I - UN PO' D'ORDINE: STADI COSMOGONICI E
TEOGONICI Composta tra l'VIII e il VII
sec. a.C., la
Theogonía di Hēsíodos è
il più antico poema mitologico che ci sia pervenuto dalla Grecia arcaica. Alle
sue spalle vi sono soltanto i due grandi poemi epici, l'Iliás
e l'Odýsseia. Anzi, dato il carattere
semi-mitico di Hómēros, Hēsíodos è il primo poeta storico della letteratura greca
e, quindi, dell'intera
letteratura occidentale. Sicuramente è il primo autore che lascia trasparire una propria personalità all'interno
della sua opera.
Ciò non significa che la
Theogonía si ponga come un
unicum dinanzi al nulla. Sicuramente anche l'opera di Hēsíodos è il
risultato di una lunga elaborazione mitologica. Sappiamo che la Grecia arcaica
conosceva un cospicuo
numero di altri racconti delle origini, e conosciamo addirittura i titoli di
altre opere, come la
Titanomakhía di Eúmēlos di Kórinthos,
contemporaneo di Hēsíodos, nel quale si forniva un'altra versione del racconto cosmogonico;
o come le Genealogíes di
Akousílaos (VI sec. a.C.), che prendeva l'avvio da una teogonia prosastica
dipendente, a quanto pare, da quella di Hēsíodos.
Vi erano inoltre le cosmogonie
prodotte dai vari gruppi iniziatici e, tra quelle di matrice orfica, la tarda
antichità ne distingueva almeno tre: la teogonia tramandata da Eúdēmos di
Rhódos (±370-±300 a.C.), discepolo di
Aristotélēs; quella cosiddetta di Ierṓnymos ed Hellánikos, di cui possediamo un
breve sunto tramandatoci dal filosofo bizantino Damáskios (±480-±550); e la
cosiddetta «teogonia rapsodica», poema strutturato in ventiquattro rapsodie,
interpretato in ambito neoplatonico (Reale
2011).
Nel suo discorso sulla pietà religiosa, il filosofo Philódēmos di Gádara (±110-35 a.C.)
tradisce un po' di confusione, cercando di fare il punto tra le varie tradizioni
cosmogoniche:
Em mén tisin ek Nyktòs kaì Tartárou
légetai tá pánta, en dé tisin ek Háidou kaì
Aithéros, ho dè tḕn Titanomakhían grápsas
ex Aithéros phēsín, Akousílaos d' ek Kháous
prṓtou tâlla en dè toîs anapheroménois eis
Mousaîon gégraptai Tártaron prōton kaì Nýkta
kaì tríton Aéra gegonénai. |
In alcune fonti si dice che tutte le cose derivano da
Nýx e da
Tártaros, in altre invece che derivano da
Hádēs e da Aithḗr.
L'autore della Titanomakhía [Eúmēlos di
Kórinthos] afferma che le altre cose discendono da
Aithḗr, mentre Akousílaos dice che il
primo da cui discendono è Kháos. Nelle poesie attribuite a
Mousaîos sta scritto che dapprima ci furono
Tártaros e
Nýx, e per
terzo Aér |
Philódēmos:
Perí
Eusebeías [137: 5] |
Tutte queste opere sono andate perdute, a parte pochi
frammenti e citazioni tramandati da autori posteriori. A noi sono
arrivati solo echi dai confini
indefiniti, entro cui è impossibile individuale delle linee evolutive.
(Guidorizzi 2000)
La
Theogonía
di Hēsíodos è insomma l'unica cosmogonia che ci sia pervenuta integralmente dalla
Grecia arcaica, l'unica che ci riporti un sistema mitologico dettagliato e coerente.
Gli
elementi che ci fornisce, e che sono alla base di un'immensa letteratura, sono
senza prezzo ai fini della nostra ricostruzione del più antico pensiero
mitologico ellenico.
Nel ripercorrere le genealogie divine e le lotte sostenute dalle più antiche divinità per la supremazia
sull'universo, Hēsíodos narra con quali mezzi e con quali alleati Zeús sia riuscito ad ottenere il potere
supremo, potere che conferisce l'attuale fondamento all'ordine del mondo e ne
garantisce la continuità. Nel celebrare l'ordine cosmico, la
Theogonía
ordina le potenze divine, ne traccia le complessa genealogie, ne definisce i
ruoli nel lungo processo creativo del kósmos. E così facendo, sistemando
e rielaborando una materia immensa, di cui segue con precisione meticolosa
centinaia di fili a volte provenienti da tradizioni tra loro lontanissime, Hēsíodos ha
fissato il discorso cosmo-teogonico.
