La continua cura che la Chiesa ebbe nello spiegare le
esecrate credenze nordiche quale opera del Diavolo ogni qual
volta s'accorse che nelle cerimonie «dette cristiane» e
celebrate in ambiente ex-pagano ritornavano vive, ci apre
degli spiragli per penetrare il mistero di quel sentimento
religioso diffuso nel nord e difficile da sradicare chiamato
Paganesimo.
La Chiesa (cattolica o ortodossa) pur riconoscendo la
potenza di quegli dèi, aborrendone l'origine e la mitologia
decise d'intervenire soprattutto sui riti che si compivano
per accedere a essi. Gli atti rituali per la verità erano
più importanti di qualsiasi altra espressione di fede
pubblica in quanto i più appariscenti dal lato spettacolare
e celebrativo e, rappresentando un fastidio e una
concorrenza, andavano combattuti ed eliminati per primi. In
questo modo si sarebbe rispettato il comandamento in
Esodo [20: 2]: Non
avrai altro dio fuori di me! riuscendo ad annientare la
cosiddetta «eresia nordica» affrontandola persino dal lato
dottrinario giusto!
Per di più, se s'impediva di praticare i riti verso gli
dèi pagani che la gente in difficoltà utilizzava, la
necessità avrebbe costretto quelle persone a rivolgersi al
dio cristiano tramite i suoi chierici pronti a battezzare e
a consolare. In questi casi si faceva presente a chi
rifiutava il battesimo che, «cristianizzandosi» e deviando
ogni «sacrificio» o «richiesta di intervento» dal dio pagano
verso il dio cristiano, avrebbe goduto di tutti i vantaggi
contro il triste contatto col malefico demonio che portava
soltanto alla rovina e, dopo la morte, all'Inferno al posto
della gioia eterna del Paradiso. Il paganesimo legato alla
realtà del quotidiano aveva una visione molto vaga
dell'aldilà e quindi considerava poco credibili il luogo o
di pena o di godimento che i cristiani al contrario
letteralmente dipingevano con tutti i particolari. In altre
parole premi o pene promessi dopo la morte non attraevano né
impaurivano più di tanto...
Grazie comunque ai dettagli pervenutici, cerchiamo di
capire quali fossero i riti e le cerimonie e chi li avesse
messi a punto con le loro modalità e a quale scopo.
Dalla mitologia comparata con tradizioni differenti
apprendiamo che furono gli dèi a insegnare agli uomini
(quelli da loro scelti) come fare per invocarli
all'occorrenza istituendo i riti come, ad esempio, è
raccontato nella stessa Bibbia per la missione affidata a Mosè e ad Aronne in cui Jahvè
stesso dà istruzioni con i riti prescritti a provocare le
dieci piaghe e contrastare il
Faraone.
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Ricostruzione di un antico tempio slavo |
Se però riti e rituali pagani erano sconosciuti ai
non-iniziati, che senso ha un'indagine, se poi non decade
tanta segretezza? Il confronto con varie culture pagane nel
mondo suggerisce che i rituali sono di vario rango e di
conseguenza alcuni solenni e ripetuti di anno in anno
eseguiti soltanto in certe occasioni e in certe date al
cospetto della comunità e altri invece praticati in privato
dai curatori (medici popolari) che oggi denomineremmo maghi
o fattucchiere a causa della loro insufficiente
scientificità. Addirittura A.E. Bogdanovič
ci riferisce che quando chiedeva in
Bielorussia di poter parlare a qualcuno di costoro per
sapere qualche particolare sui loro riti, si scusavano
dicendo che quel mestiere non lo conoscevano affatto!
Ma perché i riti in generale benché così elaborati erano
tenuti segreti? Una risposta immediata c'è: Esisteva la
convinzione che non appena s'iniziasse un rito forze occulte
numerose e diverse accorrevano all'appello incuriosite e
che, al minimo errore nella procedura, erano in grado di
deviare arbitrariamente la richiesta d'aiuto verso una di
loro annullando l'intervento desiderato e danneggiando chi
ne aveva fatto richiesta. Per questi motivi solo le persone
degne [čarovniki] potevano compiere tali operazioni
sacre perché considerate capaci e infallibili, avendo avuto
un lungo e attentissimo tirocinio da persone sapienti. In
seguito era permesso che li svelassero pure ad altre ancora
prima di morire, purché i ricevitori fossero altrettanto
degni e facessero in modo che i riti si perpetuassero
inalterati custodendoli senza inquinarli. Se teniamo
presente che quei curatori di malattie nella loro visione
olistica pagana del corpo umano dovevano tener conto anche
dei disturbi cosiddetti psicosomatici, possiamo immaginare
quale compito delicato fosse il loro nel curare una
vastissima gamma di malanni. Per questa ragione la gente
minuta si fidava di loro, ma solo se avevano un'ottima fama!
