NOTE
3 <ꝺoꝺes
trỽy vyat> | a ddodes trỽy fy iad
- trỽy è «attraverso», ma anche «per mezzo
di, a causa di»
- iat, qui tradotto «fronte», è il sommo
del capo, parola non comune in poesia.
4 <eneit
ym pỽyllat.>
| eneid y'm pỽyỻad.
- <eneit> eneid è «spirito» (in opposizione al
corpo), termine di uso comune nel significato di
«vita», mentre il significato di pỽyỻat
oscilla attraverso un ampio spettro semantico a
indicare molte delle attività del pensiero: «intenzione,
pensiero, contemplazione, deliberazione,
considerazione». Il significato generale dei vv.
[3-4] sembra essere che Dio ha posto lo spirito
nella mente dell'uomo («attraverso la fronte»). La
distinzione tra mente e spirito ha una connotazione
arcaica, sebbene qui abbia probabilmente un
significato teologico; nelle concezioni ebraiche si
distingue tra la neeš, la coscienza
intellettiva, posseduta in gradi diversi dagli
animali e dall'uomo, e il rûḥ, lo spirito
che Yǝhwāh lōhîm ha
insufflato nell'uomo, rendendendolo a «immagine e
somiglianza» di Dio. Troviamo un motivo analogo nel
cosiddetto «canto di Amairgin», antico poema
irlandese
attribuito al mitico bardo
Amairgin Glúngel, il
quale – alla fine di una lunga serie di
autoidentificazioni che richiamano un analogo tropo
talegesiniano – si autodefinisce «il dio che accende
il fuoco nella testa» [dé delbas do chind codnu]
(«Am
gáeth i m-muir» [14]).
6 <vy feit
llafanat> | fy seith ỻafanad
- In gallese ỻafanad è «sostanza,
elemento». In questo poema i ponderum sono
detti essere sette; in un altro poema si parla
invece delle «nove forme elementali» [naỽ rith
ỻafanad] (Kat godeu
[154]). Secondo la Haycock, il termine
<llafanat> ỻafanad potrebbe essere derivato, attraverso
metatesi, dal termine elfen (< latino
elementum) più una desinenza -ad. I testi
sapienziali gallesi variano il numero di elementi
costitutivi dell'uomo tra sette e nove (Haycock 2007).
In un testo presente in un codice latino del IX secolo,
gli elementi sono sette per l'uomo e nove per la
donna:
Incipit de septem ponderibus, unde
factus est Adam, fides. Pondus limis: quae de limo factus est. Pondus maris: inde
sunt lacrimae salsae. Pondus ignis: inde sunt alita caldas. Pondus uenti: indes
est flatus frigitus. Podus rux: inde sudor humano corpore. Pondus floris: inde
est uarietas oculorum. Podnus feni: inde est diuersitas capillorum. Pondus
nuuium: inde est stauilitas in mente. Mulier autem ex noue pundera facta est. |
|
De plasmatione Adam |
9 <nyỽl
abloꝺeu> | a nyỽl a blodeu
- La presenza dei «fiori»
(blodeu) come elemento costitutivo dell'uomo
ha un ovvio riferimento al mito di
Blodeuỽedd, la donna
creata con i fiori, nel racconto mabinogico
Mâth fab Mâthonỽy.
11 <Eil
ſynỽyr pỽyllat>
| Eil synnỽyr pỽyỻad
- La parola <synhỽyr>, da
normalizzare in synnỽyr,
dal significato principale di
«senso», copre in realtà tutta la sfera dell'attività
mentale, significando anche
«mente, ragionamento, conoscenza opinione, esperienza,
coscienza». Questa fusione semantica tra percezione
ed elaborazione mentale sembra creare una sorta di
interazione tra oggettivo e soggettivo, annullando –
da un punto di vista semantico – la distanza tra il
soggetto e l'oggetto della conoscenza. Da qui la
difficoltà dei traduttori di rendere l'ampia sfera
dei possibili significati del verso: «other
senses of perception»
(Skene 1868), «other
reasoning faculties» (Nash 1868).
