ỺYFR TALIESIN |
XL |
Marỽnad Ercỽlff |
Elegia di Ercỽlff |
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LA COMPOSIZIONE La presente composizione è un breve poema di 23 versi contenuto nel Ỻyfr Taliesin
(nlw Peniarth,
ms. 2, prima metà
del xiv
sec.), ai folius 31 e 31 (pagine 65-66). Nel
manoscritto essa
introduce una serie di poemi appartenenti al
genere del marỽnad, elegie funebri per un
personaggio importante, sia esso mitico o storico (sono
i testi xl-xlviii). Il titolo della composizione,
riportato in inchiostro rosso nello spazio sotto la
composizione precedente, sul lato destro del foglio, è
<ꟓarỽnat
erof.>, Marỽnad Erof, «Elegia di
Erof». Costui altri non è che l'evangelico re
Hērṓdēs. In realtà la
composizione non cita affatto Erof/Hērṓdēs,
ma è incentrata su Ercỽlff/Hērakls.
Di Erof si parla nel poema successivo,
il
Marỽnad Madaỽg, a sua volta
giustapposizione di due composizioni separate, di cui la
seconda accenna appunto al malvagio re di Giudea,
scagliato nel più profondo dell'inferno. Si presume che
il titolo di Marỽnad Erof sia dovuto a un
lapsus dello scriba. Probabilmente nell'antigrafo
era riportato il titolo abbreviato <Marỽnat Er.>, nel
senso di Marỽnad Ercỽlff,
e il copista ha erroneamente interpretato Marỽnad Erof,
attribuendo alla presente composizione il soggetto del
testo successivo.
Il personaggio celebrato dal poema,
Ercỽlff, altri non è che
l'eroe ellenico Hērakls,
sebbene l'ambiguità del testo e le numerose corruttele rendano arduo identificare gli elementi tratti
dalle biografie classiche o medievali sull'eroe
greco. Non molto
chiaro è anche il riferimento alle Colofneu Ercỽlff,
le «colonne di Hērakls»,
qui in numero di quattro e di non precisa collocazione.
Com'è stato notato, il Marỽnad
Ercỽlff è in realtà simile nella forma e nello
spirito a un altro poema talgesiniano, il
Ryfedaf na chiaỽr [xxviii],
anch'esso di 23 versi e dedicato ad
Alexander Maỽr /
Mégas Aléxandros.
L'affinità tra Hērakls e
Aléxandros, due eroi tesi
al raggiungimento degli estremi confini del mondo, è
stata un'importante chiave di lettura per
l'interpretazione della figura dell'eroe macedone sia
nel mondo tardo-classico che medievale. Il testo è
spesso ambiguo, di non chiara interpretazione, ed è
evidentemente corrotto in molti punti. I tentativi dei
traduttori di risolvere alcune di tali corruttele sono
spesso rivelatrici dei pregiudizi degli stessi studiosi,
più che dell'effettivo senso del poema. Tramontata
l'ipotesi di una datazione prococe, si tende oggi ad
assegnare il
Marỽnad Ercỽlff,
almeno nella forma che ci è pervenuta, al
xiii
secolo (Haycock 2007).
Tra i più agguerriti fautori di una datazione tarda del
Marỽnad, John
Gwenogvryn Evans ha avanzato l'ipotesi che la
composizione, lungi dall'essere un'elegia, sarebbe stata
in realtà un peana di lode per la sottomissione di
Giovanni Plantageneto a papa Innocenzo
iii e la
rimozione dell’interdizione (1213). Su tale base, Evans
ha anche fornito una sua traduzione del poema, piuttosto
personale e divergente, dove peraltro viene
regolarmente ristabilito il nome di
Erof al posto di quello di
Ercỽlff.
