BIBLIOTECA

UGROFINNI
Finlandesi

MITI UGROFINNI
John Martin Crawford
KALEVALA
PREFAZIONE ALLA TRADUZIONE INGLESE. 1887
PREFAZIONE 1887
Note del traduttore
Bibliografia
John Martin Crawford
KALEVALA
PREFAZIONE ALLA TRADUZIONE INGLESE. 1887
 
La seguente traduzione è stata intrapresa con il desiderio di trasmettere ai lettori di lingua inglese il tesoro di bellezza epica, folklore e mitologia contenuto nel Kalevala, il poema nazionale finlandese. Sembra qui necessaria una descrizione sommaria di questo particolarissimo popolo, nei suoi aspetti etici, linguistici, sociali e religiosi, affinché il poema possa essere meglio compreso.
La Finlandia (Suomi o Suomenmaa «terra paludosa», di cui «Finlandia», o «Fen-land» (1), è la traduzione svedese) è attualmente un granducato situato nella parte nord-occidentale dell'impero russo, confinante con i distretti di Olonec e Arcangelo, con la Svezia, la Norvegia e il Mar Baltico. Con un'estensione superiore a 373.000 chilometri quadrati, è abitato da circa due milioni di persone, gli ultimi resti di una razza spinta indietro, in tempi assai remoti, delle tribù che avanzavano da est. I Finlandesi vivono in una terra di paludi e monti, laghi e fiumi, mari, golfi, isole e insenature, e si denominano Suomilainen, «abitanti delle paludi». Il clima è più severo di quello svedese. La temperatura media annua nel nord è circa -3°C, e circa -1°C a Helsinki [Helsingfors] (2), la capitale della Finlandia. Nelle zone meridionali l'inverno dura sette mesi e nelle province settentrionali il sole scompare completamente durante i mesi di dicembre e gennaio.
Gli abitanti sono forti e resistenti, con facce luminose e intelligenti, zigomi alti, capelli biondi in gioventù e castani in età matura. Riguardo alle loro abitudini sociali, morali e ai loro modi, tutti i viaggiatori sono unanimi nel parlarne bene. Il loro temperamento è universalmente mite; sono lenti all'ira e una volta arrabbiati se ne stanno in silenzio. Sono di animo gioioso, affettuosi l'uno con l'altro, onorevoli e onesti nei loro rapporti d'affari con gli sconosciuti. Sono gente pulita, molto dedita all'uso della sauna. Questo tratto è una nota cospicua del loro carattere dalla loro storia remota fino a oggi. Nei runot del Kalevala si fa spesso riferimento «alla pulizia e alle virtù curative dei vapori del bagno riscaldato».
Il cranio dei finni appartiene, secondo la classificazione del Retzius, alla classe brachicefalica (dal cranio corto). Infatti i finni sono generalmente considerati mongolidi, sebbene di un tipo modificato. Il loro colorito è scuro e i loro occhi sono grigi. Non sono inospitali, ma nemmeno di facile confidenza; né sono amici delle novità. Costanti, attenti, laboriosi, sono validi in miniera, validi nei campi, validi a bordo delle navi e, al tempo stesso, coraggiosi soldati sulla terraferma.
I finni sono un popolo molto antico. Si afferma, inoltre, che abbiano cominciato prima di qualunque altra nazione europea a raccogliere e conservare il loro antico folklore. Tacito, scrivendo proprio all'inizio del secondo secolo dell'era cristiana, menziona i Fenni, come lui li chiama, nel quarantaseiesimo capitolo della Germania. Dice di loro: «i finni sono estremamente selvaggi e vivono in miserabile povertà. Non hanno armi, né cavalli, né abitazioni; vivono di erbe, si vestono di pelli e dormono per terra. Unico affidamento sono le loro frecce, che per la mancanza di ferro hanno punta d'osso». Anche Strabone e il grande geografo Tolomeo menzionano questa gente curiosa. Vi sono indicazioni che un tempo essi fossero diffusi in estese porzioni dell'Europa e dell'Asia occidentale.
Forse va qui precisato che il rame, menzionato così spesso nel Kalevala, se preso alla lettera, era probabilmente bronzo, o «rame indurito», ma la quantità e la qualità della lega usata non ci è nota. Le razze preistoriche europee conoscevano gli attrezzi in bronzo.
Può essere interessante notare a questo proposito che Canon Isaac Taylor e il professor Sayce hanno proprio recentemente destato grande interesse sulla questione, specialmente in Europa, con la lettura dinanzi all'Associazione Filologica Britannica di documenti in cui si sostiene l'origine finnica degli ariani. Per questa nuova teoria, gli studiosi presentano prove piuttosto forti e concludono che il periodo della separazione degli ariani dal ceppo finnico debba essere stato più di cinquemila anni fa. (3)
La nazione finlandese possiede una delle lingue più musicali e flessibili. Di quelle coltivate in Europa, il magiaro o ungherese mostra i segni più evidenti di una somiglianza profonda con il finlandese. Entrambe appartengono al ceppo ugrico (4) delle lingue agglutinanti, cioè quelle che meglio hanno conservato le radici delle parole, ed effettuano i mutamenti grammaticali tramite desinenze suffisse al tema originale. Grimm ha mostrato che sia il gotico che l'islandese presentano tracce di influenze dal finlandese.
L'elemento musicale di una lingua, le vocali, sono ben sviluppate nel finlandese e la loro successione è soggetta a rigorose regole di eufonia (5). Una ö (equivalente alla eu francese) nella prima sillaba deve essere seguita da una e o da una i. Il finlandese, come tutte le lingue ugriche, ammette la rima, ma con riluttanza, e preferisce l'allitterazione. Il suo alfabeto consiste di sole diciannove lettere e, di queste, b, c, d, f, g si trovano solo in poche parole straniere, e molte altre non sono mai usate come iniziali.
Una delle caratteristiche di questa lingua, e che è anche caratteristica del magiaro, del turco, del mordvino e di altri idiomi affini, consiste nell'uso frequente di diminutivi e vezzeggiativi. Con una serie di suffissi posti ai nomi di esseri umani, uccelli, pesci, alberi, piante, pietre, metalli e perfino azioni, eventi e sentimenti, si ottengono i diminutivi, che esprimono i nomi così formati in colori differenti: diventano più naïve, più fanciulleschi, più scherzosi, o divertenti, o pungenti. Questi aspetti possono difficilmente essere resi in inglese (6); perché, come osserva Robert Ferguson: «la lingua inglese non è forte nei diminutivi e difetta quindi di alcuni dei mezzi più efficaci per l'espressione dei rapporti affettivi, teneri e familiari». In tal senso tutte le traduzioni dal finlandese all'inglese sono necessariamente carenti rispetto all'originale. Lo stesso potrebbe dirsi delle molte interiezioni emotive di cui il finlandese, come tutti i dialetti ugrici, abbonda. Con l'eccezione di queste due caratteristiche delle lingue ugriche, le bellezze principali del verso finlandese ammettono una rappresentazione adeguata in inglese. La struttura delle frasi è molto semplice, e avverbi e aggettivi sono usati con parsimonia.
Il finlandese è la lingua di un popolo che vive a stretto contatto con la natura e si trova a casa fra animali selvatici, bestie e uccelli, venti, boschi e acque, neve che cade, sabbie che volano e pietre che rotolano, e questi sono accuratamente distinti con vocaboli corrispondenti di sempre mutevole effetto acustico. Consapevole del fatto che in un popolo come i Finlandesi, in cui la natura e la sua venerazione costituiscono il centro di tutta la loro vita, a ogni parola relativa alle potenze e agli elementi della natura debba essere dato il pieno valore, grande cura è stata presa nella rappresentazione di questi termini dalle fini sfumature. Uno sguardo alla mitologia di questo interessante popolo porrà le implicazioni di questa osservazione in una prospettiva migliore.
