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Hēsíodos

THEOGONÍA

TEOGONIA
AutoreἩσίοδος
Hēsíodos
(VIII sec. a.C. - VII sec. a.C.)
Titolo Θεογονία
Theogonía
Genere Poema didascalico-sapienziale di argomento mitologico
Lingua Greco antico (ionico)
Redazione Forse fine VIII sec. a.C.
Hēsíodos
THEOGONÍA
TEOGONIA
La Theogonía
Struttura del poema
Il motivo dell'investitura poetica
La critica
 
LA THEOGONÍA

La Theogonía è un poema mitologico composto da 1022 esametri, ed è, con la sola eccezione dei poemi omerici, il più antico testo mitologico che ci sia pervenuto dalla Grecia arcaica, il primo che esponga un pensiero cosmogonico e teogonico dettagliato e coerente. I suoi elementi forniranno un canone importantissimo per la letteratura che si svilupperà nei secoli successivi, e sono ovviamente importantissimi ai fini della nostra conoscenza del più antico pensiero mitologico ellenico.

La caduta dei Titânes (1866)
Gustave Doré (1832-1883), illustrazione.

L'antichità della Theogonía non deve però trarci in inganno: con ogni probabilità si poneva anch'esso nel solco di una tradizione preesistente, che però non è stata conservata. Sappiamo che la Grecia arcaica conosceva un cospicuo numero di altri racconti delle origini, e conosciamo addirittura i titoli di altre opere, come la Titanomachía di Eúmēlos di Kórinthos, contemporaneo di Hēsíodos, nel quale si forniva un'altra versione del racconto cosmogonico; o come le Genealogíes di Akousílaos (VI sec. a.C.), che prendeva l'avvio da una teogonia prosastica dipendente, a quanto pare, da quella di Hēsíodos.

Lo stile della Theogonía non è narrativo, né ha l'ampio respiro dei poemi di Hómēros. Al contrario, Hēsíodos poco concede al gusto della narrazione: il suo è un codice espressivo denso e involuto, spesso oscuro. I miti non vengono mai narrati per esteso, ma concentrati in pochi tratti. Hēsíodos non si concede mai il gusto di raccontare gli episodi nei dettagli: la sua intenzione appare essere piuttosto evocativa, sapienziale; si avverte il gusto dell'erudizione fine a sé stesso. Il procedere è spesso disorganico e poco lineare: le sequenze del racconto non sempre si susseguono con ordine rigoroso, ma sembrano giustapposte secondo l'estro poetico, collegate da deboli nessi associativi. Non di rado gli eventi procedono all'indietro, con gli effetti che precedono e introducono le cause, secondo l'uso dell'hýsteron próteron. Le complesse catene genealogiche, in cui si descrivono l'origine del mondo cosmico, soprannaturale, titanico e divino, producono un'interminabile vertigine di nomi (nel poema se ne contano circa trecento!).

L'opera possiede tuttavia un tessuto simbolico di straordinaria complessità, soprattutto per la capacità di Hēsíodos di aggirarsi nei labirinti del mito, cercando nessi nascosti tra le forme titaniche, divine, mostruose. I temi di fondo di una società arcaica e tribale divengono motivi di un'architettura cosmica: ciò che vediamo emergere, alla fine, è un principio di sovranità, la lotta tra vecchie e giovani generazioni, il confronto tra la cultura patriarcale e matriarcale. Non di rado il racconto è aspro, raccapricciante; i tratti del mito vengono esaltati con tono feroce, crudo, a volte morboso. L'evirazione di Ouranós, il cannibalismo di Krónos che divora i propri figli, i mostri che popolano gli abissi e i confini del mondo, la moltiplicazione dei figli di Nýx ed Éris, l'apocalittico scontro tra Titânes e Olympikoí, costituiscono un mondo di forme simboliche suggestive e inquietanti.

A tutto ciò si contrappone un messaggio politico o, se vogliamo, una robusta e sentita teodicea. Nel ripercorrere le genealogie divine e le lotte sostenute dalle divinità per la supremazia sull'universo, Hēsíodos narra con quali mezzi e con quali alleati Zeús sia riuscito ad ottenere la suprema regalità, ed è questo il punto di arrivo del suo discorso: celebrare il potere divino che costituisce il fondamento dell'ordine cosmico e ne garantisce la continuità. Il mondo di Hēsíodos non è soltanto permeato da una diffusa, profonda religiosità, ma sostiene una precisa esigenza etica. La vittoria di Zeús sulle forze primordiali dei Titânes rappresenta il culmine della storia sacra: l'imposizione di Díkē, di un ideale principio di giustizia, su un mondo ormai pacificato e ordinato.

A questo scopo, la Theogonía ordina le potenze divine, ne traccia le complessa genealogie, ne definisce i ruoli nel lungo processo che ha condotto cháos al kósmos. Sono vicende e miti che Hómēros ignora, e nel quale riconosciamo tradizioni arcaiche, miti mediterranei, reminiscenze anatoliche e medio-orientali (forse acquisite attraverso i ricordi del padre, ai tempi in cui abitava a Kýmē), antichi motivi indoeuropei di cui si riconoscono lontane omologie con i miti indiani e nordici. Non conosciamo la forma, o piuttosto, le molteplici forme che i miti cosmogonici avevano in Grecia nei tempi più remoti. È presumibile pensare che Hēsíodos abbia operato delle scelte, abbia vagliato tra le molte tradizioni a lui accessibili. E così facendo, sistemando e rielaborando una materia immensa, di cui ha seguito con precisione meticolosa una moltitudine di fili, Hēsíodos ha fissato un canone autorevole e irrinunciabile per tutti i mitografi dei secoli successivi.

STRUTTURA DEL POEMA

La Theogonía può essere definita come un poemetto gnomico di argomento cosmo-teogonico. La sua composizione è formata in buona parte da lunghe elencazioni genealogiche. Le digressioni mitologiche, integrate perlopiù nella parte centrale della composizione, ampliano l'argomento con brevi sezioni narrative. Nel poema sono pure inframmezzati due brani lirici (un proemio dedicato alle Moûsai e un inno a Hekátē).

Nonostante la brevità, il poema di Hēsíodos si presenta come un magma ininterrotto, in cui è arduo applicare distinzioni tra i vari piani narrativi. Semplificando, possiamo riconoscere due fasi nella successione genealogica: una fase cosmogonica, dove l'universo viene creato dal dal Cháos e quindi vengono generati gli elementi astrali e naturali, i primordiali abitanti del cielo, della terra e del mare, le stirpi titaniche e le entità astratte che fungono da presupposti dell'esistenza umana; e una fase più prettamente teogonica, dove si parla invece dell'origine degli dèi Olympikoí, delle loro unioni e della nascita delle divinità di seconda generazione. Una sezione mitologica si frappone tra le due fasi, a giustificare il raccordo tra il greve mondo primordiale, dominato dai Titânes, e l'epoca successiva, caratterizzata dal governo razionale degli Olympikoí: essa contiene gli importantissimi racconti della nascita di Zeús, il mito di Promētheús, la titanomachia e la tifonomachia.

Un tentativo di divisione del poema in sotto-sezioni è, per forza di cose, soggettivo e artificioso:

  1. [-] Proemio, dove Hēsíodos argomento in prima persona sulla sua vocazione poetica. Si chiude con una invocazione alle Moûsai nel quale si annuncia il tema del canto.

    Fase cosmogonica:
  2. [-] Le origini dell'universo a partire dal Cháos originario, la formazione della terra [G] e degli inferi [Tártaros], la nascita del cielo [Ouranós] e del mare [Póntos]. Segue l'erogenesi, la nascita di Érōs, il principio dell'amore, che introduce le prime generazioni primordiali: la nascita delle tenebre [Érebos] e della notte [Nýx], quindi, dalla loro unione, dell'etere luminoso [Aithḗr] e del giorno [Hēméra]. Segue l'elencazione della stirpe di G e Ouranós: gli Ekatóŋcheires, i Kýklōpes e i Titânes.
  3. [-] Segue, il mito dell'evirazione di Ouranós da parte di Krónos, a cui si può associare il delicato racconto della nascita di Aphrodítē.
  4. [-]. Una lunga sezione genealogica. Si elencano le emanazioni astratte generate da Nýx ed Éris. Segue la stirpe di Póntos, formata perlopiù da esseri marini e mostri.
  5. Il dettagliato elenco dei discendenti dei Titânes chiude la sezione cosmogonica.
     
  6. [-]. È qui inserito lo splendido inno a Hekátē, forse una composizione originariamente indipendente inclusa nel poema.

    Sezione mitologica:
  7. [-]. Direttamente connessa all'elencazione delle generazioni titaniche, si narra ora il mito della nascita dei figli di Krónos e Rhéa, i quali rappresentano la prima generazione di divinità olimpiche: Hestía, Dēmḗtēr, Hḗra, Hádēs, Poseidn. Segue il mito della nascita di Zeús e dello spodestamento di Krónos.
  8. [-]. Viene qui inserito lo splendido racconto di Promētheús, rinviando, con ottimo effetto drammatico, il mito della titanomachia.
  9. [-]. Il poema riallaccia i fili del conflitto tra Zeús e Krónos: la titanomachia.
  10. [-]. La punizione inflitta da Zeús ai Titânes, cacciati negli inferi, è l'occasione per descrivere il Tártaros e i confini della terra. Vengono dati alcuni ragguagli cosmologici.
  11. [-]. Il racconto riprende di nuovo con il mito della tifonomachia. Scontro tra Zeús e Typhn. Si aggancia una breve parte genealogica che elenca la discendenza di Typhn.

    Sezione teogonica:
  12. [-]. Con l'insediamento di Zeús in Ólympos ha inizio la parte teogonica vera e propria. Si narra inizialmente dei molti matrimoni di Zeús e della nascita degli dèi della seconda generazione, gli Olympikoí. Segue l'elenco delle unioni tra le varie divinità e viene ricordata la loro discendenza.
  13. [-]. La sezione teogonica si completa con le unioni delle dee con i mortali. Questa sezione si chiude con un catalogo di eroine destinato ad essere completato, idealmente, nel successivo poema esiodeo, il Gynaikn katálogon.
La caduta dei Titânes (±1637/1638)

Pieter Paul Rubens (1577-1640). Olio su tavola, 26.7 × 42.5 cm.
Musée Royaux des Beaux-Arts, Bruxelles/Brussel (Belgio)

IL MOTIVO DELL'INVESTITURA POETICA

La Theogonía si apre, come già avviene nell'epica omerica, con un'invocazione alle Moûsai. Ma quello che avrebbe potuto essere un formalismo risolvibile in un paio versi, diviene, in Hēsíodos, un proemio complesso e articolato, lungo ben 115 versi. La forma è chiaramente innodica, e nell'apertura e nella chiusa richiama alcuni degli Homḗrou hýmnoi più estesi. Ma il rapporto del poeta con le Moûsai è soggettivo, e Hēsíodos argomenta delicatamente sulla propria vocazione poetica con l'allegoria di un suo personale incontro con le dee del monte Helikṓn: «Esse una volta insegnarono a Hēsíodos un canto bello» [Haí ný poth' Hēsíodon kalḕn edídaxan aoidḗn] (Theogonía []).

All'anonimato dei poemi omerici si contrappone l'autorità del poeta, in quella che è in assoluto la prima indicazione autoreferenziale della letteratura ellenica. E Hēsíodos è il primo poeta a specificare il numero delle Moûsai e ad assegnare un nome a ciascuna di essa, in quella che è una vera e propria investitura: è infatti il pastore-Hēsíodos che incontra le Moûsai, «mentre pasceva gli armenti sul divino Helikṓn» [árnas poimaínonth' Heliknos hýpo zathéoio] (Theogonía []), trasformandosi quindi nel poeta-Hēsíodos. Nei versi successivi il poeta pone in grande evidenza la propria persona e insiste sul fatto che proprio lui sia stato scelto dalle Moûsai: «rivolsero a me per primo questo discorso», «mi diedero un ramo d'alloro fiorito», «mi ispirarono il canto divino».

Haí ný poth' Hēsíodon kalḕn edídaxan aoidḗn,
árnas poimaínonth' Heliknos hýpo zathéoio.
Tónde dé me prṓtista theaì pròs mŷthon éeipon,
Moûsai Olympiádes, koûrai Diòs aigióchoio;
“Poiménes ágrauloi, kák' eléŋchea, gastéres oîon,
ídmen pseúdea polla légein etýmoisin homoîa,
ídmen d', eût' ethélōmen, alēthéa gērýsasthai.»
Hṓs éphasan koûrai megálou Diòs artiépeiai;
kaí moi skptron édon dáphnēs erithēléos ózon
drépsasai, thēētón; enépneusan dé moi aoidḕn
théspin, hína kleíoimi tá t' essómena pró t' eónta.
Esse una volta insegnarono a Hēsíodos un canto bello,
mentre pasceva gli armenti sul divino Helikṓn;
le dee rivolsero a me per primo questo discorso,
le Moûsai olympiádes, figlie di Zeús aigíokhos:
“Pastori avvezzi ai campi, mala stirpe, schiavi del ventre,
noi sappiamo dire molte menzogne simili al vero;
ma poi, quando vogliamo, sappiamo narrare anche il vero”.
Così dissero le figlie del grande Zeús, abili nel parlare;
e come scettro mi diedero un ramo d'alloro fiorito,
dopo averlo staccato, meraviglioso; mi ispirarono
il canto divino, perché cantassi ciò che sarà e ciò che è.
Theogonía [-]

Hēsíodos e la moûsa (1891)
Gustave Moreau (1826-1898), dipinto.

Hēsíodos dà una nuova definizione all'ispirazione poetica. Se l'aoidós tradizionale considerava sé stesso un puro tramite tra le Moûsai e gli ascoltatori, con Hēsíodos la personalità dell'autore assurge in primo piano. Il cantore omerico cantava infatti in terza persona, annullandosi dietro le imprese e le voci degli eroi, e sebbene avesse probabilmente proceduto egli stesso ad accorpare e integrare canti indipendenti per produrre poemi di ampio respiro, era considerato un tramite passivo della sua stessa materia. Di conseguenza la persona loquens risultava più sfumata, indecifrabile.

Così, mentre l'epica tradizionale era oggettiva e impersonale, senza un autore dichiarato, Hēsíodos rende la poesia soggettiva e personale e le conferisce un timbro schiettamente didascalico. I temi e le funzioni del canto esiodeo richiedono la valorizzazione delle capacità e dell'esperienza del poeta, affinché i suoi poemi assumano una maggiore forza assertiva (Cingano 2004). Il cantore non è più vincolato a una nuda esposizione di materiale tradizionale: sebbene ancora legato a una tradizione di lingua e stile che è in buona parte quella omerica, Hēsíodos rilegge i miti secondo il proprio genio, alla luce delle proprie concezioni e della propria sensibilità. Nella Theogonía, i miti sono ri-definiti, ri-creati. E paradossalmente fissati in una forma che diventerà a sua volta canonica.

L'incontro di Hēsíodos con le Moûsai non è solo occasione di confronto con le forme tradizionali di poesia, ma anche necessità di un loro superamento etico. La fama dell'aoidós omerico dipendeva unicamente dall'abilità di «trascinare», di «incantare» l'uditorio (cfr. Odýsseia [-]); l'estetica era emotiva, basata sul riconoscimento e sull'approvazione di forme poetiche tradizionali, e ciò che l'aoidós cantava non era cantato perché vero, ma vero perché cantato. Questo non basta a Hēsíodos, che, al contrario, fa della verità [alḗtheia] lo statuto della sua poesia.

Quando fa dire alle Moûsai «noi sappiamo dire molte menzogne simili al vero» [ídmen pseúdea polla légein etýmoisin homoîa] (Theogonía []), Hēsíodos polemizza con la poesia epica tradizionale. Non a caso, il verso rieccheggia quello omerico in cui Odysseús, per ingannare Pēnelópē, «fingeva, dicendo molte menzogne simili al vero» [íske pseúdea pollà légōn etýmoisin homoîa] (Odýsseia [XIX: ]). La citazione contiene una vena polemica nei confronti dell'autorità omerica: l'opinione che Hómēros fosse un mentitore era molto diffusa nell’antichità, e l'elemento polemico s'incentrava proprio sull'attendibilità dei fatti tramandati. Così, dopo aver svelato la loro abilità nel tessere menzogne, le Moûsai esiodee aggiungono: «...ma poi, quando vogliamo, sappiamo narrare anche il vero» [ídmen d', eût' ethélōmen, alēthéa gērýsasthai] (Theogonía []). Ed è a questo punto che porgono a Hēsíodos un ramo d'alloro, «perché cantassi ciò che sarà e ciò che è» [hína kleíoimi tá t' essómena pró t' eónta] (Theogonía []). È la verità eterna e atemporale del mito, quella che Hēsíodos sta per rivelare, una verità che stabilisce le fondamenta del mondo cosmico, umano e divino, e legittima il suo canto. L'investitura fa di Hēsíodos un tramite privilegiato fra la divinità e l'uomo: una condizione in virtù della quale egli proclama il suo primato per la missione di rivelamento cosmogonico. (Detienne 1977)

Il proemio si articola in due sezioni complementari, ricche di richiami e parallelismi interni. Se la prima parte tratta, come abbiamo visto, dell'incontro tra Hēsíodos e le Moûsai sul monte Helikṓn e la ridefinizione del ruolo del poeta e del significato della poesia, la seconda sezione introduce l'argomento del poema. La transizione tra le due sezioni avviene tramite un'espressione dal sapore proverbiale: «Ma perché questi discorsi sulla quercia e sulla roccia?» [Alla tí  moi taûta perì drŷn ḕ perì pétrēn] (Theogonía []). L'espressione è oscura, ma ha l'effetto di interrompere il tessuto espositivo del proemio e ri-orienta l'attenzione del lettore verso quello che sarà il tema del canto: le origini del mondo e degli dèi.

Kallímachos ha ipotizzato che l'incontro tra Hēsíodos e le Moûsai fosse avvenuto in sogno. Ma non c'è bisogno di fornire una spiegazione razionale: con questo splendido incipit, Hēsíodos ha fornito all'intera letteratura occidentale un canone, un modello, un'idea della vocazione del poeta e dell'origine soprannaturale della poesia.

LA CRITICA

Della Theogonía sono pervenuti una sessantina di codici medievali, dei quali una dozzina redatti tra il XIII e il XV secolo; e nessuno è più antico. Si conoscono inoltre una trentina di papiri, scritti tra il I e il V secolo d.C., che conservano alcuni versi del poema. Tutte le copie risalgono probabilmente a un archetipo in minuscola risalente al IX secolo, arricchito da varianti ricavate da altri esemplari. Le citazioni degli autori antichi e le testimonianze dei papiri concordano in genere con le lezioni dei codici. Molti manoscritti della Theogonía contengono anche l'Aspìs Hērakléous. Il Ms. Vaticano greco 915 aggiunge, alla fine della Theogonía, i primi due versi del Gynaikn katálogon. Si è ipotizzato che, in origine, queste due opere fossero concepite come un continuum narrativo che partiva dalle origini del mondo e arrivava alla fine della stirpe eroica. Le lezioni dei codici esiodei, in particolar modo della Theogonía e dell'Aspís, non presentano varianti notevoli.

Il primo completo confronto tra i vari codici esiodei fu effettuato, alla fine del XIX secolo, dal filologo boemo Alois Rzach (1850-1935), che non trascurò di raccogliere i loci similes, le citazioni e le allusioni della Theogonía presso altri autori, producendo così l'editio maior del poema (Hesiodi Carmina, 1902). Il suo monumentale studio avrebbe costituito la base e il modello per tutte le edizioni posteriori.

Se il lavoro editoriale era facilitato dalla congruenza dei vari codici, altro problema era però stabilire l'autenticità dei singoli versi. Alcune incongruenze nel testo, o irregolarità nella concatenazione degli episodi, rese evidenti dall'accentuato stile paratattico tipico delle composizione arcaiche, originarono in molti studiosi il sospetto di interpolazioni di varia consistenza. La critica moderna ha registrato molti tentativi di individuare versi o interi luoghi non esiodei, rintracciare i nuclei primitivi dell'opera, distinguere il lavoro del poeta di Áskrē dalle aggiunte dei rapsodi successivi, e ricostruire – per quanto possibile – la forma originaria del poema.

