MITI

BALTOFINNI
Finlandesi

MITI GERMANICI
ILMATAR
La figlia dell'aria
Il Kalevala, poema della magia e della parola creatrice, si apre con lo splendido racconto della nascita del mondo. Una cosmogonia al femminile, ricca di simboli, dolce e poetica.
1 - ILMATAR, LA FIGLIA DELL'ARIA

Ilmatar ( 1860)
Robert Wilhelm Ekman (1808-1873), dipinto.
MUSEO: [Ekman. Dipingere il Kalevala]►

ll'inizio del tempo, negli ampi recinti dell'aria, sotto la volta di un cielo infinito, si muoveva una eterea e leggiadra fanciulla.

Ella era Ilmatar, la Figlia dell'Aria, così chiamata perché aveva preso vita spontaneamente nell'elemento aereo. Altri la chiamano tuttavia Luonnotar, la Figlia della Natura, forse perché la sua essenza si confondeva con gli elementi di cui era parte.

Ilmatar era sola. Completamente sola. Nessuno si accompagnava a lei. Per lungo tempo, ella rimase vergine, galleggiando nell'aria limpida. Finché Ilmatar si annoiò di questa vita e discese lentamente verso il basso, calandosi sulle onde di un mare infinito. A quel punto soffiò un vento di tempesta, le onde si levarono e Ilmatar fu spinta tra i flutti e la spuma marina.

Il vento la fecondò, il mare la ingravidò. E fu così che Ilmatar, il figlia dell'aria, concepì un figlio.

2 - LA GRAVIDANZA DI ILMATAR

u lunga e penosa la gravidanza di Ilmatar. Per settecento anni, per nove vite di eroi, ella portò quel peso nel grembo, senza che riuscisse ad alleviarsene. Divenuta ormai la madre delle acque, Ilmatar nuotò, col ventre gonfio, in tutte le direzioni. Verso oriente ed occidente, da settentrione a meridione, giungendo fino ai confini del cielo.

Ilmatar ( 2000?)
Mirainaali, illustrazione

Le doglie la angosciavano oltre ogni dire, ma ella non riusciva a dare alla luce la creatura che portava in seno. Cominciò allora a piangere ed a disperarsi, dicendo:

— Ahi, povera me! È per questo sono discesa dal cielo? Perché il vento mi cullasse e fossi trascinata via dalle onde sterminate del mare? Sarebbe stato meglio vivere nell'aria, pura e vergine, piuttosto che vagare quaggiù, tra le onde imberrettate di spuma, come madre delle acque. Qui fa così freddo e la vita è così penosa...

“Oh tu, Ukko, dio supremo, reggitore del cielo! Ascoltami, ti invoco! Solleva questa fanciulla dai tormenti delle sue doglie! Ti scongiuro soccorrimi!

3 - LA FOLAGA

omparve allora tra le nubi un uccello. Alcuni dicono fosse un'anatra, altri un gabbiano. Era forse una folaga, una folaga che volava al di sopra delle onde, cercando dove fermarsi.

A lungo il povero uccello aveva volato da sud a nord, da est a ovest, ma non aveva trovato un solo posto dove potersi posare e riposarsi dal suo volo. Dovunque si stendeva il mare. E la folaga continuava a volare, cercando un luogo solido su cui fare il nido e deporre le uova. Ma non v'era altro che le onde.

Allora Ilmatar, la madre delle acque, sollevò la sua gamba dai flutti. La folaga vide il ginocchio che la fanciulla gli porgeva e, credendo si trattasse di un monticello, si librò sopra di esso con un volo lento e lentamente vi si posò.

4 - NASCITA DEL CIELO E DELLA TERRA

Ilmatar ja Sotka ( 1946)
Aarre Aaltonen (1889-1980), scultura (particolare).

ul ginocchio di Ilmatar, la folaga fece il suo nido e, dopo aver deposto sei uova d'oro e un uovo di ferro, cominciò a covare.

Per tre giorni la folaga covò le sue uova e Ilmatar sentì presto un gran calore irradiarsi dal ginocchio giù lungo la sua gamba, sì che presto ebbe l'impressione che le vene stessero bruciando. Così ella scosse forte il ginocchio. Il nido si rovesciò, le uova rotolarono nell'acqua e subito andarono in frantumi, rompendosi in una miriade di pezzettini...

Ma quei frantumi non si persero tra l'acqua e il fango. Presero d'un tratto una nuova forma. La metà inferiore del guscio divenne la terra, la metà superiore la volta del cielo e il firmamento. Il giallo tuorlo divenne il sole, il bianco dell'uovo la luna splendente. Quel che c'era di screziato dentro l'uovo si sparse all'intorno creando le stelle. Infine, la parte scura dell'uovo si stese formando le dense nubi dell'aria.

Così nacquero il cielo e la terra, il sole e la luna, le stelle e le nubi. Così ebbe inizio l'universo.

5 - ILMATAR CREA IL MONDO

Fotografia del lago Saimaal tempo continuò a scorrere e gli anni si succedettero l'uno dopo l'altro. Il nuovo sole brillava in cielo, la luna neonata splendeva nella notte. E Ilmatar nuotava errando tra le onde sovrastate dalla foschia. Dinanzi non aveva che acqua limpida, dietro il cielo chiaro.