In altre parole i riti una volta standardizzati rischiavano
di essere imitati da persone non giuste e così, per qualche
piccolo dettaglio trascurato o mal compreso (le «chiavi» del
rito), la pratica medica risultava inefficace e il
millantatore scoperto.
Non poteva essere la stessa cosa invece per il sacerdote
che officiava le celebrazioni in tutt'altra veste.
Ed ecco una prima serie di questioni sui riti che
dovremmo tener presenti esaminando la situazione nel
paganesimo. Per prima cosa è importante sapere meglio chi li
ha messi a punto, a parte la «rivelazione divina diretta», e
poi in qual modo il loro uso fosse teso ad affrontare e a
risolvere i problemi della comunità credente. Come abbiamo
detto, sembra che gli dèi li avessero fissati una volta per
tutte, forse con un accordo previo con gli antenati degli
uomini o forse come gratitudine dovuta da questi ultimi
(oltre a offerte varie) per ottenere la protezione divina
sui loro discendenti.
E chi decide chi è degno di avvicinarsi agli dèi e ai
riti e chi non lo è? Il rapporto slavo con gli dèi non fu
mai quello di superiore a inferiore, ma (in un certo senso)
quello di un contratto, sintetizzato nella formula do ut
des!
Come si eseguono i riti?
- Col corpo sotto forma di tutta una serie di
gesti speciali in maniera talvolta ostentata come il
segno della croce o altri segni apotropaici oppure nelle
danze e nei giochi di gruppo.
- Con le espressioni del viso stereotipate come
aggrottare le sopracciglia, sorridere o digrignare i
denti per attirare o respingere.
- Col cuore cioè sotto forma di sentimenti
intimi da esercitare intensamente col pensiero per
scagliare odio, disprezzo, maledizioni o amore contro o
verso una persona.
- Con la parola cioè con gli scongiuri per
scacciare la forza impura avversa o per chiamarla a sé.
Qui mettiamo in risalto una peculiarità slava: Siccome
alla forza occulta invocata occorreva dire il nome della
persona da favorire, questo nome, noto soltanto a pochi
intimi, doveva essere pronunciato molto sottovoce per
evitare che qualcuno se ne potesse «impadronire» e
trasferirlo in altri riti!
Ripetiamo comunque che l'esecuzione del rito resta
riservata a poche persone (in privato) oppure a tutta una
comunità (in pubblico). Per quanto riguarda i riti in
pubblico ce ne sono che vanno ripetuti periodicamente e ci
si riferisce a certe solennità che diventavano delle vere
cerimonie elaboratissime celebrate durante l'anno. In queste
s'implicava l'intervento divino sui beni e sulle attività
comuni come il lavoro dei campi o l'espiazione necessaria ad
allontanare un'epidemia o una disgrazia o semplicemente per
rinnovare la venerazione per un particolare dio. I riti
allora erano eseguiti da un «santo» (meglio se vecchio e più
raramente da una donna) come poteva essere il sacerdote
istituzionale o altra persona adatta scelta nella comunità.
Questi personaggi, che conoscevano la storia e le origini
dell'evento celebrato, avevano un grande potere ed era
attribuita loro persino la facoltà di poter variare le feste
e i riti seppure in accordo segreto con gli dèi!
Vista la natura della questione, si creda oppure no
all'esistenza di forze invisibili divine, appellabili quando
se ne abbia bisogno, senza sapere il giusto rito da eseguire
non si sarà mai ammessi al loro cospetto. Ma come mettersi
in contatto con dio? Un modo molto diffuso nel paganesimo
nordico era l'uso dell'ebbrezza da alcol o parimenti
l'estasi con sostanze allucinogene (il fumo della
Cannabis sativa o indica è ricordato, per
esempio, da Erodoto in uso fra gli Sciti delle steppe oggi
ucraine). Altri modi erano il sacrificio di animali, ma
anche (con pari valore) di uomini adulti sia per uccisione
rituale sia per suicidio (quest'ultimo metodo di solito
indotto alle donne o spose o schiave) oppure l'offerta del
sangue di un bimbo, quest'ultima usata specialmente nelle
inaugurazioni di luoghi sacri.
