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BALLATE POPOLARI SCANDINAVE

DRAUMKVEDET

IL CANTO DEL SOGNO
Schema
DRAUMKVEDET - Saggio
DRAUMKVEDET - Testo
Note
Bibliografia

Titolo

Draumkvedet

Genere Ballata d'argomento escatologico
Variante TSB B31 Legendeviser
Lingua Norvegese (dialetto del Telemark)
Epoca
Composizione (alta):
Composizione (bassa):
Redazione:
  X-XII secolo
XVI secolo
1894 (Moltke Moe)
BALLATE POPOLARI SCANDINAVE
DRAUMKVEDET
IL CANTO DEL SOGNO

Scoperta del Draumkvedet

Il Draumkvedet (letteralmente «La canzone del sogno») è una singolare e grandiosa ballata visionaria che molti legano al Telemark, la regione meridionale della Norvegia. Formalmente appartiene al genere tipicamente medievale delle visiones animarum, ma nonostante questo non si è riusciti a giungere a una conclusione precisa sulla sua data e origine, né sappiamo chi ne fu l'autore.

Primo a occuparsi del Draumkvedet fu, intorno al 1840, il folklorista Olea Crøger (1801-1855). Seguì Jørgen Moe (1813-1882), il coautore, insieme a Peter Christen Asbjørnsen, della famosissima raccolta di fiabe norvegesi (Asbjørnsen & Moe 1841-1852). Ma il primo a porre precisa attenzione sul Draumkvedet fu il pastore protestante Magnus Brostrup Landstad (1802-1880). Nel 1840, nel suo pellegrinare per le contrade rurali della Norvegia in cerca di antichi canti popolari, Landstad aveva incontrato a Kviteseid, nel Telemark, una domestica di ventotto anni, Maren Ramskeid, la quale gli aveva cantato una versione in trenta strofe del Draumkvedet. Landstad aveva subito compreso di trovarsi di fronte a una ballata speciale e magnifica. Ne era rimasto affascinato e si ero messo in cerca di altre varianti. Ma se Maren Ramskeid aveva cantato trenta strofe, la maggior parte dei cantori ne conosceva molte di meno, e per di più i vari frammenti raccolti da Landstad tendevano a differire largamente sia tra loro sia dalla versione della Ramskeid. Inoltre gli stessi cantori avevano solo una vaga idea della vicenda che si raccontava nella ballata: secondo un detto locale, non c'era nessuno così sciocco da non conoscere almeno una strofa del Draumkvedet, ma nemmeno nessuno così sapiente da padroneggiare l'intera ballata.

Nelle Norske Folkevisar («Ballate popolari norvegesi»), che Landstad pubblicò nel 1853 in collaborazione col musicologo Ludvig Mathias Lindeman, compariva una ricostruzione del Draumkvedet in sessanta strofe, selezionate da molte varianti.

Alcuni anni dopo, il filologo Sophus Bugge (1833-1907) richiamò l'attenzione sulle similarità tra il Draumkvedet e la letteratura visionaria medievale. Egli vide, infatti, una particolare e forte somiglianza tra la ballata norvegese e la visione sperimentata dal nobiluomo irlandese Tungdal nel 1149. La Visio Tungdali era un testo piuttosto noto nell'Europa medievale ed era stato tradotto in molte lingue. Ne esisteva anche una traduzione norrena eseguita dai membri letterati della corte norvegese nel XIII secolo, intitolata Duggals leitza. Un legame tra le due opere era dunque possibile.

Comunque fosse, il Draumkvedet non suscitò interesse nei circoli folkloristi fino al 1890. Sganciatasi dal dominio danese nel 1814, la Norvegia rimase unita alla Svezia fino al 1905, anno in cui fu infine pacificamente riconosciuta la sua indipendenza. Ancora alla fine dell'Ottocento, però, il paese era pervaso da accesi sentimenti nazionalisti: si dava grande importanza a qualunque cosa contribuisse a rafforzare l'identità nazionale e si cercavano prodotti che dimostrassero la ricchezza e la qualità della cultura norvegese. All'inizio del 1890, il professor Moltke Moe, il quale teneva delle lezioni sulle ballate norvegesi all'Università di Oslo, propose una sua ricostruzione del Draumkvedet che comprendeva cinquantadue strofe.

Illustrazione di Aslak K. Svalastoga, da un'edizione norvegese del Draumkvedet  (1904).

A tal proposito, Moltke Moe – il quale era figlio del folklorista Jørgen – ha raccontato di quando ascoltò la ballata per la prima volta. «Dinanzi alla mia vista appare un'immagine: la prima volta che ho sentito nel Telemark cantare il Draumkvedet. Un soggiorno di una povera casa contadina in cima a una vallata fuori mano; il vento autunnale e la pioggia battente sulla strada; attraverso le assi del pavimento allentate un cigolio straziante; e su un ceppo vicino al camino, a metà strada da me, la tranquilla cantante stessa. Richiamò con sforzo alla memoria i versi quasi dimenticati, e il quadro, così come lo presentavano, era tremolante e frastagliato. Ma dopo che la mente si era schiarita e l'atmosfera aveva fatto presa su di lei, la voce si fece calda, e le magre guance rugose iniziarono ad arrossarsi. Era la solennità del corale, il fervore del salmo, il rapimento dell'estasi, a volte come un lontano e vibrante rintocco di campane. Iniziai a capire che questo poema poteva essere stato tramandato da madre a figlia e da padre a figlio per settecento anni, aveva potuto riempire dinastie e dinastie con la sua grandezza e la sua atmosfera d'integrità. Era come se guardassi attraverso le pietre e le zolle d'erba un periodo svanito, un periodo d'antichità e grandezza e di straordinaria semplicità. Ma così lontano, così lontano. L'anziana sedeva dinanzi a me come una zitella di un tempo lontano e svanito» (Moe & Liestøl 1967-1971).

Le cinquantadue strofe della ricostruzione del Moe derivavano da manoscritti originali, ma molte di loro, nonché interi passaggi, provenivano dal repertorio di un singolo cantante. Moe cambiò l'ordine delle strofe e un certo numero di parole, rendendo il linguaggio più arcaico. Nelle sue lezioni mise il Draumkvedet in una prospettiva storica ed europea. Tracciò dei paralleli con la Divina Commedia e, siccome era molto edotto con la letteratura irlandese, non c'è da stupirsi se la sua ricostruzione evidenziò ancora di più le similarità con la Visio Tungdali già sottolineate da Bugge, così da aggiungere l'autenticità erudita necessaria per dar prova al valore letterario e all'origine medievale dell'opera. Grazie ai suoi sforzi, dunque, il Draumkvedet fu trasformato da un ballata orale in un testo letterario. La ricostruzione di Moe è stata assai considerata fino all'inizio del secolo. È la versione riportata nelle antologie scolastiche, l'unica analizzata e commentata nelle storie della letteratura e anche l'unica a essere stata tradotta in altre lingue. Il Draumkvedet presto divenne un tesoro della cultura nazionale, e ispirò pittori, musicisti, drammaturghi e scrittori per oltre un secolo.

Nonostante ciò, ci sono forti dubbi su questo status di epopea nazionale: prima di tutto il Draumkvedet è stato documentato solo in una piccola area del Telemark settentrionale, e non appartiene certamente a tutto il paese. Ciò non è affatto sorprendente: la poesia popolare raramente è nazionale nel carattere, ma indossa il colore locale della comunità da cui ha origine, mentre è internazionale per il genere e il tipo. Il Draumkvedet è anche cantato in un dialetto arcaico che non è automaticamente compreso da tutti i norvegesi. In verità, molte parole erano incomprensibili anche agli stessi cantori. Così la maggior parte dei norvegesi ha bisogno di un'ampia guida linguistica per avvicinarsi al testo. Inoltre, la visione del mondo su cui è basata la ballata, incentrata sulla tradizione cattolica medievale, appare abbastanza remota ai moderni norvegesi. Ciò significa che il lettore medio ha bisogno di spiegazioni dettagliate del background culturale del Draumkvedet per comprenderne la vicenda e i motivi che ne sono alla base.