Nove anni trascorsero così. Giunta che fu la decima estate, Ilmatar sollevò la testa dal mare, alzò il capo sopra le onde. E d'un tratto cominciò la sua opera creatrice. Dove stendeva la mano, sorgevano i promontori; dove premeva i piedi, creava i fondali marini; dove si tuffava si scavavano, i profondi abissi. I suoi gesti evocavano dal nulla la terra, con le sue sponde e i suoi golfi, le sue scogliere e le sue isole. La terra si distese dovunque, i campi fiorirono magie, le pietre sorsero come dipinte e si formarono i solchi delle rupi.

Così Ilmatar creò la terra.

Solo, non ancora era nato, l'eterno cantore Väinämöinen.

Fonti

1-5

Elias Lönnrot: Kalevala [I: 103-280]

I - ANALISI GENERALE DEL MITO COSMOGONICO CONTENUTO NEL PRIMO RUNO DEL KALEVALA

Ilmatar ( 1913/1916)
Joseph Alanen (1885-1920), dipinto.
MUSEO: [Alanen. Arte e Kalevala]►

È difficile dare una valutazione del Kalevala come fonte mitica. Il grande poema finnico è essenzialmente una costruzione letteraria ottocentesca compiuta da Elias Lönnrot a partire da materiale popolare che i suoi interpreti avevano ormai cessato di comprendere da tempo. Come Lönnrot si premurò di informarci, egli aveva messo insieme questi canti secondo il suo criterio, scegliendo le versioni che più si adattavano a costruire un epos unitario e coerente. Detto questo, in questo libro disordinato e fantasioso che è il Kalevala, si trovano incastonati elementi di un'antichità portentosa, forse risalenti – ma non è facile datarli – a qualche remota preistoria.

L'analisi di questi miti è tuttavia molto difficile e dovrà procedere quasi unicamente per via analogica. Poiché la trama generale del Kalevala è stata costruita a tavolino dal Lönnrot, ci impedisce di confrontare la struttura con quella di altri miti. È tuttavia probabile che gli episodi minori, presi come elementi a sé stanti, abbiano un autentico valore mitico e possano essere utilizzati con un profitto. Avendo tuttavia cura di isolarli correttamente dal resto della narrazione.

Dunque come considerare il racconto di Ilmatar e della folaga che le depose le uova sul ginocchio? Quanto vi è di autenticamente originale in questo straordinario racconto della creazione? Possiamo tentare di separare i diversi motivi presenti nel mito cosmogonico narrato nel primo runo del Kalevala. Ad un'analisi superficiale, già si scorgono mescolati due motivi principali:

  • Il motivo della dea primordiale che scende dal cielo e, non trovando che un'infinita distesa d'acqua, crea la terraferma.

  • Il motivo dell'uccello che arriva volando al di sopra delle acque cosmiche e, non trovando un luogo dove posarsi, dà l'avvio alla creazione.

Troviamo, fusi a questi due miti principali, due altri motivi, qui utilizzati accessoriamente: uno è il motivo del vento che mette incinta la vergine Ilmatar; il secondo è quello dell'uovo cosmico dai cui frantumi nascono il cielo e la terra. Cercheremo ora di analizzare separatamente questi motivi mitici, di capirne le possibili origini e di vedere come siano in relazione gli uni con gli altri.

II - LA DISCESA DI ILMATAR

La figura – eterea, evanescente, bellissima – di Ilmatar è già fonte di perplessità per il mitografo, in quanto il mito cosmogonico finnico, riportato dal Kalevala, sembra non avere analogie con altri miti europei. I due nomi con i quali la dea è conosciuta, Ilmatar e Luonnotar, sono entrambi dei patronimici in -tar, come molti altri di cui è ricco il Kalevala. Il loro significato è trasparente: «figlia dell'aria» e «figlia della natura», essendo ilma e luonto rispettivamente le parole finlandesi per «aria» e «natura». I due nomi non indicano tuttavia una filiazione (quindi inutile andare a cercare un dio *Ilma), quanto piuttosto un'appartenenza. Questo ci permette di meglio definire il carattere di Ilmatar a partire da questi due elementi, che in qualche modo ne definiscono l'essenza.

Quale «figlia dell'aria», Ilmatar è la prima personificazione che sorge dal caos primordiale, in cui l'aria non è tanto vista come semplice elemento, quanto come una sorta di definizione naturalistica del caos. Non sarà inutile ricordare le speculazioni dei filosofi presocratici che vedevano nell'aria o nell'acqua il primordiale arché di tutte le cose. Forse è anche possibile definire in questi termini l'espressione «figlia della natura» [Luonnotar] (si veda la funzione della natura nella creazione dal caos narrata da Ovidio in Metamorfosi [I: 5-20]), in quanto ella fu la prima delle forme esistenti ad essersi districata dal fondo caotico, scoprendosi d'un tratto come entità separata e distinta, assumendo così una propria forma e identità. ①

È interessante notare che il mito cosmogonico del Kalevala non inizia descrivendo lo stadio caotico, aereo, sottile, che precede la nascita di Ilmatar, ma prende l'avvio da Ilmatar stessa, dal suo essersi già definita come entità. Con queste parole, chiuso il proemio, prende l'avvio il mito cosmogonico:

