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NASCITA DI UGGERI IL DANESE
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Le fate visitano il piccolo Uggeri |
Disegno di autore sconosciuto |
l primo re cristiano di Danimarca aveva nome Goffredo. Era stato lui a liberare
quel paese dai pagani, in una serie di ardite battaglie contro i seguaci di
Odino, ed era stato lui a erigere le prime chiese ed a condurre i fieri Dani al
fonte battesimale. Goffredo aveva fatto della Danimarca un unico regno, di cui
egli era l'incontrastato sovrano, allorché sua moglie, la regina, gli partorì un
figlio.
La sera prima del battesimo, il bimbo fu visitato dalle fate. Esse vennero a
mezzanotte, sei belle dame riccamente vestite, e si disposero intorno alla
culla.
La prima fata, Gloriande, prese in braccio il pargolo e lo baciò. ― Bambino
mio, in nome di Dio, ti faccio un dono: finché avrai vita sarai il più ardito
cavaliere del tuo tempo.
Disse la seconda, Palestine: ― Dama, il dono che gli avete fatto non è certo
piccolo. Io gli concedo dunque, finché sarà in vita, che non gli manchi mai né
guerra né battaglia.
Allora disse la terza, Pharamonde: ― Dama, il dono che gli fate è assai
pericoloso ed è per questo che gli accordo di non essere mai vinto negli
scontri.
E disse la quarta, Mélior: ― E io gli dono, finché sarà in vita, di essere
bello, dolce e grazioso più di chiunque altro.
La quinta, chiamata Presine, disse invece: ― Io gli concedo che sia sempre
amato dalle dame e che le sue storie d'amore siano sempre felici.
L'ultima, Morgana, disse invece: ― Ho udito i doni che avete fatto a questo
bambino. Io voglio invece fargliene uno ancora più grande. Gli concedo di non
morire sino a che non sarà divenuto il mio amato. ― E detto ciò lo baciò con
grande trasporto.
Dopodiché le sei fate lasciarono la stanza e svanirono nella notte.
Il giorno successivo il bimbo fu portato al fonte battesimale e ricevette il
nome di Uggeri.
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INFANZIA DI UGGERI
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Cappella Palatina |
Acquisgrana, residenza di Carlo Magno |
ggeri aveva sedici anni quando Carlo Magno, che aveva esteso il suo impero su
tutti i sovrani cristiani del tempo, si ricordò che Goffredo, re di Danimarca,
aveva omesso di rendergli omaggio. Ma quando gli mandò un'ambasciata per
richiedergli il dovuto vassallaggio, si sentì rispondere un rifiuto. Allora
Carlo ripeté la richiesta, ma questa volta con un esercito armato.
Goffredo oppose una vana resistenza, dovette capitolare e giurò fedeltà a Carlo
Magno. Come pegno di sincerità, dovette consegnare all'imperatore suo figlio
Uggeri in qualità ostaggio.
Uggeri fu condotto ad Aquisgrana, alla corte di Carlo Magno. Si occupò di lui il
buon duca Namo di Baviera, che lo allevò come fosse un figlio.
Passarono gli anni e come le fate avevano promesso, Uggeri si faceva sempre più
gentile e amabile e superava in forza e ardimento tutti i suoi compagni. Era
rispettoso con i cavalieri più anziani e ardeva dall'impazienza di imitare le
loro gesta. S'innamorò di Belissena, figlia di un feudatario dell'imperatore, il
quale di buon grado gliela concesse in sposa. Insomma, il periodo che Uggeri
passò in qualità di ostaggio non fu certo triste, tuttavia il ragazzo si duoleva
in segreto per la sua condizione di prigioniero e gli pareva che suo padre
l'avesse dimenticato.
Nel frattempo, in Danimarca, la madre di Uggeri era morta e re Goffredo aveva
sposato un'altra donna da cui aveva avuto un figlio chiamato Guion. La nuova
regina comandava a bacchetta il marito e temeva che, se questi avesse visto
ancora una volta Uggeri, lo avrebbe preferito sopra Guion, così aveva
accortamente persuaso re Goffredo a ritardare i suoi obblighi di vassallaggio
nei confronti di Carlo Magno. In tal modo passarono altri quattro anni e Carlo
Magno prolungava a sua volta la cattività di Uggeri finché il re di Danimarca si
decidesse a chiarire la faccenda.
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IMPRESE GIOVANILI DI UGGERI
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Incoronazione di Carlo Magno |
San Pietro in Roma, notte di Natale dell'anno 800, il
papa incorona Carlo Magno quale imperatore del Sacro Romano Impero. |
poi un giorno arrivò all'imperatore un messaggio di papa Leone, che
implorava il suo aiuto. I Saraceni, guidati dall'emiro Corsuble, erano sbarcati
vicino Roma, avevano occupato il Gianicolo e si preparavano a mettere a ferro e
fuoco la città santa.
Carlo Magno non esitò ad andare in aiuto del papa. Alla testa del suo esercito,
scese in Italia e arrivò alla fortezza di Spoleto, dove il papa si era
rifugiato. Leone, alla testa dei suoi cardinali, incontrò l'imperatore e gli
rese omaggio chiamandolo protettore della cristianità.
Carlo Magno non si fermò a Spoleto che un paio di giorni. Saputo che gli
infedeli, ormai padroni di Roma, stavano già assediando il Campidoglio, si mise
immediatamente in marcia per la città. L'avanguardia era comandata dal duca
Namo, e Uggeri lo serviva in qualità di scudiero. Davanti a tutti marciava un
cavaliere di nome Alory, che reggeva il grande orifiamma con le insegne
dell'imperatore.
A un certo punto apparve un distaccamento di infedeli e Namo diede l'ordine di
attacco. Uggeri, che non era ancora cavaliere, rimase indietro insieme agli
altri scudieri. Nel bel mezzo dello scontro, Alory, che non brillava per
ardimento, lasciò cadere l'orifiamma e se la diede a gambe su per la collina.
Allora Uggeri lo raggiunse e lo disarcionò. Quindi rivestì sé stesso della sua
armatura, balzò a cavallo e si gettò nella mischia per recuperare l'orifiamma.
Il suo impeto ebbe l'effetto di spezzare i ranghi del nemico. E Namo, che
credeva che quel cavaliere fosse il vile Alory, rimase attonito di fronte
all'improvvisa prova di coraggio. I giovani compagni di Uggeri lo imitarono, e
rivestitisi delle armature dei caduti, si gettarono tra le armate dei saraceni,
aggiungendo il loro valore a quello degli altri cavalieri.
Intanto re Carlo arrivò col grosso dell'esercito e la mischia divenne una
battaglia in piena regola. Nella confusione, Carlo Magno individuò Corsuble, il
comandante dei Saraceni. Allora trasse dal fodero la sua spada Gioiosa e si
lanciò all'attacco, deciso a tagliargli la testa. Ma in quel momento due
cavalieri saraceni si gettarono sull'imperatore. Uno gli abbatté il cavallo e
Carlo cadde a terra. L'altro gli fu sopra e si preparò a dargli il colpo di
grazia. La vita dell'imperatore era in serio pericolo, ma Uggeri si gettò al
galoppo contro uno dei saraceni e lo disarcionò; contemporaneamente colpì
l'altro con l'asta dell'orifiamma, gettandolo al suolo.
― Coraggioso Alory! ― esclamò re Carlo che non l'aveva riconosciuto: ― Ti
devo l'onore e la vita!
Uggeri non rispose, e vedendo altri cavalieri correre al soccorso
dell'imperatore, tornò nella mischia. Più tardi l'esercito saraceno girò in
ritirata e gli infedeli cercarono soccorso tra le mura di Roma, dove si
barricarono.
Allora il buon arcivescovo Turpino, gettò via l'elmo e la spada insanguinata,
prese la mitria e la croce, e intonò il Te Deum.
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UGGERI CREATO CAVALIERE
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Holger Dansck |
Il buffo personaggio raffigurato in questo affresco
del XVI secolo, nella chiesa di Skævinge (a circa 50 km da Copenhagen) è proprio
Uggeri il Danese. |
inita la battaglia, Uggeri, coperto di sangue e di polvere, andò a deporre
l'orifiamma ai piedi dell'imperatore. Carlo Magno lo fece alzare e lo abbracciò,
chiamandolo Alory.