Dalle singole strofe alla melodia

Nell'area d'origine del Draumkvedet c'era una tradizione ben stabilita di canti popolari monostrofici conosciuti come stev. Lo stev è una tipica forma breve di quattro versi, ampiamente usata per l'improvvisazione, spesso caratterizzata da parole di saggezza popolare e immagini molto chiare.

Le strofe del Draumkvedet hanno la forma dello stev, e molte di loro si trovano anche come stev indipendenti. Tutte le melodie associate al Draumkvedet sono pure melodie stev. Anche se questi stev sono monostrofici e impiegati come strofe separate nella tradizione orale, molti stev aventi lo stesso tema vengono talvolta cantati nella forma di una ballata conglomerata, conosciuta come stevrekkje, «serie di stev». Queste «serie» raramente hanno un intreccio epico o una forma fissa. L'ordine delle strofe è casuale, dipendendo semplicemente dalla memoria del cantore.

Pochi tra i cantori migliori del Draumkvedet erano consapevoli del fatto che le strofe della ballata dovessero essere ordinate in una sequenza particolare, anche se la maggior parte di loro non aveva nessuna idea di quale fosse esattamente. Per loro il Draumkvedet era un conglomerato di stev, strofe singole indipendenti su un tema comune. Una stevrekkje veniva cantata come fosse raccontata da un fantasma: un morto spiegava come ci si sentisse nella tomba, e in tal senso, questa composizione era già molto simile al Draumkvedet. Le fonti più importanti cantavano il Draumkvedet in molte e diverse melodie e variavano anche i ritornelli, ognuno associato con il suo particolare tono; non di meno molti cantori recitavano l'intera ballata nello stesso tono. La maggior parte delle partiture composte per la ballata sono basate su quattro melodie che Ludvig Mathias Lindeman trascrisse dopo aver ascoltato diversi cantori.

L'arrangiamento di Lindeman di una versione breve stabilì questa tradizione melodica su cui sono basate molte versioni successive. Alcune sono puramente strumentali, come la Draumkvede-sonata per piano di Klaus Egge (1933) e il Triptychon II: Tre icone dal Draumkvedet per organo di Trond Kverno (1989). Altri hanno scritto composizioni vocali, sia soliste che corali, come David Monrad Johansen (coro maschile, 1921), Sparre Olsen (coro misto, solista e orchestra, 1936), Eivind Groven (coro misto, solista e orchestra, 1963), Ludvig Nielsen (due versioni: un Oratorio liturgico, 1962, e una Passacaglia per organo, 1963). Johan Kvandal (arrangiamento delle melodie per coro misto e ensemble strumentale, 1997) e Johan Varen Ugland (meditazioni per clarinetto, coro femminile e organo, 1999). Di tutte le versioni, quella di Arne Nordheim è la più libera.

La questione della datazione

Tra i molti misteri che circondano il Draumkvedet, quello che ha scatenato maggiormente il dibattito tra i vari studiosi è la questione sulla data di origine della ballata. Il materiale è così frammentato che è molto difficile stabilirne l'esatta collocazione temporale. La maggior parte degli studiosi ritiene che la ballata possa risalire al X, XI o XII secolo. Moltke Moe l'assegnò al 1200. Per avvalorare questa tesi, oltre a basarsi sullo studio della tradizione religiosa popolare e tracciare paralleli con la poesia visionaria alto-medievale, Moe analizzò gli elementi precristiani presenti nella ballata. Il ponte Gjallarbrú [Gjallarbrui/Gjaddarbrui], che nel poema conduce al regno dei morti, era il nome che la tradizione pagana dava al ponte che conduceva al regno di Hel. Il diavolo, che la ballata chiama «Sguardo-torvo Barbagrigia» [Grutte Gråskjegg], presenta degli spiccati paralleli con la figura di Óðinn. (Moe 1927). Anche Sophus Bugge aveva notato un parallelo tra «San Michele delle anime», che suona la sua tromba per raccogliere le anime al giudizio, ed Heimdallr, il guardiano della dimora degli dèi nella mitologia nordica, il quale raduna, dando fiato al suo corno, chiama le anime dei guerrieri allo scontro finale, nel giorno di Ragnarǫk. (Bugge 1854-1855)

Per tali motivi è immaginabile che il Draumkvedet sia stato composto nei primi tempi del cristianesimo in Norvegia, nell'XI secolo, quando la fede cristiana coesisteva fianco a fianco con l'antico paganesimo. In effetti è indubbio che il Draumkvedet contenga elementi sia della mitologia nordica sia del cattolicesimo medievale, rappresentando così un collegamento con «l'età d'oro» in cui la Norvegia era un regno indipendente e al culmine del suo potere e, probabilmente, la principale influenza culturale in Scandinavia. In tal caso, il poema poteva servire come un ottimo strumento per la conversione dei pagani alla nuova fede senza creare traumi nell'immaginario popolare.

Su questa linea, Dag Strömbäck data la ballata in età tardomedievale. In effetti il background religioso dell'opera è chiaramente il cattolicesimo romano precedente alla riforma: San Michele Arcangelo e il Purgatorio non figurano infatti nel protestantesimo luterano norvegese. (Strömbäck 1970)

I critici moderni non concordano tuttavia con date così remota e fanno notare che Moe aveva escluso a priori la possibilità che la ballata potesse essere più recente. Nulla vieta, infatti, che la si possa assegnare al periodo subito successivo alla riforma protestante: gli elementi cattolici possono essere spiegati altrettanto bene col fatto che la riforma tardò a far presa in modo completo sulla mentalità popolare e la mentalità cattolica sopravvisse per un lungo periodo, dopo il passaggio al luteranesimo, specialmente in aree isolate come il Telemark settentrionale. Bisogna tener conto del fatto che in Norvegia la riforma fu il risultato di un ordine dato dalle autorità piuttosto che un movimento di protesta popolare, come era invece accaduto in Germania. (Steinsland 2004)

Su questa linea, si è anche voluto leggere la ballata come una reazione alla stessa riforma, poiché doveva essere stato traumatico per la gente sapere che i santi in cui credevano non esistevano più, e anche perché dei singoli elementi della ballata fanno pensare alla propaganda anti-protestante avviata dalla Controriforma.

Altri studiosi hanno spostato la data di composizione del Draumkvedet addirittura al diciassettesimo secolo. Tra questi, Hans Midbøe ha voluto vedervi un influsso francescano, per via della critica operata alla corruzione ecclesiastica (Midbøe 1949). Tale teoria non ha tuttavia riscosso molti consensi. I fautori della datazione recente affermano, non a torto, che non ci siano prove dell'esistenza del Draumkvedet prima dell'Ottocento (la prima versioni della ballata furono raccolte, abbiamo detto, intorno al 1840).

Ma detto questo, il Draumkvedet, come ha giustamente notato Brinynjulf Alver, può anche essere anche un conglomerato di canti antichi che non hanno mai avuto un filo epico solido (Alver 1971).

L'argomento

La ballata narra di Olav Åsteson (o Olaf Åkneson, in altre fonti) che cade in un profondo sonno estatico la vigilia di Natale e dorme per tutte le feste fino all'Epifania quando, svegliatosi dal torpore, sella il suo cavallo e si dirige verso la vicina chiesa dove, seduto sul sagrato, racconterà dei sogni che ha fatto.

Olav ha visto la vita dopo la morte: purgatorio, paradiso e inferno. Il viaggio all'altro mondo è stato spaventoso e irto di pericoli: ha attraversato brughiere piene di rovi, ha sorvolato valli profonde e montagne maestose, fino a giungere a un ponte ricoperto d'oro; a guardia di questo ponte c'erano belve feroci e solo le anime giuste potevano oltrepassarlo. Per proseguire, Olav ha guadato paludi senza fondo e, dopo molte sofferenze, è giunto nel mondo dei morti. Prima ha visto i bei e soleggiati prati del Paradiso, ma subito la Santa Madre di Dio lo ha invitato a recarsi alla Sala tra le Nuvole, anticamera della città delle torture: lì si tiene il giudizio provvisorio che l'anima riceve subito dopo la morte. Dopodiché, Olav ha sperimentato la visione del giorno del giudizio, allorché le schiere infernali, guidate dal diavolo, e le schiere celesti, guidate da Gesù, si scontreranno: allora il corno suonato da San Michele chiamerà al giudizio finale le anime dei defunti. La visione successiva riguarda il Purgatorio e l'Inferno.