Olipa impi, ilman tyttö,
kave luonnotar korea.
Piti viikoista pyhyyttä,
iän kaiken impeyttä
ilman pitkillä pihoilla,
tasaisilla tanterilla.
Kave, la figlia dell'aria
Luonnotar, vergin leggiadra,
lungo tempo visse pura,
casta sempre si mantenne,
nei recinti ampi dell'aria
nella volta solitaria.
Kalevala [I: 115-122]

Questo procedimento è tipico del linguaggio mitologico. Lo troviamo ad esempio in Esiodo (Teogonia [116]), in cui Cháos viene chiamato con questo nome soltanto quando si verifica la nascita spontanea di Gaîa, Tártaros ed Éros. In Esiodo, come nel Kalevala, il caos primordiale non è qualcosa da spiegare, è una situazione su cui non è possibile dare dettagli e di cui, anzi, si ha percezione soltanto quando l'immobilità viene spezzata dalla rottura operata dalla prima nascita. Così il mito cosmogonico del Kalevala inizia giustamente con Ilmatar già presente, entità personale e individuale, «nei recinti ampi dell'aria», «nella volta solitaria». Il poema afferma che da «lungo tempo» essa galleggiava in questo mondo sospeso. Quanto tempo non è detto, ma non ha importanza. Il tempo è definito dal movimento e dal cambiamento. E l'unico avvenimento che si fosse operato nella coscienza di Ilmatar era stato, paradossalmente, lo stesso sorgere di quella coscienza.

Finché Ilmatar era confusa con l'aria circostante, ella non aveva alcuna percezione di sé, riposava in una specie di torpida incoscienza in cui il tempo e lo spazio non avevano alcuna importanza. Ma nel momento in cui Ilmatar non è più semplicemente «aria» ma «figlia dell'aria», non è più «natura» ma «figlia della natura», ha una sua identità, una coscienza separata, e scopre di essere sola in un abisso vacuo e rarefatto che non può offrirle né compagnia né comunicazione. Ella si accorge, man mano che prende coscienza di sé, della sua spaventosa solitudine. Ilmatar è vergine nel senso più assoluto e totale del termine:

Ikävystyi aikojansa,
ouostui elämätänsä,
aina yksin ollessansa,
impenä eläessänsä
ilman pitkillä pihoilla,
avaroilla autioilla.
De' suoi giorni sentì noia,
sazietà della sua vita,
di star sempre sola sola
e di viver verginella
nei recinti ampi dell'aria
nella volta solitaria.
Kalevala [I: 117-122]

A questo punto Ilmatar si lascia calare in basso e scendendo dalla volta solitaria dell'aria e del cielo, si abbassa sulle acque di un oceano infinito. Anche qui ci muoviamo in un ordine di idee che il mitografo conosce bene. Il caos in configurazione acquea è presente in molte tradizioni: lo ritroviamo in Mesopotamia e in Egitto, nel mito omerico della creazione e nella Bibbia ② (si confronti Genesi [I: 2], «...e lo spirito di Dio aleggiava sopra le acque», con la scena in cui Ilmatar cala fluttuando sulla superficie del mare). In questo contesto, il caos acqueo deriva però, come vedremo tra poco, dal fondo comune della mitologia uralica e altaica.

Jop' on astuiksen alemma,
laskeusi lainehille,
meren selvälle selälle,
ulapalle aukealle.
E dal ciel discese in basso,
si calò fin sopra l'onde,
sopra il mar dal chiaro dorso,
sull'aperta superficie...
Kalevala [I: 123-126]

Il mito di Ilmatar è essenzialmente un mito di scoperta, di conoscenza, di realizzazione. Che principia, per Ilmatar, dalla presa di coscienza di sé stessa, per poi estendersi a tutto il mondo circostante.  Se per «lungo tempo» l'esperienza di Ilmatar era limitata a un'informe distesa aerea, in cui nulla era distinguibile da null'altro, ecco che d'un tratto, nel suo discendere, si definisce un secondo elemento, l'elemento liquido. La prima cosa che distinguiamo sono le onde: solo nel verso successivo si chiarisce che quelle onde appartengono al mare. Vi è, nelle parole del poema, un passaggio dal particolare all'universale, come se il nuovo elemento liquido fosse stato definito a partire da una sorta di intuizione creativa. La presa di coscienza di Ilmatar diventa in qualche modo creazione: il mare comincia ad esistere nel momento stesso in cui Ilmatar lo distingue dalla confusione caotica dell'aria.

Quanto affermiamo non è soltanto una nostra interpretazione delle espressioni formali del Kalevala, in quanto il loro senso è chiarito dall'omologia con altri miti. Ad esempio, nel mito cosmogonico egiziano, presente nei Testi delle piramidi, troviamo una creazione che procede ugualmente per presa di coscienza, distinzione e processo dialettico. Qui l'immobilità primordiale è spezzata dalla nascita del dio-sole Atum il quale, nel riconoscersi quale entità personale e individuale, opera il passaggio alla dualità. Subito dopo Atum si guarda intorno e scopre sé stesso distinto da una sorta di increato mare primordiale, che a questo punto – ma solo a questo punto – verrà chiamato nûn. Atum stesso aveva fatto parte del nûn fino a pochi istanti prima, eppure, paradossalmente, il nûn non esiste davvero prima che Atum non ne prenda coscienza dall'esterno.