- Altrettanto ambigua la parola pỽyỻad:
«intenzione, scopo», ma anche «pensiero, meditazione».
La Haycock la intende come «schema», da cui la sua
traduzione del verso: «the design of the senses»
(Haycock 2007).
- L'elencazione dei «sensi» seguirà nei successivi
versi [12-18], ciascuno
introdotto da un numero cardinale preceduto (tranne
naturalmente il primo) da una congiunzione a, «uno... e due... e
tre...», etc. Come vedremo sono elencati sette
sensi. Normalmente le fonti medievali elencano cinque
sensi: gusto, vista, udito, odorato e tatto, ma in
alcuni testi classici e medievali il loro numero
viene portato a sette. Nell'elencazione fornita dal
nostro testo sembrano elencati soltanto quattro dei cinque
sensi tradizionali, essendo il senso del tatto
ignorato nella lista, oppure dissimulato nella
problematica interpretazione del verso
[14]. Essi vengono fatti precedere
– se la delicata traduzione è corretta– dalle funzioni
dell'ispirazione, dell'espirazione e della
vocalizzazione.
13 <vn
yỽ arynnyaf> | un yỽ a ryniaf
- <rynnyaf>, ryniaf, è forma lenita (?) di gryn(n)iaf, «tirar fuori», «espellere», ma anche
appunto «espirare, ansimare».
14 <ꝺeu
atynaf> | a deu a tynnaf
- <tynaf>, tynnaf,
ha come significato principale «spingere,
trascinare, tirar dentro», ma anche «inspirare,
respirare». Il campo semantico di questo verbo è
piuttosto vasto, potendo indicare,
all'occorrenza, azioni come «togliere,
estrarre, rimuovere, spogliarsi, cogliere»,
ma anche attività logico-matematiche «dedurre,
inferire, derivare, sottrarre». Anche «dipingere,
ritrarre, plasmare» possono essere possibili
traduzioni del verbo tynnu. Da qui è facile
capire come i traduttori storici del poema abbiano
proposto dei significati piuttosto differenti di
questo verso. Skene traduce «with the second I
touch»
(Skene 1868),
ristabilendo così il senso del tatto, altrimenti
mancante nell'enumerazione; Nash è più vago: «the
second is feeling»
(Nash 1868). La
traduzione della Haycock tiene presente il fatto che
i verbi grynnaf e tynnaf, ai
[13-14], hanno
significati opposti, e quindi ipotizza un parallelismo: «one, by which I
exhale / and two, by which I draw breath»
(Haycock 2007). Seguiamo
il suo suggerimento e traduciamo con «espirare» e «inspirare».
15 <
tꝛi aweꝺaf> | a thri a gỽaeddaf
- <ỽedaf>, se inteso come gỽaedaf, vuol dire letteralmente
«sanguinare». Gli interpreti preferiscono tuttavia
intendere il termine come gỽaeddaf,
«urlare, gridare». Così Skene: «with the third I
call»
(Skene 1868). Nash appone un prudente punto
interrogativo in coda al verso: «the third is
speaking (?)»
(Nash 1868). La Haycock
segue la medesima linea, «and three, by which I
give voice», sebbene non ritenga impossibile
l'interpretazione alternativa
(Haycock 2007).
21 <Seit
awyr yſſyꝺ>
| Seith aỽyr ysydd
- La parola «cielo» non è qui resa con nef,
termine generico posto a indicare tanto il cielo
fisico e visibile (inglese sky), tanto il
cielo immateriale e metafisico (inglese heaven),
ma con il più colto termine aỽyr (< latino
aer), che ha un il significato primaria di
«aria, atmosfera», ma può essere usato altrettanto
bene in senso cosmologico.