Alcuni di questi tentativi hanno peccato di ipercritica. L'esempio più estremo della tendenza di distinguere i vari stadi compositivi si registra nell'edizione della Theogonía del tedesco Felix Jacoby (1876-1959), che accoglieva come autentico solo un terzo del poema (Jacoby 1930). Il testo da lui curato risultava talmente infarcito di segni di espunzione che il collega Paul Friedländer (1882-1968) ebbe a giudicarlo «un incrocio tra Arístarchos e un orario ferroviario» (Friedländer 1931). Il lavoro di Jacoby – che avrebbe dovuto essere seguito da un commentario e da un'edizione delle Érga kaì Hēmérai, poi mai completati – conteneva non di meno delle interessanti osservazioni e, al di là della polemica suscitata, diede l'avvio a importanti osservazioni metodologiche da parte dello stesso Friedländer. Questi osservava come fosse difficile distinguere lo strato originario del poema da eventuali elaborazioni successive, visto che l'uno e le altre appartenevano allo stadio più arcaico della letteratura greca. «Già all'epoca di Aischýlos e Píndaros l'opera non aveva una consistenza diversa da quella dei manoscritti bizantini. E in tal caso abbiamo il dovere di interpretare anche il testo dei rapsodi del sesto secolo» (Friedländer 1931 | Arrighetti 1988).

All'ipercritica di Jacoby corrispondeva, nello stesso anno, un importante studio di Vincenzo Lapiccirella, dove, al contrario, si evidenziava l'unità armonica della Theogonía (Piccirella 1930). Studi successivi hanno messo in luce molti dettagli di un disegno generale, compiuto, unitario, dietro l'apparentemente confusa materia del poema. Eventuali incoerenze non sono necessariamente segnali di corruttele del testo: Hēsíodos può essere benissimo incappato in qualche lieve contraddizione, nel ricapitolare le sue intricatissime genealogie. In quanto alle ripetizioni, esse facevano parte del formulario poetico arcaico: la tecnica rapsodica non rifuggiva dal ripetere nei canti qualche espressione o luogo particolarmente significativo. L'interruzione del catalogo genealogico con un racconto mitico, o con la descrizione di una figura divina, non è mai un accostamento di composizioni diverse, ma parte di un lavoro unitario, ben meditato, atto a rendere il poema più vivo e completo. Poi, cercare le ragioni per cui Hēsíodos abbia deciso di ampliare un episodio piuttosto che un altro, soffermarsi su una divinità, o esplorare minutamente un luogo ipoctonio, non è possibile, soprattutto quanto poco sappiamo del patrimonio mitologico ereditato dal poeta, e delle sue intime ragioni compositive. (Colonna 1977)

Particolarmente importante, l'analisi di Hans Schwabl, che ha individuato la tecnica esiodea del raggruppamento dei versi, i quali sembrano racchiudere i singoli episodi in gruppi di 28-30 esametri ciascuno (ad esempio, i vv. -; -; -; -; -). Da qui, la constatazione di una tecnica formale molto elaborata, che ha fatto giustizia della facilità con cui venivano condannati, come non genuini, numerosi versi esiodei (Schwabl 1966).

Anche la sezione finale del poema, un lungo elenco di eroi tradizionalmente connessi a una fase storica più recente rispetto a quella esiodea, ha sempre suscitato perplessità negli studiosi, sebbene non vi sia accordo sull'entità dell'interpolazione. Martin Litchfield West ha espresso l'opinione che in origine l'opera terminasse al v.  (West 1966). Buona parte delle obiezione è stata però ridimensionata alla luce di quanto emerso nelle più recenti ricerche in campo storico-religioso, archeologico, linguistico, e sulle tradizioni epico-eroiche diffuse in Grecia nell'epoca arcaica (Cingano 2004).

Gli studi recenti, a partire dalla storica traduzione di West, sono stati assai più cauti nell'evidenziare presunte interpolazioni. Come nota giustamente Graziano Arrighetti, è assai difficile raggiungere criteri validi per distinguere il genuino dallo spurio (Arrighetti 1984).

Hēsíodos
THEOGONÍA
TEOGONIA
  1. Proemio (-)
  2. Invocazione alle Moûsai (-)
  3. Gli dèi primigeni (-)
  4. Nýx ed Érebos (-)
  5. I figli di Gaîa (-)
  6. I Titânes (-)
  7. I Kýklōpes (-)
  8. Gli Ekatóŋcheires (-)
  9. Krónos evira il padre Ouranós (-)
  10. Erinýes, Gígantes, Melíades (-)
  11. Nascita di Aphrodítē (-)
  12. Ouranós maledice i suoi figli (-)
  13. I figli di Nýx (-)
  14. I figli di Éris (-)
  15. I figli di Póntos (-)
  16. Le Nērēḯdes (-)
  17. I figli di Thaûmas e di Ēléktra (-)
  18. I figli di Ketṓ e di Phórkys (-)
  19. I figli di Kalliróē (-)
  20. La stirpe di Typhn e di Échidna (-)
  21. L'ultimo figlio di Ketṓ e di Phórkys (-)
  22. I figli di Thētýs e di Ōkeanós: i Potamoí (-)
  23. Le figlie di Thētýs e di Ōkeanós: le Ōkeanínes (-)
  24. I figli di Theía e di Hyperíōn (-)
  25. I figli di Kriós e di Eúrybia (-)
  26. I figli di Ēṓs e di Astraîos (-)
  27. I figli di Stýx e di Pállas (-)
  28. I figli di Phoíbē e di Koîos (-)
  29. Inno a Hekátē (-)
  30. I figli di Krónos e di Rhéa (-)
  31. Nascita di Zeús (-)
  32. I figli di Iapetós (-)
  33. La Titanomachia (-)
  1. Il Tártaros (-)
  2. Stýx (-)
  3. Le radici e i confini della terra (-)
  4. La Tifonomachia (-)
  5. I figli di Typhn (-)
  6. Il regno di Zeús (-)
  7. Zeús e Mtis (-)
  8. Le Hṓrai e le Moîrai (-)
  9. Le Chárites (-)
  10. Persephónē (-)
  11. Le Moûsai (-)
  12. Apóllōn e Ártemis (-)
  13. Árēs, Hḗbē e Eileíthyia (-)
  14. Zeús, padre di Athēnâ (-)
  15. Hḗra, madre di Hḗphaistos (-)
  16. I figli di Amphitrítē e di Poseidn (-)
  17. I figli di Árēs e di Aphrodítē (-)
  18. Herms e Diónysos (-)
  19. Hērakls (-)
  20. Le spose di Hḗphaistos e di Diónysos (-)
  21. Hērakls e Hḗbē (-)
  22. I figli di Hélios (-)
  23. Le dee madri dei mortali (-)
  24. Dēmḗtēr, madre di Ploûtos (-)
  25. Le figlie di Armonía (-)
  26. I figli di Kalliróē (-)
  27. I figli di Ēṓs (-)
  28. I figli di Mḗdeia (-)
  29. I figli di Psamáthē e di Thétis (-)
  30. Aineías (-)
  31. I figli di Kírkē (-)
  32. I figli di Kalypsṓ (-)
  33. Il catalogo delle donne (-)
   
 THEOGONÍATEOGONIA
   

Proemio

 
Mousáōn Helikōniádōn archṓmeth' aeídein,
haí th' Heliknos échousin óros méga te zátheón te
kaí te perì krḗnēn ioeidéa póss' hapaloîsin
orcheûntai kaì bōmòn eristhenéos Kroníōnos;
kaí te loessámenai térena chróa Permēssoîo
Cominciamo il canto dalle Moûsai elicònie,
che possiedono il grande e divino monte di Helikṓn
e danzano con i teneri piedi intorno alla fonte scura
e all'altare del possente figlio di Krónos;
bagnate le delicate membra nel Permessós,
ḕ Híppou krḗnēs ḕ Olmeioû zathéoio
akrotátōı Helikni choroùs enepoiḗsanto
kaloús, himeróentas; eperhrṓsanto dè possín.
Énthen apornýmenai, kekalymménai ēéri poll,
ennýchiai steîchon perikalléa óssan hieîsai,
nell'Hippokrḗnē o nel divino Olmeîos,
esse intrecciavano danze belle e soavi
e si muovevano con piedi veloci.
Da qui levandosi, nascoste da veli di nebbia,
si muovevano di notte, innalzando la loro bella voce,
hymneûsai Día t' aigíochon kaì pótnian Hḗrēn
Argeḯēn, chryséoisi pedílois embebauîan,
koúrēn t' aigióchoio Diòs glaukpin Athḗnēn
Phoîbón t' Apóllōna kaì Ártemin iochéairan
ēdè Poseidáōna gaiḗochon, ennosígaion,
celebrando Zeús aigíokhos e Hḗra argeḯē,
la pótnia, dagli aurei calzari,
e la figlia di Zeús aigíokhos, Athēnâ glaukṓpis,
e Phoîbos Apóllōn, e Ártemis saettatrice,
e Poseidn Ennosígaios, signore della terra,
kaì Thémin aidoíēn helikoblépharón t' Aphrodítēn
Hḗbēn te chrysostéphanon kalḗn te Diṓnēn
Lētṓ t' Iapetón te idè Krónon aŋkylomḗtēn
Ē t' Ēélión te mégan lamprán te Selḗnēn
Gaîán t' Ōkeanón te mégan kaì Nýkta mélainan
e Thémis veneranda, Aphrodítē dai begli occhi,
Hḗbē dall'aurea corona, la bella Diṓnē,
Lētṓ, Iapetós e Krónos dai torti pensieri,
Ēṓs, Hélios il grande e Selḗnē splendente,
Gaîa, il grande Ōkeanós e la nera Nýx,
állōn t' athanátōn hieròn génos aièn eóntōn.
Haí ný poth' Hēsíodon kalḕn edídaxan aoidḗn,
árnas poimaínonth' Heliknos hýpo zathéoio.
Tónde dé me prṓtista theaì pròs mŷthon éeipon,
Moûsai Olympiádes, koûrai Diòs aigióchoio;
e la sacra stirpe degli altri immortali, che vivono eterni.
Esse una volta insegnarono a Hēsíodos un canto bello,
mentre pasceva gli armenti sul divino Helikṓn;
le dee rivolsero a me per primo questo discorso,
le Moûsai olympiádes, figlie di Zeús aigíokhos:
“Poiménes ágrauloi, kák' eléŋchea, gastéres oîon,
ídmen pseúdea polla légein etýmoisin homoîa,
ídmen d', eût' ethélōmen, alēthéa gērýsasthai.”
Hṓs éphasan koûrai megálou Diòs artiépeiai;
kaí moi skptron édon dáphnēs erithēléos ózon
“Pastori avvezzi ai campi, mala stirpe, schiavi del ventre,
noi sappiamo dire molte menzogne simili al vero;
ma poi, quando vogliamo, sappiamo narrare anche il vero”.
Così dissero le figlie del grande Zeús, abili nel parlare;
e come scettro mi diedero un ramo d'alloro fiorito,
drépsasai, thēētón; enépneusan dé moi aoidḕn
théspin, hína kleíoimi tá t' essómena pró t' eónta.
Kaí m' ekélonth' hymneîn makárōn génos aièn eóntōn,
sphâs d' autas prtón te kaì hýstaton aièn aeídein.
Alla tí  moi taûta perì drŷn ḕ perì pétrēn;
dopo averlo staccato, meraviglioso; mi ispirarono
il canto divino, perché cantassi ciò che sarà e ciò che è;
mi dissero di cantare la stirpe degli dèi immortali,
e loro stesse, al principio e alla fine del canto.
Ma perché questi discorsi sulla quercia e sulla roccia?
Týnē, Mousáōn archṓmetha, taì Diì patrì
hymneûsai térpousi mégan nóon entòs Olýmpou,
eireûsai tá t' eónta tá t' essómena pró t' eónta,
phōn homēreûsai; tn d' akámatos hréei audḕ
ek stomátōn hēdeîa; gelâı dé te dṓmata patròs
Orsù, dalle Moûsai cominciamo, che rallegrano l'eccelsa mente
di Zeús padre quando intonano i loro inni in Ólympos,
e dicono le cose che furono, che sono e che saranno,
con voce concorde; e instancabile scorre dalle loro bocche
la voce soave. Ride la casa del padre Zeús tonante,
Zēnòs erigdoúpoio theân opì leirioéssēı
skidnaménēı; ēcheî dè kárē niphóentos Olýmpou
dṓmatá t' athanátōn. Haì d' ámbroton óssan hieîsai
then génos aidoîon prton kleíousin aoid
ex archs, hoùs Gaîa kaì Ouranòs eurỳs étikten,
quando si diffonde la voce delicata delle dee;
e risuona la vetta nevosa di Ólympos,
dimora degli immortali. Ed esse, levando
la divina voce, per prima cantano la stirpe degli dèi
dei primordi, che Gaîa ed Ouranós profondo generarono,
hoí t' ek tn egénonto theoí, dōtres eáōn.
Deúteron aûte Zna, then patér' ēdè kaì andrn,
[archómenaí th' hymneûsi theaì lḗgousaí t' aoids,]
hósson phértatós esti then kráteḯ te mégistos.
aûtis d' anthrṓpōn te génos kratern te Gigántōn
e gli dèi che da questi nacquero, dispensatori di beni;
e dopo cantano Zeús, padre degli uomini e degli dèi,
che esse celebrano all'inizio e alla fine dei loro canti,
quanto egli sia il più potente e il più forte dei numi;
cantano poi la progenie degli uomini e dei giganti;
hymneûsai térpousi Diòs nóon entòs Olýmpou
Moûsai Olympiádes, koûrai Diòs aigióchoio.
Tas en Pieríēı Kronídēı téke patrì migeîsa
Mnēmosýnē, gounoîsin Eleuthros medéousa,
lēsmosýnēn te kakn ámpaumá te mermēráōn.
le Moûsai olympiádes, figlie di Zeús aigíokhos,
rallegrano così la mente di Zeús in Ólympos.
Mnēmosýnē, che regnava sui campi di Eleútheros,
le generò nella Piería, unendosi al figlio di Krónos
perché fossero di consolazione per i mali e tregua per le cure.
Ennéa gár hoi nyktòs emísgeto mētíeta Zeùs
nósphin ap' athanátōn hieròn léchos eisanabaínōn;
all' hóte dḗ hr' eniautòs éēn, perì d' étrapon hrai
mēnn phthinóntōn, perì d' ḗmata póll' etelésthē,
hḕ d' étek' ennéa koúras homóphronas, hsin aoidḕ
Per nove notti Zeús prudente si unì a lei,
ascendendo il letto sacro all'insaputa degl'immortali.
Ma quando un anno fu trascorso e si volsero le stagioni,
i mesi si consumarono e molti giorni furono compiuti,
ella partorì nove fanciulle di animo eguale,
mémbletai en stḗthessin, akēdéa thymòn echoúsais,
tytthòn ap' akrotátēs koryphs niphóentos Olýmpou.
Éntha sphin liparoí te choroì kaì dṓmata kalá.
Par d' auts Chárités te kaì Hímeros oikí' échousin
en thalíēıs; eratḕn dè dia stóma óssan hieîsai
che amano il canto e hanno il cuore privo di affanni,
non molto lontano dai picchi nevosi di Ólympos;
qui intrecciano i loro cori, qui hanno dimora,
e presso di loro stanno le Chárites e Hímeros,
in festa. Ed esse, levando dalla bocca la voce amabile,
mélpontai pántōn te nómous kaì ḗthea kedna
athanátōn kleíousin, epḗraton óssan hieîsai.
Haì tót' ísan pròs Ólympon agallómenai opì kal,
ambrosíēı molp; perì d' íache gaîa mélaina
hymneúsais, eratòs dè podn hýpo doûpos orṓrei
cantano le leggi universali ed i sacri costumi
dei numi, l'amabile voce elevando.
Fiere della loro voce, esse giunsero in Ólympos
con l'immortale canto; e la terra nera risuonava
ai loro inni, ed amabile un suono si alzava sotto i loro piedi,
nissoménōn patéra hón; hò d' ouranōı embasileúei,
autòs échōn brontḕn ēd' aithalóenta keraunón,
kárteϊ nikḗsas patéra Krónon; eû dè hékasta
athanátois diétaxen homs kaì epéphrade timás.
Taût' ára Moûsai áeidon, Olýmpia dṓmat' échousai,
mentre incedevano verso il padre, che regna in cielo,
signore del tuono e della folgore fiammeggiante,
che con la forza vinse il padre Krónos e a ciascuno
degli immortali assegnò equamente e distribuì gli onori.
Questo cantavano le Moûsai che abitano le dimore olimpie,
ennéa thygatéres megálou Diòs ekgegauîai,
Kleiṓ t' Eutérpē te Tháleiá te Melpoméenē te
Terpsichórē t' Eratṓ te Polýmniá t' Ouraníē te
Kalliópē th'; hḕ dè propherestátē estìn hapaséōn.
Hḗ gar kaì basileûsin hám' aidoíoisin opēdeî.
le nove figlie nate dal grande Zeús,
Kleiṓ ed Eutérpē e Thalía e Melpoménē,
Terpsichórē ed Eratṓ e Polýmnia e Ouranía,
e Kallíopē, che è la più illustre di tutte.
Ella infatti accompagna ogni onorato sovrano;
Hón tina timḗsōsi Diòs koûrai megáloio
geinómenón te ídōsi diotrephéōn basilḗōn,
tōı mèn epì glṓssēı glykerḕn cheíousin eérsēn,
toû d' épe' ek stómatos hreî meílicha; hoi dé te laoì
pántes es autòn horsi diakrínonta thémistas
costui venerano le figlie di Zeús il grande,
tra i re allevati dai numi, e lo guardano, quando nasce,
e gli versano sulla lingua una dolce rugiada,
e dalla sua bocca scorrono dolci parole; le genti
lo guardano quando amministra giustizia
itheíēısi díkēısin; hò d' asphaléōs agoreúōn
aîpsá ke kaì méga neîkos epistaménōs katépausen;
toúneka gar basiles echéphrones, hoúneka laoîs
blaptoménois agorphi metátropa érga teleûsi
hrēidíōs, malakoîsi paraiphámenoi epéessin.
con retti giudizi; quando parla sicuro,
e con sagge parole placa le contese.
Per questo ci sono i re saggi: perché, quando un danno
incombe sui popoli, essi sanno con sagge parole
offrire riparazione, nell'assemblea.
Erchómenon d' an' agna theòn hṑs hiláskontai
aidoî meilichíēı, meta dè prépei agroménoisin;
toíē Mousáōn hierḕ dósis anthrṓpoisin.
Ek gár toi Mouséōn kaì hekēbólou Apóllōnos
ándres aoidoì éasin epì chthóna kaì kitharistaí,
Se costui va tra le genti, lo rispettano al pari di una divinità,
con dolce reverenza, poiché fra tutti si distingue.
Tale è delle Moûsai il dono per gli uomini.
Infatti, per volere delle Moûsai e di Apóllōn lungisaettante
sulla terra ci sono gli aedi e i citaristi;
ek dè Diòs basiles; hò d' ólbios, hón tina Moûsai
phílōntai; glykerḗ hoi apò stómatos hréei audḗ.
Ei gár tis kaì pénthos échōn neokēdéi thymōı
ázētai kradíēn akachḗmenos, autar aoidòs
Mousáōn therápōn kléea protérōn anthrṓpōn

i re esistono per volontà di Zeús. Beato il mortale
caro alle Moûsai: a lui fiorisce dalle labbra la voce;
se vi è qualcuno che, per gli affanni del cuore,
di cordoglio ha pieno lo spirito, quando un aedo
ministro delle Moûsai canta le gesta degli uomini antichi

 hymnḗsēı mákarás te theoús, hoì Ólympon échousin,
aîps' hó ge dysphrosynéōn epilḗthetai oudé ti kēdéōn
mémnētai; tachéōs dè parétrape dra theáōn.

e gli dèi beati che abitano sede di Ólympos,
subito egli dimentica i dolori, né i lutti
rammenta, poiché lo allietano i doni delle dee.