Ma quando gli tolsero l'elmo, grande fu lo stupore di tutti nel riconoscere
il giovane figlio di re Goffredo. Carlo Magno lo abbracciò e gli disse: ― Ti
devo moltissimo, mio caro Uggeri! Ti devo la vita! La mia spada freme per
posarsi sulle tue spalle, sulle tue e su quelle dei tuoi coraggiosi amici!
Ed estratta la spada, re Carlo fece inginocchiare Uggeri e quindi gli diede
la tradizionale collata, creandolo cavaliere. Il giovane paladino Rolando e suo
cugino Oliviero dichiararono Uggeri loro fratello d'armi. Tutti giubilarono per
l'evento, tranne Carletto, il figlio dell'imperatore, che fu investito da una
cupa gelosia.
Quella sera Turpino tenne una messa solenne nella quale implorò il favore
celeste sopra i giovani cavalieri e benedì le armature che erano state preparate
per loro. Il duca Namo li provvide di speroni d'oro e lo stesso Carlo cinse loro
le spade. Ma quale fu la sua meraviglia quando prese quella di Uggeri. Infatti
la fata Morgana aveva sostituito la spada con un'altra e quando Carlo la trasse
dal fodero, tutti videro sull'acciaio scolpite queste parole:
IL MIO NOME È
CORTANA
E SONO DELLO STESSO ACCIAIO E TEMPERA
DI GIOIOSA E DURENDALA
Carlo Magno si avvide così che un potere superiore guidava i destini di
Uggeri. Fece voto solenne di amare quel giovane cavaliere come un padre potrebbe
amare il figlio ed Uggeri gli promise a sua volta la devozione che un figlio
deve al padre.
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CARAHUE DI MAURITANIA
opo
la sconfitta, le armate saracene erano tornate a barricarsi dentro le mura di
Roma, dove si leccavano le ferite. Carahue, re di Mauritania, che era uno dei
cavalieri abbattuti da Uggeri quando era corso a salvare Carlo Magno, non si
dava pace per essere stato messo così a malpartito da un cavaliere cristiano e
decise che l'avrebbe sfidato a duello.
Presa questa risoluzione, Carahue indossò vesti di araldo e andò nel campo dei
Franchi a portare il suo stesso messaggio. I cavalieri franchi si ritrovarono ad
ammirare il suo portamento e dissero tra loro che il nuovo arrivato sembrava più
un cavaliere che un ambasciatore.
Carahue iniziò elogiando il cavaliere che aveva portato l'orifiamma durante la
battaglia e concluse dicendo che Carahue, re di Mauritania, aveva così tanto
ammirato quel cavaliere da volerlo sfidare a singolar tenzone.
Uggeri fece per rispondere, ma fu interrotto da Carletto. ― O araldo, se è così,
andate a dire al vostro signore che la sua sfida non sarà raccolta da un
cavaliere, bensì da un vassallo che vive in condizioni di ostaggio!
Gli occhi di Uggeri fiammeggiarono di rabbia, ma si trattenne dal rispondere
poiché lo stesso re Carlo si fece avanti in sua vece: ― Silenzio, Carletto!
Uggeri non è più tra noi in qualità di ostaggio. Questo prode cavaliere mi ha
salvato la vita e mi è caro quanto te. Araldo! Di' al tuo padrone che mai un
paladino cristiano rifiuterà un combattimento a singolar tenzone. Uggeri di
Danimarca accetterà la sfida e io stesso sarò il suo garante!
Inchinandosi profondamente, Carahue replicò: ― Riporterò la vostra risposta al
mio signore, che ha per voi la più sincera ammirazione e con riluttanza
rivolgerà le sue armi contro di voi. ― E voltandosi verso Carletto, che non
sapeva essere il figlio dell'imperatore: ― Quanto a voi, cavaliere, se ardete
dal desiderio di combattere, potrete farlo contro Sadon, cugino del re di
Mauritania, che con grande piacere accogliera la sfida da qualsiasi cavaliere
franco gli faccia l'onore di un leale combattimento.
Carletto, ardente di rabbia per essere stato pubblicamente ripreso, accettò la
sfida. Carahue ricevette la sua risposta insieme a quella di Uggeri e fissò il
combattimento al giorno seguente.
Ma durante la notte, Carletto meditò un modo per sbarazzarsi di Uggeri. Riunì
alcuni cavalieri di indegna fama, fece loro indossare armature nere e li mandò a
nascondersi nel bosco che si trovava accanto al campo scelto per il
combattimento, con l'ordine di intervenire nel corso dello scontro e di
attaccare Uggeri e i due saraceni.
All'alba del giorno seguente, Sadon e Carahue si presentarono insieme al campo;
anche Carletto e Uggeri giunsero all'appuntamento, ma per vie diverse. Uggeri
salutò cortesemente i due saraceni e decise con loro i termini del duello. Nel
frattempo il perfido Carletto dava ai suoi uomini il segnale di attaccare.
Subito una schiera di armati uscì dal bosco e si gettò sui tre cavalieri. Tutti
e tre furono egualmente sospesi dall'attacco, ma nessuno di loro sospettò
l'altro di essere in qualche modo implicato nel tradimento. Vedendo che
l'attacco era diretto allo stesso modo su tutti e tre, unirono le loro forze per
difendersi e ben presto la maggior parte degli assalitori morse la polvere.
Cortana era una così perfetta spada che non colpiva mai un nemico senza che gli
infliggesse una ferita mortale, ma la spada di Carahue non era di ugual tempera
e si ruppe nelle sue mani. Nello stesso momento il cavallo del saraceno fu
ucciso e Carahue cadde al suolo disarmato. Uggeri corse a sua difesa, coprì
Carahue col proprio scudo, gli lanciò la spada di uno dei caduti e lo pregò di
salire sul suo stesso cavallo.
Allora Carletto, preso dalla rabbia, spronò il suo cavallo contro Uggeri, lo
gettò al suolo e lo avrebbe colpito con la lancia se Sadon non fosse intervenuto
e avesse abbattuto il principe. Carahue, che intanto era balzato sul cavallo di
Uggeri, esclamò: ― Mio coraggioso Uggeri, da oggi non potremmo più essere
nemici, voi ed io!
In quel mentre sopraggiunse una schiera di armati saraceni e Carletto e i suoi
uomini corsero a rifugiarsi nella foresta.
I saraceni erano comandati da Dannemont, il vecchio re pagano di Danimarca, che
il padre di Uggeri aveva spodestato e cacciato, il quale evidentemente era
andato a rifugiarsi tra i Saraceni. Riconoscendo Uggeri, lo dichiarò suo
prigioniero. E nonostante le proteste di Carahue e Sadon, lo arrestò e lo fece
portare sotto scorta armata dentro le mura di Roma.
Dannemont voleva che Uggeri fosse imprigionato, ma Carahue e Sadon insistevano
che fosse rilasciato. Fu così che Corsuble, l'emiro dei Saraceni, decise per una
soluzione intermedia e lasciò che Uggeri avesse piena libertà nel campo ma che
non lo lasciasse senza il suo permesso.
Ma Carahue non era soddisfatto di quella parziale concessione. Il mattino
successivo lasciò Roma, raggiunse il campo dei Franchi e chiese di vedere
l'imperatore. Condotto in suo presenza, si tolse l'elmo, sfoderò la spada e la
presentò all'imperatore per l'elsa, inginocchiandosi davanti a lui.
― Illustre sovrano, è davanti a te l'araldo che venne a sfidare i tuoi
cavalieri per conto di Carahue re di Mauritania. Re Dannemont ha fatto
prigioniero il coraggioso Uggeri. E dunque io faccio ammenda per questa
ingenerosa condotta consegnando me stesso, Carahue re di Mauritania, quale
vostro prigioniero.
