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UGROFINNI
Finlandesi

MITI UGROFINNI
Paolo Emilio Pavolini
KALEVALA
PREFAZIONE ALLA TRADUZIONE ITALIANA. 1910
PREFAZIONE 1910
Note dell'autore
Bibliografia
Paolo Emilio Pavolini
KALEVALA
PREFAZIONE ALLA TRADUZIONE ITALIANA. 1910
 
Cornelio Tacito, il primo scrittore che menzioni i Finni, ne ricorda la fœda paupertas. Ma chi non sa che fra quella miseria di vita, fra quella tristezza di nebbie e di geli, fra il cupo dei boschi sterminati e il fragore delle cascate possenti, è sbocciato e fiorito il più ricco tesoro di canti che popolo possa vantare? Non è mai povera la gente che ha tanta dovizia di poesia: e quella riunita da mani amorose e zelanti, nel Kalevala, ne mostra le gemme più fulgide, i fiori più delicati e coloriti, la più limpida vena.
Come, e da chi raccolta questa poesia? Ecco un capitolo di storia letteraria de' più curiosa e interessanti, quale forse nessun'altra nazione potrebbe raccontare. Dov'è un altro poema popolare di cui si possa seguire verso per verso, episodio per episodio, canto per canto il nascere e il crescere, il fondersi e l'intrecciarsi, l'adattamento e la fissazione definitiva? Quello che in altre letterature costituisce un problema dei più complicati e difficili, quando non addirittura insolubile, qui è chiaro e semplice: dell'edificio vedi le fondamenta e le pietre e le pietruzze ma non solo, ma anche il cemento che le tiene unite; o, se vuoi sciogliere la ghirlanda, ritrovi uno ad uno i fiori di cui fu contesta.
Pure, esporre la storia esterno ed interna del Kalevala non è impresa né breve né facile, anche se ritretta entro i confini in cui volle contenerla il suo più recente illustratore, lo studioso danese Ferdinand Ohrt (1). Ma in questo volume, che sono intende a dar cittadinanza italiana ai canti epici e magici di Suomi, non può trovar posto la storia delle prime raccolte, dei vari tentativi precedenti la vecchia e la nuova redazione del poema per opera di Elias Lönnrot, delle ricerche minute, sapienti, geniali di chi ne indagò la genesi e la composizione, come fecero Julius e Kaarle Krohn, August Robert Niemi, Domenico Comparetti (2).
Basterà ricordare che la critica moderna ha dimostrato come il Kalevala sia intessuto di canti singoli, generalmente brevi (i più lunghi di rado arrivano ai quattrocento versi), raccolti dalla viva voce dei laulajat o cantori, che ne conservano la memoria di padre in figlio, quali di certi canti, quali di altri; di rado ricantandoli nella identica forma, poiché vi aggiungono o vi tolgono versi, o sostituiscono un personaggio a un altro. Presso alcuni dei laulajat più celebri per potenza di memoria e ricchezza di «repertorio», vari canti sono già combinati in una specie di ciclo. Così nella Carelia russa si era già formato (e lo constatò il Topelius) un raggruppamento di canti intorno alle gesta di Kauko (Lemminkäinen), e soprattutto intorno al Sampo. Ma chi confronti il rozzo riaccostamento di questi cicli rudimentali col modo con cui gli stessi elementi sono insieme combinati nel Kalevala, anche solo per rispetto ai due gruppi ora ricordati, vedrà come la composizione del poema sia essenzialmente opera di Elias Lönnrot (1802-1884); che in sostanza seguì il metodo tenuto dai suoi predecessori, primo fra tutti dal grande fondatore della fennologia, Enrico Gabriele Porthan († 1804). Nel trattatello De poësi fennica (1766-1768), questi raccolse più varianti di uno stesso canto per ricavare poi un testo originario (come a lui sembrava) dalla combinazione delle varianti medesime; senza accorgersi (come osserva l'Ohrt, op. cit., pag. 17) che «le varie forme di un canto sono parti viventi di uno svolgimento che si estende su età differenti ed anche su differenti regioni».
Così il Lönnrot: egli ha davanti a sé diverse redazioni di un dato episodio; un particolare che manchi a quella presa come base, vien completato da alcuni versi tolti ad un'altra; mentre un'altra gli fornisce un dettaglio pittoresco, un tratto faceto. Spessissimo si presenta l'occasione di inserire nel racconto un brano lirico (3), o di riportare un canto magico, uno scongiuro (4), benché i laulajat in questi casi recitino solo qualche verso caratteristico od anche semplicemente avvertano che «qui si canta il tal runo magico». Anche dalla mèsse così copiosa dei proverbi si innesta al racconto qualche spiga (5). Mutato il nome dell'eroe o dell'eroina, entran poi nel poema alcune ballate non appartenenti né ai cicli né talvolta alla materia kalevaliana. Raro il caso che il Lönnrot inserisca versi di sua fattura: dato l'immenso numero di varianti alle quali poteva attingere e la prodigiosa memoria (6) che glie ne richiamava i versi più opportuni a un «passaggio» o ad un «attacco», s'intende come non vi sia quasi linea in tutto il lunghissimo poema che non trovi corrispondenza nella tradizione popolare. Così si è avuto il risultato che «nel Kalevala non c'è un solo canto che venga realmente e stabilmente cantato dal popolo, benché tutti veramente popolari siano i versi di cui si compone» (7). Il Lönnrot stesso, con la franchezza e l'onestà che accompagnarono ogni atto della sua vita, già nella prefazione al vecchio Kalevala (1835), riconosceva come stessero le cose: «...i canti sono ben combinati, secondo il mio parere, nell'ordine che ho loro dato, ma forse si potrebbero combinare anche meglio in un altro ordine» [VEDI]. E più chiaramente ancora nella prefazione al nuovo Kalevala (1849): «La combinazione è stata fatto quanto meglio si poteva tenendo conto del carattere del Kalevala; ma c'è sempre dell'arbitrario (8): poiché nemmeno pressi migliori cantori si sono trovati parecchi canti riuniti in un ciclo... e dalla combinazione or l'uno or l'altro può non sentirsi soddisfatto [VEDI]... Infine, siccome nessuno dei cantori poteva gareggiare con me per la quantità dei canti raccolti, pensai che mi spettasse lo stesso diritto che secondo la mia convinzione i più di essi si erano arrogati, cioè di combinare i canti nell'ordine che meglio mi sembrasse loro convenire, ossia, per dirla con le parole del poema,
e mi feci mago anch'io,
io pur presi a far scongiuri». (9)