Pare che i Suomi nei primi tempi adorassero gli oggetti visibili naturali sotto le loro rispettive forme sensibili. Tutte le entità erano persone. Il Sole, la Luna, le Stelle, la Terra, l'Aria e il Mare erano, per gli antichi finni, esseri viventi e autocoscienti. A poco a poco venne riconosciuta l'esistenza di agenti ed energie invisibili, attribuiti a esseri superiori che vivevano in modo indipendente da queste entità visibili, ma allo stesso tempo erano a esse connessi. L'idea di base della mitologia finnica sembra risiedere nel fatto che tutti gli enti della natura siano governati da divinità invisibili, chiamate haltiat, «reggenti» o «genii». Questi haltiat, come i membri di una famiglia umana, hanno distinti corpi e spiriti; ma quelli minori sono in una certa misura immateriali e senza forma, e le loro esistenze sono del tutto indipendenti dagli oggetti di cui sono particolarmente interessati. Sono tutti immortali, ma hanno ranghi diversi in base all'importanza relativa dei rispettivi incarichi. Le classi più basse degli dèi finnici sono talvolta subordinate alle divinità dai poteri maggiori, in particolare a coloro che governano, rispettivamente, l'aria, l'acqua, i campi e le foreste. Così Pilajatar, la figlia del pioppo, sebbene altrettanto divina di Tapio, il dio dei boschi, è necessariamente sua servitrice.
Una delle caratteristiche più notevoli della mitologia finnica è l'interdipendenza tra gli dèi. «Ogni divinità», osserva Castrén, «per quanto piccola possa essere, governa nella propria sfera come una potenza sostanziale e indipendente, o, per parlare nello spirito del Kalevala, come un padrone di casa autonomo. Il dio della Stella Polare governa soltanto un punto insignificante nella volta celeste, ma su questo punto egli non conosce padroni».
Le divinità finlandesi, come gli antichi dèi dell'Italia e della Grecia, sono generalmente rappresentati in coppia, e tutti gli dèi sono probabilmente sposati. Hanno le loro proprie dimore e sono circondati dalle rispettive famiglie. Il principale oggetto di culto tra i primi finni fu probabilmente il cielo visibile, con il sole, la luna e stelle, le aurore boreali, i tuoni e i lampi. Il cielo in sé stesso era pensato come divino. La concezione successiva fu poi una divinità del cielo personificata, legata al nome della sua dimora. Infine questo dio del cielo venne scelto per rappresentare il Signore supremo. Al cielo, al dio celeste e al Dio supremo, fu dato il nome di Jumala, la «casa del tuono».
Ma nel corso del tempo, quando i finni giunsero a idee religiose più pure, chiamarono il cielo Taivas e il dio del cielo Ukko. La parola ukko sembra imparentata al magiaro agg «vecchio», e indica quindi un essere vecchio, un nonno, ma alla fine venne a essere utilizzata esclusivamente come il nome della più alta divinità finnica. Gelo, neve, grandine, ghiaccio, vento e pioggia, luce del sole e ombra, si credono provenire dalle mani di Ukko. Egli controlla le nuvole: è chiamato nel Kalevala «signore delle nubi», «pastore delle nuvole», «dio delle brezze», «re dorato», «argenteo dominatore dell'aria» e «padre dei cieli». Brandisce i fulmini, abbattendo gli spiriti del male sulle montagne, ed è quindi definito «tonante», come il greco Zeus, e la sua dimora è chiamata «casa del tuono». Ukko è spesso rappresentato come seduto su una nuvola nella volta del cielo e con il firmamento sulle spalle, pertanto è chiamato «perno del cielo». È armato come un guerriero onnipotente: le sue feroci frecce sono forgiate nel rame, il fulmine è la sua spada e il suo arco è l'arcobaleno, tuttora chiamato Ukkon Kaari. Come il dio germanico Þórr, Ukko brandisce un martello. Troviamo infine, in una vena di simbolismo familiare, che la sua gonna sfavilla di fuoco, che le sue calze sono blu e le sue scarpe cremisi.
Qua e là, nei runot successivi, Ukko interviene. Così, quando il Sole e la Luna vengono rubati dal cielo e nascosti in una caverna della montagna del rame dalla malvagia ostessa della triste Sariola, egli, come Atlante nella mitologia greca, abbandona il sostegno del cielo, si precipita lungo i bordi delle nubi oscurate e attizza un fuoco con la sua spada per accendere un nuovo sole e una nuova luna. E ancora, quando Lemminkäinen è a caccia del cavallo sputafuoco di Piru, Ukko, invocato dal temerario eroe, rallenta il possente destriero aprendo le finestre del cielo e precipitandogli addosso fiocchi di neve, palle di ghiaccio, e grandine di ferro. Di solito, però, Ukko preferisce incoraggiare uno spirito di indipendenza tra i suoi adoratori. Lo troviamo spesso, nei runot, rifiutarsi di ascoltare le invocazioni di aiuto del suo popolo, come quando Ilmatar, la figlia dell'aria, lo invoca invano in suo soccorso perché lei possa partorire Väinämöinen, non ancora venuto alla luce dopo settecento anni di gestazione. Così anche Väinämöinen implora invano Ukko di fermare il rivolo purpureo che scorre dal suo ginocchio ferito con l'ascia da Hiisi. Ukko, tuttavia, con tutto il suo potere, non è affatto superiore al Sole, alla Luna e agli altri corpi celesti; essi non sono influenzati da lui e sono considerati divinità a pieno titolo. Così, Päivä significa sia «sole» che «dio del sole, Kun significa sia «luna» che e «dio della luna», e Tähti e Otava indicano rispettivamente la Stella Polare e l'Orsa Maggiore, così come le loro divinità.
Il Sole e la Luna hanno ciascuno consorte, figli e figlie. Due figli soltanto di Päivä compaiono nel Kalevala, uno viene in soccorso di Väinämöinen nei suoi sforzi per distruggere il mitico pesce di fuoco, gettando dal cielo nella cintura dell'eroe un «coltello magico, dalla lama d'argento e dal manico d'oro»; l'altro figlio, Panu, il bambino di fuoco, riporta a Kalevala il fuoco che era stato rubato da Louhi, la malvagia ostessa di Pohjola. Da questo mito Castrén deduce che gli antichi finni consideravano il fuoco come una diretta emanazione del Sole. Le figlie del Sole, della Luna, dell'Orsa Maggiore, della Stella Polare e di altri dignitari celesti, sono rappresentate come fanciulle sempre giovani e belle, a volte sedute sui rami degli alberi della foresta, a volte sugli orli cremisi delle nubi, a volte sull'arcobaleno, a volte sulla cupola del cielo. Queste figlie si crede conoscano alla perfezione le arti della filatura e della tessitura, abilità che probabilmente sono state attribuite loro dalla fantasiosa somiglianza dei raggi di luce con l'ordito del telaio.
Il compito del Sole, utile nel portare la luce e la vita nelle terre del nord, varia di rado. Occasionalmente egli devia dal suo percorso abituale per dare informazioni importanti ai suoi adoratori in difficoltà. Per esempio, quando la Stella e la Luna le rifiutano di darle informazioni, il Sole svela alla vergine Marjatta dove si trovi il suo bambino dorato:
«Il tuo caro figliuoletto,
la tua mela d'oro bella,
nel pantano è fino al petto,
nella landa fin l'ascella.»
Ancora, quando la devota madre dell'intrepido eroe Lemminkäinen (tagliato a pezzi dai figli di Nana, come nel mito di Osiride) ne raccoglie i pezzi del corpo dal fiume di Tuoni, e teme che gli spiriti del fiume dei morti possano risentirsi per la sua intrusione, il Sole, in risposta alle sue preghiere, getta i potenti raggi sulle temibili Ombre e le immerge in un sonno profondo, mentre la madre riunisce le membra del figlio in tutta sicurezza. Questo runo del Kalevala è particolarmente interessante in quanto mostra la convinzione che i morti possano essere riportati in vita attraverso la beata luce del Cielo.