Sicuramente il pensiero di Hēsíodos ha influenzato le ricerche sull'arkhé dei
filosofi successivi, ma sarebbe errato leggerlo facendo riferimento ai sistemi
filosofici elaborati a posteriori, in quanto essi presuppongono modi di ragionamento diversi da quelli della poesia. Lo sforzo di Hēsíodos
si esplica su un piano essenzialmente mitico e utilizza una logica diversa da
quella della filosofia. È un pensiero a un tempo astratto e sistematico, poetico
e narrativo, tradizionale e personale. (Vernant 1981¹)
Per quanto Hēsíodos non tracci suddivisioni precise e, anzi, proceda fondendo
l'evocazione poetica e più dettagliate istanze di pura
erudizione mitologica, possiamo suddividere la prima parte della sua cosmo-teogonia in più stadi:
- Caos. Il vuoto abissale delle origini [Kháos].
- Cosmogenesi. Formazione della terra [G]
e degli inferi [Tártaros]; nascita del cielo [Ouranós]
e del mare [Póntos].
- Erogenesi. Generazione del principio
dell'amore [Érōs].
- Passaggio dal buio alla luce. Generazione delle tenebre [Érebos]
e della notte [Nýx]. Quindi, dalla loro unione, l'etere
luminoso [Aithḗr]
e il giorno [Hēméra].
- La stirpe di Ouranós. Sono i discendenti di
G e Ouranós. Ekatóŋkheires,
Kýklōpes e
Titânes. A questi possiamo associare la
seconda generazione dei
Titânes.
- Emanazioni di Ouranós. Sono gli esseri generati dal
sangue di Ouranós dopo la sua evirazione: le Erinýes,
i Gígantes
e le
Melíades,
a cui si può associare la dea Aphrodítē,
principio dell'amore, nata dallo sperma del dio, sparso in mare.
- Emanazioni di Nýx ed Éris. Sono i figli di
Nýx, perlopiù personificazioni astratte: il fato [Móros],
la sventura [Kḗr], la morte
[Thánatos], il sonno
[Hýpnos], il biasimo
[Mmos], la miseria [Oïzýs], la vendetta [Némesis],
l'inganno [Apátē],
l'amicizia [Philótes],
la vecchiaia [Gras],
la discordia [Éris]. A questi si
aggiungono i figli di Éris: la pena
[Pónos], l'oblio [Lḗthē],
la fame [Limós], i dolori [Álgoi],
le lotte [Hysmínai], le battaglie [Mâkhai],
i delitti [Phónoi], gli omicidi [Androktasíai], la contesa
[Neîkos], la menzogna
[Pseûdos], i discorsi retti [Lógoi],
i discorsi ambigui [Amphilógoi], l'anarchia [Disnomía],
l'illusione [Átē], il giuramento [Hórkos], le
Hesperídes e le
Kres.
- La stirpe di Póntos. Sono i discendenti di
G e Póntos, esseri e creature legate al mare.
Nella loro discendenza vi sono esseri mostruosi ed eversivi, alcuni tra i più
feroci avversari degli dèi e degli eroi.
- La stirpe di Krónos. Sono i figli di Krónos e
Rhéa: Hestía,
Dēmḗtēr, Hḗra,
Hádēs, Poseidn e
Zeús.
|
II - COSMOGENESI ESIODEA La cosmogenesi tracciata da
Hēsíodos prende le sue mosse dal Kháos,
il vuoto abissale delle origini. La prima parte del suo racconto è tutto un rapido susseguirsi
di successive generazioni, man mano che gli elementi cosmici si originano
spontaneamente dal Kháos, per generare a cascata tutti gli elementi
dell'universo.
Ma diamo la parola a Hēsíodos:
toi mèn prṓtista
Kháos
génet’, autar épeita
Gaî’ eurýsternos, pántōn hédos asphalès aieì
athanátōn, hoì ékhousi kárē niphóentos
Olýmpou,
Tártará t’ ēeróenta mykhōı khthonòs
euryodeíēs,
ēd’ Éros, hòs kállistos en athanátoisi
theoîsi,
lysimelḗs, pántōn dè then pántōn t’
anthrṓpōn
dámnatai en stḗthessi nóon kaì epíphrona
boulḗn.
Ek Kháeos d’ Érebós te mélainá te Nỳx
egénonto;
Nyktòs d’ aût’ Aithḗr te kaì Hēmérē
exegénonto,
hoùs téke kysaménē Erébei philótēti migeîsa. |
Dunque per primo fu il Kháos; e dopo
G dall'ampio petto,
sede perenne e sicura di tutti
gli immortali che possiedono la cima nevosa dell'Olýmpos,
e
Tártaros nebbioso
nei recessi della terra dalle ampie vie,
poi Érōs, il più bello di tutti gli
immortali,
che rompe le membra e doma nel petto ogni volontà
e ogni saggio consiglio di tutti gli uomini e gli dèi.
Dal Kháos nacquero
Érebos
e la nera Nýx; da Nýx
provennero
Aithḗr e Hēméra, che lei concepì unita in amore con Érebos. |
Hēsíodos:
Theogonía
[-] |
Le relazioni delineate in questa prima
cosmogonia appaiono piuttosto attente e meditate. Per primo il
vuoto,
Kháos, che Hēsíodos
pone all'inizio di ogni cosa. Da esso, egli fa sorgere
spontaneamente
G e Tártaros, e subito
dopo
Éros.