Carlo Magno non poté non ammirare la magnanimità di Carahue. Lo fece alzare, lo
abbracciò e gli restituì la sua spada. ― Signore, la tua presenza mi consola per
la perdita di Uggeri. Volesse Iddio che tu appartenessi alla nostra fede e
stessi dalla nostra parte!
Tutti i signori della corte, guidati dal duca Namo, portarono i loro rispetti al
re di Mauritania. Solo Carletto mancò di mostrarsi, temendo di essere additato
come traditore. Ma il cuore di Carahue era troppo nobile ed eletto per ferire
quello dell'imperatore raccontandogli del tradimento di suo figlio.
Nei giorni che seguirono, Carlo Magno pose l'assedio a Roma e alla fine i
Saraceni si trovarono nelle condizioni di dover abbandonare la città. Una tregua
fu fatta. Uggeri venne restituito ai cristiani in cambio di Carahue e i due
amici si abbracciarono rinnovando i loro voti di fratellanza e di amicizia.
Così il papa ritornò nei suoi domini e l'Italia fu pacificata. L'esercito di
Carlo Magno ritornò in Francia, dove Uggeri fu ben lieto di apprendere che nel
frattempo la sua sposa Belissena aveva dato alla luce un figlio, Baudinetto.
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Tre hjarter og tre løner |
La più antica rappresentazione della bandiera danese,
o Danebrog, che qui vediamo, risale alla fine del XIV secolo: la
squadratura in terzi richiama le proporzioni delle figure araldiche. Lo stemma è
quello di re Valdemaro. I tre leoni si apprestano a diventare uno dei simboli
della Danimarca. I tre cuori compariranno più tardi. |
UGGERI RITORNA IN DANIMARCA
arlo Magno non aveva dimenticato l'offesa ricevuta da parte di Goffredo, re di
Danimarca, che aveva rifiutato di rendergli il dovuto omaggio e intanto
preparava una spedizione al fine di ricondurre all'obbedienza quell'insolente.
Ma proprio in quel momento giunse ad Aquisgrana un'ambasciata da parte dello
stesso Goffredo, che chiedeva aiuto contro un esercito invasore che aveva
attaccato il paese.
Carlo Magno pensò che si trattava di una buona opportunità per saggiare il
carattere di Uggeri. Non dimentichiamo infatti che Goffredo aveva lasciato per
molti anni il figlio come ostaggio, senza dar notizie di sé, e questo
comportamento assai poco gentile aveva ferito il cuore del giovane. Così
l'imperatore chiese a Uggeri se fosse disposto ad andare in aiuto del padre, a
dispetto della scarsa considerazione che questi aveva avuto nei suoi confronti.
Uggeri replicò: ― Non ha scuse un figlio che trascura dall'aiutare il padre nel
momento del bisogno.
E così Uggeri tornò in Danimarca alla testa di un'armata di mille uomini, ma
tanto bastò perché sbaragliasse gli invasori e li ricacciasse via. Uggeri
raggiunse poi la capitale, ma non appena vi giunse udì le campane che suonavano
a martello, perché re Goffredo era morto. Uggeri sentì un grande dolore al
pensiero di non poter abbracciare il padre nemmeno una volta o di ascoltare le
sue ultime volontà. Scoprì tuttavia che Goffredo aveva destinato proprio lui per
succedergli sul trono di Danimarca. Dopo aver visitato la salma del re, Uggeri
salutò rispettosamente la matrigna e abbracciando il fratellastro Guion gli
disse che lui era più felice di trovarsi tra i paladini di Carlo Magno che sul
trono di Danimarca, e lasciò a lui la corona e il titolo.
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UGGERI PALADINO DI RE CARLO
ornato
in Francia, Uggeri fu accolto con tutti gli onori dalla corte di Carlo Magno, e
lo stesso imperatore, colpito dalla sua lealtà, lo prese tra i suoi pari.
Uggeri divenne così uno dei paladini più rispettati e ammirati. Era forte in
battaglia, cortese tra gli uomini, nobile d'aspetto. Impugnando la spada Cortana
nella destra, e nella sinistra uno scudo su cui spiccava l'insegna danese, tre
cuori e tre leoni, in groppa al suo cavallo Broiefort, Uggeri fu accanto
all'imperatore in molte imprese e si guadagnò la sua stima e il suo rispetto.
Andò in Spagna al seguito di Carlo Magno e lì l'esercito franco combatté per
sette lunghi anni. Al rientro in Francia, fu Uggeri a guidare attraverso i
Pirenei l'avanguardia dell'esercito franco, mentre la retroguardia fu affidata a
Rolando, che, come tutti sappiamo, cadde valorosamente a Roncisvalle insieme a
Oliviero e ad altri prodi.
Dopo quella pesante sconfitta, il nobile animo di Carlo Magno cominciò a
declinare e sempre più spesso si vide l'imperatore prendere decisione
arbitrarie, ispirate più dal risentimento che dalla giustizia. Molti fedeli
cavalieri vennero trattati ingiustamente e ruppero con lui. Molti anni vennero
spesi per riappacificare i vassalli ribelli. Anche Uggeri a un certo punto si
ribellò all'imperatore, e ora narreremo come.
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RIBELLIONE DI UGGERI
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Holger Danske |
Scultura di H.P. Pedersen-Dan (1907) |
Questa maestosa statua di Uggeri il Danese si trova nei sotterranei del castello
di Krønborg, ad Helsingør, in Danimarca. |
Når mænd jeg kasted min handske
opslog jeg min ridderhjelm
de så jeg var Holger Danske
og ingen formummer skjælm. |
l figlio di Uggeri e Belissena, Baudinetto, aveva ereditato il valore del padre
e la bellezza della madre. Un giorno il Danese lo portò a corte e lo presentò a
Carlo Magno, che l'abbracciò e lo prese al suo servizio. Pareva al duca Namo e
agli altri cavalieri che Baudinetto fosse la copia sputata di Uggeri da ragazzo
e anche per questo lo trattavano con tutti i riguardi.
Baudinetto era molto premuroso nei confronti di Carletto, e poiché il
principe amava giocare a scacchi, il ragazzo si offriva di giocare con lui. Ora
Baudinetto era un buon giocatore e un giorno Carletto, irritato per aver perso
due pezzi uno di seguito all'altro, credette di rifarsi mangiando a sua volta un
pezzo di Baudinetto. Ma non si avvide di essere caduto in un tranello.
Baudinetto mosse a sua volta e dichiarò: ― Mio buon principe, scacco matto!
Infuriatosi, Carletto afferrò la scacchiera a due mani e la calò con tutta la
sua forza sul capo di Baudinetto. Il ragazzo cadde morto a terra. A questo punto
Carletto si rese conto di averla fatta grossa. Temendo la vendetta di Uggeri,
l'infame principe cercò un posto dove nascondersi, ma, sapendo che non sarebbe
stato al sicuro da nessuno parte, corse nella sala dei banchetti, dove
l'imperatore era a tavola con i suoi pari e si sedette tra Namo di Baviera e
Salomone di Britannia.
Un compagno di Baudinetto corse a informare Uggeri del crimine; subito
accorse il Danese e trovò il corpo del figlio steso in un lago di sangue.
Furibondo, Uggeri piombò nella sala del banchetto con la spada sguainata e
spinse via un coppiere con tanta brutalità che il contenuto della coppa finì in
faccia all'imperatore. Carlo Magno balzò in piedi oltraggiato e chiamò le
guardie perché arrestassero il Danese. Allora Namo afferrò Uggeri e lo trascinò
fuori dalla sala e fece in modo che montasse a cavallo e lasciasse il palazzo,
scortato da tutti quelli che gli erano fedeli.
Carlo Magno chiamò a raccolta i suoi uomini e fece loro promettere che
avrebbero fatto tutto ciò che era in loro potere per arrestare Uggeri. In quel
momento gli arrivò un messaggio da parte di Uggeri: il Danese si offriva di
consegnarsi spontaneamente all'imperatore, a condizione però che Carletto fosse
punito per il suo crimine. Ma Carlo Magno era troppo tenero col suo indegno
figlio per punirlo come avrebbe meritato e allo stesso tempo era troppo furioso
nei confronti di un vassallo che l'aveva tanto profondamente ingiuriato. Così
non accettò alcuna condizione e andò personalmente all'inseguimento di Uggeri
alla testa di un drappello di soldati. Vi fu uno scontro tra il gruppo di Uggeri
e quello comandato da re Carlo e morirono molti prodi cavalieri, tra cui il
figlio di Namo, Bertrando.