Verissimo: il Lönnrot è in un certo modo l'ultimo e il più grande dei laulajat e a buon diritto si vale dei loro stessi procedimenti e si prende le loro stesse libertà; simile a loro anche in questo, che mentre ha un sentimento finissimo della poesia popolare, non possiede egli stesso (per fortuna dell'opera sua), alcuna attitudine a poetare. Un dotto, senza dubbio: ma un dotto sui generis, che, nato dal popolo, quasi sempre visse in mezzo ad esso, condottovi anche dalla sua professione di medico, lungamente e nobilmente esercitata; e nei ripetuti e disagiati viaggi, così proficui per la raccolta dei canti, si trovò sempre tra contadini e pescatori e boscaiuoli, assimilandosi le loro usanze, i loro idiomi, tutta la loro vita. Pure, un tratto distingue il cantore letterato dal laulaja incolto: questi non avrebbe mai pensato a cercare una unità epica cui accentrare i runot, a raggruppare personaggi ed episodi secondo un paio prestabilito.
Unità non raggiunta nemmeno dal Lönnrot: a chi abbia letto le acute considerazioni del Comparetti (cito una delle opere maggiori sul poema finnico, e la più accessibile ai nostri lettori) appare evidente come l'unità interna manchi, come e il Sampo, e la Fanciulla di Pohjola, e la Vittoria di Kalevala su Pohjola abbiano ugualmente diritto a chiamarsi l'argomento del poema; che avrebbe potuta anche, e forse meglio, intitolarsi da Väinämöinen (10); ed entro al quale certi episodi, come quello bellissimo di Kullervo, e tutto il ciclo di Lemminkäinen, appaiono come pezzi di stoffa di altro colore e tessuto, cuciti sul panno principale. Pure, tanta è la penetrazione del raccoglitore con i materiali del canto, tanto felice attitudine la sua a cogliere di ogni episodio l'aspetto più caratteristico e la forma più pittoresca, che il poema non gli è riuscito una fredda e meccanica saldatura di frammenti, ma una creazione vivace e vitale. Se manca l'unità epica, vi spira per entro una mirabile unità poetica.
Per il modo con cui risulta composto di materiali eterogenei, per il suo carattere che è spesso più di mosaico che di pittura, il Kalevala non può servire – e la critica moderna non ha tardato ad accorgersene – come documento di ricerca scientifica, e le fallaci conclusioni che ne trassero alcuni studiosi non abbastanza cauti o non abbastanza informati stanno ad attestarlo (11). Ma esso è pur sempre il quadro più grande e completo della vita della gente finna, la espressione più fedele e simpatica dei suoi pensieri, delle sue gioie e delle sue tristezze; e la nazione finna terrà sempre caro e onorato il nome di colui che a comporre quel quadro con gentile e affettuosa armonia di tinte e di figure attese per tanti anni di una vita esemplarmente operosa, lasciando ai posteri, a documento della sua scrupolosa onestà e del suo delicatissimo sentimento di responsabilità, tutti quanti i materiali di cui egli si servì: in modo da rendere possibile lo studio della formazione del poema, dai primi tentativi di R. von Becker (1820) alla pubblicazione del Kalevala nella sua forma definitiva (1849).
Il Lönnrot poté senza alcuna difficoltà e senza la minima alterazione inserire nel Kalevala numerosi brani di vario carattere e provenienza, per il fatto che tutta quanta la poesia tradizionale dei Finni (e dei loro fratelli Estoni), canti epici e magici e lirici, del pari che proverbi e indovinelli rimati, è redatta in un metro unico: il cosiddetto runo. Runo significò dapprima «poeta», come risulta dal trovarsi ben spesso usato parallelamente a laulaja «cantore»; poi, per probabile influsso del nordico rún, ebbe il valore di carmen (12); e più specialmente di canto composto in quell'ottonario trocaico allitterante, che è appunto il metro nazionale finnico. A rendere il quale nella nostra lingua occorreva spontaneo l'ottonario. La vecchia obiezione della monotonia ingenerata dall'uso di questo verso per lunghe composizioni ha, nel caso nostro, un valore assai relativo; ed ebbero torto, secondo me, quei traduttori che, ad evitarla, mescolarono i tronchi, inauditi nella poesia dei runot, ai versi sempre piani dell'originale: non parlo di chi ricorse ad altri metri, decasillabi, endecasillabi sciolti, martelliani rimati, con un effetto quasi comico a chi conosca e senta la semplicità quasi infantile del ritmo originale. La cosa che più colpisce nel sentir cantare un runo è appunto la monotonia; ciascuna coppia di versi (13) ha un'identica cadenza musicale, e movimento strofico non esiste. Si rammenti poi che i laulajat non cantano né un poema né un poemetto, ma solo brani, epici o lirici, generalmente brevi. L'essere ora questi brani ricuciti insieme in una specie di poema, non deve indurci a dimenticare il loro carattere originario. La grande monotonia del runo cantato si attenua, è vero, nel runo recitato: nel quale l'accento ritmico, sovrano nel canto, non coincide sempre coll'accento grammaticale, che riprende i suoi diritti nella recitazione, dando al verso una varietà insospettabile da chi lo abbia sentito solamente cantare. Ma non è vietato al traduttore di conservare, con lo spostamento di accenti dell'ottonario regolare, un riflesso di questa varietà (14).
Il verso breve è caratteristico di ogni poesia antica e popolare: di poche sillabe consta il verso corrente dell'Edda, di poche quello dei Serbi;e il metro che all'occhio appare più lungo nelle byliny russe e nel «verso politico» dei Greci, all'orecchio si rivela in realtà combinazione di versi brevi. Ed è assurdo e repugnante ad ogni sano criterio di traduzione il diluire in un endecasillabo o in un martelliano l'ottonario trocaico, falsando tutto il carattere della poesia originale: tanto più che in quei metri è quasi impossibile conservare le due precipue caratteristiche del runo, l'allitterazione e il parallelismo.
La rima iniziale è facilissima ai Finni, tanto per la povertà di consonanti della loro lingua (15), quanto per cadere l'accento esclusivamente sulla prima sillaba; cosicché, nel breve giro di otto sillabe si ha quasi sempre allitterazione duplice, ma anche ben spesso triplice e quadruplice (16). Un brano qualunque darà un'idea di questa peculiare armonia risultante dalla rima iniziale:
Sanoi seppo Ilmarinen:
Vakavampi maisin matka.
Lempo menköhön merelle,
surma suurelle selälle!
Siellä tuuli turjuttaisi,
siellä viskaisi vihuri,
saisi sormet soutimeksi,
kämmenet käsimeloiksi.

