John
Martin
Crawford |
KALEVALA |
PREFAZIONE ALLA
TRADUZIONE
INGLESE.
1887 |
|
|
|
La seguente traduzione è stata intrapresa con il desiderio di trasmettere ai
lettori di lingua inglese il tesoro di
bellezza epica, folklore e mitologia contenuto nel
Kalevala, il poema nazionale finlandese.
Sembra qui necessaria una descrizione sommaria di questo particolarissimo
popolo, nei suoi aspetti etici, linguistici, sociali e
religiosi, affinché il poema possa essere meglio compreso. |
La Finlandia (Suomi o Suomenmaa «terra
paludosa», di cui «Finlandia», o «Fen-land»
(1),
è la traduzione svedese)
è attualmente un granducato situato nella
parte nord-occidentale dell'impero russo, confinante
con i distretti di Olonec e Arcangelo, con la Svezia, la Norvegia e il Mar Baltico.
Con un'estensione superiore a 373.000 chilometri quadrati, è abitato da circa due
milioni di persone, gli ultimi resti di una razza spinta indietro, in tempi
assai remoti, delle tribù che avanzavano da est. I Finlandesi vivono in una
terra di paludi e monti, laghi e fiumi, mari, golfi, isole e insenature, e si
denominano Suomilainen, «abitanti delle paludi». Il clima è più
severo di quello svedese. La temperatura media annua
nel nord è circa -3°C, e circa -1°C a Helsinki [Helsingfors]
(2),
la capitale della
Finlandia. Nelle zone meridionali l'inverno dura
sette mesi e nelle province settentrionali il sole
scompare completamente durante i mesi di dicembre e
gennaio. |
Gli abitanti sono forti e resistenti, con facce
luminose e intelligenti, zigomi alti, capelli biondi
in gioventù e castani in età matura.
Riguardo alle loro abitudini sociali, morali e ai
loro modi, tutti i viaggiatori sono unanimi nel
parlarne bene. Il loro temperamento è
universalmente mite; sono lenti all'ira e una volta
arrabbiati se ne stanno in silenzio. Sono di animo
gioioso, affettuosi l'uno con l'altro, onorevoli e
onesti nei loro rapporti d'affari con gli
sconosciuti. Sono gente pulita, molto dedita all'uso
della sauna. Questo tratto è una nota cospicua
del loro carattere dalla loro storia remota fino a
oggi. Nei runot del
Kalevala si fa
spesso
riferimento «alla pulizia e alle virtù curative
dei vapori del bagno riscaldato». |
Il cranio dei finni appartiene, secondo la
classificazione del Retzius, alla classe brachicefalica
(dal cranio corto). Infatti i finni sono generalmente considerati mongolidi, sebbene di un
tipo modificato. Il loro colorito è scuro e i
loro occhi sono grigi. Non sono inospitali, ma
nemmeno di facile confidenza; né sono amici
delle novità. Costanti, attenti, laboriosi, sono
validi in miniera, validi nei campi, validi a bordo
delle navi e, al tempo stesso, coraggiosi soldati
sulla terraferma. |
I finni sono un popolo molto antico. Si
afferma, inoltre, che abbiano cominciato prima di
qualunque altra nazione europea a raccogliere e
conservare il loro antico folklore. Tacito, scrivendo
proprio all'inizio del secondo secolo dell'era
cristiana, menziona i Fenni, come lui li chiama, nel
quarantaseiesimo capitolo della
Germania. Dice di loro: «i finni sono
estremamente selvaggi e vivono in miserabile
povertà. Non hanno armi, né cavalli,
né abitazioni; vivono di erbe, si vestono di
pelli e dormono per terra. Unico affidamento
sono le loro frecce, che per la mancanza di ferro
hanno punta d'osso». Anche Strabone e il grande
geografo Tolomeo menzionano questa gente curiosa. Vi
sono indicazioni che un tempo essi fossero diffusi in
estese porzioni dell'Europa e dell'Asia occidentale. |
Forse va qui precisato che il rame, menzionato
così spesso nel
Kalevala, se preso alla lettera,
era probabilmente bronzo, o «rame indurito», ma la
quantità e la qualità della lega usata non
ci è nota. Le razze preistoriche europee conoscevano gli attrezzi in bronzo. |
Può essere interessante notare a questo
proposito che Canon Isaac Taylor e il professor Sayce
hanno proprio recentemente destato grande interesse
sulla questione, specialmente in Europa, con la
lettura dinanzi all'Associazione Filologica
Britannica di documenti in cui si sostiene l'origine
finnica degli ariani. Per questa nuova teoria, gli studiosi presentano prove
piuttosto forti e
concludono che il periodo della separazione degli ariani dal ceppo finnico debba essere stato più
di cinquemila anni fa.
(3) |
La nazione finlandese possiede una delle lingue più
musicali e flessibili. Di quelle coltivate in Europa,
il magiaro o ungherese mostra i
segni più evidenti di una somiglianza profonda
con il finlandese. Entrambe appartengono al ceppo ugrico
(4) delle lingue agglutinanti, cioè quelle che
meglio hanno conservato le radici delle parole, ed
effettuano i mutamenti grammaticali tramite
desinenze suffisse al tema originale. Grimm ha
mostrato che sia il gotico che l'islandese presentano
tracce di influenze dal finlandese. |
L'elemento musicale di una lingua, le vocali, sono
ben sviluppate nel finlandese e la loro successione
è soggetta a rigorose regole di eufonia
(5).
Una ö (equivalente alla eu francese)
nella prima sillaba deve essere seguita da una e o
da una i. Il finlandese, come tutte le lingue ugriche, ammette la rima, ma con riluttanza, e
preferisce l'allitterazione. Il suo alfabeto consiste
di sole diciannove lettere e, di queste, b, c, d,
f, g si trovano solo in poche parole
straniere, e molte altre non sono mai usate come
iniziali. |
Una delle caratteristiche di questa lingua, e che
è anche caratteristica del magiaro, del turco,
del mordvino e di altri idiomi affini, consiste
nell'uso frequente di diminutivi e vezzeggiativi. Con
una serie di suffissi posti ai nomi di esseri umani,
uccelli, pesci, alberi, piante, pietre, metalli e
perfino azioni, eventi e sentimenti, si ottengono i
diminutivi, che esprimono i nomi così formati in
colori differenti: diventano più naïve,
più fanciulleschi, più scherzosi, o
divertenti, o pungenti. Questi aspetti possono
difficilmente essere resi in inglese
(6);
perché, come osserva Robert Ferguson: «la lingua
inglese non è forte nei diminutivi e difetta
quindi di alcuni dei mezzi più efficaci per
l'espressione dei rapporti affettivi, teneri e
familiari». In tal senso tutte le traduzioni dal
finlandese all'inglese sono necessariamente carenti
rispetto all'originale. Lo stesso potrebbe dirsi
delle molte interiezioni emotive di cui il
finlandese, come tutti i dialetti ugrici, abbonda.
Con l'eccezione di queste due caratteristiche delle
lingue ugriche, le bellezze principali del verso
finlandese ammettono una rappresentazione adeguata in
inglese. La struttura delle frasi è molto
semplice, e avverbi e aggettivi sono usati con
parsimonia. |
Il finlandese è la lingua di un popolo che
vive a stretto contatto con la natura e si trova a
casa fra animali selvatici, bestie e uccelli, venti,
boschi e acque, neve che cade, sabbie che volano e
pietre che rotolano, e questi sono accuratamente
distinti con vocaboli corrispondenti di sempre
mutevole effetto acustico. Consapevole del fatto che
in un popolo come i Finlandesi, in cui la natura e la
sua venerazione costituiscono il centro di tutta la
loro vita, a ogni parola relativa alle potenze e agli
elementi della natura debba essere dato il pieno
valore, grande cura è stata presa nella
rappresentazione di questi termini dalle fini
sfumature. Uno sguardo alla mitologia di questo
interessante popolo porrà le implicazioni di
questa osservazione in una prospettiva migliore. |
Pare che i Suomi nei primi tempi adorassero gli
oggetti visibili naturali sotto le loro rispettive
forme sensibili. Tutte le entità erano persone.