Tra le altre divinità dell'aria vi sono le Luonnotar, mitiche fanciulle, tre delle quali sono create da Ukko sfregandosi le mani sul ginocchio sinistro. Subito costoro vanno sui bordi cremisi delle nuvole e una spruzza latte bianco, l'altra latte rosso e la terza latte nero sulle colline e sulle montagne; così divennero le «madri del ferro», come riportato nel nono runo del Kalevala. Nelle più alte regioni del cielo ha la sua dimora Untar, o Undutar, che presiede su nebbie e foschie. Queste vengono passate attraverso un setaccio d'argento prima di essere mandate a terra. Ci sono anche le dee dei venti. Una particolarmente degna di nota, Suvetar (da suve, «sud, estate»), è la dea del vento del sud. È rappresentata come una divinità dall'animo gentile, che guarisce i seguaci malati e afflitti col miele che lascia cadere dalle nuvole, e vigila inoltre sulle mandrie al pascolo nei campi e nei boschi.
Dopo l'aria, l'acqua è il secondo elemento più riverito dai finni e dalle tribù affini. «Difficilmente potrebbe essere altrimenti», spiega Castrén, «perché appena l'animo del selvaggio comincia a sospettare che il divino sia spirituale, al di là del sensibile, allora, anche se egli continua a venerare la materia, in generale le assegna un valore tanto più grande quanto meno è compatta. Egli vede da un lato come sia facile perdere la vita nelle onde agitate, e dall'altro vede che da queste stesse acque è alimentato e la sua vita prolungata». È così che la mappa della Finlandia è a tutt'oggi piena di nomi come Pyhöjärvi («lago sacro») e Pyhäjoki («fiume sacro»). Tra i finni, alcuni offrono ancora capre e vitelli a queste acque sacre, e molte tribù ugriche sacrificano tuttora renne al fiume Ob. In Estonia c'è un ruscello, Vöhanda, che è tenuto in tale reverenza che fino a poco tempo fa nessuno osava abbattere un albero o tagliare un arbusto nelle sue immediate vicinanze, per evitare la morte che avrebbe colto l'autore del reato entro un anno, in punizione al suo sacrilegio. Il lago Eim è tuttora ritenuto sacro dagli Estoni e la sua leggenda è così raccontata da F. Thiersch, e citata anche da Grimm e Mace da Charda:
Uomini selvaggi e malvagi abitavano lungo i suoi bordi. Essi non falciavano i prati che irrigava, né seminavano i campi che rendeva fecondi, ma rapinavano e uccidevano, così tanto che le sue limpide onde divennero scure per il sangue degli uomini massacrati. Allora il Lago stesso si addolorò, e una sera chiamò a raccolta tutti i suoi pesci e si sollevò con essi in aria. Quando i ladri sentirono il suono, esclamarono: «Eim si è levato: andiamo a raccogliere i suoi pesci e i suoi tesori». Ma i pesci se ne erano andati con il lago, e nulla fu trovato sul fondo se non serpenti, lucertole e rospi. Eim si sollevò sempre più in alto e si affrettò attraverso l'aria come una nube bianca. E i cacciatori nella foresta dissero: «Che tempo cattivo sta arrivando!», i mandriani dissero: «Che cigno bianco sta volando lassù!». Per tutta la notte il lago si librò tra le stelle, e la mattina i mietitori lo videro abbassarsi. E il cigno divenne una nave bianca, e la nave un'oscura processione di nubi, e una voce giunse dalle acque: «Prendete dunque il vostro raccolto, ché prenderò dimora accanto a voi». Quindi diedero al lago il benvenuto, purché irrigasse i loro campi e i loro prati; ed egli discese e si distese nella sua sede più che poté. Poi il lago rese tutte le zone circostanti feconde, e i campi divennero verdi, e la gente ballò intorno a esso, di modo che gli anziani divennero gioiosi come i giovani.
Il principale dio dell'acqua è Ahto, sulla cui etimologia la lingua finlandese fa poca luce. È curiosamente simile a Ahti, un epiteto dell'intrepido Lemminkäinen. Questo dio dell'acqua, o «signore dei flutti», come viene chiamato, vive con la sua «fredda coniuge dall'animo crudele», Vellamo, in fondo al mare, nelle voragini delle Rocce dei Salmoni, dove sorge il suo palazzo, Ahtola. Oltre ai pesci che nuotano nei sui domini (in particolare il salmone, la trota, il merlano, il persico, l'aringa e il pesce bianco), egli possiede un tesoro inestimabile nel Sampo, il talismano del successo, che Louhi, la signora di Pohjola, aveva trascinato in mare cercando di riprenderlo agli eroi di Kalevala. Sempre desideroso degli altrui tesori e generalmente restio a restituire qualunque cosa entri in suo possesso, Ahto non è incapace di generosità. Una volta un pastorello stava intagliando un bastone in riva a un fiume, quando il coltello gli cadde in acqua. Ahto, come nella favola Mercurio e il boscaiolo, commosso dalle lacrime dello sfortunato ragazzo , giunse nuotando, si tuffò sul fondo, portò su un coltello d'oro e lo restituì al giovane pastore. Innocente e onesto, il mandriano disse che il coltello non era il suo. Ahto allora si immerse di nuovo e riportò un coltello d'argento che diede al ragazzo, ma costui di nuovo non lo accettò. Quindi il signore dei flutti si immerse nuovamente, e la terza volta consegnò il coltello giusto al ragazzo, il quale lo riconobbe con sollievo come suo e lo accettò con gratitudine. Ahto diede al pastorello i tre coltelli come ricompensa per la sua onestà.
Un termine generale per gli altri signori dell'acqua, che vivono non solo in mare, ma anche nei fiumi, nei laghi, nelle cascate e nelle fontane, è Ahtolaiset («abitanti di Ahtola»), «popolo dell'acqua», «popolo della schiuma e dei marosi», «popolo eterno di Vellamo». Di questi, alcuni hanno nomi specifici, come Allotar («dea delle onde»), Koskenneiti («fanciulla delle cascate»), Melatar («dea del timone»), e nel Kalevala sono a volte invocati personalmente. Di queste divinità minori, Pikku Mies («pigmeo») è il più degno di nota. Una volta, quando la vasta chioma della quercia primordiale oscurò dalla luce del sole le terre del nord, Pikku Mies, mosso dalle suppliche di Väinämöinen, emerse dal mare, tutto vestito di rame e con un'ascia di rame nella cintura; rapidamente crebbe da pigmeo a gigantesco eroe, e abbatté la possente quercia con tre colpi d'ascia. In generale le divinità acquatiche sono benefiche e gentili. Alcune, tuttavia, come Vetehinen e Iku-Turso, trovano il loro maggior piacere nell'infastidire e distruggere i loro simili.
Originariamente i finni consideravano la terra come un essere divino con personali poteri e la rappresentavano come una benefica madre che dona pace e abbondanza a tutti i suoi meritevoli adoratori. A prova di ciò troviamo i nomi Maa-emä «madre terra», e Maan-emo «madre della terra», dati alla Demetra finlandese. Ella è sempre rappresentata come una dea dai grandi poteri, e, dopo appropriata invocazione, è sempre pronta e in grado di aiutare gli inermi e i sofferenti. Secondo alcuni mitologi è sposata a Ukko, che concede ai suoi figli le benedizioni della luce del sole e della pioggia, come è sposa di Ouranós, Jorð di Óðinn, e Papa di Rangi.
Degli dèi minori della terra, che governano singolarmente le piante, come alberi, segale, lino e orzo, Virokannas è il solo menzionato nel Kalevala. Una volta, ad esempio, questo «sacerdote della foresta vestito di verde» abbandonò temporaneamente la sua presidenza sui cereali per battezzare il neonato della vergine Marjatta. E di nuovo Virokannas lasciò la sua nativa sfera di azione, questa volta giungendo a un miserevole e ridicolo fallimento, quando emerse dai luoghi selvaggi e tentò di uccidere il toro finnico, come descritto nei runot che seguono. Le divinità agricole, comunque, ricevono ben poca attenzione da parte dei finni, che, con i loro inverni freddi e crudeli, e le loro estati brevi ma deliziose, trascurano com'è naturale la coltivazione dei campi per dedicarsi all'allevamento, alla pesca e alla caccia.
