MITI

ELLENI
Greci

MITI ELLENICI
PER PRIMO FU KHÁOS
I PRŌTÓGONOI
Il terzo racconto sulla nascita dell'universo, di tutti il più vasto, dettagliato e coerente, è attribuito ad Hēsíodos, contadino e poeta vissuto in Beozia nell'VIII sec. a.C., che in gioventù pascolò le pecore sul monte Elikṓn, sacro agli dèi.

1 - PER PRIMO FU KHÁOS

er primo fu Kháos – e così avrebbe esordito qualsiasi precettore dell'antica Grecia per raccontare ai propri discepoli l'origine dell'universo – la voragine iniziale, vuota e oscura, dove nacquero tutte le cose.

Uniforme era allora l'aspetto della natura. Non esisteva il cielo, la terra o il sole, ma un abisso informe in cui tutti gli elementi erano mischiati tra di loro, una congerie di germi differenti, di cose mal combinate fra loro.

Nascita di Gê ed Érōs ( 1996)
Giovanni Caselli (1939-). Illustrazione (Caselli 1996)

2 - COSMOGONIA

al Kháos venne generata G, la Madre Terra dall'ampio seno, per sempre sede sicura per tutti i mortali e gli immortali.

Subito dopo nacque il Tártaros nebbioso, l'orrendo buio sotterraneo, privo di ogni luce, che si annida nei recessi della Terra.

Poi G generò da sé stessa Ouranós, il cielo cosparso di stelle, e le alte montagne. E, ancora senza gioia d'amore, Póntos, il mare immane, dove mai non si miete, e che gonfia e s'infuria.

 

 

3 - NASCITA DI ÉRŌS

nacque da Kháos il più potente tra tutti gli dei: Érōs, l'amore, tra tutti i Celesti il più bello, che scioglie le membra e soggioga lo spirito di tutti gli dèi e di tutti gli uomini, l'energia creatrice da cui trae vita l'intero universo.

Érebos e Nýx ( 1996)
Giovanni Caselli (1939-). Illustrazione (Caselli 1996)

4 - DALLE TENEBRE
ALLA LUCE

al Kháos sorsero poi Érebos, la tenebra opaca delle profondità abissali, e Nýx, la notte dalle nere ali.

Uniti in amore, generarono il brillante Aithḗr, l'etere trasparente alla luce, e la chiara Hēméra, il giorno. La luce eruppe allora nell'oscurità.

Fonti

1 Hēsíodos: Theogonía []
Ovidius: Metamorfosi [I: -]
2 Hēsíodos: Theogonía [- | -]
Hyginus: Fabulae [Praefatio: I-II]
3 Hēsíodos: Theogonía [-]
Cfr. Aristophánēs: Órnithes [-]
4 Hēsíodos: Theogonía [-]

I - UN PO' D'ORDINE: STADI COSMOGONICI E TEOGONICI

Composta tra  l'VIII e il VII sec. a.C., la Theogonía di Hēsíodos è il più antico poema mitologico che ci sia pervenuto dalla Grecia arcaica. Alle sue spalle vi sono soltanto i due grandi poemi epici, l'Iliás e l'Odýsseia. Anzi, dato il carattere semi-mitico di Hómēros, Hēsíodos è il primo poeta storico della letteratura greca e, quindi, dell'intera letteratura occidentale. Sicuramente è il primo autore che lascia trasparire una propria personalità all'interno della sua opera.

Ciò non significa che  la Theogonía si ponga come un unicum dinanzi al nulla. Sicuramente anche l'opera di Hēsíodos è il risultato di una lunga elaborazione mitologica. Sappiamo che la Grecia arcaica conosceva un cospicuo numero di altri racconti delle origini, e conosciamo addirittura i titoli di altre opere, come la Titanomakhía di Eúmēlos di Kórinthos, contemporaneo di Hēsíodos, nel quale si forniva un'altra versione del racconto cosmogonico; o come le Genealogíes di Akousílaos (VI sec. a.C.), che prendeva l'avvio da una teogonia prosastica dipendente, a quanto pare, da quella di Hēsíodos.

Vi erano inoltre le cosmogonie prodotte dai vari gruppi iniziatici e, tra quelle di matrice orfica, la tarda antichità ne distingueva almeno tre: la teogonia tramandata da Eúdēmos di Rhódos (±370-±300 a.C.), discepolo di Aristotélēs; quella cosiddetta di Ierṓnymos ed Hellánikos, di cui possediamo un breve sunto tramandatoci dal filosofo bizantino Damáskios (±480-±550); e la cosiddetta «teogonia rapsodica», poema strutturato in ventiquattro rapsodie, interpretato in ambito neoplatonico (Reale 2011).