Invocazione alle Moûsai

 
Chaírete, tékna Diós, dóte d' himeróessan aoidḗn.
Kleíete d' athanátōn hieròn génos aièn eóntōn,
Salve, o figlie di Zeús, donatemi l'amabile canto;
celebrate la stirpe degli immortali che vivono eterni,
hoì Gs t' exegénonto kaì Ouranoû asteróentos,
Nyktós te dnophers, hoús th' halmyròs étrephe Póntos.
[Eípate d', ōs ta prta theoì kaì gaîa génonto
kaì potamoì kaì póntos apeíritos, oídmati thyíōn,
ástra te lampetóōnta kaì ouranòs eurỳs hýperthen.]
che nacquero da Gaîa, da Ouranós stellato e dalla buia Nýx;
e quelli che furono nutriti da Póntos salmastro.
Ditemi come all'inizio ebbe origine la terra ed i numi,
i fiumi ed il mare che irato si gonfia, infinito,
gli astri splendenti e l'ampio cielo;
hoí t' ek tn egénonto theoí, dōtres eáōn
hṓs t' áphenos dássanto kaì ōs timas diélonto
ēdè kaì ōs ta prta polýptychon éschon Ólympon.
Taûtá moi éspete Moûsai, Olýmpia dṓmat' échousai
ex archs, kaì eípath', hó ti prton génet' autn.
come nacquero gli dèi dispensatori di beni,
come si divisero i beni e si spartirono gli onori,
come ottennero all'inizio Ólympos dai molti recessi.
Ditemi questo, o Moûsai che avete dimora in Ólympos,
chi per primo tra loro venne alla luce in principio.

Gli dèi primigeni

 
  toi mèn prṓtista Cháos génet', autar épeita
Gaî' eurýsternos, pántōn hédos asphalès aieì
[athanátōn, hoì échousi kárē niphóentos Olýmpou,
Tártará t' ēeróenta mychōı chthonòs euryodeíēs,]
ēd' Éros, hòs kállistos en athanátoisi theoîsi,
Dunque per primo fu Cháos; e dopo
Gaîa dall'ampio petto, sede perenne e sicura di tutti
gli immortali che possiedono la cima nevosa di Ólympos,
e Tártaros nebbioso nei recessi della terra dalle ampie vie,
poi Érōs, il più bello di tutti gli immortali,
 lysimelḗs, pántōn dè then pántōn t' anthrṓpōn
dámnatai en stḗthessi nóon kaì epíphrona boulḗn.
che rompe le membra e doma nel petto ogni volontà
e ogni saggio consiglio di tutti gli uomini e gli dèi.

Nýx ed Érebos

 
Ek Cháeos d' Érebós te mélainá te Nỳx egénonto;
Nyktòs d' aût' Aithḗr te kaì Hēmérē exegénonto,
hoùs téke kysaménē Erébei philótēti migeîsa.
Dal Cháos nacquero Érebos e la nera Nýx;
da Nýx provennero Aithḗr e Hēméra,
che lei concepì unita in amore con Érebos.

I figli di Gaîa

 
 Gaîa dé toi prton mèn egeínato îson he' aut
Ouranòn asteróenth', hína min perì pánta kalýptoi,
óphr' eíē makáressi theoîs hédos asphalès aieí.
Geínato d' Oýrea makrá, then charíentas enaúlous,
Nymphéōn, haì naíousin an' oúrea bēssḗenta.
Gaîa per primo generò, simile a sé,
Ouranós stellato, perché l'avvolgesse tutta
e fosse per gli dèi una sede sicura per sempre;
generò gli alti monti, grato soggiorno per le Nýmphai divine,
che hanno dimora nei monti ricchi di anfratti;
 Hḗ dè kaì atrýgeton pélagos téken, oídmati thuîon,
Pónton, áter philótētos ephimérou; autar épeita
generò Póntos, mare infecondo,
di gonfiore furente, ma senza gioia d'amore.

I Titânes

 
Ouranōı eunētheîsa ték' Ōkeanòn bathydínēn,
Koîón te Krîón th' Hyperíoná t' Iapetón te
Theían te Rheían te Thémin te Mnēmosýnēn te
Poi, giacendo con Ouranós, generò Ōkeanós dai gorghi profondi,
Koîos, Kriós, Hyperíōn, Iapetós,
Theía
, Rhéa, Thémis, Mnēmosýnē,
 Phoíbēn te chrysostéphanon Tēthýn t' erateinḗn.
Toùs dè méth' hoplótatos géneto Krónos aŋkylomḗtēs,
deinótatos paídōn; thaleròn d' ḗchthēre toka.
Phoíbē dall'aurea corona e l'amabile Thētýs;
dopo di loro, il possente Krónos dai torti pensieri venne alla luce,
il più tremendo dei figli, che ardeva di odio contro il padre.

I Kýklōpes

 
Geínato d' aû Kýklōpas hypérbion tor échontas,
Bróntēn te Sterópēn te kaì Árgēn obrimóthymon,
Generò poi i Kýklōpes dal cuore superbo,
Bróntēs, Sterópēs ed Árgēs dal cuore violento:
hoì Zēnì brontḗn te dósan teûxán te keraunón.
Hoì dḗ toi ta mèn álla theoîs enalíŋkioi san,
moûnos d' ophthalmòs méssōı enékeito metṓpōı.
Kýklōpes d' ónom' san epṓnymon, hoúnek' ára sphéōn
kykloterḕs ophthalmòs héeis enékeito metṓpōı;
essi donarono a Zeús il tuono, forgiarono la folgore.
Essi erano in tutto simili agli dèi,
ma avevano solamente un occhio in mezzo alla fronte:
essi ebbero quindi il nome di Kýklōpes, perché
un solo occhio rotondo avevano nella fronte;
 ischỳs d' ēdè bíē kaì mēchanaì san ep' érgois.avevano una forza immane e perizia nelle opere.

Gli Ekatóŋcheires

 
Álloi d' aû Gaíēs te kaì Ouranoû exegénonto
treîs paîdes megáloi te kaì óbrimoi, ouk onomastoí,
Kóttos te Briáreṓs te Gýēs th', hyperḗphana tékna.
Tn hekatòn mèn cheîres ap' ṓmōn aíssonto,
Da Gaîa e Ouranós nacquero altri tre figli,
grandi e forti, che nessuno osa nominare:
Kóttos, Briáreōs e Gýgēs, prole tracotante;
cento mani protendevano dalle loro spalle,
 áplastoi, kephalaì dè hekástōı pentḗkonta
ex ṓmōn epéphykon epì stibaroîsi mélessin;
ischỳs d' áplētos kraterḕ megálōı epì eídei.
terribili; cinquanta teste crescevano a ciascuno
dalle spalle, sulle membra massicce;
forza terribile e grande si aggiungeva all'orrido aspetto.

Krónos evira il padre Ouranós

 
Hóssoi gar Gaíēs te kaì Ouranoû exegénonto,
deinótatoi paídōn, sphetérōı d' ḗchthonto toki
Ma quanti erano nati da Gaîa e da Ouranós,
i più tremendi dei figli, vennero presi in odio dal padre
ex archs; kaì tn mèn hópōs tis prta génoito,
pántas apokrýptaske, kaì es pháos ouk aníeske,
Gaíēs en keuthmni, kakōı d' epetérpeto érgōı
Ouranós. hḕ d' entòs stonachízeto Gaîa pelṓrē
steinoménē; dolíēn dè kakḗn t' ephrássato téchnēn.
sin dall'inizio, e appena uno di loro nasceva,
lo nascondeva, e non lo lasciava venire alla luce,
nel seno di Gaîa. E godeva del suo piano malvagio
Ouranós. E Gaîa dentro gemeva, poiché era troppo gravata;
così escogitò un piano ingannevole e malvagio.
Aîpsa dè poiḗsasa génos polioû adámantos
teûxe méga drépanon kaì epéphrade paisì phíloisin;
eîpe dè tharsýnousa, phílon tetiēménē tor;
“Paîdes emoì kaì patròs atasthálou, aí k' ethélēte
peíthesthai, patrós ke kakḕn tisaímetha lṓbēn
Creata l'essenza del livido adámas,
fabbricò una grande falce, poi si rivolse ai suoi figli,
con animo audace, ma afflitta nel cuore:
“Figli da me generati con un padre scellerato,
se volete obbedirmi potremo vendicare l'oltraggio del genitore,
hymetérou; próteros gar aeikéa mḗsato érga”.
Hṓs pháto; toùs d' ára pántas hélen déos, oudé tis autn
phthéŋxato. Tharsḗsas dè mégas Krónos aŋkylomḗtēs
àps aûtis mýthoisi prosēúda mētéra kednḗn;
“Mter, egṓ ken toûtó g' hyposchómenos telésaimi
lui che per primo rivolse il pensiero a vostro danno”.
Così disse; ma tutti erano terrorizzati, né alcuno
parlò. Preso coraggio, il grande Krónos dai torti pensieri
rispose con queste parole alla madre illustre:
“Madre, io ti prometto di compiere l'impresa;
érgon, epeì patrós ge dysōnýmou ouk alegízō
hēmetérou; próteros gar aeikéa mḗsato érga”.
Hṓs pháto; gḗthēsen dè méga phresì Gaîa pelṓrē;
Heîse dé min krýpsasa lóchōı; enéthēke dè chersìn
hárpēn karcharódonta; dólon d' hypethḗkato pánta.
non mi importa di un padre esecrabile,
poiché egli per primo compì opere infami.
Così disse: e molto gioì nel cuore Gaîa prodigiosa,
e lo pose nascosto in agguato; gli mise in mano
la falce dai denti aguzzi e ordì l'inganno.
 lthe dè nýkt' epágōn mégas Ouranós, amphì dè Gaíēı
himeírōn philótētos epéscheto kaí hr' etanýsthē
pántē; hò d' ek locheoîo páis ōréxato cheirì
skai, dexiter dè pelṓrion éllaben hárpēn
makrḕn karcharódonta, phílou d' apò mḗdea patròs
E venne il grande Ouranós, portando la notte, e desideroso
di amore si avvicinò a Gaîa e si stese tutto quanto
su di lei; ma il figlio in agguato si sporse con la mano
sinistra, con la destra impugnò la terribile falce
dai denti aguzzi e con forza tagliò
 essyménōs ḗmēse, pálin d' érhripse phéresthai
exopísō; ta mèn oú ti etṓsia ékphyge cheirós;
i genitali del padre, gettandoli via.
Ma essi non fuggirono invano dalla sua mano.

Erinýes, Gígantes, Melíades

 
hóssai gar hrathámiŋges apéssythen haimatóessai,
pásas déxato Gaîa; periploménōn d' eniautn
geínat' Erinŷs te krateras megálous te Gígantas,
Gaîa accolse tutte le gocce di sangue
che sprizzarono cruente; con il volgere degli anni,
generò le potenti Erinýes e i grandi Gígantes,
 teúchesi lampoménous, dolích' éŋchea chersìn échontas,
Nýmphas th', hàs Melías kaléous' ep' apeírona gaîan.
dalle armi splendenti, che lunghi dardi tengono in mano,
e le nýmphai chiamate Melíades sulla terra infinita.

Nascita di Aphrodítē

 
Mḗdea d' ōs tò prton apotmḗxas adámanti
kábbal' ap' ēpeíroio polyklýstōı enì póntōı,
hṑs phéret' àm pélagos poulỳn chrónon, amphì dè leukòs
Come ebbe tagliato i genitali con l'adámas,
dalla terra li gettò nel mare agitato.
Così per lungo tempo furono portati al largo;
aphròs ap' athanátou chroòs ṓrnyto; tōı d' éni koúrē
ethréphthē; prton dè Kythḗroisin zathéoisin
éplēt', énthen épeita perírhryton híketo Kýpron.
Ek d' ébē aidoíē kalḕ theós, amphì dè poíē
possìn hýpo hradinoîsin aéxeto; tḕn d' Aphrodítēn
ed intorno all'immortale membro sorse una bianca schiuma
e da essa nacque una fanciulla: dapprima giunse a Kýthēra divina,
poi arrivò a Kýpros lambita dai flutti:
lì approdò la dea veneranda e bella
e l'erba nasceva sotto i suoi morbidi piedi; gli uomini
 [aphrogenéa te thean kaì eustéphanon Kythéreian]
kiklḗıskousi theoí te kaì anéres, hoúnek' en aphrōı
thréphthē; atar Kythéreian, hóti prosékyrse Kythḗrois;
[Kyprogenéa d', hóti génto polyklýstōı enì Kýprōı;
ēdè philommēdéa, hóti mēdéōn exephaánthē.]
e gli dèi la chiamano Aphrodítē, Kýthēreia dalla bella corona
e Aphrogenéa, perché nacque nella schiuma;
la chiamano Kýthēreia, perché approdò a Kýthēra;
oppure Kyprogenéa, perché nacque a Kýpros;
ovvero Philommēdéa perché nacque dai genitali.
T d' Éros ōmártēse kaì Hímeros héspeto kalòs
geinoménēı ta prta then t' es phŷlon ioúsēı.
Taútēn d' ex archs timḕn échei ēdè léloŋche
moîran en anthrṓpoisi kaì athanátoisi theoîsi,
Partheníous t' oárous meidḗmatá t' exapátas te
Érōs l'accompagna e Hímeros il bello la segue,
da quando appena nata andò dalla stirpe degli dèi.
Sin dal principio ella ebbe tale sorte e tale onore,
come destino tra gli uomini e gli dèi immortali:
le chiacchiere delle fanciulle, i sorrisi e gli inganni,
 térpsin te glykerḕn philótētá te meilichíēn te.il dolce piacere, l'affetto soave.

Ouranós maledice i suoi figli

 
Toùs dè patḕr Titnas epíklēsin kaléeske
paîdas neikeíōn mégas Ouranós, hoùs téken autós;
pháske dè titaínontas atasthalíēı méga hréxai
érgon, toîo d' épeita tísin metópisthen ésesthai.
Costoro, per odio, il padre li chiamò Titânes,
il grande Ouranós, i figli da lui stesso generati:
e diceva che tendendo tracotanti le braccia avevano compiuto
un grande misfatto, di cui un giorno avrebbero pagato il fio.

I figli di Nýx

 
Nỳx d' éteken stygerón te Móron kaì Kra mélainan
kaì Thánaton, téke d' Hýpnon, étikte dè phŷlon Oneírōn;
(oú tini koimētheîsa thea téke Nỳx erebennḗ,)
deúteron aû Mmon kaì Oizỳn alginóessan
Hesperídas th', hs mla pérēn klytoû Ōkeanoîo
Nýx partorì l'odioso Móros e la scura Kḗr,
e Thánatos, Hýpnos e la stirpe degli Óneiroi
(non giacendo con alcuno li generò la buia Nýx),
per secondo poi Mmos e Oïzýs dolorosa,
le Hesperídes che, al di là del famoso Ōkeanós, si prendono
chrýsea kala mélousi phérontá te déndrea karpón.
Kaì Moíras kaì Kras egeínato nēleopoínous,
[Klōthṓ te Láchesín te kaì Átropon, haíte brotoîsi
geinoménoisi didoûsin échein agathón te kakón te,]
haít' andrn te then te paraibasías ephépousin;
cura delle mele d'oro e degli alberi che ne portano il frutto;
generò le Moîrai e le Kres, che infliggono le pene:
Klōthṓ, Láchesis e Átropos, che ai mortali
assegnano sin dalla nascita il bene e il male,
ed infliggono le pene agli uomini e agli dèi.
oudé pote lḗgousi theaì deinoîo chóloio,
prín g' apò tōı dṓōsi kakḕn ópin, hós tis hamártēı.
Tíkte dè kaì Némesin, pma thnētoîsi brotoîsi,
Nỳx oloḗ; meta tḕn d' Apátēn téke kaì Philótēta
Grás t' oulómenon, kaì Érin téke karteróthymon.
Né mai le dee placano la loro terribile ira,
prima di avere inflitto la pena a chi ha peccato.
E generò anche Némesis, sciagura per i mortali;
la tetra Nýx, e dopo di lei Apátē, Philótes,
la rovinosa Gras, ed Éris dal cuore violento.

I figli di Éris

 
Autar Éris stygerḕ téke mèn Pónon alginóenta
Lḗthēn te Limón te kaì Álgea dakryóenta
Hysmínas te Máchas te Phónous t' Androktasías te
Neíkeá te pseudéas te Lógous Amphillogías te
Dysnomíēn t' Aátēn te, synḗtheas allḗlēısin,
Poi l'odiosa Éris generò Pónos dolente,
Lḗthē, Limós, gli Álgoi che muovono al pianto,
le Hysmínai e le Mâchai, i Phónoi e gli Androktasíai,
Neîkos, Pseûdos, i Lógoi e gli Amphilógoi,
Dysnomía e Átē, che vanno congiunte tra loro,
 Hórkon th', hòs dḕ pleîston epichthoníous anthrṓpous
pēmaínei, hóte kén tis hekṑn epíorkon omóssēı.
Hórkos, che reca sciagura alle genti della grande terra
quando uno di loro non rispetta la parola data.

I figli di Póntos

 
Nēréa d' apseudéa kaì alēthéa geínato Póntos,
presbýtaton paídōn; autar kaléousi géronta,
hoúneka nēmertḗs te kaì ḗpios, oudè themistéōn
Póntos generò Nēreús, sincero e verace,
il più anziano tra i figli. Lo chiamano il vecchio,
perché non inganna, è benigno,
 lḗthetai, alla díkaia kaì ḗpia dḗnea oîden;
aûtis d' aû Thaúmanta mégan kaì agḗnora Phórkyn
Gaíēı misgómenos kaì Kētṑ kallipárēıon
Eurybíēn t' adámantos enì phresì thymòn échousan.
ha sempre nell'animo la giustizia ed i miti consigli.
Poi si unì Gaîa e generò Thaûmas il grande,
Phórkys, Ketṓ dalle belle guance,
Eúrybia, che nel suo petto ha un cuore di adámas.

Le Nērēḯdes

 
Nēros d' egénonto megḗrata tékna theáōnNel mare infecondo, da Nēreús e Dōrís dalle belle chiome
póntōı en atrygétōı kaì Dōrídos ēykómoio,
koúrēs Ōkeanoîo, telḗentos potamoîo,
Plōtṓ t' Eukrántē te Saṓ t' Amphitrítē te
Eudṓrē te Thétis te Galḗnē te Glaúkē te
Kymothóē Speiṓ te Thóē th' Alíē t' eróessa
(figlia di Ōkeanós, il fiume eccelso)
nacquero delle figlie, invidia per altre dee:
Prōthṓ, Eukrántē, Saṓ e Amphitrítē,
Eudṓra, Thétis, Galḗnē e Glaúkē,
Kymothóē, Speiṓ veloce e l'amabile Thalíē,
Pasithéē t' Eratṓ te kaì Euníkē hrodópēchys
kaì Melítē charíessa kaì Euliménē kaì Agauḕ
Dōtṓ te Prōtṓ te Phérousá te Dynaménē te
Nēsaíē te kaì Aktaíē kaì Prōtomédeia
Dōrìs kaì Panópeia kaì eueidḕs Galáteia
Pasithéa, Eratṓ, Euníkē dalle braccia di rosa,
Melítē graziosa, Euliménē, Agauḗ,
Dōtṓ e Prōthṓ e Férousa e Dynaménē,
Nēsaía, Aktaía e Prōtomédeia,
Dōrís, Panópē e Galáteia la bella,
Hippothóē t' eróessa kaì Hipponóē hrodópēchys
Kymodókē th', hḕ kýmat' en ēeroeidéi póntōı
pnoiás te zaéōn anémōn sỳn Kymatolḗgēı
hreîa prēǘnei kaì eusphýrōı Amphitrítēı,
Kymṓ t' Ēiónē te eustéphanós th' Halimḗdē
Hippothóē l'amabile e Hipponóē dalle braccia di rosa,
Kymodókē che placa facilmente i flutti
del mare nebbioso, insieme a Kymatolḗgē
e ad Amphitrítē dalle belle caviglie;
e poi Kymṓ, Ēiónē, Halimḗdē dalla bella corona,
Glaukonómē te philommeidḕs kaì Pontopóreia
Lēagórē te kaì Euagórē kaì Laomédeia
Poulynóē te kaì Autonóē kaì Lysiánassa
[Euárnē te phyḗn t' eratḕ kaì eîdos ámōmos]
kaì Psamáthē charíessa démas díē te Meníppē
Glaukonómē amica del riso e Pontopóreia,
Leiagóra, Euagóra e Laomédeia,
Poulynóē, Autonóē e Lysiánassa,
Euárnē di natura amabile e dalla figura perfetta,
Psamáthē dal corpo grazioso e la divina Meníppē,
 Nēsṓ t' Eupómpē te Themistṓ te Pronóē te
Nēmertḗs th', hḕ patròs échei nóon athanátoio.
Haûtai mèn Nēros amýmonos exegénonto
koûrai pentḗkonta, amýmona érga iduîai.
Nēsṓ, Eupómpē, Themistṓ, Pronóē
e Nēmertḗs, che ha il cuore simile al suo padre immortale.
Queste sono le cinquanta valenti figlie
di Nēreús, immune da biasimo.

