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FONTI

UGROFINNI
Finlandesi

MITI UGROFINNI
Elias Lönnrot
KALEVALA
Schema
KALEVALA - Saggio
Bibliografia

Titolo

Kalevala, taikka vanhoja Karjalan runoja Suomen kansan muinosista ajoista

Compilatore Elias Lönnrot (1802-1884)
Genere Poema epico-magico
Lingua Finlandese
Epoca
Prima edizione «Vanha Kalevala»
Seconda edizione «Uusi Kalevala»
  1835
1843
Elias Lönnrot
KALEVALA

Il Kalevala

Il Kalevala è il poema nazionale finlandese. Pubblicato in due edizioni (rispettivamente nel 1835 e nel 1849), fu composto dal medico e filologo Elias Lönnrot, collazionando e giustapponendo canti popolari di argomento eroico, lirico e magico, raccolti dallo stesso Lönnrot e da altri folkloristi dalla viva voce dei cantori di Finlandia e Carelia.

Composto – nella sua versione definitiva da cinquanta canti, o runot, per un totale di 22.795 versi, il Kalevala non è soltanto il primo capolavoro in lingua finnica, testo fondante della letteratura finlandese, ma anche un poema pressoché unico sulla scena mondiale.

Intriso di sciamanesimo, mitologico dall'inizio alla fine, pervaso da un profondo senso della natura e da un'ammirazione pressoché sconfinata di fronte al potere della musica e del canto, il Kalevala si stacca dall'epica omerica e germanica. Non canta imprese di guerrieri. I suoi eroi sono infatti maghi, cantori, fabbri, assai più abili nella poesia che nell'uso delle armi. Non cercano gloria, ma contendono tra loro per l'amore delle belle fanciulle lapponi, e il loro confronto avviene quasi unicamente nel campo della parola creatrice.

Il Kalevala è un libro che riassume in sé l'intera storia umana. Composto e pubblicato soltanto in epoca romantica, è forse il poema epico più arcaico che sia arrivato fino a noi.

Il contesto storico

L'ingresso della Finlandia nella storia d'Europa è piuttosto tardivo. Può essere anzi datato con sicurezza al 1809, anno in cui Alessandro I, zar di tutte le Russie, in un solenne discorso tenuto in francese dinanzi alla Dieta riunita nel duomo di Porvoo [Borgå], proclamava la Finlandia «elevata al rango delle nazioni». Fino ad allora, per più di seicento anni, la Finlandia aveva fatto parte integrante della Svezia.

Storicamente, la dominazione svedese aveva avuto inizio nel 1157, con la prima crociata indetta contro i Finni pagani dal re di Svezia, Erik VII Jedvardsson, detto il Santo. Egli salpò con la sua flotta verso la Finlandia, sconfisse i pagani nel sud-ovest del paese e li convertì alla religione cristiana. Il re crociato dichiarò capitale l'antico emporio commerciale di Turku [Åbo] e costruì le prime chiese sul territorio finlandese. Scopo del sovrano svedese era in realtà la pacificazione del Baltico: con l'annessione della Finlandia veniva finalmente debellata la minaccia dei pirati finnici che da tempo devastavano le coste svedesi. La resistenza dei Finni non fu né lunga né cruenta, e la presa di possesso svedese non fu che la conferma di uno stato di fatto: la Finlandia, infatti, già si trovava nella sfera d'influenza della Svezia, anche per la presenza di due colonie svedesi stabilite da tempo sulle coste della penisola.

Con la progressiva conquista del territorio finlandese, fu dato ai Finni un ordinamento civile, ecclesiastico e militare. Due successive crociate, che si protrassero fino al 1293, estesero il dominio svedese su tutta la Finlandia, fin quasi al lago Ladoga. Iniziava così la secolare disputa territoriale tra la Svezia e la repubblica di Novgorod, che vegliava gelosamente sul libero accesso al mar Baltico e tollerava malvolentieri il dominio svedese sulla vicina Finlandia. Il trattato di Nöteborg, siglato nel 1323, assegnò alla Svezia la Carelia occidentale, mentre Novgorod ottenne il controllo della Carelia orientale e dell'Ingria. Divenuta una regione-cuscinetto tra due Stati in rapida ascesa, la terra dei Finni venne tagliata in due da un confine che ne avrebbe segnato lo sviluppo culturale nei secoli successivi: mentre la parte meridionale e occidentale entrava a far parte del mondo cattolico, quella orientale orbitava da tempo attorno alla chiesa ortodossa. La Santa Sede prese subito a cuore le sorti di questa remota provincia della Chiesa romana, e non mancarono bolle papali che incoraggiavano i re e i potenti di Svezia a convertire i Finni promettendo indulgenze analoghe a quelle concesse per le crociate in Terra Santa.

L'appartenenza della Finlandia alla Svezia non venne mai messa in discussione, così come l'opportunità della svedesizzazione di quel territorio così vasto e selvaggio, in cui tutti gli uffici amministrativi e giudiziari venivano affidati a svedesi. Un primo timido movimento nazionalista finlandese si affacciò soltanto alla fine del XVIII secolo, in una delle molte fasi del secolare braccio di ferro tra il regno svedese e l'impero russo. La svolta avvenne a cavallo delle guerre napoleoniche. Nel 1809, con la pace di Hamina, che seguiva alla sconfitta dell'esercito svedese, la Finlandia veniva ceduta dalla Svezia alla Russia. Innalzato a Granducato dell'impero russo, il paese baltico cominciò a godere, almeno nominalmente, di una certa autonomia politica.

Dal punto di vista culturale, però, la Finlandia rimaneva un suddito culturale della Svezia. Lingua ufficiale era lo svedese, nonostante fosse parlato soltanto dal 15% della popolazione. Il popolo continuava a parlare i suoi dialetti finnici, che il mondo della cultura avvertiva come idiomi incolti e rozzi.

Non è un caso che le prime opere scritte in finlandese avessero lo scopo di catechizzare il popolo. Saper leggere e scrivere era un presupposto indispensabile alla fede luterana, necessario per avvicinarsi alle Sacre Scritture, obbligatorio per cresimarsi e sposarsi. Ma ancora nel XVI secolo non esisteva, per la lingua finlandese, una cultura scritta. Quando Mikael Agricola (1510-1557), primo vescovo della Riforma in Finlandia, tradusse il Nuovo Testamento, dovette preoccuparsi di fornire al popolo gli strumenti per leggerlo, e per questo approntò l'Abckiria, il primo abbecedario finlandese. In questo modo, egli non solo stabilì l'alfabeto e l'ortografia della lingua, ma pure scelse come base il dialetto sud-occidentale, che anche per questo si sarebbe poi imposto, a fronte di altri dialetti, come lingua letteraria.

Tra l'altro, Agricola fu il primo scrittore in assoluto a occuparsi della religione finnica. In un suo elenco delle divinità pagane si leggono per la prima volta alcuni nomi che in seguito compariranno nel Kalevala: Ilmarinen, Väinämöinen e altri. Le notizie fornite da Agricola non sono però del tutto attendibili. Al buon vescovo non interessava lasciare una testimonianza delle credenze degli antichi Finni, bensì fornire un «canone» delle false divinità che bisognava al più presto sradicare dalla memoria del popolo.

Per trovare un genuino interesse verso la lingua e la cultura finnica, dobbiamo però aspettare il XVIII secolo, quando cominciarono a uscire i primi dizionari e grammatiche finlandesi. Il massimo esponente della rinascita culturale fu Henrik Gabriel Porthan (1739-1804). Avendo subito l'influsso delle prime ispirazioni romantiche, e soprattutto dei canti ossianici del Macpherson, egli cominciò a raccogliere e studiare i canti popolari e, negli anni tra il 1766 e il 1788, pubblicò il suo studio De poësi Fennica. Tipico esponente dell'illuminismo razionalista e dell'umanesimo tedesco del periodo, Porthan fu il primo a dare un'analisi comparatistica della poesia popolare, analizzandola dal punto di vista estetico, storico e mitologico. Intorno a Porthan si raccolse una piccola schiera di studiosi, tra cui Kristian Erik Lencqvist (1761-1808) e Christfried Ganander (1741-1790). Il primo scrisse un De superstitione veterum Fennorum theoretica et pratica (1782), frutto di una sua collaborazione col Porthan; il secondo fu autore di una Mythologia fennica (1784), catalogo ragionato dei nomina mitologici finlandesi e lapponi, nel quale comparivano frammenti poetici intorno a Väinämöinen, Ilmarinen e altri personaggi leggendari.

Uno dei primi studiosi a raccogliere ballate popolari fu Zachrias Topelius il «vecchio» (1781-1831), padre dell'omonimo poeta e romanziere. Questi trascorse gli ultimi undici anni della sua vita a letto, afflitto da una malattia debilitante. Appassionato di letteratura popolare, invitava al suo capezzale i mercanti provenienti dalla Carelia russa e li convinceva a cantare i poemi da loro conosciuti, che trascriveva immediatamente. E, quando sentiva parlare di un noto cantore, faceva tutto ciò che era in suo potere per portarlo a casa sua, in modo da raccogliere nuovi canti e ballate. Un'ottantina di frammenti epici raccolti da Topelius sarebbero in seguito confluiti nel Kalevala.

Conclusasi l'annessione alla Russia (1809), cominciò ad approfondirsi in Finlandia il sentimento nazionale. Nel 1820, Reinhold von Becker, professore associato di storia all'università di Turku, fondò una gazzetta letteraria in finlandese, il Turun Viikkosanomat, e con essa sorse una corrente nazionalista oggi chiamata «gruppo romantico di Ǻbo», il quale ebbe a motto le parole del giornalista e scrittore Adolf Ivar Arwidsson (1791-1858): «Svedesi non siamo, russi non vogliamo essere, dunque dobbiamo essere finni».

La rinascita nazionale, o nazional-romanticismo, come venne anche definito, si sviluppò particolarmente nei decenni dal 1820 al 1850. Ne furono protagoniste tre grandi personalità tuttora considerate come i fondatori della Finlandia moderna: Johan Ludvig Runeberg, il massimo poeta finlandese, Johan Vilhelm Snellman, filosofo e statista, ed Elias Lönnrot, l'uomo che raccolse e compose il Kalevala.

Elias Lönnrot

Elias Lönnrot

Elias Lönnrot nacque il 9 aprile del 1802 a Paikkari, presso Sammatti, nella provincia di Uusimaa [Nyland], da una famiglia poverissima. Quarto di sette figli, pare che da bambino il futuro compilatore del Kalevala sia stato costretto a mendicare per le strade. Il ragazzo fu messo dapprima a imparare il mestiere paterno di sarto e, soltanto nel 1814, grazie ai pochi soldi messi insieme dal fratello maggiore, poté frequentare per un anno la scuola del vicino villaggio di Tammisaari [Ekenäs], dove imparò lo svedese, lingua in cui veniva impartito l'insegnamento scolastico. Attese poi per tre anni alla scuola superiore di Turku, dove perfezionò la lingua ufficiale e apprese i rudimenti del latino. Quando le economie familiari si esaurirono, il ragazzo dovette tornare a casa e riprendere in mano ago e filo. Trovò però un aiuto inaspettato nel curato di Sammati, il quale gli impartì lezioni private e lo esortò a iscriversi al liceo. Il giovane raccolse il denaro necessario bussando alle porte delle fattorie, cantando e recitando, così come a quel tempo facevano molti studenti poveri.

Quando entrò nel ginnasio di Porvoo, Lönnrot aveva ormai diciassette anni. I soldi che aveva messo insieme durarono soltanto poche settimane e nel 1820 il giovane dovette spostarsi ad Hämeenlinna [Tavastehus], dove si mantenne lavorando come allievo farmacista.

Ottenuto il diploma, nel 1822, Lönnrot poté finalmente iscriversi alla facoltà di medicina della prestigiosa università di Turku. Per permettersi i corsi universitari, accettò un impiego come precettore presso un'agiata famiglia. In questo periodo egli incontrò Reinhold von Becker, professore associato di storia alla stessa università. Fu questi a incoraggiare il giovane Lönnrot a coltivare il suo interesse per la poesia popolare finnica, passione che egli aveva manifestato già da alcuni anni. Lönnrot studiò gli scritti di Porthan, dai quali apprese il metodo storico per la ricerca sui runot e i rudimenti dello studio comparato sulle loro varianti, e lesse i frammenti di ballate epiche raccolte da Topelius il «vecchio».