Nell'ultima parte, Olav fornisce gli insegnamenti morali che queste visioni hanno impresso in lui: che le buone azioni avranno la loro ricompensa nell'altro mondo e nessuno dovrà aver timore nel giorno del giudizio, poiché la verità risponderà a tutti.

Le visiones animarum

Il Draumkvedet può essere agevolmente inserito nel genere medievale delle visiones animarum. Con questo termine si intendono racconti di visioni (più raramente di viaggi) scritti da monaci e chierici per descrivere l'aldilà nelle sue ripartizioni e sedi destinate ai beati e ai malvagi. Pur subordinato all'insegnamento e all'edificazione, il genere è caratterizzato da descrizioni vivide, non di rado grandiose, pervase da un gusto per il meraviglioso a volte confinante nel grottesco.

Le origini di questo genere, assai popolare nel medioevo, sono molteplici. (1) Da un lato vi è la tradizione antico-classica che ha per oggetto i racconti di discesa agli inferi. La storia egiziana di Setne ne è forse uno dei primi archetipi. Gli esempi più famosi sono le catabasi di Odysseús, nel poema omerico, e di Æneas nell'Æneis virgiliana. (2) L'influenza dello zoroastrismo, con le sue concezioni di inferno, paradiso e giudizio universale: il Ārdā Vīrāz-nāmag è uno dei primi esempi di viaggio ultraterreno attraverso le pene delle sedi infernali e le beatitudini del paradiso. (3) La tradizione escatologica e apocalittica giudaico-cristiana, costituita da traduzioni greco-latine di testi ebraici, siriaci, copti ed etiopici compresi tra il II secolo a.C. e il III secolo d.C.; l'Apocalypsis Pauli, pure conosciuta come Visio Sancti Pauli (III sec.), ne è l'esempio più famoso. (4) Il genere islamico del miʾrāǧ, di cui l'archetipo è l'«ascensione notturna» del Profeta Muḥammad attraverso l'inferno e i sette cieli del paradiso: il Liber scalæ Machometi, traduzione latina del Kitab al-Miʾrāǧ, sembra fosse ben conosciuta nel mondo cristiano, e pare possa essere ascritta tra le fonti del poema dantesco. (5) Le narrazioni irlandesi appartenenti al genere degli immrama, che raccoglie le discese degli antichi eroi celtici nei regni dei síde, continuati in epoca cristiana dalle «navigazioni metafisiche» di santi monaci alla ricerca del Paradiso Terrestre; la Navigatio Sancti Brandani è forse l'esempio più noto di questo genere. (Lecco 1998)

Da tutte queste correnti si sviluppò il genere delle visiones animarum che tanta fortuna ebbe nel nostro medioevo. Tra i suoi esempi più famosi, i Dialogi di Gregorius Magnus (VI sec.), che riportano storie di varie esperienze post-mortem, senza peraltro descrivere i luoghi visitati, e la breve visione attribuita all'abate Sunniulf dallo storico Gregorius Turonensis nella Historia Francorum (VI sec.). Ma è solo a partire dal XII-VIII secolo, in corrispondenza con l'azione evangelizzatrice del monachesimo, che fiorisce il genere delle visiones: abbiamo così la Visio Baronti, la Visio Bonelli, la Visio Drythelmi, la Visio Fursei (di San Fursa), la Visio monachi de Wenloc, la Vita Ansgarii (con le visioni di Ansgarius di Brema), la Visio Bernoldi Presbyteri, la Visio Karoli Grossi, la Visio Wettini e l'irlandese Fís Adomnáin, «Visione di Adamnán». Al periodo compreso tra i secoli XI e XII si aggiungono la Visio Gunthelmi e la Visio Alberici, il Purgatorius Sancti Patricii, la Visio Godeschalci (di Gottschalk), la Visio Thurkilli, la Visio monachi de Eynsham e la sopracitata Visio Tungdali.

Con la fine del Medioevo la produzione visionaria si viene lentamente spegnendo, sia per motivazioni dottrinarie (razionalizzazione delle concezioni cristiane sull'Oltretomba), ma in parte anche per ragioni letterarie. Mentre da un lato il genere giunge al suo apogeo con il suo esempio più illustre, ma anche meno «spontaneo», la Divina Commedia di Dante; dall'altro l'esperienza mistica si apre all'elaborazione orale, alla ballata popolare, di cui il Draumkvedet è appunto uno dei migliori documenti.

Traduzione

Questa traduzione del Draumkvedet, eseguita da Luca Taglianetti, è basata sulla versione «classica» in 52 strofe di Moltke Moe. Allo stesso Moe va anche attribuita la divisione del poema, per una maggiore facilità di lettura dell'opera, in otto parti (o capitoletti), che coincidono con le strofe [1-6], [7-15], [16-23], [24-28], [29-37], [38-45], [46-51], [52] (Moe 1927). Le illustrazioni, di Gerhard Munthe (1849-1929), sono tratte da un'edizione norvegese del Draumkvedet (1904), da questo sito: <Munthes Draumkvæde>.

Disclaimer

La presente pagina va considerata non definitiva. Il traduttore si riserva il diritto di perfezionare la traduzione, completare l'introduzione e arricchire il corredo bibliografico.

BALLATE POPOLARI SCANDINAVE
DRAUMKVEDET
IL CANTO DEL SOGNO
    DRAUMKVEDET IL CANTO DEL SOGNO  
         
  I Visionens ramme Cornice della visione Nota
 

1

1. Vi' du me lye, eg kvea kan
um einkvan nytan drengjen,
alt um ‘n Olav Åsteson,
som heve sovi so lengji.
Ascoltatemi, canterò
di un prode ragazzo,
tutto su Olav Åsteson,
 che dormì per lungo tempo.
Nota
    Å de va Olav Åsteson,
som heve sovi so lengji.
E fu Olav Åsteson
che dormì per lungo tempo.
 
  2 Han la seg ne um joleaftan,
sterkan svevnen fekk,
vakna 'kji fyrr um trettandagjen,
då folkkji at kjyrkjun gjekk.
Si coricò la vigilia di Natale,
prese un sonno profondo,
non si svegliò prima del tredicesimo giorno,
quando la gente andò in chiesa.
Nota
    Å de va Olav Åsteson,
som heve sovi so lengji.
E fu Olav Åsteson
che dormì per lungo tempo.
 
  3 Han la seg ne um joleaftan,
no hev 'n sovi so lengji,
vakna 'kje fyrr um trettandedagjen,
då fuglane skoke vengjir.
Si coricò la vigilia di Natale,
dormì per lungo tempo,
non si svegliò prima del tredicesimo giorno,
quando gli uccelli scuoterono forte le ali.
 
    Å de va Olav Åsteson,
som heve sovi so lengji.
E fu Olav Åsteson
che dormì per lungo tempo.
 
  4 Han vakna 'kji fyrr um trettandedagjen,
då soli rann i lie,
då sala han ut flotan folen,
han ville at kyrkjun rie.
Non si svegliò prima del tredicesimo giorno,
quando il sole sorse da dietro il pendio,
allora sellò il veloce puledro,
voleva cavalcare verso la chiesa.
 
    Å de va Olav Åsteson,
som heve sovi so lengji.
E fu Olav Åsteson
che dormì per lungo tempo.
 
  5 Presten stend'e fyr altari
å les upp lestine lange,
Olav set seg i kyrkjedynni
å tel'e draumane mange.
Il prete stava dinanzi all'altare
e leggeva le lunghe letture,
Olav si sedette sul sagrato
e raccontò i molti sogni.
Nota
    Å de va Olav Åsteson,
som heve sovi so lengji.
E fu Olav Åsteson
che dormì per lungo tempo.
 
  6 Gamle menner og unge
dei gjev'e etti gaum'e,
mæ han Olav Åsteson
tel'e sine draume.
Anziani e giovani
prestavano attenzione
a lui, Olav Åsteson,
egli raccontò i suoi sogni.
 
    Å de va Olav Åsteson,
som heve sovi so lengji.
E fu Olav Åsteson
che dormì per lungo tempo.
 
