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BALLATE POPOLARI SCANDINAVE

AGNETE OG HAVMANDEN

AGNETE E L'UOMO DEL MARE
 
Schema
AGNETE OK HAVMANDEN - Saggio
AGNETE OK HAVMANDEN - Testi
Note
Bibliografia

Titolo

Agnete og Havmanden

Genere Ballata magica
Variante TSB A047 - DgF 38 A, D
Lingua Danese
Epoca
Composizione (bassa):
Redazione:
  XVIII secolo
1853 (Svendt Grundtvig)
BALLATE POPOLARI SCANDINAVE
AGNETE OG HAVMANDEN
AGNETE E L'UOMO DEL MARE

La ballata

Agnete e l'uomo del mare  (1941)

Johannes Bjerg (1886-1955)
Fontana monumentale. Åhrus (Danimarca)

Agnete og Havmanden, «Agnete e l'uomo del mare», nelle sue numerose varianti, è una delle più famose e popolari «ballate magiche» [trylleviser] scandinave. Ne esistono versioni danesi, norvegesi, svedesi e tedesche. La più popolare, qui riportata, è quella danese, pubblicata nel 1853 da Svend Grundtvig nella famosa raccolta Danmarks gamle Folkeviser, «Antiche ballate popolari di Danimarca», dove è classificata come DgF 38.

La trama è semplice. La giovane Agnete sta passeggiando su un ponte in riva al mare quando un uomo esce dalle onde e le chiede di seguirlo nella sua dimora sottomarina. La ragazza acconsente e vive per otto anni con l'havmand, l'«uomo del mare», dandogli sette figli. Un giorno, mentre sta cullando il più piccolo, sente le campane che chiamano alla messa e, quasi svegliandosi da un incantesimo, chiede al suo sposo di poter andare in chiesa. L'havmand accetta ma le fa promettere di ricordarsi di tornare dai suoi figli e le impone una serie di divieti: non sedersi al banco con la madre, non inginocchiarsi quando il prete nominerà Dio, non partecipare al banchetto domenicale.

Agnete promette e viene portata sulla terraferma. Arrivata in chiesa, trasgredisce a tutti i divieti imposti dall'havmand. Sua madre le chiede dove sia stata, e alla risposta della fanciulla, le domanda che cosa abbia ricevuto in cambio del suo «onore» dall'uomo del mare. Agnete elenca una serie di oggetti preziosi, tali che nemmeno una regina può vantarsi di possedere. Poi la madre lascia la chiesa insieme alla figlia. In quel mentre arriva l'havmand e impone ad Agnete di tornare con lui. Ma la fanciulla non intende più vivere sotto il mare, né si fa commuovere dal pianto dei propri figli. L'havmand non può far altro che ritornarsene nella sua dimora sottomarina tra le risa di scherno di Agnete.

Epoca e luogo di redazione

La ballata Agnete og Havmand viene generalmente fatta risalire a una redazione non anteriore al tardo XVIII secolo, e la critica moderna ha sottolineato molti dettagli a sostegno di questi tesi. Il finale in cui la fanciulla deride e scaccia l'uomo marino, testimonierebbe già una fase piuttosto tarda, in cui l'havmand, perduto l'antico carattere soprannaturale, è finito per assomigliare quasi a un «onesto borghese»  (D'Avino 1993). Anche l'estrema semplicità del ritornello, un refrain che ripete, come in un eco, l'ultima strofa del distico, dimostrerebbe inconfutabilmente la composizione recente della ballata. Ad avallare ulteriormente questa tesi, Svend Grundtvig, ha messo in evidenza l'affinità del genere ballatistico dell'havstagning «rapimento in mare» con quello, più antico, del bergtagning «rapimento nel monte», dove la protagonista viene segregata in una montagna piuttosto che sul fondo al mare e, nel finale, viene crudelmente punita per non aver ottemperato alle condizioni del suo rapitore (Grundtvig 1853).

Le varianti

Nella sua introduzione alla ballata Agnete og Havmanden, Svend Grundtvig ne ipotizza le origini meridionali, non avendo trovato delle varianti simili in Norvegia e Svezia ma, al contrario, avendole rinvenute in Germania e in Europa dell'Est. Grundtvig conta infatti almeno cinque ballate in Germania dello stesso tipo: Die Schöne Hannele «La bella Hannele» (in due edizioni diverse), Der Wasserman «L'uomo del mare», Die Schöne Angnina «La bella Angnina» e Die Schöne Agnete «La bella Agnete».

Tre di queste versioni ci dicono che Hannele (Annerle, Agnete) è figlia di un re o di un proprietario terriero. Per lei viene costruito un ponte sul mare, ma appena la ragazza ci sale sopra, l'uomo del mare la trascina giù con sé nella sua dimora sottomarina. Le strofe successive sono molto simili alla nostra ballata:

Dort unten war sie sieben Jahr,
und sieben Kinder sie ihm gebar.
Und da sie bei der Wiege stand,
da hört sie einen Glockenklang:
Ach Wassermann, ach Wassermann,
lass mich einmal zu Kirche gahn
.
Laggiù stette per sette anni,
e sette figli gli partorì.
E vicino alla culla stava,
quando sentì un suono di campane:
Ah, uomo del mare, ah, uomo del mare,
fammi andare da sola in chiesa.
Die Schöne Hannele

Il Wassermann risponde: «Se ti lascio andare in chiesa, non tornerai mai più». Ma Hannele dice: «Perché non dovrei tornare più? Chi baderà ai miei piccini?». Appena arrivata al cimitero, saluta con riverenza le foglie e l'erba verde; quando entra in chiesa, saluta con riverenza i conti e i nobili. Il padre gli fa posto nel banco e la madre la fa sedere sopra un cuscino. Dopo la funzione i genitori la portano a casa con loro e si mettono a tavola, ma dopo il primo boccone alla ragazza cade una mela in grembo. Allora chiede alla madre di gettare la mela nel fuoco, ma in quel momento arriva il Wassermann e dice: «Vuoi bruciarmi così? Chi baderà ai nostri piccini?». «Dividiamoceli» propone lei. «Tu ne prendi tre e io altrettanti». Ma l'uomo del mare risponde: «Allora divideremo anche il settimo. Tu ti prendi una gamba e io l'altra». A questo punto Hannele esclama: «Che mio figlio sia fatto a pezzi, piuttosto che tornare a vivere nel mare!» [Und eh ich mir lasse mein Kind zertheilen, viel lieber will ich im Wasser bleiben!].