Nel suo discorso sulla pietà religiosa, il filosofo Philódēmos di Gádara (±110-35 a.C.) tradisce un po' di confusione, cercando di fare il punto tra le varie tradizioni cosmogoniche:

Em mén tisin ek Nyktòs kaì Tartárou légetai tá pánta, en dé tisin ek Háidou kaì Aithéros, ho dè tḕn Titanomakhían grápsas ex Aithéros phēsín, Akousílaos d' ek Kháous prṓtou tâlla en dè toîs anapheroménois eis Mousaîon gégraptai Tártaron prōton kaì Nýkta kaì tríton Aéra gegonénai. In alcune fonti si dice che tutte le cose derivano da Nýx e da Tártaros, in altre invece che derivano da Hádēs e da Aithḗr. L'autore della Titanomakhía [Eúmēlos di Kórinthos] afferma che le altre cose discendono da Aithḗr, mentre Akousílaos dice che il primo da cui discendono è Kháos. Nelle poesie attribuite a Mousaîos sta scritto che dapprima ci furono Tártaros e Nýx, e per terzo Aér
Philódēmos: Perí Eusebeías [137: 5]

Tutte queste opere sono andate perdute, a parte pochi frammenti e citazioni tramandati da autori posteriori. A noi sono arrivati solo echi dai confini indefiniti, entro cui è impossibile individuale delle linee evolutive. (Guidorizzi 2000)

La Theogonía di Hēsíodos è insomma l'unica cosmogonia che ci sia pervenuta integralmente dalla Grecia arcaica, l'unica che ci riporti un sistema mitologico dettagliato e coerente. Gli elementi che ci fornisce, e che sono alla base di un'immensa letteratura, sono senza prezzo ai fini della nostra ricostruzione del più antico pensiero mitologico ellenico.

Nel ripercorrere le genealogie divine e le lotte sostenute dalle più antiche divinità per la supremazia sull'universo, Hēsíodos narra con quali mezzi e con quali alleati Zeús sia riuscito ad ottenere il potere supremo, potere che conferisce l'attuale fondamento all'ordine del mondo e ne garantisce la continuità. Nel celebrare l'ordine cosmico, la Theogonía ordina le potenze divine, ne traccia le complessa genealogie, ne definisce i ruoli nel lungo processo creativo del kósmos. E così facendo, sistemando e rielaborando una materia immensa, di cui segue con precisione meticolosa centinaia di fili a volte provenienti da tradizioni tra loro lontanissime, Hēsíodos ha fissato il discorso cosmo-teogonico.

Sicuramente il pensiero di Hēsíodos ha influenzato le ricerche sull'arkhé dei filosofi successivi, ma sarebbe errato leggerlo facendo riferimento ai sistemi filosofici elaborati a posteriori, in quanto essi presuppongono modi di ragionamento diversi da quelli della poesia. Lo sforzo di Hēsíodos si esplica su un piano essenzialmente mitico e utilizza una logica diversa da quella della filosofia. È un pensiero a un tempo astratto e sistematico, poetico e narrativo, tradizionale e personale. (Vernant 1981¹)

Per quanto Hēsíodos non tracci suddivisioni precise e, anzi, proceda fondendo l'evocazione poetica e più dettagliate istanze di pura erudizione mitologica, possiamo suddividere la prima parte della sua cosmo-teogonia in più stadi:

  1. Caos. Il vuoto abissale delle origini [Kháos].
  2. Cosmogenesi. Formazione della terra [G] e degli inferi [Tártaros]; nascita del cielo [Ouranós] e del mare [Póntos].
  3. Erogenesi. Generazione del principio dell'amore [Érōs].
  4. Passaggio dal buio alla luce. Generazione delle tenebre [Érebos] e della notte [Nýx]. Quindi, dalla loro unione, l'etere luminoso [Aithḗr] e il giorno [Hēméra].
  5. La stirpe di Ouranós. Sono i discendenti di G e Ouranós. Ekatóŋkheires, Kýklōpes e Titânes. A questi possiamo associare la seconda generazione dei Titânes.
  6. Emanazioni di Ouranós. Sono gli esseri generati dal sangue di Ouranós dopo la sua evirazione: le Erinýes, i Gígantes e le Melíades, a cui si può associare la dea Aphrodítē, principio dell'amore, nata dallo sperma del dio, sparso in mare.
  7. Emanazioni di Nýx ed Éris. Sono i figli di Nýx, perlopiù personificazioni astratte: il fato [Móros], la sventura [Kḗr], la morte [Thánatos], il sonno [Hýpnos], il biasimo [Mmos], la miseria [Oïzýs], la vendetta [Némesis], l'inganno [Apátē], l'amicizia [Philótes], la vecchiaia [Gras], la discordia [Éris]. A questi si aggiungono i figli di Éris: la pena [Pónos], l'oblio [Lḗthē], la fame [Limós], i dolori [Álgoi], le lotte [Hysmínai], le battaglie [Mâkhai], i delitti [Phónoi], gli omicidi [Androktasíai], la contesa [Neîkos], la menzogna [Pseûdos], i discorsi retti [Lógoi], i discorsi ambigui [Amphilógoi], l'anarchia [Disnomía], l'illusione [Átē], il giuramento [Hórkos], le Hesperídes e le Kres.
  8. La stirpe di Póntos. Sono i discendenti di G e Póntos, esseri e creature legate al mare. Nella loro discendenza vi sono esseri mostruosi ed eversivi, alcuni tra i più feroci avversari degli dèi e degli eroi.
  9. La stirpe di Krónos. Sono i figli di Krónos e Rhéa: Hestía, Dēmḗtēr, Hḗra, Hádēs, Poseidn e Zeús.
II - COSMOGENESI ESIODEA