La divinità della foresta, invece, sono tenute in grande venerazione. Di questi il principale è Tapio, l'«amico delle foreste», l'«aggraziato dio dei boschi». Egli è rappresentato come un dio alto e slanciato, con indosso una lunga veste marrone, un manto di muschio e un alto cappello di aghi di abete. La sua consorte è Mielikki, la «madre dei boschi ricca di miele», la «padrona delle valli e delle foreste». Quando i cacciatori avevano successo era rappresentata come bella e benigna, le sue mani scintillanti di ornamenti in oro e argento, con indosso orecchini e ghirlande d'oro, i capelli legati da fasce argentate e sulla fronte fili di perle, con calze blu ai piedi e stringhe rosse nelle scarpe. Ma se la borsa per la selvaggina tornava vuota, veniva descritta come odiosa e orribile, vestita di stracci alla rinfusa e i piedi calzati di paglia. Ella detiene le chiavi del tesoro di Metsola, dimora del marito, e la sua generosa cesta di miele, cibo di tutte le divinità della foresta, è desiderata ardentemente da tutti i cacciatori stanchi di Suomi. Queste divinità sono invariabilmente descritte come aggraziate e tenere di cuore, probabilmente perché sono tutte femmine a eccezione di Tapio e di suo figlio, Nyyrikki, un giovane alto e maestoso, impegnato a gettare ponti sulle paludi e sui ruscelli che le mandrie devono attraversare lungo il loro cammino verso i pascoli boschivi. Nyyrikki si occupa anche di marchiare le rocce e gli alberi per guidare gli eroi verso i loro terreni di caccia preferiti. Anche Sima-suu («bocca di miele»), una delle piccole figlie di Tapio, suonando col suo sima-pilli («flauto del miele»), funge da guida per i cacciatori meritevoli.
Hiisi, il diavolo finnico, chiamato anche Juutas, Piru e Lempo, è il capo dei demoni della foresta, ed è inconcepibilmente malvagio. Fu messo al mondo da Syöjätär, col cui sputo, come cantato nel Kalevala, aveva creato il serpente. Questo demone è descritto come crudele, orribile, odioso e assetato di sangue, e tutte le più tremende malattie e disgrazie che affliggono da sempre i mortali si crede provengano da lui. È ritenuto dai Finlandesi responsabile di tutto il male compiuto sulla terra.
Passando dal mondo esterno all'uomo, troviamo divinità le cui energie vengono utilizzate solo nel dominio dell'umana esistenza. «Queste divinità», dice Castrén, «non hanno rapporti con la natura superiore e spirituale dell'uomo. Tutto ciò che fanno riguarda l'uomo unicamente come oggetto della natura. Saggezza e diritto, virtù e giustizia, non trovano nella mitologia finlandese alcun protettore tra gli dèi, i quali si preoccupano solo dei desideri temporali dell'umanità». La dea dell'amore era Sukkamieli («amante delle calze»). «Le calze», afferma gravemente Castrén, «sono oggetti morbidi e soffici, e la dea dell'amore era così chiamata perché si interessava dei sentimenti più morbidi e teneri». Questa concezione, tuttavia, è tanto inverosimile quanto moderna. La divinità dell'amore degli antichi Finlandesi era Lempo, il demone del male. È pertanto più ragionevole supporre che i finni abbiano scelto il figlio del male per regnare sui sentimenti del cuore umano, perché consideravano l'amore come una passione incontrollabile, o come una frenesia simile alla follia, e dunque lo ritenevano evocato in qualche modo misterioso da un incantatore malvagio.
Uni è il dio del sonno, e viene descritto come una divinità affettuosa e benvoluta. Untamo è il dio dei sogni, e se ne parla sempre come della personificazione dell'indolenza. Munu si cura teneramente della salute degli occhi umani. Il meno che si possa dire di questa divinità è che si tratta di un oculista di lunga e variegata esperienza, con ogni probabilità consultato spesso in Finlandia a causa della neve accecante e dei pungenti venti del nord. Lemmas è una dea finnica che medica le ferite dei suoi fedeli malati e lenisce i loro dolori. Suonetar è un'altra dea della cornice umana, e svolge un ruolo curioso e importante nel riportare in vita lo sconsiderato Lemminkäinen, come descritto nei seguenti runot. Ella si occupa di filare le vene e di cucire i tessuti feriti dei meritevoli adoratori che necessitano della sua abilità chirurgica.
Altre divinità associate al benessere del genere umano sono Sinettaret e Kankahattaret, le dee, rispettivamente, della tintura e della tessitura. Matka-Teppo è il dio delle strade, e si occupa della cura dei cavalli che hanno lavorato troppo e dei viaggiatori stanchi. Aarni è il custode dei tesori nascosti. Questo importante compito è svolto anche da un'orribile vecchia divinità di nome Mammelainen, che Renwall, il lessicografo finnico, descrive come femina maligna, matrix serpentis, divitiarum subterranearum custos «donna maligna, madre del serpente, custode dei tesori sotterranei». Da questa concezione è evidente che l'idea di una parentela tra i serpenti e i tesori nascosti, incontrata spesso nei miti ungheresi, germanici e slavi, non è estranea ai finni.
Da nessuna parte le contraddizioni tra teoria e pratica umane si mostrano più forti e curiose che nell'uso in voga presso le tribù finne, che pur non credendo in una vita futura, ciononostante eseguono alcuni cerimoniali funebri, come il seppellimento nelle tombe dei morti di coltelli, asce, lance, archi e frecce, pentole, cibo, vestiti, slitte e racchette da neve, testimoniando così nella pratica il loro riconoscimento di una qualche forma di vita nell'oltretomba. Gli antichi finni occasionalmente chiedevano consulenza e assistenza ai morti. Così, come scritto nel Kalevala, quando ebbe bisogno di tre parole magiche per ultimare la barca sulla quale sarebbe andato a chiedere la mano della mitica fanciulla di Sariola, l'eroe di Väinölä cercò prima nel cervello dello scoiattolo bianco, poi nella bocca del cigno bianco morente, ma invano; allora viaggiò verso il regno di Tuoni, e fallendo anche lì, «si spinse oltre le punte degli aghi, oltre le lame delle spade, oltre i bordi affilati delle accette» fino alla tomba dell'antico sapiente, Antero Vipunen, dove «trovò le parole perdute del Maestro». In questa leggenda del Kalevala, estremamente interessante, istruttiva e curiosa, si trovano, a quanto pare, le remote vestigia dell'antica Massoneria.
Sembra che le prime credenze dei finni per quanto riguarda i morti fossero incentrate su questo: che i loro spiriti rimanessero nelle loro tombe fino alla completa disintegrazione dei loro corpi, su cui presiedeva Kalma, il dio delle tombe, con la sua nera e malvagia figlia. Dopo essere stati completamente purificati, gli spiriti venivano ammessi al Regno sotterraneo di Manala. Coloro che viaggiavano verso Tuonela erano tenuti ad attraversare nove mari e a percorrere un fiume, lo Stige finlandese, nero, profondo e violento, e pieno di famelici gorghi e rabbiose cascate.
Come lo Helheimr della mitologia scandinava, Manala, o Tuonela, era considerato come corrispondente al mondo superiore. Il sole e la luna lo visitavano; paludi e foreste offrivano rifugio a lupi, orsi, alci, serpenti e uccelli canori; salmoni, merluzzi, persici e lucci erano ospitati dalle «acque di Manala nere come il carbone». Dai semi dei campi e dei boschi della terra dei morti, il verme di Tuoni (il serpente) aveva preso i suoi denti. Tuoni, o Mana, il dio del mondo sotterraneo, era rappresentato come un vecchio personaggio duro di cuore e spaventoso, con tre dita dalla punta di ferro su ciascuna mano e con indosso un cappello calcato fino alle spalle. Come nell'originaria concezione di Ade, Tuoni era ritenuto condurre i morti alla loro casa sotterranea ed era il loro consulente, custode e governante. In qualità di governante era assistito dalla moglie, una vecchia strega, odiosa e orribile, con «deformi dita di rame con le punte di ferro», la testa deforme e i lineamenti distorti, e nel Kalevala sempre chiamata ironicamente hyvää emäntä, la «buona signora»; ella cucinava ai suoi ospiti lucertole, vermi, rospi e serpenti. Tuonen Poika, il «dio delle guance rosse», così chiamato a causa del suo carattere sanguinario e della sua costante crudeltà, era figlio e complice di questa spietata e orribile coppia.
