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Aldo Marturano
COSMOGONIE E COSMOLOGIE
SLAVO-FINNICHE

COSMOGONIE E COSMOLOGIE SLAVO-FINNICHE

La continua cura che la Chiesa ebbe nello spiegare le esecrate credenze nordiche quale opera del Diavolo ogni qual volta s'accorse che nelle cerimonie «dette cristiane» e celebrate in ambiente ex-pagano ritornavano vive, ci apre degli spiragli per penetrare il mistero di quel sentimento religioso diffuso nel nord e difficile da sradicare chiamato Paganesimo.

La Chiesa (cattolica o ortodossa) pur riconoscendo la potenza di quegli dèi, aborrendone l'origine e la mitologia decise d'intervenire soprattutto sui riti che si compivano per accedere a essi. Gli atti rituali per la verità erano più importanti di qualsiasi altra espressione di fede pubblica in quanto i più appariscenti dal lato spettacolare e celebrativo e, rappresentando un fastidio e una concorrenza, andavano combattuti ed eliminati per primi. In questo modo si sarebbe rispettato il comandamento in Esodo [20: 2]: Non avrai altro dio fuori di me! riuscendo ad annientare la cosiddetta «eresia nordica» affrontandola persino dal lato dottrinario giusto!

Per di più, se s'impediva di praticare i riti verso gli dèi pagani che la gente in difficoltà utilizzava, la necessità avrebbe costretto quelle persone a rivolgersi al dio cristiano tramite i suoi chierici pronti a battezzare e a consolare. In questi casi si faceva presente a chi rifiutava il battesimo che, «cristianizzandosi» e deviando ogni «sacrificio» o «richiesta di intervento» dal dio pagano verso il dio cristiano, avrebbe goduto di tutti i vantaggi contro il triste contatto col malefico demonio che portava soltanto alla rovina e, dopo la morte, all'Inferno al posto della gioia eterna del Paradiso. Il paganesimo legato alla realtà del quotidiano aveva una visione molto vaga dell'aldilà e quindi considerava poco credibili il luogo o di pena o di godimento che i cristiani al contrario letteralmente dipingevano con tutti i particolari. In altre parole premi o pene promessi dopo la morte non attraevano né impaurivano più di tanto...

Grazie comunque ai dettagli pervenutici, cerchiamo di capire quali fossero i riti e le cerimonie e chi li avesse messi a punto con le loro modalità e a quale scopo.

Dalla mitologia comparata con tradizioni differenti apprendiamo che furono gli dèi a insegnare agli uomini (quelli da loro scelti) come fare per invocarli all'occorrenza istituendo i riti come, ad esempio, è raccontato nella stessa Bibbia per la missione affidata a Mosè e ad Aronne in cui Jahvè stesso dà istruzioni con i riti prescritti a provocare le dieci piaghe e contrastare il Faraone.

Ricostruzione di un antico tempio slavo

Se però riti e rituali pagani erano sconosciuti ai non-iniziati, che senso ha un'indagine, se poi non decade tanta segretezza? Il confronto con varie culture pagane nel mondo suggerisce che i rituali sono di vario rango e di conseguenza alcuni solenni e ripetuti di anno in anno eseguiti soltanto in certe occasioni e in certe date al cospetto della comunità e altri invece praticati in privato dai curatori (medici popolari) che oggi denomineremmo maghi o fattucchiere a causa della loro insufficiente scientificità. Addirittura A.E. Bogdanovič ci riferisce che quando chiedeva in Bielorussia di poter parlare a qualcuno di costoro per sapere qualche particolare sui loro riti, si scusavano dicendo che quel mestiere non lo conoscevano affatto!

Ma perché i riti in generale benché così elaborati erano tenuti segreti? Una risposta immediata c'è: Esisteva la convinzione che non appena s'iniziasse un rito forze occulte numerose e diverse accorrevano all'appello incuriosite e che, al minimo errore nella procedura, erano in grado di deviare arbitrariamente la richiesta d'aiuto verso una di loro annullando l'intervento desiderato e danneggiando chi ne aveva fatto richiesta. Per questi motivi solo le persone degne [čarovniki] potevano compiere tali operazioni sacre perché considerate capaci e infallibili, avendo avuto un lungo e attentissimo tirocinio da persone sapienti. In seguito era permesso che li svelassero pure ad altre ancora prima di morire, purché i ricevitori fossero altrettanto degni e facessero in modo che i riti si perpetuassero inalterati custodendoli senza inquinarli. Se teniamo presente che quei curatori di malattie nella loro visione olistica pagana del corpo umano dovevano tener conto anche dei disturbi cosiddetti psicosomatici, possiamo immaginare quale compito delicato fosse il loro nel curare una vastissima gamma di malanni. Per questa ragione la gente minuta si fidava di loro, ma solo se avevano un'ottima fama! In altre parole i riti una volta standardizzati rischiavano di essere imitati da persone non giuste e così, per qualche piccolo dettaglio trascurato o mal compreso (le «chiavi» del rito), la pratica medica risultava inefficace e il millantatore scoperto.

Non poteva essere la stessa cosa invece per il sacerdote che officiava le celebrazioni in tutt'altra veste.

Ed ecco una prima serie di questioni sui riti che dovremmo tener presenti esaminando la situazione nel paganesimo. Per prima cosa è importante sapere meglio chi li ha messi a punto, a parte la «rivelazione divina diretta», e poi in qual modo il loro uso fosse teso ad affrontare e a risolvere i problemi della comunità credente. Come abbiamo detto, sembra che gli dèi li avessero fissati una volta per tutte, forse con un accordo previo con gli antenati degli uomini o forse come gratitudine dovuta da questi ultimi (oltre a offerte varie) per ottenere la protezione divina sui loro discendenti.

E chi decide chi è degno di avvicinarsi agli dèi e ai riti e chi non lo è? Il rapporto slavo con gli dèi non fu mai quello di superiore a inferiore, ma (in un certo senso) quello di un contratto, sintetizzato nella formula do ut des!

Come si eseguono i riti?