Poi, Érebos
e Nýx.
Questi possono essere chiamati prōtógonoi, i «primi
nati».
G e Tártaros
sono tra loro in relazione dicotomica: la
terra dei vivi e la terra dei morti. Érebos
e Nýx si muovono invece
su un unico ordine di idee, rappresentando rispettivamente
le tenebre dell'abisso e il buio della notte.
Nell'ambito di questa formazione di entità cosmiche e oscure,
il luminoso e gentile Érōs dà
l'impressione di una presenza estranea. In realtà, l'amore è elemento necessario
per la prosecuzione delle generazioni divine. Se le prime nascite procedevano
per partenogenesi, Éros introduce
l'accoppiamento, la mediazione tra i sessi. È solo dopo la nascita di Érōs che avviene il primo congiungimento carnale. Érebos
e Nýx, uniti in amore,
generano Aithḗr ed
Hēméra, segnando una nuova tappa nella progressione dal buio alla luce.
Nel seguito del testo,
G
genererà
Ouranós
e
Póntos, per poi
unirsi a loro e proseguire il discorso teogonico.
|
III -
SPECULAZIONI SUL KHÁOS
Kháos compare alle origini stesse della poesia
mitologica, nella
Theogonía di Hēsíodos, come
punto di partenza di ogni cosa:
toi mèn prṓtista
Kháos
génet’ |
Dunque per primo fu il Kháos... |
Hēsíodos:
Theogonía [] |
Ma Hēsíodos non descrive questo
stato primordiale. Kháos non è qualcosa da
spiegare, non è una situazione su cui sia possibile fornire
dettagli. Anzi, si ha una percezione del
Kháos solo quando
l'immobilità originale viene spezzata dalla rottura operata
dalla creazione, allorché i primi princìpi individualizzati
si estrapolano spontaneamente dal fondo caotico, assumendo la loro identità.
In Hēsíodos, i prōtógonoi sono:
G,
Tártaros,
Éros,
Nýx
ed Érebos.
Detto questo, è altrettanto forzoso definire Kháos, come hanno fatto alcuni
interpreti moderni, come il «non-essere» che si oppone all'«essere»
(Fränkel 1951). Simili speculazioni appartengono a
una metafisica lontana dal pensiero mitico e, applicarla a Hēsíodos, vuol
dire forzarne il testo dal punto di vista concettuale.
Il guaio è che non abbiamo molti appigli per definire cosa sia Kháos per Hēsíodos, a parte la
stessa etimologia del termine, che è da connettere con il greco khásma
«apertura, voragine» (cfr. khaínō «aperto,
spalancato»). Si tratta di un vuoto, di un abisso oscuro e senza limiti. Jean-Pierre Vernant lo definisce «un punto di caduta, di vertigine e di
confusione, un precipizio senza fine, senza fondo. Si viene ghermiti da Kháos come dall'apertura di fauci immense in cui tutto può essere ingoiato e confuso
in un'unica notte indistinta» (Vernant 1999).
È arduo tuttavia definire Kháos in termini di «spazio»,
tanto più che questa componente del kósmos verrà introdotta da Hēsíodos
soltanto più tardi, quando il dio-cielo Ouranós
verrà strappato lontano dalla dea-terra
G. L'evirazione di
Ouranós romperà l'immobilità primordiale creando, a
un tempo, lo spazio e il tempo. Ma Kháos non è un vero «spazio»;
almeno non lo è in termini fisici: non ha dimensioni né direzioni. Per
comprendere cosa sia Kháos, occorre situarlo nei suoi
rapporti di opposizione e complementarità con
G, espressi nella formula:
toi mèn prṓtista
Kháos
génet’, autàr épeita
Gaî eurýsternos... |
Dunque per primo fu il Kháos; e dopo
G dall'ampio petto... |
Hēsíodos:
Theogonía [-] |
Kháos è non è soltanto una
voragine senza inizio e senza fine: è assenza di forma, di
massa, di pienezza. A sua differenza,
G ha una massa, una forma,
una struttura; è una base solida su cui appoggiarsi e
camminare, e presenta valli, montagne e cavità sotterranee.
G non è soltanto il mondo
in quanto «luogo», ma la madre di tutti gli esseri viventi,
la progenitrice di quanto esiste, e giustamente
Hēsíodos la
presenta definendolo subito «sede sicura per sempre degli
immortali»
(Theogonía [-]). Al contrario, Kháos incapace di confrontarsi
con qualcosa di diverso da lui, ed Hēsíodos non sembra
attribuirgli neppure una coscienza. Sicuramente è privo di
attività generativa o demiurgica. G,
Tártaros,
Érōs,
Érebos
e Nýx ne sono scaturiti
spontaneamente, in virtù di una loro forza ontologica
interna.