Il Sole, la Luna, le Stelle, la Terra, l'Aria e il
Mare erano, per gli antichi finni, esseri viventi e autocoscienti. A poco
a poco venne riconosciuta l'esistenza di agenti ed energie invisibili, attribuiti a esseri superiori che vivevano in modo indipendente da
queste entità visibili, ma allo stesso tempo erano a esse connessi. L'idea di
base della mitologia finnica sembra risiedere nel fatto che tutti gli enti della
natura siano governati da divinità invisibili, chiamate haltiat, «reggenti»
o «genii». Questi haltiat, come i membri
di una famiglia umana, hanno distinti corpi e
spiriti; ma quelli minori sono in una certa misura
immateriali e senza forma, e le loro esistenze sono
del tutto indipendenti dagli oggetti di cui sono
particolarmente interessati. Sono tutti immortali, ma
hanno ranghi diversi in base all'importanza relativa
dei rispettivi incarichi. Le classi più basse
degli dèi finnici sono talvolta subordinate alle
divinità dai poteri maggiori, in particolare a
coloro che governano, rispettivamente, l'aria,
l'acqua, i campi e le foreste. Così Pilajatar,
la figlia del pioppo, sebbene altrettanto divina di
Tapio,
il dio dei boschi, è necessariamente sua servitrice. |
Una delle caratteristiche più notevoli della
mitologia finnica è l'interdipendenza tra gli
dèi. «Ogni divinità», osserva Castrén, «per
quanto piccola possa essere, governa nella propria
sfera come una potenza sostanziale e indipendente, o,
per parlare nello spirito del
Kalevala, come un
padrone di casa autonomo. Il dio della Stella Polare
governa soltanto un punto insignificante nella volta
celeste, ma su questo punto egli non conosce
padroni». |
Le divinità finlandesi, come gli antichi dèi dell'Italia e della Grecia, sono
generalmente rappresentati in coppia, e tutti gli dèi sono probabilmente
sposati. Hanno le loro proprie dimore e sono circondati dalle rispettive
famiglie. Il principale oggetto di culto tra i primi finni fu probabilmente il
cielo visibile, con il sole, la luna e stelle, le aurore boreali, i tuoni e i
lampi. Il cielo in sé stesso era pensato come divino. La concezione successiva
fu poi una divinità del cielo personificata, legata al nome della sua dimora. Infine questo dio del cielo
venne scelto per rappresentare il
Signore supremo. Al cielo, al dio celeste e al Dio supremo, fu dato il nome di
Jumala, la «casa del tuono». |
Ma nel corso del tempo, quando i finni giunsero a idee religiose più pure, chiamarono il cielo Taivas e il dio del cielo
Ukko. La parola ukko sembra
imparentata al magiaro agg «vecchio», e indica
quindi un essere vecchio, un nonno, ma alla fine
venne a essere utilizzata esclusivamente come il nome
della più alta divinità finnica. Gelo,
neve, grandine, ghiaccio, vento e pioggia, luce del
sole e ombra, si credono provenire dalle mani di
Ukko.
Egli controlla le nuvole: è chiamato nel
Kalevala «signore delle nubi», «pastore delle
nuvole», «dio delle brezze», «re dorato», «argenteo dominatore dell'aria» e
«padre dei
cieli». Brandisce i fulmini, abbattendo gli
spiriti del male sulle montagne, ed è quindi
definito «tonante», come il greco Zeus, e la sua
dimora è chiamata «casa del tuono». Ukko
è spesso rappresentato come seduto su una nuvola
nella volta del cielo e con il
firmamento sulle spalle, pertanto è chiamato «perno del cielo». È armato come un
guerriero onnipotente: le sue feroci frecce sono forgiate nel rame, il fulmine è
la sua spada e il suo arco è l'arcobaleno, tuttora chiamato Ukkon Kaari.
Come il dio germanico Þórr, Ukko brandisce un martello.
Troviamo infine, in una vena di simbolismo familiare,
che la sua gonna sfavilla di fuoco, che le sue calze
sono blu e le sue scarpe cremisi. |
Qua e là, nei runot successivi, Ukko interviene.
Così, quando il Sole e la Luna vengono rubati
dal cielo e nascosti in una caverna della montagna
del rame dalla malvagia ostessa della triste
Sariola,
egli, come Atlante nella mitologia greca, abbandona
il sostegno del cielo, si precipita lungo i bordi delle
nubi oscurate e attizza un fuoco con la sua spada per
accendere un nuovo sole e una nuova luna. E ancora,
quando Lemminkäinen
è a caccia del cavallo
sputafuoco di Piru, Ukko,
invocato dal temerario
eroe, rallenta il possente destriero aprendo le
finestre del cielo e precipitandogli addosso fiocchi
di neve, palle di ghiaccio, e grandine di ferro. Di
solito, però, Ukko
preferisce incoraggiare uno
spirito di indipendenza tra i suoi adoratori. Lo
troviamo spesso, nei runot, rifiutarsi di ascoltare
le invocazioni di aiuto del suo popolo, come quando
Ilmatar,
la figlia dell'aria, lo invoca invano in suo
soccorso perché lei possa partorire
Väinämöinen,
non ancora venuto alla luce dopo settecento anni di gestazione. Così anche
Väinämöinen
implora invano Ukko
di fermare il rivolo purpureo che scorre dal suo
ginocchio ferito con l'ascia da Hiisi.
Ukko, tuttavia, con tutto il suo potere,
non è affatto superiore al Sole, alla Luna e agli altri corpi celesti; essi non
sono influenzati da lui e sono considerati divinità a pieno titolo. Così, Päivä significa sia
«sole» che «dio del
sole, Kun significa sia «luna» che e «dio della luna», e Tähti e
Otava indicano rispettivamente la
Stella Polare e l'Orsa Maggiore, così come le
loro divinità. |
Il Sole e la Luna hanno ciascuno consorte, figli e
figlie. Due figli soltanto di Päivä
compaiono nel
Kalevala, uno viene in soccorso di
Väinämöinen
nei suoi sforzi per
distruggere il mitico pesce di fuoco, gettando dal
cielo nella cintura dell'eroe un «coltello magico,
dalla lama d'argento e dal manico d'oro»; l'altro
figlio, Panu, il bambino di fuoco, riporta a
Kalevala il fuoco che era stato rubato da
Louhi, la
malvagia ostessa di Pohjola.
Da questo mito Castrén deduce che gli antichi finni
consideravano il fuoco come una diretta emanazione
del Sole. Le figlie del Sole, della Luna, dell'Orsa
Maggiore, della Stella Polare e di altri dignitari
celesti, sono rappresentate come fanciulle sempre
giovani e belle, a volte sedute sui rami degli alberi
della foresta, a volte sugli orli cremisi delle nubi,
a volte sull'arcobaleno, a volte sulla cupola del
cielo. Queste figlie si crede conoscano alla
perfezione le arti della filatura e della tessitura,
abilità che probabilmente sono state attribuite loro dalla
fantasiosa somiglianza dei raggi di luce con l'ordito
del telaio. |
Il compito del Sole, utile nel portare la luce e la vita nelle
terre del nord, varia di rado. Occasionalmente egli devia dal suo percorso
abituale per dare informazioni importanti ai suoi adoratori in difficoltà. Per
esempio, quando la Stella e la Luna le rifiutano di darle informazioni, il Sole svela
alla vergine Marjatta dove si trovi il suo bambino
dorato: |
«Il tuo caro figliuoletto,
la tua mela d'oro bella,
nel pantano è fino al petto,
nella landa fin l'ascella.» |
Ancora, quando la devota madre dell'intrepido eroe
Lemminkäinen
(tagliato a pezzi dai figli di
Nana, come nel mito di Osiride) ne raccoglie i pezzi del corpo dal fiume di
Tuoni, e teme che gli spiriti del fiume dei morti
possano risentirsi per la sua intrusione, il Sole,
in risposta alle sue preghiere, getta i potenti raggi sulle temibili
Ombre e le immerge in un sonno profondo, mentre la madre riunisce le membra del figlio in tutta sicurezza. Questo runo del
Kalevala è particolarmente interessante in
quanto mostra la convinzione che i morti possano
essere riportati in vita attraverso la beata luce del
Cielo. |
Tra le altre divinità dell'aria vi sono le
Luonnotar, mitiche fanciulle, tre delle quali sono
create da Ukko
sfregandosi le mani sul ginocchio
sinistro. Subito costoro vanno sui bordi cremisi delle nuvole
e una spruzza latte bianco, l'altra latte rosso e
la terza latte nero sulle colline e sulle
montagne; così divennero le «madri del ferro»,
come riportato nel nono runo del
Kalevala. Nelle
più alte regioni del cielo ha la sua dimora
Untar, o Undutar, che presiede su nebbie e foschie.