  1. Col corpo sotto forma di tutta una serie di gesti speciali in maniera talvolta ostentata come il segno della croce o altri segni apotropaici oppure nelle danze e nei giochi di gruppo.
  2. Con le espressioni del viso stereotipate come aggrottare le sopracciglia, sorridere o digrignare i denti per attirare o respingere.
  3. Col cuore cioè sotto forma di sentimenti intimi da esercitare intensamente col pensiero per scagliare odio, disprezzo, maledizioni o amore contro o verso una persona.
  4. Con la parola cioè con gli scongiuri per scacciare la forza impura avversa o per chiamarla a sé. Qui mettiamo in risalto una peculiarità slava: Siccome alla forza occulta invocata occorreva dire il nome della persona da favorire, questo nome, noto soltanto a pochi intimi, doveva essere pronunciato molto sottovoce per evitare che qualcuno se ne potesse «impadronire» e trasferirlo in altri riti!

Ripetiamo comunque che l'esecuzione del rito resta riservata a poche persone (in privato) oppure a tutta una comunità (in pubblico). Per quanto riguarda i riti in pubblico ce ne sono che vanno ripetuti periodicamente e ci si riferisce a certe solennità che diventavano delle vere cerimonie elaboratissime celebrate durante l'anno. In queste s'implicava l'intervento divino sui beni e sulle attività comuni come il lavoro dei campi o l'espiazione necessaria ad allontanare un'epidemia o una disgrazia o semplicemente per rinnovare la venerazione per un particolare dio. I riti allora erano eseguiti da un «santo» (meglio se vecchio e più raramente da una donna) come poteva essere il sacerdote istituzionale o altra persona adatta scelta nella comunità. Questi personaggi, che conoscevano la storia e le origini dell'evento celebrato, avevano un grande potere ed era attribuita loro persino la facoltà di poter variare le feste e i riti seppure in accordo segreto con gli dèi!

Vista la natura della questione, si creda oppure no all'esistenza di forze invisibili divine, appellabili quando se ne abbia bisogno, senza sapere il giusto rito da eseguire non si sarà mai ammessi al loro cospetto. Ma come mettersi in contatto con dio? Un modo molto diffuso nel paganesimo nordico era l'uso dell'ebbrezza da alcol o parimenti l'estasi con sostanze allucinogene (il fumo della Cannabis sativa o indica è ricordato, per esempio, da Erodoto in uso fra gli Sciti delle steppe oggi ucraine). Altri modi erano il sacrificio di animali, ma anche (con pari valore) di uomini adulti sia per uccisione rituale sia per suicidio (quest'ultimo metodo di solito indotto alle donne o spose o schiave) oppure l'offerta del sangue di un bimbo, quest'ultima usata specialmente nelle inaugurazioni di luoghi sacri.

A proposito delle sostanze inebrianti, è sicuro che in moltissimi casi i rituali risalivano a esperienze mistiche o oniriche antichissime indotte dalle sostanze psicotropiche. Presso gli Ugrofinni le esperienze sciamaniche nelle quali all'improvviso un uomo si era trovato di fronte agli dèi ed era stato nominato da questi il loro unico tramite col resto degli uomini, era un normalissimo evento facilitarsi la trance con l'ingestione dell'Amanita muscaria. E tuttavia non era prerogativa dei popoli ugrofinnici poiché secondo ricerche recenti il fungo era la base del famoso decotto indoiranico soma/haoma e del néktar degli dèi dell'Olimpo, appunto! E che c'è di diverso sulla vocazione dei santi cristiani in cui l'esperienza mistica era causata da stress fisici simili a quelli detti qui sopra?

A parte ciò, se ora classifichiamo i rituali non in base al loro rango, ma in base alla loro efficacia, può dare il paganesimo una spiegazione per doverli preferire a quelli cristiani nel rivolgerci a enti supposti più potenti di noi? E se i cristiani avessero avuto ragione sulla maggiore potenza dei loro dèi? Se gli dèi ci hanno posto in questo mondo perché hanno bisogno di noi, come mai battagliano fra di loro per la supremazia? O gli dèi sono invece esseri che vivono in una loro tranquillità eterna e assoluta senza grande interesse per quanto accade nel resto del cosmo? E allora si può disturbarli ricorrendo al rito per avere l'accesso «divino» senza causare una qualche confusione «cosmica»?

Facciamoci pure un'altra domanda che è rimasta in fondo al nostro pensiero: Esistono davvero le forze occulte? Se sì, che cosa sono e come possiamo difenderci da esse o usarle a nostro vantaggio? È possibile gerarchizzarle? Basta il rito o ci vuole il sacrificio? Non sono questioni di oggi, ma di sempre da parte dell'uomo meravigliato e impaurito di fronte ai fenomeni terribili della natura.

La grande scoperta concettuale del pensiero umano è di essersi accorto per prima cosa che l'universo è percepibile ora fuori ora dentro il nostro corpo giacché la sede pensante (solitamente pensata nella testa o nel cuore e separabile dal resto della sua macchina vivente), è capace senza fallo di avvertire dell'avvicinarsi di presenze estranee diverse in ogni momento del giorno e della notte. Non solo! Il corpo le individua una per una, queste presenze, perché ha imparato a distinguerle dai loro stimoli tipici. Talvolta entrano dentro di noi, causandoci dolori, incubi e altro. Come spiegarsi tutto questo? E che senso ha vivere una vita per perpetuare una specie che deve combattere ogni momento contro forze ostili pronte a sopraffarla?

L'intelligenza e la riflessione non si soddisfano con le spiegazioni scientifiche delle esperienze quotidiane né l'uomo è disposto ad abbandonandosi al corso degli eventi tout-court e così sin dai primi passi, non appena apprende a comunicare, passa i suoi interrogativi alla madre e poi al padre e infine agli anziani della comunità, esigendo risposte esaurienti. Naturalmente i sapienti hanno avuto simili interrogativi e ad essi hanno dato delle risposte in qualche modo, ma purtroppo esse risultano diverse per ogni società umana che non sono sovrapponibili. Per questa ragione una storia che spiegasse il mondo, ma soprattutto che assegnasse all'uomo una posizione suprema che sembra spettargli di diritto (idealizzazione), è fondamentale per molte culture umane. Il problema è che ciò non coincide con la realtà di trovarsi in balia delle «forze occulte» a cui accennavamo.