Il giovane studente di medicina profuse tanta passione in tali studi, che la sua prima tesi, pubblicata nel 1827, non riguardava affatto la professione medica ma s'incentrava sulla figura del mitico cantore delle ballate popolari finniche: De Väinämöine priscorum fennorum numine, «Väinämöinen, dio degli antichi finni». Nella compilazione di questo lavoro aveva consultato le ballate raccolte da Porthan, Ganander, Topelius e altri, tra cui lo stesso Von Becker, il quale aveva registrato diversi runot su Väinämöinen in Ostrobotnia e aveva dato loro un certo ordine in un articolo uscito nella sua gazzetta. Si trattava del primo tentativo di articolare il materiale epico in modo non casuale. Lönnrot si chiese se non fosse possibile organizzare tutte le narrazioni intorno a Väinämöinen in un unico ciclo. Si chiese anche perché gli autori precedenti non si fossero cimentati in tale impresa, e stabilì che non avevano avuto a disposizione il materiale necessario.

Lönnrot riteneva che i canti trascritti dalla voce del popolo fossero autentiche testimonianze storiche in grado di gettare luce sulla vita, la cultura, i costumi e le credenze degli antichi finni. Non è chiaro a quali conclusioni sia poi giunto, perché le pagine finali del lavoro andarono perdute nel devastante incendio che, in quello stesso anno, distrusse l'ateneo, insieme a buona parte della città.

L'incendio, unitamente allo spostamento dell'università ad Helsinki [Helsingfors], pose fine al secolare splendore di Turku, fino ad allora centro culturale e letterario del paese. Lönnrot approfittò della chiusura forzata dell'ateneo per dedicarsi agli studi folkloristici. Ma se fino ad allora aveva approfittato del materiale raccolto da altri, questa volta decise di dedicarsi egli stesso alla ricerca sul campo. Nel 1828, vestito da semplice contadino, il giovane studente in medicina percorse a piedi la Carelia, e in quattro mesi raccolse circa trecento runot e altri canti popolari lirici e magici, che tra il 1829 e il 1831 diede alle stampe in quattro quaderni, intitolati Kantele, taikka Suomen kansan sekä vanhoja että nykyisempiä runoja ja lauluj, «Kantele, ovvero Poesie e canti antichi e moderni del popolo finlandese». Già in queste raccolte l'autore usò il metodo che più tardi avrebbe applicato alla composizione del Kalevala: non trascrisse cioè i canti come li aveva sentiti declamare dai cantori, ma fece confluire in ogni composizione diverse varianti dello stesso tema, selezionando i passaggi più tipici e i versi da lui giudicati migliori.

La pubblicazione dei quaderni del Kantele passò quasi del tutto inosservata, e Lönnrot finì col pagare di tasca propria le spese di stampa. Per nulla scoraggiato, nel 1831 decise di riprendere la ricerca sul campo e partì, avendo come mèta la Carelia russa, oltre la frontiera finlandese, provincia che Topelius – il quale moriva quello stesso anno – aveva segnalato come la più ricca di poesie popolari. Ma prima che arrivasse a varcare il confine, un'epidemia di colera lo richiamò a Helsinki, dove prestò i suoi servigi come medico. Intanto, non dimentico della sua passione letteraria e filologica, Lönnrot partecipò alla nascita della Società Letteraria Finlandese [Suomalaisen Kirjallisuuden Seura].

Elias Lönnrot in viaggio.

L'anno successivo, 1832, Lönnrot si laureò in medicina. Nella sua tesi riuscì a conciliare la pratica medica con il folklore: Afhandling om Finnarnes magiska medicin, «Tesi sulla medicina magica dei Finni». Preso il proverbiale pezzo di carta, Lönnrot accettò una nomina di medico condotto a Kajaani, uno sperduto villaggio nel nord-est del paese, dove si trovò subito a combattere un'epidemia di tifo della quale, per poco, non rimase vittima egli stesso. Questo luogo si trovava però vicino alle regioni dove meglio si era conservato il materiale tradizionale e Lönnrot poté presto riprendere i suoi viaggi di ricerca. Nel 1833 si spinse fino a Repola, in territorio russo, e negli anni successivi, nel corso di una serie di viaggi, si mosse attraverso la Carelia russa.

Lönnrot descrisse fedelmente i suoi viaggi e le sue difficoltà in un documento pubblicato in svedese a Helsinki nel 1834. Egli procedeva a cavallo, su slitte trainate da renne, in canoa, spesso a piedi, attraversando foreste e pianure gelate, acquitrini e paludi. Indossava abiti semplici per non distinguersi dagli abitanti dei villaggi, e se incontrava diffidenza, traeva di tasca una raccolta di canti e cominciava a declamare per primo. Tanto bastava perché i cantori locali facessero a gara per sciorinargli i loro bagagli di runot. Alcuni producevano brani di pochi versi, altri ne cantavano di più lunghi e complessi. I più abili laulajat giungevano con l'ordinare i canti in lunghe, complesse sequenze, fino a formare piccoli cicli epici, sviluppando gli episodi secondo il proprio talento, senza curarsi delle eventuali incoerenze del racconto. Nel 1833, Lönnrot incontrò, in un villaggio del governo russo di Arcangelo, due talentuosi cantori: Ontrei Malinen e Vaassila Kieleväinen. Il primo dettò a Lönnrot un lungo poema in cui intrecciava, creando brevi raccordi, le imprese di eroi diversi come Väinämöinen e Lemminkäinen. L'altro aveva raggruppato in un unico canto gli episodi che riguardavano il viaggio a Pohjola dei pretendenti alla mano della figlia di Louhi, e lo collegava con il motivo del sampo, ricordando come il mitico strumento d'abbondanza fosse stato forgiato proprio per ottenere in sposa la bella fanciulla lappone.

Influenzato dalle idee ottocentesche sulle origini e la natura dell'epica, Lönnrot si era convinto da tempo che le ballate mitiche fossero frammenti di un'antica epopea finnica. I piccoli cicli imbastiti da questi due cantori gliene fornirono la conferma. Già in precedenza Lönnrot aveva tentato di congiungere vari frammenti in canti più ampi, incentrati sui diversi eroi mitici: Väinämöinen, Lemminkäinen, Kullervo, e via dicendo. Ora però si trattava di riordinare il vasto materiale da lui raccolto mettendo a punto il metodo che aveva utilizzato per la stesura del Kantele. Si proponeva, cioè, di agire sulla falsariga dei maggiori cantori e di creare, da un insieme di canti minori, un'unica epopea in cui confluisse il meglio della poesia popolare.

La sua fatica produsse, nel marzo 1833, la Runokokous Väinämöisestä, «Raccolta di canti su Väinämöinen», un poema di 5052 versi, divisi in sedici runot, che Lönnrot mandò alla Società Letteraria Finlandese, suggerendo nel contempo di rinviarne la pubblicazione finché non avesse meglio battuto il territorio del governo di Arcangelo. A suo stesso giudizio, la Raccolta era insoddisfacente, mentre egli ambiva a offrire alle generazioni future un'opera di grande respiro, sul modello dei poemi di Omero. In una lettera del 1834, scriveva: «Non so se l'impresa di ordinare i runot mitologici in un insieme unico, dovrebbe essere affidata a una sola persona o parecchie, perché i nostri posteri giudicheranno, forse, una simile raccolta alla stregua dell'Edda presso le nazioni gotiche, o di Esiodo, se non di Omero, presso i Greci e i Romani» (Gummerus 1969).

Mappa dei quattro principali viaggi di Elias Lönnrot
(Ingrandire per una migliore risoluzione)

Nel 1834, Lönnrot partì per un altro viaggio nella Carelia orientale. Poté così conoscere il più celebre di tutti i laulajat, l'ottantenne Arhippa Perttunen, che per due o tre giorni gli recitò bellissimi canti epici, per un totale di circa quattromila versi. Scrisse Lönnrot: «Cantava i runot in un ordine eccellente, senza lasciare lacune. Molti canti mi giungevano del tutto nuovi, e dubito che avrei potuto reperirli altrove. Se non avessi mai incontrato questo vecchio, se fosse morto prima della mia venuta, un patrimonio considerevole dei nostri canti tradizionali sarebbe sceso con lui nella tomba» (Lönnrot 1849). [BIBLIOTECA]

Ritornato a casa, Lönnrot si dedicò, nel corso dell'estate e dell'autunno, a riordinare questo materiale. Completò i brani, assemblò gli episodi, intercalò canti lirici e formule magiche, fino ad ottenere una versione più che raddoppiata dell'opera originaria: 12.078 versi in trentadue runot. Dopo molte esitazioni, Lönnrot diede alla raccolta il lungo titolo di Kalevala, taikka vanhoja Karjalan runoja Suomen kansan muinosista ajoista, «Kalevala, ovvero Vecchi poemi di Carelia sui tempi antichi del popolo finlandese». Nella prefazione al testo, egli espose gli intenti e i limiti del suo lavoro, senza cercare di giustificare l'arbitrio nella disposizione data al materiale. «Se fossi certo che tutti concordassero nell'ordine in cui ho disposto i vari canti, mi fermerei qui e non aggiungerei parola, ma il fatto è che quel che una persona considera giusto, un'altra ritiene inadeguato. I canti sono ben combinati, secondo il mio parere, nell'ordine che ho loro dato, ma forse si potrebbero combinare anche meglio in un altro ordine. Nell'organizzarli, ho tenuto conto di due circostanze: innanzitutto nella disposizione che avevo osservato presso i migliori cantori: secondo, là dove nessun soccorso mi veniva da loro, ho cercato di trarre l'ordine dai canti stessi, e li ho concatenati di conseguenza» (Lönnrot 1835). [BIBLIOTECA]

La prefazione reca la data del 28 febbraio 1835. Questo giorno, a partire dal 1920, viene festeggiato dalla nazione finlandese come «giorno del Kalevala» [Kalevalan päivä].

L'esempio di Lönnrot fu presto seguito da molti suoi entusiasti connazionali, tra cui Matthias Alexander Castrén, David Emmanuel Daniel Europæus [Taavetti Emanuel Taneli Äyräpää], Fredrik Polén, H.A. Reinholm, Eero Salmelainen e J.V. Murman, i quali si misero in viaggio per recuperare altri frammenti di poesia popolare. Lo stesso Lönnrot non considerava conclusa la sua fatica e non appena gli fu possibile si mise nuovamente in viaggio. Tra gli ultimi mesi del 1836 e l'autunno del 1837, approfittando di un anno di permesso nella sua professione di medico e di una borsa di studio fornitagli dalla Società Letteraria, egli percorse nuovamente il nord del paese, e soprattutto la parte finlandese della Carelia, dove era abbondante la produzione a carattere lirico. Lavorando al nuovo materiale secondo il metodo da lui già collaudato, nel 1840 diede alle stampe tre raccolte contenenti circa seicento tra poesie liriche e ballate, per un totale di 21.007 versi, a cui diede il titolo di Kanteletar, taikka Suomen kansan vanhoja lauluja ja virsiä, «Kanteletar, ovvero Vecchi canti e poemi del popolo finlandese» L'anno seguente, Lönnrot presentava alla Società Letteraria i Suomen kansan sanalaskuja, «Proverbi del popolo finlandese», raccolta di 7077 proverbi, in versi, ordinati alfabeticamente. Nel 1844 pubblicava, infine, il suo quarto lavoro a carattere folkloristico: Suomen kansan arvoituksia, «Indovinelli del popolo finlandese», con 1679 indovinelli finlandesi e 135 estoni.

Nel frattempo si era esaurita la prima edizione del Kalevala – poco più di cinquecento copie – e Lönnrot già lavorava a una seconda edizione riveduta e ampliata, preceduta da una nuova prefazione, datata 17 aprile 1849. L'edizione definitiva del Kalevala era composta da 22.795 versi divisi in cinquanta runot.

Scrisse Lönnrot nella prefazione: «Quest'opera, che tratta della vita e delle antiche condizioni dei nostri antenati, appare ora in una forma molto più completa di quella dell'edizione precedente, ed è assai probabile che rimanga nella sua forma attuale; non è infatti più possibile raccogliere runot di questo tipo che rivestano una certa importanza, dal momento che tutte le località in cui vi era una benché minima speranza che questi canti venissero ancora cantati sono state ormai ripetutamente esplorate e battute». E, ancora una volta: «La combinazione è stata fatta quanto meglio si poteva tenendo conto del carattere del Kalevala; ma c'è sempre dell'arbitrario […]. È stato perciò necessario basarsi spesso sui contenuti intrinseci del materiale e distaccarsi dall'ordine adottato nella precedente edizione del Kalevala. È probabile che dalla combinazione or l'uno or l'altro può non sentirsi soddisfatto, e lasci adito a più di una critica». (Lönnrot 1849) [BIBLIOTECA].

L'imponente Kalevala non segnò la fine dei lavori di Lönnrot, che continuò per tutta la vita a occuparsi dei suoi amati studi folkloristici. Diresse per alcuni anni un'importante rivista letteraria, il Litteraturblad för ällman medborgelig bildining «Giornale di letteratura per la cultura civica generale», tradusse in finlandese le poesie di Runeberg e alcuni canti dell'Odýsseia. Scrisse saggi di poesia e metrica. I suoi lavori contribuirono a creare un lessico finlandese in materia di medicina, botanica e giurisprudenza.