La cosmogenesi tracciata da Hēsíodos prende le sue mosse dal Kháos, il vuoto abissale delle origini. La prima parte del suo racconto è tutto un rapido susseguirsi di successive generazioni, man mano che gli elementi cosmici si originano spontaneamente dal Kháos, per generare a cascata tutti gli elementi dell'universo.

Ma diamo la parola a Hēsíodos:

 toi mèn prṓtista Kháos génet’, autar épeita
Gaî’ eurýsternos, pántōn hédos asphalès aieì
athanátōn, hoì ékhousi kárē niphóentos Olýmpou,
Tártará t’ ēeróenta mykhōı khthonòs euryodeíēs,
ēd’ Éros, hòs kállistos en athanátoisi theoîsi,
lysimelḗs, pántōn dè then pántōn t’ anthrṓpōn
dámnatai en stḗthessi nóon kaì epíphrona boulḗn.
Ek Kháeos d’ Érebós te mélainá te Nỳx egénonto;
Nyktòs d’ aût’ Aithḗr te kaì Hēmérē exegénonto,
hoùs téke kysaménē Erébei philótēti migeîsa. 
Dunque per primo fu il Kháos; e dopo
G dall'ampio petto, sede perenne e sicura di tutti
gli immortali che possiedono la cima nevosa dell'Olýmpos,
e Tártaros nebbioso nei recessi della terra dalle ampie vie,
poi Érōs, il più bello di tutti gli immortali,
che rompe le membra e doma nel petto ogni volontà
e ogni saggio consiglio di tutti gli uomini e gli dèi.
Dal Kháos nacquero Érebos e la nera Nýx;
da Nýx provennero Aithḗr e Hēméra,
che lei concepì unita in amore con Érebos.
Hēsíodos: Theogonía [-]

Le relazioni delineate in questa prima cosmogonia appaiono piuttosto attente e meditate. Per primo il vuoto, Kháos, che Hēsíodos pone all'inizio di ogni cosa. Da esso, egli fa sorgere spontaneamente G e Tártaros, e subito dopo Éros. Poi, Érebos e Nýx. Questi possono essere chiamati prōtógonoi, i «primi nati».

G e Tártaros sono tra loro in relazione dicotomica: la terra dei vivi e la terra dei morti. Érebos e Nýx si muovono invece su un unico ordine di idee, rappresentando rispettivamente le tenebre dell'abisso e il buio della notte.

Nell'ambito di questa formazione di entità cosmiche e oscure, il luminoso e gentile Érōs dà l'impressione di una presenza estranea. In realtà, l'amore è elemento necessario per la prosecuzione delle generazioni divine. Se le prime nascite procedevano per partenogenesi, Éros introduce l'accoppiamento, la mediazione tra i sessi. È solo dopo la nascita di Érōs che avviene il primo congiungimento carnale. Érebos e Nýx, uniti in amore, generano Aithḗr ed Hēméra, segnando una nuova tappa nella progressione dal buio alla luce.

Nel seguito del testo, G genererà Ouranós e Póntos, per poi unirsi a loro e proseguire il discorso teogonico.

III - SPECULAZIONI SUL KHÁOS

Kháos compare alle origini stesse della poesia mitologica, nella Theogonía di Hēsíodos, come punto di partenza di ogni cosa:

 toi mèn prṓtista Kháos génet’ Dunque per primo fu il Kháos...
Hēsíodos: Theogonía []

Ma Hēsíodos non descrive questo stato primordiale. Kháos non è qualcosa da spiegare, non è una situazione su cui sia possibile fornire dettagli. Anzi, si ha una percezione del Kháos solo quando l'immobilità originale viene spezzata dalla rottura operata dalla creazione, allorché i primi princìpi individualizzati si estrapolano spontaneamente dal fondo caotico, assumendo la loro identità. In Hēsíodos, i prōtógonoi sono: G, Tártaros, Éros, Nýx ed Érebos.