A proposito delle sostanze inebrianti, è sicuro che in
moltissimi casi i rituali risalivano a esperienze mistiche
o oniriche antichissime indotte dalle sostanze psicotropiche.
Presso gli Ugrofinni le esperienze sciamaniche nelle quali
all'improvviso un uomo si era trovato di fronte agli dèi ed
era stato nominato da questi il loro unico tramite col resto
degli uomini, era un normalissimo evento facilitarsi la
trance con l'ingestione dell'Amanita muscaria. E
tuttavia non era prerogativa dei popoli ugrofinnici poiché
secondo ricerche recenti il fungo era la base del famoso
decotto indoiranico soma/haoma e del néktar degli dèi
dell'Olimpo, appunto! E che c'è di diverso sulla vocazione
dei santi cristiani in cui l'esperienza mistica era causata
da stress fisici simili a quelli detti qui sopra?
A parte ciò, se ora classifichiamo i rituali non in base
al loro rango, ma in base alla loro efficacia, può dare il
paganesimo una spiegazione per doverli preferire a quelli
cristiani nel rivolgerci a enti supposti più potenti di
noi? E se i cristiani avessero avuto ragione sulla maggiore
potenza dei loro dèi? Se gli dèi ci hanno posto in questo
mondo perché hanno bisogno di noi, come mai battagliano fra
di loro per la supremazia? O gli dèi sono invece esseri che
vivono in una loro tranquillità eterna e assoluta senza
grande interesse per quanto accade nel resto del cosmo? E
allora si può disturbarli ricorrendo al rito per avere
l'accesso «divino» senza causare una qualche confusione
«cosmica»?
Facciamoci pure un'altra domanda che è rimasta in fondo
al nostro pensiero: Esistono davvero le forze occulte? Se
sì, che cosa sono e come possiamo difenderci da esse o
usarle a nostro vantaggio? È possibile gerarchizzarle?
Basta il rito o ci vuole il sacrificio? Non sono questioni
di oggi, ma di sempre da parte dell'uomo meravigliato e
impaurito di fronte ai fenomeni terribili della natura.
La grande scoperta concettuale del pensiero umano è di
essersi accorto per prima cosa che l'universo è percepibile
ora fuori ora dentro il nostro corpo giacché la sede
pensante (solitamente pensata nella testa o nel cuore e
separabile dal resto della sua macchina vivente), è capace
senza fallo di avvertire dell'avvicinarsi di presenze
estranee diverse in ogni momento del giorno e della notte.
Non solo! Il corpo le individua una per una, queste
presenze, perché ha imparato a distinguerle dai loro stimoli
tipici. Talvolta entrano dentro di noi, causandoci dolori,
incubi e altro. Come spiegarsi tutto questo? E che senso ha
vivere una vita per perpetuare una specie che deve
combattere ogni momento contro forze ostili pronte a
sopraffarla?
L'intelligenza e la riflessione non si soddisfano con le
spiegazioni scientifiche delle esperienze quotidiane né
l'uomo è disposto ad abbandonandosi al corso degli eventi
tout-court e così sin dai primi passi, non appena apprende a
comunicare, passa i suoi interrogativi alla madre e poi al
padre e infine agli anziani della comunità, esigendo
risposte esaurienti. Naturalmente i sapienti hanno avuto
simili interrogativi e ad essi hanno dato delle risposte in
qualche modo, ma purtroppo esse risultano diverse per ogni
società umana che non sono sovrapponibili. Per questa
ragione una storia che spiegasse il mondo, ma soprattutto
che assegnasse all'uomo una posizione suprema che sembra
spettargli di diritto (idealizzazione), è fondamentale per
molte culture umane. Il problema è che ciò non coincide con
la realtà di trovarsi in balia delle «forze occulte» a cui
accennavamo.
Dalle soluzioni date a questa contraddizione nascono le
visioni del mondo o cosmologie. L'umanità è stata
attraversata da tante cosmologie sistematiche, tutte
differenti, che vanno da quelle raccontate dai Sumeri o
dalla tradizione cinese fino alla teoria del Big Bang
di Stephen Hawking.