Nel 1850, venne creata la prima cattedra di lingua finlandese all'università di Helsinki. Fu naturale offrirla a Lönnrot il quale, modestamente, rifiutò l'incarico. La cattedra passò all'etnografo e viaggiatore Matthias Alexander Castrén ma, dopo la morte di questi, nel 1853. Lönnrot non poté più evitare l'assegnazione. Per rendersi più specificatamente idoneo al titolo, pubblicò un saggio sulla lingua dei Vepsi o Čudi, una popolazione finnica del nord, sui quali aveva raccolto degli appunti nel corso dei suoi viaggi. Ormai divenuto professore universitario, Lönnrot tenne corsi sulla mitologia finnica e sul Kalevala, ma anche sull'ortografia e la grammatica finlandese, insegnando ai ragazzi a scrivere in lingua nazionale, cosa a quei tempi poco comune. Nonostante gli impegni accademici, Lönnrot trovò anche il tempo di continuare i suoi studi filologici, firmando varie pubblicazioni. Nel 1860 venne nominato dottore honoris causa, e due anni dopo lasciò l'università.

Trasferitosi nella sua casa di campagna, a Lammi, non lontano dalla regione in cui era nato, Lönnrot si dedicò esclusivamente allo studio della lingua nativa e delle sue produzioni popolari. Nel 1880 uscì il quinto e ultimo dei suoi lavori sulla poesia fokloristica: gli Suomen kansan muinaisia loitsurunoja, «Antichi canti magici del popolo finnico», opera che contiene 21.024 versi ordinati secondo il sistema già utilizzato per il Kalevala.

Nello stesso anno Lönnrot pubblicò anche un dizionario finno-svedese [Finskt-Svenskt lexicon], il cui materiale era stato da lui raccolto a partire dal 1835. Con duecentomila lemmi e innumerevoli locuzioni, i due tomi che compongono l'opera si presentano come un lavoro a dir poco gigantesco per mole e completezza, tanto più se si pensa che sono il risultato della fatica di una sola persona, Elias Lönnrot.

Il 9 aprile del 1882, giorno del suo ottantesimo compleanno, Lönnrot venne festeggiato dalla Finlandia intera come eroe nazionale e padre della patria. Due anni dopo, il 19 marzo 1884, il compilatore del Kalevala si spegneva serenamente nella sua casa, a Lammi.
 

Trama del Kalevala

A causa del modo in cui fu composto, il Kalevala si presenta come una giustapposizione di episodi privi di un vero e proprio filo conduttore che li attraversi e li leghi tra loro. Manca anche un protagonista centrale, e i tre personaggi principali – il cantore Väinämöinen, il fabbro Ilmarinen, lo scapestrato Lemminkäinen – si alternano l'uno all'altro con buon equilibrio, a volte incrociando le loro strade, salvo ritrovarsi tutti e tre riuniti, nella seconda metà del poema, nella spedizione alla conquista del sampo. Riassumiamo la trama generale dell'opera.

Runot 1-2. Creazione del mondo.
Ilmatar «figlia dell'aria» (anche detta Luonnotar «figlia della natura»), scende dal cielo e si adagia tra le onde del mare. Un'anatra fa il nido sul suo ginocchio, ma le uova rotolano, si rompono, e dai frammenti sorgono il cielo e la terra, il sole, la luna, le stelle e le nuvole. In seguito, ella forma i fondali marini, le terre emerse, i promontori e le montagne. Intanto, dopo essere stata fecondata dal vento, Ilmatar stenta a dare alla luce suo figlio. Il travaglio dura settecento anni, e Väinämöinen nasce già vecchio. Salito per la prima volta sulla terraferma, Väinämöinen si trova di fronte a una terra brulla e deserta, e così ordina al giovane Sampsa Pellervoinen di piantare i primi semi. Una quercia germoglia fino a oscurare il cielo e la terra con la sua chioma, e deve essere abbattuta perché la luce possa ritornare a splendere sui campi. Allora crescono erbe, fiori e bacche. Väinämöinen si occupa di seminare l'orzo e prega che le messi crescano per la prosperità delle genti future.

Runot 3-10. Primo ciclo di Väinämöinen.
Col terzo runo prendono inizio le avventure degli eroi della terra di Kalevala. Assistiamo dapprima alla rivalità tra Väinämöinen e il giovane Joukahainen, i quali si affrontano in un certamen poetico, in cui ciascuno dà prova della sua sapienza e della sua capacità di padroneggiare i canti magici. Sconfitto, Joukahainen è costretto a promettere al vincitore la mano di sua sorella Aino. La fanciulla, però, disperata dalla prospettiva di sposare il vecchio Väinämöinen, si annega. Preso dall'odio, Joukahainen tende un agguato a Väinämöinen, ma non riesce a ucciderlo. Piombato in mare, il vecchio cantore viene a lungo sballottato tra i flutti, finché un'aquila, impietosita, lo raccoglie sulle sue ali e lo porta sulle sponde di Pohjola, la fredda terra del nord, abitata dalle ostili tribù lapponi. Qui, il vecchio eroe viene soccorso da Louhi, signora di Pohjola, la quale gli offre ospitalità ma non lo lascia ripartire prima di avergli estorto la promessa di fabbricarle il sampo. L'eroe promette e, tornato in Kalevala, chiede al fabbro Ilmarinen di recarsi a Pohjola per mettersi all'opera. Costui rifiuta, ma, con un incantesimo, Väinämöinen lo fa volare fin nella terra del nord. Giunto a Pohjola, Ilmarinen finisce vittima del fascino della bellissima figlia di Louhi. Per ottenerla in sposa, il fabbro forgia il sampo: un magico strumento capace di macinare prosperità e ricchezza per chiunque lo possieda. Il sampo viene preso in custodia da Louhi, che lo rinserra sotto una rupe. La figlia di Louhi, tuttavia, avanza pretesti affermando di non poter abbandonare la propria casa, e Ilmarinen se ne torna abbattuto e sconsolato in Kalevala.

Runot 11-15. Primo ciclo di Lemminkäinen.
Nell'undicesimo runo entra in scena il simpatico Lemminkäinen. Egli esordisce rapendo una fanciulla, Kyllikki. La ragazza accetta di sposarlo, ma gli chiede di non andare più in guerra; in cambio egli le fa giurare di non andare più a danzare e civettare nel villaggio. Ma Kyllikki non mantiene la promessa, e Lemminkäinen la ripudia e dichiara che andrà a scegliersi un'altra sposa a Pohjola. La madre cerca di dissuaderlo dal tentare il pericoloso viaggio: ne sortisce una discussione, nel corso della quale Lemminkäinen getta via il suo pettine e afferma che, se sarà ferito o ucciso, quel pettine sanguinerà. Si mette in cammino e, arrivato a Pohjola, viene sottoposto a varie prove, se vorrà meritarsi la mano della figlia di Louhi. Deve innanzitutto catturare l'alce di Hiisi, e vi riesce dopo una vertiginosa corsa sui pattini; deve quindi imbrigliare il cavallo di fuoco di Hiisi, e infine catturare il cigno di Tuonela, che nuota sulle acque del fiume dei morti. Ma mentre Lemminkäinen tenta l'ultima impresa, viene ucciso da un sicario inviatogli da Louhi. Il suo corpo viene gettato nel fiume e fatto a pezzi. Avvertita della disgrazia dal sangue che stilla dai denti del pettine, la madre di Lemminkäinen corre sul fiume di Tuonela, raccoglie le membra dilaniate del figlio e, a mezzo di potenti incantesimi, le rimette insieme, restituendogli la vita.

Runot 16-18. Secondo ciclo di Väinämöinen.
Intanto, Väinämöinen è intento a costruire una barca che gli permetterà di tornare a Pohjola per partecipare alla contesa per la mano della figlia di Louhi. Mancandogli alcune parole magiche necessarie a completare l'opera, decide di andare a chiederle all'antico gigante Antero Vipunen, che giace morto al suolo, con piante e alberi che crescono sul suo corpo. Väinämöinen lo risveglia, ma il gigante, per tutta risposta, lo ingoia. Dall'interno delle sue viscere, Väinämöinen comincia a tormentarlo, tanto che il gigante, arrendendosi, gli chiede di andarsene. Väinämöinen accetta, ma in cambio Vipunen dovrà cantargli il suo intero sapere. Il gigante obbedisce e Väinämöinen può così tornare al cantiere e terminare la costruzione della sua barca.

Runot 19-25. Primo ciclo di Ilmarinen (le nozze).
Väinämöinen e Ilmarinen si incontrano a Pohjola, quali pretendenti alla mano della figlia di Louhi. Tra i due viene preferito il fabbro, il quale però deve sottoporsi ad alcune difficili prove. Egli deve arare un campo irto di vipere, catturare l'orso di Tuonela, il lupo di Manala e il grosso luccio che nuota nel fiume dei morti. Ilmarinen riesce in tutte le prive e, dopo un solenne banchetto, torna in Kalevala con la giovane sposa.

Runot 26-30. Secondo ciclo di Lemminkäinen.
Nel frattempo, resuscitato dalla morte grazie alle arti magiche di sua madre, Lemminkäinen decide di tornare a Pohjola, offeso per non essere stato invitato alle nozze della figlia di Louhi. La povera donna cerca ancora una volta di dissuaderlo, ma Lemminkäinen, ancora una volta, non le presta ascolto. Gli abitanti di Pohjola gli sbarrano la strada potenti vari incantesimi, ma il giovane riesce a superarli uno dopo l'altro. Giunto a Pohjola, egli sfida il padrone di casa e ne sortisce un duello in cui alle armi si alterna la magia. Lemminkäinen mozza infine il capo al signore di Pohjola, ma Louhi lo costringe alla fuga schierando il suo esercito. Il giovane si nasconde su un'isola, ma è poi costretto a fuggire anche da lì, dopo aver sedotto un bel numero di donne e ragazze.

Runot 31-35. Ciclo di Kullervo.
Il celebre episodio di Kullervo appare come una vicenda staccata dal contesto principale e prende l'avvio da una faida che oppone le genti di Untamo e quelle di Kalervo. Queste ultime vengono sterminate, tranne il figlioletto di Kalervo, Kullervo, che viene allevato come servo in casa di Untamo. Ma il giovane eroe, crescendo, manifesta una forza e una malignità sorprendenti e riesce a rovinare qualsiasi lavoro in cui si cimenti, né le genti di Untamo riescono a ucciderlo in alcun modo, ché Kullervo sopravvive a ogni tentativo di sbarazzarsi di lui. Viene dunque ceduto al fabbro Ilmarinen, perché faccia da pastore alle sue mandrie. Ma quando la moglie di costui gli infila per dispetto un sasso nel pane, Kullervo si vendica disperdendo il bestiame; quindi trasforma in vacche un'orda di lupi e orsi, che spinge nella stalla. La sposa di Ilmarinen viene così divorata, e Kullervo, dopo essere fuggito nella foresta, ritrova fortunosamente suo padre e sua madre, miracolosamente sfuggiti alla carneficina perpetrata da Untamo. In seguito, mentre viaggia con la slitta, si invaghisce di una ragazza incontrata per via e la seduce. Ma è sua sorella, perduta da bambina. La poverina si suicida per la vergogna, e Kullervo, per espiare il delitto, muove guerra a Untamo, disobbedendo ai consigli dei suoi genitori. Al ritorno trova la casa distrutta e i parenti morti. Disperato e solo, Kullervo si suicida a sua volta gettandosi sulla sua spada.

Runot 39-44. Il furto del sampo.
Segue la vicenda centrale del Kalevala. Finalmente riuniti, Väinämöinen, Lemminkäinen e Ilmarinen s'imbarcano per strappare il sampo a Louhi. Nel corso del viaggio, pescano un enorme luccio e, con le sue mascelle, Väinämöinen fabbrica il kantele, la prodigiosa arpa finnica sulla quale modulerà da quel momento in poi i suoi canti e che servirà come modello per gli strumenti dei futuri cantori. Giunti a Pohjola, Väinämöinen ne addormenta tutti gli abitanti suonando il kantele. A questo punto è facile per i tre eroi rubare il sampo e riprendere la rotta per Kalevala. Destatasi, Louhi scopre il misfatto, arma la sua flotta e si lancia all'inseguimento dei fuggitivi. Con un incantesimo, Väinämöinen fa sorgere degli scogli dal mare, sui quali s'infrangono le navi di Louhi. Utilizzando i pezzi delle imbarcazioni, Louhi si trasforma allora in un enorme rapace e plana sulla nave di Väinämöinen. Nel corso della lotta, il sampo cade nei flutti e va in frantumi. I pezzi più grossi cadono sul fondo, dove alimenteranno da allora in poi le inesauribili ricchezze del mare. I più piccoli, spinti dalla risacca, finiscono sulla spiaggia. Väinämöinen li raccoglie e li porta a Kalevala, dove contribuiranno alla futura ricchezza e prosperità del paese.