Nella quarta variante la protagonista è Angnina, figlia del re d'Inghilterra. L'incontro con l'uomo del mare (qui chiamato der Nickelmann) avviene sempre allo stesso modo, con la passeggiata sul ponte, e anche qui, dopo aver sentito il rintocco delle campane d'Inghilterra, la fanciulla desidera tornare a casa. Ma l'unica condizione per cui l'uomo marino la lasci libera di andare in chiesa è che porti con sé i suoi sette figli e che si lasci assicurare alla caviglia una catena legata direttamente con la dimora dell'essere marino. Nel cimitero Angnina incontra il padre e la madre che la riportano a casa e la convincono a sciogliere il legaccio dal piede. Non passa molto tempo che l'uomo del mare tira a sé la catena, non trovando, però, nessuno all'altro capo. La ballata finisce con l'amara riflessione dell'essere marino:

Ach liebe Königstochter mein,
wollst du nicht gerne bei mir sein?
So will ich dich nicht länger quälen,
und ich mich nicht zu Tode grämen.
Ah, mia amata principessa,
non stavi volentieri con me?
Allora non ti rimpiangerò più,
né mi affliggerò fino alla morte
Die Schöne Angnina

Nell'ultima variante la fanciulla ha nome Agnete. Qui l'uomo del mare prima la chiede in sposa al re, suo padre. Dopo sette anni, la ragazza va in chiesa e succede che «quando arrivò sul sagrato della chiesa, gli stipi della chiesa si piegarono» [und als sie an die Kirchthür kam, da neigte sich der Kirchenschrank]. Allora Agnete esce dalla chiesa e incontra il Wassermann, il quale le chiede se voglia seguirlo o perdere la vita. Agnete risponde che preferisce morire sulla terraferma piuttosto che seguirlo in mare. Quindi l'essere marino sguaina la sua spada e la decapita. Agnete «cadde lì sull'erba verde, e su ogni goccia di sangue un angioletto si posava» [sie sank dahin in das grüne Gras, auf jedem Tröpfen Blut ein Engelein sass].

Agnete e l'uomo del mare
Illustrazione di John Bauer (1882-1918)

Grundtvig conclude asserendo che, laddove la versione danese della ballata ha un finale unitario nelle sue molteplici varianti, le cinque versioni tedesche, a noi pervenute, hanno tre finali diversi, di cui il primo (cioè quello in cui la ragazza preferisce rimane sulla terraferma anche al costo di perdere i suoi figli) deve essere il più antico, mentre la genuinità dell'ultimo risulta dubbia (essendoci chiaramente un risvolto edificante di matrice cristiana che rimanda ai prodigi che accadono al martirio di un santo) (Grundtvig 1853).

Tralasciando in questa sede le due versioni est-europee (di cui una slovena), Grundtvig richiama l'attenzione su un episodio del Kalevala finlandese in cui la sorella di Ilmarinen, Annikki, sta in riva al mare intenta a risciacquare dei vestiti. Quando Väinamöinen, nel suo viaggio verso Pohjola alla ricerca di una moglie, la vede, vira verso terra. Annikki chiede svariate volte al vegliardo il motivo del suo viaggio, ricevendo altrettante risposte menzognere. Quando Väinamöinen gli svela la sua vera mèta, Annikki abbandona la spiaggia e corre da suo fratello Ilmarinen dicendogli che un altro aspira alla mano della figlia della signora di Pohjola. (Kalevala [XVIII, -]). La situazione però si risolve qui. Solo il nome della fanciulla è simile a quella della versione finnica della ballata: il resto è completamente diverso. (Grundtvig 1853).

Al contrario, il runo finlandese Il corteggiatore marino [Merenkosiat] ci ricorda la nostra ballata su Agnete: Annika (nome simile a quello della sorella di Ilmarinen) stava seduta su un ponte e piangeva, quando all'improvviso dal mare salta fuori un uomo d'oro [Kultamies], con la bocca dorata, con elmo e corazza d'oro, con guanti, anelli e speroni d'oro rutilante. L'essere chiede alla fanciulla di seguirlo nel mare, ma lei rifiuta. Annika siede nuovamente sul ponte e uno dopo l'altro sbucano dal mare un uomo d'argento [Hopiamies], un uomo di bronzo [Waskiemies] e un uomo di ferro [Rautamies], con la stessa proposta, ma tutti vengono respinti. Alla fine esce dal mare un uomo di pane [Leipamies] (il quale, come senso traslato potrebbe essere avvicinato al tedesco Brodherr «signore [che procura] il pane», il capo-famiglia che sostenta la casa), alla cui proposta Annika risponde finalmente di sì, marcando una differenza fondamentale dalla nostra Agnete che invece accetta subito di buon grado la profferta dell'Havmand.

Bisogna qui sottolineare che l'affermazione di Grundtvig riguardo la mancanza di tale visa negli altri paesi scandinavi, è figlia di un periodo in cui la ricerca ballatistica era ancora ai primordi. Al contrario, sia in Norvegia che in Svezia sono state registrate delle varianti molto simili al tipo presente nelle Danmarks gamle Folkeviser, ma con importanti cambiamenti nelle varianti più antiche. Nella sua antologia, Massima Panza analizza tre varianti registrate in Svezia ( ,  ,  ). Le due più recenti ripropongo lo schema degli otto anni di permanenza della protagonista nel fondo del mare, il motivo del rintocco delle campane, il ritorno sulla terraferma con relativo incontro con la madre nella chiesa, e il finale dove la protagonista si rifiuta di tornare dai suoi figli e l'hafsman si strugge dal dolore. Al contrario, la variante principale, evidentemente la più antica, presenta un finale molto diverso. Non solo l'uomo marino qui è detto lejonman («uomo-leone», con riferimento al leone marino o otaria [infra]), ma al solito schema segue un finale diverso: quando l'essere marino quando torna per riprendersi la sposa, reagisce al suo rifiuto colpendola fino a farla sanguinare; quindi, caricatola sul dorso, la trascina con sé in mare. (Panza 1999)

Tale finale, eccezionale nelle ballate del tipo dell'havstagning «rapimento in mare», è però quasi la norma nelle ballate del tipo bergtagning «rapimento nel monte», di cui conosciamo versioni danesi, svedesi, norvegesi e feringe. Quando la fanciulla tenta la fuga, viene prontamente ricatturata dal bergmann, il quale non si astiene dal colpirla e, in alcuni casi, addirittura dall'uccidere la ragazza, riportando con sé il cadavere nella montagna. Questi finali, in cui l'essere soprannaturale non viene sconfitto ma, al contrario, si dimostra autoritario e potente, non si perde in lacrime al rifiuto della ragazza ma se la riprende in modo piuttosto brutale, dimostrano che l'Agnetevisa scandinava è l'evoluzione di un tipo di ballata più antico e diffuso, in cui il finale è stato successivamente capovolto a favore della protagonista, con una conclusione che segna la sconfitta dell'essere soprannaturale «diverso» da noi.

Il naturvæsen marino

Uomo marino di specie Vescovo

Immagine di un curioso essere antropomorfo marino, tratto dallo Specula physico-mathematico-historica notabilium ac mirabilium sciendorum di Johann Zahn (1631-1707), pubblicato ad Augusta (Germania) nel 1696. Secondo la didascalia, si tratterebbe di una specie di «vescovo marino» e sarebbe stato catturato nel mar Baltico nel 1531.