       
  II Visionærens indledning Introduzione del visionario Nota
  7 Eg la me ne um joleaftan,
sterkan svevnen fekk,
vakna 'kji fyrr um trettandagjen,
då fokkji at kjyrkjun gjekk.
Mi coricai la vigilia di Natale,
presi un sonno profondo,
non mi svegliai prima del tredicesimo giorno,
quando la gente va in chiesa.
 
    For månen skin'e,
å vegjine fadde so vie.
Poiché la luna splende,
e le strade si stendono ampie.
 
  8 Eg hev vori meg upp mæ sky
å neatt mæ havi svarte;
den som vi'mit fotspor fydde,
lær 'kji av bliom hjarta.
Sono stato in alto con le nuvole
e in basso con l'oceano nero;
quello che vuol seguire le mie orme,
non rida mai più col cuore sereno.
Nota
    For månen skin'e,
å vegjine fadde so vie.
Poiché la luna splende,
e le strade si stendono ampie.
 
  9 Eg hev vori meg upp mæ sky
å ne mæ havsens grunni;
den som vi' mit fotspor fydde,
lær 'kji av bliom munni.
Sono stato in alto con le nuvole
e in basso con le profondità del mare;
quello che vuol seguire le mie orme,
non rida mai più con la bocca serena.
 
    For månen skin'e,
å vegjine fadde so vie.
Poiché la luna splende,
e le strade si stendono ampie.
 
  10 Eg hev vori meg upp mæ sky
å neatt på svarte dikji.
eg hev set at heite helvite
å ein dell av himmerikji.
Sono stato in alto con le nuvole
e in basso sui neri acquitrini;
ho visto l'inferno infuocato
e una parte del regno celeste.
 
    For månen skin'e,
å vegjine fadde so vie.
Poiché la luna splende,
e le strade si stendono ampie.
 
  11 Eg hev fari ivi vigde vatne
å ivi jupe dalar;
høyrer vatn, å ser de inkji,
undi jori so mune de fara.
Ho viaggiato su acque benedette
e su valli profonde;
sento l'acqua, ma non la vedo,
poiché sottoterra viaggia.
Nota
    For månen skin'e,
å vegjine fadde so vie.
Poiché la luna splende,
e le strade si stendono ampie.
 
  12 Eg æ so trøytt å færemo,
å inna so mune eg brenne;
eg høyrer vatn, å fær de inkji,
undi jori so mune de renne.
Mi sento così stanco e spossato dal viaggio,
e dentro brucio;
sento l'acqua, ma non la riesco a raggiungere,
poiché sottoterra scorre.
 
    For månen skin'e,
å vegjine fadde so vie.
Poiché la luna splende,
e le strade si stendono ampie.
 
  13 Inkji neggja soten min,
inkje gjødde min hund'e,
inkji gol dei ottefuglan:
de tottest meg vera under.
Non nitriva il mio morello,
non abbaiava il mio cane,
non cinguettavano gli uccelli del mattino:
mi sembravano tutti intimoriti.
Nota
    For månen skin'e,
å vegjine fadde so vie.
Poiché la luna splende,
e le strade si stendono ampie.
 
  14 Eg va meg i auromheimi
i mange nettar å trå,
de veit gud i himerik,
hossi mang ei nau eg såg.
Stetti nell'altro mondo
per molte lunghe notti,
Dio nei cieli solo sa,
quante afflizioni vidi.
 
    For månen skin'e,
å vegjine fadde so vie.
Poiché la luna splende,
e le strade si stendono ampie.
 
  15 Eg kan noko av kvòrjom,
derfy tikjest eg fro,
eg va 1ònge i mòli mòka,
ha eg tott den dauen go.
So abbastanza di ogni cosa,
quindi mi ritengo saggio,
stetti a lungo nel terriccio spalato,
prima di considerare la morte buona.
Nota
    For månen skin'e,
å vegjine fadde so vie.
Poiché la luna splende,
e le strade si stendono ampie.
 
         
  III Færden til Dødsriket Il viaggio verso il regno dei morti Nota
  16 Fysste eg va i uteksti,
eg va lònge i mòlli mòka,
sund'e gjekk mi skarlakskåpe
å neglan av kvòr min fot.
Per primo fui in estasi,
viaggiai sulla brughiera piena di spine,
a brandelli si fece il mio mantello scarlatto
e si strapparono le unghie di ogni mio piede.
Nota
    For månen skin'e,
å vegjine fadde so vie
Poiché la luna splende,
e le strade si stendono ampie.
 
  17 So va eg meg uteksti
igjenom den tynnyr-ring;
sund'e gjekk mi skarlakskåpe
å nevlan av kvòr min fing.
Così fui in estasi
attraverso il cerchio pieno di spine:
a brandelli si fece il mio mantello scarlatto
e si strapparono le unghie di ogni mio dito.
Nota
    For månen skin'e,
å vegjine fadde so vie
Poiché la luna splende,
e le strade si stendono ampie.
 
  18 Kjem eg meg at gjaddarbrui,
ho heng'e so hågt i vindi;
ho æ òdd me guri slegji
å saum i kvòrjom tindi.
Giunsi al ponte Gjallar,
pendeva così in alto nell'aria:
è completamente ricoperto d'oro
e su ogni cima uno spuntone.
Nota
    For månen skin'e,
å vegjine fadde so vie
Poiché la luna splende,
e le strade si stendono ampie.
 
  19 Ormen høgg'e, å bikkja bite,
å stuten stend midte på leii:
tri æ tingji på Gjaddarbrui,
å adde æ gramme a vreie.
Il serpente mordeva, il cane azzannava,
e il toro stava in mezzo alla strada:
tre sono gli esseri sul ponte Gjallar,
e sono tutti arrabbiati e furiosi.
Nota
    For månen skin'e,
å vegjine fadde so vie
Poiché la luna splende,
e le strade si stendono ampie.
 
  20 Bikkja bit, å ormen sting,
å stuten stend å stangar -
de slepp ingjen ivi Gjaddarbrui
som fedder domane vrange.
Il cane azzannava, il serpente pungeva
e il toro incornava:
non lasciano passare sul ponte Gjallar
quelli che condannarono erroneamente.
Nota
    For månen skin'e,
å vegjine fadde so vie
Poiché la luna splende,
e le strade si stendono ampie.
 
  21 Eg hev gjengi Gjaddarbrui,
ho æ både bratt og lei;
vassa so hev eg dei Våsemyran,
no æ eg kvitt'e dei.
Ho percorso il ponte Gjallar,
che è sia ripido che spiacevole,
camminai a stento sulle paludi di Våse,
ora le ho lasciate alle spalle.
Nota
    For månen skin'e,
å vegjine fadde so vie
Poiché la luna splende,
e le strade si stendono ampie.
 
  22 Va'i so hev eg dei Våsemyran,
der hev 'kje sta'i me grunn;
no hev eg gjengji Gjaddarbrui
mæ rapa mòll i munn.
Camminai a stento sulle paludi di Våse,
dove non trovai terreno stabile;
ora ho percorso il ponte Gjallar
con il terriccio della tomba in bocca.
Nota
    For månen skin'e,
å vegjine fadde so vie
Poiché la luna splende,
e le strade si stendono ampie.
 
  23 Eg hev gjengji Gjaddarbrui,
å der va krokane på,
men eg totte tyngre dei Gaglemyran,
gud bære den dei skò gå!
Ho percorso il Ponte Gjallar,
c'era del barbiglio sopra,
ma penso che siano più pesanti le paludi di Gagle,
Dio abbi pietà di chi ci dovrà andare!
Nota
    For månen skin'e,
å vegjine fadde so vie
Poiché la luna splende,
e le strade si stendono ampie.
 
         
  IV Færden i Dødsriget (I) Il viaggio nel regno dei morti (I) Nota
  24 So kom eg meg at vòtno dei,
der isane brunne blå,
gud skaut dei i hugjen min:
eg vende meg derifrå.
Così giunsi verso l'acqua,
dove il ghiaccio brucia nero,
Dio la infisse nel mio pensiero:
quindi mi voltai.
Nota
    For månen skin'e,
å vegjine fadde so vie
Poiché la luna splende,
e le strade si stendono ampie.
 