Detto questo, è altrettanto forzoso definire Kháos, come hanno fatto alcuni interpreti moderni, come il «non-essere» che si oppone all'«essere» (Fränkel 1951). Simili speculazioni appartengono a una metafisica lontana dal pensiero mitico e, applicarla a Hēsíodos, vuol dire forzarne il testo dal punto di vista concettuale.

Il guaio è che non abbiamo molti appigli per definire cosa sia Kháos per Hēsíodos, a parte la stessa etimologia del termine, che è da connettere con il greco khásma «apertura, voragine» (cfr. khaínō «aperto, spalancato»). Si tratta di un vuoto, di un abisso oscuro e senza limiti. Jean-Pierre Vernant lo definisce «un punto di caduta, di vertigine e di confusione, un precipizio senza fine, senza fondo. Si viene ghermiti da Kháos come dall'apertura di fauci immense in cui tutto può essere ingoiato e confuso in un'unica notte indistinta» (Vernant 1999).

È arduo tuttavia definire Kháos in termini di «spazio», tanto più che questa componente del kósmos verrà introdotta da Hēsíodos soltanto più tardi, quando il dio-cielo Ouranós verrà strappato lontano dalla dea-terra G. L'evirazione di Ouranós romperà l'immobilità primordiale creando, a un tempo, lo spazio e il tempo. Ma Kháos non è un vero «spazio»; almeno non lo è in termini fisici: non ha dimensioni né direzioni. Per comprendere cosa sia Kháos, occorre situarlo nei suoi rapporti di opposizione e complementarità con G, espressi nella formula:

 toi mèn prṓtista Kháos génet’, autàr épeita
Gaî eurýsternos...
Dunque per primo fu il Kháos; e dopo
G dall'ampio petto...
Hēsíodos: Theogonía [-]

Kháos è non è soltanto una voragine senza inizio e senza fine: è assenza di forma, di massa, di pienezza. A sua differenza, G ha una massa, una forma, una struttura; è una base solida su cui appoggiarsi e camminare, e presenta valli, montagne e cavità sotterranee. G non è soltanto il mondo in quanto «luogo», ma la madre di tutti gli esseri viventi, la progenitrice di quanto esiste, e giustamente Hēsíodos la presenta definendolo subito «sede sicura per sempre degli immortali» (Theogonía [-]). Al contrario, Kháos incapace di confrontarsi con qualcosa di diverso da lui, ed Hēsíodos non sembra attribuirgli neppure una coscienza. Sicuramente è privo di attività generativa o demiurgica. G, Tártaros, Érōs, Érebos e Nýx ne sono scaturiti spontaneamente, in virtù di una loro forza ontologica interna.

Ma Kháos si oppone anche a Tártaros, e questa è una distinzione ancora più interessante, in quanto già Hēsíodos definisce quest'ultimo come un «abisso profondo» [méga khásma], tanto che vi si potrebbe precipitare per un anno, trascinati da venti tempestosi, senza mai raggiungerne il fondo (Theogonía [-]). Tártaros è a sua volta un abisso, ma un abisso strutturato, dotato di determinate caratteristiche, percepibile in termini spazio-temporali. Kháos non è nulla di tutto questo. Non opponendosi a null'altro, Kháos non può essere definito in alcun modo, e infatti Hēsíodos non lo fa. E non appena compaiono i prōtógonoi, Kháos sparisce dalla scena.

Ma da dove deriva la concezione esiodea di Kháos? Forse non dobbiamo fidarci troppo dell'affermazione di Damáskios, il quale scrive, nel suo libro sui princìpi primi di tutte le cose: «Quanto a Hēsíodos, mi sembra essere stato il primo a considerare il Kháos, a chiamare Kháos la natura inafferrabile dell'oggetto dell'intuizione e compiutamente unificata, e ad aver poi posto accanto a esso la terra G, come principio dell'intera generazione degli dèi» (Aporíai kaì lýseis perì tn prōtṓn arkhn [123 bis]). Ma Kháos non sembra un'invenzione di Hēsíodos. Al contrario, sembra derivato da un pensiero mitico assai più antico, nel quale l'universo primordiale era visto come un immenso abisso vuoto. Basti pensare che la correlazione tra il Kháos e il Ginnungagap, il «vuoto spalancato» che nel mito norreno precede l'organizzazione del cosmo, è definita anche in senso etimologico (gap e khásma sono corradicali, da un proto-indoeuropeo *GʰEN).