- Lo schema di un numero variabile di cieli è
attestato in un gran numero di cosmologie presenti
in tutto il mondo, con particolare riferimento alle
culture sciamaniche dell'Eurasia settentrionale. La
loro presenza nell'Europa medievale e, in
particolare, nella letteratura celtica, trova
probabilmente la sua origine negli scritti apocrifi
di autori giudaico-cristiani, dove essi sono
solitamente elencati in numero di sette. Il
riferimento originario è alle sette sfere planetarie
ma, nel corso dell'elaborazione delle fonti, il
numero dei cieli e la loro natura hanno subìto
profondi processi di
astrazione. Si pensi alla cosmologia celeste della
Commedia
dantesca, dove i cieli planetari e quelli delle
stelle fisse sono inseriti in un contesto metafisico
e soteriologico, interpretazione che troviamo già in
un testo irlandese, il Fís
Adamnáin. Sette cieli compaiono anche nel
Tenga bithnua, dove sono essi sono descritti nei dettagli:
un primo cielo nuvoloso dove brillano la luna e le
stelle cadenti (?); due cieli brillanti di fuoco,
attraversati dal vento e dagli angeli; un quarto
cielo gelato e azzurro brillante, in cui splende il
sole; altri due cieli ardenti; e un ultimo cielo
altissimo e di vasto splendore, sopra il quale è
posta la sfera dei ríched
(Dottin 1907 | Cataldi 1999 |
Haycock 2007). Nel
Liber de numeris iberno-latino i sette
cieli sono elencati come segue: «aria, etere, olimpo,
firmamento, cielo di fuoco, cielo degli angeli,
cielo della Trinità» (Haycock
2007). Nella Vita
Merlini, Talgesinus
fornisce una complessa ma confusa uranologia, in cui
è tuttavia arduo individuare il numero e la
posizione dei cieli: vi è innanzitutto un cielo
atmosferico, sede dei fenomeni meteorologici, quindi
un cielo siderale, dove si trovano le stelle del
firmamento, e al di sopra di esso un etere abitato
dagli angeli, dove si trova anche il sole. Al di
sotto però si trova un cielo aereo dove splende la
luna, ricco di schiere di spiriti empatici che si
compiacciono e si allietano quando gli esseri umani
provano tali sentimenti: tali spiriti portano
sapienza e sogni agli uomini nonché le preghiere
degli uomini attraverso l'aria, affinché arrivino a
Dio. Ma oltre la luna vi è ancora uno spazio pieno
di demoni malvagi e spiriti incubi
(Vita Merlini
[753-787]). Nel nostro testo il numero dei
cieli, sette, ha probabilmente ragioni numerologiche
più che cosmologiche.
22 <oꝺuc
ſyỽeꝺyꝺ>
| odduch syỽedydd
- <oduch>, da normalizzare in odduch, odduỽch, vuol
dire «al di sopra» (< odd-, «da» + uỽch,
«sopra»).
- syỽedydd vuol dire principalmente
«astronomo» o «astrologo», naturalmente senza una
distinzione tra le due nozioni, ma anche «indovino,
mago», oppure «erudito, sapiente, poeta».
- Nash accoglie la lezione del
Myvyrian Archaiology of
Wales
(Myfyr ~ Pughe 1801-1807) e
sostituisce <oduch> con <uwch ben> (dove
ben è forma lenita di pen, «testa,
cima»), espressione idiomatica che significa «ancora
più in alto». Riportato il verso nella
lezione <uwch ben sywedydd>, Nash lo traduce
quindi con «high above the stars», interpretando
forse l'ultima parola come un plurale di
sêr, sŷr, «stella» (in realtà serau,
«stelle») (Nash 1868).
23 <teir
ran ymyr> | a their rhan y mŷr
- Che il mare sia diviso in tre «parti» (rhan)
è una nozione ben attestata nella letteratura celtica.
