). Questo motivo, probabilmente più antico del poema in cui è stato incluso, testimonia un periodo in cui il cristianesimo cominciava a diffondersi nei paesi nordici e i pagani guardavano ai cristiani con sospetto. Si erano evidentemente diffuse strane superstizioni, come quella che i fantasmi delle donne cristiane fossero estremamente pericolosi. Torna al testo

14 ― Trovarsi a un certamen di sapienza con un gigante era una situazione topica di un certo tipo di letteratura mitico-sapienziale. Questo è in effetti l'argomento del Vafþrúðnismál. Torna al testo

15 ― Si riferisce qui all'amore di Svipdagr per Menglǫð, di cui si tratta nel Fjǫlsvinnsmál, seconda composizione della sequenza dello Svipdagsmál. Torna al testo
 

Fjǫlsvinnsmál

1 ― Sophus Bugge ha proposto una diversa disposizione dei primi quattro helmingar che rendano il dialogo più naturale. La sua ripartizione, seguita da alcuni editori, è la seguente: [1a-1c | 2a-2c]; [2d-2f | 1d-1f]. Torna al testo

2 ― (c) Le «fiamme pericolose» [hættan loga] sembrano essere un elemento ricorrente al motivo della conquista di una sposa. In Skírnismál [8], l'eroe attraversa una «guizzante fiamma famosa» [vísan vafrloga] prima di giungere alla dimora di Gerðr. Nell'introduzione al Sigrdrífumál, si dice che Sigurdr dovette attraversare un muro di fiamme per raggiungere il luogo ove riposava la valchiria Sigrdrífa. Torna al testo

4 Fjǫlsviðr «molto saggio» è un epiteto di Óðinn (Grímnismál [47]). Torna al testo

6 ― (d-f) Pur nascondendo la sua identità, l'eroe fornisce una falsa genealogia che sembra dissimulare la sua autentica natura. Vindkaldr è «vento freddo», Várkaldr è «primavera fredda», e Fjǫrkaldr è «molto freddo». Hugo Gering suggerisce che, fornendo questi nomi, Svipdagr voglia convincere Fjǫlsviðr che egli abbia natura di un gigante di brina.Torna al testo

8 ― (c) Svafrþorinn è un nome oscuro, interpretato come «audace nell'addormentare» (nel senso di «uccidere»), dove la prima parte della parola è un derivato di svapnir > svafnir «[colui che] addormenta» (cfr. latino sopitor) e la seconda è connesso con il verbo þora «osare». Gianna Chiesa Isnardi propone di emendare þorinn in þorn «spina» e interpreta il nome come «spina che addormenta». Per quanto linguisticamente un po' forzata, questa lettura potrebbe però accordarsi al contesto del mito: Menglǫð, che attende l'amato in una dimora circondata da un muro di fiamme, ricorda la figura di Brynhildr, che, in un luogo assai simile, attende l'arrivo di Sigurðr, sprofondata in un sonno magico provocato da Óðinn con una spina. (Isnardi 1991) Torna al testo

10 ― (a) Þrymgjǫll è «che risuona con fragore», nome evidentemente adatto a un cancello lento e pesante che cigola nell'aprirsi. ― (c) Sólblindi «accecato dal sole»; a giudicare dal nome, il padre dei tre operai che hanno innalzato il cancello della fortezza, sembrerebbe essere un nano, che la luce del sole può uccidere e trasformare in pietra, o un gigante come Vafþrúðnir. Torna al testo

12 ― (a) Gastrópnir, forse «che soffoca gli intrusi». ― (a) Leirbrimir «Brimir d'argilla». L'aver costruito un bastione con le membra di un gigante fa ovviamente pensare al sacrificio di Ymir. In questo caso il bastione potrebbe anche avere un significato cosmologico: forse è quello che divide Miðgarðr da Jǫtunheimr? Torna al testo

19 ― Seguendo la lezione di alcuni editori, anticipiamo la sezione [19-24] che introduce l'albero Mímameiðr e il gallo Víðófnir, in modo da giustificare la loro presenza, data per scontata nelle strofe [14-18]. Torna al testo

20 ― (a) Mímameiðr «albero di Mími(r)» (cfr. meiðs Míma [24]). Sicuramente, un nome o un'ipostasi del frassino Yggdrasill. Il motivo delle radici che nessuno sa dove si trovano, appartiene anche all'albero su cui Óðinn praticò il suo autosacrificio: Torna al testo

...Á þeim meiði
er manngi veit
hvers af rótum renn.