È solo con le speculazioni filosofiche successive che comincia a comparire l'idea che Kháos non fosse un vuoto abissale, ma uno stato differente, lo spazio come puro ricettacolo, l'astrazione acorporea dello spazio o, come vorranno gli Stoici, uno stato di disordine primordiale, in cui si trovavano – in uno stato di potenzialità indistinta – i semi di tutte le cose (Vernant 1981¹). In tal senso, kháos acquisterà il suo pieno significato solo in opposizione alla nozione di kósmos, termine con il quale già i Pitagorici o Parmenídēs designavano il mondo in quanto ordine, compiutezza, determinatezza. Il kósmos era distinzione di elementi, ordine matematico, precisione astronomica; era sia la struttura cosmologica dell'universo, sia le leggi che governavano la società umana. Nel kósmos tutte le cose godevano della loro natura specifica. Al contrario, il kháos era l'indeterminatezza, la confusione, la mancanza di identità. Nel kháos tutte le cose già erano presenti in potenza, ma è solo nel kósmos che acquistavano forma distinta e contingente.

Questo concetto posteriore di Kháos verrà messo a fuoco, in un opportuno contesto mitologico, in età romana. Il brillante poeta Ovidius (43 a.C. – 17/18 d.C.) principia la sua scintillante rassegna di metamorfosi proprio con la prima di tutte le trasformazioni, quella dal kháos in kósmos.

Ante mare et terras et quod tegit omnia caelum
unus erat toto naturae vultus in orbe,
quem dixere chaos: rudis indigestaque moles
nec quicquam nisi pondus iners congestaque eodem
non bene iunctarum discordia semina rerum.
nullus adhuc mundo praebebat lumina Titan,
nec nova crescendo reparabat cornua Phoebe,
nec circumfuso pendebat in aere tellus
ponderibus librata suis, nec bracchia longo
margine terrarum porrexerat Amphitrite;
utque erat et tellus illic et pontus et aer,
sic erat instabilis tellus, innabilis unda,
lucis egens aer; nulli sua forma manebat,
obstabatque aliis aliud, quia corpore in uno
 frigida pugnabant calidis, umentia siccis,
mollia cum duris, sine pondere, habentia pondus.

Prima del mare e della terra e del cielo che tutto ricopre, unico e indistinto era l'aspetto della natura in tutto l'universo, e lo dissero caos, mole informa e confusa, nient'altro che peso inerte, ammasso di germi discordi di cose mal combinate. Nessun titano ancora donava al mondo la luce, Né Phoebe ricolmava crescendo la sua falce, né la terra, trovato il proprio equilibrio, stava immensa e sospesa nell'aria, né Amphitrite aveva proteso le braccia a ricingere i lunghi orli della terraferma. E per quanto lì ci fosse la terra, il mare e l'aria, instabile era la terra, non navigabile l'onda, l'aria priva di luce: nulla riusciva a mantenere una sua forma, ogni cosa contrastava le altre, poiché nello stesso corpo il freddo lottava col caldo, l'umido con l'asciutto, il molle col duro, il peso con l'assenza di peso.
Publius Ovidius Naso: Metamorfosi [I: -]

Secondo Ovidius, nella caotica primordialità già esistevano terra e mare e aria, ma non avevano quelle caratteristiche che le distinguono, che ne definiscono la rispettiva natura. La terra era instabile, l'onda non navigabile, priva di luce l'aria. Nessuna cosa poteva dirsi calda o fredda, umida o asciutta, molle o dura. Ovidius sembra avere un'idea quasi teologica del Kháos. La creazione dell'universo, a opera di un non precisato dio con capacità demiurgiche, sarebbe stata in Ovidius proprio un districamento di tutti gli elementi dalla loro mescolanza primordiale, così che ciascuna cosa avrebbe finito con l'acquistare la propria identità e diventare come noi oggi la conosciamo.

Hanc deus et melior litem natura diremit.
nam caelo terras et terris abscidit undas
et liquidum spisso secrevit ab aere caelum.
quae postquam evolvit caecoque exemit acervo,
dissociata locis concordi pace ligavit:
ignea convexi vis et sine pondere caeli
emicuit summaque locum sibi fecit in arce;
proximus est aer illi levitate locoque;
densior his tellus elementaque grandia traxit
et pressa est gravitate sua; circumfluus umor
ultima possedit solidumque coercuit orbem.

Un dio, e una più benigna disposizione della natura, sanò questi contrasti: separò dal cielo la terra, dalla terra le onde, e distinse dall'aria spessa il cielo puro. E dopo aver districato e liberato queste cose dall'ammasso informe, dissociatene le sedi, le riunì in un tutto concorde. Il fuoco, imponderabile energia della volta celeste, sprizzò e si stabilì nella regione più alta. Subito sotto, per sede e leggerezza, c'è l'aria. La terra, più densa, assorbì gli elementi più grossi e rimase premuta in basso dal proprio peso. L'acqua, fluida, occupò gli ultimi spazi avvolgendo tutto in giro la massa solida del mondo.
Publius Ovidius Naso: Metamorfosi [I: -]

Ma forse non è il caso di dare eccessivo peso a queste fantasie. In Ovidius i miti erano solo l'occasione per eseguire scintillanti esperimenti stilistici; di essi non rimaneva che la forma esteriore, resa con elegante ricercatezza, ma non vi era quasi più nulla del loro antico significato.