Ma Kháos si oppone anche a
Tártaros, e questa è
una distinzione ancora più interessante, in quanto già Hēsíodos definisce
quest'ultimo come un «abisso profondo» [méga khásma], tanto che vi si
potrebbe precipitare per un anno, trascinati da venti tempestosi, senza mai
raggiungerne il fondo
(Theogonía [-]).
Tártaros è a sua
volta un abisso, ma un abisso strutturato, dotato di determinate
caratteristiche, percepibile in termini spazio-temporali. Kháos non è nulla di tutto
questo. Non opponendosi a null'altro, Kháos non può essere definito in
alcun modo, e infatti Hēsíodos non lo fa. E non appena compaiono i prōtógonoi, Kháos sparisce dalla scena.
Ma da dove deriva la concezione esiodea di Kháos? Forse non dobbiamo
fidarci troppo dell'affermazione di Damáskios, il quale scrive, nel suo
libro sui princìpi primi di tutte le cose: «Quanto a Hēsíodos, mi sembra essere stato il primo a
considerare il Kháos, a chiamare
Kháos la natura inafferrabile dell'oggetto
dell'intuizione e compiutamente unificata, e ad aver poi posto accanto a esso la terra
G, come principio dell'intera
generazione degli dèi» (Aporíai kaì lýseis perì tn prōtṓn
arkhn [123 bis]). Ma Kháos non
sembra un'invenzione di Hēsíodos. Al contrario, sembra derivato da un pensiero
mitico assai più antico, nel quale l'universo primordiale era visto come un immenso abisso vuoto. Basti pensare che la correlazione tra il
Kháos e il
Ginnungagap, il «vuoto spalancato» che nel mito norreno precede
l'organizzazione del cosmo, è definita anche in senso etimologico (gap e
khásma sono corradicali, da un proto-indoeuropeo *GʰEN).
È solo con le speculazioni filosofiche successive
che comincia a comparire l'idea che Kháos non fosse
un vuoto abissale, ma uno stato differente, lo spazio come puro ricettacolo,
l'astrazione acorporea dello spazio o, come vorranno gli
Stoici, uno stato di disordine primordiale, in cui si trovavano – in
uno stato di potenzialità indistinta – i semi di tutte le cose
(Vernant 1981¹). In tal senso,
kháos acquisterà
il suo pieno significato solo in opposizione alla
nozione di kósmos, termine
con il quale già i Pitagorici o Parmenídēs designavano il mondo in quanto ordine, compiutezza,
determinatezza. Il kósmos era
distinzione di elementi, ordine matematico,
precisione astronomica; era sia la struttura
cosmologica dell'universo, sia le leggi che
governavano la società umana. Nel kósmos tutte le cose godevano
della loro natura specifica. Al contrario, il kháos era
l'indeterminatezza, la confusione, la mancanza di
identità. Nel kháos tutte le
cose già erano presenti in potenza, ma
è solo nel kósmos che
acquistavano forma distinta e contingente.
Questo concetto posteriore di Kháos
verrà messo a fuoco, in un opportuno contesto mitologico, in età romana.
Il brillante poeta Ovidius (43 a.C. – 17/18 d.C.) principia la sua scintillante rassegna di
metamorfosi proprio con la prima di tutte le
trasformazioni, quella dal kháos in kósmos.
Ante mare et terras et quod tegit omnia
caelum
unus erat toto naturae vultus in orbe,
quem dixere chaos: rudis indigestaque moles
nec quicquam nisi pondus iners congestaque
eodem
non bene iunctarum discordia semina rerum.
nullus adhuc mundo praebebat lumina Titan,
nec nova crescendo reparabat cornua Phoebe,
nec circumfuso pendebat in aere tellus
ponderibus librata suis, nec bracchia longo
margine terrarum porrexerat Amphitrite;
utque erat et tellus illic et pontus et aer,
sic erat instabilis tellus, innabilis unda,
lucis egens aer; nulli sua forma manebat,
obstabatque aliis aliud, quia corpore in uno
frigida pugnabant calidis, umentia siccis,
mollia cum duris, sine pondere, habentia
pondus. |
Prima del mare e
della terra e del cielo che tutto
ricopre, unico e indistinto era
l'aspetto della natura in tutto
l'universo, e lo dissero caos, mole
informa e confusa, nient'altro che peso
inerte, ammasso di germi discordi di
cose mal combinate. Nessun titano
ancora donava al mondo la luce,
Né Phoebe ricolmava crescendo la
sua falce, né la terra, trovato
il proprio equilibrio, stava immensa e
sospesa nell'aria, né Amphitrite
aveva proteso le braccia a ricingere i
lunghi orli della terraferma. E per
quanto lì ci fosse la terra, il
mare e l'aria, instabile era la terra,
non navigabile l'onda, l'aria priva di
luce: nulla riusciva a mantenere una
sua forma, ogni cosa contrastava le
altre, poiché nello stesso corpo
il freddo lottava col caldo, l'umido
con l'asciutto, il molle col duro, il
peso con l'assenza di peso. |
Publius Ovidius Naso:
Metamorfosi [I:
-] |
Secondo
Ovidius, nella caotica primordialità
già esistevano terra e mare e aria, ma non avevano quelle
caratteristiche che le distinguono, che ne definiscono la
rispettiva natura. La terra era instabile, l'onda non
navigabile, priva di luce l'aria. Nessuna cosa poteva dirsi
calda o fredda, umida o asciutta, molle o dura.