Nei runot sono menzionate tre figlie di Tuoni, delle quali la prima, una ragazza piccola e nera, ma di grande cattiveria, almeno una volta mostrò un tocco di gentilezza umana quando esortò invano Väinämöinen a non attraversare il fiume di Tuoni, spiegando all'eroe che, mentre molti visitano Manala, pochi ritornano, incapaci di fronteggiare la collera di suo padre. Dopo molte suppliche, ella lo traghettò infine oltre lo Stige finlandese, come Caronte, figlio di Erebo e Notte, nella mitologia greca. La seconda figlia di Tuoni è Loviatar, nera e cieca, descritta ancora più maligna e disgustosa della precedente. Fecondata dal vento dell'est generò gli spiriti delle otto (7) malattie più temute dall'umanità, come descritto nel XLV runo del Kalevala:
...Fece l'uno Maldipetto,
fece Colica quell'altro,
fu la Gotta il terzo figlio,
diventò la Tisi il quarto,
ebbe il nome il quinto Piaga,
ed il sesto fu la Rogna,
Cancro il settimo figliuolo
e l'ottavo Pestilenza.
La terza figlia di Tuoni combina i malefici e ripugnanti attributi delle due sorelle, ed è rappresentata come la madre e la signora delle malattie impersonali del genere umano. I finni consideravano tutti i disturbi come spiriti maligni o diavoli parassiti, alcuni senza forma, altri assumenti le più odiose forme animali, quali vermi e acari; le otto sopra elencate, invece, erano concepite aventi forma umana.
Dove i tre rami del fiume di Tuoni si incontrano sorge una spaventosa roccia, chiamata Kipukivi o Kipuvuori, sotto la quale sono imprigionati gli spiriti di tutte le malattie. La terza figlia di Tuoni siede su questa roccia e la ruota costantemente come una macina, macinando i suoi prigionieri fino a quando non scappano per andare a torturare e uccidere i figli degli uomini. Ella presiede al giudizio dei morti, come Kalī (la nera) nella mitologia indù.
Diverse altre potenze spirituali, oltre agli dèi e alle dee, sono tenute in grande venerazione dai finni. Tonttu è rappresentato come un benigno spirito della casa, una sorta di piccolo ciclope, e gli vengono tributate ogni mattina offerte di pane e di brodo. Si crede che camminare nove volte intorno a una chiesa indossando il collare di una cavalla sia un modo per attrarre qualcuno verso il posto desiderato. Para è una mitica creatura a tre zampe, immaginata in modi differenti, e che, secondo Castrén, prende vita quando il suo possessore si taglia il mignolo della mano sinistra e lascia cadere tre gocce di sangue, pronunciando allo stesso tempo la corretta formula magica. Il possessore, a qualunque titolo, di questa mitica creatura, viene sempre rifornito con latte e formaggio in abbondanza. I Maahiset sono i nani della mitologia finlandese. Abitano sotto ceppi, alberi, sassi, soglie e focolari. Anche se estremamente minuti e invisibili per l'uomo, hanno sembianze umane. Sono irritabili e vendicativi, e puniscono con ulcere, dermatiti, tigna, brufoli e altre affezioni cutanee tutti coloro che li escludono dalla preparazione della birra e del pane, e dai banchetti. Essi puniscono in modo analogo coloro che entrano in una casa nuova senza inchinarsi ai quattro angoli e prestare loro le dovute attenzioni; allo stesso modo vengono puniti coloro che vivono in case disordinate. I Kirkonväki (il «popolo delle chiese») sono piccoli esseri deformi che vivono sotto gli altari delle chiese. Si crede che siano in grado di aiutare i fedeli sofferenti.
Alcune bestie, uccelli e alberi sono considerati sacri in Finlandia. Nel Kalevala vi sono evidenti tracce di arctolatria, culto dell'orso, un tempo molto comune tra le tribù del nord. Otso, l'orso, secondo la mitologia finnica, nacque sulle spalle di Otava, nelle regioni del sole e della luna, e «fu allevato dalla dea dei boschi in una culla dondolata da bande d'oro tra i rami flessibili dei giovani abeti». La sua balia non gli avrebbe dato denti e artigli fino a che egli non avesse promesso di non impegnarsi mai in lotte sanguinose o atti di violenza. Otso, tuttavia, non sempre mantiene il suo impegno e, di conseguenza, i cacciatori finlandesi trovano relativamente facile conciliare le loro coscienze con la sua uccisione. Otso è chiamato nei runot con molti titoli affettuosi come «mangiatore di miele», «dorato piè leggero», «mela della foresta», «zampa mielata delle montagne», «orgoglio del bosco», «amico della foresta vestito di pelo». Ahava, il vento dell'ovest, e Penitar, una vecchia strega cieca di Sariola, sono i genitori dei rapidi cani finlandesi, così come i cavalli di Achille, Xanto e Balio, discendevano da Zefiro e dall'arpia Podarge.
Per quanto riguarda gli uccelli, l'anatra, secondo il Kalevala, o l'aquila, secondo altre tradizioni, deposero l'uovo del mondo, prendendo quindi parte alla creazione. Puhuri, il vento del nord, il padre di Pakkanen «gelo», è talvolta personificato come una gigantesca aquila. Il tuffetto è venerato perché preannuncia l'arrivo della pioggia. Linnunrata («via degli uccelli») è il nome dato alla Via Lattea, probabilmente a causa di un mito, come quello slavo e svedese, in cui le canzoni assumono la forma di colombe bianche. Il cuculo è tuttora considerato sacro, e si crede che abbia fecondato la terra con il suo canto. Quanto agli insetti, le api da miele, chiamate dai finni mehiläinen, sono particolarmente sacre, come nei miti di molte altre nazioni. Ukkon-koira («cane di Ukko») è il nome finlandese per la farfalla, considerata un messaggero della Divinità Suprema. Può essere interessante osservare che i Bretoni chiamano reverenzialmente le farfalle «piume dalle ali di Dio».
Quanto alla natura inanimata, alcuni laghi, fiumi, sorgenti e fontane sono tenuti in grande considerazione. Nel Kalevala la quercia è chiamata pun Jumalan («albero di Dio»). Il sorbo e la betulla sono tuttora ritenuti sacri, e i contadini li piantano con reverenza vicino alle loro case.
Riguardo i giganti della mitologia finnica, Castrén non dice nulla e le seguenti note sono scaturite dal Kalevala e dalla Mitologia Teutonica di Grimm. «I giganti», afferma Grimm, «si distinguono per astuzia e ferocia dagli stupidi, bonari mostri di Germania e Scandinavia». Soini, ad esempio, un sinonimo di Kullervo, l'eroe di uno degli episodi più tristi del Kalevala, a soli tre giorni di età, strappò le fasce a brandelli. Quando fu venduto a un fabbro della Carelia, gli fu ordinato di accudire un bambino, ma cavò gli occhi del bambino, lo uccise e ne bruciò la culla. Ordinatogli di recintare i campi, costruì una recinzione dalla terra al cielo, utilizzando pini interi e intrecciandone i rami con serpenti velenosi. Richiestogli di pascolare le mandrie nel bosco, sostituì il bestiame con lupi e orsi e condusse questi a casa affinché ne uccidessero la padrona, la quale aveva cotto una pietra in mezzo al suo pane d'avena, spezzandogli il coltello, suo solo ricordo di famiglia.
Per quanto riguarda gli eroi del Kalevala, molte discussioni vi sono state riguardo la loro collocazione nella mitologia finnica. I finni considerano gli eroi principali dell'epica di Suomi, Väinämöinen, Ilmarinen e Lemminkäinen, come discendenti della Vergine Celeste, Ilmatar, fecondata dai venti quando Ilma («aria»), Luce e Acqua erano le sole esistenze materiali. In armonia con questa concezione troviamo, nel Kalevala, una descrizione della nascita di Väinämöinen, o Väinö, come egli è talvolta chiamato nell'originale, con parola probabilmente affine al magiaro ven «vecchio». Gli Estoni considerano questi eroi come figli del Grande Spirito, generato prima che la terra venisse creata e residenti con il loro Signore Supremo in Jumala.