I figli di Thaûmas di Ēléktra

 
 
Thaúmas d' Ōkeanoîo bathyrhreítao thýgatra Thaûmas sposò Ēléktra, la figlia di Ōkeanós
 Nēsṓ t' Eupómpē te Themistṓ te Pronóē te
Nēmertḗs th', hḕ patròs échei nóon athanátoio.
Haûtai mèn Nēros amýmonos exegénonto
koûrai pentḗkonta, amýmona érga iduîai.
dai gorghi profondi; questa generò la veloce Îris
e le Hárpyiai dalle belle chiome, Aellṓ e Okypétē,
che seguono il soffio dei venti e gli uccelli in volo,
con ali veloci, librandosi in alto.

I figli di Ketṓ e di Phórkys

 
Phórkyϊ d' aû Kētṑ Graías téke kalliparḗıous Ketṓ partorì a Phórkys le Graîai dalle belle guance,
ek genets poliás, tas dḕ Graías kaléousin
athánatoí te theoì chamaì erchómenoí t' ánthrōpoi,
Pemphrēdṓ t' eúpeplon Enyṓ te krokópeplon,
Gorgoús th', haì naíousi pérēn klytoû Ōkeanoîo
eschati pròs Nyktós, hín' Hesperídes ligýphōnoi,
vecchie sin dalla nascita; gli dèi immortali
e gli uomini che si muovono sulla terra le chiamano Graîai,
Pemphrēdṓ dal bel peplo ed Enyṓ dal peplo di croco;
e le Gorgónes, che hanno dimora al di là del famoso Ōkeanós,
verso la notte, agli estremi confini, dove sono le Hesperídes
Sthennṓ t' Euryálē te Médousá te lygra pathoûsa.
Hḗ mèn éēn thnētḗ, haì d' athánatoi kaì agḗrōı,
hai dýo; t dè mi pareléxato Kyanochaítēs
en malakōı leimni kaì ánthesin eiarinoîsin.
Ts d' hóte dḕ Perseùs kephalḕn apedeirotómēsen,
dalla voce acuta: Sthenṓ, Euryálē e Médousa dal triste destino;
le prime due erano immortali e sempre giovani,
mentre l'ultima era mortale: con lei si unì, su un morbido prato
tra i fiori di primavera, il nume dalla chioma azzurrina.
E quando Perseo le recise la testa dal collo,
ékthore Chrysaōr te mégas kaì Pḗgasos híppos.
Tōı mèn epṓnymon en, hót' Ōkeanoû perì pēgas
génth', hò d' áor chrýseion échōn meta chersì phílēısin.
Chō mèn apoptámenos prolipṑn chthóna, mētéra mḗlōn,
híket' es athanátous; Zēnòs d' en dṓmasi naíei
balzò fuori Chrysáōr il grande e Pḗgasos.
Tale fu la causa del loro nome, poiché questi nacque presso
le sorgenti di Ōkeanós, mentre quello aveva un’aurea spada tra le mani.
Quindi volò, lasciando la terra madre di greggi,
giunse tra gli immortali, nella dimora di Zeús,
 brontḗn te steropḗn te phérōn Diì mētióenti.portando al prudente nume il tuono e la folgore.

I figli di Kalliróē

 
Chrysáōr d' éteken triképhalon Gēryona
michtheìs Kalliróēı koúrēı klytoû Ōkeanoîo.
Tòn mèn ár' exenárixe bíē Hēraklēeíē
bousì par' eilipódessi perirhrýtōı ein Erytheíēı
Chrysáōr si unì con Kalliróē, figlia di Ōkeanós,
e generò il tricefalo Geryōneús.
Questi fu ucciso dal forte Hērakls,
in Erytheía battuta dai flutti, vicino ai buoi dal torto piede,
ḗmati tōı hóte per boûs ḗlasen eurymetṓpous
Tírynth' eis hierḕn diabas póron Ōkeanoîo
[Órthon te kteínas kaì boukólon Eurytíōna
stathmōı en ēeróenti pérēn klytoû Ōkeanoîo].
Hḗ d' étek' állo pélōron amḗchanon, oudèn eoikòs
proprio il giorno in cui, dopo avere attraversato Ōkeanós,
egli condusse i buoi dalla larga fronte verso Tíryns la sacra.
Uccise Órthros e il custode Eurytíōn,
nella stalla oscura, al di là dal famoso Ōkeanós.
Costei generò un altro mostro invincibile, per nulla
thnētoîs anthrṓpois oud' athanátoisi theoîsin,
en spi éni glaphyrōı theíēn krateróphron' Échidnan,
hḗmisy mèn nýmphēn helikṓpida kallipárēıon,
hḗmisy d' aûte pélōron óphin deinón te mégan te
aiólon ōmēstḕn zathéēs hypò keúthesi gaíēs.
simile agli uomini o agli dèi immortali,
nel cavo di una gotta: la divina Échidna dal cuore violento,
metà fanciulla dagli occhi splendenti e dalle belle guance,
per metà serpente, terribile e grande,
astuto e crudele, al di sotto dei recessi della terra.
Éntha dé hoi spéos estì kátō koílēı hypò pétrēı
tēloû ap' athanátōn te then thnētn t' anthrṓpōn;
énth' ára hoi dássanto theoì klyta dṓmata naíein.
Hḗ d' eryt' ein Arímoisin hypò chthóna lygrḕ Échidna,
athánatos nýmphē kaì agḗraos ḗmata pánta.
Ha dimora in una spelonca, sotto la roccia concava,
lontano dagli dèi immortali e dagli uomini mortali:
le imposero i numi di riparare in quell'illustre dimora.
Sta nel paese degli Arimói, sotto terra, la lacrimevole Échidna,
la nýmphē che non invecchia e che non muore.

La stirpe di Typhn ed Échidna

 
T dè Typháoná phasi migḗmenai en philótēti
deinón th' hybristḗn t' ánomón th' helikṓpidi koúrēı;
hḕ d' hypokysaménē téketo krateróphrona tékna.
Órthon mèn prton kýna geínato Gēryoni;
deúteron aûtis étikten amḗchanon, oú ti phateiòn
Dicono che Typhn, terribile, iniquo e violento,
si unì in amore con la fanciulla dagli occhi splendenti
e lei concepì e partorì figli dal cuore violento:
dapprima per Geryōneús generò il cane Órthros;
poi partorì un mostro terribile, più di ogni dire,
Kérberon ōmēstḗn, Aídeō kýna chalkeóphōnon,
pentēkontaképhalon, anaidéa te kraterón te;
tò tríton Hýdrēn aûtis egeínato lygra iduîan
Lernaíēn, hḕn thrépse thea leukṓlenos Hḗrē
áplēton kotéousa bíēı Hēraklēeíēı.
Kérberos crudele dalla voce di bronzo, il cane di Háidēs,
implacabile e forte, con cinquanta teste;
per terza generò l'Hýdra Lernaía, che conosce le lacrime,
nutrita da Hḗra dalle bianche braccia,
che ardeva di ira mai sazia conto il forte Hērakls.
Kaì tḕn mèn Diòs hyiòs enḗrato nēléi chalkōı
Amphitryōniádēs sỳn arēiphílōı Ioláōı
Hērakléēs boulsin Athēnaíēs ageleíēs.
Hḗ dè Chímairan étikte pnéousan amaimáketon pŷr,
deinḗn te megálēn te podṓkeá te kraterḗn te;
Il figlio di Zeús, Hērakls Amphitryōniádēs,
assieme al suo prediletto Iólaos la trafisse
con il bronzo spietato, per volontà di Athēnâ predatrice.
Costei partorì Chímaira, che spira fuoco invincibile,
immane e terribile, veloce e forte;
Ts d' n treîs kephalaí; mía mèn charopoîo léontos,
hḕ dè chimaírēs, hḕ d' óphios, krateroîo drákontos,
prósthe léōn, ópithen dè drákōn, méssē dè chímaira,
deinòn apopneíousa pyròs ménos aithoménoio.
Tḕn mèn Pḗgasos heîle kaì esthlòs Bellerophóntēs.
tre teste aveva: la prima di leone dagli occhi ardenti,
l'altra di capra, la terza di serpe, di drago possente:
davanti era leone, di dietro era drago, nel mezzo capra,
spirava tremendo ardore di fiamme brucianti;
il prode Bellerophóntēs e Pḗgasos la uccisero.
Hḗ d' ára Phîk' oloḕn téke Kadmeíoisin ólethron
Hórthōı hypodmētheîsa Nemeiaîón te léonta,
tón hr' Hḗrē thrépsasa Diòs kydrḕ parákoitis
gounoîsin katénasse Nemeíēs, pm' anthrṓpois.
Énth' ár' hò oikeíōn elephaíreto phŷl' anthrṓpōn,
Giacendo con Órthros, costei diede alla luce la Sphíŋx funesta,
che sterminava le genti di Kádmos, e il leone di Neméa:
questi venne nutrito da Hḗra, la nobile sposa di Zeús,
che lo mandò nei campi nemei, come castigo per i mortali:
qui dimorava e distruggeva le schiere degli uomini,
 koiranéōn Trētoîo Nemeíēs ēd' Apésantos;
allá he ìs edámasse bíēs Hēraklēeíēs.
che dominavano Trētos, Neméa e Apésantos;
ma il vigore di Hērakls lo abbattè.

L'ultimo figlio di Ketṓ e di Phórkys

 
Kētṑ d' hoplótaton Phórkyi philótēti migeîsa
geínato deinòn óphin, hòs eremns keúthesi gaíēs
speírēsin megálois paŋchrýsea mla phylássei.
Ketṓ, unita in amore con Phórkys,
come ultimo figlio generò un orrido serpente, che nei recessi
bui della terra custodisce con le sue grandi spire le mele d'oro.
 Toûto mèn ek Kētoûs kaì Phórkynos génos estín.Tale è la stirpe di Phórkys e Ketṓ.

I figli di Thētýs e di Ōkeanós: i Potamoí

 
Tēthỳs d' Ōkeanōı Potamoùs téke dinḗentas,
Neîlón t' Alpheión te kaì Ēridanòn bathydínēn
Strymóna Maíandrón te kaì Ístron kalliréethron
Phâsín te Rhsón <t'> Achelṓión t' argyrodínēn
Thētýs generò i fiumi turbinosi ad Ōkeanós:
Neîlos, Alpheiós, Ēridanós dai gorghi profondi,
Strymṓn, Maíandros e Ístros dalle belle correnti,
Phâsis, Rhsos e Achelıs dai gorghi d'argento,
Nésson te Rhodíon th' Haliákmoná th' Heptáporón te
Grḗnikón te kaì Aísēpon theîón te Simoûnta
Pēneión te kaì Hérmon eurhreítēn te Káikon
Saŋgárión te mégan Ládōná te Parthénión te
Eýēnón te kaì Árdēskon theîón te Skámandron
Néssos, Rhódios, Aliákmōn e Heptáporos,
Grḗnikos, Aísēpos divino e Simóeis,
Pēneiós, Hérmo dalla bella corrente e Káikos,
Saŋgários il grande, Ládōn e Parthénios,
Eúēnos, Aldskos e il divino Skámandros.

Le figlie di Thētýs e di Ōkeanós: le Ōkeanínes

 
Tíkte dè thygatérōn hieròn génos, haì kata gaîan
ándras kourízousi sỳn Apóllōni ánakti
kaì Potamoîs, taútēn dè Diòs pára moîran échousi,
Peithṓ t' Admḗtē te Iánthē t' Ēléktrē te
Dōrís te Prymnṓ te kaì Ouraníē theoeidḕs
Generò anche una sacra schiera di figlie,
che sulla terra si prendono cura degli uomini,
insieme ai fiumi e ad Apóllōn: tale destino hanno da Zeús:
Peithṓ e Admḗtē, Iánthē ed Ēléktra,
Dōrís e Prymnṓ e Ouraníē divina,
Hippṓ te Klyménē te Rhódeiá te Kalliróē te
Zeuxṓ te Klytíē te Iduîá te Pasithóē te
Plēxaúrē te Galaxaúrē t' eratḗ te Diṓnē
Mēlóbosís te Phóē te kaì eueidḕs Polydṓrē
Kerkēís te phyḕn eratḕ Ploutṓ te bopis
Hippṓ e Klyménē, Rhódeia e Kalliróē,
Zeuxṓ e Klytía, Iduîa e Pasithóē,
Plēxaúra, Galaxaúra e l'amabile Diṓnē,
Mēlóbosís, Thóē e la bella Polydṓra,
Kerkēís dalla bella figura e Ploutṓ dagli occhi di bue,
Persēís t' Iáneirá t' Akástē te Xánthē te
Petraíē t' eróessa Menesthṓ t' Eurṓpē te
Mtís t' Eurynómē te Telestṓ te krokópeplos
Chrysēís t' Asíē te kaì himeróessa Kalypsṑ
Eudṓrē te Týchē te kaì Amphirṑ Ōkyróē te
Persēís, Iáneira, Akástē e Xanthḗ,
l'amabile Petraía, Menesthṓ ed Eurṓpē,
Mḗtis, Eurynómē e Telestṓ dal peplo di croco,
Chrysēís, Asía e l'amabile Kalypsṓ,
Eudṓra, Týchē, Amphirṓ, Ōkyrróē
kaì Stýx, hḕ dḗ spheōn propherestátē estìn hapaséōn.
Haûtai d' Ōkeanoû kaì Tēthýos exegénonto
presbýtatai koûrai; pollaí ge mén eisi kaì állai.
Trìs gar chíliaí eisi tanýsphyroi Ōkeanînai,
haí hra polysperées gaîan kaì bénthea límnēs
e Stýx, la più illustre di tutte.
Queste sono le divine figlie di Ōkeanós e Thētýs;
ma ce ne sono molte altre:
infatti le Ōkeanínes dalle sottili caviglie sono tremila,
sono numerose e sparse in ogni dove,
pántē homs ephépousi, theáōn aglaa tékna.
Tóssoi d' aûth' héteroi potamoì kanachēda hréontes,
hyiées Ōkeanoû, toùs geínato pótnia Tēthýs;
tn ónom' argaléon pántōn brotòn anér' enispeîn,
Hoì dè hékastoi ísasin, hósoi perinaietáōsin.
sulla terra o negli abissi del mare, radiosa prole divina.
Ed altrettanti sono i fiumi dalle rumorose correnti,
figli di Ōkeanós e di Thētýs, la signora.
È arduo per un mortale nominarli tutti,
ma chi ha dimora presso di loro li conosce.

I figli di Theía e di Hyperíōn

 
 Theía d' Ēélión te mégan lamprán te Selḗnēn
Ē th', hḕ pántessin epichthoníoisi phaeínei
athanátois te theoîsi, toì ouranòn eurỳn échousi,
geínath' hypodmētheîs' Hyperíonos en philótēti.
Theía, il grande Hélios, la lucente Selḗnē
ed Ēṓs, che risplende per i mortali
e per gli immortali, signori dell'ampio cielo,
generò, unita in amore con Hyperíōn.

I figli di Kriós e di Eúrybia

 
Kríōı d' Eurybíē téken en philótēti migeîsaDivina tra le dee, Eúrybia si unì in amore con Kriós
 Astraîón te mégan Pállantá te dîa theáōn
Pérsēn th', hòs kaì pâsi metéprepen idmosýnēısin.
e generò Astraîos grande e Pállas,
e Pérsēs, che sovrasta su tutti per il suo sapere.

I figli di Ēṓs e di Astraîos

 
Astraíōı d' Ēṑs anémous téke karterothýmous,
argéstēn Zéphyron Boréēn t' aipsērokéleuthon
kaì Nóton, en philótēti thea theōı eunētheîsa.
Ēṓs partorì ad Astraîos i venti gagliardi:
lo splendente Zéphiros, Boréas dalla rapida corsa
e Nótos: lei dea, congiunta in amore con un nume.
 Toùs dè mét' astéra tíkt' Ēosphóron Ērigéneia
ástra te lampetóōnta, tá t' ouranòs estephánōtai.
E dopo di loro, la dea del mattino diede alla luce l'astro Heōsphóros
e gli Ástra, le splendenti stelle di cui il cielo è coronato.

I figli di Stýx e di Pállas

 
Stỳx d' étek' Ōkeanoû thygátēr Pállanti migeîsa
Zlon kaì Níkēn kallísphyron en megároisin;
kaì Krátos ēdè Bíēn arideíketa geínato tékna,
Stýx, figlia di Ōkeanós, unita in amore a Pállas,
generò Zlos e Níkē dalle belle caviglie;
e generò Krátos e Bía, figli celebri,
tn ouk ést' apáneuthe Diòs dómos, oudé tis hédrē,
oud' hodós, hóppē mḕ keínois theòs hēgemoneúēı,
all' aieì par Zēnì baryktýpōı hedrióōntai.
Hṓs gar eboúleusen Stỳx áphthitos Ōkeanínē
hḗmati tōı, hóte pántas Olýmpios asteropētḕs
che non hanno mai dimora lontani da Zeús,
né mai si allontanano, se il nume non lo ordina,
ma stanno sempre vicini a Zeús, il signore della folgore.
Così infatti decise Stýx, l'immortale Ōkeanínē,
il giorno in cui l'olimpio folgoratore
athanátous ekálesse theoùs es makròn Ólympon,
eîpe d', hòs àn meta heîo then Titsi máchoito,
mḗ tin' aporhraísein geráōn, timḕn dè hékaston
hexémen, hḕn tò páros ge met' athanátoisi theoîsin
Tòn d' éphath', hós tis átimos hypò Krónou ēd' agérastos,
chiamò in Ólympos gli dèi immortali, e promise
che non avrebbe privato degli onori
chi avesse combattuto i Titânes
(gli avrebbe anzi conservato il retaggio tra i numi immortali).
E chi non aveva avuto onori da Krónos,
tims kaì geráōn epibēsémen, h thémis estín.
lthe d' ára prṓtē Stỳx áphthitos Oýlympónde
sỳn sphoîsin paídessi phílou dia mḗdea patrós.
Tḕn dè Zeùs tímēse, perissa dè dra édōken.
Autḕn mèn gar éthēke then mégan émmenai hórkon,
ne avrebbe avuti secondo giustizia.
Stýx immortale fu la prima a giungere in Ólympos
insieme ai suoi figli, secondo il volere del padre.
E Zeús la onorò, le diede larghissimi doni,
fece sì che gli dèi giurassero in suo nome,
 paîdas d' ḗmata pánta héo metanaiétas eînai.
Hṓs d' aútōs pántessi diamperés, hṓs per hypéstē,
exetéless'; autòs dè méga krateî ēdè anássei.
e prese ad abitare con lui i suoi figli.
E così a tutti mantenne quanto aveva promesso;
egli ha sommo potere fra tutti e comanda.