Nella teogonia orfica di Ierṓnymos ed Hellánikos, citata da Damáskios, il principio originario è invece Khrónos, il tempo, da cui nascono Aithḗr, Nýx, Érebos e Kháos. Questo Khrónos, avverte Damáskios, è anche presente nella teogonia rapsodica, pur mantenendo delle differenze tra l'uno e l'altro sistema.

Hoûtos gàr hn ho polytímētos en ekeínēi Khrónos agḗraos Aithéros kaì Kháous patḗr. Amélei kaì katà taútēn ho Khrónos hoûtos ho drákōn gennâtai tripln gonḗn: Aithéra, phēsí, noteròn kaì Kháos ápeiron, kaì tríton epì toútois Érebos omikhldes... Costui invero era Khrónos senza vecchiaia – altamente onorato nella teologia rapsodica – padre di Aithḗr e di Kháos. Senza dubbio, anche secondo la teologia di cui parliamo, questo Khrónos, il serpente, genera una triplice discendenza: Aithḗr umido, essa dice, e Kháos senza limiti, e oltre a essi come terzo, Érebos nebbioso.
Damáskios: Aporíai kaì lýseis perì tn prōtṓn arkhn [123 bis] = Orphicorum Phragmenta [K54]

Un'affine cosmogonia, sempre di natura orfica, è riportata dal bizantino Iōánnēs Malálas (491-578):

Hóti ex arkhs anedeíkhthē ti Khrónōi ho Aithḕr apò toû theoû dēmiourgētheìs kaì enteûthen kakeîthen toû Aithéros hn Kháos kaì Nýx zopherà pánta kateîkhe kaì ekálypte tà hupò tòn Aithéra... In principio si rivelò a Khrónos, Aithḗr, l'etere creato dal dio; e di qua e di là di Aithḗr vi era Kháos, e Nýx tenebrosa copriva tutte le cose e nascondeva quanto era sotto Aithḗr.
Iōánnēs Malálas: Khronographía [4: 89] = Orphicorum Phragmenta [K65]

Inutile dire che, nel corso delle speculazioni sull'arkhé, i filosofi greci si interessarono molto al concetto di kháos quale inizio di tutte le cose, finanche a negarlo, come fece Aristotélēs, nel III sec. a.C., sostenendo l'eternità del mondo (Physiks akroáseōs [4.208b 31 ss.]).

Si noti che in Italia, nel I secolo a.C., l'astronomo Hyginus introduce un ulteriore livello, precedente a Kháos: Caligo, la «caligine», entità quanto più sottile e rarefatta, evidentemente degna di rappresentare l'assoluta indeterminatezza dei primordi:

Ex Caligine Chaos: ex Chao et Caligine Nox Dies Erebus Æther.

Da Caligo nacque Kháos. Da Kháos e Caligo nacquero Nox, Dies, Erebus ed Æther.
Hyginus: Fabulae [Praefatio: I]
IV - DUE DIVINITÀ PRIMORDIALI: ÉREBOS E NÝX

Una volta creato, l'universo si organizza lungo le direttrici di due coppie di elementi polari, i quali definiscono la contrapposizione e l'alternanza tra buio e luce. Érebos e Nýx sono rispettivamente lo spazio tenebroso e il buio della notte. I loro figli, Aithḗr ed Hēméra, sono i loro opposti. Aithḗr, dal greco aíthō «brillo», è la parte più alta del cielo, l'etere luminosa, trasparente alla luce; mentre Hēméra è la luce chiara del giorno (Guidorizzi 2000).

Ek Kháeos d’ Érebós te mélainá te Nỳx egénonto;
Nyktòs d’ aût’ Aithḗr te kaì Hēmérē exegénonto,
hoùs téke kysaménē Erébei philótēti migeîsa. 
Dal Kháos nacquero Érebos e la nera Nýx;
da Nýx provennero Aithḗr e Hēméra,
che lei concepì unita in amore con Érebos.
Hēsíodos: Theogonía [-]

Dal Kháos nascono due entità delle tenebre: Érebos e Nýx, e da questi due entità della luce: Aithḗr ed Hēméra. Vi è quindi una progressione dall'oscurità alla luce, motivo cosmogonico ben noto e diffuso in molti sistemi mitologici, dove l'oscurità è spesso vista come primitiva rispetto alla luce, anche se è sempre considerata una substantia, e non semplice assenza di luce. Ma vi è anche, nel testo esiodeo, un gioco di opposizioni e complementarità assai ben meditate. Infatti, Nýx ed Hēméra, il giorno e la notte, si coniugano tra loro, di modo che la loro alternanza forma la trama del tempo sulla terra. Allo stesso modo, Érebos ed Aithḗr corrispondono alle forme estreme della tenebra e della chiarezza: il primo rappresenta un buio perenne, opaco alla luce, che regna nelle profondità abissali e ai confini dello spazio; ils econdo è il fulgore di un cielo eternamente illuminato, che non conosce l'ombra delle nuvole né quella della notte.