Dalle soluzioni date a questa contraddizione nascono le visioni del mondo o cosmologie. L'umanità è stata attraversata da tante cosmologie sistematiche, tutte differenti, che vanno da quelle raccontate dai Sumeri o dalla tradizione cinese fino alla teoria del Big Bang di Stephen Hawking. Probabilmente c'è da attendersene sempre di nuove e di differenti col progresso scientifico e pertanto non fa scandalo dire che probabilmente anche il paganesimo nordico/slavo ne avesse una sua ben ragionata…

Addirittura, in alcune cosmologie venne fuori la necessità di stabilire un dio maggiore che creasse il mondo dal nulla usando la sua magica parola. Tuttavia un'idea del genere, ossia della creazione dell'universo o cosmogonia (con conseguente fine), appartiene alla tradizione giudaico-cristiano-islamica, ma non al mondo pagano nordico. Se nella cosmogonia cristiana il dio massimo creò il mondo e lo concesse poi «in affitto» all'uomo in cambio della servitù di quest'ultimo promettendogli però di riprenderlo nel mondo «celeste» dopo la morte, nel paganesimo il dio «maggiore» è un demiurgo cioè un organizzatore del già preesistente, assolutamente diverso dal dio della Bibbia e non richiede un'elaborazione scientifico-filosofica per giustificare la sua presenza nel pensiero dell'uomo.

Secondo Mircea Eliade, il demiurgo slavo è un dio ozioso e, ammesso (e non concesso) che una volta abbia creato il mondo (o meglio ordinato gli oggetti cosmici), adesso sta a guardarlo funzionare senza alcun altro interesse diretto a intervenire, salvo che non sia chiamato. Per questo motivo la figura del dio-creatore non l'abbiamo trovata chiaramente delineata né nelle byliny russe né nei miti slavi e tutto sembra suggerire che nella visione pagana slavo-russa il mondo c'è perché c'è e basta! Ha un certo ordine fisso che nessuno ha il diritto di distruggere né tanto meno di disturbare! Il mondo stesso è dio!

I miti si fanno notare invece per un altro aspetto: per i loro forti contenuti pedagogici.

La cosmologia pagana si sceglie tre compiti come mito e come tradizione culturale:

  1. costruire un universo in modo scientifico;
  2. trasmettere la conoscenza in modo comprensibile a tutti, e infine
  3. porre l'uomo nella posizione cosmologica giusta affinché non distrugga se stesso né metta in pericolo gli altri esseri che sono insieme a lui nell'universo.

Tutto ciò si fonda sulla concezione che il mondo è una totalità unica (cosmologia olistica) di cui l'uomo è parte integrante e non estraibile in assoluto. Allo stesso tempo muoversi nel mondo deve rispondere a un comportamento ben preciso che la cultura prescrive e insegna. Certamente la contraddizione di non riuscire a porre l'uomo al di sopra (o al di fuori) del mondo medesimo non viene superata dal paganesimo e alla fine si offre la solita e scontata soluzione degli enti speculari all'uomo che si fanno percepire in varie maniere e che sono molto più «informati» su come è costruito il mondo. Siano dèi o altre forze della natura di cui l'universo è affollatissimo, questi esseri possono guidare nei momenti d'incertezza l'uomo all'interno dell'universo alla ricerca di soluzioni, ma non sostituirsi a lui!

Come però spiegare la morte e la nascita, eventi in apparenza contraddittori? Diventano meglio comprensibili, se si guarda all'universo come un intero in cui la morte non è un'uscita o il passaggio per un altro mondo, ma è un momento già programmato per ritornare alla materia grezza e rientrare nei cicli vitali (concetto genico moderno) naturali nascendo e rinascendo. All'uomo è concesso però il contatto esclusivo e una speciale collaborazione con gli dèi i quali, chissà, possono decidere di farlo tornare sul teatro della vita ancora una volta sotto forma umana (metempsicosi) o di altro essere (incarnazione)…

Nella mitologia slava, come avremo capito, gli dèi sono lontanissimi e non amano molto essere disturbati. Nella prassi perciò in caso di bisogno si consiglia di rivolgersi ai propri antenati piuttosto che direttamente agli dèi coi quali si potrebbero creare malintesi veri e propri con conseguenze molto pericolose, se non mortali!

L'antenato invece è un essere che appare molto più di frequente. È il fondatore della stirpe o eponimo (čur e raramente è una donna) o anche il semplice morto-parente (nav') e ha tutte (o quasi) le caratteristiche di un dio minore che raccoglie intorno a sé i discendenti, man mano che questi muoiono, oppure li protegge (o li punisce, a secondo dei rapporti personali prima della morte), se invece sono ancora vivi. Sebbene sembri identificabile con la propaggine di un supposto dio della stirpe – Rod («stirpe» in russo) – è bene dire che un tale dio in realtà non è documentato e che i santuari slavi maggiori dove un certo numero di villaggi congregavano nelle celebrazioni in realtà esistevano per venerare proprio l'eponimo comune con i riti solenni prescritti in onore della stirpe unita.

L'eponimo ha le sue origini nella figura istituzionale del capo della grande famiglia slava il quale anche dopo esser passato a miglior vita idealmente ne rimane il Capo, sebbene ora la sua funzione è nelle mani di un altro anziano suo discendente, ma vivo. Ha il vantaggio ora che, da morto, l'universo gli è svelato nei minimi dettagli come mai prima, per cui da lui dobbiamo aspettarci l'insegnamento su come costruirci una vera visione del mondo che sarà quella che adotteremo. È l'eponimo perciò che crea nella mente dei discendenti una Cosmologia affidabile includendovi tutte le indicazioni etiche necessarie dell'ordine cosmologico, dello spazio sacrale in cui si osserva la «pace» fra tutti gli esseri. Ciò è possibile soltanto se ogni individuale comportamento è utilizzato per mantenere saldo e rigoroso il legame con gli dèi «coordinatori» attraverso i riti periodici che l'eponimo ha trasmesso.

I miti slavi sulle «origini del mondo» insomma sembrano svolgersi lungo le linee sopra dette e in ogni caso, se una cosmologia fosse stata incompleta o fallace in qualche punto e non aiutasse a vivere bene, sarebbe bastato appellarsi all'eponimo al quale sta a cuore il benessere dei suoi mentre vede con i suoi occhi scorrere la loro vita e si «oggettivizza» da… giudice e psicopompo!

È possibile dire che il pantheon slavo fosse imperniato sulla santificazione del fondatore della stirpe? Probabilmente sì in quanto l'eponimo sotto forma totemica (animale, pianta, o altro feticcio) o d'icona vera e propria era tenuto sempre in mostra, venerato e ricordato prima che in altri luoghi nell'angolo detto «bello» della casa privata. Lo si rappresentava con vari simboli fallici a simbolo della sua produttività biologica e della fortuna che da essa discendeva. Lo si trovava dipinto o scolpito nelle mete sui confini dei campi, negli alberi, nelle suppellettili di casa, convitato invisibile ai pranzi, nelle invocazioni e nelle imprecazioni…

Un compito importante per onorare gli antenati per qualsiasi giovane della comunità era mandare a memoria tutta la sfilza di nomi dei discendenti che lo riallacciavano all'eponimo e, soltanto se li sapeva recitare senza errori, era degno di far parte del gruppo!