I figli di Phoíbē e di Koîos

 
Phoíbē d' aû Koíou polyḗraton lthen es eunḗn;
kysaménē dḕ épeita thea theoû en philótēti
Phoíbē ascese il dolcissimo letto di Koîos
e poi, per l'amore di un nume, concepì e generò
Lētṑ kyanópeplon egeínato, meílichon aieí,
ḗpion anthrṓpoisi kaì athanátoisi theoîsin,
meílichon ex archs, aganṓtaton entòs Olýmpou.
Geínato d' Asteríēn euṓnymon, hḗn pote Pérsēs
ēgáget' es méga dma phílēn keklsthai ákoitin.
Lētṓ la dolce dal peplo azzurro,
benigna con gli uomini e con gli dèi immortali,
mite sin dalla nascita, dolcissima in Ólympos.
Generò anche l'illustre Astería, che Pérsēs
condusse nella sua grande casa, per farla sua sposa.
   

Inno a Hekátē

 
Ḗ d' hypokysaménē Hekátēn téke, tḕn perì pántōn
Zeùs Kronídēs tímēse; póren dé hoi aglaa dra,
moîran échein gaíēs te kaì atrygétoio thalássēs.
Hḗ dè kaì asteróentos ap' ouranoû émmore tims
athanátois te theoîsi tetiménē estì málista.
Costei concepì e generò Hekátē, che fra tutti
Zeùs Kronídēs onorò e a cui diede illustri doni:
che potesse essere onorata sulla terra,
sul mare infecondo e anche nel cielo stellato;
dagli dei immortali è sommamente onorata.
Kaì gar nŷn, hóte poú tis epichthoníōn anthrṓpōn
érdōn hiera kala kata nómon hiláskētai,
kiklḗıskei Hekátēn; pollḗ té hoi héspeto timḕ
hreîa mál', hı próphrōn ge thea hypodéxetai euchás,
kaí té hoi ólbon opázei, epeì dýnamís ge párestin.
E infatti anche ora, quando qualcuno degli uomini
che abitano la terra fa sacrifici secondo le leggi,
invoca Hekátē; e grande onore lo accompagna,
se la dea benevola accoglie le sue preghiere;
a lui ricchezza concede, perché grande è il suo potere.
Hóssoi gar Gaíēs te kaì Ouranoû exegénonto
kaì timḕn élachon, toútōn échei aîsan hapántōn.
Oudé tí min Kronídēs ebiḗsato oudé t' apēúra,
hóss' élachen Titsi meta protéroisi theoîsin,
all' échei, ōs tò prton ap' archs épleto dasmós,
Infatti, la dea partecipa degli onori e dei privilegi
di quanti nacquero da Gaîa e da Ouranós e ricevettero doni;
Il Kronídēs non la privò con violenza degli onori
che aveva ottenuto fra i Titânes, i primi degli dei,
ma ella li possiede, come fu all'inizio della spartizione;


oud', hóti mounogenḗs, hsson thea émmore tims,
[kaì géras en gaíēı te kaì ouranōı ēdè thalássēı,]
all' éti kaì polỳ mâllon, epeì Zeùs tíetai autḗn.
Hı d' ethélei, megálōs paragígnetai ēd' onínēsin;
én te díkēı basileûsi par' aidoíoisi kathízei,
né ricevette doni minori in quanto figlia unica:
ella ha molto potere in terra, nel cielo
e nel mare, perché Zeús le fa onore.
Ella sta vicino a chi vuole proteggere e molto gli giova;
nel tribunale siede presso i re rispettati





én t' agor laoîsi metaprépei, hón k' ethélēısin;
ēd' hopót' es pólemon phtheisḗnora thōrḗssōntai
anéres, éntha thea paragígnetai, hoîs k' ethélēısi
níkēn prophronéōs opásai kaì kŷdos oréxai.
Esthlḕ d' hippḗessi parestámen, hoîs k' ethélēısin.
e nell'assemblea tra le genti fa brillare i suoi protetti;
quando gli uomini si armano alla guerra assassina,
la dea assiste, benigna, chi intende
onorare della vittoria e coprire di gloria;
benigna assiste anche i cavalieri, quando vuole;





Esthlḕ d' aûth' hopót' ándres aethleúōsin agni,
éntha thea kaì toîs paragígnetai ēd' onínēsin;
nikḗsas dè bíēı kaì kárteϊ kalòn áethlon
hreîa phérei chaírōn te, tokeûsi dè kŷdos opázei.
Kaì toîs, hoì glaukḕn dyspémphelon ergázontai,
aiuta gli uomini quando gareggiano negli agoni:
la dea li assiste e li soccorre, sta presso di loro;
e chi con forza e vigore consegue vittoria, ottiene
bello il premio e copre di gloria la famiglia.
E quanti lavorano nel mare tempestoso
eúchontai d' Hekátēı kaì eriktýpōı Ennosigaíōı,
hrēidíōs ágrēn kydrḕ theòs ṓpase pollḗn,
hreîa d' apheíleto phainoménēn, ethélousá ge thymōı.
Esthlḕ d' en stathmoîsi sỳn Herm lēíd' aéxein;
boukolías d' agélas te kaì aipólia platé' aign
invocano Hekátē ed Ennosígaios che profondo rimbomba:
con facilità la nobile dea fornisce una preda abbondante,
o la porta via appena essa appare, se così vuole il suo cuore.
E con Herms benigna nelle stalle fa crescere le greggi,
le schiere dei buoi e i branchi grandi di capre
poímnas t' eiropókōn oíōn, thymōı g' ethélousa,
ex olígōn briáei kaì ek polln meíona thken.
Hoútō toi kaì mounogenḕs ek mētròs eoûsa
pâsi met' athanátoisi tetímētai geráessin.
Thke dé min Kronídēs kourotróphon, hoì met' ekeínēn
e i branchi di lanose pecore, se così vuole il suo cuore,
da piccoli li fa grandi e da molti li riduce a pochi.
Così, per quanto sia nata unigenita da sua madre,
fra tutti gli immortali è onorata di doni;
il Kronídēs la fece nutrice di giovani, i fedeli che videro
 ophthalmoîsin ídonto pháos polyderkéos Ēoûs.
Hoútōs ex archs kourotróphos, haì dé te timaí.
con gli occhi la luce dell'aurora onniveggente.
Così fu, fin dall'inizio, nutrice di giovani e questi i suoi onori.

I figli di Krónos e di Rhéa

 
Rheíē dè dmētheîsa Krónōı téke phaídima tékna,
Histíēn Dḗmētra kaì Hḗrēn chrysopédilon
íphthimón t' Aídēn, hòs hypò chthonì dṓmata naíei,
Rhéa, congiunta a Krónos, partorì illustri figli:
Hestía, Dēmḗtēr e Hḗra dagli aurei calzari,
il forte Háidēs che ha la dimora sotto terra,
nēleès tor échōn, kaì eríktypon Ennosígaion
Zná te mētióenta, then patér' ēdè kaì andrn,
toû kaì hypò bronts pelemízetai eureîa chthṓn.
Kaì toùs mèn katépine mégas Krónos, hṓs tis hékastos
nēdýos ex hiers mētròs pròs goúnath' híkoito,
spietato nel cuore, Ennosígaios che profondo rimbomba
e Zeús, saggia mente, padre degli uomini e degli dèi:
sotto il suo tuono trema l'ampia terra.
Ma il grande Krónos inghiottiva i suoi figli,
appena ciascuno dal ventre della sacra madre arrivava alle ginocchia;
ta phronéōn, hína mḗ tis agaun Ouraniṓnōn
állos en athanátoisin échoi basilēída timḗn.
Peútheto gar Gaíēs te kaì Ouranoû asteróentos,
hoúneká hoi péprōto heōı hypò paidì damnai
kaì kraterōı per eónti (Diòs megálou dia boulás;)
ciò escogitava affinché nessuno della stirpe di Ouranós
avesse tra gli immortali l'onore del regno:
egli aveva saputo da Gaîa e da Ouranós stellato
che era per lui destino (per quanto forte egli fosse)
essere vinto da un figlio, per volere divino.
 tōı hó g' ár' ouk alaòs skopiḕn échen, alla dokeúōn
paîdas heoùs katépine; Rhéēn d' éche pénthos álaston.
Per questo vegliava, sempre in sospetto, e i figli
suoi divorava. E Rhéa si struggeva di crudele dolore.

Nascita di Zeús

 
All' hóte dḕ Dí' émelle then patér' ēdè kaì andrn
téxesthai, tót' épeita phílous litáneue tokas
toùs auts, Gaîán te kaì Ouranòn asteróenta,
Ma quando ella stava per dare alla luce Zeús,
padre degli uomini e dei numi, chiese ai suoi genitori,
Gaîa ed Ouranós stellato, di darle consiglio,
mtin symphrássasthai, hópōs leláthoito tekoûsa
paîda phílon, teísaito d' erinŷs patròs heoîo
paídōn th', hoùs katépine mégas Krónos aŋkylomḗtēs.
Hoì dè thygatrì phílēı mála mèn klýon ēd' epíthonto,
kaí hoi pephradétēn, hósa per péprōto genésthai
perché trovassero il modo di nascondere il parto
del figlio caro e placare le Erinýes del padre
e dei figli, inghiottiti da Krónos possente, l'astuto.
Costoro la ascoltarono e accolsero la sua richiesta
e le rivelarono quanto era stato stabilito dal Fato
amphì Krónōı basili kaì hyiéi karterothýmōı.
Pémpsan d' es Lýkton, Krḗtēs es píona dmon,
hoppót' ár' hoplótaton paídōn téxesthai émelle,
Zna mégan; tòn mén hoi edéxato Gaîa pelṓrē
Krḗtēı en eureíēı traphémen atitallémenaí te.
riguardo a Krónos sovrano e a suo figlio dal forte cuore.
E la mandarono a Lýktos, nel ricco paese di Krḗtē,
affinché desse alla luce il suo ultimo figlio,
Zeús il grande. Gaîa prodigiosa lo accolse
nel suolo ampio di Krḗtē, per nutrirlo ed educarlo;
Éntha min îkto phérousa thoḕn dia nýkta mélainan
prṓtēn es Lýkton; krýpsen dé he chersì laboûsa
ántrōı en ēlibátōı, zathéēs hypò keúthesi gaíēs,
Aigaíōı en órei pepykasménōı hylḗenti.
Tōı dè sparganísasa mégan líthon eŋgyálixen
lo portò con sé durante la notte ombrosa e giunse rapida
dapprima a Lýktos; e qui lo nascose con le sue mani,
in un antro scosceso, sotto i recessi della buia terra,
sul monte Aigaíōs dalle folte foreste.
Al sommo figlio di Ouranós, che fu il primo sovrano degli dèi,
Ouranídēı még' ánakti, then protérōı basili.
Tòn tóth' helṑn cheíressin heḕn eskáttheto nēdỳn
schétlios; oud' enóēse meta phresín, hṓs hoi opíssō
antì líthou heòs hyiòs aníkētos kaì akēdḕs
leípeth', hó min tách' émelle bíēı kaì chersì damássas
porse una gran pietra avvolta in fasce.
Egli la prese con le sue mani e la trangugiò nel suo ventre,
né gli passò per la mente (sciagurato!) che, al posto
di un sasso, suo figlio fosse rimasto indenne
e che questi lo avrebbe vinto con la forza,
tims exeláein, hò d' en athanátoisi anáxein.
Karpalímōs d' ár' épeita ménos kaì phaídima guîa
ēúxeto toîo ánaktos; epiploménōn d' eniautn
Gaíēs ennesíēısi polyphradéessi dolōtheìs
hòn gónon áps anéēke mégas Krónos aŋkylomḗtēs
privandolo del trono e regnando tra gli immortali.
Presto, la forza e le fulgide membra
del nuovo sovrano crescevano. Con il volgere degli anni,
tratto in inganno dai furbi consigli di Gaîa,
il grande Krónos dai torti pensieri risputò la sua prole,
 [nikētheìs téchnēısi bíēphí te paidòs heoîo].
Prton d' exémesen líthon, pýmaton katapínōn;
tòn mèn Zeùs stḗrixe kata chthonòs euryodeíēs
Pythoî en ēgathéēı gyálois hýpo Parnēsoîo
sm' émen exopísō, thaûma thnētoîsi brotoîsin.
vinto dalle arti e dalla forza del figlio.
Per prima vomitò la pietra che per ultima aveva inghiottita;
e Zeús la fissò nella terra dalle ampie vie,
nella sacra Pythṓ, sotto le valli del Parnassós,
come simbolo sacro, meraviglia per i mortali.
a




[Lŷse dè patrokasignḗtous olon hypò desmn
<Bróntēn te Sterópēn te kaì Árgēn obrimóthymon,>
Ouranídas, hoùs dse patḕr aesiphrosýnēısin;
hoì hoi apemnḗsanto chárin euergesiáōn,
dkan dè brontḕn ēd' aithalóenta keraunòn
kaì steropḗn; tò prìn dè pelṓrē Gaîa kekeúthei;
Poi sciolse dai ceppi i fratelli di suo padre, la stirpe di Ouranós,
Bróntēs, Sterópēs ed Árgēs dal cuore violento,
che il padre nella sua follia aveva incatenato.
Essi gli furono sempre grati di tale beneficio
e gli diedero il tuono, l'ardente saetta ed il baleno
che prima Gaîa prodigiosa teneva nascosti;
 toîs písynos thnētoîsi kaì athanátoisin anássei.]in questi confida Zeús e comanda i mortali e gli immortali.

I figli di Iapetós

 
Koúrēn d' Iapetòs kallísphyron Ōkeanínēn
ēgágeto Klyménēn kaì homòn léchos eisanébainen.
Hḗ dé hoi Átlanta krateróphrona geínato paîda;
tíkte d' hyperkýdanta Menoítion ēdè Promēthéa,
Iapetós, l'oceanina, fanciulla dalle belle caviglie
sposò, Klyménē, e ascese il suo talamo.
Ed ella generò Átlas dal cuore violento,
partorì l'orgoglioso Menoítios, e Promētheús
poikílon aiolómētin, hamartínoón t' Epimēthéa,
hòs kakòn ex archs génet' andrásin alphēstsin;
prtos gár hra Diòs plastḕn hypédekto gynaîka
parthénon. Hybristḕn dè Menoítion eurýopa Zeùs
eis Érebos katépempse balṑn psolóenti keraunōı
versatile e astuto, ed Epimētheús senza senno,
che fu causa del male per gli uomini che mangiano pane:
egli accolse per primo nella sua casa la donna plasmata da Zeús.
Zeús onniveggente spinse nell'Érebos Menoítios
il tracotante, scagliando il suo fulmine,
heínek' atasthalíēs te kaì ēnoréēs hyperóplou.
Átlas d' ouranòn eurỳn échei kraters hyp' anáŋkēs
peírasin en gaíēs, própar Hesperídōn ligyphṓnōn,
hestēṑs kephal te kaì akamátēısi chéressin;
taútēn gár hoi moîran edássato mētíeta Zeús.
per via della sua arroganza e della sua forza senza pari.
A causa del duro fato Átlas sostiene la volta del cielo,
al confini della terra, presso le Hesperídes dal canto sonoro;
la regge con il capo e le infaticabili braccia:
tale destino per lui stabilì Zeús accorto.
Dse d' alyktopédēısi Promēthéa poikilóboulon
desmoîs argaléoisi méson dia kíon' elássas;
kaí hoi ep' aietòn rse tanýpteron; autar hó g' hpar
ḗsthien athánaton, tò d' aéxeto îson hapántē
nyktós, hóson própan mar édoi tanysípteros órnis.
Egli legò con inestricabili lacci Promētheús mente sottile,
con legami tremendi, spingendo una colonna nel mezzo,
e sopra gli avventò un'aquila dalle ampie ali, che gli sbranava
il fegato immortale, ma questo ricresceva
la notte, quanto il giorno ne aveva sbranato l'uccello dalle ampie ali.
Tòn mèn ár' Alkmḗnēs kallisphýrou álkimos hyiòs
Hērakléēs ékteine, kakḕn d' apò noûson álalken
Iapetionídēı kaì elýsato dysphrosynáōn
ouk aékēti Zēnòs Olympíou hypsimédontos,
óphr' Hēraklos Thēbagenéos kléos eíē
La uccise il prode figlio di Alkmḗnē dalle belle caviglie,
Hērakls, che allontanò dalla sciagura
il figlio di Iapetós e lo liberò dai tormenti;
tutto ciò non contro il volere di Zeús che alto regna in Ólympos:
questi anzi volle che la gloria di Hērakls, stirpe di Thbai,
pleîon ét' ḕ tò pároithen epì chthóna poulybóteiran.
Taûtá g' ár' hazómenos tíma arideíketon hyión;
kaí per chōómenos paúthē chólou, hòn prìn échesken,
hoúnek' erízeto boulas hypermenéei Kroníōni.
Kaì gar hót' ekrínonto theoì thnētoí t' ánthrōpoi
fosse maggiore di prima su tutta la terra;
in tal modo onorò l'illustre suo figlio
e, per quanto adirato, abbandonò il rancore che nutriva
contro Promētheús, che aveva gareggiato con lui in astuzia.
Infatti, quando la loro contesa dirimevano gli dèi e i mortali
Mēkṓnēı, tót' épeita mégan boûn próphroni thymōı
dassámenos proéthēke, Diòs nóon exapaphískōn.
Toîs mèn gar sárkas te kaì éŋkata píona dēmōı
en hrinōı katéthēke kalýpsas gastrì boeíēı,
tōı d' aût' ostéa leuka boòs dolíēı epì téchnēı
a Mēkṓnē, [Promētheús], con subdola mente, spartì un bue
dopo averlo diviso, volendo ingannare la mente di Zeús.
Da una parte egli pose le carni e le interiora
ricche di grasso nella pelle del bue, ben coperte nel ventre,
dall'altra dispose ad arte le candide ossa
euthetísas katéthēke kalýpsas argéti dēmōı.
Dḕ tóte min proséeipe patḕr andrn te then te;
“Iapetionídē, pántōn arideíket' anáktōn,
 pépon, ōs heterozḗlōs diedássao moíras”.
Hṓs pháto kertoméōn Zeùs áphthita mḗdea eidṓs.
spolpate, nascoste nel bianco grasso.
E allora [Zeús], padre degli uomini e degli dei, disse:
“Figlio di Iapetós, illustre fra tutti i signori,
mio caro, con quanta ingiustizia hai fatto le parti!”
Così disse Zeús che conosce gli eterni consigli;

 
Tòn d' aûte proséeipe Promētheùs aŋkylomḗtēs
k' epimeidḗsas, dolíēs d' ou lḗtheto téchnēs;
“Zeû kýdiste mégiste then aieigenetáōn,
tn d' héle', hoppotérēn se enì phresì thymòs anṓgei”.
Ph hra dolophronéōn; Zeùs d' áphthita mḗdea eidṑs
E Promētheús dai torti pensieri rispose,
ridendo sommesso, e non dimenticava le arti dell'inganno:
“Nobilissimo Zeús, sommo tra gli dèi immortali,
scegli la tua parte come ti suggerisce il cuore”.
Così disse tramando l'inganno; ma Zeús che conosce gli eterni consigli
gn hr' oud' ēgnoíēse dólon; kaka d' ósseto thymōı
thnētoîs anthrṓpoisi, ta kaì teléesthai émellen.
Chersì d' hó g' amphotérēısin aneíleto leukòn áleiphar.
Chṓsato dè phrénas amphí, chólos dé min híketo thymón,
ōs íden ostéa leuka boòs dolíēı epì téchnēı.
riconobbe la frode, non gli sfuggì; e nel suo cuore
meditava sciagure contro i mortali e si preparava a porle in essere.
Raccolse il bianco grasso con ambedue le mani,
si adirò nell'animo e l'ira raggiunse il suo cuore,
quando vide le ossa bianche del bue, frutto dell'inganno:
Ek toû d' athanátoisin epì chthonì phŷl' anthrṓpōn
kaíous' ostéa leuka thyēéntōn epì bōmn.
Tòn dè még' ochthḗsas proséphē nephelēgeréta Zeús;
“Iapetionídē, pántōn péri mḗdea eidṓs,
 pépon, ouk ára pō dolíēs epilḗtheo téchnēs”.
da qui proviene l'usanza per cui gli uomini bruciano
le ossa bianche sugli altari fragranti per gli immortali.
Molto indignato, così disse Zeús adunatore di nubi:
“Figlio di Iapetós, tu che sei maestro di ogni cosa,
caro amico, non mi sfuggì la tua arte ingannevole”.
Hṓs pháto chōómenos Zeùs áphthita mḗdea eidṓs;
ek toútou dḕ épeita dólou memnēménos aieì
ouk edídou melíēısi pyròs ménos akamátoio
thnētoîs anthrṓpois, hoì epì chthonì naietáousin.
Allá min exapátēsen eùs páis Iapetoîo
Così disse Zeús irato, il nume dagli eterni consigli,
e da quel giorno, sempre memore della frode,
negò ai frassini la forza del fuoco indomabile
agli uomini mortali che hanno dimora sulla terra.
Ma il prode figlio di Iapetós lo ingannò
klépsas akamátoio pyròs tēléskopon augḕn
en koḯlōı nárthēki; dáken dé he neióthi thymón,
Zn' hypsibremétēn, echólōse dé min phílon tor,
ōs íd' en anthrṓpoisi pyròs tēléskopon augḗn.
Autíka d' antì pyròs teûxen kakòn anthrṓpoisin;
e rubò il bagliore lungisplendente del fuoco indomabile
e lo mise in una cava ferula di nartece. Zeús che tuona dall'alto,
quando vide il bagliore del fuoco che splende da lontano
in mezzo agli uomini, si addolorò nel cuore e il suo animo si adirò:
allora, per vendicarsi, concepì un piano malvagio per gli uomini.
gaíēs gar sýmplasse periklytòs Amphigyḗeis
parthénōı aidoíēı íkelon Kronídeō dia boulás.
Zse dè kaì kósmēse thea glaukpis Athḗnē
argyphéē esthti; kata krthen dè kalýptrēn
daidaléēn cheíressi katéschethe, thaûma idésthai;
L'illustre amphigýeis plasmò con la terra
l'immagine di una fanciulla virtuosa: così volle il Kronídēs;
Athēnâ glaukṓpis la ornò con una cintura e la adornò
con una candida veste, sul capo le pose un velo
ricamato con le sue mani, meraviglia a vedersi;
 [amphì dé hoi stephánous, neothēléos ánthea poíēs,
himertoùs períthēke karḗati Pallas Athḗnē.]
amphì dé hoi stephánēn chryséēn kephalphin éthēke,
tḕn autòs poíēse periklytòs Amphigyḗeis
askḗsas palámēısi, charizómenos Diì patrí.
sulla sua testa Pállas Athēnâ le pose collane
di fiori, colti dall'erba appena fiorita;
l'illustre amphigýeis le pose sulla testa
un diadema d'oro che aveva forgiato per lei
con le sue mani, per far cosa grata a Zeús padre.
T d' enì daídala polla teteúchato, thaûma idésthai,
knṓdal', hós' ḗpeiros polla tréphei ēdè thálassa;
tn hó ge póll' enéthēke, cháris d' apelámpeto pollḗ,
thaumásia, zṓıoisin eoikóta phōnḗessin.
Autar epeì dḕ teûxe kalòn kakòn ant' agathoîo,
Su di esso aveva scolpito con arte meravigliosa
molte belve terribili, quante ne nutrono la terra e il mare:
tante ne aveva scolpite, magnifiche e di somma
bellezza; sembrava che avessero voce.
Dopo aver creato il male al posto del bene,
exágag', éntha per álloi ésan theoì ēd' ánthrōpoi,
kósmōı agalloménēn glaukṓpidos obrimopátrēs.
thaûma d' éch' athanátous te theoùs thnētoús t' anthrṓpous,
ōs éidon dólon aipýn, amḗchanon anthrṓpoisin.
ek ts gar génos estì gynaikn thēlyteráōn,
egli condusse la donna dov'erano gli altri, numi e mortali;
ella era abbellita dagli ornamenti di Athēnâ glaukṓpis
e meraviglia destò tra gli dèi immortali e gli uomini mortali,
quando essi videro la frode funesta, che non dà scampo agli uomini.
Da lei derivò la stirpe delle donne,
 [ts gar olṓión esti génos kaì phŷla gynaikn,]
pma még' haì thnētoîsi met' andrási naietáousin
ouloménēs peníēs ou sýmphoroi, alla kóroio.
Hōs d' hopót' en smḗnessi katērephéessi mélissai
kēphnas bóskōsi, kakn xynḗonas érgōn;
da lei proviene il nefasto genere femminile,
grande sciagura per gli uomini mortali,
poiché non sono compagne della povertà ma del lusso.
Come quando negli ombrosi alveari le api
nutrono i fuchi, che sono compagni di opere malvagie:
haì mén te própan mar es ēélion katadýnta
ēmátiai speúdousi titheîsí te kēría leuká,
hoì d' éntosthe ménontes epērephéas kata símblous
allótrion kámaton sphetérēn es gastér' amntai;
hṑs d' aútōs ándressi kakòn thnētoîsi gynaîkas
esse per tutto il giorno si affrettano sollecite
e riempiono i candidi favi, sino al tramonto del sole;
i fuchi rimangono dentro gli ombrosi alveari,
raccolgono nel ventre la fatica altrui;
così, a danno degli uomini, Zeús alto tonante
Zeùs hypsibremétēs thken, xynḗonas érgōn
argaléōn; héteron dè póren kakòn ant' agathoîo;
hós ke gámon pheúgōn kaì mérmera érga gynaikn
mḕ gmai ethélēı, oloòn d' epì gras híkoito
chḗteϊ gērokómoio; hó g' ou biótou epideuḕs
pose le donne, compagne di opere malvagie;
e un altro male inflisse, al posto di un bene.
Colui che fugge le nozze e le moleste opere delle donne
non si sposa e giunge alla triste vecchiaia
privo di sostegno; nulla gli manca,
zṓei, apophthiménou dè dia ktsin datéontai
chērōstaí; hı d' aûte gámou meta moîra génētai,
kednḕn d' éschen ákoitin arēruîan prapídessi,
tōı dé t' ap' ainos kakòn esthlōı antipherízei
emmenés; hòs dé ke tétmēı atartēroîo genéthlēs,
ma alla sua morte i lontani parenti
si divideranno i suoi beni; chi si sposa,
anche se trova una buona moglie, saggia nel cuore,
per tutta la vita bilancia il bene con il male.
Ma chi si imbatte in una schiatta funesta,
zṓei enì stḗthessin échōn alíaston aníēn
thymōı kaì kradíēı, kaì anḗkeston kakón estin.
Hṓs ouk ésti Diòs klépsai nóon oudè pareltheîn.
Oudè gar Iapetionídēs akákēta Promētheùs
toîó g' hypexḗlyxe barỳn chólon, all' hyp' anáŋkēs
vive tenendo nel petto un dolore incessante,
nel cuore e nell'animo, e non c'è rimedio per il suo male.
Non si può ingannare il volere di Zeús, né ad esso sottrarsi;
neppure Promētheús benefico, figlio di Iapetós,
sfuggì alla sua ira; per quanto scaltro egli fosse,
 kaì polýidrin eónta mégas kata desmòs erýkei.egli fu stretto da immense catene.

La Titanomachia

 
Briáreōı d' ōs prta patḕr ōdýssato thymōı
Kóttōı t' ēdè Gýēı, dsen kraterōı enì desmōı
ēnoréēn hypéroplon agṓmenos ēdè kaì eîdos
kaì mégethos; katénasse d' hypò chthonòs euryodeíēs.
Quando il padre si adirò con Briáreōs,
Kóttos e Gýgēs, li strinse con saldi legami,
invidioso del loro aspetto e della loro forza senza pari;
li spinse sotto la terra dalle ampie vie.
Énth' hoí g' álge' échontes hypò chthonì naietáontes
hḗat' ep' eschati, megálēs en peírasi gaíēs,
dētha mál' achnýmenoi, kradíēı méga pénthos échontes.
allá spheas Kronídēs te kaì athánatoi theoì álloi,
hoùs téken ēúkomos Rheíē Krónou en philótēti,
Ed essi stavano sotto terra, soffrendo dolori,
ai confini del mondo, alle estremità della terra,
tormentati a lungo, con il lutto funesto nel cuore.
Ma poi il Kronídēs e gli altri dei immortali,
figli di Rhéa dalle belle chiome, stretta in amore con Krónos,
Gaíēs phradmosýnēısin anḗgagon es pháos aûtis;
autḕ gár sphin hápanta diēnekéōs katélexe
sỳn keínois níkēn te kaì aglaòn eûchos arésthai.
dēròn gar márnanto pónon thymalgé' échontes
Titnés te theoì kaì hósoi Krónou exegénonto;
su consiglio di Gaîa li condussero di nuovo alla luce.
La dea aveva chiaramente profetizzato
che avrebbero ottenuto fama e vittoria grazie a loro.
Da tempo lottavano gli uni contro gli altri
i Titânes e quanti erano figli di Krónos,
antíon allḗloisi dia krateras hysmínas,
hoì mèn aph' hypsēls Óthryos Titnes agauoí,
hoì d' ár' ap' Oulýmpoio theoí, dōtres eáōn,
hoùs téken ēúkomos Rheíē Krónōı eunētheîsa.
hoí hra tót' allḗloisi chólon thymalgé' échontes
soffrendo pene dolorose in tremende battaglie,
gli uni dall'alto del monte Óthrys (i gloriosi Titânes)
gli altri dalle cime di Ólympos (gli dèi donatori di beni,
generati da Rhéa dalle belle chiome, la sposa di Krónos).
Costoro si facevano guerra da dieci anni interi,
synechéōs emáchonto déka pleíous eniautoús;
oudé tis n éridos chaleps lýsis oudè teleutḕ
oudetérois, îson dè télos tétato ptolémoio.
All' hóte dḕ keínoisi paréschethen ármena pánta,
néktar t' ambrosíēn te, tá per theoì autoì édousi,
gli uni contro gli altri, con animo sofferente:
non vi era termine o conclusione per l'aspra contesa,
a favore degli uni o degli altri: incerta era la sorte della guerra.
Quando venne convenientemente offerto
il néktar e l'ambrosía di cui su cibano gli dèi,
pántōn en stḗthessin aéxeto thymòs agḗnōr.
[Hōs néktar t' epásanto kaì ambrosíēn erateinḗn,]
dḕ tóte toîs metéeipe patḕr andrn te then te;
“kéklyte meu, Gaíēs te kaì Ouranoû aglaa tékna,
óphr' eípō, tá me thymòs enì stḗthessi keleúei.
a tutti si rafforzava l'animo valoroso
quando gustavano il néktar e l'ambrosía desiderata.
Allora così parlò il padre degli uomini e degli dèi:
“Ascoltatemi, illustri figli di Ouranós e Gaîa,
io vi dico ciò che il cuore nel petto mi comanda.
Ḗdē gar mála dēròn enantíoi allḗloisi
níkēs kaì kráteos péri marnámeth' ḗmata pánta
Titnés te theoì kaì hósoi Krónou ekgenómestha.
Hymeîs dè megálēn te bíēn kaì cheîras aáptous
phaínete Titḗnessin enantíoi en daï̀ lygr
Da troppo tempo gli dèi Titânes e i figli di Krónos
combattono faccia a faccia,
per il potere e per la vittoria.
Voi mostrate la vostra grande forza e le braccia invincibili
contro i Titânes nella battaglia funesta,
mnēsámenoi philótētos enēéos, hóssa pathóntes
es pháos àps aphíkesthe dysēlegéos hypò desmoû
hēmetéras dia boulas hypò zóphou ēeróentos”.
Hṓs pháto; tòn d' exaûtis ameíbeto Kóttos amýmōn;
daimóni', ouk adáēta piphaúskeai; alla kaì autoì
grati alla nostra amicizia, per la quale dopo tanto soffrire
siete giunti di nuovo alla luce dalla caligine oscura,
liberati dalle catene per nostro volere”.
Così disse; e l'irreprensibile Kóttos rispose:
“O divino, quanto dici non ci è ignoto;
ídmen, hó toi perì mèn prapídes, perì d' estì nóēma,
alktḕr d' athanátoisin ars géneo kryeroîo.
Ssi d' epiphrosýnēısin hypò zóphou ēeróentos
ápsorhron deûr' aûtis ameilíktōn hypò desmn
ēlýthomen, Krónou hyiè ánax, anáelpta pathóntes.
anche noi sappiamo che in te è senno e saggezza,
tu che fosti per gli immortali riparo dal male;
siamo giunti qui dalla caligine oscura,
liberi da catene, godendo di benefici insperati,
per tuo volere, signore, figlio di Krónos.
 Tōı kaì nŷn ateneî te nóōı kaì epíphroni boul
hrysómetha krátos hymòn en ain dēiotti
marnámenoi Titsin ana krateras hysmínas.
Hṓs phát'; epḗınessan dè theoí, dōtres eáōn,
mŷthon akoúsantes; polémou d' elilaíeto thymòs
Per questo ora, con animo inflessibile e volontà cosciente
difenderemo il vostro potere nella terribile lotta,
combattendo contro i Titânes nelle aspre battaglie”.
Così disse e lo lodarono gli dèi dispensatori di beni,
ascoltando le sue parole; e assai più di prima essi desideravano
mâllon ét' ḕ tò pároithe; máchēn d' amégarton égeiran
pántes, thḗleiai te kaì ársenes, ḗmati keínōı,
Titnés te theoì kaì hósoi Krónou exegénonto,
hoús te Zeùs Erébesphin hypò chthonòs hke phóōsde
deinoí te krateroí te, bíēn hypéroplon échontes.
combattere; quel giorno, ingaggiarono
una terribile battaglia tutte le divinità:
femmine e maschi, Titânes e figli di Krónos,
nonché coloro che Zeús aveva condotto alla luce dall'Érebos
(terribili, gagliardi, dotati di immenso vigore);
Tn hekatòn mèn cheîres ap' ṓmōn aíssonto
pâsin homs, kephalaì dè hekástōı pentḗkonta
ex ṓmōn epéphykon epì stibaroîsi mélessin.
Hoì tóte Titḗnessi katéstathen en daï̀ lygr
pétras ēlibátous stibars en chersìn échontes.
cento braccia si alzavano dalle loro spalle,
allo stesso modo per tutti, e cinquanta teste
crescevano dalle spalle di ciascuno, sulle forti membra.
Essi diedero battaglia contro i Titânes,
stringendo rocce scoscese nelle forti mani.
Titnes d' hetérōthen ekartýnanto phálaŋgas
prophronéōs, cheirn te bíēs th' háma érgon éphainon
amphóteroi; deinòn dè períache póntos apeírōn,
g dè még' esmarágēsen, epéstene d' ouranòs eurỳs
seiómenos, pedóthen dè tinásseto makròs Ólympos
Dall'altra parte, i Titânes risoluti rinforzavano le schiere
e gli uni e gli altri mostravano la potenza del braccio,
con grandi gesta; terribilmente riecheggiava il mare infinito,
la terra rimbombava e il cielo ampio squassato gemeva;
il grande Ólympos tremava sin dalle radici
hrip hýp' athanátōn, énosis d' híkane bareîa
Tártaron ēeróenta, podn t' aipeîa iōḕ
aspétou iōchmoîo boláōn te krateráōn;
Hṓs ár' ep' allḗlois híesan bélea stonóenta.
Phōnḕ d' amphotérōn híket' ouranòn asteróenta
sotto la furia dei numi, il tremore e il rimbombo
dei colpi violenti e della grande battaglia
giungeva sino al Tártaros oscuro.
Gli uni scagliavano contro gli altri colpi luttuosi
E giungeva al cielo il grido di entrambi i contendenti,
kekloménōn; hoì dè xýnisan megálōı alalētōı.
Oud' ár' éti Zeùs íschen heòn ménos, allá ny toû ge
eîthar mèn méneos plnto phrénes, ek dé te pâsan
phaîne bíēn; ámydis d' ár' ap' ouranoû ēd' ap' Olýmpou
astráptōn ésteiche synōchadón; hoi dè keraunoì
che si urtavano con grande fragore.
Ma Zeús non trattenne la sua furia,
il suo cuore si riempì di forza, manifestò tutto
il suo vigore; dal cielo e da Ólympos
scagliava i lampi senza mai fermarsi,
íktar háma bront te kaì asterop potéonto
cheiròs ápo stibars, hierḕn phlóga eilyphóōntes
tarphées; amphì dè gaîa pherésbios esmarágize
kaioménē, láke d' amphì pyrì megál' áspetos hýlē.
Ézee dè chthṑn pâsa kaì Ōkeanoîo hréethra
lanciava tuoni e fulmini con le sue forti mani
che roteavano più volte la fiamma divina;
e attorno la terra feconda bruciava,
gemevano nel fuoco i boschi infiniti;
ardeva la terra, i flutti di Ōkeanós 
póntos t' atrýgetos; toùs d' ámphepe thermòs aytmḕ
Titnas chthoníous, phlòx d' aithéra dîan híkanen
áspetos, ósse d' ámerde kaì iphthímōn per eóntōn
augḕ marmaírousa keraunoû te sterops te.
Kaûma dè thespésion kátechen Cháos; eísato d' ánta
e il mare infecondo; una nebbia rovente avvolgeva
i Titânes figli della terra e giungeva alle nubi divine;
il bagliore dei fulmini e dei lampi
li accecava (per quanto forti essi fossero).
Un incendio infinito avviluppava il Cháos:
ophthalmoîsin ideîn ēd' oúasi óssan akoûsai
aútōs, ōs ei Gaîa kaì Ouranòs eurỳs hýperthe
pílnato; toîos gár ke mégas hypò doûpos orṓrei
ts mèn ereipoménēs, toû d' hypsóthen exeripóntos;
tóssos doûpos égento then éridi xynióntōn.
per la vista delle pupille e l'udito delle orecchie
come quando Gaîa e il vasto Ouranós di sopra
si accostavano: tanto si alzava il frastuono
a causa della guerra tra gli dèi
che pareva la terra franasse e il cielo crollasse.
Sỳn d' ánemoi énosín te koníēn t' espharágizon
brontḗn te steropḗn te kaì aithalóenta keraunón,
kla Diòs megáloio, phéron d' iachḗn t' enopḗn te
es méson amphotérōn; ótobos d' áplētos orṓrei
smerdaléēs éridos, kártos d' anephaíneto érgōn.
Venti e polvere turbinavano in alto;
il tuono, il lampo e la folgore fiammeggiante
del grande Zeús portavano strepiti e grida
in mezzo agli uni e agli altri; un fragore terribile
proveniva dalla tremenda lotta: tale la forza delle loro gesta.
Éklínthē dè máchē; prìn d' allḗlois epéchontes
emmenéōs emáchonto dia krateras hysmínas.
Hoì d' ár' enì prṓtoisi máchēn drimeîan égeiran
Kóttos te Briáreṓs te Gýēs t' áatos polémoio,
hoí hra triēkosías pétras stibarn apò cheirn
Infine le sorti della guerra mutarono: prima di allora
i contendenti avevano affrontato fieri combattimenti.
Per primi mossero di nuovo battaglia
Kóttos, Briáreōs e Gýgēs mai sazio di guerra,
che lanciavano trecento massi dalle braccia vigorose
pémpon epassytéras, kata d' eskíasan beléessi
Titnas, kaì toùs mèn hypò chthonòs euryodeíēs
pémpsan kaì desmoîsin en argaléoisin édēsan
chersìn nikḗsantes hyperthýmous per eóntas,
tósson énerth' hypò gs, hóson ouranós est' apò gaíēs;
senza fermarsi mai e ricoprivano i Titânes con i loro colpi;
dopo averli domati con il braccio (per quanto essi fossero fortissimi)
li sprofondarono sotto la terra dalle ampie vie
e li avvinsero in dure catene; finirono
tanto nel profondo della terra, quanto il cielo è lontano dalla terra,

 
[tósson gár t' apò gs es Tártaron ēeróenta.]
Énnéa gar nýktas te kaì ḗmata chálkeos ákmōn
ouranóthen katiṑn dekátēı k' es gaîan híkoito;
ennéa d' aû nýktas te kaì ḗmata chálkeos ákmōn
ek gaíēs katiṑn dekátēı k' es Tártaron híkoi.
(tanto il Tártaros oscuro è lontano dalla terra): un'incudine di bronzo,
cadendo dal cielo per nove giorni e nove notti, giungerebbe
sulla terra il decimo giorno; ugualmente il Tártaros oscuro
dista dalla terra: un'incudine di bronzo, cadendo dalla terra
per nove giorni e nove notti, giungerebbe nel Tártaros il decimo giorno.