  25 Eg va meg i auromheimi,
ingjen der eg kjende,
berre ho sæle gumor mi
mæ raue gull paa hendi.
Mi trovavo nell'altro mondo,
non conoscevo nessuno lì,
solo la mia beata madrina
con oro rosso sulle mani.
Nota
    For månen skin'e,
å vegjine fadde so vie
Poiché la luna splende,
e le strade si stendono ampie.
 
  26 Surne fòr ivi Grimaråsen
å surne ivi skålestrònd,
men dei som får ivi Gjaddarhylen,
dei kòme våte fram.
Alcuni viaggiavano sopra la collina di Grimar
e altri sulla spiaggia di Skåle,
ma quelli che viaggiavano sul fossato di Gjallar,
ne uscivano bagnati.
Nota
    For månen skin'e,
å vegjine fadde so vie
Poiché la luna splende,
e le strade si stendono ampie.
 
  27 Så tok eg av på vetterstig
alt på min høgre hònd;
der såg eg meg ti paradis,
de lyser ivi vene lònd.
Così presi la Via Lattea
tutta sulla mia destra;
lì vidi fino in paradiso,
splende la luce su quella terra incantevole.
Nota
    For månen skin'e,
å vegjine fadde so vie
Poiché la luna splende,
e le strade si stendono ampie.
 
  28 Der såg eg att'e gumor mi;
meg mune 'kji bet'e gange:
«Reis du deg ti brokksvalin,
der skò domen stande».
Lì rividi la mia madrina,
non mi poteva andar meglio:
«Va verso la sala tra le nuvole,
dove si terrà il giudizio».
Nota
    For månen skin'e,
å vegjine fadde so vie
Poiché la luna splende,
e le strade si stendono ampie.
 
         
  V Den foreløpige dom Il giudizio provvisorio Nota
  29 Kjem eg meg at pilegrimskyrkjun,
der va meg ingjen mann kjend'e,
berre ho goe gumor mi
mæ raue gull på hendi
Giunsi alla chiesa del pellegrino,
non c'era nessun altro che conoscessi
eccetto la mia madrina buona
con oro rosso sulle mani.
Nota
    I brokksvalin
der skò domen stande
Nella sala tra le nuvole
dove si terrà il giudizio.
 
  30 Der kom færi noranti,
å den rei no so kvasst;
fyri rei Grutte gråskjeggji
alt mæ sit store brass.
Vennero da nord viaggiando,
e cavalcavano così rumorosamente;
dinanzi cavalcava Sguardo-torvo Barbagrigia
tutt'insieme con il suo largo seguito.
Nota
    I brokksvalin
der skò domen stande
Nella sala tra le nuvole
dove si terrà il giudizio.
 
  31 Der kom færi noranti,
de totte eg vera vesst;
fyri rei Grutte gråskjeggji,
han rei på svartan hest.
Vennero da nord viaggiando,
mi sembravano essere i peggiori;
dinanzi cavalcava Sguardo-torvo Barbagrigia,
cavalcava su un cavallo nero.
 
    I brokksvalin
der skò domen stande
Nella sala tra le nuvole
dove si terrà il giudizio.
 
  32 Der kom færi sunnanti,
de tottest meg vera best;
fyri rei sakte såle-Mikkjel.
han rei på kvitan hest.
Vennero da sud viaggiando,
mi sembravano essere i migliori;
dinanzi cavalcava San Michele delle anime
cavalcava su un cavallo bianco.
Nota
    I brokksvalin
der skò domen stande
Nella sala tra le nuvole
dove si terrà il giudizio.
 
  33 De kom færi sunnanti,
å den rei no so tvist;
fyri rei sankte såle-Mikkjel
næste Jesum Krist.
Vennero da sud viaggiando,
e cavalcavano così silenziosamente,
dinanzi cavalcava San Michele delle anime,
con accanto Gesù Cristo.
 
    I brokksvalin
der skò domen stande
Nella sala tra le nuvole
dove si terrà il giudizio.
 
  34 Der kom færi sunnanti,
ho tottest meg vera trå,
fyri rei sankte såle-Mikkjel,
å luren undi armen låg.
Vennero da sud viaggiando,
mi sembrava che fossero tranquilli,
dinanzi cavalcava San Michele delle anime,
col corno sotto al braccio.
 
    I brokksvalin
der skò domen stande
Nella sala tra le nuvole
dove si terrà il giudizio.
 
  35 De va sankte såle-Mikkjel,
han blæs i luren lange:
«Å no skò adde såline
fram fy domen gange!»
Fu San Michele delle anime,
soffiò nel lungo corno:
«Ed ora tutte le anime
andranno dinanzi al giudizio!»
Nota
    I brokksvalin
der skò domen stande
Nella sala tra le nuvole
dove si terrà il giudizio.
 
  36 Men då skolv dei synde-såline,
som ospelauv fy vinde,
å kvòr den, kvòr den sål der va,
ho gret fy syndine sine.
Quindi le anime peccatrici tremarono
come foglie di pioppo tremulo al vento,
e ognuna, ognuna delle anime che c'era
piangeva per i propri peccati.
 
    I brokksvalin
der skò domen stande
Nella sala tra le nuvole
dove si terrà il giudizio.
 
  37 De va sankte såle-Mikkjel,
han vog i skålevikt;
so vog han adde synde-såline
burt ti Jesum Krist.
C'era San Michele delle anime;
egli pesava con i piatti della bilancia,
così pesava tutte le anime peccatrici
e le mandava da Gesù Cristo.
Nota
    I brokksvalin
der skò domen stande.
Nella sala tra le nuvole
dove si terrà il giudizio.
 
         
  VI Færden i dødsriket (II) Il viaggio nel regno dei morti (II) Nota
  38 Eg såg meg einom drengjen,
de fysste eg vart ve,
liten småsvein bar han 'ti fangji
å gjekk i jori ti knes.
Vidi un ragazzo,
il primo a cui ero vicino,
aveva un ragazzino tra le braccia
e sprofondava fino alle ginocchia nella terra.
Nota
    I brokksvalin
der skò domen stande.
Nella sala tra le nuvole
dove si terrà il giudizio.
 
  39 Kjem eg meg at manni dei,
kåpa den va bly:
hass arme sål i dessum heimi
va trong i dyre ti.
Giunsi da un uomo,
aveva il mantello di piombo:
la sua anima meschina in questo mondo
fu avara in tempi di povertà.
 
    I brokksvalin
der skò domen stande.
Nella sala tra le nuvole
dove si terrà il giudizio.
 
  40 Kjem eg meg at mònno dei,
dei bar på gloande jor:
gud nåe dei fatike såline
som flutte deildir i skog!
Giunsi da alcuni uomini
che trasportavano terra incandescente:
Dio abbi misericordia delle anime misere
che spostano le pietre di demarcazione nei boschi.
Nota
    I brokksvalin
der skò domen stande.
Nella sala tra le nuvole
dove si terrà il giudizio.
 
  41 Kjem eg meg at bònno dei,
dei støje so hågt på glo:
gud nåe de synduge såline,
ha banne burt far å mor!
Giunsi presso alcuni fanciulli,
stavano in alto sulla fiamma:
Dio abbi misericordia delle anime peccatrici
che maledissero madre e padre!
 
    I brokksvalin
der skò domen stande.
Nella sala tra le nuvole
dove si terrà il giudizio.
 
  42 Kjem eg meg at pòdda å òrmen,
dei hòggje kvòrare mæ tanni:
de va synduge synskjini
som hae kvòrare banna.
Giunsi dal rospo e dal serpente,
si facevano a pezzi a vicenda con i denti:
erano fratello e sorella peccatori
che si maledissero a vicenda.
 
    I brokksvalin
der skò domen stande.
Nella sala tra le nuvole
dove si terrà il giudizio.
 
  43 Der møtte eg dei òrmane tvei,
dei bite kvòrare i spori:
de va dei synduge syskjenbònni
som gifte kvòrare på jori.
Lì incontrai i due serpenti,
si mordevano a vicenda la coda:
erano figli peccatori di fratello e sorella
che si erano sposati sulla terra.
Nota
    I brokksvalin
der skò domen stande.
Nella sala tra le nuvole
dove si terrà il giudizio.
 
  44 Kjem eg meg at Syslehusi,
der va trollkjeringan inne:
dei sto kjinna i raue bloi,
de va so tung ei vinne.
Giunsi alla casa di Sysle,
c'erano delle streghe dentro:
avevano le guance nel sangue rosso,
era così pesante la fatica.
Nota
    I brokksvalin
der skò domen stande.
Nella sala tra le nuvole
dove si terrà il giudizio.
 