Vediamo allora una (fra le tante) delle cosmogonie slave scelta da A. Byčkov più raccogliticcia e sincretistica. Vi si trovano logicamente tracce chiare di cristianesimo (la creazione, il salvataggio nel diluvio etc.), di paganesimo slavo occidentale (l'isola di Rügen), di paganesimo slavo-russo (molti nomi degli dèi) e di paganesimo ugrofinnico (il nocciolo, Corylus avellana, l'albero sacro dei finnici Ingri), per non dire di qualche leggenda ebraica certamente infiltratasi tramite i Chazari del Volga. Tutti questi elementi convivono tranquillamente nel racconto raccolto dalla voce di un referente nell'estremo nord del paese russo (lago Onega) nel secolo scorso.

«All'inizio degli inizi nel vuoto assoluto e nella tenebra esistette un uovo di cristallo, l'Uovo del Mondo, all'interno del quale immerso nelle nebbie dormiva il Demiurgo. Col passar del tempo le tenebre si dissiparono, l'umido cadde in basso e l'aria salì in alto. Si formarono il Grande Oceano e gli strati dell'aria. Avvenne così che il Demiurgo si svegliò. Ovunque guardasse non c'era alcunché da vedere. In un punto dove cadde il suo sguardo sul firmamento brillava un punto immobile: una stella. Così si formarono le stelle e le costellazioni. Ed ecco che nella luce tremolante il Demiurgo vide le sue fattezze rispecchiate nello specchio delle acque e sentendosi solo decise di rendere viva la sua immagine. Siccome però l'immagine era specchiata nelle acque si creò un altro dio. Se Dij [è il nome del Demiurgo] era bello e buono, la sua immagine risultò scura e cattiva. Se Dij portava beatitudine e felicità, il nuovo dio portava soltanto male, sfortuna e guai. Per questo ricevette il nome corrispondente di Bes. Di fuori era come Dij ossia un uomo con la testa di toro, mentre Bes era nero. Ed ecco che senza alcun intervento esterno crebbero fra il celo e le acque due alberi: le Sante Querce che si tenevano per la forza data loro dagli dèi. Dalle ghiande della Quercia del Cielo si generarono due uccelli: due oche. Le oche si tuffarono nelle acque del mare e raggiunsero il fondo di fango e sabbia. Col fango le due oche incollarono insieme rametti e foglie costruendosi un nido che fu la terra. Anche Bes si tuffò nel mare, raccolse del fango sotto le gambe e se ne riempì la bocca e tornato in superficie risputò il tutto sulla Terra che stava crescendo. Ecco come si formarono le montagne e le rocce. Dij s'adirò per quello che Bes aveva fatto disturbando la costruzione del nido delle oche e strappata una delle querce sacre, se ne fece una clava con la quale punì Bjes e lo ricaccio nelle viscere della terra. Per questo da allora è rimasto solo una quercia sacra, mentre Bes per sempre rimane sottoterra. A volte ne viene fuori quando Dij è occupato e fa male alla gente con tutta la sua potenza sempre però nei limiti delle giurisdizioni degli altri dèi. La terra intanto galleggiava sulle acque dell'oceano e per non farla affondare, Dij creò un dragone con tre teste che si attorcigliò intorno al monte Triglav, «tre-teste», che si trova sull'isola di Rujan [Rügen] poiché a quei tempi tutta la Terra consisteva proprio in questa unica isola. Così attorcigliato il dragone manteneva la terra sull'acqua. Intanto Dij con la clava cominciò a forare la quercia sacra rimasta tanto da metterla incinta e da farle generare la Folgore. Questa colpì la Terra e si generò il primo fuoco e dai carboni ne nacquero i primi due uomini: Muž e Žena [in russo «uomo» e «donna», oppure «marito» e «moglie»]. Tutto era buio e Dij estrasse di qui il Sole i cui raggi illuminarono la terra e questa si svegliò e cominciò a generare. Si meravigliarono gli uomini di quanto accadeva e cercarono di impadronirsi della luce: chi con i secchi e chi con la sporta per portarsi la luce nelle loro case allora senza finestre. Da allora tutti credono che il Sole è un dio che porta fortuna e benessere.»

La cosmogonia poi continua raccontando di come i primi uomini erano sempre in lite l'uno contro l'altro per la supremazia per cui Dij crucciato decise di punirli. Mandò sulla terra Vodan, dio del mare, e Vij, dio dell'uragano, che provocarono il Diluvio e che sommerse tutta la terra salvo il monte Triglav e la sua isola [Rügen]. Soltanto coloro che riuscirono a guadagnare le rive di quest'isola si salvarono. Si dice che Dij guardò quanto restava della sua opera mentre sgranocchiava delle nocciole, frutto sacro per i finnici Ingri, e che una buccia cadde proprio sull'isola e in questa si salvarono uomini e animali. Bes vide ciò e pensando che la volontà di Dij era di distruggere ancora, si tuffò sotto la buccia e vi fece un foro affinché affondasse col carico, ma il dragone Zmej con la sua testa fece da tappo e la buccia coi suoi passeggeri non affondò. Da quel tempo, secondo il mito, Dij non s'interessò più del mondo e dei suoi abitanti affidando il tutto agli altri dèi (sempre sue creature) e all'uomo. A segno del suo disinteresse fece risplendere nel cielo l'arcobaleno. Tuttavia, una volta all'anno Dij ritorna sulla Terra a vedere come vanno le cose, sotto forma di cuculo e… chi riesce a riconoscerlo gli può chiedere quanti anni gli restano da vivere. In seguito, dal sangue di una delle teste del dragone nacque il dio del bene Belbog (da tradurre apparentemente con «dio bianco» dove in realtà si nasconde il comunissimo dio Belenos/Veles), dal sangue della seconda, Černobog (dio nero, che sembra inventato secondo il dualismo introdotto dal cristianesimo) e, infine, dal sangue della terza testa, Chambog, cioè il dio della giustizia. Dij aveva una consorte a nome Boginija o Božinija (un femminile del termine generale bog, il russo per «dio») alla quale ci si poteva rivolgere per chiedere l'intervento di Dij e che nei santuari a lei dedicati aveva la figura di una donna nuda con la testa di vacca.