L'essere che seduce la fanciulla è definito, in Agnete, «uomo del mare» (danese havmand, svedese hafsman, tedesco Wassermann, inglese merman). Ci si riferisce qui a una classe di esseri del folklore scandinavo, di cui le ballate conoscono tanto l'esemplare maschile [havmand] quanto quello femminile [havfrue]. Per quanto la tarda letteratura indulga a raffigurare questi havmænd e queste havfruer con gambe pisciformi, quando non addirittura con tutta la metà inferiore del corpo di pesce, secondo l'iconografia classica dei tritoni (un caso emblematico è rappresentato dalla lille havfrue, la celeberrima «sirenetta» di Hans Christian Andersen), nulla di tutto questo traspare nelle antiche ballate, dove l'uomo nel mare non ha alcuna difficoltà a muoversi sulla terraferma. «Tritoni» e «sirene» appartengono a un mondo mitico lontano da quello scandinavo, e non vanno confusi con gli havmænd e le havfruer.

Molti esseri fantastici popolano i fiumi e i mari della Scandinavia, tra cui il marmendill (marmennill), il nykr (nøkk, näck), il fossegrim. Nel vicino mondo slavo abbiamo il vodjanoj, e anche il Kalevala presenta molti esseri che popolano le acque, non sempre amichevoli, riuniti sotto la dizione generica di Ahtolaiset «popolo di Ahtola», essendo questo il regno di Ahto, spirito-signore dell'elemento liquido. Di homines marini parla già Olaus Magnus, che li descrive come «belvæ humana figura apparentes» (Historia de gentibus septentrionalibus [XXI: De piscibus monstruosis]), quindi esseri di aspetto umano ma natura animale. Diventa qui significativa la versione svedese della ballata in cui l'hafsman è definito lejonman «uomo-leone», con riferimento in realtà a un genere di otaria (cfr. svedese moderno sjölejon «leone di mare»). D'altra parte, pare che l'aspetto originale di queste creature non fosse ittiomorfo, bensì focimorfo. In questo, forse, l'havmand ha qualche relazione con i selkies, gli uomini-foca delle isole Orcadi, la cui tradizione si è in seguito attestata nel folklore irlandese, scozzese e feringio.

Più complesso interpretare la natura dell'havmand in relazione alla fanciulla da lui sedotta. Sembrano esserci differenti assi di opposizione, che non si escludono necessariamente a vicenda. La principale scuola antropologica vede in questa classe di rapitori provenienti dal mare o dalla montagna, a seconda delle ballate a cui si fa riferimento, dei naturvæsen «esseri del mondo naturale». In questo caso l'aspetto teriomorfico dell'havmand diventa particolarmente significativo: se l'uomo del mare è esponente di un mondo selvaggio e primordiale, Agnete rappresenta la sfera culturale a cui appartengono gli esseri umani. In tal caso la segregazione della fanciulla nell'universo «naturale» e il conseguente connubio teriogamico, vengono a essere un riflesso di rappresentazioni religioso-iniziatiche, probabilmente derivate da antichi riti di passaggio.

Alternativamente, il rapporto tra la fanciulla e il naturvæsen può essere visto come relazione tra un mondo cristianizzato e i rimasugli dell'antico sistema pagano. In questo caso appare significativo il ritorno di Agnete alla chiesa, attraverso i cui riti la fanciulla rientra nell'ordine sociale-religioso a cui apparteneva, e può dunque spezzare l'incantesimo che la legava all'uomo del mare. Ma allo stesso tempo, non dimentichiamo che l'havmand è anche essere soprannaturale, appartenente a una sfera di transizione tra mondo fisico e metafisico. Nel mito norreno, Rán trascinava con le sue reti sul fondo del mare i marinai annegati e ad essi serviva la birra nella sua dimora sottomarina. Nel folklore scandinavo si diceva che quegli annegati di cui non si era trovato il corpo fossero stati presi dall'havfrue o dall'havmand, il quale dunque agiva come custode del passaggio tra questo e l'altro mondo (e qui ritorna il motivo del ponte sul quale Agnete vede per la prima volta l'uomo del mare [nota]). Col passar del tempo, questo motivo può aver perduto le sue connotazioni originali. In tal modo, nelle ballate, questi esseri magici tendono a vivere un matrimonio o un'unione de facto con gli esseri umani, piuttosto che ucciderli e rapirli dopo la morte.

Il tema melusinico

Analizzata dal punto di vista strutturale, la ballata di Agnete sembra doversi riconnettere a un tema ben conosciuto agli studiosi di fiabe e di folklore, quella che Laurence Harf-Larcner ha definito «matrimonio melusinico». Questo genere di vicenda ha per argomento un'unione tra un essere umano e una donna appartenente al mondo soprannaturale, di cui la delicata leggenda medievale di Mélusine ne rappresenta, per così dire, il «modello» (Harf-Lancner 1984). Questa è la vicenda, nel racconto di Jean d'Arras ( secolo).

Mélusine

Julius Hübner (1806-1882)

Mentre Raimondin è a caccia nella foresta di Colombiers, uccide per errore suo zio. Sconvolto si rifugia in un bosco e, presso una sorgente, si imbatte in tre fanciulle. Una di queste, a nome di Mélusine, gli rivela di essere al corrente dell'incidente occorsogli e di poterlo aiutare, offrendosi di sposarlo, a patto che lui non cerchi mai di vederla il sabato. Poiché la ragazza è splendida, Raimondin è lieto di accettare. Il matrimonio è assai felice: nascono numerosi figli e la prosperità della coppia sembra riversarsi anche sulle proprietà di famiglia, i campi rendono sempre di più e sorgono nuovi castelli. Tuttavia, ogni sabato la sposa si rifugia nella torre, sottraendosi per l'intera giornata alla vista del marito. Il fratello di Raimondin sparge voci malevole sulle misteriose assenze della giovane, tanto da indurre al sospetto persino lo sposo, il quale, sospettando qualche tradimento o infedeltà, irruppe improvvisamente nelle stanze di Mélusine e la scoprì mentre si faceva il bagno, trasformata in una donna-serpente. Violato il divieto, Mélusine, con il cuore spezzato e piena di vergogna, sgusciò dall'acqua e volò via dalla finestra della torre. Ricomparirà solo di tanto in tanto come presagio di sciagure. I suoi figli daranno tuttavia gran lustro alla stirpe da lei fondata.