Probabilmente c'è da attendersene sempre di nuove e di
differenti col progresso scientifico e pertanto non fa
scandalo dire che probabilmente anche il paganesimo
nordico/slavo ne avesse una sua ben ragionata…
Addirittura, in alcune cosmologie venne fuori la
necessità di stabilire un dio maggiore che creasse il mondo
dal nulla usando la sua magica parola. Tuttavia un'idea del
genere, ossia della creazione dell'universo o cosmogonia
(con conseguente fine), appartiene alla tradizione
giudaico-cristiano-islamica, ma non al mondo pagano nordico.
Se nella cosmogonia cristiana il dio massimo creò il mondo e
lo concesse poi «in affitto» all'uomo in cambio della
servitù di quest'ultimo promettendogli però di riprenderlo
nel mondo «celeste» dopo la morte, nel paganesimo il dio
«maggiore» è un demiurgo cioè un organizzatore del già
preesistente, assolutamente diverso dal dio della Bibbia e
non richiede un'elaborazione scientifico-filosofica per
giustificare la sua presenza nel pensiero dell'uomo.
Secondo Mircea Eliade, il demiurgo slavo è un dio ozioso e,
ammesso (e non concesso) che una volta abbia creato il mondo
(o meglio ordinato gli oggetti cosmici), adesso sta a
guardarlo funzionare senza alcun altro interesse diretto a intervenire, salvo che non sia chiamato. Per questo motivo
la figura del dio-creatore non l'abbiamo trovata chiaramente
delineata né nelle byliny russe né nei miti slavi e
tutto sembra suggerire che nella visione pagana slavo-russa
il mondo c'è perché c'è e basta! Ha un certo ordine fisso
che nessuno ha il diritto di distruggere né tanto meno di
disturbare! Il mondo stesso è dio!
I miti si fanno notare invece per un altro aspetto: per i
loro forti contenuti pedagogici.
La cosmologia pagana si sceglie tre compiti come mito e
come tradizione culturale:
- costruire un universo in modo scientifico;
- trasmettere la conoscenza in modo comprensibile a
tutti, e infine
- porre l'uomo nella posizione cosmologica giusta
affinché non distrugga se stesso né metta in pericolo
gli altri esseri che sono insieme a lui nell'universo.
Tutto ciò si fonda sulla concezione che il mondo è una
totalità unica (cosmologia olistica) di cui l'uomo è parte
integrante e non estraibile in assoluto. Allo stesso tempo
muoversi nel mondo deve rispondere a un comportamento ben
preciso che la cultura prescrive e insegna. Certamente la
contraddizione di non riuscire a porre l'uomo al di sopra (o
al di fuori) del mondo medesimo non viene superata dal
paganesimo e alla fine si offre la solita e scontata
soluzione degli enti speculari all'uomo che si fanno
percepire in varie maniere e che sono molto più «informati»
su come è costruito il mondo. Siano dèi o altre forze della
natura di cui l'universo è affollatissimo, questi esseri
possono guidare nei momenti d'incertezza l'uomo all'interno
dell'universo alla ricerca di soluzioni, ma non sostituirsi
a lui!
Come però spiegare la morte e la nascita, eventi in
apparenza contraddittori? Diventano meglio comprensibili, se
si guarda all'universo come un intero in cui la morte non è
un'uscita o il passaggio per un altro mondo, ma è un momento
già programmato per ritornare alla materia grezza e
rientrare nei cicli vitali (concetto genico moderno)
naturali nascendo e rinascendo. All'uomo è concesso però il
contatto esclusivo e una speciale collaborazione con gli dèi
i quali, chissà, possono decidere di farlo tornare sul
teatro della vita ancora una volta sotto forma umana
(metempsicosi) o di altro essere (incarnazione)…
Nella mitologia slava, come avremo capito, gli dèi sono
lontanissimi e non amano molto essere disturbati. Nella
prassi perciò in caso di bisogno si consiglia di rivolgersi
ai propri antenati piuttosto che direttamente agli dèi coi
quali si potrebbero creare malintesi veri e propri con
conseguenze molto pericolose, se non mortali!