Val la pena riportare qui ancora un'altra cosmogonia slavo-russa (raccolta da V.V. Adamčik) per un confronto con la precedente.

Il dio creatore stavolta è Rod, il dio slavo della stirpe, rappresentato di solito da un fallo di legno infisso nel terreno con viso umano e col glande a forma di berretto. Questo dio, nato da un uovo d'oro, creò con le sue mani la sposa Lada con la quale poi generò tutte le stelle del firmamento. Il sole venne fuori dal viso del dio, la luna dal petto, le stelle dagli occhi, il chiaro dalle sopracciglia e la notte dal suo pensiero, il vento naturalmente dal suo fiato (si noti che è il dio a generare e non la sua sposa!). Divise l'universo in mondo dei vivi o Jav' e mondo dei morti o Nav'. Pose il tutto su ben dodici colonne di legno di quercia e lo circondò con il mare Oceano dalla cui spuma fu generato Černobog. Creò anche la vacca cosmica Zemun dal cui latte si formò la Via Lattea. Con la pietra Alatyr' e il latte di Zemun fece una specie di burro che galleggiando sul mare costituisce oggi la Madre Umida Terra con tutti gli esseri che vivono e muoiono su essa. Il mito continua con molti altri personaggi divini (Svarog, Svjatogor, Mater'-Sva etc.) ed è importante notare le molte parti in comune con la cosmogonia bulgara forse perché probabilmente risale alla famosa eresia bogomila del X Sec. che in occidente dette poi origine ai Catari.

I miti della creazione d'altro canto non sono stati inventati per fare spettacolo o divertire né sono favole per affascinare o un modo per passare, bimbi o stolti, dalla realtà alla superrealtà favolosa, ma sono un'espressione chiara dello sforzo pedagogico della comunità per trasmettere la conoscenza dell'universo attraverso la propria particolare tradizione. Raccontare la creazione è intrecciare il vero legame ideologico di base con la sapienza antica accumulata da secoli di osservazione degli eventi naturali, degli astri e degli esseri viventi ed è per questi suoi contenuti un galateo di comportamento universale! Addirittura nelle storie sopraddette si verificano eventi tanto complicati che non si ripeteranno più né per il bene dell'uomo né per il suo male!

Ripetiamo allora che vivere è stare insieme nella comunità e accettarne le regole. Questo è il ruolo ideale e superiore ispirato dall'eponimo. Nella grande famiglia c'è l'intero nostro mondo perché qui viviamo e agiamo in stretta relazione con gli altri. Ecco qual è la nostra intima armonia. Non solo! Ai suoi tempi in vita l'antenato su queste idee aveva dato ai figli tutti i tratti di un progetto futuro concreto di benessere e di beatitudine sfruttando i beni della natura. Il progetto andava svolto e portato avanti da tutti e in questo si costituiva il ruolo speciale affidato a ogni membro insieme alla responsabilità che ogni membro aveva verso la stirpe che ne era coinvolta. La missione è certamente irta d'ostacoli, ma la solidarietà, l'obbedienza al più esperto, l'abnegazione sono le virtù necessarie. E qui troviamo un'eccezionalità slava rispetto al paganesimo classico greco-romano: L'eponimo negli strumenti e nei suggerimenti di come sfruttare la natura non appare come inventore delle piante agricole o di come accendere il fuoco o come il maestro che insegna le arti o indica come addomesticare gli animali selvaggi! Queste sono cose che gli dèi offrono direttamente all'uomo e che l'uomo deve sapere riconoscere e usarne da sé, senza intermediari.

Non c'è naturalmente posto per dissentire da queste linee di condotta. Anzi! Guai a chiunque osi ribellarsi a un tale ordine delle cose! Subirà la pena del bando dal seno della comunità che nel mondo slavo medievale equivaleva alla morte e, tanto per fare un confronto con l'ambiente cristiano-giudaico che penetrò intimamente il Paganesimo slavo, la paura per questa terribile misura giuridica è ben rispecchiata nelle parole, benché molto più antiche, dette nella Bibbia quando Caino, messo al bando per l'omicidio di suo fratello, dice: «…la mia punizione è più grande di quanto io possa sopportare. Vedi, oggi mi hai mandato via dalla faccia della terra e mi nasconderò dalla tua faccia. E sarò fuggitivo e vagabondo sulla terra e accadrà che chiunque mi trovi, mi ucciderà» (Genesi [IV: 13-14). La sorte di Caino è menzionata spesso nel folclore popolare slavo…

Evitando allora eccessi del genere, quando ci sono le festività del Rod è fatto obbligo di ritrovarsi insieme e si celebra il rito importantissimo della riconoscibilità fra membri della stessa stirpe. Ci s'incontra e ci si augura a vicenda di star bene e di aver tanta fortuna, mentre si celebra il pir o banchetto sacro. Sebbene tutto questo in verità è un velato richiamo alla parte assegnataci di cui parlavamo sopra, serve comunque a rinsaldare i legami di parentela. Anzi! Pur abitando in posti lontani e diversi, al ritrovarsi insieme ognuno, dopo aver riconosciuto l'altro (può essere un nuovo arrivato), gli lascia occupare il posto che gli compete nella gerarchia tradizionale a meno che non gliene venga assegnato uno nuovo, se la sua età e le sue imprese lo ammettono... nella propria casa! È l'antico patto della stirpe che si riflette nel rito del pane-e-sale, tanto caro agli Slavi.

Premesso quanto sopra, la stirpe deve continuare a esistere «integra e pura». Attenzione! Non c'è alcun concetto razzistico in queste affermazioni che troviamo nelle byliny e nei proverbi. La questione è un'altra in quanto ci si riferisce piuttosto alle tradizioni da conservare e non ai tratti fisici o alle relazioni interpersonali. Ciò corrisponde pure a quanto testimoni (non slavi) affermavano con meraviglia che la società slava (medievale e tardo-medievale) accoglieva chiunque nel suo seno purché questo/questa accettasse l'unico obbligo di essere «iniziato» alla cultura tradizionale.

In conclusione riassumiamo che con la stirpe unita il destino di ciascuno è già assegnato: È la sua sorte [dolja] che ognuno riceve dalle forze divine creatrici nel corpo della madre quando per lui s'accende una stella nel firmamento che rimarrà luminosa per tutto il periodo di vita [rok] definito affinché compia la propria parte.