Ovidius sembra avere un'idea quasi teologica del
Kháos. La creazione dell'universo, a opera di un non
precisato dio con capacità demiurgiche,
sarebbe stata in
Ovidius proprio un districamento di tutti gli
elementi dalla loro mescolanza primordiale, così che
ciascuna cosa avrebbe finito con l'acquistare la propria
identità e diventare come noi oggi la conosciamo.
Hanc deus et melior litem natura diremit.
nam caelo terras et terris abscidit undas
et liquidum spisso secrevit ab aere caelum.
quae postquam evolvit caecoque exemit
acervo,
dissociata locis concordi pace ligavit:
ignea convexi vis et sine pondere caeli
emicuit summaque locum sibi fecit in arce;
proximus est aer illi levitate locoque;
densior his tellus elementaque grandia
traxit
et pressa est gravitate sua; circumfluus
umor
ultima possedit solidumque coercuit orbem. |
Un
dio, e una più benigna
disposizione della natura, sanò
questi contrasti: separò dal
cielo la terra, dalla terra le onde, e
distinse dall'aria spessa il cielo
puro. E dopo aver districato e liberato
queste cose dall'ammasso informe,
dissociatene le sedi, le riunì
in un tutto concorde. Il fuoco,
imponderabile energia della volta
celeste, sprizzò e si
stabilì nella regione più
alta. Subito sotto, per sede e
leggerezza, c'è l'aria. La
terra, più densa, assorbì
gli elementi più grossi e rimase
premuta in basso dal proprio peso.
L'acqua, fluida, occupò gli
ultimi spazi avvolgendo tutto in giro
la massa solida del mondo. |
Publius Ovidius Naso:
Metamorfosi [I:
-] |
Ma forse non è il caso di dare eccessivo
peso a queste fantasie. In Ovidius i miti erano solo
l'occasione per eseguire scintillanti esperimenti
stilistici; di essi non rimaneva che la forma esteriore,
resa con elegante ricercatezza, ma non vi era quasi più
nulla del loro antico significato.
Nella teogonia orfica di Ierṓnymos ed
Hellánikos, citata da Damáskios, il principio originario è invece
Khrónos, il
tempo, da cui nascono Aithḗr,
Nýx,
Érebos e
Kháos.
Questo
Khrónos, avverte Damáskios, è anche
presente nella teogonia rapsodica, pur mantenendo delle
differenze tra l'uno e l'altro sistema.
Hoûtos gàr hn ho polytímētos en ekeínēi
Khrónos agḗraos Aithéros kaì Kháous patḗr.
Amélei kaì katà taútēn ho Khrónos hoûtos ho
drákōn gennâtai tripln gonḗn: Aithéra,
phēsí, noteròn kaì Kháos ápeiron, kaì tríton
epì toútois Érebos omikhldes... |
Costui invero era Khrónos senza vecchiaia –
altamente onorato nella teologia rapsodica – padre di Aithḗr
e di Kháos. Senza dubbio, anche secondo la teologia
di cui parliamo, questo Khrónos, il serpente,
genera una triplice discendenza: Aithḗr
umido, essa dice, e Kháos senza limiti, e oltre a
essi come terzo, Érebos nebbioso. |
Damáskios:
Aporíai kaì lýseis perì tn prōtṓn
arkhn [123 bis] =
Orphicorum
Phragmenta [K54] |
Un'affine cosmogonia, sempre di natura
orfica, è riportata dal bizantino Iōánnēs Malálas
(491-578):
Hóti ex arkhs anedeíkhthē ti Khrónōi ho
Aithḕr apò toû theoû dēmiourgētheìs kaì
enteûthen kakeîthen toû Aithéros hn Kháos
kaì Nýx zopherà pánta kateîkhe kaì ekálypte
tà hupò tòn Aithéra... |
In principio si rivelò a Khrónos,
Aithḗr, l'etere creato dal dio; e di qua
e di là di Aithḗr vi era
Kháos, e
Nýx tenebrosa
copriva tutte le cose e nascondeva quanto era sotto Aithḗr. |
Iōánnēs Malálas:
Khronographía [4: 89]
= Orphicorum
Phragmenta [K65] |
Inutile dire che, nel corso delle speculazioni sull'arkhé,
i filosofi greci si interessarono molto al concetto di kháos quale inizio di
tutte le cose, finanche a negarlo, come fece Aristotélēs, nel III sec. a.C.,
sostenendo l'eternità del mondo (Physiks akroáseōs [4.208b 31 ss.]).