Nel Tenga
bithnua si afferma che «tre sono i corpi
del mare intorno al mondo»: un mare che circonda il
mondo, le cui parti compongono i sette mari che
penetrano nelle terre; un mare salato, azzurro
brillante, da cui si muovono le onde di marea; e un
mare fiammeggiante
(Haycock 2007). Anche nella Vita
Merlini, Talgesinus
descrive un mare ripartito: una parte che ribolle
attorno a un baratro infuocato, ed è dove vanno a
precipitare le anime dei malvagi; una parte
ghiacciata, che genera gemme scintillanti dalle
virtù risanatrici e beatificanti; e una terza parte
temperata, quella più vicina al nostro mondo, che
nutre i pesci e gli uccelli marini, produce il sale
e trasporta le imbarcazioni (Vita
Merlini [788-819]). L'immagine, ben
chiara nell'ultimo testo, è in realtà cosmologica:
il mare temperato, che circonda il mondo,
corrisponde al fiume Oceano, da cui provengono tutti
i mari interni, i golfi e i fiumi che scorrono sulla
Terra. Astronomicamente il suo confine coincide con
l'eclittica. Anche gli altri due «mari» sembrano avere una
natura astronomica: sono probabilmente gli
«oceani» che si trovano sotto il tropico del
Capricorno e sopra il tropico del Cancro.
24 <moꝛ
ynt amryꟊyr> | mor ynt amrygyr
- La traduzione letterale sembra essere «quanto
sono agitate!», riferito alle tre parti dei mari.
L'aggettivo amrygyr vuol dire «occupato,
senza pace, senza requie», ma anche «straziato,
fatto a pezzi». I traduttori ottocenteschi
interpretano il testo in modo piuttosto libero: «How they strike
on all sides»
(Skene 1868), «The
sea is beating on all sides»
(Nash 1868). Più
letterale la Haycock: «how restless they are»
(Haycock 2007).
25 <Moꝛ
uaỽꝛ aryfeꝺ> | Mor faỽr a rhyfedd
- L'espressione mor
faỽr a rhyfedd viene solitamente interpretata
come «quanto grande e meraviglioso...» (dove
faỽr è forma lenita di maỽr,
«grande»). Da qui le traduzioni storiche:
«How great and wonderful»
(Skene 1868). Tuttavia
la Haycock nota che
rhyfedd, «meraviglioso, strano, inusuale», può
essere anche letto come sostantivo, quindi
«meraviglia, miracolo, sorpresa». Il significato
preciso dell'espressione sarebbe dunque «quale
grande meraviglia», da cui la traduzione proposta
dall'autrice: «What a great wonder»
(Haycock 2007).
- A una prima occhiata, la «meraviglia»
in questione sembrerebbe essere il «mondo», come chiarito
al successivo verso [26].
Ma Nash ritiene che essa sia invece il «mare»
dei vv. [23-24], e
traduce eliminando l'ambiguità: «the sea is very
wonderful»
(Nash 1868)
26 <ybyt
nat vn weꝺ> | y byd nad un gỽedd
- bid è «mondo»; nad è particella
che introduce una relativa
negativa, «che non»;
gỽedd vuol
dire «forma, aspetto, immagine, apparenza».
Difficile da rendere in traduzione, il significato
del verso letterale è «il mondo che non [ha un]
unico aspetto», con probabile riferimento alla
«meraviglia»
del verso precedente. Skene traduce infatti alla
lettera «the world, not of one form»
(Skene 1868), mentre la
Haycock sceglie una soluzione più libera, «that
the world is not all the same»
(Haycock 2007). Il solo
Nash, ritenendo che i vv.
[23-26] si riferiscono interamente ai mari,
dà un'interpretazione piuttosto personale di questo
verso: «[the sea]
it entirely surrounds the earth»
(Nash 1868).