Rimane un'ultima questione importante nella cosmologia pagana: Il mondo avrà una fine?

Per il Cristianesimo (ma, come abbiamo detto, pure per il Giudaismo e per l'Islām) è sicuro che un giorno tutto quanto è intorno a noi perirà e addirittura intorno all'anno 1000 scoppiò la psicosi della fine ormai imminente… per i Cattolici! Al contrario, gli Ortodossi, che contavano gli anni a partire dalla Creazione del Mondo, 5508 anni prima della nascita di Cristo – come era stata fissata nel Concilio di Nicea –, e non avevano accettato la riforma di Dionigi il Piccolo, ridicolizzarono gli allarmismi cattolici. La fine era ancora lontana. Sarebbe arrivata eventualmente nel 1492, ossia nel 7000 dopo la Creazione del Mondo. Su queste paure intorno all'anno 1000 abbiamo due tipi di spinta cristiana ad abbracciare la vera fede: una da parte romana e un'altra da parte costantinopolitana, ma, salvo la particolare circostanza e le posizioni assurde nell'evangelizzazione del nord Europa, che caddero non appena la fine del mondo non ebbe luogo, questi argomenti per il paganesimo restarono comunque senza senso.

Nella concezione pagana della ciclicità dei processi naturali in conclusione una fine non era insita nel sistema di funzionamento del mondo, ma dipendeva soltanto dalla volontà degli dèi e dal peso delle preghiere degli uomini che con le loro offerte ogni volta la rimandavano a data da destinarsi.

DIALOGO A DUE VOCI

AM Aldo Marturano
DG Dario Giansanti

DG — Caro Aldo, ho letto il tuo ultimo libro, Introduzione al paganesimo russo, e volentieri pubblico questo estratto su Bifröst. Quei pochi, in Italia, che s'interessano di mitologia slava o finnica, se ne stanno perlopiù arroccati nelle loro facoltà e raramente mettono le loro competenze a disposizione del pubblico, come fai tu. La maggior parte delle ricerche rimane del tutto inaccessibile agli appassionati, e basta dare un'occhiata all'imponente bibliografia che hai allegato al tuo lavoro, per avere un'idea di quanto sia ricco e interessante il materiale che viene pubblicato in Russia e nei paesi dell'est! Di conseguenza, le poche informazioni che arrivano al nostro pubblico, soprattutto attraverso internet, non sono verificabili. Oltretutto, nella maggior parte dei casi, si tratta di elucubrazioni affatto prive di valore scientifico. Il tuo libro ha il merito di presentare ai lettori un discorso condotto con amore e attenzione, e che non nasconde in alcun modo le difficoltà che sono sempre alla base di certe interpretazioni. Alla tua competenza quale profondo conoscitore dello mondo slavo si affianca il coraggio di presentare interpretazioni e opinioni personali, a volte provocatorie, ma sempre interessanti e originali.

AM — L'argomento da me trattato è così incerto che ogni tentativo di esemplificazione richiede, come giustamente hai notato, un certo grado di «ricostruzione». Tutto è comunque soltanto un'ipotesi, vista la scarsezza dei documenti. Sarebbe già un buon risultato indurre gli appassionati a effettuare delle ricerche in proprio e ad ampliare a loro volta il discorso: ciascuno può attingere liberamente alla letteratura e trarre le proprie conclusioni. Nell'accademia italiana, invece, si cerca di scaricare le «colpe» delle proprie ipotesi, o visioni del mondo, sul groppone di altri, citando pagine e righe dove una certa cosa sarebbe stata affermata; rimproverando se, secondo l'accusatore, quanto detto non è considerato vero; e cercando accuratamente di evitare posizioni personali quando l'argomento è poco documentato. Se invece l'argomento è ben noto, ecco allora la pletora di autori affastellare un lavoro di pura compilazione, senza suggerire alcuna nuova idea. Io odio mettere note a pie' di pagina perchè vorrei che chi legge non debba sempre essere distratto da giustificazioni o debba essere costretto a rivolgersi a riconferme di autori a volte a lui sconosciuti. Per me un libro è una conversazione con il lettore, ma è lui che deve poi decidere di allargare l'argomento oppure no, visto che quanto io affermo è totalmente nel mio scritto, con tutti i miei eventuali errori. Su internet è sempre possibile invece integrare e correggere e rendere i testi vivi, come fai tu, con grande coscienza e attenzione. E si dà la possibilità a chi legge di sognare, di essere invogliato a fare ricerche, come faccio io stesso: imparare lingue nuove, diverse visioni del mondo, differenti storie...

DG — In Bifröst, come sai, ho sempre insistito che ogni singola informazione riguardo l'uno o l'altro mito venisse ricontrollata sui testi originali, e questo per la semplice ragione che le fonti secondarie tendono a interpretare o travisare il materiale (e i libri di divulgazione non fanno che copiarsi gli uni con gli altri). Certo, non sempre i testi originali sono disponibili, o interpretabili, e in questo caso va dichiarato che ci si è affidati a una fonte secondaria. Per me è una questione di correttezza nei confronti dei visitatori. D'altra parte, uno studioso onesto dovrebbe sempre porsi cum grano salis nei confronti dei testi a cui sta attingendo. Ad esempio, sarei curioso di sapere da dove vengono alcune delle informazioni da te fornite, soprattutto per quanto riguarda i due racconti cosmogonici. Chi li ha registrati? Quando? Presso quali comunità? Chi li ha pubblicati? Sono attendibili?

AM — Dunque, il racconto fornito da Byčkov il quale non ha una gran fama di storico della mitologia è stato registrato a Kargopol' nel XX secolo, anche se non so dirti esattamente quando, e corrisponde a certe vecchie byliny di Dal' e Afanas'ev. Quello di Adamčik è invece di provenienza bielorussa. Al presente, raccolte non ce ne sono, salvo alcuni exploit di giovani bielorussi che hanno raccolto qualche costume e credenza ancora superstite nelle campagne del loro paese, grazie ai finanziamenti di Patria Nostra.