Si noti che in Italia, nel I secolo a.C., l'astronomo Hyginus
introduce un ulteriore livello, precedente a
Kháos: Caligo, la «caligine», entità quanto
più sottile e rarefatta, evidentemente degna di rappresentare l'assoluta
indeterminatezza dei primordi:
Ex Caligine
Chaos: ex Chao et Caligine Nox Dies Erebus Æther. |
Da Caligo nacque Kháos. Da
Kháos e Caligo nacquero
Nox, Dies,
Erebus ed Æther. |
Hyginus:
Fabulae [Praefatio:
I] |
|
IV - DUE DIVINITÀ
PRIMORDIALI: ÉREBOS E NÝX Una volta creato, l'universo si
organizza lungo le direttrici di due coppie di elementi polari, i quali
definiscono la contrapposizione e l'alternanza tra buio e luce.
Érebos e Nýx sono
rispettivamente lo spazio tenebroso e il buio della notte. I loro
figli, Aithḗr
ed Hēméra,
sono i loro opposti. Aithḗr,
dal greco aíthō «brillo», è la parte più alta del cielo, l'etere
luminosa, trasparente alla luce; mentre Hēméra è
la luce chiara del
giorno (Guidorizzi 2000).
Ek Kháeos d’ Érebós te
mélainá te Nỳx egénonto;
Nyktòs d’ aût’ Aithḗr te kaì Hēmérē
exegénonto,
hoùs téke kysaménē Erébei philótēti migeîsa. |
Dal Kháos nacquero
Érebos
e la nera Nýx; da Nýx
provennero
Aithḗr e Hēméra, che lei concepì unita in amore con Érebos. |
Hēsíodos:
Theogonía [-] |
Dal Kháos nascono due entità
delle tenebre: Érebos e Nýx,
e da questi due entità della luce: Aithḗr
ed Hēméra. Vi è quindi una progressione dall'oscurità alla luce,
motivo cosmogonico ben noto e diffuso in molti sistemi
mitologici, dove l'oscurità è spesso vista come
primitiva rispetto alla luce, anche se è sempre considerata
una substantia, e non semplice assenza di luce. Ma vi è anche,
nel testo esiodeo, un gioco di opposizioni e complementarità
assai ben meditate. Infatti, Nýx ed Hēméra,
il giorno e la notte, si coniugano tra loro, di modo che la
loro alternanza forma la trama del tempo sulla terra. Allo
stesso modo, Érebos
ed
Aithḗr corrispondono alle forme estreme
della tenebra e della chiarezza: il primo rappresenta un
buio perenne, opaco alla luce, che regna nelle profondità
abissali e ai confini dello spazio; ils econdo è il fulgore
di un cielo eternamente illuminato, che non conosce l'ombra
delle nuvole né quella della notte.
La discendenza di Aithḗr
ed Hēméra
da
Érebos e Nýx presenta,
nelle fonti classiche, diverse varianti. Nelle
Genealogíes di
Akousílaos,
ad esempio, i figli di Érebos
e Nýx erano Érōs,
Aithḗr e Mtis.
In Italia, Cicero pone – concordemente con Hēsíodos –
Dies ed Æther
quali figli di Nox e
Erebus (De
natura Deorum [III: 44]). Ma Hyginus astronomo pone
Nox, Dies,
Erebus ed
Æther a un medesimo livello, quali figli di
Kháos e Caligo.
Ex Caligine
Chaos: ex Chao et Caligine Nox Dies Erebus Æther. |
Da Caligo nacque Kháos. Da
Kháos e Caligo nacquero
Nox, Dies,
Erebus ed Æther. |
Hyginus:
Fabulae [Praefatio:
I] |
Nýx, la notte dalle «nere
ali» [melanópteros], sembra occupare un posto
molto primitivo nel pensiero mitico dei Greci (Guidorizzi
2000). Divinità probabilmente molto antica e sfuggente, è sempre presente
in tutte le varianti del mito cosmogonico. Sempre Damáskios ci informa che, nella
teogonia orfica di Eúdēmos di Rhódos, il Peripatetico, Nýx era
la più grande divinità, principio di ogni cosa esistente, oggetto di venerazione persino
da parte di Zeús (Aporíai
kaì lýseis perì tn prōtṓn arkhn [124]). Secondo la
teogonia rapsodica, infatti, Nýx era stata regina
dell'universo prima di Ouranós, come si evince da
alcune annotazioni contenute nei commenti alla Metà ta
physikà di Aristotélēs di Aléxandros di Aphrodisiás e di Syriános
(Orphicorum Fragmenta [K102 | K107-108 | K111]),
Un famoso passo del filosofo bizantino Próklos (412-487) così riassume il
pensiero rapsodico:
Then
asiléas paradédōken Orpheùs katà tòn
téleion arithmòn tn hólōn proestēkótas
Phánēta Nýkta Ouranòn Krónon Día Diónyson;
prtos gàr ho Phánēs kataskeuázei tò skpton;
kaì prtos basíleuse teriklytòs Ērikepaîos;
deutéra dè hē Nýx, dexaménē parà toû patrós,
trítos dè [ho] Ouranòs parà ts Nyktós, kaì
tétartos ho Krónos, biasámenos, hṓs phasi,tòn
patéra, kaì pémptos ho Zeús, kratḗsas toû
patrós, kaì metà toûton héktos ho Diónysos. |
Come re degli dèi, a capo di tutte le cose, Orpheús tramandò i seguenti, secondo
il numero perfetto: Phánēs, Nýx,
Ouranós, Krónos,
Zeús, Diónysos.