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ERCỼLFF IL GALLESE La presenza, nel Ỻyfr Taliesin,
di un poema dedicato a Ercỽlff/Hērakls,
non ha mancato di attirare l'attenzione degli studiosi, soprattutto presso
quanti, in passato, hanno attribuito il
Marỽnad Ercỽlff ai
bardi gallesi del
vi secolo o, comunque, dell'alto Medioevo. La
particolarità di talune immagini, come l'epiteto di
«capo del battesimo» (pen bedydd) attribuito a
Ercỽlff, o le «quattro
colonne di uguale altezza» che il poema associa
all'eroe, hanno acceso
l'immaginazione degli entusiasti filologi. Ci si è
chiesti quale fosse la concezione che il mondo celtico
insulare avesse dell'eroe greco o, se sotto il nome di
Ercỽlff, il compositore
gallese, o addirittura lo stesso
Taliesin, non si riferisse a una divinità
celtica. Il
Marỽnad Ercỽlff è stato analizzato
nel tentativo di ricavarne informazioni sul paganesimo
britannico.
Si è pensato naturalmente a un'identità di Ercỽlff
con Ógmios, dio gallico
dell'eloquenza e della parola fascinatrice che, in un
famoso passo, Lūkianós Samosatéus identifica con Hērakls,
qui descritto come un vecchio calvo, dalla cui
lingua si dipartono catene attaccate alle orecchie di un
gruppo di persone che
vengono così trascinate da lui (Hērakls
[1-7]). A Ógmios
corrisponde, almeno su un piano etimologico, il dio
irlandese Ogma, che il
Cath Maige Tuired
descrive però come un forzuto campione armato di spada,
ma a cui
viene pure attribuita – forse su semplice base
paraetimologica – la creazione dell'ogam, la
scrittura lapidaria irlandese. Tutti questi elementi
sono stati usati per costruire ingegnose ipotesi sulla
simbologia dietro tale complesso di figure mitiche,
peraltro cercando appigli nelle strofe del
Marỽnad Ercỽlff. È
il caso del romanziere e poeta Robert Graves (1895-1985)
che nel suo saggio The White Goddess (1948) ha
finito col sostenere, sulla base delle fantasiose invenzioni degli antiquari del
xvii e
xviii
secolo, che le «quattro colonne» di cui tratta il poema
simboleggiassero in realtà le quattro serie, di cinque
lettere ciascuna, di cui è composto l'alfabeto ogam,
e «che sostengono l'intero edificio della
letteratura» (Graves 1948).
Tutto ciò ha ben poco senso, come anche le catene di
analogie tracciate su basi tanto fragili. David William
Nash, nella sua introduzione al
Marỽnad Ercỽlff, notava
come molti studiosi fossero rimasti invischiati
nell'erronea idea che gli autori del Corpus
Talgesinianum avessero una qualche competenza nelle dottrine
druidiche o nel paganesimo celtico, e avvertiva che i
tópoi contenuti in questi poemi andavano
cercati piuttosto nella Bibbia o nelle più comuni
conoscenze degli eruditi medievali.
Per analizzare l'immagine di Ercỽlff/Hērakls
dipinta dal
Marỽnad Ercỽlff bisognerebbe in realtà
contestualizzarla con l'idea che si aveva dell'eroe
greco nel Medioevo, in particolare con le fonti note
negli ambienti eruditi cimrici tra il
xii e il
xiii
secolo. Che l'eroe fosse noto in Galles, con
il nome di Ercỽlff
gadarn (il «forte»), lo testimonia una delle
Trioedd Ynys Prydein, dove Ercỽlff/Hērakls
è disposto in
triade con Ector/Héktōr
e Sompson/Šimšôn,
tre eroi ricordati per la loro forza, pari a quella di
Adaf/Āḏām:
Tri Dyn a gauas Kedernit Adaf: Ercỽlf
Gadarn, ac Ector Gadarn, a Sompson Gadarn. Kyn gadarnet odedynt yll tri. ac Adaf
e hun. |
Tre uomini che ricettero le qualità di Adaf:
Ercỽlff il forte, Ector
il forte, e Sompson il forte. E tutti e tre furono
forti come lo stesso Adaf. |
Trioedd Ynys Prydein
> Ỻyfr coch Hergest, 47 |
Sia Rachel Bronwich sia Marged Haycock ritengono
che la diffusione della figura dell'eroe greco, nel Galles, fosse
dovuta principalmente al De
excidio Troiae historia, un racconto della
guerra troiana tradizionalmente
attribuito a Dárēs Phrýx, ma risalente in realtà al
v secolo.