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L'ASSEDIO DI CASTELFORTE
esolato
per la morte di tanti bravi cavalieri, Uggeri si rifugiò in Lombardia, presso
Desiderio, re dei Longobardi. Ma Carlo Magno, deciso a non lasciarselo sfuggire,
scese lui stesso in Lombardia attraverso il San Bernardo. L'esercito franco e
quello longobardo si scontrarono nella Pianura Padana. Uggeri riprese la fuga e
Carlo lo inseguì ancora attraverso gli Appennini, seguendo la Via Romana fino in
Toscana. Uggeri infine si rifugiò nel fortilizio di Castel Forte, dove Carlo lo
strinse d'assedio col suo esercito.
Uggeri era solo: neppure uno scudiero gli era rimasto a fianco. Eppure
resistette all'assedio per sette lunghi anni. Unico difensore della rocca, il
Danese aveva fabbricato uomini di legno, che aveva collocato dietro i merli per
ingannare i nemici circa l'entità della guarnigione.
I sette anni trascorsero in maniera davvero squallida e alla fine Uggeri
decise che doveva tentare la fuga. Riuscì a liberare un passaggio sotterraneo e
così poté abbandonare il castello. Giunto all'esterno, il Danese trovò ad
aspettarlo il suo cavallo Broiefort: il fiero animale l'aveva aspettato per
tutti quegli anni anni e nel rivedere il suo padrone pianse lacrime di gioia.
L'indomani, quando fu sorto il giorno, Carlo ordinò l'assalto alla
piazzaforte ed essa capitolò con inaspettata facilità. Ma con gran scorno
dell'imperatore, Uggeri non si trovava più lì. Carlo dovette tornare in Francia,
irato e amareggiato.
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CATTURA E PRIGIONIA DI UGGERI
(E DEL SUO CAVALLO)
ipresa
la fuga, Uggeri passò l'Arno e seguendo il malagevole tracciato della Via
Romana, giunse nella verde e amena valle dell'Elsa. C'era una sorgente e Uggeri
si dissetò. Quindi tolse la sella a Broiefort, si sfilò elmo e armatura, si
stese al suolo e si addormentò.
In quel mentre sopraggiunse l'arcivescovo Turpino, che tornava al suo seggio
episcopale a Reims. L'arcivescovo si avvicinò a quel cavaliere addormentato e
non poté fare a meno di riconoscere Uggeri.
Il primo impulso del generoso Turpino fu di salvare la vita al Danese, ma i
cavalieri al suo seguito l'avevano parimenti riconosciuto e ricordarono a
Turpino il giuramento che Carlo Magno aveva fatto fare a tutti loro. Turpino non
poteva trasgredire il voto ed a malincuore permise che i suoi uomini
catturassero il cavaliere. Intanto ordinò ai suoi attendenti di mettere al
sicuro il cavallo e le armi di Uggeri. Fatto questo, mandò un messaggero a Carlo
Magno, con una lettera sigillata dove gli diceva che il suo nemico era stato
catturato.
Carlo Magno ordinò che il prigioniero fosse messo immediatamente a morte. Ma
Turpino, spalleggiato da Namo e Salomone, tanto implorò che alla fine
l'imperatore acconsentì a risparmiagli la vita, ma ordinò che Uggeri fosse
incatenato alle porte della città e ordinò di dargli da mangiare solo un quarto
di una pagnotta e un quarto di una coppa di vino al giorno. Così Carlo Magno
sperava che il Danese finisse col morire d'inedia, senza con questo attirarsi
l'inimicizia dei suoi molti sostenitori. E pretese da Turpino il giuramento
solenne di attenersi a tali disposizioni.
Il buon arcivescovo, tuttavia, non poteva certo lasciar morire il Danese. E
per non contravvenire al giuramento, ogni giorno faceva infornare un'enorme
pagnotta fatta con due sacchi interi di farina, un quarto della quale la portava
a Uggeri, insieme a una coppa grande quanto un secchio ripiena di vino per un
quarto. In tal modo trascorsero molti mesi e Uggeri continuava a sopravvivere.
Carlo Magno interrogò Turpino chiedendogli se davvero si fosse attenuto ai suoi
ordini e Turpino non ebbe difficoltà a rispondere che a Uggeri non venivano date
razioni superiori a quelle permesse.
In quanto a Broiefort, il fedele cavallo di Uggeri venne dato all'abate di
Saint Faron, che lo aveva richiesto all'imperatore con insistenza. Ma Broiefort
non accettava di essere cavalcato da altri che dal suo padrone e disarcionò
malamente l'abate non appena questi provò a salirgli in groppa. Irritato,
l'abate consegnò il cavallo agli operaî che lavoravano vicino all'abbazia, i
quali lo adibirono a trascinare grosse pietre su per la montagna.
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LIBERAZIONE DI UGGERI
ue
anni più tardi, mentre l'imperatore Carlo Magno si trovava in Laon, arrivarono
notizie sconfortanti. Bréhier, sultano d'Arabia, era sbarcato in Guascogna alla
testa di quattrocentomila armati, aveva preso Bordeaux e marciava velocemente
verso Parigi. Bréhier era uno smisurato gigante, alto diciassette piedi, di
enorme forza fisica. Ogni giorno mandava un messaggero a re Carlo, chiedendogli
di armare un campione e di mandarlo a combattere contro di lui: se quest'ultimo
fosse riuscito a vincerlo con la lama d'acciaio, i pagani se ne sarebbero
andati.
Allora re Carlo convocò i suoi cavalieri per mezzo di lettere sigillate.
Duecento e ottanta tra i più grandi campioni cristiani presero le armi e
rivestirono il giaco, andando a combattere contro il gigante. Bréhier li fece
tutti a pezzi.
A questo punto si rese necessario chiedere l'aiuto di Uggeri, e Namo,
Salomone e Turpino insistettero presso l'imperatore. Carlo era un po' perplesso,
anche perché era convinto che Uggeri fosse debilitato dalla prigionia, ma infine
anche lui si rese conto che nessun altro era in grado di combattere contro
Bréhier.
Andarono a togliere i ceppi a Uggeri. Quando il Danese fu portato alla
presenza dell'imperatore, Carlo gli disse che se avesse accettato di scontrarsi
con Bréhier e l'avesse vinto, gli avrebbe restituito tutte le sue terre. Ma
Uggeri rifiutò, opponendo all'imperatore una diversa condizione. Pretese che gli
venisse consegnato Carletto, in modo che egli potesse vendicare la morte di suo
figlio. Invano Carlo Magno si umiliò di fronte a Uggeri, ma non ci fu verso di
scuotere il Danese dal suo proposito: non gl'interessavano né la gloria né la
ricchezza, ma solo che Carletto espiasse il suo delitto. La richiesta era dura,
ma il pericolo reale, e pressato dai suoi baroni e cavalieri, re Carlo
acconsentì.
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SCONTRO CON BRÉHIER
ggeri
chiese la sua armatura e gliela diedero. Era in eccellenti condizioni, perché
l'arcivescovo Turpino non aveva permesso che si arrugginisse. Uggeri chiese poi
un cavallo e a questo punto ci furono delle difficoltà. Pochi cavalli erano in
grado di sorreggere il peso del Danese. Con grande imbarazzo, Turpino si ricordò
che l'imperatore aveva regalato Broiefort all'abate di Saint Faron e mandarono
velocemente un corriere per richiederlo indietro.
Ma quale fu la loro sorpresa, quando riportarono a palazzo il povero
Broiefort! Dopo il trattamento che gli avevano riservato, quello che era stato
il fiero cavallo di Uggeri era adesso smagrito e avvilito, teneva la testa bassa
e quasi non si reggeva in piedi. Ma Uggeri lo chiamò e Broiefort rizzò il capo e
gli occhi gli fiammeggiarono; Uggeri lo accarezzò e Broiefort ritrovò il suo
spirito; Uggeri lo montò e Broiefort riebbe d'incanto tutto il suo vigore.