Phánēs infatti per primo costruì lo scettro e «per
primo regnò Ērikepaîos molto celebrato»; secondo
poi regnò Nýx, che aveva ricevuto lo scettro dal
padre; per terzo poi Ouranós, che lo aveva ricevuto
da Nýx; E per quattro Krónos,
che aveva soggiogato con la violenza, come dicono, il padre; e per quinto
Zeús, che aveva prevalso sul padre; e dopo costui,
per sesto, Diónysos. |
Próklos ho Diadókhos:
Commentarius in Plátōn:
Tímaios [Proemio]
=
Orphicorum
Phragmenta [K107] |
|
La Notte
(✍ 1883) |
William-Adolphe Bouguereau (1825-1905), dipinto. |
Ma che tutte le cose derivassero
da
Nýx era tradizione comune di parecchie fonti
antiche, come ci ha ricordato Philódēmos nel testo sopra citato
(Perí
Eusebeías [137: 5]). Anche Aristophánēs afferma che «da principio
c'erano Kháos e
Nýx ed
Érebos nero e l'ampio
Tártaros» [Kháos hn kaì Nỳx Érebos
te mélan prton kaì Tártaros eurýs],
e che Érōs sarebbe nato da un uovo deposto da
Nýx
(Órnithes [-]).
In quanto a Érebos, sembra
essere stato una divinità piuttosto importante. Il suo nome, in greco, vuol
dire «tenebre», e una delle sue possibili etimologie sembra riconnetterlo alla radice semitica
˓RB «tramonto, sera,
ovest» (cfr. ebraico ˓ẹrẹḇ, dal medesimo significato). La stessa
radice potrebbe, tra l'altro, essere alla base del toponimo greco Eurṓpē,
quale terra situata nella parte occidentale del mondo.
Érebos sembra dunque essere una rappresentazione dell'oscurità
primordiale, in seguito ricacciata ai confini e agli angoli del mondo, tanto che
il termine Érebos viene anche usato, in letteratura, come sinonimo di
Tártaros. Rispetto alla sua sposa
Nýx, la
presenza di Érebos sembra essere meno regolare
nelle cosmogonie primordiali. Il personaggio, tra l'altro, sembra ignorato dalla
teogonia rapsodica, anche se è presente in Aristophánēs. In Hēsíodos è tuttavia una
divinità piuttosto importante, e questo ci basta. (Colli
1977)
|
V - CIELO, TERRA E MARE: TRIPARTIZIONE
COSMOGONICA E COSMOLOGICA Una cosmologia tripartita sembra essere una costante di molti sistemi
mitologici. In genere si tratta di una tripartizione cielo/terra/inferi, ma la
struttura presenta molte varianti nei vari sistemi mitologici. In Mesopotamia,
ad esempio, le tre ripartizioni cosmiche erano rispettivamente il cielo [an],
l'atmosfera [lil] e la terra [ki], sottoposte rispettivamente agli
dèi della triade cosmica, An,
Enlil ed Enki, l'ultimo dei quali governava
in realtà sul grande abisso acqueo [abzu].
In Grecia, la suddivisione delle regioni cosmiche sembra un po' più complessa
e sfaccettata. Vi è
innanzitutto la dicotomia tra la terra dei vivi [g] e il mondo dei morti
[tártaros]. Dicotomia che Hēsíodos pone a un livello superiore della
tripartizione inferiore: quella tra cielo [ouranós], terra [g] e
mare [póntos]. È interessante notare che, nella suddivisione dei poteri
tra i tre uranidi, Zeús si prese il cielo,
Poseidn il mare e Hádēs
il regno dei morti, lasciandosi la terra quale comune territorio di tutti e tre.
Il mito è senz'altro parallelo a quello sumerico, seppure con interessanti
differenze, che discuteremo poi.
Dopo aver fatto nascere spontaneamente da
Kháos sia Tártaros che
G, Hēsíodos fa generare dalla terra
G, «senza gradimento d'amore», cioè partogeneticamente,
il cielo Ouranós
e il mare
Póntos:
Gaîa dé toi prton mèn
egeínato îson he’ aut
Ouranòn asteróenth’, hína min perì pánta
kalýptoi,
óphr’ eíē makáressi theoîs hédos asphalès
aieí.
Geínato d’ Oýrea makrá, then kharíentas
enaúlous,
Nymphéōn, haì naíousin an’ oúrea bēssḗenta.