Questo testo, probabile adattamento latino di un
originale greco, fu assai popolare nel Medioevo e servì
come fonte per i numerosi romances della cosiddetta
«materia troiana». Molte citazioni nella letteratura
gallese del xii
secolo suggeriscono che i poeti dell'epoca (quali
Cinddelỽ, Gỽilym Rhyfel, Prydydd y Moch) avessero
confidenza con il De excidio,
ma fu sicuramente la traduzione del testo in gallese,
diffusa ai primi del
xiii
secolo, a rendere popolare Ercỽlff
nel Galles. (Bronwich 1961 |
Haycock 2007) |
LE QUATTRO COLONNE Uno dei motivi più
curiosi e suggestivi del
Marỽnad Ercỽlff
consiste nella menzione di quattro colonne,
descritte di uguale altezza e ricoperte di oro rosso, ai
vv. [11-12]. Il riferimento
è naturalmente alle Hērákleioi stlai, le
due «colonne di
Hērakls»,
rizzate
dall'eroe sui due capi dello stretto di Gibilterra,
limite occidentale del mondo allora conosciuto.
«Giunto a Tártēssos, [Hērakls]
innalzò come segno del suo passaggio due colonne, una di
fronte all'altra, ai confini tra Eurṓpē e Libýē»
(Apollódōros: Bibliothḗkē [II:
5]).
Delle Hērákleioi stlai tratta un gran numero di
fonti classiche (Strábōn, Plinius, Seneca, Orosius,
etc.) ed erano ben note nel Medioevo.
La caratteristica di avere quattro colonne, nel
nostro testo, invece delle canoniche due, è
probabilmente dovuto a un'interferenza con l'Epistola
Alexandri ad Aristotelem, dove si riporta la
tradizione secondo la quale il condottiero macedone
avrebbe eretto, una volta giunto ai confini orientali
del mondo, delle colonne d'oro, a imitazione di quelle
di Hērakls. La mancanza di
documenti rende però impossibile tracciare l'eventuale
sviluppo di questa possibile tradizione letteraria.
Troviamo però il motivo attestato separatamente nel
Recueil des histoires de Troyes (1464), del francese
Raoul Lefèvre, dove si parla appunto di quattro colonne
di uguale lunghezza. Questo testo avrebbe avuto un gran
numero di traduzioni e riscritture, nel corso del
xv secolo,
tra cui una in inglese (Recuyell of the Historyes of
Troye) e una in irlandese (Stair Ercuil ocus a
Bás).
Cosa simboleggino esattamente le
«quattro colonne»
nell'ermeneutica del nostro testo non è chiaro.
Marged Haucock suggerisce un'interferenza con l'idea
delle colonne che sostengono il mondo (si veda in
proposito il
Canu y byd bychan)
(Haycock 2007). Le
difficoltà di interpretazione sono rese ancora più ardue
dalla difficoltà di interpretare il complesso di versi
[9-12]. La mancanza di una
punteggiatura sintattica, nel manoscritto, ci impedisce
di capire se tali versi vadano letti insieme o se vadano
suddivisi, ad esempio, in due distici semanticamente
separati. Le corruttele dei primi due versi – su cui lo
stesso copista del manoscritto è intervenuto con
maldestri tentativi di correzione – non aiutano certo a
ricostruire correttamente la frase (o le frasi). |
|
NOTE
1 <Ỿcoeles
eluyꝺ> | Ymchoeles elfydd
| «La terra si è
capovolta»
- Questo primo verso è apparentemente piuttosto
semplice. Il verbo ymchỽelaf
copre i significati di «fare avanti e indietro, capovolgersi,
girarsi, trasformarsi». Il sostantivo elfydd
vuol dire «mondo, terra, paese».