Il Tártaros

 
Tòn péri chálkeon hérkos elḗlatai; amphì dé min nỳx
tristoicheì kéchytai perì deirḗn; autar hýperthen
gs hrízai pephýasi kaì atrygétoio thalássēs.
Éntha theoì Titnes hypò zóphōı ēeróenti
kekrýphatai boulsi Diòs nephelēgerétao
Intorno al Tártaros si avvolge un recinto di bronzo; la notte
lo circonda con tre giri: di sopra
sorgono le radici della terra e del mare infecondo.
In questa caligine oscura, stanno rinchiusi i Titânes,
per il volere di Zeús adunatore di nubi,
 chṓrōı en eurṓenti, pelṓrēs éschata gaíēs.
Toîs ouk exitón esti. thýras d' epéthēke Poseidéōn
chalkeías, teîchos dè peroíchetai amphotérōthen.
Éntha Gýēs Kóttos te kaì Obriáreōs megáthymos
naíousin, phýlakes pistoì Diòs aigióchoio.
in un'oscura regione all'estremo dell'ampia terra.
Essi non possono uscire perché Poseidn vi pose
intorno una muraglia e delle porte di bronzo.
Quivi hanno dimora Gýgēs, Kóttos e Obriáreōs
magnanimo, custodi fedeli di Zeús aigíokhos.
Éntha dè gs dnophers kaì Tartárou ēeróentos
póntou t' atrygétoio kaì ouranoû asteróentos
hexeíēs pántōn pēgaì kaì peírat' éasin
argalé' eurṓenta, tá te stygéousi theoí per,
chásma még', oudé ke pánta telesphóron eis eniautòn
Qui vi sono le radici ed i confini
della buia terra e del Tártaros oscuro,
del mare infecondo e del cielo stellato:
luoghi oscuri e penosi, che anche gli dèi hanno in odio,
voragine enorme; chi vi entrasse dentro,
 oûdas híkoit', ei prta pyléōn éntosthe génoito.
[Allá ken éntha kaì éntha phéroi prò thýella thyéllēı
argaléē; deinòn dè kaì athanátoisi theoîsi
toûto téras. Nyktòs d' erebenns oikía deina
héstēken nephélēıs kekalymména kyanéēısin.]
neanche dopo un anno potrebbe giungere sino in fondo,
ma verrebbe trascinato da tempesta a tempesta,
crudelmente; tale prodigio risulta terribile
persino per gli dèi immortali. Qui si innalza la casa
di Nýx oscura, avvolta da nuvole.
Tn prósth' Iapetoîo páis échei ouranòn eurỳn
hestēṑs kephal te kaì akamátēısi chéressin
astemphéōs, hóthi Nýx te kaì Hēmérē âsson ioûsai
allḗlas proséeipon, ameibómenai mégan oudòn
chálkeon; hḕ mèn ésō katabḗsetai, hḕ dè thýraze
Di fronte ad essa, il figlio di Iapetós
regge saldo con il capo e le braccia infaticabili la volta del cielo
là dove Nýx e Hēméra si avvicinano
e si salutano, varcando alterni la porta di bronzo,
l'uno per entrare e l'altra per uscire;
érchetai, oudé pot' amphotéras dómos entòs eérgei,
all' aieì hetérē ge dómōn éktosthen eoûsa
gaîan epistréphetai, hḕ d' aû dómou entòs eoûsa
mímnei tḕn auts hṓrēn hodoû, ést' àn híkētai,
hḕ mèn epichthoníoisi pháos polyderkès échousa,
la casa non li accoglie mai entrambi assieme:
sempre uno dei due sta fuori della casa
e percorre la terra, mentre l'altro sta dentro
e attende l'ora del suo viaggio.
Uno reca ai mortali la luce che splende lontano,
hḕ d' Hýpnon meta chersí, kasígnēton Thanátoio.
Nỳx oloḗ, nephélēı kekalymménē ēeroeideî.
Éntha dè Nyktòs paîdes eremns oikí' échousin,
Hýpnos kaì Thánatos, deinoì theoí; oudé pot' autoùs
Ēélios phaéthōn epidérketai aktínessin
Nýx funesta ricoperta di nubi
porta con sé Hýpnos, fratello di Thánatos.
Qui hanno dimora i figli di Nýx oscura,
Hýpnos e Thánatos, numi terribili;
mai li guarda con il suoi raggi Hélios splendente,
ouranòn eis aniṑn oud' ouranóthen katabaínōn.
Tn d' héteros gaîán te kaì euréa nta thalássēs
hḗsychos anstréphetai kaì meílichos anthrṓpoisi,
toû dè sidēréē mèn kradíē, chálkeon dé hoi tor
nēleès en stḗthessin; échei d' hòn prta lábēısin
né quando ascende il cielo né quando discende.
Di costoro, Hýpnos mite sorvola la terra
e l'ampio dorso del mare, dolce per gli uomini;
Thánatos spietato ha il cuore di ferro e l'animo di bronzo;
quando ghermisce una volta un mortale,
anthrṓpōn; echthròs dè kaì athanátoisi theoîsin.
Éntha theoû chthoníou prósthen dómoi ēchḗentes
[iphthímou t' Aídeō kaì epains Persephoneíēs]
hestâsin, deinòs dè kýōn propároithe phylássei
nēleiḗs, téchnēn dè kakḕn échei; es mèn ióntas
non lo lascia più; la detestano anche gli immortali.
Sorge qui la dimora del dio degli inferi,
di Háidēs possente e della terribile Persephónē;
un cane tremendo e spietato monta la guardia,
possiede un'astuzia crudele: fa le feste
 saínei homs our te kaì oúasin amphotéroisin,
exeltheîn d' ouk aûtis eâı pálin, alla dokeúōn
esthíei, hón ke lábēısi pyléōn éktosthen iónta.
[iphthímou t' Aídeō kaì epains Persephoneíēs. ]
con la coda e con le orecchie a chi entra,
ma poi non lo fa uscire più e sbrana
chi tenta di varcare la soglia della dimora
di Háidēs possente e della terribile Persephónē.

Stýx

 
Éntha dè naietáei stygerḕ theòs athanátoisi,Abita qui la dea odiosa ai numi immortali,
deinḕ Stýx, thygátēr apsorhróou Ōkeanoîo
presbytátē; nósphin dè then klyta dṓmata naíei
makrsin pétrēısi katērephé'; amphì dè pántē
kíosin argyréoisi pròs ouranòn estḗriktai.
Paûra dè Thaúmantos thygátēr pódas ōkéa Îris
Stýx tremenda, la figlia maggiore di Ōkeanós,
che volge i suoi flutti: dimora lontana dagli dèi,
in una casa illustre ricoperta di pietre; si erge
su colonne d'argento che toccano il cielo.
Di rado Îris messaggera dai piedi veloci, la figlia di Thaûmas,
aŋgelíēn pōleîtai ep' euréa nta thalássēs.
Hoppót' éris kaì neîkos en athanátoisin órētai
kaí hr' hós tis pseúdētai Olýmpia dṓmat' echóntōn,
Zeùs dé te Îrin épempse then mégan hórkon eneîkai
tēlóthen en chryséēı prochóōı polyṓnymon hýdōr
si aggira sul dorso infinito del mare,
quando sorge lite o contesa tra gli immortali.
Se qualcuno dei numi immortali dice il falso,
Zeús manda Îris a raccogliere in un calice d'oro
(giuramento solenne) la celebre acqua gelida
psychrón, hót' ek pétrēs kataleíbetai ēlibátoio
hypsēls; pollòn dè hypò chthonòs euryodeíēs
ex hieroû potamoîo hréei dia nýkta mélainan
Ōkeanoîo kéras; dekátē d' epì moîra dédastai;
ennéa mèn perì gn te kaì euréa nta thalássēs
che scaturisce da una roccia alta e scoscesa;
attraverso la notte scorre in grande abbondanza,
sotto la terra dalle ampie vie, un braccio
del fiume Ōkeanós (la decima parte di esso;
gli altri nove scorrono sopra la terra e l'ampio
dínēıs argyréēıs heiligménos eis hála píptei,
hḕ dè mí' ek pétrēs proréei méga pma theoîsin.
Hós ken tḕn epíorkon apolleípsas epomóssēı
athanátōn, hoì échousi kárē niphóentos Olýmpou,
keîtai nḗytmos tetelesménon eis eniautón;
dorso del mare sfociando in rivoli d'argento).
Uno solo scorre dalla roccia, grande rovina per gli dèi:
perché quello fra gli immortali che abitano in Ólympos nevoso
che dice spergiuro dopo averla bevuta
resta senza respiro, sin a quando non sia trascorso un anno,
oudé pot' ambrosíēs kaì néktaros érchetai âsson
brṓsios, allá te keîtai anápneustos kaì ánaudos
strōtoîs en lechéessi, kakòn dé he kma kalýptei.
Autar epeì noûson telésēı mégan eis eniautón,
állos g' ex állou déchetai chalepṓteros áethlos.
né può avvicinarsi al nettare e all'ambrosia,
su nutrimento, ma giace senza respiro e senza parola
su un giaciglio, gravato da un torpore maligno.
Poi, quando è trascorso un anno e il morbo è finito
si passa ad un'altra pena ancora più grave:
Eináetes dè then apameíretai aièn eóntōn,
oudé pot' es boulḕn epimísgetai oud' epì daîtas
ennéa pánta étea; dekátōı d' epimísgetai aûtis
eíras es athanátōn, hoì Olýmpia dṓmat' échousin.
Toîon ár' hórkon éthento theoì Stygòs áphthiton hýdōr
per nove anni lo spergiuro rimane lontano dagli dèi eterni,
non prende parte ai loro consigli, né ai loro banchetti,
per nove anni interi: al decimo torna di nuovo
alle assemblee dei numi che abitano in Ólympos:
tale il valore, per i numi, del giuramento fatto
 ōgýgion, tò d' híēsi katastyphélou dia chṓrou.sull'eterna acqua dello Stýx, che scorre attraverso le rocce.

Le radici e i confini della terra

 
[Éntha dè gs dnophers kaì Tartárou ēeróentos
póntou t' atrygétoio kaì ouranoû asteróentos
hexeíēs pántōn pēgaì kaì peírat' éasin
argalé' eurṓenta, tá te stygéousi theoí per.
Qui vi sono le radici ed i confini
della buia terra e del Tártaros oscuro,
del mare infecondo e del cielo stellato:
luoghi oscuri e penosi, che anche gli dèi hanno in odio.
Éntha dè marmáreaí te pýlai kaì chálkeos oudòs
astemphḗs, hrízēısi diēnekéessin arērṓs,
autophyḗs; prósthen dè then éktosthen hapántōn
Titnes naíousi, pérēn Cháeos zopheroîo.
Autar erismarágoio Diòs kleitoì epíkouroi
Qui vi sono le porte di marmo e la soglia di bronzo,
immutabile, piantata sopra lunghe radici, cresciuta
spontaneamente; dinanzi ad essa, lontano da tutti gli dèi,
al di là del Cháos tenebroso, hanno dimora i Titânes.
Sul fondo di Ōkeanós  abitano
 dṓmata naietáousin ep' Ōkeanoîo theméthlois,
Kóttos t' ēdè Gýēs; Briáreṓn ge mèn ēỳn eónta
gambròn heòn poíēse barýktypos Ennosígaios,
dke dè Kymopóleian opyíein, thygatéra hḗn.]
gli illustri ministri di Zeús altisonante:
Kóttos, Gýgēs e il valente Briáreōs,
che Ennosígaios che profondo rimbomba volle come suo genero
e gli diede sua figlia Kymopóleia in sposa.

La Tifonomachia

 
Autar epeì Titnas ap' ouranoû exélasen Zeús, Dopo che Zeús scacciò dal cielo i Titânes
hoplótaton téke paîda Typhōéa Gaîa pelṓrē
Tartárou en philótēti dia chryséēn Aphrodítēn;
hoû cheîres mèn éasin ep' ischýi, érgmat' échousai,
kaì pódes akámatoi krateroû theoû; ek dé hoi ṓmōn
hḕn hekatòn kephalaì óphios, deinoîo drákontos,
Gaîa prodigiosa, unita in amore con il Tártaros
(per volere di Aphrodítē), generò come ultimo figlio Typhn:
le braccia del forte nume erano adatte ad imprese
vigorose, i suoi piedi erano instancabili; dalle spalle
gli nascevano cento teste di serpente, di orribile drago
glṓssēısin dnophersi lelichmótes, ek dé hoi óssōn
thespesíēıs kephalsin hyp' ophrýsi pŷr amáryssen;
paséōn d' ek kephaléōn pŷr kaíeto derkoménoio;
phōnaì d' en pásēısin ésan deins kephalsi
pantoíēn óp' ieîsai athésphaton; állote mèn gar
dalle lingue vibranti; nelle sue teste orribili,
dagli occhi (sotto le ciglia) ardevano fiamme;
un fuoco gli brillava dallo sguardo, da tutte le teste,
che promanavano suoni
ed emettevano voci di ogni sorta;
phthéŋgonth' hṓste theoîsi syniémen, állote d' aûte
taúrou eribrýcheō, ménos aschétou, óssan agaúrou,
állote d' aûte léontos anaidéa thymòn échontos,
állote d' aû skylákessin eoikóta, thaúmat' akoûsai,
állote d' aû hroízesch', hypò d' ḗcheen oúrea makrá.
ora risuonavano sì da essere intese solo dai numi;
ora invece mandavano muggiti di toro superbo, di immenso vigore;
ora si udiva il verso di un leone dal cuore violento;
poi le voci sembravano guaiti di cani, meraviglia ad ascoltarli;
alla fine si udivano boati, che echeggiavano tra le grandi montagne.
Kaí ný ken épleto érgon amḗchanon ḗmati keínōı
kaí ken hó ge thnētoîsi kaì athanátoisin ánaxen,
ei mḕ ár' oxỳ nóēse patḕr andrn te then te.
Sklēròn d' ebróntēse kaì óbrimon, amphì dè gaîa
smerdaléon konábēse kaì ouranòs eurỳs hýperthe
Quel giorno Typhn avrebbe compiuto un'impresa tremenda
e sarebbe divenuto il signore dei mortali e degli immortali,
se non fosse intervenuto il padre degli uomini e degli dèi:
egli scatenò il tuono, tremendo e forte; terribilmente
rimbombarono la terra tutt'intorno, il cielo ampio che sovrasta,
póntos t' Ōkeanoû te hroaì kaì Tártara gaíēs.
Possì d' hýp' athanátoisi mégas pelemízet' Ólympos
ornyménoio ánaktos; epestenáchize dè gaîa.
Kaûma d' hyp' amphotérōn kátechen ioeidéa pónton
bronts te sterops te, pyrós t' apò toîo pelṓrou,
il mare, i flutti di Ōkeanós e gli abissi del Tártaros;
il grande Ólympos tremò sotto i piedi immortali,
mentre il suo signore muoveva alla guerra. La terra gemeva
ed un incendio divampò sul mare viola,
acceso dal lampo, dal tuono e dal fuoco del mostro,
[prēstḗrōn anémōn te keraunoû te phlegéthontos.]
ézee dè chthṑn pâsa kaì ouranòs ēdè thálassa;
thuîe d' ár' amph' aktas perí t' amphí te kýmata makra
hrip hýp' athanátōn, énosis d' ásbestos orṓrei;
trée d' Aídēs, enéroisi kataphthiménoisin anássōn,
dai venti infuocati e dal fulmine ardente.
Ardeva la terra, il cielo ed il mare,
onde immense infuriavano sulle rive,
per l'impeto degli immortali, tutto era un tremore infinito:
tremava Háidēs, signore delle ombre e dei morti,
Titnés th' hypotartárioi, Krónon amphìs eóntes,
[asbéstou keládoio kaì ains dēiottos.]
Zeùs d' epeì oûn kórthynen heòn ménos, heíleto d' hópla,
brontḗn te steropḗn te kaì aithalóenta keraunón,
plxen ap' Oulýmpoio epálmenos; amphì dè pásas
e i Titânes, che stanno intorno a Krónos, nel Tártaros,
per il fragore incessante durante il terribile scontro.
Quando Zeús raccolse le forze e prese le armi,
il tuono e il lampo e la folgore fiammeggiante,
un colpo scagliò da Ólympos e bruciò
éprese thespesías kephalas deinoîo pelṓrou.
Autar epeì dḗ min dámasen plēgsin himássas,
ḗripe gyiōtheís, stenáchize dè gaîa pelṓrē.
Phlòx dè keraunōthéntos apéssyto toîo ánaktos
oúreos en bḗssēısin Aítnēs paipaloéssēıs,
tutte le teste di quell'orrido mostro.
E quando quello fu vinto, domato dai colpi,
crollò a terra ferito (e Gaîa gemette);
una fiamma scaturì dal nume folgorato,
negli oscuri recessi di un'aspra montagna.
plēgéntos. Pollḕ dè pelṓrē kaíeto gaîa
atm thespesíēı kaì etḗketo kassíteros hṑs
téchnēı hýp' aizēn en eutrḗtois choánoisi
thalphtheís, ēè sídēros, hó per kraterṓtatós estin,
oúreos en bḗssēısi damazómenos pyrì kēléōı
La terra bruciò a lungo per quei vapori
tremendi e si fondeva come lo stagno
quando lo scaldano i fabbri nel crogiuolo perforato,
o come il ferro, il più duro di tutti i metalli,
quando è domato nei recessi dei monti dal fuoco che arde
 tḗketai en chthonì díēı hyph' Hēphaistou palámēısin.
Hṓs ára tḗketo gaîa sélai pyròs aithoménoio.
Rhîpse dé min thymōı akachṑn es Tártaron eurýn.
dentro la terra divina, per opera di Hḗphaistos.
Così si scioglieva la terra per la vampa del fuoco splendente.
Infine Zeús lo scagliò, furioso, nel Tártaros immenso.

I figli di Typhn

 
Ek dè Typhōéos ést' anémōn ménos hygròn aéntōn,
nósphi Nótou Boréōte kaì argésteō Zephýroio;
Da Typhn proviene l'umida forza dei venti,
fatta eccezione per Nótos, Boréas e Zéphiros splendente.
hoí ge mèn ek theóphin geneḗ, thnētoîs még' óneiar;
Hoi d' álloi mapsaûrai epipneíousi thálassan;
haì dḗ toi píptousai es ēeroeidéa pónton,
pma méga thnētoîsi, kak thyíousin aéllēı;
állote d' állai áeisi diaskidnâsí te nas
Questi hanno stirpe divina e sono di grande utilità per i mortali:
gli altri soffiano vanamente sul mare;
alcuni si abbattono sul mare caliginoso
e recano danno agli uomini, portando tempesta;
altri spirano e mandano in pezzi le navi,
naútas te phtheírousi; kakoû d' ou gígnetai alkḕ
andrásin, hoì keínēısi synántōntai kata pónton;
haì d' aû kaì kata gaîan apeíriton anthemóessan
érg' erata phtheírousi chamaigenéōn anthrṓpōn
pimpleîsai kóniós te kaì argaléou kolosyrtoû.
uccidendo i naviganti, senza scampo per i mortali
che vi si imbattono sul mare.
Altri ancora, sulla florida terra infinita
distruggono le fatiche degli uomini nati sulla terra
e riempiono tutto quanto di polvere e di tumulto.