La discendenza di Aithḗr ed Hēméra da Érebos e Nýx presenta, nelle fonti classiche, diverse varianti. Nelle Genealogíes di Akousílaos, ad esempio, i figli di Érebos e Nýx erano Érōs, Aithḗr e Mtis. In Italia, Cicero pone – concordemente con Hēsíodos – Dies ed Æther quali figli di Nox e Erebus (De natura Deorum [III: 44]). Ma Hyginus astronomo pone Nox, Dies, Erebus ed Æther a un medesimo livello, quali figli di Kháos e Caligo.

Ex Caligine Chaos: ex Chao et Caligine Nox Dies Erebus Æther.

Da Caligo nacque Kháos. Da Kháos e Caligo nacquero Nox, Dies, Erebus ed Æther.
Hyginus: Fabulae [Praefatio: I]

Nýx, la notte dalle «nere ali» [melanópteros], sembra occupare un posto molto primitivo nel pensiero mitico dei Greci (Guidorizzi 2000). Divinità probabilmente molto antica e sfuggente, è sempre presente in tutte le varianti del mito cosmogonico. Sempre Damáskios ci informa che, nella teogonia orfica di Eúdēmos di Rhódos, il Peripatetico, Nýx era la più grande divinità, principio di ogni cosa esistente, oggetto di venerazione persino da parte di Zeús (Aporíai kaì lýseis perì tn prōtṓn arkhn [124]). Secondo la teogonia rapsodica, infatti, Nýx era stata regina dell'universo prima di Ouranós, come si evince da alcune annotazioni contenute nei commenti alla Metà ta physikà di Aristotélēs di Aléxandros di Aphrodisiás e di Syriános (Orphicorum Fragmenta [K102 | K107-108 | K111]), Un famoso passo del filosofo bizantino Próklos (412-487) così riassume il pensiero rapsodico:

Then asiléas paradédōken Orpheùs katà tòn téleion arithmòn tn hólōn proestēkótas Phánēta Nýkta Ouranòn Krónon Día Diónyson; prtos gàr ho Phánēs kataskeuázei tò skpton; kaì prtos basíleuse teriklytòs Ērikepaîos; deutéra dè hē Nýx, dexaménē parà toû patrós, trítos dè [ho] Ouranòs parà ts Nyktós, kaì tétartos ho Krónos, biasámenos, hṓs phasi,tòn patéra, kaì pémptos ho Zeús, kratḗsas toû patrós, kaì metà toûton héktos ho Diónysos.

Come re degli dèi, a capo di tutte le cose, Orpheús tramandò i seguenti, secondo il numero perfetto: Phánēs, Nýx, Ouranós, Krónos, Zeús, Diónysos. Phánēs infatti per primo costruì lo scettro e «per primo regnò Ērikepaîos molto celebrato»; secondo poi regnò Nýx, che aveva ricevuto lo scettro dal padre; per terzo poi Ouranós, che lo aveva ricevuto da Nýx; E per quattro Krónos, che aveva soggiogato con la violenza, come dicono, il padre; e per quinto Zeús, che aveva prevalso sul padre; e dopo costui, per sesto, Diónysos.
Próklos ho Diadókhos: Commentarius in Plátōn: Tímaios [Proemio] = Orphicorum Phragmenta [K107]
La Notte  ( 1883)
William-Adolphe Bouguereau (1825-1905), dipinto.

Ma che tutte le cose derivassero da Nýx era tradizione comune di parecchie fonti antiche, come ci ha ricordato Philódēmos nel testo sopra citato (Perí Eusebeías [137: 5]). Anche Aristophánēs afferma che «da principio c'erano Kháos e Nýx ed Érebos nero e l'ampio Tártaros» [Kháos hn kaì Nỳx Érebos te mélan prton kaì Tártaros eurýs], e che Érōs sarebbe nato da un uovo deposto da Nýx (Órnithes [-]).

In quanto a Érebos, sembra essere stato una divinità piuttosto importante. Il suo nome, in greco, vuol dire «tenebre», e una delle sue possibili etimologie sembra riconnetterlo alla radice semitica ˓RB «tramonto, sera, ovest» (cfr. ebraico ˓ẹrẹḇ, dal medesimo significato). La stessa radice potrebbe, tra l'altro, essere alla base del toponimo greco Eurṓpē, quale terra situata nella parte occidentale del mondo.