28 <ary
planete> | ar y planete
- Sebbene il testo non espliciti il numero dei
pianeti, ci si aspetta di trovare anche qui una
elencazione di sette elementi: in realtà, come
vedremo, le voci sono otto, stante la problematica
duplicazione di Venus e Venerus.
- <ary> viene solitamente letto come ar,
«prima», + y, articolo; la Haycock propone di
emendarlo in ara, «piacevole, felice,
delizioso». I vv. [27-28]
vengono quindi tradotti dalla studiosa come
«God on high made the fine planets»
(Haycock 2007).
31 <ryꟊoꝛuc
marca> | ry gorug Marca
- La lezione <marca>, laddove ci si
aspetterebbe piuttosto un latino Mars (>
gallese Maỽrth) è problematico. Dipende forse
dall'alternanza ortografica -ti-/-ci-
registrata in alcuni nomi latini, come Martius/Marcius
o, in questo caso, Martianus/Marcianus,
sebbene non sia giustificata nel caso in oggetto. La
medesima lezione compare anche in un altro luogo
talgesiniano, in Canu y
gwynt [xvii,
93].
32 <ymarcarucia> |
a Marcarucia
- La lezione <marcarucia>, laddove ci si
aspetterebbe piuttosto un latino Mercurius (>
gallese Mercher, Merchyr) è probabilmente
influenzata dal precedente <marca>. La y
iniziale, che nel suo significato immediato denota
l'articolo determinativo (italiano «il», «la»), è
forse un errore per ym, «in», o a,
congiunzione «e».
33-34 <Ryꟊoꝛuc
venuſ. ryꟊoꝛuc venerus> |
ry gorug Venus, ry gorug Venerus,
- La duplicazione del pianeta Venere (latino
Veneris > gallese Gỽener) nella coppia
formata da Venus e Venerus sembra
essere un unicum in tutta la letteratura
medievale. Si ritiene solitamente che si voglia
distinguere qui il pianeta quale stella del mattino
(Lucifer) e stella della sera (Vesper).
In tal caso è forse possibile che Venerus sia
un errore scribale per Vesperus. Si noti che
Venerus è apparentemente utilizzato per
indicare il pianeta Venere in
Canu y gwynt [xvii,
93].
35 <ryꟊoꝛuc
ſeueruſ> |
ry gorug Severus
- La sorprendente lezione Severus
dove ci si aspetterebbe in realtà il pianeta Giove
(latino Iovis > gallese Iau), non ha
ancora avuto una spiegazione convincente, tanto più
che il corretto nome del pianeta è attestato nella
lezione Iubiter in
Canu y gwynt [xvii,
93]. Certamente, Iubiter non fa rima
con il Venerus al verso precedente, cosa che
avrebbe potuto portare lo scriba ad alterare il nome
del pianeta, ma è difficile comprendere la logica
che abbia portato alla lezione Severus. Tra
l'altro, il significato dell'aggettivo latino
seuerus («grave, severo, serio») contrasta con
il carattere gioioso e festivo solitamente attributo
al pianeta Giove. Una possibilità, sebbene non
convincente, è che la lezione sia sorta per errata
lettura di un Ieu uerus, «Giove vero»
(Haycock 2007).
38 <pymp
ꟊỽꝛeꟊys terra> |
pymp gỽregys terra
- La parola gỽregys (cfr. antico irlandese
criss), vuol dire letteralmente «cintura,
circolo». Sebbene venga spesso tradotta come «zona,
regione», la traduzione più corretta, proiettandosi
nella cosmografia antica e medievale, è «clima» (dal greco
klíma,
«inclinazione», da intendersi l'inclinazione
apparente del cielo con il progredire della
latitudine).
In questo caso, i cinque climi sembrano intesi come
fasce poste a diverse latitudini, di cui soltanto il
clima centrale corrisponde al mondo abitato dagli
uomini, l'oikouménē.