La morfologia di questa struttura fiabesca è così riassumibile: (1) un essere umano incontra una donna appartenente al mondo soprannaturale; (2) il matrimonio tra i due è condizionato da una serie di interdizioni; (3) alla violazione di tale interdizioni segue la rottura del legame matrimoniale, e la donna torna al mondo a cui appartiene. Il tema melusinico mette dunque in scena la fusione tra due ambiti apparentemente inconciliabili: il mondo culturale-religioso a cui appartiene l'uomo e il mondo soprannaturale di cui fa parte la creatura feerica. L'incontro tra i due sposi avviene sempre in una regione di confine, che nel caso della leggenda di Mélusine è appunto una foresta, tópos che nella letteratura medievale è deputato alle epifanie di un soprannaturale di matrice celto-pagana. A permettere il matrimonio tra due esseri appartenenti a ambiti tanto diversi è l'osservanza delle interdizioni imposte dalla donna all'uomo: una volta violate, i due mondi non possono più rimanere uniti e neppure l'amore matrimoniale o materno è legame sufficiente a trattenere la sposa a casa del marito.

Selkie

John Duncan (1866-1945).

Il motivo è diffusissimo, ampiamente attestato sia nella letteratura colta che nel folklore, e non soltanto nei paesi Europei. La leggenda celto-britannica delle selkie ne è un caso emblematico. Queste creature, conosciute come selch (dall'anglosassone seolh «foca», cfr. inglese seal) nelle isole Orcadi, dove la leggenda si è probabilmente originata, vivono nel mare in forma di pinnipedi, ma all'occorrenza possono lasciare le lori pelli di foca tra gli scogli e avventurarsi sulla terraferma in forma umana, perlopiù di splendide fanciulle (anche se sono attestati anche esemplari maschili). È possibile per un uomo sposare una selkie, impossessandosi appunto della pelle abbandonata e impedendole di tornare al mare. La selkie diviene una sposa e diligente dell'uomo che l'ha «conquistata», per quanto piuttosto malinconica. Lo sposo deve però stare attento che la selkie non ritrovi mai la sua pelle di foca. E quando, come avviene regolarmente, apre per caso una vecchia cassapanca e lì dentro ritrova la sua antica pelle, nulla può più trattenerla. Ella abbandona lo sposo, i figli, i suoi stessi abiti e scompare per sempre nel mare.

Abbiamo già sottolineato le affinità tra l'havmand e il selkie, ma detto questo, Agnete og havmanden sembra essere una versione speculare della leggenda celto-britannica. Qui è infatti l'esponente del mondo umano a muoversi nel mondo soprannaturale, anche se poi è sempre il membro femminile della coppia – secondo gli schemi del matrimonio tradizionale – a trasferirsi nella dimora dello sposo. Che sia anche questo un tema melusinico è testimoniato dal fatto che anche la ballata scandinava presenta il motivo delle interdizioni: quando la fanciulla sente suonare le campane della chiesa e ha nostalgia del suo mondo, l'havmand la lascia andare a patto che gli prometta di non fare una serie di cose: che non entri in chiesa senza salutare, che non si sieda accanto alla madre, che non s'inginocchi quando il pastore invoca il nome dell'Altissimo. Questi atti, riconducendo Agnete nella sfera culturale-religiosa umana, rompono infatti l'incantesimo che tiene uniti i due ambiti normalmente inconciliabili. La fanciulla ovviamente disobbedisce e l'havmand perde ogni suo potere su di lei. A quel punto, quando l'uomo del mare va a riprendere la sua sposa sulla terraferma, Agnete rifiuta di obbedirgli, rimandandogli risposte sprezzanti. Il ristabilimento della naturale situazione di separazione tra mondo umano e mondo soprannaturale è così netto e definitivo, che neppure l'affetto di Agnete per il suo sposo e l'amore per i figli che ha lasciato in mare possono indurla ad abbandonare il suo mondo e tornare dall'essere marino.

Sembra ovvio presumere che i tardi cantanti della ballata, perdendo di vista il significato dei vari elementi che componevano la storia originale, abbiano finito per dar loro sempre meno meno peso. In tal modo il tema delle interdizioni, conservato in alcune versioni dell'Agnetavisa, è quasi del tutto perduto in altre (come vedremo ora nelle due versioni qui presentate). Analogamente, il tema del rifiuto finale di Agnete, si è spostato su una progressiva perdita di credibilità da parte dell'essere marino.

Contenuto e differenze

Agnete e l'uomo del mare  (1915)

Illustrazione di Jens Lund, dal Drømmerens Bog.

Le due varianti qui tradotte, tratte dalla raccolta di Grundtvig, sono contrassegnate come DgF 38A e DgF 38D. La seconda fu registrata nel 1845 dal pastore O.D. Lütken a Karleby, il quale ci informa di averla «sentita per molto tempo cantare dalle contadine di Lumby».

Come vedremo nel testo, la variante D potrebbe essere diretta derivazione del tipo A con cui condivide molte strofe e ne aggiunge altre. Il tratto fondamentale di D è l'incoerenza nella numerologia «magica», la qual cosa forse sottolinea come questa variante prenda le mosse da A semplificandola ulteriormente (segnale di una redazione ancora più tarda). È inoltre l'unica variante danese nella quale la protagonista ha un nome diverso da Agnete (per quanto chiaramente derivato da questo, Angenete). Seconda differenza, si menziona un solo figlio, così da eliminare gli otto delle altre varianti. Alla strofa [13] non viene menzionato il tempo della permanenza della fanciulla presso l'havmand, ma subito dopo, in una strofa identica al tipo A, ci informa che è stata dall'uomo del mare per otto anni e che gli ha partorito sette figli. Evidentemente la trasformazione della variante ha avuto effetto solo sulle strofe precedenti, lasciando questa inalterata, cosa non strana nelle rielaborazioni seriori delle ballate, dove il cantante conosceva il testo nella sua interezza ma spesso finiva per semplificarlo o, al perfetto contrario, aggiungere elementi che avrebbero potuto destare maggiormente la curiosità del pubblico. Forse in un'epoca tarda il simbolismo magico dei numeri era andato perduto e non si sentiva più il bisogno di rappresentarlo, salvo poi rimanere nella mente del cantore.

Ugualmente, non sono presenti i divieti dell'uomo del mare, che la ragazza violerà sistematicamente una volta raggiunta la chiesa (ulteriore segno di semplificazione), ma alla strofa [18] vediamo un'aggiunta, rispetto al tipo A, degli oggetti che l'uomo del mare ha regalato alla fanciulla per il suo «onore». Interessante aggiunta ex novo della variante D, sono le ultime quattro strofe, in cui si dà anche conto del significato del ritornello (cosa non presente nella variante A), dato che in alcune ballate più antiche il ritornello poteva essere anche slegato dal contesto ballatistico e ripetere solo un suono armonico.