L'antenato invece è un essere che appare molto più di
frequente. È il fondatore della stirpe o eponimo (čur
e raramente è una donna) o anche il semplice morto-parente (nav')
e ha tutte (o quasi) le caratteristiche di un dio minore che
raccoglie intorno a sé i discendenti, man mano che questi
muoiono, oppure li protegge (o li punisce, a secondo dei
rapporti personali prima della morte), se invece sono ancora
vivi. Sebbene sembri identificabile con la propaggine di un
supposto dio della stirpe – Rod («stirpe» in russo) – è bene
dire che un tale dio in realtà non è documentato e che i
santuari slavi maggiori dove un certo numero di villaggi
congregavano nelle celebrazioni in realtà esistevano per
venerare proprio l'eponimo comune con i riti solenni
prescritti in onore della stirpe unita.
L'eponimo ha le sue origini nella figura istituzionale
del capo della grande famiglia slava il quale anche dopo
esser passato a miglior vita idealmente ne rimane il Capo,
sebbene ora la sua funzione è nelle mani di un altro anziano
suo discendente, ma vivo. Ha il vantaggio ora che, da morto,
l'universo gli è svelato nei minimi dettagli come mai prima,
per cui da lui dobbiamo aspettarci l'insegnamento su come
costruirci una vera visione del mondo che sarà quella che
adotteremo. È l'eponimo perciò che crea nella mente dei
discendenti una Cosmologia affidabile includendovi tutte le
indicazioni etiche necessarie dell'ordine cosmologico, dello
spazio sacrale in cui si osserva la «pace» fra tutti gli
esseri. Ciò è possibile soltanto se ogni individuale
comportamento è utilizzato per mantenere saldo e rigoroso il
legame con gli dèi «coordinatori»
attraverso i riti periodici che l'eponimo ha trasmesso.
I miti slavi sulle «origini del mondo» insomma sembrano
svolgersi lungo le linee sopra dette e in ogni caso, se una
cosmologia fosse stata incompleta o fallace in qualche punto
e non aiutasse a vivere bene, sarebbe bastato appellarsi
all'eponimo al quale sta a cuore il benessere dei suoi
mentre vede con i suoi occhi scorrere la loro vita e si «oggettivizza»
da… giudice e psicopompo!
È possibile dire che il pantheon slavo fosse
imperniato sulla santificazione del fondatore della stirpe?
Probabilmente sì in quanto l'eponimo sotto forma totemica
(animale, pianta, o altro feticcio) o d'icona vera e propria
era tenuto sempre in mostra, venerato e ricordato prima che
in altri luoghi nell'angolo detto «bello» della casa
privata. Lo si rappresentava con vari simboli fallici a
simbolo della sua produttività biologica e della fortuna che
da essa discendeva. Lo si trovava dipinto o scolpito nelle
mete sui confini dei campi, negli alberi, nelle
suppellettili di casa, convitato invisibile ai pranzi, nelle
invocazioni e nelle imprecazioni…
Un compito importante per onorare gli antenati per
qualsiasi giovane della comunità era mandare a memoria tutta
la sfilza di nomi dei discendenti che lo riallacciavano
all'eponimo e, soltanto se li sapeva recitare senza errori,
era degno di far parte del gruppo!
Vediamo allora una (fra le tante) delle cosmogonie slave
scelta da A. Byčkov più raccogliticcia e sincretistica. Vi
si trovano logicamente tracce chiare di cristianesimo (la
creazione, il salvataggio nel diluvio etc.), di paganesimo
slavo occidentale (l'isola di Rügen), di paganesimo
slavo-russo (molti nomi degli dèi) e di paganesimo
ugrofinnico (il nocciolo, Corylus avellana, l'albero
sacro dei finnici Ingri), per non dire di qualche leggenda
ebraica certamente infiltratasi tramite i Chazari del Volga.
Tutti questi elementi convivono tranquillamente nel racconto
raccolto dalla voce di un referente nell'estremo nord del
paese russo (lago Onega) nel secolo scorso.
«All'inizio degli inizi nel vuoto assoluto e nella
tenebra esistette un uovo di cristallo, l'Uovo del Mondo,
all'interno del quale immerso nelle nebbie dormiva il
Demiurgo. Col passar del tempo le tenebre si dissiparono,
l'umido cadde in basso e l'aria salì in alto. Si formarono
il Grande Oceano e gli strati dell'aria. Avvenne così che il
Demiurgo si svegliò. Ovunque guardasse non c'era alcunché da
vedere. In un punto dove cadde il suo sguardo sul firmamento
brillava un punto immobile: una stella. Così si formarono le
stelle e le costellazioni. Ed ecco che nella luce tremolante
il Demiurgo vide le sue fattezze rispecchiate nello specchio
delle acque e sentendosi solo decise di rendere viva la sua
immagine. Siccome però l'immagine era specchiata nelle acque
si creò un altro dio. Se Dij [è
il nome del Demiurgo] era bello e buono, la sua immagine
risultò scura e cattiva. Se Dij
portava beatitudine e felicità, il nuovo dio portava
soltanto male, sfortuna e guai. Per questo ricevette il nome
corrispondente di Bes. Di fuori era come
Dij ossia un uomo con la testa
di toro, mentre Bes era nero.
Ed ecco che senza alcun intervento esterno crebbero fra il
celo e le acque due alberi: le Sante Querce che si tenevano
per la forza data loro dagli dèi. Dalle ghiande della
Quercia del Cielo si generarono due uccelli: due oche. Le
oche si tuffarono nelle acque del mare e raggiunsero il
fondo di fango e sabbia. Col fango le due oche incollarono
insieme rametti e foglie costruendosi un nido che fu la
terra. Anche Bes si tuffò nel
mare, raccolse del fango sotto le gambe e se ne riempì la
bocca e tornato in superficie risputò il tutto sulla Terra
che stava crescendo. Ecco come si formarono le montagne e le
rocce. Dij s'adirò per quello
che Bes aveva fatto disturbando
la costruzione del nido delle oche e strappata una delle
querce sacre, se ne fece una clava con la quale punì Bjes e
lo ricaccio nelle viscere della terra. Per questo da allora
è rimasto solo una quercia sacra, mentre
Bes per sempre rimane
sottoterra. A volte ne viene fuori quando
Dij è occupato e fa male alla
gente con tutta la sua potenza sempre però nei limiti delle
giurisdizioni degli altri dèi. La terra intanto galleggiava
sulle acque dell'oceano e per non farla affondare,
Dij creò un dragone con tre
teste che si attorcigliò intorno al monte Triglav, «tre-teste»,
che si trova sull'isola di Rujan [Rügen] poiché a quei tempi
tutta la Terra consisteva proprio in questa unica isola.
Così attorcigliato il dragone manteneva la terra sull'acqua.
Intanto Dij con la clava
cominciò a forare la quercia sacra rimasta tanto da metterla
incinta e da farle generare la Folgore. Questa colpì la
Terra e si generò il primo fuoco e dai carboni ne nacquero i
primi due uomini: Muž e
Žena [in russo «uomo» e
«donna», oppure «marito» e «moglie»]. Tutto era buio e
Dij estrasse di qui il Sole i
cui raggi illuminarono la terra e questa si svegliò e
cominciò a generare. Si meravigliarono gli uomini di quanto
accadeva e cercarono di impadronirsi della luce: chi con i
secchi e chi con la sporta per portarsi la luce nelle loro
case allora senza finestre. Da allora tutti credono che il
Sole è un dio che porta fortuna e benessere.»
La cosmogonia poi continua raccontando di come i primi
uomini erano sempre in lite l'uno contro l'altro per la
supremazia per cui Dij
crucciato decise di punirli. Mandò sulla terra
Vodan, dio del mare, e
Vij, dio dell'uragano, che
provocarono il Diluvio e che sommerse tutta la terra salvo
il monte Triglav e la sua isola [Rügen]. Soltanto coloro che
riuscirono a guadagnare le rive di quest'isola si salvarono.
Si dice che Dij guardò quanto
restava della sua opera mentre sgranocchiava delle nocciole, frutto sacro per i finnici Ingri, e che una buccia cadde
proprio sull'isola e in questa si salvarono uomini e
animali. Bes vide ciò e
pensando che la volontà di Dij
era di distruggere ancora, si tuffò sotto la buccia e vi
fece un foro affinché affondasse col carico, ma il dragone
Zmej con la sua testa fece da
tappo e la buccia coi suoi passeggeri non affondò. Da quel
tempo, secondo il mito, Dij non
s'interessò più del mondo e dei suoi abitanti affidando il
tutto agli altri dèi (sempre sue creature) e all'uomo. A
segno del suo disinteresse fece risplendere nel cielo
l'arcobaleno. Tuttavia, una volta all'anno
Dij ritorna sulla Terra a
vedere come vanno le cose, sotto forma di cuculo e… chi
riesce a riconoscerlo gli può chiedere quanti anni gli
restano da vivere. In seguito, dal sangue di una delle teste
del dragone nacque il dio del bene
Belbog (da tradurre apparentemente con «dio bianco»
dove in realtà si nasconde il comunissimo dio
Belenos/Veles), dal sangue della seconda, Černobog
(dio nero, che sembra inventato secondo il dualismo
introdotto dal cristianesimo) e, infine, dal sangue della
terza testa, Chambog, cioè il dio
della giustizia. Dij aveva una
consorte a nome Boginija o
Božinija (un femminile del
termine generale bog, il russo per «dio») alla quale
ci si poteva rivolgere per chiedere l'intervento di
Dij e che nei santuari a lei
dedicati aveva la figura di una donna nuda con la testa di
vacca.
Val la pena riportare qui ancora un'altra cosmogonia
slavo-russa (raccolta da V.V. Adamčik) per un confronto con
la precedente.
Il dio creatore stavolta è Rod,
il dio slavo della stirpe, rappresentato di solito da un
fallo di legno infisso nel terreno con viso umano e col
glande a forma di berretto. Questo dio, nato da un uovo
d'oro, creò con le sue mani la sposa
Lada con la quale poi generò tutte le stelle del
firmamento. Il sole venne fuori dal viso del dio, la luna
dal petto, le stelle dagli occhi, il chiaro dalle
sopracciglia e la notte dal suo pensiero, il vento
naturalmente dal suo fiato (si noti che è il dio a generare
e non la sua sposa!). Divise l'universo in mondo dei vivi o
Jav' e mondo dei morti o
Nav'. Pose il tutto su ben
dodici colonne di legno di quercia e lo circondò con il mare
Oceano dalla cui spuma fu generato
Černobog. Creò anche la vacca cosmica
Zemun dal cui latte si formò la
Via Lattea. Con la pietra Alatyr' e il latte di
Zemun fece una specie di burro
che galleggiando sul mare costituisce oggi la Madre Umida
Terra con tutti gli esseri che vivono e muoiono su essa. Il
mito continua con molti altri personaggi divini (Svarog,
Svjatogor,
Mater'-Sva etc.) ed è
importante notare le molte parti in comune con la cosmogonia
bulgara forse perché probabilmente risale alla famosa eresia
bogomila del X Sec. che in occidente dette poi origine ai
Catari.
I miti della creazione d'altro canto non sono stati
inventati per fare spettacolo o divertire né sono favole per
affascinare o un modo per passare, bimbi o stolti, dalla
realtà alla superrealtà favolosa, ma sono un'espressione
chiara dello sforzo pedagogico della comunità per
trasmettere la conoscenza dell'universo attraverso la
propria particolare tradizione. Raccontare la creazione è
intrecciare il vero legame ideologico di base con la
sapienza antica accumulata da secoli di osservazione degli
eventi naturali, degli astri e degli esseri viventi ed è per
questi suoi contenuti un galateo di comportamento
universale! Addirittura nelle storie sopraddette si
verificano eventi tanto complicati che non si ripeteranno
più né per il bene dell'uomo né per il suo male!
Ripetiamo allora che vivere è stare insieme nella
comunità e accettarne le regole. Questo è il ruolo ideale e
superiore ispirato dall'eponimo. Nella grande famiglia c'è
l'intero nostro mondo perché qui viviamo e agiamo in stretta
relazione con gli altri. Ecco qual è la nostra intima
armonia. Non solo! Ai suoi tempi in vita l'antenato su
queste idee aveva dato ai figli tutti i tratti di un
progetto futuro concreto di benessere e di beatitudine
sfruttando i beni della natura. Il progetto andava svolto e
portato avanti da tutti e in questo si costituiva il ruolo
speciale affidato a ogni membro insieme alla responsabilità
che ogni membro aveva verso la stirpe che ne era coinvolta.
La missione è certamente irta d'ostacoli, ma la solidarietà,
l'obbedienza al più esperto, l'abnegazione sono le virtù
necessarie. E qui troviamo un'eccezionalità slava rispetto
al paganesimo classico greco-romano: L'eponimo negli
strumenti e nei suggerimenti di come sfruttare la natura non
appare come inventore delle piante agricole o di come
accendere il fuoco o come il maestro che insegna le arti o
indica come addomesticare gli animali selvaggi! Queste sono
cose che gli dèi offrono direttamente all'uomo e che l'uomo
deve sapere riconoscere e usarne da sé, senza intermediari.