La poesia di un popolo con una tale elaborata mitologia e con un così spiccato e riconoscente senso della natura e dei suoi fenomeni, doveva certamente, prima o poi, attirare l'attenzione degli studiosi. E infatti già nel XVII secolo si incontrano letterati che hanno cercato di raccogliere e interpretare i canti dei finni. Tra questi ci sono stati Palmsköld e Peter Bäng. Essi hanno raccolto parti della poesia nazionale, principalmente incantesimi magici e vari tipi di folklore pagano. Gabriel Maxenius, tuttavia, fu il primo a pubblicare un lavoro sulla poesia nazionale finnica, portando alla luce le bellezze del Kalevala. Apparso nel 1733, col titolo di De effectibus naturalibus, questo libro consisteva in una bizzarra raccolta di poesie finniche in forma lirica, soprattutto incantesimi; ma l'autore mancò completamente di apprezzarle o interpretarle. Non fu in grado di vedere la loro intima connessione con il culto religioso pagano dei finni.
Il successivo a studiare la poesia e la lingua finnica fu Daniel Juslenius, celebre vescovo e studioso molto dotato. In una dissertazione, pubblicata già nel 1700, dal titolo Aboa vetus et nova, discusse l'origine e la natura della lingua finnica, e in un altro suo lavoro, stampato nel 1745, trattò di incantesimi mostrando al tempo stesso una profonda comprensione del folklore finnico e dell'importanza della lingua finnica e della poesia nazionale. Raccolse con grande cura le canzoni dei Suomi, ma la preziosa collezione andò purtroppo bruciata.
Porthan, uno studioso finlandese assai rinomato, nato nel 1766, proseguendo il lavoro di Juslenius accumulò un gran numero di poesie e canzoni nazionali e, grazie al suo profondo entusiasmo per la promozione della letteratura finlandese, poté fondare la Società dei Fennofili, che costituisce tuttora il centro letterario della Finlandia. Tra i suoi allievi vi furono E. Lenqvist e Chr. Ganander, le cui opere sulla mitologia finnica sono state consultate nella preparazione di questa prefazione. A questi infaticabili studiosi si aggiunsero Reinhold Becker e altri, che si misero industriosamente alla ricerca di un numero sempre maggiore di frammenti di quella che evidentemente era una grande epopea finnica. Perché certamente nessuno dei due studiosi appena citati, né i precedenti ricercatori, poterono non accorgersi che i runot che avevano raccolto erano incentrati attorno a due o tre eroi principali, ma soprattutto intorno alla figura centrale di Väinämöinen, l'eroe del poema epico
Il Kalevala propriamente detto fu raccolto da due grandi studiosi finlandesi, Zacharias Topelius e Elias Lönnrot. Entrambi erano medici e in tale veste entravano frequentemente in contatto con la gente del popolo. Topelius, che raccolse ottanta frammenti del Kalevala, trascorse gli ultimi undici anni della sua vita a letto, afflitto da una malattia mortale. Ma questa triste e provante circostanza non smorzò il suo entusiasmo. Questo era il metodo da lui utilizzato per raccogliere i canti: sapendo che i finni russi avevano conservato la maggior parte della poesia nazionale, e che costoro venivano ogni anno nella Finlandia propriamente detta, che a quel tempo non apparteneva alla Russia, invitava questi commercianti finni al suo capezzale e li convinceva a cantare i loro poemi eroici, che trascriveva immediatamente. E, quando sentiva parlare di un noto cantore o menestrello, faceva tutto ciò che era in suo potere per portarlo a casa sua, in modo da raccogliere nuovi frammenti dell'epopea nazionale. Così l'onore di essere stato il primo a raccogliere i frammenti del Kalevala e a salvarli dall'oblio letterario appartiene a Topelius. Nel 1822 egli pubblicò la sua prima raccolta, e nel 1831 l'ultima.
Elias Lönnrot, che portò l'intera opera a un glorioso compimento, nacque il 9 aprile 1802. Entrato all'Università di Turku [Åbo] nel 1822, nel 1832 conseguì il titolo di Dottore in Medicina presso l'Università di Helsinki [Helsingfors]. Dopo la morte di Castrén, nel 1853, Lönnrot divenne professore di lingua e letteratura finniche all'Università, dove rimase fino al 1862, allorché si ritirò dall'attività accademica e si dedicò esclusivamente allo studio della lingua nativa e delle sue produzioni epiche. Il dottor Lönnrot aveva già pubblicato, nel 1827, una tesi sul principale eroe del Kalevala, prima di recarsi a Sava e Karjala per raccogliere canti e frammenti di canti dalle labbra del popolo. Questo lavoro era intitolato De Väinämöine priscorum Fennorum numine. Nel 1828, viaggiò, spingendosi fino a Kajaani, raccogliendo poesie e canti del popolo finnico, sedendo ai focolari degli anziani, remando sui laghi con i pescatori e seguendo le greggi assieme ai pastori. Nel 1829 pubblicò a Helsinki [Helsingfors] un lavoro dal titolo Kanteletar, taikka Suomen kansan vanhoja lauluja ja virsiä («La Lira, o Vecchi e nuovi canti della nazione finlandese»). In un altro lavoro, scritto in svedese, edito nel 1832 con il titolo Om Finnarnes magiska medicin («Della medicina magica dei finni»), egli si soffermò sugli incantesimi, così frequenti nella poesia finlandese e in particolare nel Kalevala. Qualche anno dopo percorse la provincia di Arcangelo e si ingraziò a tal punto la simpatia di quella gente semplice, che costoro lo aiutarono volentieri nella raccolta dei canti. Questi viaggi si svolgevano attraverso acquitrini selvatici, foreste, paludi e pianure gelate, a cavallo, in slitte trainate da renne, in canoa o con altri primitivi mezzi di trasporto. L'entusiasta medico descrisse fedelmente i suoi viaggi e le sue difficoltà in un documento pubblicato in svedese a Helsinki [Helsingfors] nel 1834. Ebbe la fortuna di incontrare un vecchio contadino, uno dei più vecchi runolainen nella provincia russa di Vuokkiniemi, che era di gran lunga il più rinomato cantore del paese, e con la cui morte imminente sarebbero andati irrimediabilmente perduti numerosi e preziosissimi runot.
Il dottor Lönnrot iniziò poi a organizzare il felice risultato dei suoi viaggi per la Finlandia nella concezione di una grande epopea, chiamata Kalevala, e nel febbraio del 1835 il manoscritto fu inviato alla Società Letteraria Finlandese, che lo pubblicò in due parti. Ma Lönnrot non si fermò qui: proseguì la ricerca e la raccolta e, nel 1840, riunì più di mille frammenti di poemi epici, ballate nazionali e proverbi. Li pubblicò in due opere intitolate rispettivamente Il fascino della lira [Kanteletar] e I proverbi del popolo di Suomi [Suomen kansam sanaskuja], il secondo contenente oltre 1700 proverbi, adagi, aforismi e canzoni.
Il suo esempio fu seguito da molti suoi entusiasti connazionali, i più eminenti dei quali furono Castrén, Europæus, Polén e Reinholm. Attraverso le raccolte di questi studiosi furono rese pubbliche così tante parti aggiuntive del tesoro epico finlandese che una nuova edizione del Kalevala divenne presto necessaria. Il compito di vagliare e organizzare il vasto materiale fu nuovamente assegnato al dottor Lönnrot e, nella sua seconda edizione, apparsa nel 1849, il poema, con i suoi cinquanta runot e 22793 versi, aveva raggiunto la sua forma definitiva. Non appena il Kalevala venne pubblicato, attirò subito l'attenzione dei principali studiosi d'Europa. Uomini di fama mondiale come Jacob Grimm, Steinthal, Uhland, Carrière e Max Müller si affrettarono a riconoscerne l'incomparabile valore e l'intrinseca bellezza. Jacob Grimm, in una monografia pubblicata nel suo Kleinere Schriften, dichiarò che la genuinità e il valore straordinario del Kalevala sono facilmente dimostrati dal fatto che dalle sue idee mitologiche siamo spesso in grado di interpretare le concezioni mitologiche degli antichi Germani, mentre i poemi di Ossian manifestano la modernità della loro origine, incapaci come sono di chiarire gli interrogativi sull'antica mitologia sassone o tedesca. Grimm, inoltre, dimostrò che la letteratura sia gotica che islandese mostrassero tratti inequivocabili di un'influenza finnica.