- David William Nash
traduce nel modo più semplice, «The
Earth turns»
(Nash 1868),
inconsciamente interpretando il nostro testo secondo
una cosmologia copernicana. La struttura della Terra adombrata
nelle composizioni del
Ỻyfr Taliesin (si veda
in proposito
Canu y byd
maỽr)
è quella tipicamente medievale: sembra quella di un disco immobile al
centro dell'universo. William Forbes Skene rende in
maniera più sottile e più vaga: «were changed the
elements»
(Skene 1868). In tempi
più recenti, Marged Haycock cerca un'ambiguità
rispettosa del testo: «The Earth turned over»
(Haycock 2007), lezione
che seguiamo volentieri.
2 <val
noſ yn ꝺyꝺ>
|
fal nos yn dydd, | «come la notte nel giorno,»
3 <oꝺyfot
clotryꝺ>
| o dyfod clodrydd | «quando apparve il celebrato»
- l'aggettivo clodrydd è glossato, dalla Haycock, come
«colui la cui fama è liberamente celebrata» (Haycock 2007).
Traduzioni storiche: «when came the
gloriously-free»
(Skene 1868); «when
lived the renowed»
(Nash 1868). La Haycock
emenda dyfod (voce del verbo deuaf, «arrivare»)
con il sostantivo difod, «non esistenza,
eliminazione, scomparsa», e traduce,
un po' macchinosamente, «on account of the death of the
famous one» (Haycock
2007).
4 <ercỽlff
pen beꝺyꝺ>
| Ercỽlff pen bedydd. | «Ercỽlff,
signore del mondo.»
- bedydd è letteralmente «battesimo», ma
anche, per estensione, «cristianità», «mondo
cristiano». La traduzione nel primo senso, proposta
ad esempio da Skene, «Ercwlf
chief of baptism»
(Skene 1868), ha dato
l'avvio a molti ingegnosi tentativi di individuare
la ragioni di un possibile allineamento tra l'eroe
ellenico Hērakls e la
figura evangelica di Iōánnēs o
Pródromos / Ioannes
Baptista. Si veda, per curiosità, il
lavoro di Robert Graves il quale, ricordando che i
fuochi del giorno di mezza estate erano dedicati al
Battista, identificava tout court Hērakls
con Iōánnēs, senza però giustificare la sua interpretazione in alcun
modo (Graves 1948).
- La Haycock, più
ragionevolmente, interpreta nel secondo senso: «Hercules,
the lord of the World» (Haycock
2007).
5 <rcỽlff
aꝺyỽeꝺei.>
| Ercỽlff adyỽedei | «Ercỽlff
diceva»
6 <aꟊeu
naſ riuei.>
| angheu nas rhifei. | «di non aver considerato la morte.»
7 <yscỽyꝺaỽꝛ
ymoꝛꝺei> | Ysgỽydaỽr y mordei | «Gli scudi dei
palazzi»
- ysgỽydaỽr/ysgỽydeu è plurale di ysgỽyd,
«scudo, protezione». mordei è «corte,
palazzo, dimora», termine di etimologia controversa, per la quale sono stati proposti anche
complicati costrutti effettuati su nomi personali germanici.