BALLATE POPOLARI SCANDINAVE
AGNETE OG HAVMANDEN
AGNETE E L'UOMO DEL MARE
AGNETE OG HAVMANDEN

Version A

AGNETE E L'UOMO DEL MARE

Versione A

 
       

1

Agnete hun ganger på Højelands Bro,
da kom der en Havmand fra Bunden op,
Agnete va sul ponte dell'alta terra:
lì giunse un uomo del mare dagli abissi.
Nota
  – Hå hå hå! –
Da kom der en Havmand fra Bunden op.
– Haa haa haa! –
Lì giunse un uomo del mare dagli abissi.
 
2 »Og hør du, Agnete, hvad jeg vil sige dig:
Og vil du nu være Allerkæresten min?«
«Ascolta, Agnete, cosa ho da dirti:
vorresti essere la mia amata?»
 
  – Hå hå hå! –
Og vil du nu være Allerkæresten min?
– Haa haa haa! –
Vorresti essere la mia amata?
 
3 »O ja såmænd, det vil jeg så,
når du ta'r mig med på Havsens Bund.«
«Oh, certo che vorrei esserlo,
quando mi porterai sul fondo del mare.»
 
  – Hå hå hå! –
Når du ta'r mig med på Havsens Bund.
– Haa haa haa! –
Quando mi porterai sul fondo del mare.
 
4 Han stopped hendes Øren, han stopped hendes Mund,
så førte han hende til Havsens Bund.
Le turò l'orecchio, le tappò la bocca,
e la condusse sul fondo del mare.
 
  – Hå hå hå! –
Så førte han hende til Havsens Bund.
– Haa haa haa! –
E la condusse sul fondo del mare.
 
5 Der var de tilsammen i otte År,
syv Sønner hun da ved den Havmand får.
Stettero insieme otto anni,
sette figli diede all'uomo del mare.
Nota
  – Hå hå hå! –
Syv Sønner hun da ved den Havmand får.
– Haa haa haa! –
Sette figli diede all'uomo del mare.
 
6 Agnete hun sad ved Vuggen og sang,
da hørte hun de engelandske Klokkers Klang.
Agnete sedeva vicino alla culla e cantava
poi sentì le campane d'Inghilterra suonare.
Nota
  – Hå hå hå! –
Da hørte hun de engelandske Klokkers Klang.
– Haa haa haa! –
Poi sentì le campane d'Inghilterra suonare.
 
7 Agnete hun ganger sig for Havmand at stå:
»Og må jeg mig udi Kirken gå?«
Agnete va dall'uomo del mare:
«Posso andare in chiesa?»
 
  – Hå hå hå! –
Og må jeg mig udi Kirken gå?
– Haa haa haa! –
Posso andare in chiesa?
 
8 »O ja såmænd, det må du så,
når du kun kommer igen til Børnene små.
«Oh, certo che ci puoi andare,
ma solo se ritorni dai tuoi figlioletti.
 
  – Hå hå hå! –
Når du kun kommer igen til Børnene små.
– Haa haa haa! –
Ma solo se ritorni dai tuoi figlioletti.
 
9 »Men når du kommer på Kirkegård,
så må du ej slå ud dit favre Guldhår.
«Quando arrivi al cimitero
non devi scioglierti i capelli d'oro.
 
  – Hå hå hå! –
Så må du ej slå ud dit favre Guldhår.
– Haa haa haa! –
Non devi scioglierti i capelli d'oro.
 
10 »Og når du kommer på Kirkegulv,
så må du ej gå med din kær Moder i Stol.
«E quando entri in chiesa,
non devi andare al banco dalla tua cara madre.
 
  – Hå hå hå! –
Så må du ej gå med din kær Moder i Stol.
– Haa haa haa! –
Non devi andare al banco dalla tua cara madre.
 
11 »Når Præsten nævner den høje,
da må du dig ikke nedbøje.«
«Quando il prete nomina l'Altissimo,
non devi inchinarti.»
 
  – Hå hå hå! –
Da må du dig ikke nedbøje.
– Haa haa haa! –
Non devi inchinarti.
 
12 Han stopped hendes Øren, han stopped hendes Mund,
så førte han hende på den engelandske Grund.
Le turò l'orecchio, le tappò la bocca,
e la condusse sul suolo inglese.
 
  – Hå hå hå! –
Så førte han hende på den engelandske Grund.
– Haa haa haa! –
E la condusse sul suolo inglese.
 
13 Da hun kom på den Kirkegård,
da slog hun ud sit favre gule Hår.
Quindi giunse al cimitero,
si sciolse i bei capelli d'oro.
 
  – Hå hå hå! –
Da slog hun ud sit favre gule Hår.
– Haa haa haa! –
Si sciolse i bei capelli d'oro.
 
14 Den Tid hun kom på Kirkegulv,
så gik hun med sin kær Moder i Stol
Quando entrò in chiesa,
andò al banco dalla sua cara madre.
 
  – Hå hå hå! –
Så gik hun med sin kær Moder i Stol
– Haa haa haa! –
Andò al banco dalla sua cara madre.
 
15 Der Præsten nævned den høje,
hun monne sig dybt nedbøje.
Il prete nominò l'Altissimo,
si inchinò profondamente.
 
  – Hå hå hå! –
Hun monne sig dybt nedbøje.
– Haa haa haa! –
Si inchinò profondamente.
 
16 »Og hør du, Agnete, hvad jeg vil sige dig:
og hvor har du været i otte År fra mig?«
«Ascolta, Agnete, cosa ho da dirti:
dove sei stata per otto anni lontana da me?»
 
  – Hå hå hå! –
Og hvor har du været i otte År fra mig?
– Haa haa haa! –
Dove sei stata per otto anni lontana da me?
 
17 »I Havet har jeg været i otte År,
syv Sønner har jeg ved den Havmand få't.«
«Nel mare sono stata per otto anni,
sette figli ho dato all'uomo del mare.»
 
  – Hå hå hå! –
Syv Sønner har jeg ved den Havmand få't.
– Haa haa haa! –
Sette figli ho dato all'uomo del mare.
 
18 »Og hør du, Agnete, kær Datter min:
og hvad gav han dig for Æren din?«
«Ascolta, Agnete, mia cara figlia:
cosa ti ha dato per il tuo onore?»
 
  – Hå hå hå! –
Og hvad gav han dig for Æren din?
– Haa haa haa! –
Cosa ti ha dato per il tuo onore?
 
19 »Han gav mig det røde Guldbånd,
der findes ikke bedre om Dronningens Hånd.
«Mi ha dato una fascetta d'oro rosso
miglior non si trova sulla mano di una regina
 
  – Hå hå hå! –
Der findes ikke bedre om Dronningens Hånd.
– Haa haa haa! –
Miglior non si trova sulla mano di una regina
 
20 »Han gav mig et Par guldspændte Sko,
der findes ikke bedre på Dronningens Fod.
«E mi ha dato un paio di scarpe dalle fibbie d'oro
miglior non si trovano al piede di una regina.
 
  – Hå hå hå! –
Der findes ikke bedre på Dronningens Fod.
– Haa haa haa! –
Miglior non si trovano al piede di una regina.
 