Il giorno successivo, il Danese, accompagnato da Namo e Salomone in qualità
di secondi, giunse al luogo stabilito per il duello; dall'altro lato del campo
attendeva il gigante, Bréhier, in groppa al suo cavallo, Marchevallée, le cui
dimensioni erano paragonabili a quelle di un elefante.
Dopo essersi salutati come si conviene, i due avversari presero le lance e si
lanciarono al galoppo l'uno contro l'altro. Nell'impatto, le lance si
fracassarono, ma nello stesso istante Uggeri aveva tratto Cortana dal fodero per
colpire. Altrettanto fulmineo, Bréhier parò il colpo con lo scudo e un altro
colpo gli restituì, colpendo Uggeri sull'elmo. Ma Uggeri colpì ancora una volta
e Cortana spaccò l'elmo di Bréhier, tagliandogli un orecchio e parte della
guancia. Poi i due cavallifurono lontani l'uno dall'altro.
Bréhier allora prese un vasetto d'oro che teneva appeso al pomo della sella,
prese con la punta del dito un po' del balsamo che conteneva e lo spalmò sulla
ferita. D'incanto il sangue si fermò, le ferite si sanarono, l'orecchio si
riattaccò. Poi Bréhier fissò l'allibito Uggeri e rise. - Come vedi, giovanotto,
io posseggo il prezioso balsamo che Giuseppe d'Arimatea usò sul corpo del
Crocifisso che tu veneri tanto. Se io perdessi una mano, potrei riaverla con
poche gocce di questa roba! È inutile combattere contro di me. Arrenditi,
dunque! Se sei forte e robusto come sembri, potrei anche risparmiarti la vita e
fare di te il primo rematore in una delle mie galere!
Mormorò Uggeri tra sé: ― Signore, perché proprio colui che Ti è nemico può
avvantaggiarsi del potere miracoloso del Tuo sangue?
E si scagliò ancora una volta contro Bréhier. Entrambi si cambiarono colpi
terribili, ma mentre il sangue scorreva copioso dalle ferite di Uggeri, Bréhier
risanava istantaneamente le sue col prodigioso balsamo. Uggeri, disperato per
l'iniquità di quel duello, afferrò Cortana con entrambe le mani e si lanciò di
nuovo all'attacco. Bréhier, ridendo, fece altrettanto. Con un poderoso fendente,
Uggeri spaccò lo scudo all'avversario e gli tranciò una mano;
contemporaneamente, Bréhier gli rispose con un altro fendente, che mancò Uggeri
per un soffio ma colpì il suo cavallo dietro la testa. Il fiero Broiefort crollò
al suolo, trascinando con sé il suo padrone.
Bréhier ebbe tutto il tempo di scendere di sella, riprendere la sua mano
tranciata e applicare il balsamo, e prima che Uggeri fosse riuscito a rimettersi
in piedi, tornò indietro deciso a finirlo. Ma Uggeri si disimpegnò prontamente e
attaccò Bréhier con tanto impeto che gli riuscì a portarlo lontano dal suo
cavallo e quindi dal prezioso vasetto che teneva appeso al pomo della sella. A
questo punto colpì l'avversario alle ginocchia, facendolo crollare al suolo, gli
strappò via l'elmo e con un fendente gli tagliò via la testa.
Ormai vincitore, Uggeri raggiunse Marchevallée, s'impossessò del vasetto e
con poche gocce del miracoloso balsamo ristorò sé stesso e guarì le sue ferite.
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Curtana, Sword of Mercy |
Questa spada, chiamata Curtana, fu fatta forgiare da re Carlo II d'Inghilterra
nel 1661 e da allora viene custodita nella panoplia dei gioielli della Corona. È
con questa spada che vengono ancora oggi incoronati i re e le regine
d'Inghilterra. |
La Curtana inglese è spezzata, evidente riferimento alla spada di Uggeri, che si
spezzò un attimo prima che l'eroe la calasse sul collo del perfido Carletto. E
dalla voce angelica che disse a Uggeri che la pietà è preferibile alla vendetta,
deriva l'epiteto con cui la spada inglese è pure conosciuta: Sword of Mercy
«Spada di Pietà». |
In effetti il nome della spada di Uggeri, Cortana, è proprio riferito al fatto
che la lama era insolitamente corta, essendosi spezzata. Questa è anche la
ragione per cui i cantari italiani conoscono l'eroe col nome di Uggeri
Spatacurta. |
VENDETTA DI UGGERI
l
vittorioso Uggeri tornò allora da Carlo Magno e gli rammentò la sua parte del
patto. Con la morte nel cuore, l'imperatore andò a prendere Carletto e lo
consegnò a Uggeri.
― Ecco mio figlio. Fa' di lui quello che vuoi.
Uggeri, senza repliche, agguantò Carletto per i capelli, lo costrinse a
inginocchiarsi e snudò la spada. Re Carlo piangeva lacrime amare, vedendo già la
testa del figlio rotolare per terra. Uggeri sollevò la spada e stava quasi per
vibrare il colpo fatale, quando vi fu un lampo accecante. La spada che Uggeri
reggeva alta sopra il suo capo si spezzò e metà lama si conficcò nel suolo ai
suoi piedi. Allo stesso tempo una voce angelica bisbigliò alle orecchie del
Danese: ― La pietà è sempre preferibile alla vendetta.
Uggeri parve come risvegliarsi da un sogno. Abbassò il troncone della sua spada
e tagliò a Carletto il ciuffo dei capelli, quindi gettò il principe vivo e
incredulo tra le braccia dell'imperatore. Poi raccolse i due pezzi della spada e
si allontanò.
Il lettore sarà comunque lieto di sapere che il vile Carletto non visse a lungo:
in seguito fece un grave torto a un altro grande paladino, Ugone il Bordolese,
il quale non fu così cavalleresco come Uggeri e gli diede ciò che si meritava.
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UGGERI IN ORIENTE
arlo
Magno si riconciliò con Uggeri, a cui riconsegnò tutte le sue terre, ma il
Danese non tornò più alla corte dei Franchi, nonostante Namo e Turpino e
Salomone lo invitassero più volte, e preferì condurre la vita del cavaliere
errante.
Come le fate avevano profetizzato, nel corso della sua lunga vita a Uggeri non
vennero mai a mancare né la gloria delle armi né l'amore delle dame. Sarebbe
troppo lungo narrare le sue molte avventure. Dopo la morte di Belissena, Uggeri
conquistò la mano della principessa Clarissa d'Inghilterra e fu proclamato re di
quel paese. Ma dopo alcuni anni, stanco di regnare, partì per l'Oriente, dove
assediò Acre, Babilonia d'Egitto e Gerusalemme. Dopo aver visitato il Santo
Sepolcro in Terrasanta, proseguì il viaggio, visitò paesi lontani e combatté
molte battaglie. Vide il corpo di San Tommaso in India, arrivò a Giava e nel
Catai, e si dice persino che avesse fondato in oriente quel regno cristiano che
sarebbe stato poi conosciuto come Regno del Prete Gianni. Si stabilì infine da
qualche parte nel Levante, costruì per sé uno splendido palazzo e lì rimase fino
alla tarda vecchiaia.
Le profezie di tutte le fate si erano ormai avverate, tranne quella di Morgana.
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SI COMPIE LA PROFEZIA DI MORGANA
ggeri
aveva ormai cento anni quando sentì il desiderio di tornare in Francia. Lasciò
il suo palazzo durante la notte e partì con un vascello che egli stesso aveva
fatto costruire. Il vascello navigò dapprima sospinto da un vento favorevole, ma
a un certo punto fu deviato da una forza misteriosa. Vi era in quel tratto di
mare il miracoloso scoglio di Magnete, che aveva la magica virtù di attirare le
navi a sé per non lasciarle più andare. Così accadde per la nave di Uggeri. Lo
scoglio era deserto e desolato e tutto l'equipaggio morì di fame. Rimasto solo,
il vecchio Uggeri era ormai convinto di essere giunto alla fine, quando, d'un
tratto, sollevando lo sguardo, un velo magico cadde dai suoi occhi.