Runot 45-49. La vendetta di Louhi.
La vecchia signora di Pohjola, infuriata per la perdita del sampo, cerca in tutti i modi di nuocere al popolo di Kalevala. Manda dapprima morbi e pestilenze, che vengono sconfitti grazie all'uso della sauna e dei canti magici di Väinämöinen. Invia quindi un ferocissimo orso, che viene ucciso con gran tripudio. Infine ruba dal cielo il sole e la luna, e spegne il fuoco, in modo da gettare il popolo di Kalevala nelle tenebre. Nel tentativo di rimediare, Ilmarinen forgia un nuovo sole e una nuova luna, ma questi non splendono come gli astri originari. Interviene Ukko, il dio del cielo, che fa cadere sulla terra una scintilla scaturita dalla sua spada. Väinämöinen e Ilmarinen partono per recuperare la scintilla e la trovano nello stomaco di un grosso pesce. Quindi vanno alla ricerca del sole e della luna, e li trovano rinserrati in una caverna. Possono così liberarli e farli splendere di nuovo in cielo.

Runo 50. Storia di Marjatta.
Nel canto conclusivo, la vergine Marjatta rimane incinta dopo aver ingoiato una bacca. Il figlio, una volta nato, viene condannato a morte dal vecchio Virokannas, ma il neonato prende miracolosamente a parlare e lo rimprovera di aver emesso un giudizio iniquo. Il vecchio allora consacra il bambino re di Carelia. Väinämöinen, sdegnato, si allontana in barca e si reca verso l'orizzonte, laddove il cielo e la terra si toccano, e profetizza che verrà un giorno in cui lo si chiamerà di nuovo. Egli lascia indietro, a perenne gioia del popolo finnico, il kantele e i suoi meravigliosi canti.
 

La poesia del Kalevala

Il viaggiatore italiano Giuseppe Acerbi, ritornando da un viaggio in Finlandia, nel 1799, diede una delle prime descrizioni di come operassero i cantori finnici. Essi stavano seduti di fronte, per esempio a cavallo di una panca, si tenevano le mani e cantavano i versi secondo una semplice melodia, dondolandosi con ritmiche movenze del corpo. Erano rapsodi nel vero senso della parola, ancorché scaturiti da una società elementare e popolare, e quindi lontanissimi dall'ideale del poeta di classe o di professione, ma tramandavano i loro canti secondo usanze sicuramente antichissime (Gummerus 1969).

Due laulajat intonano i runot. Fotografia d'epoca.

Pochi anni prima, anche Henrik Gabriel Porthan aveva fornito un'analoga descrizione del metodo di esecuzione dei cantori finnici: «Essi cantano sempre a due, circondati da un uditorio attentissimo. Il primo cantore, o laulaja, il più stimato per abilità e competenza, e anche per età, si associa con un compagno che gli fa da assistente e con il quale condivide alternativamente il canto. Il laulaja, che è il vero poeta, comincia a cantare un verso, e lo canta fino al terzo piede o alla terzultima sillaba, e solo a questo punto il compagno entra con la sua voce, giacché dal senso e dal metro gli è facile completare quanto è rimasto in sospeso. Il secondo cantore ripete quindi da solo il verso in un tono leggermente variato, mentre il primo cantore rimane in silenzio finché l'assistente giunge a sua volta alla terzultima sillaba, che viene cantata all'unisono. Dopo di che il laulaja canta un secondo verso, che sarà ripetuto dall'assistente (il cui vero compito è quello di dare al primo cantore il tempo di ricordare il verso successivo, o di improvvisarlo qualora la memoria non lo soccorra); e con uguale modalità si procede fino al termine del canto». Aggiunge ancora Porthan: «I due cantori siedono fianco a fianco, oppure l'uno di fronte all'altro, tanto vicini da toccarsi con il ginocchio, sul quale posano le mani destre intrecciate. Mentre cantano hanno un aspetto serio, raccolto, e muovono leggermente il corpo, come se volessero toccarsi anche con la testa» (Portan 1778 | Agrati ~ Magini 1988).

Illustrazioni dell'Ottocento dànno prova della veridicità di questo quadro, e anche nei primi versi del Kalevala si dà una descrizione poetica dell'esordio del canto, in cui il giovane cantore – nel quale forse è da ravvisarvi lo stesso Lönnrot – invita il vecchio laulaja ad aiutarlo a introdurre il lungo poema:

Veli kulta, veikkoseni,
kaunis kasvinkumppalini!
Lähe nyt kanssa laulamahan,
saa kera sanelemahan! [...]
Lyökämme käsi kätehen,
sormet sormien lomahan,
lauloaksemme hyviä,
parahia pannaksemme, [...]
noita saamia sanoja,
virsiä virittämiä.
Caro mio fratello d'oro,
mio compagno dai prim'anni!
Ora vieni a cantar meco,
a dir meco le parole! […]
Or prendiamoci le mani,
intrecciam dito con dito,
sì che ben possiam cantare
meglio ancora recitare, […]
questi canti tramandati,
questi versi messi in luce.
Kalevala [I: 11-14 | I: 21-24 | I: 29-30]

Spesso il rapsodo si accompagnava, o era accompagnato, dal suono del kantele. Le origini mitiche di questo strumento musicale sono narrate nel Kalevala: il primo kantele sarebbe stato fabbricato dallo stesso Väinämöinen con la mascella di un luccio; perduto questo, ne avrebbe fabbricato un secondo in legno di betulla. In un bellissimo episodio del quarantaquattresimo runo, Väinämöinen incanta con le melodie suonate sul suo kantele le genti di Kalevala e tutti gli esseri e gli elementi della natura:

Sormin soitti Väinämöinen,
kielin kantelo kajasi:
vuoret loukkui, paaet paukkui,
kaikki kalliot tärähti,
kivet laikkui lainehilla,
somerot vesillä souti,
petäjät piti iloa,
kannot hyppi kankahilla.
Suonò Väinö con le dita,
cantò l'arpa con le corde:
rimbombaron massi e monti,
echeggiarono le rupi,
saltellaron sopra l'onde
sassi, e ciottoli sull'acque,
s'agitaron lieti i pini
ed i tronchi sulle lande.
Kalevala [XLIV: 257-264]
Mi oli metsän eläintä,
kyykistyivät kynsillehen
kanteloista kuulemahan,
iloa imehtimähän.
Ilman linnut lentäväiset
varvuille varustelihe,
veen kalaset kaikenlaiset
rantahan rakentelihe.
Matosetki maanalaiset
päälle mullan muuttelihe
käänteleivät, kuuntelevat
tuota soittoa suloista,
kantelen iki-iloa,
Väinämöisen väännätystä.
Quanti ha il bosco d'animali
s'accosciaron sulle zampe,
per udir quel dolce suono,
per gioir di quella gioia.
Gli augelletti volatori
si posaron su' rami,
ed i pesci d'ogni sorta
s'accostarono alla riva.
Anche i vermi di sotterra
sulla polvere strisciando
si torcevan per udire
quella dolce melodia,
la kantele della gioia,
il suonar di Väinämöinen.
Kalevala [XLIV: 293-306]


Com'è evidente nei versi del poema, sembra il kantele avesse una connotazione magica, se non sacra, e aveva certamente il compito di accentuare le caratteristiche ritmiche della recita, creando una specie di rapimento estatico. Si tratta di un probabile retaggio della cultura pagana, in cui tamburelli e altri primitivi strumenti avevano la funzione di favorire la trance sciamanica [kamlenie]. Anche se le prime testimonianze scritte sull'uso del kantele risalgono al XVI secolo, sembra fosse già adoperato in tempi piuttosto remoti (Brancato 2003). Somigliante a una cetra, certamente ha una certa parentela con il gusli dei popoli slavi, strumento ben conosciuto nell'epica russa: si pensi alla bylina russa sul mercante Sadko.

È stato per mezzo di tali cantori, che i canti epici, lirici e magici della stirpe finnica vennero tramandati per secoli, finché vennero raccolti dai folkloristi dell'Ottocento. Ancora pochi anni e di questo immenso patrimonio poetico sarebbe andato perduto. Che dei bellissimi canti fossero già scomparsi, del resto, lo aveva testimoniato il vecchio Perttunen allo stesso Lönnrot: «Quand'ero bambino, avevamo un salariato, un uomo di Lapukka, un buon cantore, ma non come mio padre. Passavano le notti a cantare, e mai due volte le stesse parole. Quelli erano cantori! Quando ero un ragazzetto tutt'ossa, sedevo ad ascoltarli attorno al bivacco e mi sforzavo di ricordare ciò che sentivo. Ma non riuscivo a trattenere tutto nella mente. Se mio padre fosse ancora vivo, non basterebbero due settimane per trascrivere i suoi canti. Non nascono più cantori del suo stampo, e tutte le vecchie canzoni stanno scomparendo tra il popolo». (Lönnrot 1849) [BIBLIOTECA].

Se Lönnrot poté comporre il Kalevala non solo giustapponendo il materiale epico, ma inserendovi una nutrita serie di canti lirici, magici e d'occasione, fu agevolato dal fatto che tutta la poesia tradizionale dei Finni era redatta in un unico metro: il runo. Questa parola è un prestito dalle lingue germaniche, attraverso il norreno rún, il cui significato principale è «segreto» o «mistero» (cfr. norreno rýna «fare discorsi segreti», tedesco raunen «sussurrare»). Nel mondo germanico, però, il significato della parola si era presto spostato a indicare i segni dell'alfabeto runico [fuþark], ai quali venne peraltro attribuito un carattere magico, com'è evidente dalle iscrizioni rimaste su amuleti, pietre, armi e ossa. Al contrario, presso i Finni, il termine runo aveva conservato il suo significato originale, legato alla voce, alla parola magica, al canto di sapienza (Comparetti 1891).

Il laulaja era anche detto, perciò, runoja «runatore» (ma anche runoseppä «fabbro di runot» o runoniekka «maestro di runot»). In qualità di conoscitore delle cose antiche e profonde, era pure chiamato tietäjä; questa parola, che etimologicamente significava «sapiente», avrebbe poi assunto il significato di «mago, incantatore, sciamano».

In seguito il termine runo aveva finito per indicare il canto composto in quell'ottonario trocaico che è il metro finnico per eccellenza (Pavolini 1910). Nota Domenico Comparetti: «Essendo la poesia nota al popolo da antico tempo, non altro vocabolo che quello [runo] poté fornire ad esprimere l'idea astratta e generica di poesia; unica essendo la forma del runo, di tutta la poesia tradizionale di ogni specie, non altra voce che quella poté servire a indicare questa forma» (Comparetti 1891). Si tratta di un caratteristico verso di otto sillabe, con quattro piedi. La rima è perlopiù ignorata (le sequenze che terminano con la medesima desinenza non contano infatti come rima). Al contrario, si richiede l'allitterazione, cioè la presenza, in ogni verso, di due o più parole che iniziano con la stessa lettera, com'è evidente, ad esempio, nell'incipit del primo runo del Kalevala:

Mieleni minun tekevi,
aivoni ajattelevi
lähteäni laulamahan,
saa'ani sanelemahan,
sukuvirttä suoltamahan,
lajivirttä laulamahan.
Sanat suussani sulavat,
puhe'et putoelevat,
kielelleni kerkiävät,
hampahilleni hajoovat.
Nella mente il desiderio
mi si sveglia, e nel cervello
l'intenzione di cantare,
di parole pronunziare,
co' miei versi celebrare
la mia patria, la mia gente.
mi si struggon nella bocca,
mi si fondon le parole,
mi si affollan sulla lingua,
si sminuzzano fra i denti.
Kalevala [I: 1-10]

Il runo è perfettamente connaturato alle caratteristiche fonetiche e sintattiche della lingua finlandese. Questa, com'è noto, non è un idioma indoeuropeo, ma ugrofinnico. Dunque non lingua flessiva, ma agglutinante: le parole al loro stato elementare corrispondono alla radice e le varie desinenze sono disposte per semplice giustapposizione. La ricca declinazione del finlandese (quindici casi!) evita l'uso delle particelle sintattiche e permette di concentrare complesse unità di significato in versi di poche sillabe. Il ridotto inventario di consonanti facilita la creazione delle allitterazioni, mentre la ricchezza vocalica è alla base dell'assoluta musicalità del verso. Il finlandese è lingua di un popolo che vive a stretto contatto con la natura, il cui lessico esprime dunque, e pienamente, tutti i concetti relativi alle forze e agli elementi naturali (Crawford 1888). La poesia popolare finnica contiene una vastità di vocabolario che mette a dura prova ogni tentativo di traduzione. La terminologia naturale è ricchissima, e altrettanto dettagliata quella inerente alla vita quotidiana dei Finni, che spesso non ha riferimenti diretti nelle altre lingue. Non dimentichiamo, inoltre, il ricco uso che la lingua finlandese fa di diminutivi e vezzeggiativi. Con una serie di suffissi posti ai nomi di esseri umani, animali, piante, pietre, e perfino azioni, numeri, eventi e sentimenti, essi diventano più dolci, familiari. Si riesce così spesso a creare un effetto di confidenza tra l'uomo e la natura che lo circonda (Pavolini 1910).