21 »Og han gav mig en Harpe af Guld,
at jeg skulde spille på, når jeg var sorrigfuld.«
«E mi ha dato un'arpa d'oro,
che potessi suonare quand'ero triste.»
 
  – Hå hå hå! –
at jeg skulde spille på, når jeg var sorrigfuld.
– Haa haa haa! –
Che potessi suonare quand'ero triste.
 
22 Den Havmand han gjorde en Vej så bred,
fra Stranden op til Kirkegårdens Sten.
L'uomo del mare si fece strada
dalla spiaggia fino alle lapidi del cimitero.
 
  – Hå hå hå! –
Fra Stranden op til Kirkegårdens Sten.
– Haa haa haa! –
Dalla spiaggia fino alle lapidi del cimitero.
 
23 Den Havmand han ind ad Kirkedøren tren,
og alle de små Billeder de vendte sig omkring.
L'uomo del mare attraversò il sagrato
e tutte le icone si voltarono.
Nota
  – Hå hå hå! –
Og alle de små Billeder de vendte sig omkring.
– Haa haa haa! –
E tutte le icone si voltarono.
 
24 »Hans Hår det var som det pureste Guld,
hans Øjne de vare så sorrigfuld.«
I suoi capelli erano come l'oro più puro,
gli occhi davvero tristi.
 
  – Hå hå hå! –
Hans Øjne de vare så sorrigfuld.
– Haa haa haa! –
Gli occhi davvero tristi.
 
25 »Og hør du, Agnete, hvad jeg siger dig:
og dine små Børn de længes efter dig.«
«Ascolta, Agnete, cosa ho da dirti,
i tuoi figlioletti si struggono per te.»
 
  – Hå hå hå! –
Og dine små Børn de længes efter dig.
– Haa haa haa! –
I tuoi figlioletti si struggono per te.
 
26 »Lad længes, lad længes, så såre de vil,
slet aldrig så kommer jeg mere dertil.«
«Lascia che si struggano, lascia che si struggano amaramente,
poiché non tornerò mai più da loro.»
  – Hå hå hå! –
Slet aldrig så kommer jeg mere dertil.
– Haa haa haa! –
Poiché non tornerò mai più da loro.
 
27 »O tænk på de store og tænk på de små,
ja tænk på det lille, som i Vuggen lå.«
«O pensa al maggiore pensa al minore,
sì, pensa al piccolo, che giace in culla.»
 
  – Hå hå hå! –
Ja tænk på det lille, som i Vuggen lå.
– Haa haa haa! –
Sì, pensa al piccolo, che giace in culla.
 
28 »Ret aldrig tænker jeg på de store eller små,
langt mindre på det lille, som i Vuggen lå.«
«Non penserò più al maggiore o al minore,
men che meno al piccolo, che giace in culla.»
Nota
  – Hå hå hå! –
Langt mindre på det lille, som i Vuggen lå.
– Haa haa haa! –
Men che meno al piccolo, che giace in culla.
 
       
AGNETE OG HAVMANDEN

Version D

AGNETE E L'UOMO DEL MARE

Versione D

 
       

1

Angenete hun ganger på Høvelands Bro,
der kommer den Havmand af Stranden op
Angenete passeggia sul pontile dell'alta terra,
dalla riva giunge l'uomo del mare.
Nota
  – Ho ho ho! –
Der kommer den Havmand af Stranden op.
– Ho ho ho! –
Dalla riva giunge l'uomo del mare.
 
2 »Og hør du, Angenete, hvad jeg vil sige dig:
og vil du følge til Havet med mig?«
«Ascolta, Angenete, cosa ho da dirti:
vuoi seguirmi nel mare?»
 
  – Ho ho ho! –
Og vil du følge til Havet med mig?
– Ho ho ho! –
Vuoi seguirmi nel mare?
 
3  »Ja, gjærne saa jeg til Havet med ham,
hvis mine Forældre det ej spørge skal.«
«Sì, volentieri vorrei seguirti nel mare,
se i miei genitori non dicono di no.»
 
  – Ho ho ho! –
Hvis mine Forældre det ej spørge skal.
– Ho ho ho! –
Se i miei genitori non dicono di no.
 
4 Han stopped hendes Øren, han lukte hendes Mund,
så førte han hende til Havets Bund.
Le turò l'orecchio, le tappò la bocca,
e la condusse sul fondo del mare.
 
  – Ho ho ho! –
Så førte han hende til Havets Bund.
– Ho ho ho! –
E la condusse sul fondo del mare.
 
5 Angenete hun sad ved Vuggen og sang,
da hørte hun Engelands Klokker de klang.
Angenete sedeva vicino alla culla e cantava,
poi sentì le campane d'Inghilterra suonare.
Nota
  – Ho ho ho! –
Da hørte hun Engelands Klokker de klang.
– Ho ho ho! –
Poi sentì le campane d'Inghilterra suonare.
 
6 Angenete hun sad ved Vuggen og græd:
»O, kunde jeg komme til min kjære Moder at stå!«
Angenete sedeva vicino alla culla e piangeva:
«Oh, se solo potessi andare dalla mia cara madre!»
 
  – Ho ho ho! –
O, kunde jeg komme til min kjære Moder at stå!
– Ho ho ho! –
Oh, se solo potessi andare dalla mia cara madre!
 
7 Angenete hun går for den Havmand at stå:
»Og må jeg mig ene til Kirken hengå?«
Angenete va dall'uomo del mare:
«Posso andare da sola in chiesa?»
 
  – Ho ho ho! –
Og må jeg mig ene til Kirken hengå?
– Ho ho ho! –
Posso andare da sola in chiesa?
 
8 »Ja, vel må du ene til Kirken hengå,
når du vil komme igjen til dine Børn små.«
«Sì, ben puoi andare in chiesa da sola,
ma solo se ritorni dal tuo figlioletto.»
 
  – Ho ho ho! –
Når du vil komme igjen til dine Børn små.
– Ho ho ho! –
Ma solo se ritorni dal tuo figlioletto.
 
9 »Ja, visselig sandelig det jeg vil,
det skal du se og høre til.«
«Sì, lo farò certamente,
vedrai e sentirai.»
 
  – Ho ho ho! –
Det skal du se og høre til.
– Ho ho ho! –
Vedrai e sentirai.
 
10 Nu stopped han hendes Øren og lukte hendes Mund,
så førte han hende til den engelske Grund.
Quindi le turò l'orecchio e le tappò la bocca,
e la condusse sul suolo inglese.
 
  – Ho ho ho! –
Så førte han hende til den engelske Grund.
– Ho ho ho! –
E la condusse sul suolo inglese.
 
11 Angenete hun ind ad Kirkedøren trådte,
så vendte alle de små Billeder sig omkring.
Angenete varcò la porta della chiesa,
tutte le icone si voltarono.
Nota
  – Ho ho ho! –
Så vendte alle de små Billeder sig omkring.
– Ho ho ho! –
Tutte le icone si voltarono.
 