Dove un attimo prima non c'erano state che rocce e sassi, adesso si ergeva un
meraviglioso castello. Giunto dinanzi a quelle magnifiche porte, Uggeri si trovò
dinanzi due leoni, ma quelli nel vederlo si fecero miti e mansueti. Uggeri entrò
e trovò una tavola imbandita, a cui attendeva, come unico solitario ospite, un
enorme cavallo nero che emetteva fiamme dalle narici. Il suo nome era Papillon
ed era stato, in origine, un essere umano. Vittima di un incantesimo, era stato
condannato a mantenere una forma animale per trecento anni, dopodiché avrebbe
finalmente recuperato quella umana.
Il cavallo fece ad Uggeri le veci di servitore e dopo cena gli fece segno di
montargli in groppa. Uggeri ubbidì e Papillon lo condusse in una camera suntuosa
nella quale egli passò la notte.
Il mattino successivo, gironzolando per il castello, il vecchio cavaliere scoprì
un giardino paradisiaco. Qui gli venne incontro la dama più bella che avesse mai
visto, tutta avvolta di candore e di luce. Uggeri la scambiò per la Vergine
Maria, ma lei gli svelò invece di essere la fata Morgana, colei che l'aveva
destinato ad essere suo amante nel giorno stesso della sua nascita.
― Mio caro, adesso vi trovate nel regno di Faerie, i cui abitanti conducono
sempre una vita gioiosa, intenti solo a gustare i piaceri della vita. Tra poco
vi porterò ad Avalon, il più bel castello del mondo, quali non ve ne sono di
pari nemmeno nel paradiso terrestre. Io vi condurrò là, dove voi vedrete la più
grande nobiltà che sia mai esistita e vi occuperete nel distrarre le dame, e me
per prima, che al momento del vostro battesimo vi baciai sulla bocca e subito vi
considerai il mio leale amante, anche se di questo, in seguito, voi non avete
avuto alcun ricordo, cosa di cui non fui certo felice.
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UGGERI AD AVALON
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Morgan le fée |
Dipinto di Anthony Frederick Augustus Sandys (1832-1904) |
n
Avalon si trovava re Artù, un tempo re dei Bretoni e ora re di Faerie, e tutti i
suoi cavalieri. Si trovavano anche Oberon re delle fate e Malabron re dei
folletti. Erano vestiti di abiti candidi e portavano sul capo corone di fiori.
Il vecchio cavaliere venne condotto alla loro presenza, dove fu accolto con
tutti gli onori. Lo fecero bere alle sorgenti della giovinezza e la vecchiaia
gli cadde di dosso come un vecchio mantello e Uggeri tornò di nuovo giovane e
prestante. Poi una corona di fiori fu posta anche sul suo capo e istantaneamente
Uggeri perse la memoria: le sue battaglie, la sua gloria, la corte di Carlo
Magno, suo padre, sua moglie, suo figlio, gli anni dell'esilio, i viaggi e il
tempo che aveva trascorso in Terrasanta: tutto venne dimenticato. Quella corona
aveva la virtù di far venir meno in chi la portava ogni legame con il mondo
degli uomini.
Uggeri rimase così nel regno di Faerie e il tempo corse così rapido e leggero
che non ne ebbe neppure percezione. Morgana lo prese come suo sposo e da lei il
Danese ebbe un figlio chiamato Meurvin.
Poi un giorno Morgana tolse la corona dalla testa di Uggeri, e il Danese, come
uscendo da un sogno, si sentì improvvisamente fuori posto, lì nell'isola di
Avalon, e chiese di poter tornare in Francia.
Morgana gli chiese allora: ― Perché mai volete tornare in Francia? Sapete bene
che laggiù non c'è più nessuno che conoscete. Per quanto tempo pensate di essere
rimasto in questo luogo?
― Non può essere molto tempo ― rispose Uggeri. ― Saranno forse vent'anni.
― Vi ingannate, amico ― gli disse Morgana. ― Sono più di duecento anni.
Poi Morgana riprese: ― Tuttavia, Dio vuole che voi torniate, perché la
Cristianità ha ancora bisogno di voi. I Saraceni hanno ripreso coraggio e hanno
invaso di nuovo la dolce terra di Francia. Il mio cuore piange dal pensiero di
vedervi partire, nondimeno è necessario. Ecco, prendete questo anello. Finché lo
porterete al dito, la vostra giovinezza non vi verrà meno. Toglietelo e avrete
di colpo tutti i vostri anni. Nessun altro potrà conoscere questo segreto se non
da voi. Non svelatelo ad alcuno e sarete tranquillo. Se agirete diversamente,
abbrevierete di un colpo la vostra vita.
Indossata un'armatura, Uggeri montò su Papillon, il quale con un balzo lo portò
fuori dal regno di Faerie, cavalcò attraverso la schiuma del mare e d'un tratto
giunse sulla spiaggia della Linguadoca.
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IL RITORNO DEL DANESE, DUECENTO ANNI DOPO
icomparso
in un mondo a lui estraneo, Uggeri passò rapidamente di sorpresa in sorpresa. I
posti che vide non avevano più i contorni familiari che lui ricordava. Il Danese
ebbe addirittura difficoltà a capire il linguaggio della gente che ora parlava
un dialetto romanzo e non la consueta parlata germanica dei Franchi.
Giunto nella sua dimora di Montpellier, Uggeri chiese se il castellano suo
parente fosse ancora vivo. Al che tutti si guardarono l'un l'altro, stupiti, e
gli risposero che quel tale era morto da due secoli. Poi qualcuno notò che il
nuovo arrivato rassomigliava al ritratto del loro antenato, Uggeri il Danese.
― Sono io Uggeri il Danese! ― esclamò Uggeri. E tutti risero di lui e
cercarono di cacciarlo. Ne sortì una zuffa e dovettero chiamare l'abate di Saint
Faron per ristabilire la pace. Questi chiese a Uggeri, se mai fosse davvero lui,
a causa di quale prodigio fosse tornato in Francia dopo due secoli. Per non
tradire il segreto, Uggeri s'inventò che, durante un viaggio in Terrasanta,
navigando lungo il Giordano era capitato nel Paradiso Terrestre e che qui aveva
avuto la fortuna di fare un bagno nella Fontana della Giovinezza.
Allora condussero Uggeri dal re che allora regnava in Francia, Ugo Capeto. Il
coraggioso Uggeri entrò nella sala del trono senza esitare, ma rimase perplesso
nel trovarsi di fronte un ometto basso e dalla testa grossa, dall'aspetto che
non era né nobile né marziale, seduto su un trono troppo grande con lui. Uggeri
raccontò le sue gesta e spiegò dettagliatamente ogni particolare della sua vita,
tanto che alla fine tutti furono costretti a riconoscerlo come il famoso Uggeri
il Danese.
Dopodiché Uggeri fu condotto al cospetto della regina. Uggeri fu stupito nel
notare la moda di quest'epoca, con quegli alti cappelli ornati e i lunghi veli
che davano alle signore un aspetto così delicato. La regina era una donna
giovane e bella, piena di grazia e di regalità, dai modi cortesi e incantevoli.
Uggeri la salutò con rispetto e ammirazione: i suoi modi erano così antiquati
che tutti ne furono meravigliati. E quando la regina fu informata che l'uomo che
aveva di fronte era Uggeri il Danese, di cui parlavano le cronache
dell'antichità, non seppe se crederci o no. Così gli fece molte domande riguardo
l'epoca di Carlo Magno e ricevette da Uggeri risposte così precise e appropriate
che anch'essa non ebbe più alcun dubbio.
Ugo Capeto informò Uggeri degli eventi seguiti alla sua scomparsa. Gli disse che
la linea di Carlo Magno si era estinta, che una nuova dinastia sedeva sul trono
di Francia, che i Saraceni si erano ripresentati di nuovo e che una nuova armata
di pagani era arrivata alle mura di Chârtres. Uggeri offrì i suoi servigi e il
re accettò.