Queste vengono passate attraverso un setaccio
d'argento prima di essere mandate a terra. Ci sono
anche le dee dei venti. Una particolarmente degna di
nota, Suvetar (da suve,
«sud, estate»),
è la dea del vento
del sud. È rappresentata come una
divinità dall'animo gentile, che guarisce i
seguaci malati e afflitti col miele che lascia
cadere dalle nuvole, e vigila inoltre sulle mandrie
al pascolo nei campi e nei boschi. |
Dopo l'aria, l'acqua è il secondo elemento
più riverito dai finni e dalle tribù affini. «Difficilmente potrebbe essere
altrimenti», spiega Castrén, «perché appena l'animo del selvaggio
comincia a sospettare che il divino sia spirituale, al di là del sensibile,
allora, anche se egli continua a venerare la materia, in generale le assegna un
valore tanto più grande quanto meno è compatta. Egli vede da un lato come sia
facile perdere la vita nelle onde agitate, e dall'altro vede che da queste
stesse acque è alimentato e la sua vita prolungata». È così che la mappa della
Finlandia è a tutt'oggi piena di nomi come Pyhöjärvi («lago sacro») e Pyhäjoki
(«fiume sacro»). Tra i finni, alcuni offrono ancora capre e vitelli a queste
acque sacre, e molte tribù ugriche
sacrificano tuttora renne al fiume Ob. In Estonia
c'è un ruscello, Vöhanda, che è tenuto
in tale reverenza che fino a poco tempo fa nessuno
osava abbattere un albero o tagliare un arbusto nelle
sue immediate vicinanze, per evitare la morte che
avrebbe colto l'autore del reato entro un anno,
in punizione al suo sacrilegio. Il lago Eim è
tuttora ritenuto sacro dagli Estoni e la sua
leggenda è così raccontata da F. Thiersch,
e citata anche da Grimm e Mace da Charda: |
Uomini selvaggi e malvagi abitavano lungo i suoi
bordi. Essi non falciavano i prati che irrigava,
né seminavano i campi che rendeva fecondi, ma
rapinavano e uccidevano, così tanto che le sue
limpide onde divennero scure per il sangue degli
uomini massacrati. Allora il Lago stesso si
addolorò, e una sera chiamò a raccolta
tutti i suoi pesci e si sollevò con essi in aria. Quando i ladri
sentirono il suono, esclamarono: «Eim si è levato: andiamo a raccogliere i suoi
pesci e i suoi tesori». Ma i pesci se ne erano andati
con il lago, e nulla fu trovato sul fondo se non
serpenti, lucertole e rospi. Eim si sollevò
sempre più in alto e si affrettò attraverso
l'aria come una nube bianca. E i cacciatori nella
foresta dissero: «Che tempo cattivo sta arrivando!»,
i mandriani dissero: «Che cigno bianco sta volando
lassù!». Per tutta la notte il lago si
librò tra le stelle, e la mattina i mietitori lo
videro abbassarsi. E il cigno divenne una nave
bianca, e la nave un'oscura processione di nubi, e
una voce giunse dalle acque: «Prendete dunque il
vostro raccolto, ché prenderò dimora
accanto a voi». Quindi diedero al lago il benvenuto,
purché irrigasse i loro campi e i loro prati; ed
egli discese e si distese nella sua sede più che
poté. Poi il lago rese tutte le zone circostanti
feconde, e i campi divennero verdi, e la gente
ballò intorno a esso, di modo che gli anziani
divennero gioiosi come i giovani. |
Il principale dio dell'acqua è Ahto, sulla cui etimologia la lingua finlandese
fa poca luce. È curiosamente simile a Ahti, un
epiteto dell'intrepido
Lemminkäinen.
Questo dio dell'acqua, o «signore dei flutti», come viene
chiamato, vive con la sua «fredda coniuge dall'animo
crudele», Vellamo, in fondo al mare, nelle voragini
delle Rocce dei Salmoni, dove sorge il suo palazzo,
Ahtola. Oltre ai pesci che nuotano nei sui domini
(in
particolare il salmone, la trota, il merlano, il
persico, l'aringa e il pesce bianco), egli possiede un
tesoro inestimabile nel Sampo,
il talismano del successo, che Louhi,
la signora di Pohjola,
aveva trascinato in mare cercando di riprenderlo agli eroi di
Kalevala. Sempre desideroso degli
altrui tesori
e generalmente restio a restituire
qualunque cosa entri in suo possesso, Ahto non è
incapace di generosità. Una volta un pastorello stava intagliando un bastone in riva a un
fiume, quando il coltello gli cadde in acqua. Ahto,
come nella favola Mercurio e il boscaiolo, commosso
dalle lacrime dello sfortunato ragazzo , giunse
nuotando, si tuffò sul fondo, portò su un
coltello d'oro e lo restituì al giovane pastore.
Innocente e onesto, il mandriano disse che il
coltello non era il suo. Ahto allora si immerse di
nuovo e riportò un coltello d'argento che diede al ragazzo, ma costui di nuovo non lo
accettò. Quindi il signore dei flutti si immerse
nuovamente, e la terza volta consegnò il coltello
giusto al ragazzo, il quale lo riconobbe con sollievo come
suo e lo accettò con gratitudine. Ahto diede al
pastorello i tre coltelli come ricompensa per la sua
onestà. |
Un termine generale per gli altri signori dell'acqua, che vivono non solo in
mare, ma anche nei fiumi, nei laghi, nelle cascate e nelle fontane, è Ahtolaiset
(«abitanti di Ahtola»),
«popolo
dell'acqua», «popolo della schiuma e dei marosi», «popolo eterno di
Vellamo». Di questi, alcuni hanno
nomi specifici, come Allotar («dea delle onde»),
Koskenneiti («fanciulla delle cascate»),
Melatar
(«dea del timone»), e nel
Kalevala sono a volte
invocati personalmente. Di queste divinità
minori, Pikku Mies («pigmeo») è il più
degno di nota. Una volta, quando la vasta chioma della quercia primordiale
oscurò dalla luce del sole le terre del nord, Pikku Mies, mosso dalle
suppliche di Väinämöinen,
emerse dal mare, tutto vestito di rame e con un'ascia di rame nella
cintura; rapidamente crebbe da pigmeo a gigantesco eroe, e abbatté la possente quercia
con tre colpi d'ascia. In generale le divinità
acquatiche sono benefiche e gentili. Alcune,
tuttavia, come Vetehinen
e Iku-Turso, trovano il loro
maggior piacere nell'infastidire e distruggere i loro
simili. |
Originariamente i finni consideravano la terra come un essere divino con
personali poteri e la rappresentavano come una benefica madre che dona pace e abbondanza
a tutti i suoi meritevoli adoratori. A prova di ciò troviamo i nomi
Maa-emä «madre terra», e Maan-emo «madre della terra»,
dati alla Demetra finlandese. Ella è
sempre rappresentata come una dea dai grandi poteri, e, dopo appropriata
invocazione, è sempre pronta e in grado di aiutare gli inermi e i sofferenti. Secondo
alcuni mitologi è sposata a Ukko,
che concede ai suoi figli le benedizioni della luce del sole e della
pioggia, come Gé è sposa di
Ouranós,
Jorð
di
Óðinn, e Papa di
Rangi. |
Degli dèi minori della terra, che
governano singolarmente le piante, come alberi, segale, lino e orzo, Virokannas è
il solo menzionato nel
Kalevala. Una volta,
ad esempio,
questo «sacerdote della foresta vestito di verde»
abbandonò temporaneamente la sua presidenza sui
cereali per battezzare il neonato della vergine Marjatta. E di nuovo
Virokannas lasciò la sua
nativa sfera di azione, questa volta giungendo a un
miserevole e ridicolo fallimento, quando emerse dai
luoghi selvaggi e tentò di uccidere il toro
finnico, come descritto nei runot che seguono. Le
divinità agricole, comunque, ricevono ben poca
attenzione da parte dei finni, che, con i loro
inverni freddi e crudeli, e le loro estati brevi ma
deliziose, trascurano com'è naturale la
coltivazione dei campi per dedicarsi all'allevamento,
alla pesca e alla caccia. |
La divinità della foresta, invece, sono
tenute in grande venerazione. Di questi il principale
è Tapio, l'«amico delle foreste»,
l'«aggraziato
dio dei boschi». Egli è rappresentato come un dio alto e slanciato, con indosso una lunga
veste marrone, un manto di muschio e un alto cappello
di aghi di abete. La sua consorte è
Mielikki, la «madre dei boschi ricca di miele»,
la «padrona
delle valli e delle foreste». Quando i cacciatori
avevano successo era rappresentata come bella e
benigna, le sue mani scintillanti di ornamenti in oro
e argento, con indosso orecchini e ghirlande d'oro,
i capelli legati da fasce argentate e sulla fronte fili di perle, con calze blu ai piedi e
stringhe rosse nelle scarpe. Ma se la borsa per la
selvaggina tornava vuota, veniva descritta come
odiosa e orribile, vestita di stracci alla rinfusa e
i piedi calzati di paglia. Ella detiene le chiavi del
tesoro di Metsola,
dimora del marito, e la sua
generosa cesta di miele, cibo di tutte le
divinità della foresta, è desiderata
ardentemente da tutti i cacciatori stanchi di Suomi.