Non mancano traduzioni che vedono in
mordei un nome proprio, come quella di Skene: «shield
of the Mordei»
(Skene 1868). Secondo
Robert Graves, che utilizza la traduzione di Skene,
questo termine alluderebbe a una battaglia combattuta presso
Catterick Bridge (North Yorkshire) nel
vi
secolo. In proposito Graves cita un verso bardico,
di cui non fornisce la provenienza, <ym
Mordei ystyngeo dyledawr>, e che traduce come «a
Mordei umiliò i possenti»
(Graves 1948). Il verso è tratto dal poema
gallese Yr Gododdin [139],
contenuto nel Ỻyfr Aneirin, di cui riportiamo
la strofa che contiene il passo citato da Graves nella
traduzione di Francesco Benozzo
(Benozzo 2000):
Gỽr
a aeth gatraeth gan ỽaỽr
ỽyneb udyn ysgorva ysgỽydaỽr
crei kyrchynt kynnuỻynt reiaỽr
en gynnan mal taran tỽryf aessaỽr
gỽr gorvynt gỽr etvynt gỽr ỻaỽr
ef rỽygei a chethrei a chethraỽr
od uch ỻed ỻadei a ỻavnaỽr
en gystud heyrn dur arbennaỽr
e mordei ystyngei adyledaỽr
rac Erthgi erthychei vydinaỽr. |
Un uomo giunse a
Catraeth mentre albeggiava,
sulla sua terra scudi schierati,
ruvido attacco, saccheggio di bottino,
profondo tuono il rumore delle armi.
uomo valoroso, uomo capace, uomo vasto,
si abbatteva e disperdeva con la lancia,
sangue sparso, tagli della lama,
nella contesa del ferro temprato, sopra le
teste.
Nella sala si inchinava di fronte ai capi,
al cospetto di Erthgi
le schiere acclamavano. |
Yr Gododdin [XV:
131-140] |
Quest'interpretazione di Mordei come toponimo è in realtà
un risultato del malvezzo di interpretare termini
sconosciuti come nomi propri. Si noti che, Graves seguendo
la sua linea interpretativa, fatta di vaghe analogie,
ritiene anche che questo Erthgi
qui citato non sia altro che una «reincarnazione»
di Ercỽlff.
(Graves 1948)
- Più lineare la
Haycock: «shields in halls»
(Haycock 2007).
8 <arnaỽ
atoꝛrei> | arnaỽ atorrei. | «si rompevano su di lui.»
9 <rcỽlf
ſyweſſyꝺ> | Ercỽlf syỽedydd | «Ercỽlff
il sapiente»
- I vv. [9-10] sono i
più corrotti del poema, sottoposti dagli studiosi a
molteplici tentativi di restauro. Il termine
<ſyweſſyꝺ> potrebbe essere emendato in syỽedydd,
«astronomo, sapiente, indovino, erudito»,
espressione che però è stata vista in
contrasto con la tradizionale immagine di Hērakls,
sebbene è anche vero che l'eroe greco sia stato a
volte interpretato, nel Medioevo, come un mago. A
partire da questa lettura, Skene interpreta «Ercwlf
the arranger» (Skene 1868).
Nash emenda invece syỽessydd (che è pure la
lezione riportata dal Myvyrian Archaiology of
Wales) in cyỽeirydd, presente indicativo,
terza persona singolare, del verbo
cyỽeiriaf,
«disporre, ordinare», e traduce «Ercwlf placed in
order», intendendo le colonne di cui al v.
[11]
(Nash 1868). La Haycock
fa presente due altre possibili correzioni: in syr
gỽesyd, «collocò le stelle», e in ry gỽesyd,
«collocò al [loro] posto», sempre intendendo le
«colonne» di cui si parla al v. [11], e
proponendo quest'ultima lettura nella sua traduzione
(Haycock 2007).
10 <ermin
lloeͬỵṛ eꟊyꝺ.> | erbyn ỻoer egydd. | «va
rivolto alla
luna.» (?)