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UGGERI ALLA CORTE DI UGO CAPETO
ggeri
il Danese risolse la faccenda dei Saraceni con rapidità ed efficenza. D'altra
parte bisogna dire che nella nuova epoca non esistevano più eroi della levatura
degli antichi paladini. Rolando, Oliviero, Rinaldo, Ugone e Guglielmo
appartenevano a un passato che si apprestava a diventare leggenda. Stando così
le cose, bastava la semplice vista di Uggeri, in groppa a Papillon e con la
spada Cortana in pugno, a scoraggiare intere armate nemiche.
Fu così che il Danese tornò vittorioso a Parigi e ricevette ogni onore e gloria
possibile. La regina era sempre più infatuata di lui e quella notte andò a
trovarlo nelle sue stanze. Dopo le consuete schermaglie amorose, la regina
cominciò a fare ad Uggeri molte domande, e lui, senza curarsi del giuramento che
aveva prestato a Morgana, le narrò ogni cosa sul suo soggiorno in Faerie,
persino dell'anello avuto da Morgana. Allora la regina gli tolse per gioco
l'anello e dinanzi a lei il prestante Uggeri si trasformò di colpo in un vecchio
di trecento anni. La regina terrorizzata si affrettò a restituire l'anello ad
Uggeri, che tornò immediatamente giovane, e gli raccomandò di custodirlo
gelosamente. — State attento, amico mio, non perdete il vostro anello, che lì
sono la morte e la vita.
Ma la scena non era sfuggita all'anziana dama Senlis, a cui il miracoloso anello
suscitò interesse e cupidigia. La donna architettò un piano per impadronirsene e
mandò un gruppo di sicari armati perché tendessero un agguato a Uggeri. Il
Danese, colto alle spalle quando meno se l'aspettava, stava quasi per
soccombere. A salvarlo ci pensò Papillon, che intervenne furibondo e mise in
fuga gli assalitori a colpi di zoccoli e morsi.
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UGGERI SCOMPARE DI NUOVO
isgustato
dal mondo moderno, che gli sembrava assai inferiore di quanto fosse stata
l'epoca di Carlo Magno, Uggeri si fece monaco a San Faron. Qui si sbarazzò
dell'anello e riprese di nuovo la sua veneranda età. Ormai niente più lo legava
a Faerie e la morte sarebbe dovuto giungere presto.
Ma questa non era la volontà di Morgana, che avvolse l'eroe con una nuvola
magica e lo rapì, riconducendolo diritto in Faerie. Si dice che l'abate di San
Faron abbia trovato nella sua cella una lettera con su scritto:
Io, Morgana, faccio sapere a tutti che colui che è chiamato Uggeri il
Danese è accanto a me, per volere di Dio, forte, agile, felice e giovane ed ha
trent'anni. In letizia egli vive e con animo giusto e così sarà fin tanto che
piacerà a Dio e fino a che egli verrà ancora una volta a risollevare e
soccorrere la cristianità.
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Krønborg Slot |
Il castello di Krønborg ad Helsingør (Danimarca) è generalmente (ed
erroneamente) associato alla storia di Amleto. Tuttavia si ritiene che proprio
qui riposi Uggeri il Danese. Nei suoi sotterranei, i turisti fanno la fila per
visitare la statua dell'eroe. |
UGGERI,
EROE NAZIONALE DANESE
danesi narrano tuttavia che Uggeri ritornò un'altra volta da Avalon, intorno al
1420. Egli giunse ad Helsingør, in Danimarca e si recò nel castello di Krønborg.
Lì si sedette e si addormentò.
Ancora oggi Uggeri dorme. Dicono i danesi, che se un giorno la Danimarca dovesse
trovarsi in pericolo, allora Uggeri si sveglierà e tornerà per salvarla.
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NOTE
Uggeri il Danese: il personaggio storico
La fama di Uggeri il Danese è legata a una serie vastissima di poemi epici,
racconti e romanzi scritti tra l'XI e il XVI secolo, che lo vedono quale
protagonista di straordinarie imprese e battaglie, vassallo fedele e poi
ribelle, viaggiatore instancabile, signore del regno delle fate. Si crede
tuttavia che, alla base di questo poliedrico eroe della leggenda medievale, vi
sia un personaggio storico. Andare a ricercarne il nome nei più antichi
documenti di epoca carolingia può essere fonte di interessanti scoperte.
Prima di tutto l'etimologia. Il nome dell'eroe, conosciuto in molte forme in
tutte le lingue europee, è effettivamente di origine scandinava, dando credito
alla sua tradizionale provenienza danica. Deriva infatti dall'antico norreno
Holmgeirr «lancia acuminata», da cui l'odierno nome danese Holger.
Dalle diverse forme latine presenti nei documenti, che si muovono da
Autkarius ad
Othgerius, è derivato Oggerius, da cui il francese
Ogier e l'italiano Oggeri/Uggeri.
Tra le più antiche fonti che paiono citare l'eroe, vi sono gli anecdota
carolingi del
De gestis Caroli Magni del monaco di San
Gallo (884-887), dove si narra della ribellione di un certo Otkerus, fuggito
dalla corte di Carlo Magno e rifugiatosi a Pavia, presso Desiderio re dei
Longobardi. Qui giunto, Otkerus sarebbe morto di sgomento nel vedere il
terribile esercito di re Carlo arrivare dalla valle del Po per prendere la
città. Assai più circostanziato, il Liber Pontificalis,
un testo ben presente in tutte le biblioteche scolastiche medievali, dove
Autkarius è un vassallo di Carlomanno; questi si era fatto difensore della
vedova e dei figli di Carlomanno, che egli riteneva i legittimi eredi del regno
e perciò considerava Carlo Magno un usurpatore. A causa di tali dissensi, nel
772 era stato costretto a rifugiarsi a Pavia presso Desiderio, al fianco del
quale aveva combattuto contro il re dei Franchi. Solo dopo molti duri scontri,
Autkarius si era sottomesso a Carlo Magno.
In tutti questi testi abbiamo dunque l'immagine di un eroe ribelle, dapprima
nemico di Carlo Magno, in seguito a lui sottomesso. Su questa linea si pone
inoltre il Chronicon Moissacense, dove si
parla di un certo Uggerius che sarebbe stato messo in prigione dal re dei
Franchi.
Ma parallelamente troviamo testimonianze molto differenti. Ad esempio, nella
chiesa dell'Abbazia di San Faron a Meaux esisteva, fino alla Rivoluzione, il
monumento funebre di un cavaliere Othgerius e del suo compagno Benedictus, morti
dopo una vita di eroiche gesta compiute sotto Carlo Magno. Relativamente a
quest'eroe, i monaci avevano compilato una Conversio
Othgerii militis, come appendice alla biografia del santo fondatore
del monastero. Risulta che Othgerius fosse stato un vir illustris
generositatis a cui, per le sue eccezionali qualità, i compagni d'arme
avevano attribuito il soprannome di prœliator fortis e di pugnator
e che perciò si era guadagnato il primo posto nell'impero carolingio dopo Carlo
Magno. Dopo una vita di combattimenti, Othgerius sarebbe poi divenuto monaco e
penitente.
È dubbio che l'Autkarius citato nel Liber
Pontificalis sia lo stesso Othgerius dell'Abbazia di San Faron. Tanto
per cominciare, l'autore della Conversio
non cita una ribellione di Othgerius a Carlo Magno: anzi, dice che non senza
lacrime il re concesse a Othgerius il permesso di rendersi monaco. In altri
termini, se da un lato era normale far risalire la fondazione di un monastero a
un santo o un eroe leggendario, pare proprio che l'autore della
Conversio
non conosca eventuali tradizioni leggendarie relative a questo Othgerius.
Che il nome abbia avuto una certa diffusione fuori dalla Danimarca si evince
anche da altri documenti. Troviamo infatti attestati un dux Autkarius,
incaricato da Pipino nel 753 e nel 760 di un'ambasciata presso i pontefici; un
Otkarius menzionato in una carta di Fulda del 779; e ancora un Occarius
fondatore del monastero di Tegernsee nell'alta Baviera.