Queste divinità sono invariabilmente descritte
come aggraziate e tenere di cuore, probabilmente
perché sono tutte femmine a eccezione di
Tapio
e di suo figlio, Nyyrikki, un giovane alto e maestoso,
impegnato a gettare ponti sulle paludi e
sui ruscelli che le mandrie devono
attraversare lungo il loro cammino verso i pascoli
boschivi. Nyyrikki si occupa anche di marchiare le
rocce e gli alberi per guidare gli eroi verso i loro
terreni di caccia preferiti. Anche Sima-suu («bocca
di miele»), una delle piccole figlie di
Tapio,
suonando col suo sima-pilli («flauto del miele»),
funge da guida per i cacciatori meritevoli. |
Hiisi, il diavolo finnico, chiamato anche
Juutas, Piru e Lempo, è il capo dei demoni
della foresta, ed è inconcepibilmente malvagio.
Fu messo al mondo da Syöjätär,
col cui sputo, come cantato nel
Kalevala,
aveva creato
il serpente. Questo demone è descritto come
crudele, orribile, odioso e assetato di sangue, e
tutte le più tremende malattie e disgrazie che
affliggono da sempre i mortali si crede provengano da
lui. È ritenuto dai Finlandesi responsabile di tutto il male compiuto
sulla terra. |
Passando dal mondo esterno all'uomo, troviamo
divinità le cui energie vengono utilizzate solo
nel dominio dell'umana esistenza. «Queste
divinità», dice Castrén, «non hanno
rapporti con la natura superiore e spirituale
dell'uomo. Tutto ciò che fanno riguarda l'uomo
unicamente come oggetto della natura. Saggezza e
diritto, virtù e giustizia, non trovano nella
mitologia finlandese alcun protettore tra gli dèi,
i quali si preoccupano solo dei desideri temporali
dell'umanità». La dea dell'amore era Sukkamieli
(«amante delle calze»). «Le calze», afferma
gravemente Castrén, «sono oggetti morbidi e
soffici, e la dea dell'amore era così chiamata
perché si interessava dei sentimenti più
morbidi e teneri». Questa concezione, tuttavia,
è tanto inverosimile quanto moderna. La
divinità dell'amore degli antichi Finlandesi era
Lempo,
il demone del male. È pertanto più
ragionevole supporre che i finni abbiano scelto
il figlio del male per regnare sui sentimenti del cuore umano, perché
consideravano l'amore come una passione incontrollabile, o come una frenesia
simile alla follia, e dunque lo ritenevano evocato in qualche modo misterioso
da un incantatore malvagio. |
Uni è il dio del sonno, e viene descritto
come una divinità affettuosa e benvoluta. Untamo
è il dio dei sogni, e se ne parla sempre come
della personificazione dell'indolenza. Munu si cura
teneramente della salute degli occhi umani. Il meno
che si possa dire di questa divinità è che
si tratta di un oculista di lunga e variegata
esperienza, con ogni probabilità consultato
spesso in Finlandia a causa della neve accecante e
dei pungenti venti del nord. Lemmas è una
dea finnica che medica le ferite dei
suoi fedeli malati e lenisce i loro dolori.
Suonetar
è un'altra dea della cornice umana, e svolge un
ruolo curioso e importante nel riportare in vita lo
sconsiderato Lemminkäinen,
come descritto nei
seguenti runot. Ella si occupa di filare le vene e di
cucire i tessuti feriti dei meritevoli adoratori che
necessitano della sua abilità chirurgica. |
Altre divinità associate al benessere del
genere umano sono Sinettaret e
Kankahattaret, le dee,
rispettivamente, della tintura e della tessitura.
Matka-Teppo è il dio delle strade, e si occupa
della cura dei cavalli che hanno lavorato troppo e
dei viaggiatori stanchi. Aarni è il custode dei
tesori nascosti. Questo importante compito è
svolto anche da un'orribile vecchia divinità di
nome Mammelainen, che Renwall, il
lessicografo finnico, descrive come femina maligna, matrix
serpentis, divitiarum subterranearum custos «donna
maligna, madre del serpente, custode dei tesori
sotterranei». Da questa concezione è evidente che
l'idea di una parentela tra i serpenti e i tesori
nascosti, incontrata spesso nei miti ungheresi,
germanici e slavi, non è estranea ai
finni. |
Da nessuna parte le contraddizioni tra teoria e
pratica umane si mostrano più forti e curiose
che nell'uso in voga presso le tribù finne, che pur
non credendo in una vita futura, ciononostante
eseguono alcuni cerimoniali funebri, come il
seppellimento nelle tombe dei morti di coltelli,
asce, lance, archi e frecce, pentole, cibo, vestiti,
slitte e racchette da neve, testimoniando così
nella pratica il loro riconoscimento di una qualche
forma di vita nell'oltretomba. Gli antichi
finni occasionalmente chiedevano consulenza e
assistenza ai morti. Così, come scritto nel
Kalevala, quando
ebbe bisogno di tre parole magiche per ultimare la
barca sulla quale sarebbe andato a chiedere la mano della mitica
fanciulla di Sariola, l'eroe
di Väinölä cercò prima nel cervello
dello scoiattolo bianco, poi nella bocca del cigno
bianco morente, ma invano; allora viaggiò verso il
regno di Tuoni,
e fallendo anche lì, «si spinse
oltre le punte degli aghi, oltre le lame delle spade,
oltre i bordi affilati delle accette» fino alla tomba
dell'antico sapiente, Antero Vipunen,
dove «trovò le parole perdute del Maestro». In questa
leggenda del
Kalevala, estremamente interessante,
istruttiva e curiosa, si trovano, a quanto pare, le
remote vestigia dell'antica Massoneria. |
Sembra che le prime credenze dei finni per
quanto riguarda i morti fossero incentrate su questo:
che i loro spiriti rimanessero nelle loro tombe fino
alla completa disintegrazione dei loro corpi, su cui
presiedeva Kalma,
il dio delle tombe, con la sua nera
e malvagia figlia. Dopo essere
stati completamente purificati, gli spiriti venivano ammessi al
Regno sotterraneo di Manala.
Coloro che viaggiavano verso
Tuonela
erano tenuti ad attraversare nove mari
e a percorrere un fiume, lo Stige finlandese, nero,
profondo e violento, e pieno di famelici gorghi e
rabbiose cascate. |
Come lo Helheimr della mitologia scandinava,
Manala,
o Tuonela, era considerato come
corrispondente al mondo superiore. Il sole e la luna
lo visitavano; paludi e foreste offrivano rifugio a
lupi, orsi, alci, serpenti e uccelli canori; salmoni,
merluzzi, persici e lucci erano ospitati dalle «acque
di Manala
nere come il carbone». Dai semi dei campi e
dei boschi della terra dei morti, il verme di
Tuoni
(il serpente) aveva preso i suoi denti.
Tuoni, o
Mana, il
dio del mondo sotterraneo, era rappresentato come
un vecchio personaggio duro di cuore e spaventoso,
con tre dita dalla punta di ferro su ciascuna mano e
con indosso un cappello calcato fino alle spalle.
Come nell'originaria concezione di Ade,
Tuoni era
ritenuto condurre i morti alla loro casa sotterranea
ed era il loro consulente, custode e governante. In
qualità di governante era assistito dalla
moglie, una vecchia strega, odiosa e orribile, con «deformi dita di rame con le punte di ferro»,
la testa deforme e i lineamenti distorti, e nel
Kalevala sempre chiamata ironicamente
hyvää
emäntä, la «buona signora»; ella cucinava
ai suoi ospiti lucertole, vermi, rospi e serpenti.
Tuonen Poika, il «dio delle guance rosse», così
chiamato a causa del suo carattere sanguinario e della sua
costante crudeltà, era figlio e complice di
questa spietata e orribile coppia. |
Nei runot sono menzionate tre figlie di
Tuoni,
delle quali la prima, una ragazza piccola e nera, ma di
grande cattiveria, almeno una volta mostrò un
tocco di gentilezza umana quando esortò invano
Väinämöinen
a non attraversare il fiume di Tuoni,
spiegando all'eroe che, mentre
molti visitano Manala,
pochi ritornano, incapaci di fronteggiare la collera di
suo padre. Dopo molte suppliche, ella lo
traghettò infine oltre lo Stige finlandese, come
Caronte, figlio di Erebo e Notte, nella mitologia
greca. La seconda figlia di Tuoni è
Loviatar,
nera e cieca, descritta ancora
più maligna e disgustosa della precedente.
Fecondata dal vento dell'est
generò gli spiriti delle otto
(7)
malattie più temute
dall'umanità, come descritto nel XLV runo del
Kalevala: |
...Fece l'uno Maldipetto,
fece Colica quell'altro,
fu la Gotta il terzo figlio,
diventò la Tisi il quarto,
ebbe il nome il quinto Piaga,
ed il sesto fu la Rogna,
Cancro il settimo figliuolo
e l'ottavo Pestilenza. |
La terza figlia di Tuoni
combina i malefici e ripugnanti attributi delle due sorelle, ed è
rappresentata come la madre e la signora delle
malattie impersonali del genere umano. I finni
consideravano tutti i disturbi come spiriti
maligni o diavoli parassiti, alcuni senza forma,
altri assumenti le più odiose forme
animali, quali vermi e acari; le otto sopra elencate,
invece, erano concepite aventi forma umana. |
Dove i tre rami del fiume di Tuoni si
incontrano sorge una spaventosa roccia, chiamata Kipukivi o Kipuvuori, sotto la quale sono
imprigionati gli spiriti di tutte le malattie. La terza figlia di Tuoni
siede su questa roccia e la ruota
costantemente come una macina, macinando i suoi
prigionieri fino a quando non scappano per andare a
torturare e uccidere i figli degli uomini. Ella presiede al giudizio
dei morti, come Kalī (la nera) nella
mitologia indù. |
Diverse altre potenze spirituali, oltre agli dèi e alle dee,
sono tenute in grande venerazione dai
finni. Tonttu è rappresentato come un benigno spirito della casa, una sorta di
piccolo ciclope, e gli vengono tributate ogni mattina offerte di pane e di brodo. Si crede che camminare nove
volte intorno a una chiesa indossando il collare di
una cavalla sia un modo per attrarre qualcuno verso
il posto desiderato. Para è una mitica
creatura a
tre zampe, immaginata in modi differenti, e che, secondo Castrén, prende vita quando il suo possessore si
taglia il mignolo della mano sinistra e lascia cadere
tre gocce di sangue, pronunciando allo
stesso tempo la corretta formula magica. Il
possessore, a qualunque titolo, di questa mitica
creatura, viene sempre rifornito con
latte e formaggio in abbondanza. I Maahiset sono i nani della
mitologia finlandese. Abitano sotto ceppi, alberi,
sassi, soglie e focolari. Anche se estremamente
minuti e invisibili per l'uomo, hanno sembianze
umane. Sono irritabili e vendicativi, e puniscono con
ulcere, dermatiti, tigna, brufoli e altre affezioni
cutanee tutti coloro che li escludono dalla
preparazione della birra e del pane, e dai banchetti. Essi puniscono
in modo analogo coloro che entrano in una casa nuova senza inchinarsi ai quattro angoli
e prestare loro le dovute attenzioni; allo stesso modo vengono puniti coloro che
vivono in case disordinate. I Kirkonväki (il «popolo delle chiese») sono
piccoli esseri deformi che vivono sotto gli altari
delle chiese. Si crede che siano in grado di
aiutare i fedeli sofferenti. |
Alcune bestie, uccelli e alberi sono considerati
sacri in Finlandia. Nel
Kalevala vi sono evidenti tracce
di arctolatria, culto dell'orso, un tempo molto comune tra le tribù
del nord. Otso, l'orso,
secondo la mitologia finnica, nacque sulle spalle
di Otava, nelle regioni del sole e della luna, e «fu
allevato dalla dea dei boschi in una culla dondolata
da bande d'oro tra i rami flessibili dei giovani
abeti». La sua balia non gli avrebbe dato denti e
artigli fino a che egli non avesse promesso di non
impegnarsi mai in lotte sanguinose o atti di
violenza. Otso, tuttavia, non sempre mantiene il suo
impegno e, di conseguenza, i cacciatori finlandesi
trovano relativamente facile conciliare le loro
coscienze con la sua uccisione. Otso è
chiamato nei runot con molti titoli affettuosi come «mangiatore di miele»,
«dorato piè leggero», «mela
della foresta», «zampa mielata delle montagne», «orgoglio del bosco»,
«amico della foresta
vestito di pelo». Ahava, il vento dell'ovest, e
Penitar, una vecchia strega cieca di
Sariola, sono i
genitori dei rapidi cani finlandesi, così come i
cavalli di Achille, Xanto e Balio, discendevano da Zefiro
e dall'arpia Podarge. |
Per quanto riguarda gli uccelli, l'anatra, secondo
il
Kalevala, o l'aquila, secondo altre tradizioni,
deposero l'uovo del mondo, prendendo quindi parte alla
creazione. Puhuri, il vento del nord, il padre di
Pakkanen «gelo», è talvolta personificato
come una gigantesca aquila. Il tuffetto è venerato perché preannuncia l'arrivo
della pioggia. Linnunrata («via degli uccelli») è il nome dato alla Via
Lattea, probabilmente a causa di un mito, come quello slavo e svedese, in cui
le canzoni assumono la forma di colombe bianche. Il cuculo è tuttora considerato
sacro, e si crede che abbia fecondato la terra con il suo canto. Quanto agli
insetti, le api da miele, chiamate dai finni mehiläinen, sono
particolarmente sacre, come nei miti di molte altre nazioni. Ukkon-koira («cane di
Ukko»)
è il nome finlandese per la farfalla, considerata un messaggero della Divinità
Suprema. Può essere interessante osservare che i
Bretoni chiamano reverenzialmente le farfalle «piume
dalle ali di Dio». |
Quanto alla natura inanimata, alcuni laghi, fiumi,
sorgenti e fontane sono tenuti in grande considerazione.
Nel
Kalevala la quercia è chiamata
pun Jumalan
(«albero di Dio»). Il sorbo e la betulla sono tuttora
ritenuti sacri, e i contadini li piantano con
reverenza vicino alle loro case. |
Riguardo i giganti della mitologia finnica, Castrén non dice nulla e le seguenti note sono
scaturite dal
Kalevala e dalla
Mitologia Teutonica di Grimm. «I giganti», afferma Grimm,
«si distinguono
per astuzia e ferocia dagli stupidi,
bonari mostri di Germania e Scandinavia». Soini, ad
esempio, un sinonimo di
Kullervo, l'eroe di uno degli
episodi più tristi del
Kalevala, a soli tre
giorni di età, strappò le fasce a
brandelli. Quando fu venduto a un fabbro della Carelia, gli fu ordinato di accudire un bambino, ma
cavò gli occhi del bambino, lo uccise e ne
bruciò la culla. Ordinatogli di recintare i campi,
costruì una recinzione dalla terra al cielo,
utilizzando pini interi e intrecciandone i rami con
serpenti velenosi. Richiestogli di pascolare le mandrie
nel bosco, sostituì il bestiame con lupi e orsi e
condusse questi a casa affinché ne uccidessero la padrona,
la quale aveva cotto una pietra in mezzo al suo
pane d'avena, spezzandogli il coltello, suo solo ricordo di famiglia. |
Per quanto riguarda gli eroi del
Kalevala, molte
discussioni vi sono state riguardo la loro collocazione
nella mitologia finnica. I finni considerano
gli eroi principali dell'epica di Suomi,
Väinämöinen,
Ilmarinen e
Lemminkäinen,
come discendenti della Vergine Celeste,
Ilmatar,
fecondata dai venti quando Ilma
(«aria»), Luce e Acqua erano le sole esistenze
materiali. In armonia con questa concezione troviamo,
nel
Kalevala, una descrizione della nascita di
Väinämöinen,
o Väinö, come egli è
talvolta chiamato nell'originale, con parola probabilmente affine al magiaro
ven «vecchio». Gli Estoni considerano questi eroi come
figli del Grande Spirito, generato prima che la terra
venisse creata e residenti con il loro Signore
Supremo in Jumala. |
La poesia di un popolo con una tale elaborata
mitologia e con un così spiccato e riconoscente
senso della natura e dei suoi fenomeni, doveva
certamente, prima o poi, attirare l'attenzione degli
studiosi. E infatti già nel XVII secolo si
incontrano letterati che hanno cercato di raccogliere
e interpretare i canti dei finni. Tra
questi ci sono stati Palmsköld e Peter
Bäng. Essi hanno raccolto parti della poesia
nazionale, principalmente incantesimi
magici e vari tipi di folklore pagano. Gabriel Maxenius, tuttavia, fu
il primo a pubblicare un lavoro sulla poesia nazionale finnica, portando alla luce le bellezze del
Kalevala. Apparso nel 1733, col
titolo di De effectibus naturalibus, questo libro consisteva in
una bizzarra raccolta di poesie finniche in forma lirica, soprattutto incantesimi; ma l'autore
mancò completamente di apprezzarle o interpretarle. Non fu in grado di vedere la loro
intima connessione con il culto religioso pagano dei
finni. |
Il successivo a studiare la poesia e la lingua
finnica fu Daniel Juslenius, celebre vescovo e
studioso molto dotato. In una dissertazione, pubblicata già nel 1700, dal titolo
Aboa vetus et nova, discusse l'origine e la
natura della lingua finnica, e in un altro suo
lavoro, stampato nel 1745, trattò di incantesimi
mostrando al tempo stesso una profonda
comprensione del folklore finnico e
dell'importanza della lingua finnica e della
poesia nazionale. Raccolse con
grande cura le canzoni dei Suomi, ma la preziosa
collezione andò purtroppo bruciata. |
Porthan, uno studioso finlandese assai rinomato, nato nel 1766, proseguendo il lavoro di Juslenius accumulò un gran numero di poesie e
canzoni nazionali e, grazie al suo profondo
entusiasmo per la promozione della letteratura
finlandese, poté fondare la Società dei Fennofili, che costituisce tuttora il centro
letterario della Finlandia. Tra i suoi allievi vi furono
E. Lenqvist e Chr. Ganander, le cui opere sulla
mitologia finnica sono state consultate nella preparazione di questa
prefazione. A questi infaticabili studiosi si aggiunsero Reinhold
Becker e altri, che si misero industriosamente alla
ricerca di un numero sempre maggiore di frammenti di
quella che evidentemente era una grande epopea finnica. Perché certamente nessuno dei due
studiosi appena citati, né i precedenti
ricercatori, poterono non accorgersi che i runot che
avevano raccolto erano incentrati attorno a due o tre
eroi principali, ma soprattutto intorno alla figura
centrale di Väinämöinen,
l'eroe del poema epico |
Il
Kalevala propriamente detto fu raccolto da due
grandi studiosi finlandesi, Zacharias Topelius e
Elias Lönnrot. Entrambi erano medici e in tale
veste entravano frequentemente in contatto con la gente del popolo. Topelius, che raccolse ottanta
frammenti del
Kalevala, trascorse gli ultimi undici
anni della sua vita a letto, afflitto da una malattia
mortale. Ma questa triste e provante circostanza non
smorzò il suo entusiasmo. Questo era il metodo da lui utilizzato per
raccogliere i canti: sapendo che i finni russi avevano conservato la
maggior parte della poesia nazionale, e che costoro venivano
ogni anno nella Finlandia propriamente detta, che a
quel tempo non apparteneva alla Russia, invitava
questi commercianti finni al suo
capezzale e li convinceva a cantare i loro poemi
eroici, che trascriveva immediatamente. E, quando
sentiva parlare di un noto cantore o menestrello, faceva tutto ciò che
era in suo potere per portarlo a casa sua, in modo da raccogliere nuovi frammenti dell'epopea
nazionale. Così l'onore di essere stato il primo
a raccogliere i frammenti del
Kalevala e a salvarli
dall'oblio letterario appartiene a Topelius. Nel 1822
egli pubblicò la sua prima raccolta, e nel 1831
l'ultima. |
Elias Lönnrot, che portò l'intera opera
a un glorioso compimento, nacque il 9 aprile
1802. Entrato all'Università di Turku [Åbo] nel
1822, nel 1832 conseguì il titolo di Dottore in
Medicina presso l'Università di Helsinki [Helsingfors].
Dopo la morte di Castrén, nel 1853, Lönnrot
divenne professore di lingua e letteratura finniche
all'Università, dove rimase fino al 1862,
allorché si ritirò dall'attività
accademica e si dedicò esclusivamente allo
studio della lingua nativa e delle sue produzioni
epiche. Il dottor Lönnrot aveva già
pubblicato, nel 1827, una tesi sul
principale eroe del
Kalevala, prima di
recarsi a Sava
e Karjala per raccogliere canti e frammenti di canti
dalle labbra del popolo. Questo lavoro era
intitolato De Väinämöine
priscorum Fennorum
numine. Nel 1828, viaggiò, spingendosi fino a Kajaani, raccogliendo poesie e
canti del popolo
finnico, sedendo ai focolari degli anziani,
remando sui laghi con i pescatori e seguendo le
greggi assieme ai pastori. Nel 1829 pubblicò a Helsinki [Helsingfors] un lavoro
dal titolo Kanteletar, taikka Suomen kansan vanhoja lauluja ja virsiä («La Lira, o Vecchi e nuovi canti della nazione
finlandese»). In un altro lavoro, scritto in svedese, edito nel 1832 con il
titolo Om Finnarnes magiska medicin («Della medicina magica dei finni»), egli si soffermò sugli incantesimi,
così frequenti nella poesia finlandese e in
particolare nel
Kalevala. Qualche anno dopo percorse
la provincia di Arcangelo e si ingraziò a tal
punto la simpatia di quella gente semplice, che costoro lo
aiutarono volentieri nella raccolta dei canti. Questi viaggi si svolgevano
attraverso acquitrini selvatici, foreste, paludi e
pianure gelate, a cavallo, in slitte trainate da
renne, in canoa o con altri primitivi mezzi di trasporto. L'entusiasta medico descrisse fedelmente i
suoi viaggi e le sue difficoltà in un documento
pubblicato in svedese a Helsinki [Helsingfors] nel 1834. Ebbe la
fortuna di incontrare un vecchio
contadino, uno dei più vecchi runolainen nella
provincia russa di Vuokkiniemi, che era di gran lunga
il più rinomato cantore del paese, e con la
cui morte imminente sarebbero andati
irrimediabilmente perduti numerosi e preziosissimi runot. |
Il dottor Lönnrot iniziò poi a organizzare
il felice risultato dei suoi viaggi per la
Finlandia nella concezione di una grande epopea,
chiamata
Kalevala, e nel febbraio
del 1835 il manoscritto fu inviato alla Società Letteraria Finlandese, che lo
pubblicò in due parti. Ma Lönnrot non si fermò qui: proseguì la ricerca e la
raccolta e, nel 1840, riunì più di mille frammenti di poemi epici, ballate
nazionali e proverbi. Li pubblicò in due opere intitolate rispettivamente
Il fascino della lira [Kanteletar] e
I proverbi del popolo di Suomi [Suomen kansam
sanaskuja], il secondo contenente oltre 1700 proverbi,
adagi, aforismi e canzoni. |
Il suo esempio fu seguito da molti suoi
entusiasti connazionali, i più eminenti dei quali furono Castrén, Europæus, Polén e
Reinholm. Attraverso le raccolte di questi studiosi
furono rese pubbliche così tante parti
aggiuntive del tesoro epico finlandese che una nuova
edizione del
Kalevala divenne presto necessaria. Il
compito di vagliare e organizzare il vasto materiale
fu nuovamente assegnato al dottor Lönnrot e,
nella sua seconda edizione, apparsa
nel 1849, il poema, con i suoi cinquanta runot e 22793
versi, aveva raggiunto la sua forma definitiva. Non
appena il
Kalevala venne pubblicato, attirò
subito l'attenzione dei principali studiosi d'Europa.
Uomini di fama mondiale come Jacob Grimm, Steinthal,
Uhland, Carrière e Max Müller si
affrettarono a riconoscerne l'incomparabile
valore e l'intrinseca bellezza. Jacob Grimm, in una monografia
pubblicata nel suo Kleinere
Schriften, dichiarò che la genuinità e il valore
straordinario del
Kalevala sono facilmente dimostrati
dal fatto che dalle sue idee mitologiche siamo spesso
in grado di interpretare le concezioni mitologiche
degli antichi Germani, mentre i poemi di Ossian
manifestano la modernità della loro origine, incapaci come sono di chiarire gli interrogativi
sull'antica mitologia sassone o tedesca. Grimm,
inoltre, dimostrò che la letteratura sia gotica che
islandese mostrassero tratti inequivocabili di un'influenza finnica. |
Max Müller pone il Kalevala allo stesso
livello dei più grandi poemi epici del mondo.
Queste le sue parole: «Dalla bocca degli anziani è stato raccolto
un poema epico pari all'Iliade in lunghezza e
completezza; anzi, se riusciamo a dimenticare per un
momento tutto ciò che in gioventù abbiamo
imparato a chiamare bello, non meno bello. Un
finno non è un greco, e Väinämöinen
non era un Omero [Achille?], ma se il poeta può prendere i suoi
colori dalla natura che lo circonda, se può
raffigurare gli uomini con i quali vive, il
Kalevala possiede meriti non dissimili da quelli dell'Iliade,
e rivendicherà il suo posto come il quinto poema
epico nazionale del mondo, fianco a fianco con i
poemi ionici, con il Māhabhārata, il
Libro dei re e il
Canto dei Nibelunghi».
|
Steinthal riconosce solo quattro grandi poemi
epici nazionali, vale a dire l'Iliade, il
Kalevala, il Canto dei Nibelunghi e la
Canzone di Rolando. |
Il Kalevala descrive la natura finnico in modo
minuzioso e bellissimo. Grimm afferma che
nessun poema può essergli avvicinato sotto questo
aspetto, tranne alcuni poemi epici dell'India.
È stato tradotto in numerose lingue europee: in
svedese da Alexander Castrén nel 1844, in prosa
francese da Léouzon Le Duc nel 1845, in tedesco da Anton
Schiefner nel 1852, in ungherese da Ferdinand Barna
nel 1871, e una piccola parte di esso – la leggenda
di Aino
– in inglese, nel 1868, dal defunto
professor John A. Porter, dell'Università di Yale.
Sarà motivo di eterno rammarico
per gli anglofoni che la vita del professor Porter non
sia potuta essere risparmiata per permettergli di
completare la grande opera che aveva iniziato in modo
così bello. |
Alcune delle prove più convincenti della
genuinità e antichità del
Kalevala sono
state fornite dal traduttore ungherese. Gli
ungheresi, come è noto, sono strettamente
imparentati con i finni, e la loro lingua, il
dialetto magiaro, ha le stesse caratteristiche
distintive della lingua finlandese. La traduzione di Barna, di conseguenza, è la più fedele
all'originale. Per dimostrare la genuinità e
antichità del
Kalevala, Barna cita un libro
ungherese scritto da un certo Peter Bornemissza nel 1578, intitolato
Degli spettri satanici [Ördögi
kísértetekről],
la sola copia del quale egli trovò nella
biblioteca dell'Università di Budapest. In
questo libro Bornemissza raccolse tutti gli incantesimi [ráolvasások] in uso tra i
contadini ungheresi del suo tempo per combattere
malattie e sventure. Questi incantesimi, formatisi
nel ceppo comune di tutti i popoli ugrici, di cui i
finni e gli ungheresi sono due ramificazioni, mostrano una più che
soddisfacente somiglianza con i numerosi incantesimi utilizzati nel
Kalevala per gli stessi scopi. Barna pubblicò un elaborato
trattato su questo tema, apparso nel 1870 presso
il Dipartimento di Filologia dell'Accademia Ungherese delle Scienze. Ancora, nel 1868, ventidue opere ungheresi
risalenti al 1616-1660 vennero ritrovate nella Hegyalja, dove viene prodotto il celebre vino Tokaj, e inviate all'Accademia Ungherese delle
Scienze. Questi documenti contenevano diversi
contratti per la vendita di vigneti, e alla fine di
ogni atto era detto essere vuotato da entrambe le
parti il consueto calice di vino. Questo calice di
vino era definito negli atti «coppa di Ukkon».
Ukko, tuttavia, è il capo degli dèi nella mitologia
finnica, e quindi la coincidenza del magiaro Ukkon e del finnico Ukko
viene
posta al di là di ogni dubbio. |
Il
Kalevala («Terra degli eroi») narra dei mutevoli
contrasti tra i finni e gli «scuri» lapponi,
così come l'Iliade racconta dei contrasti tra i
greci e i troiani. Castrén è del parere che l'inimicizia tra finni e lapponi fosse
già cantata molto prima che i finni
lasciassero la loro terra d'origine in Asia. |
Un più profondo e recondito
significato del
Kalevala, invece, indica un confronto
tra Luce e Tenebre, Bene e Male; i finni
rappresentano la Luce e il Bene, e i Lapponi le
Tenebre e il Male. Come i Nibelunghi, gli eroi finni corteggiano le fanciulle del nord, e la
somiglianza è resa ancora più evidente
dalle loro frequenti incursioni nel paese dei Lapponi
per entrare in possesso dell'invidiato tesoro della
Lapponia, il misterioso Sampo,
evidentemente il Vello
d'Oro della spedizione degli Argonauti. Curiosamente,
l'opinione pubblica è spesso espressa nei runot
usando le parole di un infante; e spesso l'imprevisto è introdotto alla maniera dei
drammi greci: da un bambino piccolo o da un uomo
anziano. |
L'intera poesia è carica del più
affascinante folklore circa i misteri della natura,
l'origine delle cose, gli enigmi delle tribolazioni
umane e, come si addice al carattere di un'epopea
nazionale, rappresenta non solo la poesia, ma
l'intera saggezza ed esperienza di una nazione. Tra
le altre cose, vi è un tratto profondamente
filosofico nel poema, indicativo di una profonda
conoscenza del funzionamento della mente umana e
delle forze della natura. Ogni volta che uno degli
eroi del
Kalevala intende superare la potenza
aggressiva di una forza maligna, come una ferita, una
malattia, una bestia feroce o un serpente velenoso,
egli raggiunge il suo scopo cantando l'origine della
forza nemica. Il pensiero alla base di questa idea
è evidentemente che tutto il male potrebbe
essere eliminato se solo conoscessimo da dove e come
è venuto. |
I numerosi miti del poema sono altrettanto pieni
di significato e di bellezza, e il
Kalevala andrebbe
letto tra le righe per poter comprendere appieno il
significato di questa grande epopea. Anche un odioso personaggio come
Kullervo è
ricco di significato, mostrando
l'incorreggibilità del male radicato. Questa
leggenda, come tutte le altre presenti nel poema, ha le sue interpretazioni
nascoste. Il
Kalevala, forse più di ogni altro, utilizza il
simbolismo in superficie per indicare alla mente
le sottostanti, fulgide gemme di verità. |
I tre personaggi principali, Väinämöinen,
l'antico cantore, Ilmarinen,
l'eterno fabbro, e Lemminkäinen,
l'intrepido mago, come già accennato sono
concepiti come esseri di origine divina. In effetti,
i personaggi che agiscono nel
Kalevala sono per la
maggior parte esseri sovrumani e magici. Perfino i protagonisti femminili sono maghe potenti, e la signora
di Pohjola,
soprattutto, fronteggia il potere di
tutti gli incantatori di Väinölä
messi assieme. Il potere della magia è una
caratteristica notevole del poema. Qui, come nelle
leggende di nessun altro popolo, gli eroi e i semidei
realizzano quasi tutto con la magia. Le canzoni di
Väinämöinen
disarmano i suoi avversari; calmano il mare arrabbiato; dànno calore
al nuovo sole e alla nuova luna che suo fratello,
Ilmarinen,
forgia da metalli magici; dànno vita alla
sposa di Ilmarinen,
che «l'eterno artista dei
metalli» forgia con oro, argento e rame. In effetti
siamo in mezzo a un popolo che attribuisce a tutto vita e
attributi umani e divini. Uccelli, bestie, pesci e
serpenti, così come il Sole, la Luna, l'Orsa
Maggiore e le stelle, sono amichevoli oppure ostili.