Anche se la corrispondenza col mito egiziano non è perfetta, è evidente che nel mito finnico avviene qualcosa di simile. La primordiale volta d'aria da cui Ilmatar è scaturita altri non è che l'equivalente di quello che nei Testi delle piramidi era il fondo caotico primordiale prima dell'irrompere della dualità (e che solo in seguito sarà chiamato nûn). Il mare in cui Ilmatar scende, è il nûn definito dopo la presa di coscienza da parte del soggetto. E Ilmatar è il soggetto cosciente, colei il cui processo di coscienza diventa, in questo modo, processo creativo.

La «figlia dell'aria» è diventata ora la «madre delle acque». Il termine è forse giustificato dal fatto che il testo ci dice che il vento e l'acqua fecondano la vergine Ilmatar, alla quale si ingrossa il ventre ma senza che ella riesca a dare alla luce il figlio. Questo motivo sembra estraneo alla linea principale del mito cosmogonico e lo esamineremo separatamente. Sofferente per le doglie, Ilmatar rimane per un tempo lunghissimo a galleggiare senza mèta sulla superficie di questo mare infinito, sballottata dalle onde, affranta dal freddo e dalla fatica. Tanto che ad un certo punto ella si chiede se non avesse fatto meglio a rimanere nell'aria (Kalevala [I: 161-168]).

Il passaggio dall'aria all'acqua è comunque un passaggio dall'elemento aeriforme a quello liquido, un primo passo compiuto nella progressione del processo creativo. Il passo successivo, il passaggio dall'elemento liquido a quello solido, per cui dall'infinito abisso del mare sorgerà finalmente la terraferma, Ilmatar lo avvia volontariamente, in base ad una decisione improvvisa (Kalevala [I: 255-262]).

Ma anche qui, Ilmatar non crea terra e isole, rosse e alberi; almeno non nel senso a cui ci ha abituato la speculazione biblica. È evidente che non vi è un progetto alla base dell'opera creatrice di Ilmatar ma, ancora una volta, una sorta di presa di coscienza. Il processo è teleologico: Ilmatar si limita a dare al mondo la forma che esso, in qualche modo, già possedeva in potentia (in quanto, si potrebbe anche dire, compresa nell'esperienza di coloro che crearono il mito). Prima di allora il mondo era evidentemente celato nell'indistinto abisso acqueo del caos primordiale: Ilmatar si limita a liberarlo tracciandone i contorni e le forme con i movimenti del suo corpo:

Kussa kättä käännähytti,
siihen niemet siivoeli;
kussa pohjasi jalalla,
kalahauat kaivaeli;
kussa ilman kuplistihe,
siihen syöverit syventi.
Dove la mano stendeva,
facea sorger promontori;
dove il piede suo premeva,
ecco buche per i pesci;
si tuffava, e più profondi
si scavavano gli abissi.
Kylin maahan kääntelihe:
siihen sai sileät rannat;
jaloin maahan kääntelihe:
siihen loi lohiapajat;
pä'in päätyi maata vasten:
siihen laitteli lahelmat.
Se volgeva il fianco a terra,
si stendevano le sponde;
se voltava a terra il piede,
ecco fosse da salmoni;
se piegava il capo a terra,
s'allargavan tosto i golfi.
Ui siitä ulomma maasta,
seisattelihe selälle:
luopi luotoja merehen,
kasvatti salakaria
laivan laskemasijaksi,
merimiesten pään menoksi.
Nuotò poi più là da terra,
si sdraiò del mar sul dorso,
d'isolette sparse il mare,
vi creò scogli nascosti
dove la nave sprofonda,
dove muore il marinaro.
Kalevala [I: 263-280]

Questo è un punto molto particolare. Ricordiamo che il Kalevala è il poema in cui viene esaltato il potere della parola creatrice: in molte occasioni, i maghi-eroi del Kalevala, primo tra tutti Väinämöinen, ci mostrano come sia possibile creare, evocare e trasformare cose e persone semplicemente cantandole. È una delle caratteristiche più significative del grande poema finnico, in relazione agli epoi degli altri popoli europei, dove si privilegiano invece la forza e il valore guerrieri. Eppure, Ilmatar non crea il mondo cantandolo, bensì lo evoca e lo plasma tramite gesti ed azioni. Fa sorgere i promontori stendendo la mano, crea i fondali oceanici tuffandosi negli abissi, crea le rive, gli estuari ed i golfi, con movimenti dei fianchi, dei piedi e del capo.

Ci si può chiedere perché Ilmatar non evochi il mondo cantandolo, bensì evocandolo e plasmandolo. Perché la sua volontà venga applicata tramite l'azione e non – come sembrerebbe più logico al lettore del Kalevala – tramite la parola. Difficile da dirsi: forse Ilmatar, essendo sempre vissuta sola tra il cielo e il mare, non possedeva le parole necessarie per definire le cose. Sia che ella dia una forma al mondo sia che, come sosteniamo, la crei nel momento in cui ne prende coscienza, è comunque la parola a individualizzare e definire le singole cose. I maghi e gli stregoni del Kalevala sono in grado di dominare le persone e le cose perché ne conoscono il nome e l'origine (ad esempio Väinämöinen deve cantare l'origine del ferro per poter guarire la ferita di una spada).  Ma non avendo le parole necessarie per dominare le cose, Ilmatar deve sostituirle con i gesti e le azioni: deve toccare con mano, come un bambino che prenda per la prima volta coscienza del mondo. In un certo senso, Ilmatar deve diventare il mondo, in una sorta di identificazione che le parole stesse del testo contribuiscono ad accentuare, associando mani, piedi, fianchi, testa, ai vari elementi del paesaggio: promontori, fondali marini, coste, golfi.