Ilmarinen fabbro disse:
«Più sicuri andrem per terra;
vada pur Lempo sul mare,
sul gran dorso Morte corra!
colà scuoterci violento
l'uragano verrà, e il vento;
saran remi queste dita
e timoni queste palme».

Kalevala [XXXIX: 33-40].

Quando tale allitterazione veniva spontanea nel tradurre, non v'era ragione ch'io rinunziassi a questo mezzo così efficace di riprodurre il colorito dell'originale; e son certo che, abituato l'orecchio a questa nuova insistenza di suono, non si udranno senza piacere versi come questi, che sono eco fedeli dei finnici:
Tuli tuhmaksi rupesi

Fuoco, folle di furore

Susi juoksi suota myöten Corse il lupo lungo il lago
Tuon seppo tulehen tunki Lo ficcò nel fuoco il fabbro
Kalevala [IX: 71, 99, 167].

Talvolta anzi nella traduzione la rima iniziale è toccata in più ricca misura che all'originale (per es. Kalevala [XXXVII: 208 | XXXVIII: 140], etc.), nel quale non è caso infrequenti che manchi: e oso dire che un verso come

Verginella vaga in volto

parrà a un finno altrettanto felice e armonioso quanto il suo

Neiti kaunis katsannolta  (17)

Ad altri artifici, ma sempre, per così dire, spontanei, ricorsi per mantenere l'omeofonia tra verbo e nome (18), e per rendere altri aspetti speciali del testo.
Si comprende come la rima iniziale sia, del pari che la rima finale presso altre genti e presso poeti anche grandi, suscitatrice di immagini e di idee; alcuni epiteti costanti, alcune frequenti similitudini le debbono la loro esistenza: così per esempio il fatto che la luna è quasi sempre chiamata «aurea» (19) deriva semplicemente dalla affinità fonetica tra kuu «luna» e kulta «oro»; e al sole, nei versi paralleli, rimane, com'è da aspettarsi, l'epiteto di «argenteo».
Non cercata, ma inevitabilmente prodotta dalla consonanza delle desinenze di caso nei nomi e di flessione nei verbi, abbonda nel runo anche la rima finale. Gli inessivi in -ssa/-ssä, gli ablativi in -lta/-ltä, gli elativi in -sta/-stä, gli adessivi in -lla/-llä, i traslativi in -ksi, gli infiniti in -mahan/-mähän, in -minen, in -tahan/-tähän, gli astratti (partitivi) in utta, etc., si seguono e s'intrecciano con frequenza grandissima, dando talvolta, con loro disporsi simmetrico, quasi un'apparenza strofica a un dato gruppo di versi. Era necessario avvertirsi ciò, per evitare il rimprovero di aver impiegato così spesso rime così facili e così povere come quelle in -are, in -ato, in -ezza e simili. La stessa povertà è nell'originale; e così per esempio le quattro rime in -ava corrispondono a tre rime in -evi [I: 189-190], le quattro in -rai a quattro in -ksi [IX: 149-152], le quattro in -are a quattro in -massa [IX: 359-362]; così dicasi di tanti e tanti luoghi che dànno eco fedele, anche nelle rime finali, al testo del runo, mantenendosi talora anche la frequente rima interna (20). Ma non sempre ebbi il coraggio di dare alla rima italiana l'uniformità che non offende ma diletta nel runo: nel caso cioè di lunghissime tirades monorimes, come quella in [XVII: 191-238] di ben quarantasette versi (21); però la conservai in [XXIII: 55-78] dove il testo ha, tutte di seguito, ventiquattro rime in -minen! Dove poi, coll'alternare delle rime, cercai di dare un po' di movimento e di varietà alla monotonia del runo, ebbi cura che non ne scapitasse la fedeltà più scrupolosa (22); ma molte volte la disposizione delle rime corrisponde perfettamente a quella dell'originale (23). Così, per possedere anche l'italiano grande ricchezza di desinenze eguali, e per essere nella nostra lingua possibile la frequente rima iniziale, questa traduzione (se l'amore postovi non mi illude) rende forse più di ogni altra il carattere del testo: aderenza che riesce più facile al magiaro, favorito com'è dalla affinità di struttura grammaticale col finno. Un esempio tra tanti, nella versione del Béla (24):

Kár az arany fogyasztani,
az ezüstöt apasztani!
Nem megyek én észt hazába,
nem megyek nem én, hiába
evezgetni ézst vizeken,
cskáklyázgatni észt szigeten,
élni Esztország halával,
enni észt levest kalánnal.

Per necessità metriche ho dobuto permettermi alcune licenze, spero giustificabili di fronte alle difficoltà da vincere: ho posto cioè, nei nomi finnici, l'accento su varia sede secondo i bisogni del verso: e Ilmári e Ilmarí, Pohjá o Kullérvo saranno scusati come si scusano Ettórre o Agamennóne. Ho sdoppiato talvolta le vocali lunghe del finnico, facendo Muurikki trisillabo [I: 63], ma lasciando bisillabo Kaatra [III: 180]; così Saa-ri [XI: 21-22], ma Sa-a-ri [XI: 91], etc. (25).
Un altro tratto essenziale e caratteristico della poesia finnica che va illanguidito o spesso perduto col tradurre in altri metri, si mantiene perfettamente con l'ottonario: il parallelismo. Esso è fenomeno più noto, per l'uso che se ne fa nella poesia di vari altri popoli, segnatamente degli Ebrei; ma è nella finnica elemento costante e necessario, fonte di bellezza e di grazia, quando non sia di stranezza; artificio che rende l'espressione vaga e indefinita dovendosi lo stesso pensiero ripetere in due, non di rado in quattro e più versi con parole differenti, sì da risultarne una proteiforme varietà di immagini (26). Crescono le difficoltà al tradurre, e spesso diventano insuperabili, quando si tratti di nomi differenti per cose o animali che i Finni posseggono in più forme o in più modi, e noi in uno o in nessuno; come trovare un numero adeguato di sinonimi per le varie specie di slitta e di pattini, per i vari aspetti della neve e del ghiaccio, dei boschi, etc.? Altri dai nostri gli ordigni da pesca, i sistemi di caccia, gli arredi domestici... Ostacolo più di tutti grave, la stessa struttura del finnico, con la sua ammirabile e disperante concisione e precisione. Se il Castrén, a scusare i difetti della sua traduzione, ricordava che il finnico e lo svedese sono lingue «himmelsvidt skilda från hvarandra» (27), che dovremo dire dell'italiano? Noi non abbiamo, per esempio, il zu dei Tedeschi per rendere brevemente il magnifico traslativo in -ksi, uno dei più espressivi fra i sedici casi della declinazione finnica; e con la ricchezza, che pur non ci manca, di diminutivi e vezzeggiativi, non arriviamo a riprodurre tutta intiera la grazia di un vetonen «acquettina» [I: 98], di un aurinkoinen «solicchio» [XV: 186], di un kainaloinen kana, letteralmente «colomba che si tiene sotto l'ascella [kainalo]», per riscaldarla [XVIII. 614]: l'allitterazione è madre di tali leggiadre e intraducibili espressioni. Nella canzoncina in cui la fanciulla si augura vicine le nozze, essa non dice propriamente che le toccherà aspettare
...kesosenko, kaksosenko,
viitosenko, kuutosenkoi...

...per due estati, per tre forse,
o per cinque, oppur per sei...

Kalevala [L: 61-72]

ma lo dice con altrettanti diminutivi (28), quasi a far più breve e leggero il tempo che la divide dal giorno sospirato.
 
Il Kalevala non è, abbiam visto, un poema vero e proprio, ma un insieme di canti, lunghi, brevi e brevissimi, insieme collegati in unità poetica. Non c'è più, quindi, una questione circa l'età del Kalevala, ma solo tante questioni circa l'epoca cui risalgono i vari canti di cui è composto. Tale epoca non sembra, anche per i più antichi di essi, molto remota; di più, dopo le metodiche ricerche di Kaarle Krohn (29), non si può dubitare che in non piccola parte quei canti siano imprestiti fatti ai Finni dai loro vicini svedesi e russi, agli Estoni dai Lettoni e dai Lituani. Che leggende cristiane siano state versificate in gran numero nel metro nazionale, è innegabile; e che a queste si siano adattati antichi racconti ed antichi eroi di runot pagani, è pur certo. Ricordiamo alcuni esempi caratteristici. In un canto finno occidentale il seminatore degli alberi [II: 12 segg.] è Gesù in persona; l'episodio della madre di Lemminkäinen ricercante il figlio perduto [XV: 127-188] è ricalcato da leggende (30) intorno a Maria in cerca di Gesù (vedi nell'ultimo runo); da cicli intorno a Cristo derivano pure [XV: 215-238 | 254-256 | 307-376]; il runo XVI narrava originariamente la discesa del Cristo all'inferno; [XIX: 317-318] richiama ad una leggenda in cui la testa di Cristo è portata alla comunità religiosa come «sedia»; in XXXIX e XL in principio, il racconto del Viaggio per mare risale al Canto del lago di Genezaret, con Gesù, Pietro e Andrea per personaggi; in XLVII-XLIX la liberazione del sole è in origine opera del «figlio unigenito di Dio, Gesù», il quale lo tolse dal nascondiglio di Pohja, sfuggendo poi ai suoi persecutori con mezzi simili a quelli adoprati da Lemminkäinen [XXVI: 425 segg.] in una delle sue perigliose avventure (31).
Torna a grande onore dei dotti finni di avere sé stessi sfrondato le esagerazioni e gli eccessivi entusiasmi, di aver fornito con la loro critica equanime e impregiudicata la giusta misura per valutare il Kalevala sotto l'aspetto storico ed estetico. Nessuno dovrebbe più oggi giudicare del poema finnico alla stregua dell'Iliade e dell'Odissea, né ripetere l'errore di Julius Krohn, biasimando deficienze e contraddizioni nella caratteristica dei vari personaggi, come se gli elementi epici fossero tutti di un getto e di un poeta, e non – come sono – frammenti di canti diversi per tempi e luoghi e valore. Solo pei tipi già fissati dalla tradizione epica popolare, troviamo nel Kalevala unità e vigoria di rappresentazione: Väinämöinen, il mago-poeta; Ilmarinen, che ha conservato solo pochi tratti del suo carattere di dio dell'aria (32), e sta in antitesi quasi sanchopanzesca col sapiente fratello suo, pratico com'è, tardo alla decisione, ma poi forte nell'opera, pronto all'umorismo (33); Lemminkäinen, il guerriero avventuroso e vanitoso, il seduttore scapestrato e ciarliero (34), abile stregone e ragazzo sbarazzino, figlio amoroso e devoto, la creazione più originale e multiforme della Musa finnica; Accanto alla quale più spicca la cupa e selvaggia figura di Kullervo, sventurato fin dalla nascita e fino alla morte nutrito d'oro e di vendetta. Un solo raggio dolce e benefico ne rischiara la fosca, tragica vita: l'affetto per la madre. Ché se in tutta questa poesia gli affetti familiari sono profondamente sentiti ed espressi (35), più di ogni altro l'amor materno. Debba pur la madre di Lemminkäinen i suoi tratti più commoventi alle leggende su Maria madre di Gesù, ricorrano pur nella fantasiosa poesia delle lacrime che piange a fiumi e a cascate la desolata madre di Aino [IV: 435-518] «motivi» di più canti lirici, certo la reverenza filiale trova accenti sentiti e purissimi in tutti i runot del poema: la nota voce della madre sola può calmare e rassicurare il bambinello piangente [XXIII: 167-174]; e
...päivän-päälliset unoset,
emon armahan sanaset,
joka kirnun pettäjäiset!

il dormire a giorno fatto,
della mamma i dolci detti
e la panna sopra il pane!