...Su quell'albero
che nessuno sa
dove dalle radici s'innalzi.

Ljóða Edda > Hávamál [138]

24 ― (a) Questo gallo Víðófnir «dal vasto canto», che compare soltanto in questo testo e nelle þulur, appartiene allo stesso mitologema di altri galli della mitologia scandinava, come Gullinkambi, che dimora presso gli Æsir e con il quale va forse identificato. Le sue strane caratteristiche sono descritte nelle strofe successive. ― (b) L'aggettivo veðrglasir è di incerto significato. Henry Adams Bellows traduce «Víðófnir si chiama | e ora brilla» [Vithofnir his name | and now he shines] (Bellows 1923), e su questa linea Gianna Chiesa Isnardi rende il verso con «Víðófnir si chiama | e sta luminoso nell'aria» (Isnardi 1991). Eysteinn Björnsson emenda il secondo semiverso in «en hann stendur Veðurglasi á» e traduce come toponimo: «Víðófnir si chiama | e sta sopra Veðrglasir» [Vithofnir his name | and he stands upon Vedurglasir] (Eysteinn 2005). ― (f) Riguardo a Sinmara «incubo [che opprime con] crampi», sembra essere una gigantessa [gýgr]. Può darsi sia la sposa di Surtr. Torna al testo

13 ― (d) Nel testo norreno i due «cani affamati» sono definiti garmar, plurale del nome di Garmr, il ferocissimo cane legato sulla via per Hel. ― (e-f) Gli ultimi due semiversi, che in originale suonano «er gífrari hefik | ǫnga fyrr í lǫndum litit» sembrano non avere un senso. Henry Bellows traduce ipoteticamente con «che davanti alla casa | sono così aggressivi e affamati» [that before the house | so fierce and angry are]. In genere però i due semiversi vengono emendati in: «er gífrir rata | ok varða fyr lundi lim» «che vanno avanti e indietro | e fanno la guardia al fogliame dell'albero». L'albero in questione, se la correzione al testo è giustificata, è forse il Mímameiðr di cui si parla alla strofa [20]. Torna al testo

14 ― (a-b) Gífr e Geri sono i nomi dei due cani che fanno la guardia al bastione di Fjǫlsviðr e all'albero Mímameiðr. Sono probabilmente una variante di Freki e Geri, i due lupi di Óðinn. ― (d) Questo semiverso, che in originale è varðir ellifu, sembra non avere un senso. La parola ellifu, che vuol dire «undici», viene in genere emendata in elli lyf «antica cura», con evidente riferimento alle strofe successive. Così ad esempio Eysteinn Björnsson traduce l'intera helming: «l'antica cura del guardiano | sempre terranno al sicuro | finché gli dèi non moriranno» [the guardians' old-age remedy | they will ever keep safe | until the gods perish] (Eysteinn 2005), lasciandoci tuttavia perplessi sia riguardo l'identità del «guardiano» [varða], sia la natura della sua «cura», che comunque sembra riferirsi alle proprietà curative evidentemente attribuite al fogliame dell'albero Mímameiðr, oltre che ai suoi frutti. Altri traduttori rendono il semiverso in maniera diametralmente opposta. Ad esempio. così Henry Bellows traduce la stessa helming: «essi sono grossi | e la loro potenza crescerà | finché gli dèi non saranno destinati alla morte» [great they are | and their might will grow | till the gods to death are doomed] (Bellows 1923). Gianna Chiesa Isnardi la rende invece: «essi qui sempre | faranno la guardia | fino a che crollino gli dèi» (Isnardi 1991). Torna al testo

18 ― (a) La parola vegnbráðir è un hápax legómenon, comparendo soltanto in questo testo. Di difficile interpretazione, il termine viene generalmente interpretato come «ali arrostite». Torna al testo