12 Angenete hun til Alteret kom,
der stod hendes kjær Moder på den højre Hånd.
Angenete giunse all'altare,
lì stava la sua cara madre alla destra.
 
  – Ho ho ho! –
Der stod hendes kjær Moder på den højre Hånd.
– Ho ho ho! –
Lì stava la sua cara madre alla destra.
 
13 »Og hør du, Angenete, hvad jeg dig sige vil:
og hvor har du været så lang en Tid?«
«Ascolta, Angenete, cosa ho da dirti:
dove sei stata per così tanto tempo?»
 
  – Ho ho ho! –
Og hvor har du været så lang en Tid?
– Ho ho ho! –
Dove sei stata per così tanto tempo?
 
14 »I Havet har jeg været i otte År,
syv Sønner jeg der med Havmanden får.«
«Nel mare sono stata per otto anni,
sette figli ho dato all'uomo del mare.»
 
  – Ho ho ho! –
Syv Sønner jeg der med Havmanden får.
– Ho ho ho! –
Sette figli ho dato all'uomo del mare.
 
15 »Og hør du, Angenete, hvad jeg dig sige vil:
og hvad gav han dig for Æren din?«
«Ascolta, Angenete, cosa ho da dirti:
cosa ti ha dato per il tuo onore?»
 
  – Ho ho ho! –
Og hvad gav han dig for Æren din?
– Ho ho ho! –
Cosa ti ha dato per il tuo onore?
 
16 »Han gav mig det røde Guldbånd,
der findes ikke bedre om Dronningens Hånd.»
«Mi ha dato una fascetta d'oro rosso
miglior non si trova sulla mano di una regina.»
 
  – Ho ho ho! –
Der findes ikke bedre om Dronningens Hånd.
– Ho ho ho! –
Miglior non si trova sulla mano di una regina.
 
17 »Og hør du, Angenete, hvad jeg siger dig:
hvad gav han dig mere for Æren din?«
«Ascolta, Angenete, cosa ho da dirti:
ti ha dato qualcos'altro per il tuo onore?»
 
  – Ho ho ho! –
Hvad gav han dig mere for Æren din?
– Ho ho ho! –
Ti ha dato qualcos'altro per il tuo onore?
 
18 »Han gav mig en Guldkniv og Gaffel,
der lægges ikke bedre på Dronningens Taffel.«
«Mi ha dato un coltello d'oro e una forchetta,
migliori non stanno sulla tavola di una regina.»
 
  – Ho ho ho! –
Der lægges ikke bedre på Dronningens Taffel.
– Ho ho ho! –
Migliori non stanno sulla tavola di una regina.
 
19 »Og hør du, Angenete, hvad jeg siger mer:
hvad gav han dig mere for Æren din?«
«Ascolta, Angenete, cosa ho da dirti ancora:
ti ha dato qualcos'altro per il tuo onore?»
Nota
  – Ho ho ho! –
Hvad gav han dig mere for Æren din?
– Ho ho ho! –
Ti ha dato qualcos'altro per il tuo onore?
 
20 »Han gav mig et Par Guldspænder til Sko,
der findes ej bedre på Dronningens Fod.«
«Mi ha dato un paio di scarpe dalle fibbie d'oro
miglior non si trovano al piede di una regina.»
 
  – Ho ho ho! –
Der findes ej bedre på Dronningens Fod.
– Ho ho ho! –
Miglior non si trovano al piede di una regina.
 
21 »Og hør du, Angenete, hvad jeg siger dig mere:
og hvad gav han mere for Æren din?«
«Ascolta, Angenete, cosa ho da dirti ancora:
e ti ha dato qualcos'altro per il tuo onore?»
 
  – Ho ho ho! –
Og hvad gav han dig mere for Æren din?
– Ho ho ho! –
E ti ha dato qualcos'altro per il tuo onore?
 
22 »Og han gav mig en Harpe af Guld,
at skulle spille på, når jeg var sorrigfuld.«
«E mi ha dato un'arpa d'oro,
che potessi suonare quando ero triste.»
 
  – Ho ho ho! –
At skulle spille på, når jeg var sorrigfuld.
– Ho ho ho! –
Che potessi suonare quando ero triste.
 
23 Hendes Moder vendte sig af Kirken ud,
Angenete tog Afsked med sorrigfuldt Mod.
Sua madre si voltò per uscire dalla chiesa,
Angenete prese congedo con animo triste.
 
  – Ho ho ho! –
Angenete tog Afsked med sorrigfuldt Mod.
– Ho ho ho! –
Angenete prese congedo con animo triste.
 
24 Den Havmand han gjorde en Vej så bred,
fra Stranden op til Kirkegårdens Sten.
L'uomo del mare si fece strada,
dalla spiaggia fino alle lapidi del cimitero.
 
  – Ho ho ho! –
Fra Stranden op til Kirkegårdens Sten.
– Ho ho ho! –
Dalla spiaggia fino alle lapidi del cimitero.
 
25 Den Havmand han ind ad Kirkedøren såe,
og alle de små Billeder dandsede sig omkring.
L'uomo del mare guardò nella porta della chiesa
e tutte le icone danzarono intorno.
Nota
  – Ho ho ho! –
Og alle de små Billeder dandsede sig omkring.
– Ho ho ho! –
E tutte le icone danzarono intorno..
 
26 Den Havmand han op til Alteret kom,
der stod Angenete alt ved hans højre Hånd.
L'uomo del mare giunse all'altare,
lì stava Angenete alla sua destra.
 
  – Ho ho ho! –
Der stod Angenete alt ved hans højre Hånd.
– Ho ho ho! –
Lì stava Angenete alla sua destra.
 
27 »Og hør du, Angenete, hvad jeg dig sige vil:
den små Børn længes nu såre efter dig.«
«Ascolta, Angenete, cosa ho da dirti,
il tuo figlioletto si strugge amaramente per te.»
  – Ho ho ho! –
Den små Børn længes nu såre efter dig.
– Ho ho ho! –
Il tuo figlioletto si strugge amaramente per te..
 
28  »Lad længes, lad længes så såre som de vil,
i Havet har jeg været, der kommer jeg ej mer.«
«Lascia che si strugga, lascia che si strugga amaramente,
Nel mare sono stata, non ci ritornerò più.»
  – Ho ho ho! –
I Havet har jeg været, der kommer jeg ej mer.
– Ho ho ho! –
Nel mare sono stata, non ci ritornerò più.
 
29 »Tænk nu på de store, tænk mere på de små,
men mest på det lille, som i Vuggen lå.«
«Pensa al maggiore, pensa di più al minore,
ma ancor di più al piccolo, che giace in culla.»
 
  – Ho ho ho! –
Men mest på det lille, som i Vuggen lå.
– Ho ho ho! –
Ma ancor di più al piccolo, che giace in culla.
 