Non c'è naturalmente posto per dissentire da queste linee
di condotta. Anzi! Guai a chiunque osi ribellarsi a un tale
ordine delle cose! Subirà la pena del bando dal seno della
comunità che nel mondo slavo medievale equivaleva alla morte
e, tanto per fare un confronto con l'ambiente
cristiano-giudaico che penetrò intimamente il Paganesimo
slavo, la paura per questa terribile misura giuridica è ben
rispecchiata nelle parole, benché molto più antiche, dette
nella Bibbia quando
Caino, messo al bando per l'omicidio di suo fratello, dice:
«…la mia punizione è più grande di quanto io possa
sopportare. Vedi, oggi mi hai mandato via dalla faccia della
terra e mi nasconderò dalla tua faccia. E sarò fuggitivo e
vagabondo sulla terra e accadrà che chiunque mi trovi, mi
ucciderà» (Genesi [IV: 13-14).
La sorte di Caino è menzionata spesso nel folclore
popolare slavo…
Evitando allora eccessi del genere, quando ci sono le
festività del Rod è fatto
obbligo di ritrovarsi insieme e si celebra il rito
importantissimo della riconoscibilità fra membri della
stessa stirpe. Ci s'incontra e ci si augura a vicenda di
star bene e di aver tanta fortuna, mentre si celebra il
pir o banchetto sacro. Sebbene tutto questo in verità è
un velato richiamo alla parte assegnataci di cui parlavamo
sopra, serve comunque a rinsaldare i legami di parentela.
Anzi! Pur abitando in posti lontani e diversi, al ritrovarsi
insieme ognuno, dopo aver riconosciuto l'altro (può essere
un nuovo arrivato), gli lascia occupare il posto che gli
compete nella gerarchia tradizionale a meno che non gliene
venga assegnato uno nuovo, se la sua età e le sue imprese lo
ammettono... nella propria casa! È l'antico patto della
stirpe che si riflette nel rito del pane-e-sale, tanto caro
agli Slavi.
Premesso quanto sopra, la stirpe deve continuare a esistere «integra e pura». Attenzione! Non c'è alcun
concetto razzistico in queste affermazioni che troviamo
nelle byliny e nei proverbi. La questione è un'altra
in quanto ci si riferisce piuttosto alle tradizioni da
conservare e non ai tratti fisici o alle relazioni
interpersonali. Ciò corrisponde pure a quanto testimoni (non
slavi) affermavano con meraviglia che la società slava
(medievale e tardo-medievale) accoglieva chiunque nel suo
seno purché questo/questa accettasse l'unico obbligo di
essere «iniziato» alla cultura tradizionale.
In conclusione riassumiamo che con la stirpe unita il
destino di ciascuno è già assegnato: È la sua sorte [dolja]
che ognuno riceve dalle forze divine creatrici nel corpo
della madre quando per lui s'accende una stella nel
firmamento che rimarrà luminosa per tutto il periodo di vita
[rok] definito affinché compia la propria parte.
Rimane un'ultima questione importante nella cosmologia
pagana: Il mondo avrà una fine?
Per il Cristianesimo (ma, come abbiamo detto, pure per il
Giudaismo e per l'Islām)
è sicuro che un giorno tutto quanto è intorno a noi perirà e
addirittura intorno all'anno 1000 scoppiò la psicosi della
fine ormai imminente… per i Cattolici! Al contrario, gli Ortodossi, che contavano gli anni a partire dalla Creazione
del Mondo, 5508 anni prima della nascita di Cristo – come era stata fissata nel Concilio di Nicea
–, e non avevano accettato
la riforma di Dionigi il Piccolo, ridicolizzarono gli
allarmismi cattolici. La fine era ancora lontana. Sarebbe
arrivata eventualmente nel 1492, ossia nel 7000 dopo la
Creazione del Mondo. Su queste paure intorno all'anno 1000
abbiamo due tipi di spinta cristiana ad abbracciare la vera
fede: una da parte romana e un'altra da parte costantinopolitana, ma, salvo la particolare circostanza e
le posizioni assurde nell'evangelizzazione del nord Europa,
che caddero non appena la fine del mondo non ebbe luogo,
questi argomenti per il paganesimo restarono comunque senza
senso.
Nella concezione pagana della ciclicità dei processi
naturali in conclusione una fine non era insita nel sistema
di funzionamento del mondo, ma dipendeva soltanto dalla
volontà degli dèi e dal peso delle preghiere degli uomini
che con le loro offerte ogni volta la rimandavano a data da
destinarsi. |