Il regno di Zeús

 
Autar epeí hra pónon mákares theoì exetélessan,
Titḗnessi dè timáōn krínanto bíēphi,
dḗ hra tót' ṓtrynon basileuémen ēdè anássein
Gaíēs phradmosýnēısin Olýmpion eurýopa Zn
athanátōn; hò dè toîsin heas diedássato timás.
Dopo che gli dèi beati ebbero compiuto le loro fatiche
e fu decisa la lotta con i Titânes per il potere,
per i consigli di Gaîa essi decisero che Zeús
dall'ampio sguardo divenisse il re dei numi beati
e il signore di Ólympos: egli divise gli onori tra tutti gli dèi.

Zeús e Mtis

 
Zeùs dè then basileùs prṓtēn álochon théto Mtin
pleîsta te iduîan idè thnētn anthrṓpōn.
all' hóte dḕ ár' émelle thean glaukpin Athḗnēn
téxesthai, tót' épeita dólōı phrénas exapatḗsas
haimylíoisi lógoisin heḕn eskáttheto nēdỳn
Zeús, re degli dèi, dapprima prese in sposa Mtis,
che aveva più senno di tutti gli uomini e dei numi.
Ma quando stava già per dare alla luce
Athēnâ glaukṓpis, Zeús le tese un agguato
con parole astute e la trangugiò nel suo ventre,
Gaíēs phradmosýnēısi kaì Ouranoû asteróentos.
tṑs gár hoi phrasátēn, hína mḕ basilēída timḕn
állos échoi Diòs antì then aieigenetáōn.
Ek gar ts heímarto períphrona tékna genésthai;
prṓtēn mèn koúrēn glaukṓpida Tritogéneian
su consiglio di Gaîa e Ouranós stellato.
Così l'avevano consigliato perché nessun altro
tra gli dei immortali avesse il poter regale al suo posto;
secondo il Fato, Mtis avrebbe partorito una prole
assai saggia: dapprima la fanciulla glaukṓpis,
îson échousan patrì ménos kaì epíphrona boulḗn.
autar épeit' ára paîda then basila kaì andrn
ḗmellen téxesthai, hypérbion tor échonta;
all' ára min Zeùs prósthen heḕn eskáttheto nēdýn,
ōs dḗ hoi phrássaito thea agathón te kakón te.
la Tritogéneia, pari di senno e di forza a suo padre;
poi doveva generare un figlio di immenso vigore,
destinato ad essere sovrano degli uomini e dei numi.
Ma Zeús la inghiottì nel suo ventre,
perché la dea potesse consigliarlo sul bene e il male.

Le Hṓrai e le Moîrai

 
Deúteron ēgágeto liparḕn Thémin, hḕ téken Hṓras,
Eunoumíēn te Díkēn te kaì Eirḗnēn tethaluîan,
haì érg' ōreúousi katathnētoîsi brotoîsi,
Moíras th', h pleístēn timḕn póre mētíeta Zeús,
Klōthṓ te Láchesín te kaì Átropon, haíte didoûsi
Per seconda sposò la splendida Thémis, che generò le Hṓrai
(Eunomía, Díkē ed Eirḗnē fiorente)
che vegliano sulle opere dei mortali;
e le Moîrai, cui grande onore diede Zeús prudente:
Klōthṓ, Láchesis e Átropos, che concedono
 thnētoîs anthrṓpoisin échein agathón te kakón te.agli uomini il bene e il male.

Le Chárites

 
Treîs dé hoi Eurynómē Cháritas téke kalliparḗıous,
Ōkeanoû koúrē, polyḗraton eîdos échousa,
Aglaḯēn te kaì Euphrosýnēn Thalíēn t' erateinḗn;
[tn kaì apò blephárōn éros eíbeto derkomenáōn
Eurynómē, dal fulgido aspetto, figlia di Ōkeanós,
gli generò le tre Chárites dalle guance belle gli diede:
Aglaḯa, Euphrosýnē e Thalía l'amabile;
dalle loro ciglia e dal loro sguardo stillava amore,
 lysimelḗs; kalòn dé th' hyp' ophrýsi derkióōntai.]che scioglie le membra perché bello è il loro sguardo.

Persephónē

 
 Autar ho Dḗmētros polyphórbēs es léchos lthen,
hḕ téke Persephónēn leukṓlenon, hḕn Aidōneùs
hḗrpase hs para mētrós; édōke dè mētíeta Zeús.
Poi ascese il talamo di Dēmḗtēr, nutrice generosa,
che partorì Persephónē dalle bianche braccia;
per volere di Zeús, Háidēs la rapì alla madre.

Le Moûsai

 
Mnēmosýnēs d' exaûtis erássato kallikómoio,Quindi si innamorò di Mnēmosýnē dalle belle chiome,
 ex hs hoi Moûsai chrysámpykes exegénonto
ennéa, tsin hádon thalíai kaì térpsis aoids.
da cui nacquero le nove Moûsai dall'aureo diadema,
che traggono diletto dalle feste e dalle gioie del canto.

Apóllōn e Ártemis

 
Lētṑ d' Apóllōna kaì Ártemin iochéairan,
himeróenta gónon perì pántōn Ouraniṓnōn,
geínato, aigióchoio Diòs philótēti migeîsa.
Lētṓ generò Apóllōn ed Ártemis arciera,
bellissima prole tra tutta la stirpe di Ouranós,
unita in amore con Zeús aigíokhos.

Árēs, Hḗbē, Eileíthyia

 
 Loisthotátēn d' Hḗrēn thalerḕn poiḗsat' ákoitin;
hḕ d' Hḗbēn kaì Árēa kaì Eileíthyian étikte
michtheîs' en philótēti then basili kaì andrn.
Prese per ultima in sposa Hḗra fiorente,
che gli partorì Árēs, Hḗbē ed Eileíthyia,
il padre degli uomini e degli dèi.

Zeús, padre di Athēnâ

 
Autòs d' ek kephals glaukṓpida geínat' Athḗnēn,
deinḕn egrekýdoimon agéstraton atrytṓnēn
Egli generò dalla sua testa Athēnâ glaukṓpis,
la signora, guida indomabile degli eserciti,
 pótnian, h kéladoí te hádon pólemoí te máchai te,che eccita i tumulti ed ama le guerre e le battaglie.

Hḗra, madre di Hḗphaistos

 
 Hḗrē d' Hḗphaiston klytòn ou philótēti migeîsa
geínato, kaì zaménēse kaì ḗrise hı parakoítēı,
ek pántōn téchnēısi kekasménon Ouraniṓnōn.
Senza unirsi in amore con alcuno,
Hḗra generò Hḗphaistos, lui che è valente
nelle arti tra tutta la stirpe di Ouranós.

I figli di Amphitrítē e di Poseidn

 
Ek d' Amphitrítēs kaì eriktýpou EnnosigaíouDa Amphitrítē e da Ennosígaios che profondo rimbomba
 Trítōn eurybíēs géneto mégas, hóste thalássēs
pythmén' échōn para mētrì phílēı kaì patrì ánakti
naíei chrýsea d, deinòs theós. autar Árēi
nacque Trítōn, vigoroso e grande, nume terribile,
che ha un'aurea dimora nel fondo del mare
presso la madre ed il padre, re degli abissi.

I figli di Árēs e di Aphrodítē

 
hrinotórōı Kythéreia Phóbon kaì Deîmon étikte
deinoús, hoít' andrn pykinas klonéousi phálaŋgas
Ad Árēs che rompe gli scudi Kýthēreia partorì Phóbos e Deîmos,
terribili, che agitano le folte schiere degli uomini
 en polémōı kryóenti sỳn Árēi ptolipórthōı,
Harmoníēn th', hḕn Kádmos hypérthymos thét' ákoitin.
nella guerra cruenta con Árēs distruttore di città,
e Harmonía, che fu consorte del magnanimo Kádmos.

Herms e Diónysos

 
Zēnì d' ár' Atlantìs Maíē téke kýdimon Hermn,
kḗryk' athanátōn, hieròn léchos eisanabâsa.
Kadmeíē d' ára hoi Semélē téke phaídimon hyiòn
Asceso il suo sacro talamo, Maîa, la figlia di Átlas,
a Zeús generò Herms l'illustre, l'araldo dei numi.
Unita in amore con Zeús, la mortale Semélē, la figlia di Kádmos,
 michtheîs' en philótēti, Diṓnyson polygēthéa,
athánaton thnētḗ; nŷn d' amphóteroi theoí eisin.
diede alla luce Diónysos ricco di gioia, l'immortale:
ora entrambi sono compresi tra i numi.

Hērakls

 
 Alkmḗnē d' ár' étikte bíēn Hēraklēeíēn
michtheîs' en philótēti Diòs nephelēgerétao.
Alkmḗnē generò il forte Hērakls,
unita in amore con Zeús adunatore di nubi.

Le spose di Hḗphaistos e di Diónysos

 
Aglaḯēn d' Hḗphaistos, agaklytòs amphigyḗeis, Hḗphaistos, l'artefice insigne amphigýeis,
 hoplotátēn Charítōn thalerḕn poiḗsat' ákoitin.
Chrysokómēs dè Diṓnysos xanthḕn Ariádnēn,
koúrēn Mínōos, thalerḕn poiḗsat' ákoitin.
Tḕn dé hoi athánaton kaì agḗrō thke Kroníōn.
ebbe in sposa Aglaḯa, l'ultima delle Chárites.
Diónysos dalle chiome d'oro scelse come sua florida sposa
la bionda Ariádnē, la figlia di Mínōs,
che il Kronídēs rese immortale ed eternamente giovane.

Hērakls e Hḗbē

 
Hḗbēn d' Alkmḗnēs kallisphýrou álkimos hyiós, Hērakls, il possente figlio di Alkmḗnē dalle belle caviglie,
ìs Hēraklos, telésas stonóentas aéthlous,
paîda Diòs megáloio kaì Hḗrēs chrysopedílou,
aidoíēn thét' ákoitin en Oulýmpōı niphóenti,
ólbios, hòs méga érgon en athanátoisin anýssas
naíei apḗmantos kaì agḗraos ḗmata pánta.
compiute le dolorose fatiche, ebbe in sposa Hḗbē,
figlia di Zeús e di Hḗra dagli aurei calzari;
la fece sua sposa in Ólympos nevoso;
dopo che ebbe compiuto le sue grandi imprese,
egli vive beato tra gli immortali, non conosce né morte né vecchiaia.

I figli di Hélios

 
Ēelíōı d' akámanti téken klytòs Ōkeanínē
Persēìs Kírkēn te kaì Aiḗtēn basila.
Aiḗtēs d' hyiòs phaesimbrótou Ēelíoio
koúrēn Ōkeanoîo telḗentos potamoîo
gme then boulsi, Iduîan kallipárēıon.
L'illustre ōkeanínē Persēís, unitasi a Hélios
l'infaticabile, partorì Kírkē ed Aiḗtē sovrano.
Aiḗtē, figlio del sole che illumina il mondo,
sposò, per volere degli dèi, Iduîa dalle belle guance,
figlia di Ōkeanós, fiume eccelso.
 hḕ dé hoi Mḗdeian eúsphyron en philótēti
geínath' hypodmētheîsa dia chryséēn Aphrodítēn.
Ed ella, unitasi in amore, come disposto dall'aurea Aphrodítē,
generò Mḗdeia dalle belle caviglie.

Le dee madri dei mortali

 
Hēmeîs mèn nŷn chaíret', Olýmpia dṓmat' échontes,
nsoí t' ḗpeiroí te kaì halmyròs éndothi póntos.
Nŷn dè theáōn phŷlon aeísate, hēdyépeiai
E ora salve a voi, che abitate le case di Ólympos,
isole e continenti, e tu mare dalle acque salate.
Adesso, Moûsai di Ólympos, dolci nel canto,
 Moûsai Olympiádes, koûrai Diòs aigióchoio,
hóssai dḕ thnētoîsi par' andrásin eunētheîsai
athánatai geínanto theoîs epieíkela tékna.
figlie di Zeús aigíokhos, cantate la stirpe delle dee,
quelle immortali che giacquero con uomini mortali
e generarono figli simili a dèi.

Dēmḗtēr, madre di Ploûtos

 
Dēmḗtēr mèn Ploûton egeínato, dîa theáōn,
Iasíōn' hḗrōi migeîs' erat philótēti
Dēmḗtēr, divina tra le dee,
unita all'eroe Iásōn nell'amore desiderato,
 neiōı éni tripólōı, Krḗtēs en píoni dḗmōı,
esthlón, hòs eîs' epì gn te kaì euréa nta thalássēs
pántē; tōı dè tychónti kaì hoû k' es cheîras híkētai,
tòn d' aphneiòn éthēke, polỳn dé hoi ṓpasen ólbon.
nel ricco paese di Krḗtē, in un solco tre volte arato,
generò Ploûtos, che benevolo percorre la terra
e il vasto mare; e chiunque incontra per caso,
subito lo fa ricco e gli dona abbondanza.

Le figlie di Armonía

 
Kádmōı d' Harmoníē, thygátēr chryséēs Aphroditēs, A Kádmos, Armonía, la figlia dell'aurea Aphrodítē, generò
 Inṑ kaì Semélēn kaì Agauḕn kallipárēıon
Autonóēn th', hḕn gmen Aristaîos bathychaítēs,
geínato kaì Polýdōron eustephánōı enì Thḗbēı.
Inṓ e Semélē e Agauḗ dalle belle guance,
e Autonóē, che fu sposa di Aristaîos dalle belle chiome,
e generò anche Polýdōros, in Thbai dalle belle corone.

I figli di Kalliróē

 
[Koúrē d' Ōkeanoû, Chrysáori karterothýmōı
michtheîs' en philótēti polychrýsou Aphrodítēs,
La figlia di Ōkeanós, come disposto dall'aurea Aphrodítē,
si unì in amore a Chrysáōr dal cuore violento;
 Kalliróē téke paîda brotn kártiston hapántōn,
Gēryonéa, tòn kteîne bíē Hēraklēeíē
bon hének' eilipódōn amphirhrýtōı ein Erytheíēı.]
Kalliróē partorì un figlio, Geryōneús, di tutti i mortali
il più forte. A causa dei buoi dal torto piede
venne ucciso da Hērakls in Erytheía, battuta dai flutti.

I figli di Ēṓs

 
Tithōnōı d' Ēṑs téke Mémnona chalkokorystḗn,
Aithiópōn basila, kaì Ēmathíōna ánakta.
A Tithōnós, Ēṓs partorì Mémnōn armato di bronzo,
re degli Etiopi, ed Ēmathíōn sovrano;
Autar hypaì Kephálōı phitýsato phaídimon hyión,
íphthimon Phaéthonta, theoîs epieíkelon ándra.
Tón hra néon téren ánthos échont' erikydéos hḗbēs
paîd' atala phronéonta philommeidḕs Aphrodítē
rt' anarepsaménē, kaí min zathéois enì nēoîs
poi a Képhalos generò un figlio glorioso,
il possente Phaéthōn, in tutto simile agli dèi.
Aphrodítē, l'amica del riso, lo rapì quando era ancora
giovane ed ingenuo, nel tenero fiore della splendida giovinezza,
e lo condusse lontano, nei suoi templi sacri;
 nēopólon nýchion poiḗsato, daímona dîon.ne fece il suo ministro notturno, demone e dio.

I figli di Mḗdeia

 
Koúrēn d' Aiḗtao diotrephéos basilos
Aisonídēs boulsi then aieigenetáōn
ge par' Aiḗteō, telésas stonóentas aéthlous,
toùs polloùs epételle mégas basileùs hyperḗnōr,
Il figlio di Aísōn, per volontà degli dèi che sempre sono,
portò via dal padre la figlia di Aiḗtē
(il sovrano allevato da Zeús), dopo aver compiuto
le gesta dolorose a lui imposte da un re tracotante,
hybristḕs Pelíēs kaì atásthalos, obrimoergós.
toùs telésas Iaōlkòn aphíketo, polla mogḗsas,
ōkeíēs epì nēòs ágōn helikṓpida koúrēn
Aisonídēs, kaí min thalerḕn poiḗsat' ákoitin.
Kaí hr' hḗ ge dmētheîs' hyp' Iḗsoni, poiméni lan,
il superbo Pelías, violento e brutale.
Compiute tali imprese, il figlio di Aísōn dopo molti travagli
fece ritorno a Iōlkós sulla sua rapida nave, portando con sé
la fanciulla dagli occhi belli e ne fece la sua sposa fiorente.
Unitasi a Iásōn, pastore di genti,
 Mḗdeion téke paîda, tòn oúresin étrephe Cheírōn
Philyrídēs; megálou dè Diòs nóos exeteleîto.
ella generò Mḗdeios, che venne allevato tra i monti da Cheírōn
figlio di Philýra; così si compì il disegno del grande Zeús.

I figli di Psamáthē e di Thétis

 
Autar Nēros koûrai, halíoio gérontos,
 toi mèn Phkon Psamáthē téke dîa theáōn
Aiakoû en philótēti dia chryséēn Aphrodítēn,
Quanto alle figlie di Nēreús, il vecchio del mare,
Psamáthē, dea tra le dee, generò Phkos,
nell'amore di Aiakós, come disposto dall'aurea Aphrodítē.
 Pēléi dè dmētheîsa thea Thétis argyrópeza
geínat' Achilla hrēxḗnora thymoléonta.
E Thétis dai piedi d'argento, unitasi in amore con Pēleús,
diede alla luce Achilleús, che rompe le schiere, cuor di leone.

Aineías

 
Aineían d' ár' étikten eustéphanos Kythéreia
Aŋchísēı hḗrōi migeîs' erat philótēti
Ídēs en koryphsi polyptýchou hylēéssēs.
Kýthēreia dalla bella corona generò Aineías,
unita all'eroe Aŋchísēs nell'amore desiderato
sopra le vette dell'Ídē, solcato da valli e selve.

I figli di Kírkē

 
Kírkē d', Ēelíou thygátēr Hyperionídao,
geínat' Odyssos talasíphronos en philótēti
Ágrion ēdè Latînon amýmoná te kraterón te;
[Tēlégonon d' ár' étikte dia chryséēn Aphrodítēn.]
hoì dḗ toi mála tle mychōı nḗsōn hieráōn
E Kírkē, figlia di Hélios e stirpe di Hyperíōn,
generò, nell'amore di Odysseús dal cuore paziente,
Ágrios e Latînos, forte e senza biasimo,
e Tēlégonos, come disposto dall'aurea Aphrodítē.
E quelli, assai lontano, in mezzo ad isole sacre,
 pâsin Tyrsēnoîsin agakleitoîsin ánasson.regnarono su tutti gli illustri Tirreni.

I figli di Kalypsṓ

 
 Nausíthoon d' Odysi Kalypsṑ dîa theáōn
geínato Nausínoón te migeîs' erat philótēti.
Kalypsṓ, divina tra le dee, unita nell'amore desiderato,
generò a Odysseús Nausíthoos e Nausínoos.

Il catalogo delle donne

 
Haûtai mèn thnētoîsi par' andrásin eunētheîsai
athánatai geínanto theoîs epieíkela tékna.
Queste le dee che, unite a uomini mortali,
generarono figli in tutto simili agli dèi.
 Nŷn dè gynaikn phŷlon aeísate, hēdyépeiai
Moûsai Olympiádes, koûrai Diòs aigióchoio.
Ora cantate la stirpe delle donne, Moûsai olympiádes,
dolci nel canto, figlie di Zeús aigíokhos.
   
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BIBLIOGRAFIA ►
Archivio: Biblioteca - Guglielmo da Baskerville
Sezione: Fonti - Nabū-kudurri-uṣur
Area: Ellenica - Odysseús
Traduzione di Daniele Bello.
Pubblicato su licenza Edizioni PerSempre.
Creazione pagina: 22.09.2013
Ultima modifica: 22.01.2016
 
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