30 »Hverken tænker jeg på de store eller små,
langt mindre på det lille, der i Vuggen lå.«
«Non penserò più al maggiore o al minore,
ancor di meno al piccolo, che giace in culla.»
 
  – Ho ho ho! –
Langt mindre på det lille, der i Vuggen lå.
– Ho ho ho! –
Ancor di meno al piccolo, che giace in culla.»
 
31 Den Havmand han vred sine Hænder derved:
»Det skulde du betænkt, da du havde mi der.
L'uomo del mare si torceva le mani a questo:
«Avresti dovuto pensarci, che tu avevi me lì.
 
  – Ho ho ho! –
Det skulde du betænkt, da du havde mi der.
– Ho ho ho! –
Avresti dovuto pensarci, che tu avevi me lì.
 
32 »Og vil du følge til Stranden med mig,
tolvtusind Tønder Guld dem giver jeg dig.«
«Se mi seguirai alla spiaggia,
ti darò milleduecento barili d'oro.»
 
  – Ho ho ho! –
Tolvtusind Tønder Guld dem giver jeg dig.
– Ho ho ho! –
Ti darò milleduecento barili d'oro.
 
33  »Tolvtusind Tønder Guld dem haver jeg selv,
jeg giver dig Fanden, den kan dig følge med.«
«Milleduecento barili d'oro li ho già,
ti darò il diavolo, lui potrà venire con te.»
 
  – Ho ho ho! –
Jeg giver dig Fanden, den kan dig følge med.
– Ho ho ho! –
Ti darò il diavolo, lui potrà venire con te.
 
34  Den Havmanden han rejste med et sorrigfuldt Mod,
Angenete hun stod for Stranden, og hjærtelig hun lo.
L'uomo del mare se ne andò con l'animo triste,
Angenete stava vicino alla riva e rideva di cuore.
Nota
  – Ho ho ho! –
Angenete hun stod for Stranden, og hjærtelig hun lo.
– Ho ho ho! –
Angenete stava vicino alla riva e rideva di cuore.
 
       

NOTE

1 A | 1 D — Il ponte è un elemento topico di questo genere di ballate, quale tramite tra il mondo umano e il mondo soprannaturale. Si veda, nel mito scandinavo, la presenza del ponte Bifröst a collegare la terra e il cielo, dimora degli dèi. Anche nel folklore e nelle fiabe, i ponti sono spesso luogo privilegiato di accesso a un mondo «altro» e alle creature che lo popolano (un esempio piuttosto noto, la fiaba scandinava dei tre Capretti Furbetti, che incontrano un malvagio troll proprio mentre scavalcano un ponte). Anche la riva del mare è un tipico scenario della Grenzsituation, in cui avviene l'incontro tra il rappresentante della cultura umana e l'essere appartenente al mondo selvaggio e pagano. In questo caso, Massimo Panza pensa alle Cantigas de amigo del giullare galiziano Martím Codax (XIII sec.), in cui «la fascinazione della spiaggia [appare] come soglia d'un attesa sospesa fra presentimento e desiderio» (Panza 1999). AD

5 A — Secondo un ben preciso cliché, nelle ballate la permanenza presso il naturvæsen (sia esso uomo del mare o delle montagne) dura sempre sette od otto anni. Al riguardo Massimo Panza al riguardo pensa a un riferimento a qualche antico concetto sulla sacralità di certi numeri. Ai sette anni di prigionia fa riscontro il numero (otto) dei figli. A

6 A | 5 D — L'Inghilterra è qui introdotta come terra remota e lontana dall'esperienza dei fruitori della ballata. Il motivo è diffuso anche in altri testi. Ad esempio, il mostruoso uomo della montagna [bergman] che, nella ballata svedese La prigioniera del monte [Der Bergtagna] rapisce la protagonista, è detto «re d'Inghilterra» [Konungen i Engeland] (Panza 1999). AD

23 A | 11 D — Al passaggio dell'Havmand, essere proveniente da un mondo pagano, le immagini sacre voltano il capo dall'altra parte, per evitare di guardarlo. Nella versione D, questo avviene anche quando passa la stessa Angenete, la quale, proveniente dal mondo marino, non è evidentemente ancora pronta per un ritorno definitivo all'ordine costituito. In questa stessa versione, al passaggio dell'Havmand, le immagini sacre sono dette «danzargli intorno», forse per irridere la sua futura sconfitta? AD

28 A | 34 D — Questa sarebbe la spia della seriosità di questa versione. L'happy ending suggerirebbe una composizione del tardo '700, laddove, come abbiamo detto nell'introduzione, nelle ballate più antiche la ragazza rimane per sempre nel regno incantato. AD

Bibliografia

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  • ASBJØRNSEN Peter Christen ~ MOE Jørgen Engebretsen, Norske folkeeventyr. Christiania [Oslo] 1841-1852.
  • BRENTANO CLEMENS Arnim J., Des Kabe Wunderhorn, alte Deutsche Lieder,  I-III. Heidelberg, 1806-1809
  • D'AVINO Maria Valeria, Antiche ballate danesi. Salerno, Roma 1993.
  • GRUNDTVID Svend Hersleb ~ OLRIK Axel, Danmarks gamle Folkeviser, voll. I-XII. København 1853 [1976].
  • HARF-LANCNER Laurence, Les fées au Moyen Âge. Morgane et Melusine: La naissance des fées. Champion, Parigi 1984. ~ ID.: Morgana e Melusina: La nascita delle fate nel Medioevo. Einaudi, Torino 1989.
  • HOFFMAN VON FALLERSLEBEN August Heinrich  ~ RICHTER Ernst Heinrich Leopold, Schlesische Volkslieder. Leipzig 1842.
  • ISNARDI Gianna Chiesa, I miti nordici. Longanesi, Milano 1991.
  • LANDSTAD Magnus Brostrup, Norske folkeviser. Christiania [Oslo] 1853.
  • PANZA Massimo, I nomi magici nelle ballate nordiche. In: Onomastica e Letteratura. Atti dell'Università di Pisa, Viareggio 1998.
  • PANZA, Massimo, Ballate magiche svedesi.
  • Luni, Milano/Trento 1999.
  • SCHRÖTER Hans Rudolph, Finnische Runen, Finnisch und Deutsch. Stuttgard/Tubingen 1834.
  • SIMROCK Karl Joseph, Die Deutschen Volkslieder. Frankfurt 1851.
BIBLIOGRAFIA
Archivio: Biblioteca - Guglielmo da Baskerville
Sezione: Fonti - Nabū-kudurri-uṣur
Area: Germanica - Brynhilldr
Traduzione di Luca Taglianetti.
Introduzione e note di Luca Taglianetti e Dario Giansanti.
Creazione pagina: 21.01.2009
Ultima modifica: 05.02.2017
 
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