Max Müller pone il Kalevala allo stesso livello dei più grandi poemi epici del mondo. Queste le sue parole: «Dalla bocca degli anziani è stato raccolto un poema epico pari all'Iliade in lunghezza e completezza; anzi, se riusciamo a dimenticare per un momento tutto ciò che in gioventù abbiamo imparato a chiamare bello, non meno bello. Un finno non è un greco, e Väinämöinen non era un Omero [Achille?], ma se il poeta può prendere i suoi colori dalla natura che lo circonda, se può raffigurare gli uomini con i quali vive, il Kalevala possiede meriti non dissimili da quelli dell'Iliade, e rivendicherà il suo posto come il quinto poema epico nazionale del mondo, fianco a fianco con i poemi ionici, con il Māhabhārata, il Libro dei re e il Canto dei Nibelunghi».

Steinthal riconosce solo quattro grandi poemi epici nazionali, vale a dire l'Iliade, il Kalevala, il Canto dei Nibelunghi e la Canzone di Rolando.
Il Kalevala descrive la natura finnico in modo minuzioso e bellissimo. Grimm afferma che nessun poema può essergli avvicinato sotto questo aspetto, tranne alcuni poemi epici dell'India. È stato tradotto in numerose lingue europee: in svedese da Alexander Castrén nel 1844, in prosa francese da Léouzon Le Duc nel 1845, in tedesco da Anton Schiefner nel 1852, in ungherese da Ferdinand Barna nel 1871, e una piccola parte di esso – la leggenda di Aino – in inglese, nel 1868, dal defunto professor John A. Porter, dell'Università di Yale. Sarà motivo di eterno rammarico per gli anglofoni che la vita del professor Porter non sia potuta essere risparmiata per permettergli di completare la grande opera che aveva iniziato in modo così bello.
Alcune delle prove più convincenti della genuinità e antichità del Kalevala sono state fornite dal traduttore ungherese. Gli ungheresi, come è noto, sono strettamente imparentati con i finni, e la loro lingua, il dialetto magiaro, ha le stesse caratteristiche distintive della lingua finlandese. La traduzione di Barna, di conseguenza, è la più fedele all'originale. Per dimostrare la genuinità e antichità del Kalevala, Barna cita un libro ungherese scritto da un certo Peter Bornemissza nel 1578, intitolato Degli spettri satanici [Ördögi kísértetekről], la sola copia del quale egli trovò nella biblioteca dell'Università di Budapest. In questo libro Bornemissza raccolse tutti gli incantesimi [ráolvasások] in uso tra i contadini ungheresi del suo tempo per combattere malattie e sventure. Questi incantesimi, formatisi nel ceppo comune di tutti i popoli ugrici, di cui i finni e gli ungheresi sono due ramificazioni, mostrano una più che soddisfacente somiglianza con i numerosi incantesimi utilizzati nel Kalevala per gli stessi scopi. Barna pubblicò un elaborato trattato su questo tema, apparso nel 1870 presso il Dipartimento di Filologia dell'Accademia Ungherese delle Scienze. Ancora, nel 1868, ventidue opere ungheresi risalenti al 1616-1660 vennero ritrovate nella Hegyalja, dove viene prodotto il celebre vino Tokaj, e inviate all'Accademia Ungherese delle Scienze. Questi documenti contenevano diversi contratti per la vendita di vigneti, e alla fine di ogni atto era detto essere vuotato da entrambe le parti il consueto calice di vino. Questo calice di vino era definito negli atti «coppa di Ukkon». Ukko, tuttavia, è il capo degli dèi nella mitologia finnica, e quindi la coincidenza del magiaro Ukkon e del finnico Ukko viene posta al di là di ogni dubbio.
Il Kalevala («Terra degli eroi») narra dei mutevoli contrasti tra i finni e gli «scuri» lapponi, così come l'Iliade racconta dei contrasti tra i greci e i troiani. Castrén è del parere che l'inimicizia tra finni e lapponi fosse già cantata molto prima che i finni lasciassero la loro terra d'origine in Asia.
Un più profondo e recondito significato del Kalevala, invece, indica un confronto tra Luce e Tenebre, Bene e Male; i finni rappresentano la Luce e il Bene, e i Lapponi le Tenebre e il Male. Come i Nibelunghi, gli eroi finni corteggiano le fanciulle del nord, e la somiglianza è resa ancora più evidente dalle loro frequenti incursioni nel paese dei Lapponi per entrare in possesso dell'invidiato tesoro della Lapponia, il misterioso Sampo, evidentemente il Vello d'Oro della spedizione degli Argonauti. Curiosamente, l'opinione pubblica è spesso espressa nei runot usando le parole di un infante; e spesso l'imprevisto è introdotto alla maniera dei drammi greci: da un bambino piccolo o da un uomo anziano.
L'intera poesia è carica del più affascinante folklore circa i misteri della natura, l'origine delle cose, gli enigmi delle tribolazioni umane e, come si addice al carattere di un'epopea nazionale, rappresenta non solo la poesia, ma l'intera saggezza ed esperienza di una nazione. Tra le altre cose, vi è un tratto profondamente filosofico nel poema, indicativo di una profonda conoscenza del funzionamento della mente umana e delle forze della natura. Ogni volta che uno degli eroi del Kalevala intende superare la potenza aggressiva di una forza maligna, come una ferita, una malattia, una bestia feroce o un serpente velenoso, egli raggiunge il suo scopo cantando l'origine della forza nemica. Il pensiero alla base di questa idea è evidentemente che tutto il male potrebbe essere eliminato se solo conoscessimo da dove e come è venuto.
I numerosi miti del poema sono altrettanto pieni di significato e di bellezza, e il Kalevala andrebbe letto tra le righe per poter comprendere appieno il significato di questa grande epopea. Anche un odioso personaggio come Kullervo è ricco di significato, mostrando l'incorreggibilità del male radicato. Questa leggenda, come tutte le altre presenti nel poema, ha le sue interpretazioni nascoste. Il Kalevala, forse più di ogni altro, utilizza il simbolismo in superficie per indicare alla mente le sottostanti, fulgide gemme di verità.
I tre personaggi principali, Väinämöinen, l'antico cantore, Ilmarinen, l'eterno fabbro, e Lemminkäinen, l'intrepido mago, come già accennato sono concepiti come esseri di origine divina. In effetti, i personaggi che agiscono nel Kalevala sono per la maggior parte esseri sovrumani e magici. Perfino i protagonisti femminili sono maghe potenti, e la signora di Pohjola, soprattutto, fronteggia il potere di tutti gli incantatori di Väinölä messi assieme. Il potere della magia è una caratteristica notevole del poema. Qui, come nelle leggende di nessun altro popolo, gli eroi e i semidei realizzano quasi tutto con la magia. Le canzoni di Väinämöinen disarmano i suoi avversari; calmano il mare arrabbiato; dànno calore al nuovo sole e alla nuova luna che suo fratello, Ilmarinen, forgia da metalli magici; dànno vita alla sposa di Ilmarinen, che «l'eterno artista dei metalli» forgia con oro, argento e rame. In effetti siamo in mezzo a un popolo che attribuisce a tutto vita e attributi umani e divini. Uccelli, bestie, pesci e serpenti, così come il Sole, la Luna, l'Orsa Maggiore e le stelle, sono amichevoli oppure ostili. Gocce di sangue acquistano la parola; uomini e fanciulle assumono altre forme per riprendere nuovamente la loro forma originale a volontà; navi, alberi e acque hanno poteri magici; in breve, tutta la natura parla lingue umane.
Il Kalevala è estremamente antico. Una delle ragioni per ritenerlo, sta nel silenzio del Kalevala circa i vicini russi, tedeschi o svedesi. Ciò evidentemente dimostra che il poema deve essere stato composto in un tempo in cui queste nazioni avevano pochi o nessun rapporto con i finni. La coincidenza tra gli incantesimi, indicata sopra, dimostra che questi canti magici risalgono a un'epoca in cui ungheresi e finni erano ancora fusi in un solo popolo, in altre parole, a un tempo di almeno tremila anni fa. L'intero poema non mostra alcun importante segno di influenza straniera ed è in tutto un'epopea profondamente pagana. Ci sono ottime ragioni per ritenere che la storia di Marjatta, recitata nel cinquantesimo runo, sia una leggenda pre-cristiana.
Un'ulteriore prova dell'originalità e della nascita indipendente del Kalevala si trova nel suo metro. Tutte le poesie genuine devono avere il proprio verso peculiare, come i fiocchi di neve non possono esistere senza le loro particolari cristallizzazioni. Così l'Iliade è inseparabilmente unita e, per così dire, immersa nel solenne esametro, e l'epica francese nell'elegante verso alessandrino. Il metro del Kalevala è il trocaico a otto sillabe, che è il verso caratteristico dei finni. La parlata naturale di questo popolo è poesia. I giovani e le fanciulle, gli anziani e le matrone, nei loro scambi di idee, finiscono per parlare involontariamente in versi. Il genio della loro lingua aiuta in tal senso, in quanto le loro parole sono fortemente trocaiche.
Questo metro meravigliosamente versatile consente di mantenere il giusto mezzo tra il solenne, quasi arrogante esametro, e i metri più brevi delle liriche. I suoi piedi sono agili e fluenti, ma al tempo stesso pieni di vigore ed espressività. In più, il Kalevala utilizza l'allitterazione e varia quindi il ritmo del tempo con il ritmo del suono. È un metro particolarmente adatto per le numerose espressioni di affetto di cui l'epopea finnica abbonda. Sono soprattutto l'amore della madre per i figli, e l'amore dei figli per la madre, che trovano frequente e tenera espressione nei versi musicali del Kalevala. La traduzione svedese di Castrén, quella tedesca di Schiefner e quella ungherese di Barna, così come la seguente traduzione in lingua inglese (8), sono nel metro originale del Kalevala.
Per dimostrare che questo peculiare e affascinante stile di versi è di origine molto antica, le righe seguenti sono state accuratamente copiate dalla prima edizione in finlandese del Kalevala, come raccolto dal dottor Lönnrot e pubblicato nel 1835 a Helsinki [Helsingfors]; la citazione parte dal verso 150 del secondo runo:
Louhi Pohjolan emanta
Sanan wirkko, noin nimesi:
«Niin mita minulleannat,
Kun saatan omille maille,
Oman pellon pientarelle,
Oman pihan rikkasille?»
Sano wanha Wainamoinen:
«Mitapa kysyt minulta,
Kun saatat omille maille,
Oman kaën kukkumille,
Oman kukon kukkluwille,
Oman saunan lampimille?»
Sano Pohjolan emanta:
«Ohoh wiisas Wainamoinen!
Taiatko takoa sammon,
Kirjokannen kirjaëlla,
Yhen joukkosen sulasta,
Yhen willan kylkyesta,
Yhen otrasen jywasta,
Yhen warttinan muruista.»
Per quanto riguarda l'architettura, il Kalevala si trova a metà strada tra le ballate epiche dei Serbi e la struttura puramente epica dell'Iliade. Sebbene sia un corpo continuo, contiene molte parti quasi indipendenti, come la sfida di Joukahainen, l'episodio di Kullervo e la leggenda di Marjatta.
Questo poema epico dei Suomi, tramandato oralmente dall'età mitica a oggi e mantenuto in vita da una generazione all'altra di cantori, è considerato dai maggiori linguisti come uno dei più preziosi contributi alla letteratura mondiale dal tempo di Milton e dei classici tedeschi.
Vengono qui dati riconoscimenti per le seguenti fonti di informazioni utilizzate per la preparazione del presente lavoro: al De Superstitione veterum Fennorum theoretica et practica di E. Lenqvist; al Mythologia Fennica di Chr. Ganander; al De Väinämöine di Becker; agli Oxford Essays di Max Müller; al Selections from the Kalevala del prof. John A. Porter; agli scritti dei fratelli Grimm; al Native Races of the Russian Empire di Latham; alle traduzioni del Kalevala di Alex. Castrén, Anton Schieffier, Léouzon Le Duc e Ferdinand Barna; e specialmente agli eccellenti trattati sul Kalevala e sulla mitologia dei finni di Mace Da Charda e Alexander Castrén; alla professoressa Heléna Klingner, di Cincinnati, linguista di prim'ordine, che ha confrontato molto coscienziosamente il manoscritto con la traduzione tedesca del Kalevala di Anton Schiefner; al dottor Emil Reich, ungherese, studioso delle lingue ugriche che, in modo assolutamente approfondito, ha confrontato questa traduzione con quella ungherese di Ferdinand Barna, e che, familiare agli usi, costumi e nozioni religiose dei finni, ha fornito molto materiale prezioso usato nella preparazione di questa prefazione; e, infine, al prof. Thomas C. Porter del Lafayette College, che è diventato un'autorità sul Kalevala attraverso molti anni di ricerche, aiutato da una lunga e intima conoscenza del prof. A. F. Soldan, finlandese di nascita, amante entusiasta del suo Paese, insigne studioso, poliglotta, e un tempo a capo della Zecca Imperiale a Helsinki [Helsingfors], capitale di Finlandia. Il prof. Porter ha molto gentilmente affidato all'autore di queste pagine tutta la letteratura su questo tema in suo possesso, compresi i propri scritti; ha assistito alla crescita di questa traduzione con inconsueto interesse e, con l'occhio dello studioso e del poeta dotato, ha svolto due esami attenti e critici di tutto il manoscritto, facendo annotazioni, emendamenti e correzioni, dalle quali questo lavoro è stato notevolmente migliorato.
Con questa lunga introduzione, la prima traduzione in inglese del Kalevala, con le sue numerose imperfezioni, è non senza esitazione data al pubblico.