Altra importante caratteristica del runo, evidentissima nel Kalevala, è il parallelismo, il cui impiego è probabilmente mnemonico. I versi sono organizzati in distici di cui il secondo dipende dal primo, del quale fornisce una ripetizione parafrasata o una variante:

Viipyi siitä vuotta monta,
aina eellehen eleli
saaressa sanattomassa,
manteressa puuttomassa.
Arvelee, ajattelevi,
pitkin päätänsä pitävi:
kenpä maita kylvämähän,
toukoja tihittämähän?
E molt'anni là rimase,
lungamente colà visse
sulla terra senza nome,
sopra l'isola deserta.
E pensava, rifletteva,
nella mente rivolgeva:
da chi farla seminare,
con qual seme prosperare?
Kalevala [II: 9-16]

L'ottonario è un metro che, declamato, fornisce un effetto martellante, tanto più che i cantori usavano dargli enfasi secondo l'accento ritmico piuttosto che secondo quello naturale delle parole, che in finlandese cade caratteristicamente sulla prima sillaba. Ogni distico presenta un'identica cadenza musicale, senza alcun movimento strofico. I laulajat usavano cantare soltanto brevi brani; ma una volta riuniti nei 22.795 versi del Kalevala, l'ossessiva ripetizione degli ottonari finisce con l'ingenerare un senso di monotonia. Da qui i tentativi, da parte di vari traduttori, di modificare il metro, cercando di adattare la rapsodia al gusto poetico di popoli diversi da quello finnico. Ad esempio, i traduttori italiani Igino Cocchi e Paolo Emilio Pavolini intrapresero a questo riguardo due strade diverse: il primo volse il testo in endecasillabi, dandogli un tono petrarchesco; il secondo fece uso degli ottonari, avvicinandosi al testo originale con risultati forse più convincenti.

La successiva traduzione in versi è stata eseguita soltanto nel 2010, da Marcello Ganassini. La scelta di usare versi liberi, in questo caso, non dipende soltanto dal mutato gusto letterario dei nostri giorni, ma anche da uno scrupolo filologico: la nuova traduzione, rompendo finalmente con le griglie del metro, rimane quanto più fedele al significato del testo.

Riportiamo qui l'incipit del Kalevala nelle tre traduzioni:

Si risveglia la mia fantasia,
ne 'l cervello mi sorgon pensieri,
che a cantare, a far versi mi spingono.
Cantar voglio, parole intrecciare
in un inno a la nostra Nazione,
una laula pe' nostri antenati.
Su la lingua, e, già fuori de' denti,
su le labbra venire li sento,
già li sento che lascian le labbra
a svelare i pensier de la mente
e de 'l genio de 'l vecchio sapere.
Nella mente il desiderio
mi si sveglia, e nel cervello
l'intenzione di cantare,
di parole pronunziare,
co' miei versi celebrare
la mia patria, la mia gente.
mi si struggon nella bocca,
mi si fondon le parole,
mi si affollan sulla lingua,
si sminuzzano fra i denti.
L'animo mio aspira,
la mia mente medita
d'incominciare a cantare,
d'iniziare ad intonare,
dipanare un poema della stirpe,
recitare un carme della razza.
Le parole si sciolgono in bocca,
i discorsi precipitano,
irrompono sulla mia lingua,
mi s'infrangono tra i denti.

Trad. Igino Cocchi

Trad. Paolo Emilio Pavolini

Trad. Marcello Ganassini

Analisi critica

Il Kalevala costituisce il maggior contributo della Finlandia alla letteratura universale. È la più importante opera letteraria di quel paese, quella su cui sono state fondate la letteratura e la lingua finlandese. Ma detto questo, il poema nazionale di Finlandia è di difficile collocazione, perché è insieme opera popolare e opera colta, ed è contemporaneamente il frutto del genio di un intero popolo, quanto quello di un solo uomo, Elias Lönnrot.

Da un lato è innegabilmente vero che la quasi totalità del materiale del Kalevala appartiene alla poesia popolare. Lönnrot, non essendo un poeta, aggiunse raramente passi che non avessero un preciso riscontro nel patrimonio folkloristico. Nota Pavolini: «Raro il caso che il Lönnrot inserisca versi di sua fattura: dato l'immenso numero di varianti alle quali poteva attingere e la prodigiosa memoria che gliene richiamava i versi più opportuni a un passaggio o a un attacco, s'intende come non vi sia quasi linea in tutto il lunghissimo poema che non trovi corrispondenza nella tradizione popolare. Così si è avuto il risultato che nel Kalevala non c'è un solo canto che venga realmente e stabilmente cantato dal popolo, benché tutti veramente popolari siano i versi di cui si compone» (Pavolini 1910) [BIBLIOTECA].

Nel compilare l'opera, Lönnrot aveva selezionato le numerose varianti e scelto i passaggi migliori; aveva disposto gli episodi secondo il suo gusto e, se necessario, non si era fatto scrupolo di sostituire un personaggio con un altro, ordinando il materiale nel modo che gli era più congeniale. Non diverso, in fondo, era il modo di operare dei maggiori laulajat, come Malinen, Kielevöinen e Perttunen, i quali avevano creato dei piccoli cicli mettendo insieme gli episodi che conoscevano. Ma Lönnrot aveva disposto tutto il materiale epico da lui raccolto – e taluno anche in più di una variante –, più un gran numero di canti magici e brani lirici, in un'unica, grande epopea.

Il Kalevala, per quanto classificabile nel genere epico, veniva ad essere una sintesi di tutti i generi della poesia tradizionale finnica. Lönnrot fu tanto l'ultimo e il maggiore dei laulajat, quanto il primo scrittore finlandese. Egli funge da trait d'union tra la poesia popolare e la letteratura colta, e il Kalevala può essere considerato tanto l'una cosa quanto l'altra.

D'altra parte, conscio che il «suo» Kalevala era solo uno dei Kalevalat possibili, Lönnrot lasciò i quaderni su cui aveva registrato le numerose varianti raccolte, nonché i nomi dei cantori da cui le aveva ascoltate, affinché in futuro fosse possibile intraprendere studi sull'autentico materiale popolare, prescindendo dal modo in cui egli lo aveva utilizzato per compilare il poema. Domenico Comparetti fornisce il registro dei canti originari utilizzati da Lönnrot e delle combinazioni operate su di essi per ottenere il testo definitivo del poema (Comparetti 1891).

La pubblicazione del Kalevala attirò l'attenzione dell'Europa colta sull'ignorata nazione baltica. Ma fu anche opera importantissima per la nascita di un sentimento patriottico: fornì ai Finlandesi – fino ad allora contesi tra Svedesi e Russi – la dignità di un popolo con cultura, costumi e lingua propri, e ora anche con un poema nazionale che celebrasse le origini della nazione e le gesta dei suoi eroi.

Paradossalmente, le prime edizioni del Kalevala vennero lette soltanto da una piccola minoranza di finlandesi perché poche delle persone che avevano accesso ai libri padroneggiavano la lingua nazionale. La prima edizione venne tradotta in svedese da Alexander Castrén nel 1844, la seconda da Karl Collan nel 1849, e fino alla fine dell'Ottocento il Kalevala venne letto in traduzione, soprattutto all'estero, dove suscitò accesi entusiasmi. Due insigni filologi come il tedesco Jacob Grimm e l'inglese Max Müller ne riconobbero il valore. Grimm, in una monografia pubblicata nel suo Kleinere Schriften, dichiarò che la genuinità e lo straordinario valore del Kalevala erano facilmente dimostrabili dal fatto che le sue concezioni mitologiche erano in grado di gettar luce su quelle degli antichi Germani, cosa che non si poteva dire di costruzioni apocrife come i canti ossianici del Macpherson. Müller, in uno dei suoi Oxford Essays, pose il Kalevala allo stesso livello dei grandi poemi epici del mondo, degno di trovarsi fianco a fianco con i poemi omerici, con il Mahābhārata, lo Šāhnāmè Ferdowsiano e il Nibelungenlied. (Crawford 1888)

Negli anni che seguirono la pubblicazione del Kalevala, si dibatté a lungo, sia in Finlandia che all'estero, sulla storia, le origini e l'antichità della poesia popolare finnica. Nell'entusiasmo della rinascita nazionale, si diffuse la convinzione che i versi del Kalevala risalissero a epoca remotissima, se non addirittura preistorica. Nella seconda metà dell'Ottocento, col progresso delle correnti critiche, prevalse invece una scuola storica, di tesi opposta, di cui fu precursore lo stesso Lönnrot.

Verso il 1870, Julius Krohn (1835-1888), professore di letteratura finlandese, intraprese uno studio sul materiale del Kalevala, cercando di stabilirne l'origine e la provenienza. In seguito, suo figlio, Kaarle Krohn (1863-1933), il principale esponente della scuola storica, portò avanti il metodo inaugurato dal padre, assumendo che le varianti di ciascun canto conservassero le tracce delle loro origini e dei loro spostamenti geografici. Egli stabilì che vari episodi – come quello del sampo – si riferissero a imprese più o meno leggendarie aventi per protagonisti i vichinghi o i pirati finnici, oppure riguardassero il confronto storico tra paganesimo e cristianesimo. Secondo Krohn, il Kalevala non offriva, o quasi, un solo esempio di elementi prettamente mitici; al contrario, la poesia, i fatti e i personaggi del poema non potevano risalire oltre l'anno Mille. Inoltre, il nucleo dei canti veniva collocato, da Krohn e seguaci, non più nella Carelia, dove Lönnrot aveva raccolto la maggior parte del materiale, bensì nel sud-ovest della Finlandia, nelle contrade intorno all'antico emporio commerciale di Turku. Dalle coste del Baltico, le ballate e le saghe scandinave si sarebbero trasmesse verso l'interno del paese, influenzando la poesia popolare finnica e creando un arcaismo posticcio (Krohn 1901-1909).

Alla scuola storica si contrappose ben presto un punto di vista prettamente mitologico, di cui fu insigne rappresentante Eemil Nestor Setälä (1864-1935). Secondo questa interpretazione, i motivi del Kalevala avrebbero rispecchiato il pensiero mitico e cosmico della stirpe finnica, e i suoi eroi – in linea con l'interpretazione naturalistica del mito che gli studiosi applicavano ai primi del Novecento – sarebbero stati delle antiche divinità della natura: Väinämöinen un dio del mare, Ilmarinen un dio dell'aria, e così via. Il duello tra Väinämöinen e Joukahainen poteva essere letto come allegoria del contrasto tra l'estate e l'inverno. Il sampo non sarebbe stato un tesoro conteso tra antiche tribù, come affermava la scuola storica, bensì un motivo collegato alla nozione antichissima della colonna centrale attorno a cui gira il cielo, elemento mitico comune a molti popoli eurasiatici.

Oggi la critica, pur evitando i due estremi, tende più a dare maggior credito alla scuola mitica. Se è vero che alcuni eventi del Kalevala possono essere interpretati come ricordo di avvenimenti storici più o meno recenti, resta il fatto che non si può assolutamente prescindere dal carattere spiccatamente mitico e magico dell'opera. Sottovalutando l'originalità e la natura della poesia finnica, la scuola storica aveva cercato dappertutto un significato razionale e un dato storico preciso. Ciò che il Kalevala lascia prevalere, in realtà, è un sentimento cosmico, un profondissimo senso della natura e una concezione della poesia e della magia che ha pochissimi punti di contatto in altre culture europee, rendendo ardua l'ipotesi di un'origine germanica dei canti popolari finnici.
 

La religione del Kalevala

La nostra conoscenza dell'antica religione finnica è viziata dalla questione dell'attendibilità delle fonti. Tale problema esiste in effetti anche per altri sistemi mitologici, come quello celtico e germanico, i cui documenti letterari sono piuttosto tardi, se non addirittura redatti in epoca cristiana. Nel caso dei Finni tale difficoltà è ancora maggiore.

La gran quantità di canti popolari registrati dai folkloristi è certo di primaria importanza per una ricostruzione della vita religiosa degli antichi Finni. Una volta depurato degli elementi estranei, di origine germanica, slava o cristiana, tuttavia, questo materiale si presenta a noi particolarmente frammentario, e forte rimane il sospetto di pesanti alterazioni da parte degli ultimi laulajat, ormai irrimediabilmente lontani dal mondo spirituale dei loro antenati pagani.

Detto questo, l'analisi dei testi ha permesso il recupero, in certa misura, di comportamenti cultuali e rappresentazioni mitologiche che affondano le loro radici nel mondo mitico dei popoli stanziati nella fascia settentrionale dell'Eurasia. Tali popolazioni vengano ripartite in almeno quattro gruppi linguistici: ugrofinni, altaici, paleosiberiani e paleoartici. La ripartizione di queste famiglie linguistiche è attualmente piuttosto discussa, soprattutto per quanto riguarda le ultime due, che tendono a scomparire dai testi più aggiornati, sostituite da ripartizioni più complesse. Viceversa, la dizione «uraloaltaico», proposta da Castrén nel 1844 e che fino a non molti anni fa sottendeva all'ipotesi di una supposta origine linguistica dei popoli ugrofinni e altaici, è stata ormai abbandonata. Nonostante appartengano a tanti gruppi linguistici differenti, tuttavia, le credenze religiose delle popolazioni nord-eurasiatiche risultano abbastanza omogenee (Eliade 1968). Tradizionalmente animisti, i popoli nord-asiatici non distinguono tra il materiale e lo spirituale, l'animato e l'inerte. Al contrario, essi ritengono che tutti gli esseri e le cose esistenti – uomini, animali, piante, rocce – dispongano di una o più anime. Nella loro concezione, un fiume, una foresta, una montagna, un lago possiedono la propria anima, sotto l'aspetto di uno spirito-signore (Marazzi 1984).

Il mondo mitico dipinto nei canti popolari finnici rimanda appunto, come già acutamente rilevato dal Comparetti oltre un secolo fa, a una matrice animistica e sciamanica (Comparetti 1891). Le molte divinità dei boschi, delle nuvole, del cielo e del mare che vengono regolarmente invocate nel Kalevala, con tanto di delicati e stucchevoli vezzeggiativi, hanno poco a che vedere con le superbe e potenti divinità dei Greci o dei Germani. Sono piuttosto dei genî che abitano armoniosamente gli elementi di cui hanno il governo e con i quali gli esseri umani sembrano tendere a un rapporto di buon vicinato. Sono effettivamente simili agli spiriti-guardiani dei popoli nord-euroasiatici, che gli sciamani cercano ancora oggi di ingraziarsi con offerte, piccoli servizi e parole gentili, affinché si prendano cura di chi li invoca e forniscano primizie o cacciagione. Molti canti magici del Kalevala possono essere agevolmente confrontati con le invocazioni sciamaniche raccolte nell'area uralico-siberiana.

Il termine finlandese per questi spiriti della natura è haltiat (da hallita «governare»). Per quanto i canti popolari li descrivano spesso antropomorfi, abbigliati con vestiti eleganti e variopinte calzature, armati con archi e spade, e dotati di numerosa famiglia, è evidente che questi esseri sono in realtà considerati in certa misura immateriali e, nonostante le notazioni dei primi studiosi, non del tutto indipendenti dagli ambienti e dalle cose che hanno in potestà.

Quasi tutte le divinità che compaiono nel Kalevala sono spiriti di questo o quell'elemento: del bosco, del mare o del cielo. La tajga, ad esempio, è la dimora di Tapio, onde per cui le foreste assumono l'epiteto poetico di Tapiola. Questo «gentile dio dei boschi» è sovente descritto alto e slanciato, abbigliato con una lunga veste marrone, un manto di muschio e un cappello di aghi di pino. La sua consorte è Mielikki, la quale detiene le chiavi del tesoro di Tapiola, per cui è spesso invocata dai cacciatori. Loro figli sono il maestoso Nyyrikki, il cui compito consiste nel rendere praticabili le paludi attraversate dalle mandrie che si recano ai pascoli boschivi, e la leggiadra Tellervo, l'«Artemide finlandese», patrona dei cacciatori. Ora, Tapio corrisponde a una ben precisa classe di divinità o spiriti boschivi diffusi presso molti popoli uraloaltaici. Gli Altaiani (Teleuti) si rivolgono a Tayġa Tös, il signore delle foreste, perché decreti loro successo nella caccia; gli Jacuti conoscono invece Bāy Bayanay, lo spirito-signore dei boschi [tïa iččitä], al quale, con i suoi fratelli e sorelle, è legato tutto quanto riguarda la forza e il rigoglio della vita (Marazzi 1984). Questa classe di personaggi ha lasciato una traccia nel folklore slavo, dove ha prodotto la figura del lešij, lo spirito dendrico che vive nel profondo dei boschi, e che ricompare nelle fiabe russe nei panni del possente boscaiolo Dubynja (Giansanti 2008).

Come la foresta, anche il mare, i fiumi e tutte le acque hanno i loro patroni. Spirito-signore dell'elemento liquido è Ahto, da cui il regno sottomarino prende l'epiteto poetico di Ahtola. Egli è signore dei pesci e di tutte le ricchezze del mare, e la sua sposa è la benigna Vellamo. Da loro proviene una numerosa discendenza – gli Ahtolaiset – che ha dominio non solo sul mare, ma anche su fiumi, laghi, sorgenti e cascate. Anche in questo caso sono possibili confronti con certi spiriti-guardiani delle acque attestati nell'area uralico-siberiana, ma vi sono anche elementi dell'epica slava e germanica che manifestano un legame diretto con la tradizione finnica. Ad esempio, il mostruoso Vetehinen può essere confrontato con lo spirito russo delle acque, il vodjanoj. E ancora, in alcune ballate [byliny] del ciclo di Novgorod, si narra la vicenda del mercante Sadko il quale, disceso nei reami sottomarini, incanta lo zar del mare [car' morskoj] con le melodie suonate sulla sua gusli. La vicenda ha certamente più di un rapporto con l'episodio, contenuto nel quarantaduesimo runo del Kalevala, in cui Ahto s'impadronisce del kantele di Väinämöinen, caduto nei flutti del mare, e lo trattiene a eterno diletto del suo popolo (Giansanti 2008).

Il dio supremo del pantheon finnico è Ukko, il «vecchio», signore del cielo. Ma si tratta di una divinità più meteorologica che uranica: chiamato nel Kalevala «signore delle nubi», «dominatore dei venti» e «padre dei cieli», egli controlla le nuvole, scatena la pioggia, scaglia le folgori. È rappresentato seduto tra i nembi, con il firmamento alle spalle: la sua spada è il fulmine, il suo arco è l'arcobaleno, le sue frecce sono di rame. Ukko, nell'immagine tramandata nei canti popolari finlandesi (e ancor più estoni, dove Ukkonen è più specificatamente un dio del tuono) sembra avere ereditato molti tratti dal dio scandinavo Þórr , quale ad esempio l'uso di un martello per creare il rimbombo del tuono (è stato anche proposto un possibile legame etimologico tra il nome di Ukko e l'epiteto Öku-Þórr attribuito al dio scandinavo del tuono).

Uno dei nomi con i quali Ukko è conosciuto nel Kalevala, Jumala – teonimo che in finlandese moderno indica il Dio cristiano – significa in realtà «paese del cielo», indicando, nel suo significato originale, una dimora poetica e non un personaggio. Si tratta di una rappresentazione caratteristica dei popoli dell'Asia settentrionale e centrale, i quali manifestano, nella loro immensa estensione geografica, un culto del cielo, inteso innanzitutto nel suo puro aspetto uranico, e poi nell'ipostasi di un dio supremo che in una certa misura s'identifica col cielo stesso. I popoli di lingua turco-altaica usano la parola Tengri, nelle numerose varianti locali (Tängärä tra Tatari e Teleuti, Tangir tra i Beltiri, Taŋara tra gli Jacuti, Tura tra i Čuvaši, Tŋri presso i Mongoli, Teŋeri presso i Buriati), a indicare sia il «cielo» che il «supremo dio del cielo», o anche, per estensione, qualsiasi spirito celeste di rango minore. Il cielo è l'archetipo della perennità dei cicli cosmici, mentre il dio-cielo ne è il garante nel mondo terreno, naturale e sociale. Egli è qan, cioè «signore» e «padrone» di ogni cosa. Presso i Čeremissi il supremo dio-cielo si chiama Jumē «cielo» (cfr. il finlandese Jumala). Il teonimo più frequente presso i Samoiedi, gli Ostiachi e i Voguli è Nūm-tūrem «l'alto». Più a sud, per gli Ostiachi dell'Irtyš, il nome è Sänke «il luminoso». Presso i Tungusi si usa il nome Buga «cielo, mondo». I titoli del dio-cielo turco-altaico sono innumerevoli, ma una breve enumerazione di essi può dare un'idea più precisa della sua natura e delle sue funzioni. Per i mongoli è Kögö Moŋko «cielo azzurro». Nella poesia religiosa degli Jacuti è chiamato Ürüŋ Ay Toyon «bianco signore creatore». È Tängärä Qayraqan «supremo qan del cielo» presso i Turchi sud-siberiani. Questi ultimi conoscono anche, tra le maggiori divinità celesti, Bay Ülgän «grande ricco» e Yalqïn Ǟzi «signore della fiamma», dominatore del fulmine, le cui invocazioni contengono immagini non dissimili da quelle fornite nel Kalevala per Ukko. (Giansanti 2008)

Questi è frequentemente invocato nelle occasioni più disparate, e in genere si dimostra premuroso e attento. Così, quando il fuoco viene rubato agli uomini dalla signora di Pohjola, Ukko subito attizza un nuovo fuoco con la sua spada. E ancora, quando Lemminkäinen è a caccia del cavallo di fuoco, Ukko, invocato dall'eroe, blocca il possente destriero investendolo con un'improvvisa tormenta di neve. Ma non sempre Ukko interviene, o è in grado di farlo. Invano Väinämöinen lo implora di fermare l'emorragia dalla ferita che si è inferta sul ginocchio con l'ascia, ma la guarigione non sarà possibile finché il cantore stesso non ricostruirà l'origine del ferro.

Il sole [päivä] e la luna [kuu] sono ugualmente personificati, e hanno figli e figlie. A volte gli eroi del Kalevala si rivolgono all'uno o all'altra per chiedere consiglio e aiuto, e possono riceverlo o non riceverlo, a seconda dell'umore di questi. Per esempio, quando, nell'ultimo runo del poema, Marjatta è alla ricerca del figlio scomparso, la Luna e la Stella si rifiutano di aiutarla, e solo il Sole svela alla vergine dove si trovi il suo bambino.

Ma una visione del mondo religioso dei Finni non sarebbe certo completa senza prendere in esame il mondo dei morti e gli spiriti che lo controllano. Signore del mondo infero è Tuoni o Mana (da cui prende nome il paese sotterraneo, Tuonela o Manala). Rappresentato come un vecchio inflessibile, con unghie di ferro e un cappello calcato fino alle spalle, Tuoni corrisponde all'Ärlik Qan delle concezioni altaiche, signore degli strati inferiori del mondo. La relazione cinquecentesca di Mikael Agricola afferma che il culto dei morti fosse piuttosto sviluppato, presso gli antichi Finni. Non conosciamo però gli usi funebri, se non attraverso le ricostruzioni documentate dal folklore. Pare che i Finni credessero che gli spiriti dei morti rimanessero nelle tombe – su cui presiedeva Kalma, dio della morte – fino alla completa disintegrazione dei corpi (Crawford 1888). Liberatesi, le anime si imbarcavano lungo il fiume, nero e impetuoso, che conduceva al Tuonela, dove Tuoni avrebbe fatto loro da governante e, insieme, da custode. Tuonetar, la vecchia e orrenda sposa di Tuoni, che nel Kalevala viene ironicamente chiamata «buona signora» [hyvää emäntä], cucinava ai suoi ospiti brodaglie di lucertole, vermi, rospi e serpenti. È questo il cibo che viene offerto a Väinämöinen, nel sedicesimo runo, quando si reca nel Tuonela a cercare le parole magiche necessarie alla costruzione della sua barca. Il saggio cantore evita saggiamente sia di bere che di mangiare il cibo dei morti e, sfuggendo agli spaventosi pericoli del mondo sotterraneo, riesce infine a tornare sulla terra. Il suo viaggio nel mondo infero ricorda le catabasi degli sciamani siberiani, i quali, calandosi nei mondi ipoctoni, devono superare paurosi ostacoli, prima di arrivare al cospetto di Ärlik Qan e dei suoi tremendi figli (Marazzi 1984).

La mitologia del Kalevala

Il verso «Vaka vanha Väinämöinen» è il leit-motiv che nel poema annuncia le apparizioni del «vecchio vate Väinämöinen». Figlio della dea Ilmatar che lo tiene in grembo per settecento anni, Väinämöinen nasce già vecchio, al principio del tempo. Ma la sua antichità è ragione della sua profondissima sapienza. Egli è il depositario della conoscenza tradizionale del popolo finnico; conosce le origini profonde di tutte le cose ed è in grado di imporre il suo potere su di esse. È l'inventore del kantele: suonandolo, può incantare gli elementi della natura, affascinare gli esseri soprannaturali, indurre uomini e donne alla gioia, alla danza, al pianto o al sonno. La figura di Väinämöinen non ha precisi riferimenti nella mitologia di altri paesi europei. Per quanto non sia difficile citare figure di leggendari stregoni (Gwydion, Myrddin, Óðinn, Volch Vseslav'evič), il personaggio di Väinämöinen non può essere direttamente confrontato con nessuno di essi. Egli non è un mago vero e proprio, ma piuttosto un cantore, un poeta, l'archetipo di tutti i laulajat. I suoi incantesimi sono la semplice conseguenza del suo dominio sulla Parola. In questo senso egli sembra più simile a certe figure di aedi presenti nell'area slava. Lo Slovo o pŭlku Igorevě cita un mitico cantore a nome Bojanŭ: il passo, non privo di reminiscenze sciamaniche, può essere agevolmente messo in correlazione con le immagini che il Kalevala riferisce a Väinämöinen.

Accanto a Väinämöinen si erge, secondo dei protagonisti del Kalevala, l'«eterno fabbro» Ilmarinen. Questi è l'archetipo di tutti gli artigiani del metallo, tanto da vantarsi di aver forgiato addirittura la volta le cielo. E in effetti è possibile che alla base di questa figura di Ilmarinen vi sia un antico dio atmosferico: il suo nome deriva da ilma «aria» (e forse il suo nome è da mettere in correlazione con Inmar, divinità suprema dei Votjachi (Moreau 1981)). Nel suo «canone» delle divinità pagane, Mikael Agricola afferma che Ilmarinen sia il dio responsabile del bello e del cattivo tempo, e aggiunge che i viandanti lo invocano perché egli li scorti lungo le strade (Comparetti 1891). È Ilmarinen a forgiare il sampo, il meraviglioso strumento che reca ricchezza e prosperità alla gente di Pohjola. Ma nonostante la sua finissima arte, a volte Ilmarinen dimostra i suoi limiti. Fabbrica per sé una fanciulla d'oro, ma non riesce a darle il calore della vita. Forgia un sole d'argento e una luna d'oro per sostituire gli astri rubati dal cielo da Louhi, ma deve realizzare che anche i più nobili metalli non possono rischiarare le tenebre.

Il terzo eroe del Kalevala è il giovane e simpatico Lemminkäinen. Sempre pronto a lanciarsi nelle imprese più audaci, e altrettanto disinvolto quando si tratta di sedurre ragazze e donne sposate, questo scanzonato Don Giovanni boreale è afflitto da una madre piuttosto apprensiva. Ogni volta che egli manifesta l'intenzione di partire per una delle sue avventure, la vecchia si dispera e cerca di trattenerlo, descrivendogli i tremendi pericoli che lo attendono lungo la strada. Ovviamente Lemminkäinen non le presta ascolto, ma quando viene ucciso e fatto a pezzi da un sicario inviato dalla signora di Pohjola, è proprio la povera madre a rimettere insieme il suo corpo smembrato, resuscitandolo dal regno dei morti. Il motivo ha ovviamente portato gli studiosi, sulla scolta di J.G. Frazer, a ripensare al mito egiziano di Osiride.

Tutta la prima parte del Kalevala è incentrata sui tentativi dei tre eroi – Väinämöinen, Ilmarinen e Lemminkäinen – di ottenere la mano di una delle fanciulle di Pohjola. Louhi, vecchia maga priva di scrupoli, sfrutta l'avvenenza delle sue figlie, non senza cinismo, per irretire gli eroi di Kalevala e indurli a compiere per lei difficilissime imprese. La terra di cui è signora, Pohjola (da pohja «nord»), è descritta come un luogo freddo e tenebroso. Si comprende come Louhi ambisca al magico sampo, fino al punto di offrire la mano di una delle sue figlie a colui che sarà in grado di forgiarlo. È appunto Ilmarinen a riuscire nell'impresa e a ottenere l'ambita moglie.

Almeno un terzo del Kalevala è incentrato sul motivo della conquista della sposa, ma ciò nonostante, il poema è assai poco benevolo riguardo l'amore sentimentale. Le figlie di Louhi sono trattate come semplici oggetti di scambio tra le genti di Pohjola e gli eroi di Kalevala. I runot dal ventesimo al ventiquattresimo sono costituiti perlopiù da canti nuziali; vi spiccano lunghe sequenze di consigli prematrimoniali nelle quali si ricorda alla giovane sposa quali saranno i doveri domestici che la attendono a casa del marito e, soprattutto, dei suoceri.

Ma anche le altre storie d'amore narrate nel poema non hanno accenti più elegiaci. La giovane Aino viene ceduta dal fratello Joukahainen a Väinämöinen, che l'ha sconfitto a una gara di sapienza poetica. Ma la ragazza, non desiderando andare in sposa a un vecchio, pur tanto celebrato, si suicida gettandosi in acqua da una roccia. È forse indicativo il fatto che la tragica storia di Aino sia stata cantata per la prima volta al Lönnrot proprio da una donna, la vedova Matro del villaggio di Uhtua – in seguito rinominato Kalevala dalle autorità sovietiche – nel 1834. La solitudine rende Väinämöinen una figura piuttosto malinconica, e questo è un tratto importantissimo nella definizione del personaggio.

Ma se l'amore non è quasi mai motivo di immagini liriche, il Kalevala è particolarmente disincantato anche per quanto riguarda le imprese eroiche. Paragonato alla maggior parte della produzione epica europea, al poema finlandese mancano del tutto quelle figure di campioni, celebrati nell'epica omerica e celtica, che combattono per dimostrare l'eccellenza del loro valore, o quei melanconici cavalieri di un Medioevo votato a ideali spirituali. Al contrario, nessuno degli eroi del Kalevala è un guerriero. Väinämöinen è un cantore, Ilmarinen un fabbro, Lemminkäinen un avventuriero, e in qualche misura tutti possiedono poteri magici. Soltanto Kullervo manifesta un carattere violento, ma la sua unica impresa bellica viene liquidata in pochi versi ed egli ritorna alla sua casa distrutta solo per rendersi conto di quanto la guerra sia impresa funesta e insensata. Protagonista di un piccolo ciclo a sé, Kullervo si stacca dagli altri personaggi del poema per il suo fato cupo e doloroso. È un personaggio tormentato, non privo di tratti crudeli, vittima della faida che oppone le genti di suo padre Kalervo a quelle di Untamo. Seduce la sorella, non avendola riconosciuta, e la ragazza si suicida per la vergogna. Afflitto dal rimorso, disperato e solo, Kullervo si uccide a sua volta gettandosi sulla propria spada.

Invano cercheremo nel Kalevala imprese guerresche. Al contrario, ogni scontro si svolge nel regno della Parola. Nel secondo runo, Väinämöinen e Joukahainen si affrontano mettendo alla prova la loro sapienza poetica, e il vecchio cantore non impiega molto a «cantare» una palude sotto i piedi dell'orgoglioso giovane, piantandolo al suolo e costringendolo alla resa. In finlandese laulaa vuol dire tanto «cantare» quanto «compiere incantesimi». Nella semantica del Kalevala, la parola si identifica con l'oggetto stesso.

Allo stesso modo, allorché un eroe si trovi in pericolo, può salvarsi grazie alla conoscenza delle origini della cosa o creatura che lo sta minacciando. Ad esempio, nel nono runo, dopo essersi malaccortamente ferito con una scure, Väinämöinen stagna il sangue cantando l'origine del ferro. Lönnrot inserisce nel testo del Kalevala una lunga serie di incantesimi che forniscono un quadro impressionante delle pratiche magiche degli antichi Finni. Vi sono scongiuri per placare i serpenti [XIX | XXVI], contro il freddo e gli stregoni [XXX], per ammonire l'orso [XXXII], per calmare le onde e i venti [XLII], per guarire dalle malattie [XLV] e dalle ustioni [XLVIII].

Questa straordinaria concezione della parola, questo canto quale tramite di una conoscenza profonda delle cose, in grado dunque di evocarle e dominarle, non è del tutto sconosciuta nel resto d'Europa, ma soltanto nell'epopea finlandese assurge a un'importanza tale da scavalcare ogni altra funzione. E quando troviamo dei motivi simili, ad esempio in alcuni passaggi dell'Hávamál (una composizione eddica in cui il dio Óðinn elenca i canti magici che conosce e l'impiego al quale sono destinati), rimane il dubbio di un influsso di matrice finnica.

Se la prima metà del Kalevala è incentrata sul motivo della conquista della sposa, la seconda parte del poema ha per argomento la conquista del sampo. I tre eroi, Väinämöinen, Ilmarinen e Lemminkäinen, finalmente riuniti, intraprendono una spedizione contro la gente di Pohjola al fine di riprendersi il magico strumento. Louhi li insegue e, nel corso dello scontro, lo strumento cade in mare e va in pezzi. I frammenti più grandi si perdono negli abissi, e da essi derivano le inesauribili risorse del mare. I cocci più piccoli, gettati dalle onde sulla spiaggia, vengono raccolti da Väinämöinen che li porta in Kalevala, dove contribuiranno alla ricchezza e al benessere del paese.

Anche se la convergenza dei tre protagonisti del poema sembra sia stata una scelta precisa dello stesso Lönnrot (altre varianti del Kalevala presentano infatti diversi assortimenti di personaggi (Comparetti 1891)), la vicenda in sé sembra costituire il nucleo più antico del poema. Ma la domanda alla quale sia più difficile rispondere, e che ha messo maggiormente a dura prova gli studiosi, è che cosa sia esattamente il sampo. Dell'oggetto viene fornita una descrizione, decisamente surreale, da cui si evince che è fornito di un coperchio girevole, tre bocche di mulino e tre radici: una nella terra, una nell'acqua e la terza dentro casa. Il poema non fornisce altri dettagli, e da oltre un secolo, gli studiosi non hanno smesso di interrogarsi riguardo alla natura del sampo. Secondo la scuola storica, come abbiamo detto, esso adombrerebbe un tesoro, forse un idolo, oggetto di un'antica contesa tribale. Secondo la scuola mitica, il sampo sarebbe una metafora naturalistica; il «coperchio variopinto» potrebbe essere in tal caso interpretato come un'immagine della volta del cielo.

Oggi la maggior parte degli studiosi è persuasa che il sampo vada interpretato in senso cosmologico, come d'altronde suggerisce la comparazione con analoghe nozioni diffuse tra i popoli uralico-siberiani a est e quelli germanici a sud-ovest. Nella prima delle due aree è caratteristica la visione di un universo costituito da tre livelli verticali – cielo, terra, inferi – collegati da un asse centrale. L'asse fornisce il passaggio attraverso il quale gli dèi scendono sulla terra e i morti vanno nelle regioni sotterranee; è inoltre il mezzo attraverso il quale lo sciamano compie i suoi viaggi estatici nei mondi celesti e ipoctoni. Quest'immagine cosmologica è forse ispirata dalla yurta, la tipica tenda delle popolazioni nomadi dell'Asia: il cielo ne è la parte superiore e l'asse è il palo centrale che la sorregge. La stella polare, che brilla al centro del cielo, la fissa agendo da picchetto, onde per cui in alcune culture viene chiamata «chiodo del nord» (Eliade 1983).

Il sampo sarebbe dunque collegato alla nozione antichissima dell'axis mundi, la colonna che sostiene il firmamento (Gummerus 1969). Una possibile etimologia lo connetterebbe al sanscrito skambha, termine che nella poesia sapienziale indica il fulcro dell'universo (De Santillana ~ Van Dechend 1969). In diverse tradizioni, l'axis mundi è costituito da un albero cosmico, il quale sorge dal centro del mondo e costituisce, col tronco, l'asse centrale intorno al quale ruota il cielo. Quest'immagine è diffusa in tutta l'Asia, ma la ritroviamo anche tra i popoli germanici, dove è arrivata probabilmente per tramite finnico. Nei miti norreni si narra infatti del frassino Yggdrasill, che sorregge i «nove mondi» della cosmologia scandinava, mentre le sue tre radici – come quelle del sampo – penetrano il suolo raggiungendo rispettivamente il regno dei morti, quello dei giganti e quello degli uomini (o degli dèi) (Völuspá [2] | Gylfaginning [15-16]).