Il mito di Ilmatar è stabilisce dunque una progressione dal cháos al kósmos attraverso alcuni livelli di progressiva condensazione degli elementi, dapprima liberi e sottili, poi pian piano sempre più definiti e ordinati. Il testo del Kalevala passa abilmente da una situazione primordiale fatta soltanto d'aria, una sorta di foschia leggerissima che tutto pervade e nel quale nulla sia distinguibile, ad un fluttuare di onde si riveleranno essere le creste di un mare infinito, e da questo mare, alla creazione della terraferma, i cui primi elementi a comparire – e non è un caso – sono proprio quelli di transizione tra l'acqua e la terra: coste, estuari, golfi, isole, come se l'elemento solido si formi attraverso una condensazione di quello liquido, e solo poi si parlerà di pietre, rupi e solchi.

 Secondo il linguaggio simbolico del mito, il passaggio dall'aereo al liquido, e dal liquido al solido, non va inteso come un semplice mutamento di nello stato di aggregazione della materia ma, soprattutto, come progressione metafisica: è il passaggio dal sottile al grossolano, dallo spirito alla materia, dalla potenza all'atto. Non si tratta dunque – come potrebbe parere alla nostra mentalità – di una «costruzione» progressiva degli elementi del mondo, bensì di una meditata e profonda interrogazione sulla natura della realtà, sulla relazione tra realtà concettuale e materiale.

Robert Graves, ne I miti greci, cita un mito pelasgico che sembra riecheggiare la cosmogonia del Kalevala. La dea Eurinómē che compare nel caos e danza nuda sulle onde del mare, per poi essere fecondata dal vento, ricorda fin dal nome (Eurinómē vuol dire «vagante in ampi spazi») l'Ilmatar finnica. Il guaio è che questo presunto «mito pelasgico» è, né più né meno, un'invenzione di Graves. L'autore lo ha costruito a tavolino partendo dalle cosmogonie orfiche citate da Ferecide di Samo ed Apollonio Rodio. In realtà non vi sono indicazioni che possano permetterci di ricondurre il mito di Ilmatar all'antica sapienza preellenica.
 
Lo scrittore J.R.R. Tolkien fu un grande estimatore del Kalevala, al punto di creare una delle sue lingue elfiche proprio a partire della fonetica finlandese. Il racconto cosmogonico con cui apre il Silmarillion è, nello spirito, profondamente finnico; non solo esempio è evidente che il tolkieniano Ilúvatar riecheggia nel nome l'Ilmatar finlandese. La creazione del mondo a partire dal canto degli Ainur è infatti un'idea prelevata di peso dal Kalevala, in cui gli stregoni creano o trasformano le cose  cantandole. Tuttavia nel Kalevala, questa idea non viene riferita al motivo della creazione.

III - L'UCCELLO CREATORE

All'interno del mito cosmogonico di Ilmatar (Kalevala [I: 103-280]) è incastonato un secondo mito della creazione, secondo cui l'universo sarebbe invece venuto dai frantumi dall'uovo deposto da una folaga o da un'anatra che volava al di sopra delle acque (Kalevala [I: 177-244]). Nel racconto del Kalevala, la folaga si sarebbe posata sul ginocchio di Ilmatar e lì avrebbe costruito il suo nido e deposto sette uova che, rompendosi, si trasformano nel cielo e nella terra, nel sole e nella luna, nelle nuvole e nelle stelle. L'impressione – probabilmente corretta – è che il motivo di Ilmatar e quello dell'uccello siano due miti diversi finiti col sovrapporsi nel racconto del Kalevala. Difficile dire se la fusione sia stata operata dal Lönnrot o se  fosse già presente nei canti da lui raccolti, tuttavia è preferibile considerare i due racconti separatamente.

Kului aikoa vähäisen,
pirahteli pikkaraisen.
Tuli sotka, suora lintu;
lenteä lekuttelevi
etsien pesän sijoa,
asuinmaata arvaellen.
Poco tempo era passato,
un momento sol trascorso;
volò dritta un'anatrella,
una folaga leggiadra:
e cercava un posto al nido
ed un posto ove fermarsi.
Lenti iät, lenti lännet,
lenti luotehet, etelät.
Ei löyä tiloa tuota,
paikkoa pahintakana,
kuhun laatisi pesänsä,
ottaisi olosijansa.
Volò a oriente, ad occidente,
a maestrale, a mezzogiorno:
non trovò luogo nessuno;
non un posto dei peggiori
dove il nido fabbricare,
dove un poco riposare.
Kalevala [I: 177-188]

Diciamo subito che la creazione della terra da una distesa infinita di acque è un mitologema diffuso in tutta la fascia euroasiatico-settentrionale. Su questa base troviamo una serie di modelli di creazione, di cui il più diffuso – e recente – è quello che prevede l'azione di due princìpi contrapposti, generalmente definiti come «dio» e il «diavolo», in conflitto con loro nella maggior parte di casi, altre volte cooperanti.