- La prima parola, <ermin>, ermin/ermyn,
significa «ermellino». L'espressione ermin ỻoer,
«ermellino della luna», non sembra avere
significato, a meno che non si voglia intendere –
con interpretazione piuttosto macchinosa – il colore
del disco lunare, bianco screziato,
a somiglianza del manto dell'ermellino. Si
ritiene che la parola <ermin> sia
corrotta e gli studiosi hanno proposto molte
possibili alternative, quali ermid
(«onorevole, famoso»), eurin («dorato»),
erỽyn («bianco, puro, splendido», o «ardente,
affilato»), eỽnin («intrepido, coraggioso»)
- La seconda parola del verso, <lloeͬỵṛ>,
presenta una correzione scribale. Lo scriba ha
dapprima erroneamente vergato <lloegyr> (Ỻoegyr,
qui scritto con y
epentetica, è il nome gallese dell'Inghilterra propriamente
detta); accorgendosi dell'errore, ha quindi
espunto le tre lettere <g>, <y> ed <r>,
diacriticandole con un punctum delens sotto
il corpo di ciascuna lettera, e ha aggiunto una <>
in esponente sopra la <e>. Il fatto che lo scriba
abbia tanto cancellato quanto ristabilito una <r>
può essere indice di un'incertezza nel corso della trascrizione
dell'antigrafo. La parola è dunque
divenuta ỻoer, «luna».
- La terza parola, <eꟊyꝺ>, viene di solito
interpretata come egydd, una forma arcaica di
ëydd, indicativo presente, terza personale
singolare, del verbo myned, «andare».
- La mancanza di una punteggiatura sintattica, nel
testo, rende arduo capire se i vv.
[9-10] presentino una
continuità con i vv. [11-12].
La necessità di ottenere frasi di senso compiuto
influenza la scelta delle varianti interpretative.
Come sempre, la punteggiatura imposta dai traduttori
al testo è puramente di comodo.
- Nel Myvyrian archaiology of Wales la
prima parola viene corretta in <ewnin> (cfr.
eỽn, forma contratta di eofn, «intrepido,
coraggioso»), ed è questa la lezione perlopiù
utilizzata dai traduttori ottocenteschi, i quali
leggono la seguente espressione ỻoer egyd nel
senso di «che va con la luna», «lunatico,
irrequieto». Da qui le traduzioni del verso
[10] come
successione di due aggettivi: «determined,
frantic» (Skene 1868) e
«impetuous, frantic» (Nash 1868).
- La Haycock rende il verso nella lezione <eurin
lloer egyt> e traduce «the entire golden moon»
(Haycock 2007). Si noti
che la grafia <egyt> (che presuppone una
problematica normalizzazione in *egyd), serve
unicamente a giustificare la rima con il <ry wessyt>
(ry gỽesyd) con cui l'autrice ha corretto il
verso [9]. Ci sembra
inoltre che la traduzione proposta dalla Haycock abbia senso solo
se l'ultima parola fosse intesa come <cỽit>,
cỽid,
«intero, completo».
- Se presumiamo erronea la correzione del copista
e ritorniamo alla lezione Ỻoegyr, basterebbe
suddividere <ermin> in er min per restituire
un senso al verso: <er min lloegyr
eꟊyꝺ>, «va attraverso il confine del Ỻoegyr».
Questa possibilità potrebbe permettere di
interpretare il passo in chiave politica. La
dicitura non plus ultra che, secondo il mito
greco, era incisa sulle Hērákleioi stlai,
contrassegnava il confine invalicabile del mondo.
Delle analoghe colonne poste sul confine tra il Ỻoegyr
e il Cymru potrebbero indicare l'inviolabilità dei
confini del Galles da parte delle mire
espansionistiche della corona d'Inghilterra.
- Proponiamo qui una correzione di <ermin> in
erbyn, «contro, di fronte, dinanzi»,
giustificando una traduzione del verso come «va
rivolto alla luna»; tale emendamento presume che
l'antigrafo portasse una lezione <ervyn> o <ervin>,
dove il suono [b], come a volte accade nei
manoscritti gallesi, veniva reso con <v>.
11 <Peꝺeir
colofyn kyyt> | Pedeir colofneu cyhyd | «Quattro colonne di uguale altezza»
12 <uꝺeur
areu yt.> | rhuddeur areu hyd. | «ricoperte d'oro rosso.»
- rhuddeur (rhudd +
aur) è «oro rosso», luogo medievale che
indica assai probabilmente l'oro zecchino, dove
«rosso» è un cromatismo da intendere forse con
«brillante». Marged Haycock nota che la parola, pur
presente ben tredici volte nel Corpus
Talgesinianum, non compare mai, in realtà, nei
documenti poetici precedenti al 1283
(Haycock 2007).
13 <Colofneu
ercỽlf> | Colofneu ercỽlf. | «Le colonne di
Ercỽlff»
- Verso ignorato nella traduzione di Nash
(Nash 1868).
14 <nyſ
arueiꝺ byꟊỽl.> | nys aerfeidd bygỽl. | «nessuna codardia
dovrebbe sfidarle.»
- <arueiꝺ> viene solitamente normalizzato in
aerfeidd, «sfida in battaglia», costrutto
formato da
aer, «battaglia», + beiddiaf, «sfidare»;
bygỽl, bỽgỽl, è «codardia, paura», pure
nel senso di «minaccia». Piuttosto divergenti le
traduzioni storiche: «will not dare a threatening»
(Skene 1868); «a
work not easily to be believed»
(Nash 1868); «no
coward shall challenge them» (Haycock
2007).
15 <Byꟊỽl
nys beiꝺei.> | Bygỽl nys beidei: | «La codardia non le
sfiderà:»
16 <Gꝛes
eul nys ꟊaꝺei> | gỽres heul nys gadei. | «il
calore del sole non lo permetterebbe.»
- gadei è voce del verbo gadaf,
«permettere, lasciare». Traduzioni storiche: «the
heat of the sun did not leave him»
(Skene 1868); «the
heat of the sun did not vex him»
(Nash 1868); «the
heat of the sun would not allow him (to do so)» (Haycock
2007). Forse è un riferimento al mito
ellenico in cui Hērakls,
durante la lunga marcia attraverso il deserto
africano, aveva puntato minacciosamente l'arco
contro
Hḗlios, costringendolo a desistere dall'arrostirgli la
schiena con i suoi raggi.
17 <Nyt
aet neb is nef> | Nyt yd aeth neb is nef | «Nessuno giunse sotto il cielo»
18 <yt
yꝺ
aet ef> | hyd ydd aeth ef.
| «finché non vi arrivò lui.»
- Il significato dei vv.
[17-18] è, letteralmente, «nessuno giunse
sotto il cielo prima che vi giunse lui». Il
riferimento è forse al mito ellenico in cui Hērakls,
durante la ricerca del giardino delle
Hesperídes, giunse nel
luogo in cui Átlas
sosteneva il cielo e prese temporaneamente il suo posto,
mentre il títan andava a cogliere i frutti
d'oro nel giardino in sua vece.
- Tra i traduttori storici, Skene e Nash ignorano,
nella loro resa del v. [17],
la particella is, «sotto», dando quindi alla
coppia di versi un'interpretazione sottilmente
diversa: «no one went to heaven / until went he»
(Skene 1868); «none
went nearer heaven / than he went»
(Nash 1868). Essi
pensano, forse, al mito della catasterizzazione di Hērakls,
che dopo essere stato arso sulla pira venne accolto
in Ólympos come dio.
- Sebbene Marged Haycock non avanzi
interpretazioni classiche, la sua traduzione è
invece letterale: «no one beneath the heavens /
went as far as he did» (Haycock
2007).