Ma questa nozione di albero cosmico si confonde spesso, nella mitologia norrena, con quella di un lúðr o «mulino». In un poema eddico, il Grottasöngr, si narra del mulino Grotti, in grado di macinare qualunque cosa gli venga richiesta. Il re danese Fróði incatena due gigantesse, Fenja e Menja, alla macina, e ordina loro di macinare ricchezze e prosperità per il suo regno. Le due robuste donne si mettono all'opera ma poi, affrante dalla fatica, evocano un esercito invasore che distrugge il regno di Fróði. Il Grotti viene caricato su una nave, ma – proprio come accade al sampo – sprofonda in mare, e «da allora vi fu un gorgo nel mare, ove le acque cadono nell'occhio della macina» [BIBLIOTECA]. Da quel giorno, laggiù negli abissi, il mulino continua a macinare sale, ed è per questa ragione che il mare è salato. Nel loro magistrale studio, Giorgio De Santillana ed Hertha Von Deckend hanno analizzato tali mitiche immagini di mulini e assi cosmici, mostrandone la natura astronomica, e li hanno messi in correlazione con il fenomeno della precessione degli equinozi. Il motivo dello sradicamento e dell'affondamento del sampo rappresenterebbe, secondo i due autori, lo scardinamento dell'asse cosmico alla fine di un ciclo precessionale, e il ristabilimento di un nuovo asse all'inizio del ciclo successivo (De Santillana ~ Van Dechend 1969).

Ciò che Lönnrot voleva – e a cui arrivò perfettamente – era comporre, partendo dalla poesia popolare, un'epopea che restituisse alla Finlandia la fierezza delle sue origini. Ma per far questo egli mise insieme il suo materiale, interpretandolo secondo l'immagine che egli stesso si era fatto riguardo alla natura di un'ipotetica, perduta epopea finnica.

Un caso emblematico è rappresentato dell'episodio della vergine-madre Marjatta, che Lönnrot pose a chiusa del suo poema, nel cinquantesimo runo del Kalevala. Il nome di Marjatta riecheggia ovviamente quello della Vergine Maria. Tuttavia, il modo in cui la ragazza concepisce il suo bambino – ingoiando una bacca – è un tópos caratteristico della tradizione popolare. Lönnrot ne fa una versione letteraria della nascita verginale che, nei suoi molti livelli di lettura, è insieme pagana e cristiana. Il bimbo che nasce, dapprima condannato a morte dal vecchio Virokannas – così come Erode aveva cercato di uccidere il piccolo Gesù –, poi consacrato re di Carelia, rappresenta, come già nell'esoterismo classico di Virgilio, il signore della nuova età del mondo. Se l'episodio della nascita verginale del bimbo viene posto poco dopo il racconto dello sradicamento del sampo, è ovviamente a causa delle necessità espositive del materiale epico, e non per qualche astruso calcolo mitologico, ma senza dubbio il puer meraviglioso, in Lönnrot come in Virgilio, regola il passaggio tra l'antica età eroica e la nuova èra (contrassegnata dall'avvento del Cristianesimo?) che si apre per la Finlandia. Il vecchio vate Väinämöinen, incapace di accettare il trapasso epocale, abbandona la terra di Kalevala e prende il mare, dirigendosi là dove la terra e il cielo s'incontrano. Egli rimarrà laggiù finché le sue genti non lo richiameranno indietro, in un futuro escatologico in cui alla Finlandia necessiterà un nuovo sampo, in cui in cielo risplenderanno un nuovo sole e una nuova luna.

Väinämöinen lascia però indietro il kantele e l'inestimabile patrimonio dei suoi canti, affinché le generazioni future non dimentichino mai la fierezza delle loro origini.

Vaan kuitenki kaikitenki
la'un hiihin laulajoille,
la'un hiihin, latvan taitoin,
oksat karsin, tien osoitin.
Siitäpä nyt tie menevi,
ura uusi urkenevi
laajemmille laulajoille,
runsahammille runoille,
nuorisossa nousevassa,
kansassa kasuavassa.
Nonostante, ad ogni modo,
ai cantor mostrai le tracce,
potai rami, tagliai foglie
per mostrar loro la via.
Or di qua la via comincia,
si distende nuova strada
per cantori più sublimi,
per poeti più fecondi,
nella stirpe che su viene
e nel popolo che cresce.
Kalevala [L: 611-620]

Fornendo una preistoria al suo popolo, Elias Lönnrot lo colloca finalmente nella storia.

Il Kalevala in Italia

Nel nostro paese, il primo a occuparsi dei canti popolari finnici, fu il mantovano Giuseppe Acerbi (1773-1846), il quale viaggiò attraverso la Finlandia negli anni 1798-1799. Talento eclettico, poliglotta, Acerbi era anche un etnologo dilettante e registrò un gran numero di osservazioni sui costumi delle popolazioni incontrate nel corso del suo viaggio (è considerato il primo a riportare la parola sauna). Assistette alle esecuzioni dei canti popolari da parte dei laulajat finlandesi, di cui lasciò importanti testimonianze, per quanto oggi non sia considerato un osservatore del tutto affidabile. Poco amato in Italia per le sue simpatie filo-austriache, Acerbi è invece assai apprezzato in Finlandia. Notissime, alcune poesie popolari che egli raccolse nel corso del suo viaggio, quali Jos mun tuttuni tulisi («Se il mio amato caro venisse») e la ninna nanna Nuku, nuku nurmilintu («Dormi, dormi uccellino»). Acerbi trascrisse anche delle melodie popolari, assai importanti sotto l'aspetto etnomusicologico. Musicista egli stesso, approfittò di una sosta forzata a Oulu per dedicarsi alla composizione: in uno dei suoi quartetti per clarinetto viene utilizzata una melodia tradizionale finnica: si tratta della prima composizione classica basata su un tema kalevaliano (Gabrieli 1971 | Arduini ~ Barella 2007).

Dopo la compilazione del Kalevala da parte di Lönnrot, trascorsero diversi anni perché gli studiosi italiani cominciassero a interessarsi all'epopea finlandese. Importantissimo il lavoro del filologo Domenico Comparetti (1835-1927). Il suo saggio, Il Kalevala o la poesia tradizionale dei Finni (1890), basato su un quadro interpretativo che assegnava un ruolo di primo piano allo sciamanesimo, costituì per decenni un'opera fondamentale in materia finnica, non soltanto in Italia, ma anche all'estero, dove fu conosciuto e apprezzato nelle traduzioni inglese e tedesca.

Ma la prima traduzione integrale del Kalevala, a opera di Igino Cocchi (1827-1913), fu pubblicata soltanto nel 1909 dalla Società Tipografica Editrice Cooperativa di Firenze, con una dettagliata introduzione di Domenico Ciàmpoli. Professore di geologia e paleontologia all'Istituto di studi superiori della stessa città, Cocchi era rimasto affascinato dalla terra e dalla cultura finlandesi, dopo un viaggio compiuto nel 1902. Negli anni successivi, egli si era dedicato al non facile compito di fornire una traduzione italiana del poema nazionale finlandese. Poco convinto dell'opportunità di utilizzare gli ottonari del testo originale, Cocchi sperimentò un gran numero di metri diversi prima di arrendersi al metro principe della nostra letteratura, l'endecasillabo, e al fine di conferire un afflato «classico» al Kalevala, chiamò i runot finnici con un dantesco «canti» (Ciàmpoli 1909).

Ma proprio mentre veniva pubblicato il Kalevala di Cocchi, un altro studioso era all'opera sul poema finlandese. Paolo Emilio Pavolini (1864-1942), ordinario di sanscrito e civiltà dell'antica India presso l'Università di Firenze, era assai apprezzato per le sue traduzioni del Mahābhārata e del Rāmāyaṇa. Egli aveva cominciato a occuparsi del Kalevala fin dal gennaio del 1903, allorché aveva preso a tradurne degli stralci come esercizio nel suo studio della lingua finlandese. Nonostante volgesse il poema in prosa letterale, Pavolini si era meravigliato nel notare quanto spontaneamente gli ottonari si introducessero nella sua traduzione ad verbum, così si era ben presto arreso a quell'esigenza metrica e aveva finito col tradurre l'intero Kalevala nel suo metro originale.

Nel 1904 Pavolini si recò in Finlandia per approfondire la sua conoscenza della lingua e della cultura finnica. Nel corso del viaggio ebbe modo di conoscere due studiosi della levatura di Kaarle Krohn ed Eemil N. Setälä, i quali lo incoraggiarono a proseguire la difficile traduzione del Kalevala. Nel 1907 il lavoro fu consegnato all'editore Remo Sandron di Palermo, il quale volle dargli una veste di lusso nella sua collana «Biblioteca dei Popoli», allora diretta da Giovanni Pascoli: un volume in 4°, a due colonne, di 367 pagine (più 24 di introduzione), e ventitré illustrazioni fototipiche tratte dai dipinti di Gallén-Kallela [MUSEO] e altri artisti. La traduzione del Pavolini uscì nel 1910, un anno appena dopo quella del Cocchi.

Intanto, sia Pavolini che il suo editore avevano manifestato l'intenzione di affiancare, alla versione integrale del Kalevala, un'edizione ridotta, più snella, accessibile a un maggior numero di lettori. L'editio minor, ridotta a un terzo del testo originale, venne però pubblicata soltanto nel 1935 dalla casa editrice Sansoni, nella collana «Biblioteca Sansoniana Straniera», all'epoca curata dallo stesso Pavolini. Tale pubblicazione coincise con il centenario della prima edizione del Kalevala in Finlandia e Pavolini volle dedicarla alla memoria dell'amico Setälä, scomparso nello stesso anno. Rispetto al metraggio integrale, erano stati eliminati parecchi episodi minori, varie ripetizioni e lungaggini, oltre a un certo numero di canti magici; brevi raccordi in prosa sostituivano le sezioni escluse. L'editio minor ebbe diverse ristampe, l'ultima delle quali nel 1984.

Nonostante godesse di ottima considerazione presso studiosi e appassionati, e fosse assai apprezzata persino dagli stessi finlandesi, la traduzione integrale di Pavolini fu del tutto ignorata dall'editoria italiana per ben novantasette anni. Soltanto nel 2007, il Kalevala di Pavolini è tornato di nuovo in libreria, per i tipi della casa editrice Il Cerchio di Rimini.

Infine, nel 2010, Marcello Ganassini ha proposto una nuova traduzione, questa volta in versi sciolti e ottimamente annotata. Edita dalle Mediterranee, si appresta a diventare la migliore edizione del Kalevala attualmente disponibile in lingua italiana.

Due, le traduzioni in prosa. La prima, Kalevala: Epopea nazionale finlandese, a cura di Francesco Di Silvestri Falconieri, è apparsa nel 1912. La seconda, Kalèvala: miti incantesimi eroi nella grande saga del popolo finlandese, a cura di Gabriella Agrati e Maria Letizia Magini, è uscita nel 1988 negli Oscar Mondadori. Per quanto sia stata per un certo tempo la versione più conosciuta dal pubblico italiano, quest'ultima edizione ha fatto storcere il naso ai puristi per la scelta delle due curatrici di offrire un testo in prosa, considerato più agevole per il grande pubblico. Non nuove a operazioni non sempre felici di popolarizzazione di testi epici e mitologici, la Agrati e la Magini hanno così giustificato la loro scelta: «È nostra convinzione che una versione in versi avrebbe appesantito il poema fin quasi a leggerlo illeggibile. Poiché invece lo scopo era di dare di un così ricco materiale una lettura piacevole e accessibile a un vasto pubblico, abbiamo preferito ricorrere alla prosa, sforzandoci però di restituire il ritmo e soprattutto lo spirito dei canti» (Agrati ~ Magini 1988). Ne risulta in realtà un testo farraginoso, privo della melodiosa levità dell'originale.

Numerose sono tuttavia state, nel corso degli anni, le edizioni per ragazzi del Kalevala. La prima in assoluto sembra essere quella contenuta nel volume Epopee, curato dallo scrittore spagnolo Miguel Escalada (1926). Segue l'ottima versione di Elena Primicerio, Finlandia, terra d'eroi: Racconti di Kalevala, pubblicata nel 1941 e riproposta nel corso degli anni da Bemporad, Marzocco e Giunti (l'ultima edizione è del 2007). Tra le altre riduzioni per ragazzi ricordiamo quella di Pino Bava (1957), di Giovanni Randone (1971), di Gabriella Agrati e Maria Letizia Magini (1987). Splendida la riduzione della scrittrice Ursula Synge (Land of Heroes: a Retelling of the Kalevala, 1978), uscita col titolo Racconti finlandesi presso la casa editrice La Scuola (1980).

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  • SYNGE Ursula: Land of Heroes: a Retelling of the Kalevala. Atheneum, New York, 1978. ID. Racconti finlandesi, in «Racconti di tutto il mondo». La Scuola, Brescia 1980 [1987].
Biblioteca - Guglielmo da Baskerville.
Area Finnica - Vaka Vanha Väinö.
Riduzione dell'articolo Il Kalevala, di Dario Giansanti (Minas Tirith 22, Udine 2008)
Pagina originale: 16.05.2009
Ultima modifica: 05.05.2014
 
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