Insomma, ci sono stati diversi personaggi storici in lizza per essere
identificati con Uggeri il Danese; è possibile in ogni caso che la figura del
paladino di cui abbiamo raccontato la leggenda, sia stata costruita partendo
dalla biografia di più personaggi.
Uggeri il Danese: leggenda di un paladino ribelle
Perduto il personaggio storico, la sua ombra ha cominciato a fare la sua
comparsa nel mito dopo l'anno 1000. Già nel X secolo abbiamo per Uggeri un
caméo-rôle nella Canzone di Rolando: a lui Gano affida l'avanguardia
dell'esercito franco durante il valico dei Pirenei, mentre affida la
retroguardia a Rolando con i risultati che ben conosciamo. Nella Canzone di
Rolando, Uggeri è solo una comparsa, un nome cui non corrisponde una personalità
precisa: ma certo è un importante vassallo di re Carlo. E nel Pellegrinaggio di
Carlomagno, un'epica burlesca del secolo XI, Uggeri è parimenti presentato quale
paladino fedele e devoto al sovrano.
L'Uggeri di cui si parla nell'XI secolo, dunque, non è più il vassallo ribelle
di cui parlavano le fonti storiche. Ma che circolassero su di lui molte
chansons de geste, ci è testimoniato da un passo della
Historia Turpini, dove si afferma che Uggeri «viene cantato in
canzoni fino ai giorni nostri poiché compì innumerevoli imprese meravigliose».
Ed ecco che, intorno al 1200, il troviere Raimbert de Paris, ispirandosi a un
poema oggi perduto, compone La Chevalerie Ogier de
Danemarche. E qui, a sorpresa, il Danese ritorna di colpo il vassallo
ribelle delle fonti storiche. È la storia che abbiamo raccontato: Uggeri, in
seguito all'uccisione del figlio Baudinetto, lascia la corte di Carlo Magno per
rifugiarsi presso Desiderio re dei Longobardi. Ritiratosi in Castel Forte,
resiste da solo a un assedio durato sette anni. Infine, fatto prigioniero da re
Carlo, sarà liberato solo per sconfiggere un'armata saracena. Le fonti di
Raimberto sicuramente attingevano ai testi storici. Ma fino a che punto? E fino
a che punto Raimberto rilesse tutta la vicenda con la sua fantasia?
Verso il 1280, Adenet Le Roi fa con Les Enfances
Uggeri una nuova versione delle gesta del Danese, ma senza molto
aggiungere a ciò che già sappiamo dell'eroe.
La successiva inaspettata trasformazione viene compiuta verso il 1314, data in
cui appare un manoscritto, pervenutoci assai mutilo, che presenta un seguito e
un finale della storia di Uggeri del tutto nuovi: il rapimento da parte della
fata Morgana e il soggiorno di Uggeri in Avalon.
A tale versione segue la Chanson d'Ogier
(1332-1336), decisamente orientata verso il meraviglioso. Non solo vi si narra
del soggiorno di Uggeri in Avalon, ma anche delle fate madrine che intervengono
alla culla del neonato per stabilirne la vita. La
Chanson d'Ogier
ebbe vasta popolarità, tanto che al 1498 risale un fedele adattamento in prosa,
l'Ogier le Dannoys, titolo con cui l'opera
sarà ristampata per tutto il secolo XVI. Si ricorda inoltre un
Les visions d'Ogier le Danois au royaulme de
Fairie (1542), una serie di tre poemetti che riprendono alcuni
elementi del romanzo in prosa.
Alla Chanson d'Ogier si rifece anche Jean
d'Outremeuse nel suo
Myreur des histors (1396), che colloca
luoghi e date della leggenda uggeriana con notevole precisione. Secondo
d'Outremeuse, Uggeri sarebbe nato a Liegi nel 798 (e quindi troppo tardi per
trovarsi con Carlo Magno in Spagna) e nell'896, alla bellezza di novantotto anni
di età, avrebbe intrapreso il viaggio in Terrasanta in seguito al quale incontrò
Morgana, per poi tornare in Francia trecento anni più tardi, nel 1214. Per
quanto riguarda i viaggi di Uggeri in oriente, d'Outremeuse non fece che copiare
di sana pianta i presunti diari di viaggio di tale Sir John Mandeville e
sostituire il nome di Uggeri a quello dell'autore originale.
Parallelamente alla tradizione francese, Uggeri ebbe vasta popolarità anche in
diversi altri paesi; la sua fama è rimasta immutata nel corso dei secoli. In
Italia, Uggeri Spatacurta fu uno dei principali eroi dell'epica cavalleresca
franco-veneta e toscana. Tuttora Uggeri il Danese è uno dei personaggi fissi del
teatro dei pupi siciliano.
Uggeri il Danese: sviluppi letterari
In Danimarca, Holger Danske divenne addirittura un eroe nazionale: a lui si
ispira la ballata
Stærk Dedrik og Holger Danske «Il forte
Teodorico e Uggeri il Danese» nella quale lo troviamo combattere contro i
tedeschi. Il compositore danese Friedrich L. Kunzen (1761-1817) ha composto su
di lui l'opera lirica Holger Danske (1789) e
Hans Christian Andersen gli ha dedicato una delle sue celebri fiabe. Il folklore
danese lo vuole dormiente sotto il castello di Helsingør, dal quale si sveglierà
per correre in soccorso della Danimarca quando il paese si troverà in situazione
di grave pericolo. Nei sotterranei del castello, i turisti possono ammirare
un'imponente statua dedicata all'eroe, opera di H.P. Pedersen-Dan (1907), che lo
rappresenta barbuto e grave come un capo vichingo, seduto su un gran seggio di
pietra, con lo scudo poggiato di lato e la spada di traverso sui braccioli.
Henry Wadsworth Longfellow (1807-1882), in uno dei suoi
Racconti di un'osteria ai margini della strada, racconta ancora una
volta la leggenda di Uggeri e Desiderio re dei Longobardi. In seguito William
Morris ha ripreso la figura del paladino nel romanzo
Earthly Paradise, e dopo di lui Magdalen Edgar con l'opera breve
Ogier the Dane (1919). Italo Calvino lo cita en passant nel
Cavaliere inesistente
(1959). Ultimo ad ispirarsi a questa straordinaria figura di paladino è stato lo
scrittore americano – di origine danese – Poul Anderson (1926-2001), nel
gradevolissimo romanzo fantasy Tre cuori e tre leoni
(1953), dove narra tra l'altro come Uggeri/Holger faccia ritorno sulla Terra per
combattere contro i Tedeschi invasori della Danimarca nel corso della Seconda
Guerra Mondiale.
RICERCHE
Ho sempre avuto un piccolo culto su Uggeri il Danese, che risale ai tempi in
cui lessi (ed amai)
Tre cuori e tre leoni, ma mentre Poul Anderson
sembrava sapere tutto su Uggeri, le mie ricerche sul personaggio sono state
difficili e non di rado infruttuose. Delle numerose chansons de geste
dedicate a Uggeri il Danese, che io sappia nessuna è mai stata integralmente
tradotta in italiano. La storia, così come l'ho raccontata, è stata da me
ricostruita partendo dalle riduzioni tratte dai manuali di letteratura medievale
e di filologia romanza (buono al riguardo La storia
della letteratura d'oc e d'oïl di Viscardi), integrate da
informazioni tratte da molti altri libri. Particolarmente utili sono stati
alcuni studi sulla via Francigena, che usano i testi uggeriani come fonti
sull'antico tracciato della strada, e il pregevole
Morgana e Melusina della Harf-Lancner, che
dà interessanti ragguagli sulle avventure di Uggeri ad Avalon. Mi sono anche
avvalso, con molta cautela, della versione inglese di Bulfinch, che salta
completamente la scena della ribellione di Uggeri, evidentemente considerata di
scarso valore pedagogico. Dove le versioni divergevano, ho inevitabilmente
dovuto fare delle scelte. Questo che avete letto è, che io sappia, il più
completo riassunto della leggenda di Uggeri disponibile in italiano. Se vi sono
degli errori, ne sono l'unico responsabile.
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