John Martin Crawford
1 Ottobre 1887

 

NOTE DEL TRADUTTORE
 

(1) ― «Terra delle paludi».RITORNA

(2) ― Crawford riporta alcuni nomi di città come Helsingfors o Åbo unicamente in svedese. In traduzione li abbiamo invece riportati in finlandese con la dizione svedese tra parentesi quadre: quindi Helsinki [Helsingfors] o Turku [Åbo]. RITORNA

(3) ― Per «Ariani» si intendono ovviamente qui i popoli appartenenti alla famiglia linguistica indoeuropea. L'ipotesi, qui suggerita, di una possibile relazione tra costoro e i popoli finnici, non ha avuto séguito. RITORNA

(4) ― Si intende qui, in realtà, quella che oggi viene chiamata famiglia linguistica ugrofinnica, a sua volta divisa in due rami: ugrico, di cui fa parte l'ungherese, e finnopermico, di cui fanno parte finlandese, estone e lappone. RITORNA

(5) ― La cosiddetta «armonia vocalica», meglio spiegata qui [VEDI]. RITORNA

(6) ― Sono invece, per nostra fortuna, facilmente resi in italiano. RITORNA

(7) ― Nove nella versione di Crawford. RITORNA

(8) ― E quella italiana di Pavolini, presentata in questo sito. RITORNA

 

Mi sono permesso alcune correzioni e variazioni. Ho corretto un paio di evidenti errori di battitura («fall» anziché full, «axe» anziché are) e normalizzato la punteggiatura per renderla più consona all'italiano moderno (per esempio, Crawford utilizza spesso il punto e virgola in luogo dei due punti). Ho corretto la data di morte di Castrén, che alcune versioni di questo testo riportavano errata (1850 anziché 1853). Anche l'ortografia di termini, nomi e titoli finlandesi e svedesi era a volte errata, evidentemente perché importata con un programma di lettura. Ad esempio il titolo della tesi di Lönnrot era qui «Om Finnarues magiska medicin» invece di Om Finnarnes, e via dicendo.

Ho convertito le misure anglosassoni in misure decimali. Analogamente, il valore della temperatura media nel nord (secondo paragrafo) veniva riportata nel testo 270°F!: ho supposto che lo zero fosse un errore di battitura e il valore corretto fosse 27°F

Per molti nomi Crawford utilizza una grafia differente rispetto a quella finlandese finlandese moderna; ho ritenuto pertanto opportuno ripristinare quest'ultima (eccetto nella citazione della prima edizione finlandese). Questo è l'elenco dei nomi, fra parentesi ho indicato la grafia usata da Crawford (così come riscontrata nel pdf della terza edizione Robert Blake Company):

Lemminkäinen
Väinämöinen
Väinö
Joukahainen
Kullervo
Hiisi
Päivä
Tähti
Otava
Pohjola
Marjatta
Tuoni
Vellamo
Vetehinen
Maa-emä
Virokannas
Nyyrikki
Juutas
Syöjätär
Väinölä
Vipunen
Hyvää emäntä
Loviatar
Tonttu
Kirkonväki
Mehiläinen
  Lemminkainen
Wainamoinen
Vaino
Youkahainen
Kullerwoinen
Hisi
Pæivæ/Pœivœ
Tæhti/Taehti
Ottava
Pohyola
Mariatta
Tuoui/Tuoni
Wellamo
Wetehilien
Maa-emæ
Wirokannas
Nyrikki
Juntas/Jutas/Juutas
Suoyatar
Wainola
Wipunen
Hyva emanta
Lowyatar
Tontu/Tonttu
Kirkonwæki/Kirkonwœki
Mehilainen

BIBLIOGRAFIA

  • AGRATI Gabriella & MAGINI Maria Letizia [introduzione]: Kalévala: Miti incantesimi eroi. Mondadori, Milano 1988.
  • CRAWFORD John Martin [traduzione inglese e note]: The Kalevala: Epic Poem of Finland. Robert Blake Company, Cincinnati 1888.
  • LÖNNROT Elias: (Vanha) Kalevala. Helsinki 1835.
  • LÖNNROT Elias: (Uusi) Kalevala. Helsinki, 1849, 1887.
  • PAVOLINI Paolo Emilio [traduzione italiana e note]: Kalevala: Poema nazionale finnico. Remo Sandron, Milano 1910.
  • PAVOLINI Paolo Emilio [traduzione italiana e note]: Kalevala: Poema nazionale finnico (Ed. ridotta). Sansoni, Milano 1935.
Biblioteca - Guglielmo da Baskerville.
Area Finnica - Vaka Vanha Väinö.
Prefazione di John Martin Crawford alla traduzione inglese del Kalevala (1888)
Traduzione di Emanuele Rusconi.
Pagina originale: 21.03.2008
Ultima modifica: 28.02.2017
 
POSTA
© BIFRÖST
Tutti i diritti riservati