Ad esempio, nella leggenda degli Jacuti, Ürüŋ Ay Toyon, il «Bianco signore creatore», mentre avanza sopra le acque, vede emergerne una bolla, le chiede chi sia e, dalla risposta, apprende che essa è il diavolo, dimorante nella terra già esistente ma sommersa negli abissi. Dio sfida il diavolo a dimostrargli la verità di quanto afferma e lo invita a immergersi ed a portargli un poco della terra. Il diavolo risale con un po' di fango in bocca. Dio prende quel fango, lo assottiglia e lo pone sulle acque, creando così la terraferma. Il diavolo tenta allora di distruggere l'opera del creatore tirando la terra per farla sempre più sottile e provocare l'annegamento di Dio. Ma la terra diventa sempre più solida e copre una buona parte della superficie del mare.

Si tratta di un tema mitico che, arricchito di molti motivi locali e di caratterizzazioni autoctone, si ritrova diffuso tra molti popoli della Siberia: non solo tra gli Jacuti, ma anche tra i Buriati, i Tatari, i Tungusi. L'origine del mito è ancora dibattuta: si è parlato di componenti iranico-zǝrvanistiche trasmesse attraverso il Manicheismo e di sètte gnostiche siriaco-armene, di una qualche componente dualistica diffusa dal Bogomilismo, o anche di una più antica influenza nestoriana. Si tratta, come si vede, di correnti relativamente recenti, in cui si avverte molto forte l'azione religiosa dei coloni russi stanziati nel territorio siberiano.

In alcuni popoli, tuttavia, questa leggenda della creazione mostra un curioso motivo dove il «diavolo» è presentato in forma di uccello. Presso gli stessi Jacuti, ad esempio, è presente una variante del mito sopra descritto dove il diavolo, per riuscire a trasportare la terra dal fondo del mare, si trasforma in una rondine. In una leggenda diffusa nell'Altai, vediamo Dio e il diavolo volare sul mare primordiale in forma di oche nere, dopodiché il diavolo si immerge nelle acque e riporta a Dio del fango, con il quale Dio crea la terraferma. Presso i Mansi (Voguli), la creatura incaricata di immergersi è parimenti un diavolo con aspetto di uccello.

Sembra evidente che il tema dell'uccello sia il più arcaico e quello del confronto tra «dio» e il «diavolo» una più tarda rappresentazione di derivazione manicheo-cristiana. Infatti, presso molti popoli, non vi è più alcun conflitto dualistico e l'uccello è invece l'aiutante del creatore. Presso gli Jenisseiani, il potente sciamano Doh volava sulle acque primordiali con cigni, pettirossi, smerghi e altri uccelli acquatici; poiché non vi era terra dove essi potessero posarsi, il pettirosso si immerse e portò del fango col quale lo sciamano creò un'isola. Nella leggenda dei Tatari Lebedini, un cigno bianco è inviato da dio a cercare la terra. Un pettirosso tuffatore bianco ha la stessa funzione presso i Buriati. I Buriati di Balagansk dicono che Sombol-Burxan incontrò sulle acque un uccello con i suoi dodici piccoli; ordinò all'uccello di portargli la terra nera nel becco e il fango rosso con le zampe e, ricevutili, creò la terra, per poi benedire l'uccello e i suoi discendenti. Per gli Jacuti settentrionali, la Madre di Dio, avendo deciso di creare la terra, fa nascere il pettirosso tuffatore e l'anatra selvatica; entrambi gli uccelli si tuffano per prendere dal fondo del mare il fango occorrente per la creazione: l'anatra vi riesce ma il pettirosso no.

D'altronde troviamo il mito dell'uccello creatore diffuso anche ad est, tra i Čukči, dove esso è un corvo, fino alle latitudini settentrionali del Nord America, in cui il corvo ricompare nella medesima funzione presso gli Eschimesi.

Ritornando dunque al Kalevala, è evidente che la presenza della folaga che si posa sul ginocchio di Ilmatar arriva a noi dal livello più antico del mito cosmogonico uraloaltaico. Difficile dire come si sia evoluto il mito, se le figure di Ilmatar e della folaga derivino da una medesima tradizione (magari analoga a quella degli Jacuti, dove la terra viene creata dalla collaborazione di due uccelli con una figura femminile, qui chiamata la Madre di Dio) o se siano venuti a combinarsi in epoca recente e, se così è, difficile dire quanto recente.

IV - IL VENTO E L'UOVO

Il racconto cosmogonico del Kalevala, dunque, si compone dell'intersezione di due miti differenti che sono venuti a interlacciarsi in epoca non ben definibile: il motivo di Ilmatar e quello della folaga, ciascuno dei quali è ulteriormente composto da ulteriori sotto-motivi che, crediamo, vadano analizzati insieme.

Ci viene detto infatti che, non appena Ilmatar, vissuta da sempre sola e vergine, toccò la superficie delle acque, il vento e l'acqua la fecondarono. Settecento anni (nove vite di eroi) durò la gravidanza della Figlia dell'Aria, ma senza che ella, pur prostrata dalle doglie, riuscisse a dare alla luce quel figlio che portava nel ventre:

Tuuli neittä tuuitteli,
aalto impeä ajeli
ympäri selän sinisen,
lakkipäien lainehien:
tuuli tuuli kohtuiseksi,
meri paksuksi panevi.
Cullò il vento la fanciulla,
spinse l'onda la donzella
sopra il mar dal dorso azzurro,
sopra i flutti spumeggianti:
fu dal vento fecondata,
fu dal mare ingravidata.
Kantoi kohtua kovoa,
vatsantäyttä vaikeata
vuotta seitsemän satoa,
yheksän yrön ikeä;
eikä synny syntyminen,
luovu luomatoin sikiö.
Portò quella il grave peso,
la penosa gravidanza,
la portò settecent'anni,
per ben nove età d'eroi:
né nasceva ancor quel germe,
increato, dal suo seno.
Kalevala [I: 131-142]

Il motivo del vento fecondante è ben conosciuto al linguaggio del mito. È lo stesso spirito divino, il biblico rûḥ, è quel vento che in Genesi [I: 2] aleggia sulle acque dell'abisso (non diversamente dalla nostra Ilmatar che scende dal cielo per fondersi con la superficie del mare), è quello stesso alito di vita  che, insufflato nelle narici di una statua di fango, lo rende uomo. Ed è infine quello stesso spiritus sanctus che permetterà alla vergine Maria di concepire suo figlio.

Ma torniamo al racconto del Kalevala, ad Ilmatar che giace abbandonata sulla superficie del mare, incapace di dare alla luce quel figlio che le gonfia il ventre. Mentre Ilmatar galleggia tra le onde, arriva la folaga e fa il nido sopra il ginocchio di lei. L'uccello depone sei uova d'oro ed uno di ferro. Ma Ilmatar, non resistendo al calore della cova, scuote il ginocchio, le uova cadono in mare, si rompono, e da quei frammenti nascono il cielo e la terra, il sole e la luna, le nuvole e le stelle:

Ei munat mutahan joua,
siepalehet veen sekahan.
Muuttuivat murut hyviksi,
kappalehet kaunoisiksi:
munasen alainen puoli
alaiseksi maaemäksi,
munasen yläinen puoli
yläiseksi taivahaksi...
yläpuoli ruskeaista
päivöseksi paistamahan,
yläpuoli valkeaista,
se kuuksi kumottamahan;
mi munassa kirjavaista,
ne tähiksi taivahalle,
mi munassa mustukaista,
nepä ilman pilvilöiksi.
Non si persero nel fango,
non spariron dentro l'acqua:
preser nuova, bella forma
quei frantumi, quei pezzetti:
la metà del guscio sotto
diventò la madre terra:
l'altro mezzo guscio sopra
si mutò nel firmamento...
quel che c'era sopra, giallo,
brillò in cielo come sole:
quel che bianco c'era sopra
diventò luna splendente;
quel che c'era di screziato
brillò in cielo come stelle:
quel che l'uovo avea di scuro
diventò nube nell'aria.
Kalevala [I: 229-244]

Solo in seguito, dopo aver portato a termine la creazione della terraferma, Ilmatar darà alla luce quel figlio che da ben settecento anni portava nel ventre, e questi sarà Väinämöinen, l'eterno cantore (Kalevala [I: 281-288]).

Come si vede, la sovrapposizione dei motivi è ancora più complessa. Vi sono almeno due miti di creazione che si mescolano nel racconto cosmogonico del Kalevala, tra cui quello di Ilmatar e quello della folaga. Viene detto che Ilmatar crea la terraferma, mentre alla folaga viene attribuita la cova di quell'uovo cosmico da cui nasceranno il cielo e la terra.

Il mitologema dell'uovo cosmico (chiara connotazione di nucleo iniziale che racchiude in sé, in fase di potenza, ciò che deve ancora manifestarsi) lo troviamo parimenti attestato in alcune zone dell'area uraloaltaica, ad esempio presso i Mongoli, dove il mito è filtrato con ogni probabilità dalla Cina e dall'India. La versione che troviamo nel Nihongi giapponese, con la rottura del guscio e gli elementi leggeri che salgono e quelli pesanti che scendono, può essere agevolmente messa in correlazione con il mito finnico. Tale mitologema può inoltre essere fatto risalire sia alle speculazioni orfiche e, parallelamente, in Egitto, alla teologia tebana.

Questo motivo dell'uovo cosmico è dunque un mito di creazione indipendente, che nel racconto del Kalevala è venuto a sovrapporsi al racconto dove è Ilmatar a foggiare la terraferma. Parallelamente, tale motivo è stato probabilmente associato alla folaga per ragioni di ordine esteriore (sono gli uccelli a deporre le uova) ma in origine doveva esserne indipendente. Come abbiamo mostrato, alla base della presenza della folaga vi era invece un racconto cosmogonico di matrice subartica, affatto diverso, dove all'uccello veniva attribuita la raccolta di terra e fango su cui poi il dio creatore avrebbe costruito la terraferma.