Érebos sembra dunque essere una rappresentazione dell'oscurità primordiale, in seguito ricacciata ai confini e agli angoli del mondo, tanto che il termine Érebos viene anche usato, in letteratura, come sinonimo di Tártaros. Rispetto alla sua sposa Nýx, la presenza di Érebos sembra essere meno regolare nelle cosmogonie primordiali. Il personaggio, tra l'altro, sembra ignorato dalla teogonia rapsodica, anche se è presente in Aristophánēs. In Hēsíodos è tuttavia una divinità piuttosto importante, e questo ci basta. (Colli 1977)

V - CIELO, TERRA E MARE: TRIPARTIZIONE COSMOGONICA E COSMOLOGICA

Una cosmologia tripartita sembra essere una costante di molti sistemi mitologici. In genere si tratta di una tripartizione cielo/terra/inferi, ma la struttura presenta molte varianti nei vari sistemi mitologici. In Mesopotamia, ad esempio, le tre ripartizioni cosmiche erano rispettivamente il cielo [an], l'atmosfera [lil] e la terra [ki], sottoposte rispettivamente agli dèi della triade cosmica, An, Enlil ed Enki, l'ultimo dei quali governava in realtà sul grande abisso acqueo [abzu].

In Grecia, la suddivisione delle regioni cosmiche sembra un po' più complessa e sfaccettata. Vi è innanzitutto la dicotomia tra la terra dei vivi [g] e il mondo dei morti [tártaros]. Dicotomia che Hēsíodos pone a un livello superiore della tripartizione inferiore: quella tra cielo [ouranós], terra [g] e mare [póntos]. È interessante notare che, nella suddivisione dei poteri tra i tre uranidi, Zeús si prese il cielo, Poseidn il mare e Hádēs il regno dei morti, lasciandosi la terra quale comune territorio di tutti e tre. Il mito è senz'altro parallelo a quello sumerico, seppure con interessanti differenze, che discuteremo poi.

Dopo aver fatto nascere spontaneamente da Kháos sia Tártaros che G, Hēsíodos fa generare dalla terra G, «senza gradimento d'amore», cioè partogeneticamente, il cielo Ouranós e il mare Póntos:

Gaîa dé toi prton mèn egeínato îson he’ aut
Ouranòn asteróenth’, hína min perì pánta kalýptoi,
óphr’ eíē makáressi theoîs hédos asphalès aieí.
Geínato d’ Oýrea makrá, then kharíentas enaúlous,
Nymphéōn, haì naíousin an’ oúrea bēssḗenta.
Hḗ dè kaì atrýgeton pélagos téken, oídmati thuîon,
Pónton, áter philótētos ephimérou...
G per primo generò, simile a sé,
Ouranós stellato, perché l'avvolgesse tutta
e fosse per gli dèi una sede sicura per sempre;
generò gli alti monti, grato soggiorno per le Ninfe divine,
che hanno dimora nei monti ricchi di anfratti;
generò Póntos, mare infecondo,
di gonfiore furente, ma senza gioia d'amore.
Hēsíodos: Theogonía [-]

La cosmogonia esiodea si succede dunque in questo senso:

La tripartizione del mondo in cielo [ouranós], terra [g] e mare [póntos] sembra abbastanza naturale, in quanto è la stessa esperienza umana a dividere il mondo in questi tre «regni». È interessante notare che, in Hēsíodos, G appartenga a un livello diverso rispetto ad Ouranós e Póntos, suoi figli, futuri sposi e genitori delle successive generazioni divine. In qualche modo, Ouranós e Póntos sono visti come «speculari» nei confronti di G. Vi è equilibrio e tensione insieme, sia nella coppia OuranósG (dove l'uno avvolge la seconda in un abbraccio cosmico), sia nella coppia  PóntosG (dove il salso mare avvolge le terre in un abbraccio liquido). Subito dopo aver generato Ouranós, G innalza le sue montagne verso il cielo, come cercando di raggiungere il suo sposo.

Questo sistema si oppone però ad altre tradizioni che mettevano la terra, il mare e il cielo sullo stesso piano.

Ad esempio, Aristophánēs (±450-±388 a.C.), nella sua commedia Órnithes, gli «Uccelli» (✍ 414 a.C.), riporta una cosmogonia diversa da quella di Hēsíodos e, per certi versi, ancora più rigorosa. A parlare è il coro degli uccelli, auto-proclamatisi discendenti di Érōs:

Kháos hn kaì Nỳx Érebos te mélan prton kaì Tártaros eurýs,
g d' oud' aḕr oud' ouranòs hn, Erébous d' en apeírosi kólpois
tíktei prