Paolo
Emilio
Pavolini |
KALEVALA |
PREFAZIONE ALLA
TRADUZIONE
ITALIANA.
1910 |
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Cornelio Tacito, il primo scrittore che menzioni i Finni, ne ricorda la fœda
paupertas. Ma chi non sa che fra quella miseria di vita, fra quella
tristezza di nebbie e di geli, fra il cupo dei boschi sterminati e il fragore
delle cascate possenti, è sbocciato e fiorito il più ricco tesoro di canti che
popolo possa vantare? Non è mai povera la gente che ha tanta dovizia di poesia:
e quella riunita da mani amorose e zelanti, nel
Kalevala, ne mostra le gemme più fulgide, i fiori più delicati e
coloriti, la più limpida vena. |
Come, e da chi raccolta questa poesia? Ecco un capitolo di storia letteraria de'
più curiosa e interessanti, quale forse nessun'altra nazione potrebbe
raccontare. Dov'è un altro poema popolare di cui si possa seguire verso per
verso, episodio per episodio, canto per canto il nascere e il crescere, il
fondersi e l'intrecciarsi, l'adattamento e la fissazione definitiva? Quello che
in altre letterature costituisce un problema dei più complicati e difficili,
quando non addirittura insolubile, qui è chiaro e semplice: dell'edificio vedi
le fondamenta e le pietre e le pietruzze ma non solo, ma anche il cemento che le
tiene unite; o, se vuoi sciogliere la ghirlanda, ritrovi uno ad uno i fiori di
cui fu contesta. |
Pure, esporre la storia esterno ed interna del
Kalevala non è impresa né breve né facile,
anche se ritretta entro i confini in cui volle contenerla il suo più recente
illustratore, lo studioso danese Ferdinand Ohrt
(1). Ma in questo
volume, che sono intende a dar cittadinanza italiana ai canti epici e magici di
Suomi, non può trovar posto la storia delle prime raccolte, dei vari tentativi
precedenti la vecchia e la nuova redazione del poema per opera di Elias Lönnrot,
delle ricerche minute, sapienti, geniali di chi ne indagò la genesi e la
composizione, come fecero Julius e Kaarle Krohn, August Robert Niemi, Domenico
Comparetti (2). |
Basterà ricordare che la critica moderna ha dimostrato come il
Kalevala sia intessuto di canti singoli,
generalmente brevi (i più lunghi di rado arrivano ai quattrocento versi),
raccolti dalla viva voce dei laulajat o cantori, che ne conservano la
memoria di padre in figlio, quali di certi canti, quali di altri; di rado
ricantandoli nella identica forma, poiché vi aggiungono o vi tolgono versi, o
sostituiscono un personaggio a un altro. Presso alcuni dei laulajat più
celebri per potenza di memoria e ricchezza di «repertorio», vari canti sono già
combinati in una specie di ciclo. Così nella Carelia russa si era già formato (e
lo constatò il Topelius) un raggruppamento di canti intorno alle gesta di
Kauko (Lemminkäinen),
e soprattutto intorno al Sampo. Ma chi
confronti il rozzo riaccostamento di questi cicli rudimentali col modo con cui
gli stessi elementi sono insieme combinati nel
Kalevala,
anche solo per rispetto ai due gruppi ora ricordati, vedrà come la composizione
del poema sia essenzialmente opera di Elias Lönnrot (1802-1884); che in sostanza
seguì il metodo tenuto dai suoi predecessori, primo fra tutti dal grande
fondatore della fennologia, Enrico Gabriele Porthan († 1804). Nel trattatello
De poësi fennica (1766-1768), questi
raccolse più varianti di uno stesso canto per ricavare poi un testo originario
(come a lui sembrava) dalla combinazione delle varianti medesime; senza
accorgersi (come osserva l'Ohrt, op. cit., pag. 17) che «le varie forme di un canto sono parti
viventi di uno svolgimento che si estende su età differenti ed anche su
differenti regioni». |
Così il Lönnrot: egli ha davanti a sé diverse redazioni di un
dato episodio; un particolare che manchi a quella presa come base, vien
completato da alcuni versi tolti ad un'altra; mentre un'altra gli fornisce un
dettaglio pittoresco, un tratto faceto. Spessissimo si presenta l'occasione di
inserire nel racconto un brano lirico
(3), o di riportare un canto magico,
uno scongiuro (4),
benché i laulajat in questi casi recitino solo qualche verso
caratteristico od anche semplicemente avvertano che «qui si canta il tal runo
magico». Anche dalla mèsse così copiosa dei proverbi si innesta al racconto
qualche spiga (5).
Mutato il nome dell'eroe o dell'eroina, entran poi nel poema alcune ballate non
appartenenti né ai cicli né talvolta alla materia kalevaliana. Raro il caso che
il Lönnrot inserisca versi di sua fattura: dato l'immenso numero di varianti
alle quali poteva attingere e la prodigiosa memoria
(6) che glie ne
richiamava i versi più opportuni a un «passaggio» o ad un «attacco», s'intende
come non vi sia quasi linea in tutto il lunghissimo poema che non trovi
corrispondenza nella tradizione popolare. Così si è avuto il risultato che
«nel
Kalevala
non c'è un solo canto che venga realmente e stabilmente cantato dal popolo,
benché tutti veramente popolari siano i versi di cui si compone»
(7).
Il Lönnrot stesso, con la franchezza e l'onestà che accompagnarono ogni atto
della sua vita, già nella prefazione al vecchio
Kalevala
(1835), riconosceva come stessero le cose: «...i
canti sono ben combinati, secondo il mio parere, nell'ordine che ho loro dato,
ma forse si potrebbero combinare anche meglio in un altro ordine»
[VEDI]. E
più chiaramente ancora nella prefazione al nuovo
Kalevala
(1849): «La combinazione è stata fatto quanto meglio
si poteva tenendo conto del carattere del
Kalevala;
ma c'è sempre dell'arbitrario
(8): poiché nemmeno pressi migliori
cantori si sono trovati parecchi canti riuniti in un ciclo... e dalla
combinazione or l'uno or l'altro può non sentirsi soddisfatto
[VEDI]...
Infine, siccome nessuno dei cantori poteva gareggiare con me per la quantità dei
canti raccolti, pensai che mi spettasse lo stesso diritto che secondo la mia
convinzione i più di essi si erano arrogati, cioè di combinare i canti
nell'ordine che meglio mi sembrasse loro convenire, ossia, per dirla con le
parole del poema, |
e mi feci mago anch'io,
io pur presi a far scongiuri».
(9) |
Verissimo: il Lönnrot è in un certo modo l'ultimo e il più grande dei
laulajat e a buon diritto si vale dei loro stessi procedimenti e si prende
le loro stesse libertà; simile a loro anche in questo, che mentre ha un
sentimento finissimo della poesia popolare, non possiede egli stesso (per
fortuna dell'opera sua), alcuna attitudine a poetare. Un dotto, senza dubbio: ma
un dotto sui generis, che, nato dal popolo, quasi sempre visse in mezzo
ad esso, condottovi anche dalla sua professione di medico, lungamente e
nobilmente esercitata; e nei ripetuti e disagiati viaggi, così proficui per la
raccolta dei canti, si trovò sempre tra contadini e pescatori e boscaiuoli,
assimilandosi le loro usanze, i loro idiomi, tutta la loro vita. Pure, un tratto
distingue il cantore letterato dal laulaja incolto: questi non avrebbe
mai pensato a cercare una unità epica cui accentrare i runot, a
raggruppare personaggi ed episodi secondo un paio prestabilito. |
Unità non raggiunta nemmeno dal Lönnrot: a chi abbia letto le
acute considerazioni del Comparetti (cito una delle opere maggiori sul poema
finnico, e la più accessibile ai nostri lettori) appare evidente come l'unità
interna manchi, come e il Sampo, e la Fanciulla di Pohjola, e la
Vittoria di Kalevala su Pohjola abbiano ugualmente diritto a chiamarsi
l'argomento del poema; che avrebbe potuta anche, e forse meglio, intitolarsi da
Väinämöinen
(10); ed entro al
quale certi episodi, come quello bellissimo di
Kullervo, e tutto il ciclo di
Lemminkäinen, appaiono come pezzi
di stoffa di altro colore e tessuto, cuciti sul panno principale. Pure, tanta è
la penetrazione del raccoglitore con i materiali del canto, tanto felice
attitudine la sua a cogliere di ogni episodio l'aspetto più caratteristico e la
forma più pittoresca, che il poema non gli è riuscito una fredda e meccanica
saldatura di frammenti, ma una creazione vivace e vitale. Se manca l'unità
epica, vi spira per entro una mirabile unità poetica. |
Per il modo con cui risulta composto di materiali eterogenei,
per il suo carattere che è spesso più di mosaico che di pittura, il
Kalevala non può servire – e la critica
moderna non ha tardato ad accorgersene – come documento di ricerca scientifica,
e le fallaci conclusioni che ne trassero alcuni studiosi non abbastanza cauti o
non abbastanza informati stanno ad attestarlo
(11). Ma esso è pur
sempre il quadro più grande e completo della vita della gente finna, la
espressione più fedele e simpatica dei suoi pensieri, delle sue gioie e delle
sue tristezze; e la nazione finna terrà sempre caro e onorato il nome di colui
che a comporre quel quadro con gentile e affettuosa armonia di tinte e di figure
attese per tanti anni di una vita esemplarmente operosa, lasciando ai posteri, a
documento della sua scrupolosa onestà e del suo delicatissimo sentimento di
responsabilità, tutti quanti i materiali di cui egli si servì: in modo da
rendere possibile lo studio della formazione del poema, dai primi tentativi di
R. von Becker (1820) alla pubblicazione del
Kalevala nella sua forma definitiva (1849). |
Il Lönnrot poté senza alcuna difficoltà e senza la minima
alterazione inserire nel
Kalevala numerosi
brani di vario carattere e provenienza, per il fatto che tutta quanta la poesia
tradizionale dei Finni (e dei loro fratelli Estoni), canti epici e magici e
lirici, del pari che proverbi e indovinelli rimati, è redatta in un metro unico:
il cosiddetto runo. Runo significò dapprima «poeta», come risulta dal trovarsi
ben spesso usato parallelamente a laulaja «cantore»; poi, per probabile
influsso del nordico rún, ebbe il valore di carmen
(12);
e più specialmente di canto composto in quell'ottonario trocaico allitterante,
che è appunto il metro nazionale finnico. A rendere il quale nella nostra lingua
occorreva spontaneo l'ottonario. La vecchia obiezione della monotonia ingenerata
dall'uso di questo verso per lunghe composizioni ha, nel caso nostro, un valore
assai relativo; ed ebbero torto, secondo me, quei traduttori che, ad evitarla,
mescolarono i tronchi, inauditi nella poesia dei runot, ai versi sempre
piani dell'originale: non parlo di chi ricorse ad altri metri, decasillabi,
endecasillabi sciolti, martelliani rimati, con un effetto quasi comico a chi
conosca e senta la semplicità quasi infantile del ritmo originale. La cosa che
più colpisce nel sentir cantare un runo è appunto la monotonia; ciascuna coppia
di versi
(13)
ha un'identica cadenza musicale, e movimento strofico non esiste. Si rammenti
poi che i laulajat non cantano né un poema né un poemetto, ma solo brani,
epici o lirici, generalmente brevi. L'essere ora questi brani ricuciti insieme
in una specie di poema, non deve indurci a dimenticare il loro carattere
originario. La grande monotonia del runo cantato si attenua, è vero, nel runo
recitato: nel quale l'accento ritmico, sovrano nel canto, non coincide sempre
coll'accento grammaticale, che riprende i suoi diritti nella recitazione, dando
al verso una varietà insospettabile da chi lo abbia sentito solamente cantare.
Ma non è vietato al traduttore di conservare, con lo spostamento di accenti
dell'ottonario regolare, un riflesso di questa varietà
(14). |
Il verso breve è caratteristico di ogni poesia antica e popolare: di poche
sillabe consta il verso corrente dell'Edda,
di poche quello dei Serbi;e il metro che all'occhio appare più lungo nelle
byliny russe e nel «verso politico» dei Greci, all'orecchio si rivela in
realtà combinazione di versi brevi. Ed è assurdo e repugnante ad ogni sano
criterio di traduzione il diluire in un endecasillabo o in un martelliano
l'ottonario trocaico, falsando tutto il carattere della poesia originale: tanto
più che in quei metri è quasi impossibile conservare le due precipue
caratteristiche del runo, l'allitterazione e il parallelismo. |
La rima iniziale è facilissima ai Finni, tanto per la povertà
di consonanti della loro lingua
(15),
quanto per cadere l'accento esclusivamente sulla prima sillaba; cosicché, nel
breve giro di otto sillabe si ha quasi sempre allitterazione duplice, ma anche
ben spesso triplice e quadruplice (16).
Un brano qualunque darà un'idea di questa peculiare armonia risultante dalla
rima iniziale: |
Sanoi seppo Ilmarinen:
Vakavampi maisin matka.
Lempo menköhön merelle,
surma suurelle selälle!
Siellä tuuli turjuttaisi,
siellä viskaisi vihuri,
saisi sormet soutimeksi,
kämmenet käsimeloiksi. |
Ilmarinen fabbro disse:
«Più sicuri andrem per terra;
vada pur Lempo sul mare,
sul gran dorso Morte corra!
colà scuoterci violento
l'uragano verrà, e il vento;
saran remi queste dita
e timoni queste palme».
|
Kalevala
[XXXIX: 33-40]. |
|
Quando tale allitterazione veniva spontanea nel tradurre, non
v'era ragione ch'io rinunziassi a questo mezzo così efficace di riprodurre il
colorito dell'originale; e son certo che, abituato l'orecchio a questa nuova
insistenza di suono, non si udranno senza piacere versi come questi, che sono
eco fedeli dei finnici: |
Tuli tuhmaksi rupesi |
Fuoco, folle di furore
|
Susi juoksi suota myöten |
Corse il lupo lungo il lago |
Tuon seppo tulehen tunki |
Lo ficcò nel fuoco il fabbro |
Kalevala
[IX: 71, 99, 167]. |
|
Talvolta anzi nella traduzione la rima iniziale è toccata in più ricca misura
che all'originale (per es.
Kalevala [XXXVII: 208 | XXXVIII: 140],
etc.), nel quale non è caso infrequenti che manchi: e oso dire che un verso come |
Verginella vaga in volto |
parrà a un finno altrettanto felice e armonioso quanto il suo |
Neiti kaunis katsannolta (17) |
Ad altri artifici, ma sempre, per così dire, spontanei, ricorsi
per mantenere l'omeofonia tra verbo e nome
(18), e per rendere altri aspetti
speciali del testo. |
Si comprende come la rima iniziale sia, del pari che la rima
finale presso altre genti e presso poeti anche grandi, suscitatrice di immagini
e di idee; alcuni epiteti costanti, alcune frequenti similitudini le debbono la
loro esistenza: così per esempio il fatto che la luna è quasi sempre chiamata
«aurea»
(19) deriva semplicemente dalla
affinità fonetica tra kuu «luna» e kulta «oro»; e al sole, nei
versi paralleli, rimane, com'è da aspettarsi, l'epiteto di «argenteo». |
Non cercata, ma inevitabilmente prodotta dalla consonanza delle
desinenze di caso nei nomi e di flessione nei verbi, abbonda nel runo anche la
rima finale. Gli inessivi in -ssa/-ssä, gli ablativi in -lta/-ltä,
gli elativi in -sta/-stä, gli adessivi in -lla/-llä, i traslativi
in -ksi, gli infiniti in -mahan/-mähän, in -minen, in
-tahan/-tähän, gli astratti (partitivi) in utta, etc., si seguono e
s'intrecciano con frequenza grandissima, dando talvolta, con loro disporsi
simmetrico, quasi un'apparenza strofica a un dato gruppo di versi. Era
necessario avvertirsi ciò, per evitare il rimprovero di aver impiegato così
spesso rime così facili e così povere come quelle in -are, in -ato,
in -ezza e simili. La stessa povertà è nell'originale; e così per esempio
le quattro rime in -ava corrispondono a tre rime in -evi
[I: 189-190], le quattro in -rai a quattro
in -ksi [IX: 149-152], le quattro in -are
a quattro in -massa [IX: 359-362]; così
dicasi di tanti e tanti luoghi che dànno eco fedele, anche nelle rime finali, al
testo del runo, mantenendosi talora anche la frequente rima interna
(20). Ma non sempre ebbi il coraggio
di dare alla rima italiana l'uniformità che non offende ma diletta nel runo: nel
caso cioè di lunghissime tirades monorimes, come quella in
[XVII: 191-238] di ben quarantasette versi
(21); però la conservai in
[XXIII: 55-78] dove il testo ha, tutte di seguito,
ventiquattro rime in -minen! Dove poi, coll'alternare delle rime, cercai
di dare un po' di movimento e di varietà alla monotonia del runo, ebbi cura che
non ne scapitasse la fedeltà più scrupolosa
(22); ma molte volte la disposizione
delle rime corrisponde perfettamente a quella dell'originale
(23). Così, per possedere anche
l'italiano grande ricchezza di desinenze eguali, e per essere nella nostra
lingua possibile la frequente rima iniziale, questa traduzione (se l'amore
postovi non mi illude) rende forse più di ogni altra il carattere del testo:
aderenza che riesce più facile al magiaro, favorito com'è dalla affinità di
struttura grammaticale col finno. Un esempio tra tanti, nella versione del Béla
(24): |
Kár az arany fogyasztani,
az ezüstöt apasztani!
Nem megyek én észt hazába,
nem megyek nem én, hiába
evezgetni ézst vizeken,
cskáklyázgatni észt szigeten,
élni Esztország halával,
enni észt levest kalánnal. |
Per necessità metriche ho dobuto permettermi alcune licenze,
spero giustificabili di fronte alle difficoltà da vincere: ho posto cioè, nei
nomi finnici, l'accento su varia sede secondo i bisogni del verso: e Ilmári
e Ilmarí, Pohjá o Kullérvo saranno scusati come si scusano
Ettórre o Agamennóne. Ho sdoppiato talvolta le vocali lunghe del
finnico, facendo Muurikki trisillabo [I: 63],
ma lasciando bisillabo Kaatra [III: 180];
così Saa-ri [XI: 21-22], ma Sa-a-ri
[XI: 91], etc.
(25). |
Un altro tratto essenziale e caratteristico della poesia
finnica che va illanguidito o spesso perduto col tradurre in altri metri, si
mantiene perfettamente con l'ottonario: il parallelismo. Esso è fenomeno più
noto, per l'uso che se ne fa nella poesia di vari altri popoli, segnatamente
degli Ebrei; ma è nella finnica elemento costante e necessario, fonte di
bellezza e di grazia, quando non sia di stranezza; artificio che rende
l'espressione vaga e indefinita dovendosi lo stesso pensiero ripetere in due,
non di rado in quattro e più versi con parole differenti, sì da risultarne una
proteiforme varietà di immagini (26).
Crescono le difficoltà al tradurre, e spesso diventano insuperabili, quando si
tratti di nomi differenti per cose o animali che i Finni posseggono in più forme
o in più modi, e noi in uno o in nessuno; come trovare un numero adeguato di
sinonimi per le varie specie di slitta e di pattini, per i vari aspetti della
neve e del ghiaccio, dei boschi, etc.? Altri dai nostri gli ordigni da pesca, i
sistemi di caccia, gli arredi domestici... Ostacolo più di tutti grave, la
stessa struttura del finnico, con la sua ammirabile e disperante concisione e
precisione. Se il Castrén, a scusare i difetti della sua traduzione, ricordava
che il finnico e lo svedese sono lingue «himmelsvidt skilda från
hvarandra»
(27), che dovremo dire dell'italiano? Noi non abbiamo, per
esempio, il zu dei Tedeschi per rendere brevemente il magnifico
traslativo in -ksi, uno dei più espressivi fra i sedici casi della
declinazione finnica; e con la ricchezza, che pur non ci manca, di diminutivi e
vezzeggiativi, non arriviamo a riprodurre tutta intiera la grazia di un
vetonen «acquettina» [I:
98], di un aurinkoinen «solicchio»
[XV: 186], di un kainaloinen kana,
letteralmente «colomba che si tiene sotto l'ascella [kainalo]», per
riscaldarla [XVIII. 614]: l'allitterazione è madre
di tali leggiadre e intraducibili espressioni. Nella canzoncina in cui la
fanciulla si augura vicine le nozze, essa non dice propriamente che le toccherà
aspettare |
...kesosenko, kaksosenko,
viitosenko, kuutosenkoi... |
...per due estati, per tre forse,
o per cinque, oppur per sei...
|
Kalevala [L: 61-72] |
|
ma lo dice con altrettanti diminutivi
(28), quasi a far
più breve e leggero il tempo che la divide dal giorno sospirato. |
|
Il
Kalevala non è, abbiam
visto, un poema vero e proprio, ma un insieme di canti, lunghi, brevi e
brevissimi, insieme collegati in unità poetica. Non c'è più, quindi, una
questione circa l'età del
Kalevala, ma solo
tante questioni circa l'epoca cui risalgono i vari canti di cui è composto. Tale
epoca non sembra, anche per i più antichi di essi, molto remota; di più, dopo le
metodiche ricerche di Kaarle Krohn (29),
non si può dubitare che in non piccola parte quei canti siano imprestiti fatti
ai Finni dai loro vicini svedesi e russi, agli Estoni dai Lettoni e dai Lituani.
Che leggende cristiane siano state versificate in gran numero nel metro
nazionale, è innegabile; e che a queste si siano adattati antichi racconti ed
antichi eroi di runot pagani, è pur certo. Ricordiamo alcuni esempi
caratteristici. In un canto finno occidentale il seminatore degli alberi
[II: 12 segg.] è Gesù in persona; l'episodio della
madre di Lemminkäinen ricercante il
figlio perduto [XV: 127-188] è ricalcato da
leggende (30) intorno a
Maria in cerca di Gesù (vedi nell'ultimo runo); da cicli intorno a Cristo
derivano pure [XV: 215-238 | 254-256 | 307-376]; il
runo XVI narrava originariamente la discesa del Cristo all'inferno;
[XIX: 317-318] richiama ad una leggenda in cui la
testa di Cristo è portata alla comunità religiosa come «sedia»; in XXXIX e XL in
principio, il racconto del Viaggio per mare risale al Canto del lago
di Genezaret, con Gesù, Pietro e Andrea per personaggi; in XLVII-XLIX la
liberazione del sole è in origine opera del «figlio unigenito di Dio, Gesù», il
quale lo tolse dal nascondiglio di Pohja,
sfuggendo poi ai suoi persecutori con mezzi simili a quelli adoprati da
Lemminkäinen
[XXVI: 425 segg.] in una delle sue perigliose avventure
(31). |
Torna a grande onore dei dotti finni di avere sé stessi
sfrondato le esagerazioni e gli eccessivi entusiasmi, di aver fornito con la
loro critica equanime e impregiudicata la giusta misura per valutare il
Kalevala sotto l'aspetto storico ed
estetico. Nessuno dovrebbe più oggi giudicare del poema finnico alla stregua
dell'Iliade e dell'Odissea,
né ripetere l'errore di Julius Krohn, biasimando deficienze e contraddizioni
nella caratteristica dei vari personaggi, come se gli elementi epici fossero
tutti di un getto e di un poeta, e non – come sono – frammenti di canti diversi
per tempi e luoghi e valore. Solo pei tipi già fissati dalla tradizione epica
popolare, troviamo nel
Kalevala unità e
vigoria di rappresentazione: Väinämöinen,
il mago-poeta; Ilmarinen, che ha
conservato solo pochi tratti del suo carattere di dio dell'aria
(32), e sta in antitesi
quasi sanchopanzesca col sapiente fratello suo, pratico com'è, tardo alla
decisione, ma poi forte nell'opera, pronto all'umorismo
(33);
Lemminkäinen, il guerriero
avventuroso e vanitoso, il seduttore scapestrato e ciarliero
(34), abile stregone e
ragazzo sbarazzino, figlio amoroso e devoto, la creazione più originale e
multiforme della Musa finnica; Accanto alla quale più spicca la cupa e selvaggia
figura di Kullervo, sventurato fin
dalla nascita e fino alla morte nutrito d'oro e di vendetta. Un solo raggio
dolce e benefico ne rischiara la fosca, tragica vita: l'affetto per la madre.
Ché se in tutta questa poesia gli affetti familiari sono profondamente sentiti
ed espressi (35), più di ogni altro l'amor materno. Debba pur la madre di
Lemminkäinen i suoi tratti più
commoventi alle leggende su Maria madre di Gesù, ricorrano pur nella fantasiosa
poesia delle lacrime che piange a fiumi e a cascate la desolata madre di
Aino [IV: 435-518]
«motivi» di più canti lirici, certo la reverenza filiale trova accenti
sentiti e purissimi in tutti i runot del poema: la nota voce della madre sola
può calmare e rassicurare il bambinello piangente [XXIII:
167-174]; e |
...päivän-päälliset unoset,
emon armahan sanaset,
joka kirnun pettäjäiset! |
il dormire a giorno fatto,
della mamma i dolci detti
e la panna sopra il pane!
|
Kalevala [XXIII: 38-40] |
|
Ecco tre cose che la sposina non ritroverà più, una volta lasciata la casa dove
nacque e fu allevata. Quando si stabilisce una gradazione d'affetto (es.
[IV: 228-230]), quello della madre sta sempre in
cima d'ogni altro; onde si dice giustamente: |
Kenen tyttöä ikävä?
Kenen muun, kun ei emonsa! |
Or chi piange per la figlia?
e chi mai, se non sua madre!
|
Kalevala [XXIV: 219-220] |
|
Per questo il cuculo canta solo due mesi a conforto della fanciulla senza amore,
sei mesi a conforto dello sposo che ha perduto la sposa, ma sempre a conforto
della madre orbata della figlia [IV: 489-504]. E
come solo la madre piange la morte del figlio [XXVI:
125-154], così soltanto per la perdita della genitrice si addolora il
cuore indomito di Kullervo
[XXXVI: 205-234]; sulla tomba della madre va il
vecchio e sapiente Väinämöinen
nell'ora dell'angoscia [V: 220 segg.], non della
mitica Luonnotar, ma di una donna che
per lui ha pianto e sofferto; contraddizione delle più umane e spiegabili. E
nella tristezza del deserto inospite, né Tiera pensa alla giovine sposa, né
Lemminkäinen a
Kyllikki, ma ambedue solo alla madre
[XXX: 389-426], all'affetto della quale un altro
innalza un elogio riboccante di tenerezza e reverenza [XXIII:
462-478]. |
Altri e grandi pregi ha questa poesia: vivissimo il sentimento
della natura
(36), che fa degli uccelli interpreti del pensiero dell'uomo
[VIII: 57-60, etc.] e luna e sole risaluta con
esultanza quasi vedica [XL: 403-422], che svela la
simpatia per il mondo degli animali nelle similitudini leggiadre, negli epiteti
carezzevoli trasferiti alle donne
(37), nella familiarità con cui le bestie parlano
all'uomo e gli dànno ammonimenti e consigli: la cinciallegra a
Väinämöinen [II:
251-256], il tordo alla fanciulla di
Pohjola [VIII: 69-80], il corvo a
Kullervo [XXIII:
103-122]. Ma anche gli alberi del bosco, le pietre della strada, le spade
nel pugno dell'eroe, le barche inoperose sul cantiere parlano, soffrono,
gioiscono e sperano. Se il lettore (non l'uditore, che ne godeva e ne gode a più
piccole dosi) può stancarsi nei lunghi canti delle feste nuziali
(38), tanto più
sentirà la bellezza dei versi deliziosi che descrivono la casa tutta fremente
nella desiosa aspettazione della sposa, sua futura signora; tanto più gli
piacerà la fresca e birichina e gentile canzoncina del «bimbo sul piancito»
[XIX: 357-406] o l'umoristico racconto del taming of the shrew
[XXIV: 269-296]. |
Ma soprattutto è bello che in questo mondo fantastico e avventuroso più d'ogni
altra cosa valga non la forza brutale, ma quella dello spirito, non l'arme ma la
parola; con la potenza delle parole magiche
Väinämöinen incanta e vince
Joukahainen [III:
283-330], Lemminkäinen evoca
le schiere soccorritrici del bosco [XII: 253-296] e
scampa da rischi tremendi; per essa si arresta il sangue sgorgante a fiotti
dalle ferite, si guariscono le piaghe del ferro e i morsi del fuoco, si respinge
l'assalto mortale del gelo. La parola è, al pari della divina
Bibbia, creatrice; e chi è poeta, ποιητής,
trasforma un arido isolotto in prati smaltati di fiori, riveste di verde gli
alberi e sui rami chiama gli uccelli canori, copre le povere mense di calici
d'oro e di piatti d'argento. Se non ricordassi lo squisito canto greco di San Basilio
(39),
direi che in tutta la poesia popolare ben di rado s'incontra cosa altrettanto vaga
quanto il racconto del miracoloso cantare e creare di
Lemminkäinen, nella Saari ricca di
donzelle e di amori. Ma il
Kalevala stesso
ha, nel tanto celebrato runo dell'arpa
(40), un altro canto di insuperata
bellezza. |
La presente traduzione fu incominciata fin dal gennaio 1903,
dapprima come esercizio ed aiuto ai miei studi di finnico. Voltati in prosa
letterale i cicli di
Kullervo e di
Lemminkäinen e il runo della
kantele
(41), vidi con quanta frequenza, nel
seguire il testo ad verbum, vi si mescolassero gli ottonari; in un senso
infinitamente più modesto, potevo far mio l'ovidiano quod conabar, dicere
versus erat! Rifeci pertanto nel metro dell'originale quei sedici runot,
e poi, a poco a poco, tutti gli altri; finché nel settembre 1907 il manoscritto
della traduzione completa fu consegnato all'Editore. Per una buona metà del
lavoro non ebbi altri aiuti che quelli di due altre traduzioni: la tedesca dello
Schiefner (1852) e la francese di Léouzon Le Duc (1867), nonché del vecchio
dizionario finno-svedese dell'Eurén. Più sicuro e spedito andai innanzi quando
ebbi anche la ottima traduzione svedese del Collan (1864-1868) e quella tedesca,
meno fedele ma più elegante, di Hermann Paul (1885); solo durante la revisione
delle bozze potei confrontare la recente e meritoria versione inglese del Kirby
(1908); inoltre il ricco dizionario finno-francese del Koskinen, la copiosa
letteratura esegetica e critica intorno al
Kalevala mi sorreggevano nella lunga
via, e mi aiutavano a superarne gli ostacoli
(42). |
Ma al compimento del lavoro occorrevano anche aiuti materiali: e con animo
profondamente grato riconosco quanto debbo alla Maestà del Re, che si degnò di
provvedere alle spese di un mio viaggio e soggiorno in Finlandia nell'estate del
1904; durante il quale potei conoscere direttamente alcuni preziosi materiali
di studio e sentir recitare, nel remoto villaggio careliano di Äimäjärvi, alcuni
runot da uno degli ultimi vecchi laulajat, l'ora defunto Iivana
Härkönen. Nel percorrere |
Suloisessa Suomen maassa,
kaunihissa Karjalassa. |
di Suomi il suol soave,
la Carelia cara e bella
|
Kalevala [XLIII: 405-406] |
|
ebbi modo di godere e apprezzare la squisita gentilezza ed ospitalità di amici e
colleghi: fra i quali, non potendo qui enumerarli tutti, ricordo con particolare
gratitudine per quanto fecero per me allora e in seguito, Emil N. Setälä, la
signora Helmi Setälä, Kaarle Krohn. A parte delle spese necessarie per le
illustrazioni fototipiche volle provvedere la «Società
Finna di Letteratura» [Suomalainen
Kirjallisuuden Seura], la istituzione così altamente benemerita della
coltura nazionale; e la medesima mi fu anche liberale donatrice di libri. Akseli
Gallén-Kallela, il cui magico pennello ha fissato in tratti imperituri i tipi e
i paesaggi del
Kalevala, permise che dei
tesori dell'arte sua mi giovassi liberamente ad abbellire il volume: al quale
l'amico Vittorio Gorcos fece, con la gentilezza e l'arte sua squisite, il dono
della copertina, ritraendovi le mani, in un reali e simboliche, dei cantori
finni. Ad eccezione dei clichés per il ritratto del Lönnrot e per le tre figure
a pag. 153, 247, 263, favoritimi questi da Iivo Härkönen e quello dal solerte
editore Verner Söderström, tutti gli altri furono eseguiti dall'«Istituto
Micrografico Italiano» di Firenze, il cui direttore, prof. L. Pampaloni, non
risparmiò cure affinché riuscissero nel modo più soddisfacente. Il Ministro
della Pubblica Istruzione mi concesse, ad opera compiuta, e su parere favorevole
del Consiglio Superiore, un sussidio d'incoraggiamento. All'editore Remo Sandron,
che non esitò ad accogliere nella Biblioteca dei popoli questa poesia
tutta di popolo, che non badò a sacrifizi per darle veste decorosissima, spetta,
oltre alla riconoscenza mia, quella di ogni spirito colto. Col dedicare poi
questo volume a Domenico Comparetti, io non gli rendo che una piccolissima parte
di quello che ho ricevuto e guadagnato dal suo geniale sapere e dai mezzi di
studio posti così cortesemente a mia disposizione. |
Possa ora il mio modesto lavoro, che cercai con ogni cura di conformare allo
spirito e alla lettera del poema finnico, procacciare ad esso anche nel nostro
paese la simpatia che merita non solo come opera poetica, ma anche come sintesi
della vita, del pensiero e delle aspirazioni di un popolo degno, per più motivi,
di ammirazione e di affetto. |
Paolo Emilio Pavolini
Agosto 1909
|
|
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|
NOTE DELL'AUTORE
(1) ― Nel suo eccellente libro Kalevala som
folkedigtning og national-epos (Ohrt 1907).
(2) ― Un saggio delle ricerche
kalevaliane e dei vari metodi ed indirizzi in esse prevalenti, con una
bibliografia delle numerose traduzioni del poema, sarà da me
prossimamente pubblicato negli Studi di filologia moderna
diretti da G. Manacorda. Il lavoro era già pronto da tempo, ma ho
dovuto riprenderlo e modificarlo per la necessità di studiare anche i
copiosissimi materiali contenuti dei due grossi volumi dei Vienan
läänin runot, di recente editi.
(3) ― Si vegga, per esempio:
[V: 196-219 | VIII: 53-80 | X: 441-462 | L:
61-72] (cfr. Kanteletar [II:
78]), etc.
(4) ― Vedi la lista di tali inserzioni
[QUI]. I canti magici dànno un totale di 4400 versi, i nuziali di
2490, sui 22795 di tutto il poema. La prima redazione del quale, in 35
canti, comprendeva soltanto 12078 versi.
(5) ― Ho notato i seguenti:
[VII: 39-42, 227-280, 285-288 | X: 583-586 | XII:
409-410, 411-412 | XIV: 151-152 | XIX: 507-518 | XXIII: 421-422 | XXVI:
91-92, 435-438 | XXVII: 199-200 | XXXIX: 196-172, 416-417 | XL:
123-124, 141-144 | XLII: 45-46, 525-526 | XLIII: 337-340 | XLIX:
161-162, 281-282 | L: 199-200].
(6) ― Situazioni o pensieri
affini richiamano al Lönnrot versi di altri episodi, di altro
contesto; sì cfr. per es. [XLIII: 149-150]
con [XXXI: 371-372];
[XLVIII: 166-168] con
[XXXV: 17-20]; [L:
342-344] con [XV: 147-148];
[L: 583-586] con [XXIII:
831-834]; [XLII: 477-486] con
[XXX: 149-150]; [XXIV:
397-400] con [XXXVI: 281-284];
[L: 429-430] con [XXXI:
81-82]; [XXIX: 313-314] con
[XVI: 78]; [XLVIII:
329-332] con [II: 117-121].
(7) ― Domenico Comparetti,
Il Kalevala, pag. 17 (Comparetti 1891).
(8) ― Come ce n'è, per citare un
altro esempio interessante, nel procedimento, simile a quello del
Lönnrot, che tenne Walter Scott nel costituire il testo di molte
ballate popolari scozzesi, scegliendo cioè i tratti che più gli
piacevano delle loro varie redazioni. Così, la ballata è sua quanto
alla composizione, ma dei cantori popolari quanto ai materiali. Lo
stesso dicasi, in gran parte, della famosa raccolta del Percy. Cfr.
Garnett.Gosse, English Literature, I, pag. 302.
(9) ―
Kalevala [XII: 167-168].
(10) ―
Già nel 1833 il Lönnrot aveva combinato, in un poemetto di circa 5000
versi, in sedici canti, intitolato appunto Runokokous Väinämöisesta
(«Raccolta di canti su
Väinämöinen»), le avventure dei tre eroi (Väinämöinen,
Ilmarinen,
Lemminkäinen), insieme ai
canti nuziali. Questo «Kalevala in miniatura» rimasto inedito
fino a pochi anni fa, «è propriamente il
primo epos uscito dalle mani del Lönnrot» (Wiklund
1901).
(11) ―
Basta ch'io citi l'episodio della «grande quercia» nel secondo runo.
Naturalmente i mitologisti hanno tirato in ballo l'Yggdrasill,
il frassino mondiale dell'Edda e la sua parentela, stabilendo le
equazioni quercia
= Wetterbaum e ascia =
fulmine. Ma la quercia è proprio una semplice quercia, e il canto, che
viene dall'Estonia, è in origine un breve componimento epico-lirico,
di ragazze che cercano marito. Lo stesso carattere conserva nell'Ingria
e nella Carelia meridionale, finché al nord del lago Ladoga si svolge
in un runo epico-magico. È ovvio che il crescere della quercia, albero
maestoso e dal fitto fogliame, abbia suggerito l'immagine del sole
oscurato e delle nubi trattenute nel loro corso. Nei canti estoni
l'abbattitore della quercia è il fratello della ragazza; dal legname
si fanno oggetti di ogni genere, soprattutto il baule per il corredo
della sposa, e una sauna ammirata da tutti. Nella Carelia orientale il
canto si combina con lo scongiuro «contro la puntura», nel
quale manca qualsiasi accenno alla quercia. L'uomo dal mare alla sua
volta viene da una ballata estone: la cantatrice accoglie sposi dal
mare, cavalieri medievali in armatura di rame, d'argento e d'oro.
Altri elementi si sono infiltrati per sbagli di nomi (Tursas,
probabilmente un cavallo marino, scambiato con Turja Lappalainen,
il «Lappone norvegese»). Così che appare superficialmente uno, è
invece molteplice e multiforme. Cfr. Kronn nella recensione del libro
di K.A. Fraansila, Iso Tammi («La
grande quercia»), pagg.
26-35.
(12) ― Il
lessico del Renvall (Renvall 1826)
gli attribuisce solo questo significato: badando al quale l'ho fatto
in italiano, a differenza de' miei predecessori, di genere maschile.
Per il passaggio di significato si ricordi il francese charme
da carme.
(13) ― Giova ricordare che
nelle feste e conviti i runot si sogliono cantare da due
laulajat, seduti, come li descrive l'esordio del poema
[I: 21-24], con le mani intrecciate: il
primo di essi, il päämies, canta un verso che il secondo, il
säistäjä, ripete, dando così tempo al compagno di ripensare o
talora di improvvisare il verso seguente, che viene alla sua volta
ripetuto, e così via per tutto il canto. Qualche volta che il
päämies è a corto di espressione, il parallelismo assume quelle
forme ingenue o fiacche di semplice ripetizione, di cui si hanno
esempi anche nel
Kalevala. Così per esempio:
Olipa lapsi lattialla.
Lauloi lapsi lattialta... |
C'era un bimbo sul piancito.
Cantò il bimbo dal piancito...
|
Kalevala [XIX:
355-356] |
Oi on armas akkaseni!
Sano armas akkaseni... |
O mia cara vecchiarella!
Dimmi, cara vecchiarella... |
Kalevala [XXXIV:
129-130] |
Yksi pursi uusi pursi,
toinen pursi vanha pursi. |
Una barca, barca nuova,
l'altra barca, vecchia barca. |
Kalevala [XLIV:
45-46] |
Spesso anche il päämies ripete nel secondo verso la
seconda parte del primo, già ripetuta dal säistäjä
(per es.: [II: 145-146 | X: 380-381
| XIII: 181-182 | XXII: 245-246 | XL: 117-118]);
seppe che il traduttore deve riprendere per sé!
(14) ―
Per esempio: [II: 30, 140 | IX: 484 | XV: 148 |
XLVI: 513 | XLVII: 18 | L: 338], etc.
(15) ―
Che ne ha solo undici; circa il 20% dei vocaboli cominciano per k.
(16) ―
Per esempio: «vaskivyöhyt vyölle vyötty»
[II: 121]. E, per la frequenza del k:
Kunki kunnahan kukulle
kasvoi kolme koivahaista,
kunki koivun latvasehen
kolme kullaista käkeä. |
Al disopra d'ogni vetta
crebber tosto tre betulle,
nel fogliame di ciascuna
ecco tre cuculi d'oro.
|
Kalevala [IV: 485-488] |
(17) ―
Kalevala [XXVII: 208].
(18) ―
Per esempio: tuli tuuli → «venne il vento» [XXIX:
379 | XXX: 423]; kaarta rauta rauahutat
→ «tu
afferri [...] l'arco di ferro» [VI: 103-104].
(19) ―
Kalevala [III:
421-422 | IV: 153-154 | XIV: 223-224 | XV: 163 | XXV: 643-644 | XLIII:
434 | XLIV: 86 | XLV: 354 | LXIX: 2, 39-40, 49-50, 57-58, 407].
(20) ―
Per esempio: katalatta kantajatta
→
«l'infelice genitrice» (Kalevala
[XV: 568]).
(21) ― In
-lta e -sta, meno che nel v. [XVII:
213], dove meglio si leggerebbe, per amore di euritmia,
lahon petäjän latvasta.
(22) ― Si
confronti per esempio: [II: 309-312 | XV:
555-558 | XVIII: 637-648 | XLV: 103-108].
(23) ―
Per esempio: [II: 217-224 | VIII: 181-186 |
XXXIII: 293-296].
(24) ―
Non ho la versione completa, ma cito da quella dei runot su
Lemminkäinen, pubblicata
nella Magyar könyvtár.
(25) ― E
così «cinque | anni» [I: 329], ma «cinqu'anni»
nel verso seguente. Se invece di o-ri-en-te, cre-a-to-re,
etc. misurai o-rien-te, crea-to-re, sarò scusato anche
perché il runo ha pur esso frequenti hypérmetra, per esempio
[XI: 385 | XII: 395 | XV: 31-42 | XXXIII: 55,
99, 293 | XXXV: 323], etc.
(26) ―
Esempi: «cane» ↔ «orso»
[XLVI: 59-60];
«alce»
↔ «renna»
[XIII: 107-108]; un
«pulledro di cammello»
[XIV: 248];
«folaga» ↔
«cigno»
[XV: 619]; «lupo»
↔ «orso»
[XVI: 97-98, 561-562]. La
«lepre»
[IV: 405-408]: altri doppi parallelismi
in [IV: 417-420 (= V: 79-82) | VII: 129-132 |
XII: 153-156], etc.. Si direbbe che, come pareva al Castrén, il
doppio termine concreto serva spesso all'incolto cantore a
rappresentare un concetto astratto: un oggetto che è d'oro in un
verso, e d'argento nel verso seguente, è un oggetto prezioso.
(27) ―
Nella prefazione, pag. XXXIII (Castrén).
(28) ―
Letteralmente: «un duino o forse un
treino, un cinquino oppure un seino»!
(29) ― Nel
lavoro fondamentale Kalevalan runojen historia (7 voll.) e in
vari articoli delle F.U.F., specialmente in quello intitolato Wo
und wann enistanden die finnischen Zauberlieder.
(30) ― Venute
dalla Svezia, non prima del 1200, secondo K. Krohn
(Krohn 1903-1909). Cfr. anche Ohrt, pag. 140
(Ohrt 1907).
(31) ― Degna di
esser riferita la chiusa di questo canto, del quale il Lönnrot non
poté ancora aver notizia:
E di Dio l'unico figlio
fissò la luce del sole
la fissò sui rami, in basso;
non uguale a tutti splende;
brilla il sole sopra i ricchi,
sopra i ricchi, sopra i belli,
ma non già sui miserelli.
E di Dio l'unico figlio
fissò il sol sui rami, in alto:
ora eguale a tutti splende,
sopra i savi, sopra i ricchi
e sui ricchi egualmente.
(32) ― Cfr.
Ilma-tar, la «Vergine
dell'aria».
(33) ―
Per esempio, nel congedo-parodia [XXIV: 467-476].
Nota anche [XXXVII: 209-210], nel senso
di «chiacchiera troppo».
(34) ―
Già Julius Krohn lo chiama «en fullständing själsfrände till don
Juan» (Krohn 1891).
(35) ― La loboriosa e vigile
sorella di Ilmarinen
[XVIII: 41 segg.], il vedovo sconsolato
[XXXVII: 13 segg.], etc. C'è persino,
miracoloso, il canto della suocera in lode del genero
[XXI: 23-48], del «buon dono»
[XXI: 127].
(36) ― E
ben più vivo lo sente chi legga il testo! Un esempio: in
[XV: 14] «sopra l'onde spumeggianti» non rende la pittoresca
immagine dell'originale, lakkipäillä lainehilla; lakki è
il berretto e pää la testa: alla lettera dunque «onde col
berretto [bianco] in testa». Fra le espressioni più vivaci noteremo
[III: 501-504 | XI: 332 | XII: 156 | XV: 9-10]
e le graziose iperboli per ritrarre lo zelo di Marjatta nel disbrigo
delle faccende domestiche [L: 6-16].
(37) ―
Cfr. la nota a [IV: 327].
(38) ―
Non parrà argomento troppo poetico quello del runo
[XXIII: 183 segg.]. Ma si pensi a chi lo
canta, e per chi e dove lo si canta. Grande freschezza ed evidenza è
però in altre poesie di cose umili: come lo svegliarsi e le faccende
mattutine della servetta [VII: 133-160].
(39) ― Un
passo dal canto greco in onore di San Basilio:
...E sul bordone si appoggiò per dire l'alfabeto:
e 'l bordone ch'era secco, freschi rami gettò;
e sui freschi rami una pernice gorgheggia;
e non una pernice sola, ma e le colombe.
In un'altra variante:
...Sul pastorale s'appoggiò per dir l'abbiccì.
E 'l pastorale era verde, e gettò un ramo,
un ramo con fronde d'oro, trapunto in argento.
Si vedano i Canti popolari greci tradotti da N. Tommaseo,
copiose aggiunte e una introduzione per cura di... P.E. Pavolini,
pagine 68 e 70 (Tommaseo
~ Pavolini 1905).
(40) ―
Nel runo XLI. Non direi con Julius Krohn che l'altra variante del runo
XLIV sia stata inserita dal Lönnrot «senza bisogno» [onödigtvis]
(Krohn 1891). Fonderla con la prima era forse impossibile, e
col sopprimerla il
Kalevala avrebbe perduto una delle sue pagine più leggiadre. Fra i paralleli
germanici, insieme all'antica ballata danese (e svedese) del
Riddar Tynne, citata dal
Comparetti (pag. 193) (Comparetti 1891),
si può ricordare del contrasto nella descrizione di
Horand:
Le bestie dentro il bosco
smiser di pascolare;
nell'erba verde i vermi
cessaron di strisciare;
i pesci, che nell'onda
nuotavan sì veloci
or se ne stavan fermi
per il desìo d'udir le dolci voci
|
Kudrun [VI: 18] |
(41) ―
Quest'ultimo fu accolto dall'amico Giovanni Pascoli nella sua
antologia Sul limitare (Pascoli 1902).
(42) ―
Alcuni non superati dai predecessori: così per esempio i versi
[XXVIII: 225-226, 261 | XLIX: 509-532]
non erano stati intesi a dovere dai traduttori ora ricordati: però la
glossa finnica posta a piè del testo ne spiega chiaramente il senso.
|
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