DG — Nel caso del mito trasmesso da Byčkov, non mi stupisce provenga dalla zona di Arcangelo, visto che mi sembra più finnico che slavo. Il motivo della «pesca della terra», a cui partecipano un dio creatore e un diavolo, è diffusa tra i popoli uraloaltaici. Ne conosco almeno tre versioni: jacuta, buriata e mongola. So che alcuni studiosi ritengono risalga a una matrice zoroastriana, dunque di origine iranica, ma non sono in grado di stabilire se sia possibile. La seconda parte del tuo racconto, incentrata sull'isola di Rügen, è più difficile da valutare. Di un Černobog o «dio nero», come sai, tratta unicamente Helmond nella sua Chronica Slavorum (XII sec.), che si riferisce agli Slavi del Baltico. Lo storico tedesco, tra l'altro, identifica Černobog con il diavolo [diabol sive Czerneboch] e asserisce esistesse anche una divinità benevola, di cui però non fa il nome. Per tale ragione alcuni studiosi hanno pensato di introdurre un ipotetico *Belbog o «dio bianco», nonostante questo nome non sia attestato nelle fonti medievali. Nel mito da te riferito, tuttavia, ho l'impressione che i nomi Černobog e Belbog siano traduzioni russe di due entità extraslave, di possibile origine ugrofinnica o altaica. Ma non ho gli strumenti per valutare tali ipotesi. Mi piacerebbe saperne di più.

AM — Caro Dario, io posso solo dirti come le penso in generale. Byčkov non è molto apprezzato dalla mia referente, la professoressa Novikova dell'Università di Velikij Novgorod, ma a me piaceva la leggenda in sé perché cercava di mettere insieme tante eterogeneità. Infatti Arcangelo, Kargopol', il lago Onego è tutta zona finnica... Nell'Enciclopedia della Mitologia Slava (in russo naturalmente), sono riportate più di una variante di questa leggenda e, siccome il mio lavoro non voleva essere compilatorio, ho scelto la versione di Byčkov, più settentrionale, e poi quella di Adamčik, più slava (egli afferma di averla raccolta nella zona del Bug bielorusso!). Ammetto tuttavia che, nel campo della mitologia slava, ben pochi autori si attengono ai requisiti minimi di rigore e di serietà. Un bel po' di studiosi circolano in Russia oggidì alla «ricerca degli Iperborei». Se non li conosci personalmente e non ti fai un'idea diretta di come la pensano, va a finire che cadi nelle loro trappole. Mi è capitato con Asov, un archeologo assai quotato, che poi scrive un libro di oltre quattrocento pagine per trovare la dea Mokoš' in ogni annerimento delle pietre di case e chiese in rovina... assolutamente non scientifico. Mi ha fatto perdere un sacco di tempo! Uno serissimo è invece Vadim Dolgov, che è un letterato e sa scartabellare i vecchi libri, sebbene non sia uno slavista né uno storico. Un metodo che mi è piaciuto è quello della signora Levkjevskaja che racconta di una divinità e poi riproduce tutte le byliny o altri pezzi di documenti che ne parlano.

DG — È il mio metodo preferito. Esporre tutte le fonti e i documenti e fare un dossier di questo o quel personaggio. A mio avviso, il primo passo per cercare di capirci qualcosa.

AM — Ma va da sé che avessi fatto lo stesso, il mio manuale sarebbe diventato un vocabolario e, peggio che mai, una traduzione o trasposizione del lavoro di altri.

DG — Però rimane il fatto è che manca, in italiano, un serio lavoro critico ed esaustivo sul mondo slavo. Siamo rimasti a Brückner e Pisani. Solo negli ultimi anni, Michailov ha pubblicato una buona raccolta di saggi, tra cui un paio di articoli di Ivanov e Toporov, ma questo è praticamente tutto. Nelle mie navigazioni nei siti russi, invece, ho sempre trovato un'incredibile quantità di materiale mitologico... ma mancavano regolarmente fonti, riferimenti, bibliografie. Ogni volta avevo il sospetto di essere finito nel sito di qualche combriccola nazionalista o neopagana. Separare il grano loglio è spesso cosa ardua. Puoi immaginare la mia perplessità quando, ai nudi nomi di divinità slave che il Se pověsti vremjanĭnichŭ lětŭ si limita frettolosamente a citare – lasciando ai moderni studiosi nient'altro che le etimologie su cui accanirsi per carpire brandelli d'informazione – corrispondevano invece, in rete, complessi racconti cosmogonici, dove quelle stesse divinità apparivano in un contorno pittoresco in cui il Ṛgveda andava a braccetto con le fiabe di Afanas'ev. Ho in seguito scoperto che molte di queste informazioni erano tratte dal famigerato Velesova Knyga, che è senza dubbio un falso, e pure goffamente confezionato. Ma allora, perché molti presunti «miti» tratti da questo testo vengono continuamente gabellati come autentica mitologia slava? E questo non avviene non soltanto in internet, ma anche in libri «seri», alcuni dei quali regolarmente pubblicati e presenti in libreria. Ma poi è davvero così? Le tavolette del Velesova Knyga andarono perdute nel 1941, rendendo impossibile una confutazione definitiva. Ma anche il manoscritto originale dello Slovo o pŭlku Igorevě' andò del pari distrutto, nell'incendio di Mosca, e se non sbaglio anche questo poema fu a suo tempo considerato un falso da insigni filologi. Quindi, provocatoriamente, perché accettare l'Igor' e non il Velesova Knyga?

AM — Il Velesova Knyga l'ho avuto in due edizioni e poi, dopo averlo letto, ho capito che era una forgery, oppure, come dici tu, il loglio da gettare via. Lo Slovo o pŭlku Igorevě' è già altro e, fidandosi degli studi di Bazzarelli, tanto per citare un italiano, ci si può riferire ad esso con maggiore tranquillità, sebbene un pizzico di prudenza non guasti mai. Tieni conto che dal punto di vista romantico un poema cavalleresco era necessario alla Grande Russia...

DG — E nel caso della mitologia slava, immagino la difficoltà sia elevata al quadrato, vista l'esiguità delle fonti letterarie a cui fa riscontro un folklore ricchissimo e difficilissimo da valutare.

AM — Un testo che è ricco e ben fatto, perché scritto da un «mitologo di professione», è I miti ugrofinnici (sempre in russo) di V. Petruchin. Lavorandoci sopra, ho assimilato il suo imbarazzo di dover accettare divinità finniche come slave. Tuttavia, a mio avviso, la compenetrazione fra i due mondi culturali ha fatto sì che gli Slavi (per intenderci quelli della Bielorussia e della zona di Novgorod Velikij) affondino le loro radici in un humus culturale piuttosto variegato. Non è possibile dire con sicurezza, documenti alla mano, che cosa sia slavo e che cosa finnico, qui in queste regioni del nord, sebbene le mitologie indoeuropee siano abbastanza raffrontabili e quindi, almeno in teoria, ben distinguibili dalla mitologia finnica. Ma se poi ti trovo Perun tra i Finni e poi pure tra i Čečeni, davvero mi dispero... Vuoi saperne una, anche se ha poco a che fare con la mitologia? L'izba russa non è un prodotto puro russo, ma... finnico!