Hḗ dè kaì atrýgeton pélagos téken, oídmati
thuîon,
Pónton, áter philótētos ephimérou... |
G
per primo generò, simile a sé,
Ouranós
stellato, perché l'avvolgesse tutta
e fosse per gli dèi una sede sicura per sempre;
generò gli alti monti, grato soggiorno per le Ninfe divine,
che hanno dimora nei monti ricchi di anfratti;
generò Póntos, mare infecondo,
di gonfiore furente, ma senza gioia d'amore. |
Hēsíodos:
Theogonía [-] |
La cosmogonia esiodea si succede dunque in questo senso:
La tripartizione del mondo in cielo [ouranós], terra [g] e
mare [póntos] sembra abbastanza naturale, in quanto è la stessa esperienza umana
a dividere il mondo in questi tre «regni». È interessante notare che, in
Hēsíodos,
G
appartenga a un livello diverso rispetto ad Ouranós
e
Póntos, suoi figli, futuri sposi e genitori delle
successive generazioni divine. In qualche modo, Ouranós
e Póntos sono visti come «speculari» nei confronti
di
G. Vi è equilibrio e
tensione insieme, sia nella coppia
Ouranós↔G (dove l'uno
avvolge la seconda in un abbraccio cosmico), sia nella coppia
Póntos↔G (dove il
salso mare avvolge le terre in un abbraccio liquido). Subito dopo aver generato Ouranós,
G innalza le sue montagne verso il cielo, come
cercando di raggiungere il suo sposo.
Questo sistema si oppone però ad altre tradizioni che mettevano la terra, il
mare e il cielo sullo stesso piano.
Ad esempio, Aristophánēs (±450-±388 a.C.), nella sua commedia
Órnithes, gli «Uccelli» (✍ 414 a.C.), riporta una cosmogonia diversa da quella di Hēsíodos
e, per certi versi, ancora più rigorosa. A parlare è
il coro degli uccelli, auto-proclamatisi discendenti di
Érōs:
Kháos hn kaì Nỳx Érebos
te mélan prton kaì Tártaros eurýs,
g d' oud' aḕr oud' ouranòs hn, Erébous
d' en apeírosi kólpois
tíktei prṓtiston hypēnémion Nỳx hē
melanópteros ōión,
ex oû peritelloménais hṓrais éblasten Érōs
ho potheinós,
stílbōn nton pterýgoin khrysaîn, eikṑs
anemṓkesi dínais,
hoûtos dè Kháei pteróenti migeìs nýkhios
katà Tártaron eurýn,
eneótteusen génos hēméteron, kaì prton
anḗgagen eis phs.
Próteron d'ouk hn génos athanatōn, prìn
Érōs xynémeixen hápanta;
xymmeignyménōn d' hetérōn hetérois génet'
Ouranòs Ōkeanós te
kaì G pántōn te then makárōn génos
áphthiton. |
Da principio c'erano Kháos,
Nýx,
Érebos nero e l'ampio
Tártaros,
ma non c'era terra, aria né cielo, e nel seno sconfinato di
Érebos,
Nýx dalle nere
ali genera anzitutto un uovo sollevato dal vento,
da cui nel cerchio delle stagioni sbocciò
Érōs il
desiderabile
dal dorso fulgente di due ali d'oro, simili a rapidi turbini di vento.
E costui di notte, unendosi con Kháos alato,
nell'ampio Tártaros,
fece schiudere la nostre stirpe e per prima la condusse alla luce.
Allora non c'era stirpe immortale, prima che
Érōs
tutto fondesse,
ma essendo fuse le une alle altre, nacquero Ouranós
e
Ōkeanós,
e G e la stirpe senza distruzione di tutti gli dèi
felici. |
Aristophánēs:
Órnithes [-] |
Anche qui Kháos
è citato per primo e, insieme ad esso, vi sono gli elementi
oscuri dell'universo primigenio:
Nýx,
Érebos e
Tártaros. Siamo in un ordine di idee primordiale, in cui
predominano il vuoto e il buio.
Érōs – esplicitato come entità a parte – viene generato da un uovo deposto da
Nýx, motivo che rimanda alle concezioni orfiche. Solo in seguito
vengono generati, tutti e tre a un
medesimo livello, Ouranós
e
Ōkeanós e
G,
vale a dire i tre «regni» che compongono il mondo
percepibile dall'uomo, il cielo, il mare e la terra (con
Ōkeanós
che
sostituisce il Póntos
esiodeo).
Questa struttura si riflette in una concezione attestata in
Italia, dove Terra, Cælum,
Mare (G, Ouranós
e
Póntos) sono i tre figli di Æther
e Dies (Aithḗr ed
Hēméra). Ne troviamo traccia in uno scritto di
Cicero (De Natura Deorum [III: 44]), ma è
esplicitarla è Hyginus astronomo, il quale scrive:
Ex Aethere et
Die Terra Caelum Mare. |
Da Æther e Dies:
Terra, Cælum.
Mare. |
Hyginus:
Fabulae [Praefatio:
II] |
|
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