Kalevala [XXIII: 38-40]

Ecco tre cose che la sposina non ritroverà più, una volta lasciata la casa dove nacque e fu allevata. Quando si stabilisce una gradazione d'affetto (es. [IV: 228-230]), quello della madre sta sempre in cima d'ogni altro; onde si dice giustamente:
Kenen tyttöä ikävä?
Kenen muun, kun ei emonsa!

Or chi piange per la figlia?
e chi mai, se non sua madre!

Kalevala [XXIV: 219-220]

Per questo il cuculo canta solo due mesi a conforto della fanciulla senza amore, sei mesi a conforto dello sposo che ha perduto la sposa, ma sempre a conforto della madre orbata della figlia [IV: 489-504]. E come solo la madre piange la morte del figlio [XXVI: 125-154], così soltanto per la perdita della genitrice si addolora il cuore indomito di Kullervo [XXXVI: 205-234]; sulla tomba della madre va il vecchio e sapiente Väinämöinen nell'ora dell'angoscia [V: 220 segg.], non della mitica Luonnotar, ma di una donna che per lui ha pianto e sofferto; contraddizione delle più umane e spiegabili. E nella tristezza del deserto inospite, né Tiera pensa alla giovine sposa, né Lemminkäinen a Kyllikki, ma ambedue solo alla madre [XXX: 389-426], all'affetto della quale un altro innalza un elogio riboccante di tenerezza e reverenza [XXIII: 462-478].
Altri e grandi pregi ha questa poesia: vivissimo il sentimento della natura (36), che fa degli uccelli interpreti del pensiero dell'uomo [VIII: 57-60, etc.] e luna e sole risaluta con esultanza quasi vedica [XL: 403-422], che svela la simpatia per il mondo degli animali nelle similitudini leggiadre, negli epiteti carezzevoli trasferiti alle donne (37), nella familiarità con cui le bestie parlano all'uomo e gli dànno ammonimenti e consigli: la cinciallegra a Väinämöinen [II: 251-256], il tordo alla fanciulla di Pohjola [VIII: 69-80], il corvo a Kullervo [XXIII: 103-122]. Ma anche gli alberi del bosco, le pietre della strada, le spade nel pugno dell'eroe, le barche inoperose sul cantiere parlano, soffrono, gioiscono e sperano. Se il lettore (non l'uditore, che ne godeva e ne gode a più piccole dosi) può stancarsi nei lunghi canti delle feste nuziali (38), tanto più sentirà la bellezza dei versi deliziosi che descrivono la casa tutta fremente nella desiosa aspettazione della sposa, sua futura signora; tanto più gli piacerà la fresca e birichina e gentile canzoncina del «bimbo sul piancito» [XIX: 357-406] o l'umoristico racconto del taming of the shrew [XXIV: 269-296].
Ma soprattutto è bello che in questo mondo fantastico e avventuroso più d'ogni altra cosa valga non la forza brutale, ma quella dello spirito, non l'arme ma la parola; con la potenza delle parole magiche Väinämöinen incanta e vince Joukahainen [III: 283-330], Lemminkäinen evoca le schiere soccorritrici del bosco [XII: 253-296] e scampa da rischi tremendi; per essa si arresta il sangue sgorgante a fiotti dalle ferite, si guariscono le piaghe del ferro e i morsi del fuoco, si respinge l'assalto mortale del gelo. La parola è, al pari della divina Bibbia, creatrice; e chi è poeta, ποιητής, trasforma un arido isolotto in prati smaltati di fiori, riveste di verde gli alberi e sui rami chiama gli uccelli canori, copre le povere mense di calici d'oro e di piatti d'argento. Se non ricordassi lo squisito canto greco di San Basilio (39), direi che in tutta la poesia popolare ben di rado s'incontra cosa altrettanto vaga quanto il racconto del miracoloso cantare e creare di Lemminkäinen, nella Saari ricca di donzelle e di amori. Ma il Kalevala stesso ha, nel tanto celebrato runo dell'arpa (40), un altro canto di insuperata bellezza.
La presente traduzione fu incominciata fin dal gennaio 1903, dapprima come esercizio ed aiuto ai miei studi di finnico. Voltati in prosa letterale i cicli di Kullervo e di Lemminkäinen e il runo della kantele (41), vidi con quanta frequenza, nel seguire il testo ad verbum, vi si mescolassero gli ottonari; in un senso infinitamente più modesto, potevo far mio l'ovidiano quod conabar, dicere versus erat! Rifeci pertanto nel metro dell'originale quei sedici runot, e poi, a poco a poco, tutti gli altri; finché nel settembre 1907 il manoscritto della traduzione completa fu consegnato all'Editore. Per una buona metà del lavoro non ebbi altri aiuti che quelli di due altre traduzioni: la tedesca dello Schiefner (1852) e la francese di Léouzon Le Duc (1867), nonché del vecchio dizionario finno-svedese dell'Eurén. Più sicuro e spedito andai innanzi quando ebbi anche la ottima traduzione svedese del Collan (1864-1868) e quella tedesca, meno fedele ma più elegante, di Hermann Paul (1885); solo durante la revisione delle bozze potei confrontare la recente e meritoria versione inglese del Kirby (1908); inoltre il ricco dizionario finno-francese del Koskinen, la copiosa letteratura esegetica e critica intorno al Kalevala mi sorreggevano nella lunga via, e mi aiutavano a superarne gli ostacoli (42).
Ma al compimento del lavoro occorrevano anche aiuti materiali: e con animo profondamente grato riconosco quanto debbo alla Maestà del Re, che si degnò di provvedere alle spese di un mio viaggio e soggiorno in Finlandia nell'estate del 1904; durante il quale potei conoscere direttamente alcuni preziosi materiali di studio e sentir recitare, nel remoto villaggio careliano di Äimäjärvi, alcuni runot da uno degli ultimi vecchi laulajat, l'ora defunto Iivana Härkönen. Nel percorrere
Suloisessa Suomen maassa,
kaunihissa Karjalassa.