DG — Hai ragione. Come sappiamo se una tradizione sia genuinamente slava, o se non sia derivata da un substrato finnico? Questi ultimi occupavano tutto il territorio al di qua degli Urali, prima che gli Slavi vi migrassero a loro volta, riducendoli a poche isole linguistiche. Usi, costumi e tradizioni di origine finnica sono certo numerosissimi! Da parte mia, ho notato attinenze molto nette tra le leggende finniche e le byliny, soprattutto quelle del ciclo di Novgorod (penso a Sadko che suona la gusli sul fondo del mare e al kantele di Väinämöinen la cui musica allieta gli spiriti marini). E d'altra parte, ad andare a cercare in profondità, molti elementi del mito slavo hanno correlazioni anche con il mondo scitico, caucasico, iranico. E cosa dire degli adstrati? Sai bene che molti studiosi hanno voluto ricondurre il pantheon russo a quello germanico dei Variaghi, certamente esagerando... e di sicuro attirandosi gli strali dei nazionalisti russi.

AM — Non è quello che cercavo di dirti? Per concludere, eccoti qui di seguito tradotto per te da un testo di G.A. Fëdorov-Davydov (archeologo molto serio) un compendio della descrizione di Aḥmad ibn Faḍlān davanti a un tempio ciuvascio durante la sua visita del 921 d.C., riscritta in consonanza con gli scavi fatti nel 1959:

«E adesso possiamo immaginarci come la gente si raccoglieva dieci secoli fa, nei caldissimi giorni di primavera, recandosi verso il santuario. Si affollavano intorno all'entrata dato che, all'interno, l'accesso era riservato solo alle persone scelte. Già da tempo erano stati raccolti gli animali da sacrificare (cavallini lituani e bovini) e soltanto i sacerdoti potranno dire con esattezza a qual dio quali specie di animali, e di quale età, dovranno essere sacrificati. La birra è già pronta e così anche le frittelle. Agli animali si concede acqua da bere che in parte occorre spruzzare su ogni pecora o vacca lì portata e, se l'animale scalpita, vorrà dire che è pronta per il dio giusto. I vecchi ripetono questa cerimonia un po' di volte, per sicurezza, e i sacerdoti ripetono la preghiera: "Ci rivolgiamo a te con sguardo ossequiente, con parole dolci, ti imploriamo e ti rammentiamo che abbiamo qui tre specie di animali ai quali estrarremo il cuore, lasciando scorrere il sangue, e ci prostriamo con tutta la nostra gente". Dopo di ciò con grande contrizione gli anziani e i sapienti si rivolgono agli dèi con le loro richieste: "Dà la fertilità al nostro bestiame, alle giumente i puledri, alle vacche i vitelli, alle pecore gli agnelli, e infine a noi tutti la salute e la tranquillità. Ti preghiamo, liberaci dalle forze impure, da ogni male e da ogni difficoltà. Abbi pietà di noi!" Dopo di che gli animali vengono uccisi e si mangia e si beve. Naturalmente i sacerdoti stanno separati in una casa a parte, dove c'è una sala per la libagione sacra, mentre il resto della gente tutt'intorno allo steccato, seduti per terra. Si aspetta che il sole scompaia attraverso la fessura sacra e venga il buio della notte».

Dunque questo era il paganesimo che si serbò fino al XIV secolo, non lontano da dove sorgerà Mosca...

DG — Le cose che mi racconti, caro Aldo, sono per me una specie di supplizio di Tantalo. Mi fai balenare una quantità di studi e lavori di cui so poco o nulla. Ti ringrazio a nome di tutti i nostri lettori, per l'articolo che ci hai messo a disposizione e, soprattutto, per la squisita pazienza e la cortesia con cui hai risposto a tutte le mie domande e perplessità. Agli appassionati desiderosi di saperne di più, non posso che consigliare il tuo libro, Introduzione al paganesimo russo, facilmente ordinabile su IBS [QUI].

L'AUTORE

Aldo C. Marturano è nato a Taranto. Ha studiato nelle Università di Bari, poi di Pavia e infine di Amburgo, dove ha concluso i suoi corsi di laurea in chimica industriale. Ha lavorato e lavora tuttora come consulente per i paesi dell'est, nel ramo commerciale. Conosce (parla e scrive correttamente) russo, inglese, tedesco, francese, spagnolo e ungherese. Appassionato di storia medievale, ha approfondito lo studio del russo a Mosca presso il celebre Istituto Puškin, e da quel momento ha potenziato la conoscenza del Medioevo russo, epoca mirabile pressoché sconosciuta a occidente. Ha pubblicato diverse opere tra cui: Olga la russa, L'ombra dei Tartari, La badessa delle paludi, L'ultimo amore di Novgorod e Mescekh, Il Paese degli Ebrei dimenticati, Andrea deve morire, Storie di cavalieri e di Lituani, Cristo e la mafia dei Rus', Pian delle Beccacce, Vita di Smierd. Marturano ha viaggiato in utto il mondo e in modo particolare nella ex Unione Sovietica dove, con caparbietà, ha raccolto dovumenti, testimonianze e materiale con cui ha impreziosito i propri scritti, ponendosi alla ribalta come uno dei più importanti conoscitori europei del Medioevo russo.

BIBLIOGRAFIA
  • MICHAILOV Nikolai [cura]: Mitologia slava. ECIG, Pisa 1995.
  • MARTURANO, Aldo C.: Vita di Smierd. Athena, 2007.
  • MARTURANO, Aldo C.: Introduzione al paganesimo russo. Mjm, Meda 2009.

Un'imponente bibliografia è presente in appendice al libro di A.C. Marturano.

Rubrica: Articoli - Alonso Quijano
Area: Slava - Koščej Vessmertij

Tratto da Introduzione al Paganesimo Russo, di Aldo C. Marturano, © MJM Editore Meda (MI) 2009, e pubblicato col permesso dell'autore.

Creazione pagina: 12.12.2009
Ultima modifica: 09.01.2013

 
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