26 ― (a-b) Lævateinn «ramo di male», unica arma in grado di uccidere il gallo Víðófnir, è probabilmente una verga magica, come risulta anche dalle strofe [27-28], dove l'arma è chiamata teinn «ramo, verga, bacchetta» (cfr. gotico tains, anglosassone tān, inglese tiny, danese teen). Non stupisce che questo malefico strumento sia stato creato da Loptr (cioè Loki) utilizzando rune e incantesimi, e si può senz'altro pensare al ramoscello di vischio col quale fu ucciso Baldr. ― (d) Questo verso è stato variamente interpretato, anche a causa delle difficoltà legate alla lettura dei manoscritti. La parola ker può indicare, a seconda dei contesti, uno scrigno, un calice, un secchio, un recipiente di qualsiasi tipo, o addirittura il petto di una persona. L'altra parola, seigjárn, è invece piuttosto enigmatica e viene in genere interpretata come un composto di járn «ferro». Le traduzioni in questo senso variano dunque da uno «scrigno di ferro» (Isnardi 1991) a un «petto di ferro» (Eysteinn 2005), in questo caso attribuito a Sinmara. Altri hanno inteso la parola come nome proprio: Hjalmar Falk ritiene che il brano parli dello scrigno di Sægjarn, nome interpretabile come «amante del mare», ma privo di riscontri nella letteratura (Falk 1893). Henry Bellows emenda il termine in Lægjarn «amante dei mali» (Bellows 1923), epiteto applicato a Loki in Vǫluspá [35]. Torna al testo

28 ― (f) L'espressione eiri ǫrglasis, evidentemente una kenning per Sinmara, è di difficile interpretazione e gli studiosi hanno cercato di penetrarla con lambiccate traduzioni. Viktor Rydberg traduce «dea dall'armilla splendente» [dis of the shining arm-ring] (Rydberg 1886), emendando la prima parola eiri nel nome della dea Eir e quindi intendendo quest'ultimo come metafora per indicare una «dea» in generale, in base a un noto procedimento della poesia scaldica (esemplificato da Snorri in Skáldskaparmál [7e-7f]). Henry Bellows riprende la lettura di eiri come «dea» e traduce l'espressione eiri ǫrglasis con «dea dell'oro splendente», che lo studioso considera una kenning per «donna» (Bellows 1923). Tuttavia la traduzione di ǫr con «oro» è però una grave forzatura, che  presuppone un prestito dal latino aurus o da una forma da esso derivata. Ora, è vero che in norreno è attestata una parola aurar «monete» (che però al singolare è eyrir e nei composti assume la forma aura-), ma la parola per «oro» è piuttosto gull, radice che appartiene al più antico registro delle lingue germaniche (cfr. gotico gulþ, inglese gold, danese guld). Al contrario, in norreno ǫr significa innanzitutto «freccia» (cfr. anglosassone aruwe, inglese arrow), da cui una traduzione più attinente della kenning potrebbe essere «dea dalla freccia splendente». Un'altra possibilità è intendere il secondo termine come *aurglsis. Poiché aurr è l'«argilla umida», l'espressione significherebbe a questo punto «dea dell'argilla splendente», che non ha maggior senso. Eysteinn Bjǫrnsson intende il secondo termine come toponimo,  traduce il verso con «dea di Aurglasir» (Eysteinn 2005). Torna al testo

29 ― (f) Sinmara è detta fǫlva gýgr «pallida gigantessa» perché probabilmente vive in caverne o tumuli, al riparo della luce del sole, che potrebbe esserle fatale. Þórr, in Alvíssmál [2], investe il nano dicendogli: «perché sei così pallido sul naso? | sei stato di notte tra i cadaveri?» [hví ertu svá fǫlr um nasar? | vartu í nótt með ná?]. La parola fǫlr < fǫlvir «pallido» appartiene al registro indoeuropeo, essendo corradicale col latino flavus. Torna al testo