La ripartizione in cinque climi distingue una
regione del mondo destinata agli uomini da altre quattro poste oltre l'esperienza umana: un motivo
cosmologico ben attestato nella mitologia universale
(i nagi˒ānu della
cosmografia mesopotamica, i sette
karvąr avestici, i sette
dvīpa indiani, o la ripartizione in nove mondi
della cosmografia scandinava). In ambito celtico, la
divisione della terra in cinque climi è attestata
tanto nel Tenga Bithnua,
tanto nella Vita Merlini,
dove leggiamo:
Vique sua stantem nec se leuitate
mouentem supposuit terram partes in quinque resectam quarum que media non est
habitanda calore extremeque due pre frigore diffugiuntur temperiem reliquis
permisit habere duabus has homines habitant uolucres que greges que ferarum |
E pose in basso la terra, che sta per forza propria e non ha leggerezza per
muoversi, distinta in cinque parti, delle quali la centrale non è abitabile per
il calore e le due estreme vengono sfuggite a causa del freddo. Concesse alle
parti restanti una temperatura moderata: sono queste che abitano gli uomini e i
volatili e i branchi degli animali selvatici. |
Vita Merlini [747-752] |
40 <Vn
yſſyꝺ oer> |
Un ysydd adoer
- <oer>, oer, «freddo», viene emendato in adoer,
di medesimo significato, per evitare una monorima
con la stessa parola nei vv.
[40] e [41]
(Haycock 2007).
42 <r
tryꝺyꝺ yſſyꝺ wres> |
ar
trydydd
ysydd gỽres,
- La Haycock propone di emendare
trydyd, «terzo», in
thri, «tre», per riportare il verso alle regolari
cinque sillabe
(Haycock 2007).
42a ac
an bludd afles
- Questo verso spurio, assente nel manoscritto
originale, viene interpolato (con quale autorità?)
nel testo antologizzato nel
Myvyrian Archaiology of Wales
(Myfyr ~ Pughe 1801-1807), forse nel
tentativo di produrre una rima con l'anỻes
del verso successivo. Ignorato da Skene è però
presente nel lavoro di Nash, che lo collega al verso
precedente e lo traduce come
«and
injurious to flowers»
(Nash 1868).
Anche la Haycock naturalmente lo ignora.
44 <Petweryꝺ
paraꝺỽys> |
pedỽerydd, paradỽys
- Anche qui, come al v. [42],
la Haycock emenda
pedỽerydd,
«quarto», in pedỽar,
«quattro», per riportare il verso alle regolari cinque sillabe
(Haycock 2007).
- Che il Paradiso Terrestre – giardino di
immortalità – fosse collocato in un «clima» fuori
dal mondo, irraggiungibile dagli esseri umani, è una
concezione mitologica che risale agli albori della
storia. Tra le sue più antiche formulazioni
ricordiamo il pû-nārāti, la «confluenza dei
fiumi» dell'epopea di Gilgameš
e il kpos Hesperídōn, il «giardino delle
Hesperídes», del mito
greco. In ambito celtico questo mitema trova facile
collegamento con il motivo dei síde, le
favolose isole d'oltroceano dei racconti irlandesi,
quali la mitica
Emain Ablach,
«Emain dei meli», che trova immediato riscontro con
Ynys Afaỻon
del racconto britannico, l'isola dove fu condotto
Arthur per vivere una
vita eterna. Abbastanza interessante, ai nostri
fini, la concezione di Kosmâs Indikopleústēs,
un mercante e viaggiatore siriano del
vi
secolo che, di ritorno dall'India, sviluppò
un'interessante cosmografia, dai tratti
straordinariamente arcaici, dove – tra
l'altro –
il mondo abitato (l'oikouménē)
era circondato da quattro
terrae ultra Oceanum,
inaccessibili al genere umano, di cui quella
orientale coincideva appunto con il giardino di
ʿĒḏẹn.