  45 Der æ heitt i helvite,
heitar hell nokon hyggje:
der hengde dei 'pivi ein tjyrukjetill
å brytja ne-i ein presterygg'e.
Fa caldo all'inferno
più caldo di quanto uno pensi:
lì c'era appeso un calderone di pece
e facevano a pezzettini la schiena di un prete.
 
    I brokksvalin
der skò domen stande.
Nella sala tra le nuvole
dove si terrà il giudizio.
 
         
  VII Gode gjerningers løn Ricompensa per le buone azioni Nota
  46 Sæl æ den i føisheimen
fatike gjev'e sko:
han tar inkji berrføtt gange
på kvasse heklemog.
Beato chi in terra
ha dato le scarpe al povero:
non camminerà mai scalzo
sulla brughiera dalle appuntite spine a pettine.
Nota
    Tunga talar,
å sanning svarar på domedag.
La lingua racconterà
e la verità risponderà nel giorno del giudizio.
 
  47 Sæl æ den i føisheimen
fatike gjeve ku:
han tar inkji sumlug gange
på håge Gjaddarbru.
Beato chi in terra
ha dato mucche al povero:
non camminerà mai intontito
sull'alto ponte Gjallar.
 
    Tunga talar,
å sanning svarar på domedag.
La lingua racconterà
e la verità risponderà nel giorno del giudizio.
 
  48 Sæl æ den i føisheimen
fatike gjev'e brau:
han tar inkji ræast i auromheimi
fy hòrske hundegau.
Beato chi in terra
ha dato pane al povero:
non avrà paura nell'altro mondo
dinanzi al feroce abbaiare del cane.
Nota
    Tunga talar,
å sanning svarar på domedag.
La lingua racconterà
e la verità risponderà nel giorno del giudizio.
 
  49 Sæl æ den i føisheimen
fatike gjev'e kònn:
han tar inkji ræast på Gjaddarbrui
fy kvasse stutehònn.
Beato chi in terra
ha dato grano al povero:
non avrà paura sul ponte Gjallar
dinanzi alle acuminate corna del toro.
Nota
    Tunga talar,
å sanning svarar på domedag.
La lingua racconterà
e la verità risponderà nel giorno del giudizio.
 
  50 Sæl æ den i føisheimen
fatike gjeve mat:
han tar inkji ræast i auromheimi
anten fyr hæ-i hell hat.
Beato chi in terra
ha dato cibo al povero:
non avrà paura nell'altro mondo
dell'insulto o dell'odio.
 
    Tunga talar,
å sanning svarar på domedag.
La lingua racconterà
e la verità risponderà nel giorno del giudizio.
 
  51 Sæl æ den i føisheimen
fatike gjeve klæ-i:
han tar inkji ræast i auromheimi
fyr håge kjellar-bræ-o.
Beato chi in terra
ha dato vestiti al povero:
non avrà paura nell'altro mondo
dinanzi agli alti freddi ghiacciai.
Nota
    Tunga talar,
å sanning svarar på domedag.
La lingua racconterà
e la verità risponderà nel giorno del giudizio.
 
         
  VIII Slutning Finale Nota
  52 Gamle mennar å unge
dei gjev'e etti gaume;
de va han Olav Åsteson,
no hev 'en tålt sine draume.
Anziani e giovani
prestavano attenzione;
poiché fu lui, Olav Åsteson,
ora ha raccontato il suo sogno.
 
         

NOTE

I — Questa prima parte, cantata in terza persona, tratta del protagonista del poema, delle circostanze in cui si è trovato a dormire e, poi, a raccontare il suo sogno alle persone.

1 — (a) Tipico della letteratura orale, il richiamo all'attenzione del pubblico che ascolta. — (c) Non sappiamo chi fosse Olav Åsteson: è probabile che nelle intenzioni della ballata esso fosse un individuo comunissimo, il cui nome era Olav e il cui padre si chiamava Åste (il nome maschile Ásti si incontra spesso nel periodo antico nordico). Non dimentichiamo tuttavia che sia nelle fiabe popolari (Cenerentola, Biancaneve) che nelle saghe, i nomi dei personaggi non sono mai scelti a caso, ma sono indicativi della loro natura e carattere e hanno ha un ruolo ben preciso nell'economia della vicenda (Panza 1998). A questa regola non sfuggono le canzoni popolari: per esempio, Åsmund Frægdegjevar, protagonista dell'omonima ballata, presenta un cognome che non a caso deriva da frægde «coraggioso», infatti col suo coraggio libererà la figlia del re d'Irlanda dalle grinfie di Skomegyvri, una trollessa che l'aveva rapita e portata nel suo reame mostruoso. Nel caso del Draumkvedet, non sarebbe strano che, in un racconto di chiara ideologia cristiana, sia stato scelto il nome Olav che avrebbe potuto indicare Olav I Tryggvasson (963/964-1000), il primo re norvegese convertitosi al cristianesimo, esempio per la popolazione non credente, ma ancora di più il suo successore Olav II Haraldsson (995-1030), detto «il Santo» [den Hellige], la cui madre aveva appunto nome Åsta Gudbrandsdatter. Quest'ultimo sovrano, canonizzato per aver dato un contributo decisivo alla cristianizzazione della Norvegia, fu protagonista di molti racconti popolari in cui sconfigge troll (per esempio la storia del gigante Blæster) e spiriti del vecchio credo pagano, ormai assurti a demoni nell'ideologia cristiana. Moltke Moe riteneva che il patronimico «Åsteson» fosse da mettere in relazione con il norreno ástsonr/ástarsonr «figlio dell'amore» da ást «amore»: «il beneamato figlio di Dio, ástsonr, in cui il Signore ha mostrato la sua grazia e la sua pietà speciali» (Moe 1927).

2 — (c) Il «tredicesimo giorno» dopo Natale corrisponde all'Epifania. Oltre che ai dodici sacri giorni di Jól nella tradizione pagana norrena, il rimando è all'Epifania (dal greco tà epipháneia «manifestazione [della divinità]») come rivelazione, manifestazione e, nel caso specifico, manifestazione della volontà di Dio. Attraverso i sogni e il racconto di Olav si rivelano infatti i reami dell'aldilà e, in ultima sede, il mistero dell'imperscrutabile volontà divina (cfr. [46-51]).

5 — (b) Le Sacre Scritture. Difficile concordare con Hans Midbøe che, prendendo come presupposto che l'opera fosse di ideologia cattolica romana, vede in questa prolissità del sacerdote una critica francescana alle autorità ecclesiastiche cattoliche (Midbøe 1949), sia nel caso di un accomodamento alle tradizioni precristiane nordiche per una più facile conversione (origine medievale), sia nel caso di una rivalutazione post-Controriforma (XVI secolo). In tutt'e due i casi, appare comunque insensata una critica alla stessa idea fondante della ballata.

II — Qui si passa al racconto in prima persona. Come dice il titolo, si tratta solo di un'introduzione che Olav fa riprendendo anche espressioni della prima parte.

8 — (c-d) Colui che sarà morto, che andrà nell'altro mondo, non sarà più sereno perché vedrà le torture inflitte nell'aldilà.

11 — (a) Le «acque benedette» sono i fiumi che scorrono nel regno dei morti.

13 — (a-d) Forse gli animali riescono a percepire in quale stato si trovi il loro padrone e sono intimoriti dal viaggio grandioso che sta compiendo. È risaputo che gli animali percepiscono prima degli uomini gli avvenimenti sovrannaturali, strani, atmosferici.

15 — (c-d) Intendi: «dovetti stare a lungo nella fossa prima di ritenere che questo viaggio mortale fosse stato una benedizione». Nella sua esperienza visionaria, Olav vedrà le afflizioni di chi ha compiuto cattive azioni in vita e la ricompensa di chi si è comportato generosamente nel mondo, cosicché egli ora conosce la strada da perseguire per raggiungere le «terre incantevoli» del Paradiso. Vittore Pisanti traduce «che io stia da tempo sottoterra se buona credessi tale morte», ammettendo l'oscurità di questa strofa (Pisanti 2006).