Dunque, a nostro avviso, il motivo dell'uovo cosmico va separato dalla presenza della folaga e va forse messo in correlazione con la gravidanza di Ilmatar. A favore della nostra ipotesi vi sono una serie di antichi miti da cui è possibile trarre una serie di interessanti paralleli. Nel mito orfico, ad esempio, si narra di come Nýx, la notte dalle nere ali, fosse amata dal vento e depose un uovo d'argento nel grembo dell'oscurità; da quell'uovo sarebbe poi nato Érōs, anche detto Phánēs, che avrebbe messo in moto l'universo. Questo mito è da mettere in correlazione con le cosmogonie fenice citata da Filone di Biblo e da Damascio, sull'Aria e l'Etere che, fecondate dal vento, avrebbero dato origine all'Uovo Cosmico, da cui sarebbe venuto l'universo. Quest'Aria e quest'Etere non possono che non ricordare Ilmatar, la Figlia dell'Aria, a sua volta fecondata dal vento e dall'acqua.

V - STRATIFICAZIONE DI MOTIVI NEL MITO COSMOGONICO DEL KALEVALA

Per concludere, nel mito di creazione presente nel primo runo del Kalevala sembrano confluire diverse tradizioni, per lo più tipiche dell'area uraloaltaica, anche se la loro origine più remota può essere fatta risalire a molti luoghi e tempi diversi. Osserviamo dunque:

  1. La creazione della terra è vista come un progressivo processo di aggregazione che passa dall'aeriforme, al liquido, al solido.

  2. La condizione immediatamente preesistente alla formazione della terraferma è rappresentata come un caos liquido. Questo motivo è tipicamente diffuso nell'area uraloaltaica, anche se lo ritroviamo in altre tradizioni antiche (in Egitto, in Mesopotamia, nella Bibbia, nel mito omerico della creazione).

  3. La presenza di Ilmatar, la figlia dell'aria, sembra essere un unicum del Kalevala, non trovando riscontri in altre cosmogonie. Si potrebbe pensare alla «Madre di Dio» del mito cosmogonico degli Jacuti, che crea la terraferma con l'ausilio di un'anatra e di un pettirosso.

  4. L'origine della terraferma, che nei  miti uraloaltaici è spiegata come un 'impresa di recupero di una materia già esistente sul fondo dell'oceano primordiale, nel Kalevala assume un aspetto più astratto: Ilmatar crea la terraferma liberandola dal caos acqueo grazie ai suoi movimenti, che le permettono di applicare una sorta di identificazione attiva con il mondo.

  5. La presenza dell'uccello creatore, che nel Kalevala è una folaga o un'anatra, appartiene invece al più antico strato mitico uraloaltaico, in cui a un uccello è deputato il compito di prelevare dal fondo del mare la terra o il fango che verranno impiegati per creare la terraferma.

  6. La compresenza di Ilmatar e della folaga è probabilmente dovuto alla sovrapposizione di due separati temi mitici, ma non si può escludere che alla base possa esserci il motivo della cooperazione tra il dio creatore e un uccello acquatico, di cui troviamo esempi in tutta l'area uraloaltaica, anche se altrove interpretato in chiave dualistica.

  7. Il motivo dell'uovo cosmico, dalla cui frammentazione si originano il cielo e la terra, diffuso presso i Mongoli, è a sua volta un residuo di concezioni indiane e cinesi. Ma può essere messo in correlazione con le cosmogonie orfiche e fenice.

Difficile dire quale possa essere stato il mito originale da cui è derivata la splendida cosmogonia del Kalevala. Vi troviamo fusi alcuni motivi di diversa provenienza. Nel mito più arcaico, di origine uraloaltaica, assistevamo probabilmente all'arrivo di una folaga o a un'anatra che, al comando di un dio creatore, gli recava della terra e del fango dal fondo del mare, con la quale il dio avrebbe creato la terraferma. Forse, come risulta in alcune tradizioni della Jacuzia, il creatore era una dea. Questo non possiamo saperlo.

Questo mito arcaico si è poi fuso a un mito di diversa origine. Quello di una dea dell'aria che, fecondata dal vento, deponeva un uovo; poi l'uovo si rompeva e nasceva l'universo. Quando i due miti si confusero, forse il loro significato originale andò dimenticato e vennero reinterpretati. Allora si disse che fu la folaga a generare l'uovo e allo strano motivo della gravidanza di Ilmatar fu associato quello della nascita di Väinämöinen, che però rimane una nascita anomala, non ben inquadrabile nell'economia di un racconto mitico, ché il vecchio cantore viene alla luce in un mondo che, desolato all'inizio, troviamo subito dopo già abitato e decadente.

Quanta parte ebbe Elias Lönnrot in queste rielaborazioni e in questi aggiustamenti? Fu lui a operare la fusione dei due miti? Li trovò in forma corrotta e cercò di mettervi delle toppe? O già la fusione risale ai cantori da cui egli trasse i versi del Kalevala? Non lo sappiamo ma, in rispetto agli strani processi mitogenetici, ci rifacciamo all'alto magistero all'ultimo cantore e Lönnrot è colui che ha, una volta per tutte, fissato il mito nazionale di Finlandia.

Bibliografia
  • LÖNNROT Elias, Kalevala, 1849.
BIBLIOGRAFIA
Intersezione: Aree - Holger Danske
Sezione: Miti - Asteríōn
Area: Finnica - Vaka Vanha Väinö
Ricerche e testi di Dario Giansanti e Oliviero Canetti.
Creazione pagina: 07.02.2005
Ultima modifica: 26.08.2014
 
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