 |
Planisfero di Kosmâs Indikopleústēs |
Riproduzione schematica |
46 <Pymet
artymeraỽꝺ> |
pymhed
ardymheraỽd
- Anche qui, come ai vv. [42]
e [44], la Haycock
propone di emendare
pymhed, «quinto», in pymp, «cinque», per riportare il verso alle regolari
cinque sillabe
(Haycock 2007).
 |
Mappamondo a «O-T». |
British Library. Ms. C-5933-06; Royal 12 F. IV; f. 135. |
Da un manoscritto delle Etymologiae
di Isidorus Hispalensis custodito nella British Library,
un bellissimo mappamondo medievale, con l'orbe terrestre suddiviso in Asia,
Africa ed Europa. I bracci della T rappresentano in senso orario: il Nilo, il
Mediterraneo e il Mar Nero. |
47 <a
pyrt y veꝺyſſaỽt> | a pyrth y bydysaỽd.
- La parola <veꝺyſſaỽt>, da normalizzare in
bydysaỽd, bedysiaỽd, deriva dal tardo latino
baptiziatio ed ha il significato primario di
«cristianità». In senso generico significa anche
«mondo, orbe, universo».
48 <yntri
yt rannat> | Yn tri yt rannad.
- La divisione della terra in tre parti, Europa,
Asia e Africa, può essere ben visualizzata nel noto
schema medievale del mappamondo a «O-T». L'Asia, che
da sola comprende metà dell'orbe, è orientata
nella parte superiore dello schema: Europa e Africa
occupano un quarto ciascuno.
49 <yn
amꟊen
pỽyỻat> | yn amgen pỽyỻad
- Il gallese
pỽyỻ(i)ad, presenta inannzitutto, nel suo vasto
campo semantico, un'idea di finalità: «intenzione, scopo,
progetto», ma può voler dire anche «pensiero, meditazione,
decisione». Il termine deriva da pỽyỻ,
«saggezza, prudenza, giudizio», ma
anche «natura, disposizione, temperamento» o, in
termini più astratti, «senso, significato» (Pỽyỻ
è il nome del protagonista del primo
cainc del Mabinogion).
D'altra parte, il significato di amgen
è «altro, diverso, alternativo», ma anche
«superiore, eccellente». L'interpretazione del verso
è intesa in maniera piuttosto divergente dai
traduttori storici, che lo intendono nel senso di
una tradizione poetica: «in the minstrelsy of perception»
(Skene 1868), «mentioned in song»
(Nash 1868). Più
pratica la Haycock: «according to a different
scheme»
(Haycock 2007).
- Dalla scelta dei precisi significati dipende la
relazione che si può stabilire tra i due criteri di
divisione del mondo forniti dal poema: la prima
ripartizione in cinque climi, e la seconda
ripartizione in tre continenti (Asia, Europa,
Africa). Se intendiamo yn amgen pỽyỻat nel
significato di «secondo uno schema differente»,
d'accordo con la Haycock, i due criteri
rispecchierebbero delle cosmografie alternative. Il
fatto, tuttavia, di trovarle non solo conciliabili
tra loro, ma integrabili in schemi ben noti a molte
concezioni mitiche e conosciuti anche nel Medioevo,
dove l'oikouménē,
in questo caso tripartita, corrispondeva a uno dei
cinque «climi»
in cui era diviso il mondo, siamo portati a scartare
quest'ordine di significato. A essere differente non
è l'intero schema cosmografico, bensì il fine
divisorio dell'oikouménē,
e che trova la sua ragione d'essere nelle
interpretazioni che il Medioevo poneva nella forma e
struttura dello stesso mappamodo a «O-T». Si
conferiva alla complessa simbologia del mappamondo
(la T a rappresentare la Croce, la posizione
centrale di Gerusalemme, etc.) un valore assai più
importante, ancorché coincidente, del suo valore di
semplice rappresentazione geografica.