30 ― (a-c) Versi di difficile interpretazione. Cos'è la «falce lucente [...] che sta nella coda di Viðofnir»? Non convince l'ipotesi di Gianna Chiesa Isnardi, secondo la quale la falce corrisponderebbe alla coda stessa del gallo (Isnardi 1991). D'altra parte nulla vieta di ipotizzare che lo stesso Viðofnir possa effettivamente portare una vera e propria falce nella coda (nelle fiabe e nelle leggende si trovano animali che portano oggetti o strumenti nel loro corpo). Si tratta in ogni caso di un oggetto particolare, visto che deve essere portato in una speciale bisaccia. Ma perché questa falce fa gola a Sinmara, la quale è disposta a dare in cambio la verga Lævateinn? Non conosciamo il mito che sta alla base di questi versi, e qualsiasi interpretazione rimane altamente ipotetica. Torna al testo

32 ― (a) È il verso stesso ad avvertirci che di questa sala escatologica ne sappiamo poco, a partire dal suo stesso nome. Lýr è infatti il pesce merlano [Gadus pollachius], ragione per cui il nome della sala viene a volte emendato in Hýr(r) «luminosa», inteso a causa del fuoco che la circonda (Eysteinn 2005). Torna al testo

34 ― I nomi dei costruttori della sala sembrano appartenere a dei nani. Óri e Dóri sono citati nella versione di Snorri (Gylfaginning [14e {19}]) del catalogo dei nani in Vǫluspá. Degli altri non c'è notizia nelle fonti, anche se Íri e Úri sembrano posti nel novero semplicemente per allitterare con Óri. Dellingr è invece un personaggio delle cosmogonie primordiali, citato in Vafþrúðnismál [25] come padre di Dagr (e ripreso da Snorri in Gylfaginning [10]), e fa stupore trovarlo qui. Un collegamento di questo personaggio col mondo dei nani è però attestato in Hávamál [150], dove si dice che il nano Þjóðrǿrir avrebbe cantato dinanzi «alle porte di Dellingr» [Dellings durum]. Anche Loki compare curiosamente in questo catalogo di nani. Torna al testo

36Lyfjaberg «montagna della salute» (da lyfja «curare»). Molte immagini e metafore legate alla fortezza di Menglǫð sembrano legati a motivi salutiferi, compreso il rimedio che sarebbe possibile ricavare dai frutti dell'albero Mímameiðr. Torna al testo

38 ― Assai poco si può dire sui nomi delle nove fanciulle che sono accanto a Menglǫð. I nomi sono qui dati secondo l'edizione di Adams Bellows, che emenda le forme Blíð e Blíðr, presenti nell'edizione di Sophus Bugge (Bugge 1867 | Jónnson 1926), in Bleik e Blíð, seguìto in questo da altri interpreti (Bellows 1923 | Neckel 1962 | Isnardi 1991). Hlíf vuol dire «protettrice» e Hlífþrasa «[colei che] aspira alla protezione» (si confrontino con Líf e Lífþrasir, i due giovani che ripopoleranno il mondo dopo il ragnarǫk); Þjóðvarta è un nome oscuro, forse «[colei che] custodisce il popolo»; Bjǫrt è «splendente»; Bleik è «pallida»; Blíð è «amichevole»; Fríð è «graziosa», Eir è «[colei che dà] aiuto» (ed è la dea guaritrice degli Æsir, citata da Snorri in Gylfaginning [35d]); Aurboða è «[colei che] offre l'oro» (nome della gigantessa madre di Gerðr), ma, se letto Ǫrboða, è «[colei che] offre la freccia» (Bellows 1923 | Isnardi 1991). Per gli altri nomi non rimangono che le possibili etimologie, indicanti attività salutifere.Torna al testo

39-40 ― Queste due strofe mancano in uno dei manoscritti. Torna al testo

47 ― Chi è questo Sólbjart? Il suo nome vuol dire «splendore del sole» e potrebbe assimilarsi allo stesso nome di Svipdagr «giorno veloce». Ma si tratta del nome proprio di un personaggio che non conosciamo, o di un epiteto? Torna al testo

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BIBLIOGRAFIA
Archivio: Biblioteca - Guglielmo da Baskerville
Sezione: Fonti - Nabū-kudurri-uṣur
Area: Germanica - Brynhilldr
Traduzione di Luca Taglianetti.
Introduzione e note della Redazione Bifröst.
Creazione pagina: 01.05.2005
Ultima modifica: 29.11.2014
 
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