19 <rcỽlf
mur ffoſſaỽt> | Ercỽlff mur ffosaỽd, | «Ercỽlff,
bastione di battaglia,»
- ffosaỽd significa
tanto «scontro, battaglia», ma anche «colpo» e
soprattutto «spaccatura, ferita, varco, rovina». Da
qui, mur ffosaỽd, inteso come epiteto di
Ercỽlff, è stato
tradotto nel senso di «abbattitore
di mura», ovvero «wall-piercer»
(Skene 1868) e «wall-breaker»
(Nash 1868),
probabilmente sulla scolta dell'epiteto omerico
Teikhesiplḗtēs,
«Colui che
assalta le mura», attribuito però ad
Árēs. In gallese,
tuttavia, il complemento di specificazione segue di
solito il termine a cui si riferisce: più rigorosa
la Haycock che traduce: «the rampart of battle» (Haycock
2007).
20 <Aſ
amꝺut tyỽaỽt> | as amddud tyỽaỽd. | «la sabbia [ora] lo copre.»
- tyỽaỽd (> tyỽod), «sabbia», è un
termine frequentemente utilizzato nella lirica
gallese con significato sepolcrale (Haycock
2007). Quest'immagine di una sepoltura di
Ercỽlff/Hērakls
è piuttosto ardua da spiegare, se cerchiamo
di mantenere una coerenza con il mito greco, dove
l'eroe è in realtà destinato all'apoteosi e
quindi all'immortalità nel consesso degli dèi. Il
compositore del poema non sembra conoscere o considerare un'idea dell'immortalità di
Ercỽlff/Hērakls. Infatti, i vv. [5-6] («Ercỽlff
diceva di non aver considerato la
morte») si possono agevolmente da intendere nel senso
che Ercỽlff
agiva senza alcuna
paura della morte. In quanto ai vv.
[17-18], la traduzione di Skene e Nash
(«nessuno era arrivato in cielo prima di lui»),
oltre che scorretta, è sicuramente viziata da
un'interpretazione del testo costruita sul mito classico dell'apoteosi. Non è infine
inutile constatare che la composizione fa
parte del gruppo dei marỽnadau, delle elegie
in morte di un personaggio famoso.
Al riguardo, Marged Haycock ricorda il raro mito, peraltro di
origine libica o numidica, riportato da Isidorus
Hispalensis, sulla morte di Hērakls
in Iberia (Etymologiae
[IX, ii, 120]).
La stessa mitologia greca distingueva un
Hērakls
mortale dalla sua essenza divina, destinata
all'immortalità. Infatti, quando
Odysseús scende in
Aḯdēs incontra l'ombra
di Hērakls:
ma l'eroe era contemporaneamente presente in
Ólympos, dove aveva sposato
Hḗbē, la coppiera degli dèi.
21 <As roꝺỽy trinꝺaỽ> |
As rodỽy trindaỽd | «Possa la Trinità concedere»
- È curioso come le varie traduzioni abbiano
diversamente inteso l'oggetto della concessione
della Trinità: «may the Trinity grant me»
(Skene 1868); «may
the Trinity give thee»
(Nash 1868); «may
the Trinity grant him» (Haycock
2007).
22 <truꟊareꝺ
ꝺyꝺbꝛaỽt> | trugaredd dyddbraỽd, |
«misericordia nel giorno del Giudizio,»
23 <yn
vnꝺaỽt eb eiſſeu.> | yn undaỽd heb eisseu. |
«unità senza bisogno.»
- Verso dispari, privo di rima. Il termine undaỽd
(> undod) vuol dire letteralmente «unità».
Skene traduce «in unity without want»
(Skene 1868)
e la Haycock specifica «in (God’s) unity, without
need» (Haycock
2007).
- Nash ignora questo verso nella sua
traduzione.
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Llyfr Taliesin
by W.F. Skene.
±500 kb |
Llyfr Taliesin
by D.W. Nash.
±500 kb |
Download
Il Ỻyfr Taliesin, tradotto in italiano da Valeria
Muscarà sulle versioni inglesi di William Forbes Skene (1868) e David
William Nash (1868). I due files verranno
aggiornati man mano che verranno aggiunte altre composizioni del Corpus Talgesinianum.
Per il disclaimer, fare riferimento alla pagina
Avviso.
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