di Suomi il suol soave,
la Carelia cara e bella

Kalevala [XLIII: 405-406]

ebbi modo di godere e apprezzare la squisita gentilezza ed ospitalità di amici e colleghi: fra i quali, non potendo qui enumerarli tutti, ricordo con particolare gratitudine per quanto fecero per me allora e in seguito, Emil N. Setälä, la signora Helmi Setälä, Kaarle Krohn. A parte delle spese necessarie per le illustrazioni fototipiche volle provvedere la «Società Finna di Letteratura» [Suomalainen Kirjallisuuden Seura], la istituzione così altamente benemerita della coltura nazionale; e la medesima mi fu anche liberale donatrice di libri. Akseli Gallén-Kallela, il cui magico pennello ha fissato in tratti imperituri i tipi e i paesaggi del Kalevala, permise che dei tesori dell'arte sua mi giovassi liberamente ad abbellire il volume: al quale l'amico Vittorio Gorcos fece, con la gentilezza e l'arte sua squisite, il dono della copertina, ritraendovi le mani, in un reali e simboliche, dei cantori finni. Ad eccezione dei clichés per il ritratto del Lönnrot e per le tre figure a pag. 153, 247, 263, favoritimi questi da Iivo Härkönen e quello dal solerte editore Verner Söderström, tutti gli altri furono eseguiti dall'«Istituto Micrografico Italiano» di Firenze, il cui direttore, prof. L. Pampaloni, non risparmiò cure affinché riuscissero nel modo più soddisfacente. Il Ministro della Pubblica Istruzione mi concesse, ad opera compiuta, e su parere favorevole del Consiglio Superiore, un sussidio d'incoraggiamento. All'editore Remo Sandron, che non esitò ad accogliere nella Biblioteca dei popoli questa poesia tutta di popolo, che non badò a sacrifizi per darle veste decorosissima, spetta, oltre alla riconoscenza mia, quella di ogni spirito colto. Col dedicare poi questo volume a Domenico Comparetti, io non gli rendo che una piccolissima parte di quello che ho ricevuto e guadagnato dal suo geniale sapere e dai mezzi di studio posti così cortesemente a mia disposizione.
Possa ora il mio modesto lavoro, che cercai con ogni cura di conformare allo spirito e alla lettera del poema finnico, procacciare ad esso anche nel nostro paese la simpatia che merita non solo come opera poetica, ma anche come sintesi della vita, del pensiero e delle aspirazioni di un popolo degno, per più motivi, di ammirazione e di affetto.

Paolo Emilio Pavolini
Agosto 1909

 

NOTE DELL'AUTORE
 

(1) ― Nel suo eccellente libro Kalevala som folkedigtning og national-epos (Ohrt 1907).RITORNA

(2) ― Un saggio delle ricerche kalevaliane e dei vari metodi ed indirizzi in esse prevalenti, con una bibliografia delle numerose traduzioni del poema, sarà da me prossimamente pubblicato negli Studi di filologia moderna diretti da G. Manacorda. Il lavoro era già pronto da tempo, ma ho dovuto riprenderlo e modificarlo per la necessità di studiare anche i copiosissimi materiali contenuti dei due grossi volumi dei Vienan läänin runot, di recente editi. RITORNA

(3) ― Si vegga, per esempio: [V: 196-219 | VIII: 53-80 | X: 441-462 | L: 61-72] (cfr. Kanteletar [II: 78]), etc. RITORNA

(4) ― Vedi la lista di tali inserzioni [QUI]. I canti magici dànno un totale di 4400 versi, i nuziali di 2490, sui 22795 di tutto il poema. La prima redazione del quale, in 35 canti, comprendeva soltanto 12078 versi. RITORNA

(5) ― Ho notato i seguenti: [VII: 39-42, 227-280, 285-288 | X: 583-586 | XII: 409-410, 411-412 | XIV: 151-152 | XIX: 507-518 | XXIII: 421-422 | XXVI: 91-92, 435-438 | XXVII: 199-200 | XXXIX: 196-172, 416-417 | XL: 123-124, 141-144 | XLII: 45-46, 525-526 | XLIII: 337-340 | XLIX: 161-162, 281-282 | L: 199-200]. RITORNA

(6) ― Situazioni o pensieri affini richiamano al Lönnrot versi di altri episodi, di altro contesto; sì cfr. per es. [XLIII: 149-150] con [XXXI: 371-372]; [XLVIII: 166-168] con [XXXV: 17-20]; [L: 342-344] con [XV: 147-148]; [L: 583-586] con [XXIII: 831-834]; [XLII: 477-486] con [XXX: 149-150]; [XXIV: 397-400] con [XXXVI: 281-284]; [L: 429-430] con [XXXI: 81-82]; [XXIX: 313-314] con [XVI: 78]; [XLVIII: 329-332] con [II: 117-121]. RITORNA

(7) ― Domenico Comparetti, Il Kalevala, pag. 17 (Comparetti 1891). RITORNA

(8) ― Come ce n'è, per citare un altro esempio interessante, nel procedimento, simile a quello del Lönnrot, che tenne Walter Scott nel costituire il testo di molte ballate popolari scozzesi, scegliendo cioè i tratti che più gli piacevano delle loro varie redazioni. Così, la ballata è sua quanto alla composizione, ma dei cantori popolari quanto ai materiali. Lo stesso dicasi, in gran parte, della famosa raccolta del Percy. Cfr. Garnett.Gosse, English Literature, I, pag. 302.RITORNA

(9) Kalevala [XII: 167-168]. RITORNA

(10) ― Già nel 1833 il Lönnrot aveva combinato, in un poemetto di circa 5000 versi, in sedici canti, intitolato appunto Runokokous Väinämöisesta («Raccolta di canti su Väinämöinen»), le avventure dei tre eroi (Väinämöinen, Ilmarinen, Lemminkäinen), insieme ai canti nuziali. Questo «Kalevala in miniatura» rimasto inedito fino a pochi anni fa, «è propriamente il primo epos uscito dalle mani del Lönnrot» (Wiklund 1901). RITORNA