56 <Ryꟊoꝛuc
vy aỽen> | ry gorug fy aỽen
- aỽen, termine intraducibile, è
l'ispirazione, il dono poetico, la gioia della
composizione.
58 <Myꝺỽy
talieſſin> | Mydỽy Taliesin
- mydỽy è una formula di autopresentazione
(contrazione di mi + yd(d) + wyf)
dal significato di «io sono». Con questa formula, il
bardo «firma» la composizione introducendovi il suo
nome, secondo uno schema assai diffuso, per non dire
abusato, nella poesia antica e medievale. La
pseudoepigrafia, ovvero l'attribuzione di un'opera a
un personaggio illustre del passato, in questo caso
Taliesin, permetteva di
conferiva autorità a un testo favorendone la
diffusione.
- Una formula analoga, attribuita a
Taliesin, compare anche
in Angar Cyfyndaỽt
[VII: 53-56].
59 <paraaỽt
yt fin> | parahaỽd hyd ffin
- Il senso del verso sembra chiaro: parahaỽt
è voce del verbo parhaf, «continuare»; <fin>,
da normalizzare in ffin (< latino finis),
vuol dire «confine, limite, frontiera» e,
naturalmente, «fine». La parola è naturalmente
finalizzata a produrre una rima con l'Elphin
del verso successivo. Il significato complessivo del
verso è probabilmente da intendere come «continuando
fino alla fine della mia vita», cioè «fino alla
morte». La Haycock presume tuttavia che il senso
possa essere «fino alla fine del mondo», «fino alla
fine del tempo» (Haycock 2007).
60 <yꟊkynnelỽ
elpin> | yg cynnelỽ Elffin
- Il nome <elphin> (< latino Alpinus), da
normalizzare in Elffin,
è citato in altri luoghi del
Ỻyfr Taliesin
come signore presso la cui corte attendeva come
bardo lo stesso Taliesin
(cfr. [vii,
xiv, xv, xviii]); egli è pure citato
in alcune liriche medievali gallesi. La vicenda
completa è tuttavia narrata nel
Hanes Taliesin,
una tarda narrazione in prosa inclusa nella
Cronicl o ỽech oesoedd
(«Cronaca delle sei età») di Elis Gruffydd
(1490–1552). Qui Elffin,
figlio di Gỽyddno Garanhir,
un decaduto ysgwïer (< inglese squire)
del Ceredigion, recupera un sacco rimasto impigliato
nella chiusa dei salmoni, lo apre e dentro vi trova
un bellissimo bambino. “Che fronte splendente!”,
esclama nel vederlo, e da questa esclamazione (tal
iesin) il bimbo prende nome
Taliesin. Fin da
piccolo, il giovane manifesta spiccate attitudini
bardiche. Anni dopo, Elffin,
essendosi vantato della fedeltà di sua moglie e
dell'abilità dei suoi bardi, viene imprigionato
dall'invidioso Maelgn,
re del Gỽynedd. Il giovane
Taliesin, pur avendo soltanto tredici anni,
non soltanto consiglia la moglie di
Elffin di scambiarsi di
posto con la serva, evitando così di venire
violentata dal lubrico Rhun ap
Maelgn, ma tosto si reca alla corte del re
e, con la sua eloquenza e sapienza poetica, riduce
al silenzio tutti i bardi del re e il loro capo, Heinin Ffard,
finisce col balbettare come un bambino.
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Download
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Llyfr Taliesin
by W.F. Skene.
±500 kb |
Llyfr Taliesin
by D.W. Nash.
±500 kb |
Il Ỻyfr Taliesin, tradotto in italiano da Valeria
Muscarà sulle versioni inglesi di William Forbes Skene (1868) e David
William Nash (1868). I due files verranno
aggiornati man mano che verranno aggiunte altre composizioni del Corpus Talgesinianum.
Per il disclaimer, fare riferimento alla pagina
Avviso.
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BIBLIOGRAFIA ► |
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