III — In questa sezione inizia il viaggio verso l'aldilà. Qui Olav farà esperienza delle difficoltà per raggiungere l'altro mondo (le brughiere piene di spine e le paludi senza fondo) e dell'impossibilità di attraversare il ponte Gjallar, che conduce alla terra dei giusti.

16 — (a) Uteksti nell'originale è un sostantivo composto da due delle parole più frequenti della letteratura visionaria: extasis (estasi del visionario) ed exitus (uscita in questo caso dell'anima fuori del corpo). Mi trovo in disaccordo con Barnes e, di conseguenza, col Pisanti, che riprende la teoria di una tradizione di tipo magico-sciamanico (Barnes 1974 | Pisanti 2006). L'estasi mistica è una prerogativa del visionario, qualità più volte attribuita nel componimento a Olav, pd in più, il sogno come tramite tra il mondo materiale e quello spirituale è radicato nella tradizione nordica pre-cristiana (non dimentichiamo che il protagonista compie il suo viaggio dopo essere semplicemente caduto in un sonno profondo e non indotto da rituali o pratiche magiche compiute in prima persona o da altri). — (b) Nelle visioni medioevali si trovava spesso ai confini dell'altro mondo una brughiera chilometrica, densa di spine e rovi, che lacerava i piedi dei viaggiatori. Le spine erano così fitte che la brughiera sembrava uno di quei pettini usati nell'industria tessile per pettinare le stoffe; cfr. [46].

17 — Di questa strofa Moltke Moe ha dato altre due varianti:

Eg sleit sund'e, mi skarlakskåpe,
i tynnyr-ringjen meg rispa;
so kjem dei fram smådrengjine
å mine fingane felsa.

Mi lacerai il mio mantello scarlatto,
mi graffiai nel cerchio pieno di spine;
allora giunsero dei ragazzini
e le mie dita strapparono.
Draumkvedet [14 A]

Eg sleit sunde mi skarlakskåpe
igjenom den tynnyrmog'e;
fram kjem adde smaadrengjine,
dei helt undi kvar min fot'e..

Mi lacerai il mio mantello scarlatto
attraverso la brughiera piena di spine;
giunsero tutti i ragazzini,
 squarciavano sotto tutti i miei piedi
Draumkvedet [14 B]

Non è chiaro chi fossero questi «ragazzini»; la parola smådrengjine può indicare anche dei servi (di solito al servizio dei re), ed è quindi possibile che si tratti di servi infernali il cui ruolo è torturare le anime dei morti. Il termine non appare altrove nel poema.

18 — (a) Nella letteratura norrena, Gjallarbrú era il ponte ricoperto d'oro che scavalcava il fiume Gjǫll (il «risonante») e conduceva al regno di Hel (l'oltretomba pre-cristiano dei popoli scandinavi). Una vivida descrizione di questo ponte è fornita da Snorri nella sua Edda, nella scena in cui Hermóðr si reca negli inferi per reclamare la vita di Baldr.

En þat er at segja frá Hermóði at hann reið níu nætr døkkva dala ok djúpa svá at hann sá ekki fyrr en hann kom til árinnar Gjallar ok reið á Gjallarbrúna. Hon er þǫkt lýsigulli.

Ma c'è da raccontare di Hermóðr, il quale cavalcò nove notti per valli scure e profonde, tanto che non vedeva nulla, finché non giunse al fiume Gjǫll e cavalcò sul Gjallarbrú, il ponte ricoperto di oro splendente.

Móðguðr er nefnd mær sú er gætir brúarinnar. Hon spurði hann at nafni eða ætt ok sagði at hinn fyrra dag riðu um brúna fimm fylki dauðra manna, «en eigi dynr brúin jafnmjǫk undir einum þér, ok eigi hefir þú lit dauðra manna. Hví ríðr þú hér á Helveg?» Móðguðr si chiama la fanciulla che guarda il ponte. Essa chiese a lui il suo nome e la sua stirpe e disse che il giorno prima erano passati a cavallo cinque eserciti di uomini morti, «ma il ponte non vibra meno sotto di te solo e tu non hai l'aspetto dei morti. Perché stai andando sul sentiero di Hel
Snorri Sturluson: Edda in prosa > Gylfaginning [49]

Il motivo del ponte escatologico, sotteso sulla strada degli inferi è attestato nella letteratura visionaria e apocalittica. È ben conosciuto, ad esempio, nella tradizione islamica, dove si parla del ponte Ṣirāṭ̣, sottile come un capello: i giusti riusciranno a passare dall'altra parte e saranno accolti in paradiso; mentre i malvagi precipiteranno tra i tormenti infernali. Nel medioevo, i cristiani ritenevano che un tale ponte si trovasse tra la terra e il mondo degli spiriti e fosse costeggiato da spuntoni appuntiti, con bestie tremende poste alla sua guardia. È comunque strano come il cristianesimo scandinavo medioevale abbia assunto il Gjallarbrú come ponte per l'aldilà, dal momento che questo ponte conduceva al regno di Hel – che potrebbe essere identificato con l'inferno cristiano – e non invece il ponte arcobaleno Bifrǫst, che univa la terra al cielo e conduceva alla dimora degli dèi nordici (Æsir). Anche la tradizione classica conosce il motivo del fiume Acheronte che divide il mondo degli uomini da quello dei morti, ma il passaggio in questo caso non è offerto da un ponte ma dalla barca di un apposito traghettatore (che nel mondo classico, e anche in Dante, è Caronte) a cui si dovrebbe pagare un tributo. Qui invece, come in Dante, questo dazio scompare. — (b) Letteralmente: «nel vento» [i vindi].

19 — (a-b) Tre animali: un serpente, un cane e un toro, si stagliano sulla strada per il regno dei morti. La loro presenza sembra tuttavia porsi in un ordine di idee ben diverso rispetto alle tre fiere – il leone, la lupa e la lonza – che rendono difficoltoso il passaggio a Dante sulla strada per l'Inferno (Divina Commedia [I: 1]). In questo caso siamo più vicini all'idea dei guardiani «animali» dell'aldilà che impediscono il passaggio nei due sensi a chi non ne sia autorizzato (impediscono ai vivi di accedere al mondo dei morti e, parallelamente, alle anime dei defunti di fuggirne). Della presenza di un cane sulla strada per il regno di Hel tratta anche un poema eddico, Baldrs draumar: Óðinn è costretto ad aggirarlo se vuole recarsi a interrogare la defunta vǫlva. Ricordiamo che anche nell'oltretomba greco-romano e nell'inferno dantesco c'era Cerbero, il cane a tre teste, a guardia dell'entrata del regno dei morti.

20 — (d) Il Gjallarbrú si prende gioco dei giudizi degli uomini poiché solo i giusti lo possono attraversare e quindi chi è stato giudicato male in questo mondo riderà di quei giudizi passandovi sopra.

21 — (c) Le «paludi di Våse» [Våsemyrane] sono le immense paludi che nel credo medievale si trovavano sulla strada per il regno dei morti e facevano affondare le anime che vi si recavano. La parola può significare «paludi del borbottio» (dal danese, forse a sua volta dal basso tedesco wasche «parlare, chiacchierare») da riferirsi forse al lamento sommesso delle anime dei defunti, o più probabilmente, «paludi della fatica» (dal norvegese vås «fatica, sforzo»), riferito allo sforzo che le anime devono compiere per guadare queste paludi senza fondo.

22 — (d) Cioè da morto.

23 — (c) Le «paludi di Gagle» [Gaglemyrane] erano letteralmente le «paludi delle oche» (dal neo-norvegese gagl «oca selvaggia»), con possibile riferimento alle anime dei morti che, in certe tradizioni, si presentano sotto forma di uccelli.

IV — In questa sezione Olav incontra la «beata madrina» che gli indicherà la prossima tappa del suo viaggio spirituale.

24 — (b) Letteralmente «blu» (kolblå «blu come il carbone» è equivalente a kolsvart «nero come il carbone»). Allo stesso tempo l'acqua congela e brucia; questa immagine si trova spesso nelle visioni che ritraggono la vita dopo la morte.

25 — (c) La Vergine Maria. Ricordiamo che anche Dante nella Divina Commedia sarà accompagnato in Paradiso da una figura femminile, Beatrice, che gli indicherà la strada da seguire, così come fa la «beata madrina» in questa sezione. — (d) Con anelli d'oro rosso sulle dita delle mani.