(11) ― Basta ch'io citi l'episodio della «grande quercia» nel secondo runo. Naturalmente i mitologisti hanno tirato in ballo l'Yggdrasill, il frassino mondiale dell'Edda e la sua parentela, stabilendo le equazioni quercia = Wetterbaum e ascia = fulmine. Ma la quercia è proprio una semplice quercia, e il canto, che viene dall'Estonia, è in origine un breve componimento epico-lirico, di ragazze che cercano marito. Lo stesso carattere conserva nell'Ingria e nella Carelia meridionale, finché al nord del lago Ladoga si svolge in un runo epico-magico. È ovvio che il crescere della quercia, albero maestoso e dal fitto fogliame, abbia suggerito l'immagine del sole oscurato e delle nubi trattenute nel loro corso. Nei canti estoni l'abbattitore della quercia è il fratello della ragazza; dal legname si fanno oggetti di ogni genere, soprattutto il baule per il corredo della sposa, e una sauna ammirata da tutti. Nella Carelia orientale il canto si combina con lo scongiuro «contro la puntura», nel quale manca qualsiasi accenno alla quercia. L'uomo dal mare alla sua volta viene da una ballata estone: la cantatrice accoglie sposi dal mare, cavalieri medievali in armatura di rame, d'argento e d'oro. Altri elementi si sono infiltrati per sbagli di nomi (Tursas, probabilmente un cavallo marino, scambiato con Turja Lappalainen, il «Lappone norvegese»). Così che appare superficialmente uno, è invece molteplice e multiforme. Cfr. Kronn nella recensione del libro di K.A. Fraansila, Iso Tammi («La grande quercia»), pagg. 26-35. RITORNA

(12) ― Il lessico del Renvall (Renvall 1826) gli attribuisce solo questo significato: badando al quale l'ho fatto in italiano, a differenza de' miei predecessori, di genere maschile. Per il passaggio di significato si ricordi il francese charme da carme. RITORNA

(13) ― Giova ricordare che nelle feste e conviti i runot si sogliono cantare da due laulajat, seduti, come li descrive l'esordio del poema [I: 21-24], con le mani intrecciate: il primo di essi, il päämies, canta un verso che il secondo, il säistäjä, ripete, dando così tempo al compagno di ripensare o talora di improvvisare il verso seguente, che viene alla sua volta ripetuto, e così via per tutto il canto. Qualche volta che il päämies è a corto di espressione, il parallelismo assume quelle forme ingenue o fiacche di semplice ripetizione, di cui si hanno esempi anche nel Kalevala. Così per esempio:

Olipa lapsi lattialla.
Lauloi lapsi lattialta...

C'era un bimbo sul piancito.
Cantò il bimbo dal piancito...

Kalevala [XIX: 355-356]
Oi on armas akkaseni!
Sano armas akkaseni...
O mia cara vecchiarella!
Dimmi, cara vecchiarella...
Kalevala [XXXIV: 129-130]
Yksi pursi uusi pursi,
toinen pursi vanha pursi.
Una barca, barca nuova,
l'altra barca, vecchia barca.
Kalevala [XLIV: 45-46]

Spesso anche il päämies ripete nel secondo verso la seconda parte del primo, già ripetuta dal säistäjä (per es.: [II: 145-146 | X: 380-381 | XIII: 181-182 | XXII: 245-246 | XL: 117-118]); seppe che il traduttore deve riprendere per sé! RITORNA

(14) ― Per esempio: [II: 30, 140 | IX: 484 | XV: 148 | XLVI: 513 | XLVII: 18 | L: 338], etc. RITORNA

(15) ― Che ne ha solo undici; circa il 20% dei vocaboli cominciano per k. RITORNA

(16) ― Per esempio: «vaskivyöhyt vyölle vyötty» [II: 121]. E, per la frequenza del k

Kunki kunnahan kukulle
kasvoi kolme koivahaista,
kunki koivun latvasehen
kolme kullaista käkeä.

Al disopra d'ogni vetta
crebber tosto tre betulle,
nel fogliame di ciascuna
ecco tre cuculi d'oro.

Kalevala [IV: 485-488]

RITORNA

(17) Kalevala [XXVII: 208]. RITORNA

(18) ― Per esempio: tuli tuuli → «venne il vento» [XXIX: 379 | XXX: 423]; kaarta rauta rauahutat → «tu afferri [...] l'arco di ferro» [VI: 103-104]. RITORNA

(19) Kalevala [III: 421-422 | IV: 153-154 | XIV: 223-224 | XV: 163 | XXV: 643-644 | XLIII: 434 | XLIV: 86 | XLV: 354 | LXIX: 2, 39-40, 49-50, 57-58, 407]. RITORNA

(20) ― Per esempio: katalatta kantajatta → «l'infelice genitrice» (Kalevala [XV: 568]). RITORNA

(21) ― In -lta e -sta, meno che nel v. [XVII: 213], dove meglio si leggerebbe, per amore di euritmia, lahon petäjän latvasta. RITORNA

(22) ― Si confronti per esempio: [II: 309-312 | XV: 555-558 | XVIII: 637-648 | XLV: 103-108]. RITORNA

(23) ― Per esempio: [II: 217-224 | VIII: 181-186 | XXXIII: 293-296]. RITORNA

(24) ― Non ho la versione completa, ma cito da quella dei runot su Lemminkäinen, pubblicata nella Magyar könyvtár. RITORNA

(25) ― E così «cinque | anni» [I: 329], ma «cinqu'anni» nel verso seguente. Se invece di o-ri-en-te, cre-a-to-re, etc. misurai o-rien-te, crea-to-re, sarò scusato anche perché il runo ha pur esso frequenti hypérmetra, per esempio [XI: 385 | XII: 395 | XV: 31-42 | XXXIII: 55, 99, 293 | XXXV: 323], etc. RITORNA