Gocce di sangue acquistano la parola; uomini e
fanciulle assumono altre forme per riprendere
nuovamente la loro forma originale a volontà; navi,
alberi e acque hanno poteri magici; in breve,
tutta la natura parla lingue umane. |
Il
Kalevala è estremamente antico. Una delle
ragioni per ritenerlo, sta nel silenzio del
Kalevala circa i vicini russi, tedeschi o
svedesi. Ciò evidentemente dimostra che il poema
deve essere stato composto in un tempo in cui queste
nazioni avevano pochi o nessun rapporto con i
finni. La coincidenza tra gli incantesimi,
indicata sopra, dimostra che questi canti magici risalgono a un'epoca
in cui ungheresi e finni erano ancora fusi in un solo popolo, in
altre parole, a un tempo di almeno tremila anni fa.
L'intero poema non mostra alcun importante segno di
influenza straniera ed è in tutto un'epopea
profondamente pagana. Ci sono ottime ragioni per
ritenere che la storia di Marjatta, recitata nel
cinquantesimo
runo, sia una leggenda pre-cristiana. |
Un'ulteriore prova dell'originalità e della
nascita indipendente del
Kalevala si trova nel suo
metro. Tutte le poesie genuine devono avere il
proprio verso peculiare, come i fiocchi di neve non
possono esistere senza le loro particolari
cristallizzazioni. Così l'Iliade è
inseparabilmente unita e, per così dire, immersa
nel solenne esametro, e l'epica francese
nell'elegante verso alessandrino. Il metro del
Kalevala è il trocaico a otto sillabe, che è
il verso caratteristico dei finni. La parlata
naturale di questo popolo è poesia. I giovani e
le fanciulle, gli anziani e le matrone, nei loro
scambi di idee, finiscono per parlare
involontariamente in versi. Il genio della loro
lingua aiuta in tal senso, in quanto le loro parole
sono fortemente trocaiche. |
Questo metro meravigliosamente versatile consente di mantenere
il giusto mezzo tra il solenne,
quasi arrogante esametro, e i metri più brevi
delle liriche. I suoi piedi sono agili e fluenti, ma
al tempo stesso pieni di vigore ed espressività. In più, il
Kalevala utilizza
l'allitterazione e varia quindi il ritmo del tempo
con il ritmo del suono. È un metro particolarmente adatto per le numerose espressioni di
affetto di cui l'epopea finnica abbonda. Sono
soprattutto l'amore della madre per i figli, e
l'amore dei figli per la madre, che trovano
frequente e tenera espressione nei versi musicali del
Kalevala. La traduzione svedese di Castrén,
quella tedesca di Schiefner e quella ungherese di
Barna, così come la seguente traduzione in
lingua inglese
(8),
sono nel metro originale del
Kalevala. |
Per dimostrare che questo peculiare e affascinante
stile di versi è di origine molto antica, le
righe seguenti sono state accuratamente copiate dalla
prima edizione in finlandese del
Kalevala,
come raccolto
dal dottor Lönnrot e pubblicato nel 1835 a Helsinki [Helsingfors]; la citazione parte
dal verso 150 del
secondo runo: |
Louhi Pohjolan emanta
Sanan wirkko, noin nimesi:
«Niin mita minulleannat,
Kun saatan omille maille,
Oman pellon pientarelle,
Oman pihan rikkasille?»
Sano wanha Wainamoinen:
«Mitapa kysyt minulta,
Kun saatat omille maille,
Oman kaën kukkumille,
Oman kukon kukkluwille,
Oman saunan lampimille?»
Sano Pohjolan emanta:
«Ohoh wiisas Wainamoinen!
Taiatko takoa sammon,
Kirjokannen kirjaëlla,
Yhen joukkosen sulasta,
Yhen willan kylkyesta,
Yhen otrasen jywasta,
Yhen warttinan muruista.» |
Per quanto riguarda l'architettura, il
Kalevala si trova a metà strada tra le ballate epiche dei
Serbi e la struttura puramente epica dell'Iliade.
Sebbene sia un corpo continuo, contiene molte parti
quasi indipendenti, come la sfida di
Joukahainen,
l'episodio di Kullervo
e la leggenda di Marjatta. |
Questo poema epico dei Suomi, tramandato oralmente dall'età mitica a oggi e mantenuto in vita da una generazione all'altra
di cantori, è considerato dai maggiori linguisti come uno
dei più preziosi contributi alla letteratura
mondiale dal tempo di Milton e dei classici
tedeschi. |
Vengono qui dati riconoscimenti per le seguenti
fonti di informazioni utilizzate per la preparazione
del presente lavoro: al De Superstitione veterum
Fennorum theoretica et practica di E. Lenqvist; al Mythologia Fennica di Chr. Ganander; al
De Väinämöine di Becker; agli Oxford Essays di Max Müller; al Selections from the Kalevala del
prof. John A. Porter; agli scritti dei fratelli
Grimm; al Native Races of the Russian Empire di Latham; alle traduzioni del
Kalevala di Alex.
Castrén, Anton Schieffier, Léouzon Le Duc e Ferdinand
Barna; e specialmente agli eccellenti trattati sul
Kalevala e sulla mitologia dei
finni di Mace Da
Charda e Alexander Castrén; alla professoressa Heléna Klingner, di Cincinnati, linguista di prim'ordine, che ha confrontato molto
coscienziosamente il manoscritto con la traduzione tedesca del
Kalevala di Anton
Schiefner; al dottor Emil Reich, ungherese, studioso delle lingue ugriche che, in modo
assolutamente approfondito, ha confrontato questa
traduzione con quella ungherese di Ferdinand Barna, e
che, familiare agli usi, costumi e nozioni religiose
dei finni, ha fornito molto materiale prezioso usato nella
preparazione di questa prefazione; e, infine, al prof. Thomas C. Porter del Lafayette College, che è diventato
un'autorità sul
Kalevala attraverso molti anni
di ricerche, aiutato da una lunga e intima conoscenza
del prof. A. F. Soldan, finlandese di nascita, amante
entusiasta del suo Paese, insigne studioso, poliglotta, e un tempo a
capo della Zecca Imperiale a Helsinki [Helsingfors], capitale
di Finlandia. Il prof. Porter ha molto gentilmente
affidato all'autore di queste pagine tutta la
letteratura su questo tema in suo possesso, compresi
i propri scritti; ha assistito alla crescita di
questa traduzione con inconsueto interesse e, con
l'occhio dello studioso e del poeta dotato, ha svolto
due esami attenti e critici di tutto il manoscritto,
facendo annotazioni, emendamenti e correzioni, dalle
quali questo lavoro è stato notevolmente
migliorato. |
Con questa lunga introduzione, la prima
traduzione in inglese del
Kalevala, con le sue
numerose imperfezioni, è non senza esitazione
data al pubblico. |
John Martin Crawford
1 Ottobre 1887
|
|
|
|