26 — (a) Le visiones parlano spesso di una grande collina nell'altro mondo. Grimaråsen significa «collina sinistra» (norvegese grim «torvo, sinistro», ma anche «feroce») poiché i morti vi passano sopra. — (b) Letteralmente «spiaggia della casa» (dal norreno skáli «casa, stanza»). Nella tradizione scandinava, Éljúðnir, la dimora di Hel, dalle pareti fatte di dorsi intrecciati di serpenti, si trovava presso Nástrandir, la «spiaggia dei cadaveri». Del resto le visiones animarum nominano spesso una casa nell'altro mondo. Papa Gregorius Magnus parla nei suoi Dialogi di molte case che si trovano accanto al fiume del regno dei morti, in cui vivono coloro che hanno fatto del bene in questa vita ma che si sono macchiati l'anima col desiderio carnale. — (c) È il fossato in cui scorre il fiume Gjǫll, sovrastato dal ponte Gjallarbrú. Le visiones raccontano di come le anime erano costrette a guadare i fiumi nel regno dei morti, più era pesante il loro carico di peccati, più difficile era il loro viaggio. D'altra parte, di un'imponente idrografia metafisica trattano diffusamente le fonti norrene, nelle quali sono citati molti fiumi celesti e infernali [MITI]. Leggiamo nel Grímnismál:

Vína heitir enn,
ǫnnor Vegsvinn,
þriðja Þjóðnuma,
Nyt ok Nǫt,
Nǫnn ok Hrǫnn,
Slíð ok Hrið,
Sylgr ok Ylgr,
Víð ok Ván,
Vǫnd ok Strǫnd,
Gjǫll ok Leiptr,
þær falla gumnom nær,
en falla til heilar heðan.
Vína si chiama l'uno,
il secondo Vegsvinn,
il terzo Þjóðnuma,
Nýt e Nǫt,
Nǫnn e Hrǫnn,
Slíðr e Hríð,
Sylgr e Ylgr,
Víð e Ván,
Vǫnd e Strǫnd,
Gjǫll e Leiptr,
questi [fiumi] scendono presso gli uomini
e precipitano poi nel regno dei morti.
Edda poetica > Grímnismál [28]

Anche nell'inferno dantesco, la cui struttura attingeva alla mitologia greco-romana, c'erano molti fiumi che scorrevano nei vari gironi infernali: il primo era l'Acheronte, che si doveva oltrepassare per entrare nell'anti-inferno; lo Stige, che chiudeva il quinto cerchio; il Flegetonte, che attraversava i gironi dei violenti; e il Cocito, l'ultimo fiume che divideva il nono cerchio da Lucifero.

27 — (d) Una tradizione diffusa in nord Europa, riteneva che la Via Lattea fosse una strada che conduceva le anime dei trapassati all'altro mondo. Il motivo è comunque presente in molte tradizioni, e affonda probabilmente nelle concezioni sciamaniche finniche, molte delle quali sono confluite nella cosmologia scandinava.

28 — (c) Brokksvaline, secondo Landstad, significava «sala delle nuvole». Il termine sarebbe composto dalla parola norrena brok, che significava «raggruppamento denso di nuvole lungo un pendio montano». Lo sval, nell'antica architettura scandinava, era in realtà una sorta di balcone o ballatoio che correva sul lato esterno degli edifici di una certa importanza.

V — Nell'escatologia cristiana, il giudizio provvisorio è quello che le anime subiscono subito dopo la morte. È detto «provvisorio», in vista del giudizio finale. Qui Olav sperimenta la visione dell'ultima battaglia tra Cristo e Satana.

29 — (a) «Chiesa del pellegrino» è sinonimo della sala delle nuvole. Da notare il termine «pellegrino», usato anche per Dante nel suo viaggio, che indica qui il viaggio-pellegrinaggio che Olav sta compiendo nell'altro mondo. Come Dante, anche Olav uscirà «purificato» da questo viaggio dopo aver visto i mali che affliggono i peccatori e le ricompense assegnate ai giusti. Possiamo concludere che il viaggio di Olav e di Dante hanno lo stesso fine.

30 — (c) «Sguardo-torvo Barbagrigia» [Grutte gråskjegg] è il diavolo. Si noti come gli attributi assegnati a questo personaggio possano essere messi in relazione con la figura di Óðinn. Lo sguardo torvo potrebbe venire riferito alla mancanza dell'occhio destro, che il dio aveva lasciato in pegno alla fonte di Urðarbrunnr, ma forse anche al potere paralizzante del suo sguardo, applicato soprattutto nel corso delle battaglie. La barba grigia era un altro attributo del dio, alla base del suo epiteto di Hárbarðr «barba grigia». Non è strana la demonizzazione degli antichi dèi pagani da parte della chiesa cristiana nei primi anni della conversione di un popolo. Lo stesso accade nella mitologia greco-romana dove per es. il dio Pan, che aveva metà corpo caprino, le corna e una lunga barba, sia diventato, nell'immaginario popolare, una delle icone del diavolo, e anche Dante ha usato personaggi e immagini del mondo greco-romano per popolare il suo inferno di mostri (Caronte, Cerbero). Questi esseri erano più conosciuti al popolo che li aveva adorati fino a pochi secoli prima e quindi ancora vivi nella loro immaginazione.

32 — (c) Nel credo cattolico l'arcangelo Michele è il capo delle schiere celesti, che prende in consegna le anime dei morti quando escono dal corpo (per questo «San Michele delle anime»); pesa sulla sua bilancia le buone e le cattive azioni e mostra all'anima il luogo dove si tratterrà provvisoriamente (fino al giorno del giudizio). In originale, il nome di Sakte såle-Mikkjel prevede un hyphon, costrutto raro in norvegese antico, e dovrebbe tradursi letteralmente «Sant'anima-Michele».

35 — (c-d) L'arcangelo Michele chiama a raccolta tutte le anime per pesare le loro azioni e giudicarli provvisoriamente.

37 — (c) Sembra che le anime saranno redente da Cristo (Pisanti 2006).

VI — In questa sezione vediamo la punizione per le anime peccatrici che segue, come in Dante, l'idea del contrappasso. Il sottotitolo è onde gjerningens lon, «la ricompensa per le cattive azioni». Vengono prima presentate le anime del Purgatorio [38-43], poi viene ritratto l'Inferno stesso [44-45].

38 — (a-d) È un assassino (infanticida?) che cammina e porta su di sé colui che ha ucciso, il quale è così pesante che sprofonda nella terra fino alle ginocchia.

40 — (d) Cioè le pietre che marcano la proprietà; spesso venivano spostate per aggiungere terreno ai propri possedimenti.

43 — (c-d) La chiesa cattolica era molto intransigente sui matrimoni tra consanguinei e, in questo caso, tra cugini.

44 — (a) La «casa di Sysle» [Syslehusi] è il luogo di punizione per la stregoneria. Moltke Moe pensava che il termine sysle provenisse dall'antico inglese sūsl «dolore, sofferenza», riferito all'eterna sofferenza inferta a queste anime (Moe 1927). Ma è probabile che invece derivi dal norreno sýsla «fatica, sforzo».

VII — Penultima sezione, in cui si narra la ricompensa per le buone azioni compiute sulla terra. Queste strofe riecheggiano le beatitudini dei Vangeli.

46 — (d) Vedi nota al v. [16b].

48 — (d) È il cane a guardia del ponte di Gjallar; non abbaierà poiché, essendo Olav un'anima giusta, potrà passare tranquillamente sul ponte.

49 — (d) Vale per il toro lo stesso discorso della nota precedente.

51 — (d) I ghiacci della strofa [24].

VIII — È la sezione finale che si conclude similmente alla strofa conclusiva della prima sezione d'introduzione.

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BIBLIOGRAFIA
Archivio: Biblioteca - Guglielmo da Baskerville
Sezione: Fonti - Nabū-kudurri-uṣur
Area: Germanica - Brynhilldr
Traduzione di Luca Taglianetti.
Introduzione e note di Luca Taglianetti.
Creazione pagina: 02.06.2008
Ultima modifica: 13.02.2014
 
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