(26) ― Esempi: «cane» ↔ «orso» [XLVI: 59-60]; «alce» ↔ «renna» [XIII: 107-108]; un «pulledro di cammello» [XIV: 248]; «folaga» ↔ «cigno» [XV: 619]; «lupo» ↔ «orso» [XVI: 97-98, 561-562]. La «lepre» [IV: 405-408]: altri doppi parallelismi in [IV: 417-420 (= V: 79-82) | VII: 129-132 | XII: 153-156], etc.. Si direbbe che, come pareva al Castrén, il doppio termine concreto serva spesso all'incolto cantore a rappresentare un concetto astratto: un oggetto che è d'oro in un verso, e d'argento nel verso seguente, è un oggetto prezioso. RITORNA

(27) ― Nella prefazione, pag. XXXIII (Castrén). RITORNA

(28) ― Letteralmente: «un duino o forse un treino, un cinquino oppure un seino»! RITORNA

(29) ― Nel lavoro fondamentale Kalevalan runojen historia (7 voll.) e in vari articoli delle F.U.F., specialmente in quello intitolato Wo und wann enistanden die finnischen Zauberlieder. RITORNA

(30) ― Venute dalla Svezia, non prima del 1200, secondo K. Krohn (Krohn 1903-1909). Cfr. anche Ohrt, pag. 140 (Ohrt 1907). RITORNA

(31) ― Degna di esser riferita la chiusa di questo canto, del quale il Lönnrot non poté ancora aver notizia:

E di Dio l'unico figlio
fissò la luce del sole
la fissò sui rami, in basso;
non uguale a tutti splende;
brilla il sole sopra i ricchi,
sopra i ricchi, sopra i belli,
ma non già sui miserelli.
E di Dio l'unico figlio
fissò il sol sui rami, in alto:
ora eguale a tutti splende,
sopra i savi, sopra i ricchi
e sui ricchi egualmente.

RITORNA

(32) ― Cfr. Ilma-tar, la «Vergine dell'aria». RITORNA

(33) ― Per esempio, nel congedo-parodia [XXIV: 467-476]. Nota anche [XXXVII: 209-210], nel senso di «chiacchiera troppo». RITORNA

(34) ― Già Julius Krohn lo chiama «en fullständing själsfrände till don Juan» (Krohn 1891). RITORNA

(35) ― La loboriosa e vigile sorella di Ilmarinen [XVIII: 41 segg.], il vedovo sconsolato [XXXVII: 13 segg.], etc. C'è persino, miracoloso, il canto della suocera in lode del genero [XXI: 23-48], del «buon dono» [XXI: 127]. RITORNA

(36) ― E ben più vivo lo sente chi legga il testo! Un esempio: in [XV: 14] «sopra l'onde spumeggianti» non rende la pittoresca immagine dell'originale, lakkipäillä lainehilla; lakki è il berretto e pää la testa: alla lettera dunque «onde col berretto [bianco] in testa». Fra le espressioni più vivaci noteremo [III: 501-504 | XI: 332 | XII: 156 | XV: 9-10] e le graziose iperboli per ritrarre lo zelo di Marjatta nel disbrigo delle faccende domestiche [L: 6-16]. RITORNA

(37) ― Cfr. la nota a [IV: 327]. RITORNA

(38) ― Non parrà argomento troppo poetico quello del runo [XXIII: 183 segg.]. Ma si pensi a chi lo canta, e per chi e dove lo si canta. Grande freschezza ed evidenza è però in altre poesie di cose umili: come lo svegliarsi e le faccende mattutine della servetta [VII: 133-160]. RITORNA

(39) ― Un passo dal canto greco in onore di San Basilio:

...E sul bordone si appoggiò per dire l'alfabeto:
e 'l bordone ch'era secco, freschi rami gettò;
e sui freschi rami una pernice gorgheggia;
e non una pernice sola, ma e le colombe.

In un'altra variante:

...Sul pastorale s'appoggiò per dir l'abbiccì.
E 'l pastorale era verde, e gettò un ramo,
un ramo con fronde d'oro, trapunto in argento.

Si vedano i Canti popolari greci tradotti da N. Tommaseo, copiose aggiunte e una introduzione per cura di... P.E. Pavolini, pagine 68 e 70 (Tommaseo ~ Pavolini 1905). RITORNA

(40) ― Nel runo XLI. Non direi con Julius Krohn che l'altra variante del runo XLIV sia stata inserita dal Lönnrot «senza bisogno» [onödigtvis] (Krohn 1891). Fonderla con la prima era forse impossibile, e col sopprimerla il Kalevala avrebbe perduto una delle sue pagine più leggiadre. Fra i paralleli germanici, insieme all'antica ballata danese (e svedese) del Riddar Tynne, citata dal Comparetti (pag. 193) (Comparetti 1891), si può ricordare del contrasto nella descrizione di Horand:

Le bestie dentro il bosco
smiser di pascolare;
nell'erba verde i vermi
cessaron di strisciare;
i pesci, che nell'onda
nuotavan sì veloci
or se ne stavan fermi
per il desìo d'udir le dolci voci

Kudrun [VI: 18]
RITORNA

(41) ― Quest'ultimo fu accolto dall'amico Giovanni Pascoli nella sua antologia Sul limitare (Pascoli 1902). RITORNA

(42)  ― Alcuni non superati dai predecessori: così per esempio i versi [XXVIII: 225-226, 261 | XLIX: 509-532] non erano stati intesi a dovere dai traduttori ora ricordati: però la glossa finnica posta a piè del testo ne spiega chiaramente il senso. RITORNA

BIBLIOGRAFIA

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  • PAVOLINI Paolo Emilio [traduzione italiana e note]: Kalevala: Poema nazionale finnico (ed. ridotta). Sansoni, Milano 1935.
  • RENVALL Gustaf: Lexicon Fennicum. Suomalainen Sanakirja, 1826.
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  • TOMMASEO Niccolò [traduzione] & PAVOLINI Paolo Emilio [cura e note]: Canti popolari greci. Remo Sandron, Palermo 1905.
  • WIKLUND Karl Bernhard: Om Kalevala: Finnarnes nationalepos och forskningarna rörande detsamma. Norstedt & Sons, Stoccolma 1901.
Biblioteca - Guglielmo da Baskerville.
Area Finnica - Vaka Vanha Väinö.
Prefazione di Paolo Emilio Pavolini alla traduzione italiana del Kalevala (1ª ed., Remo Sandron, 1910).
Pagina originale: 21.03.2008
Ultima modifica: 28.02.2017
 
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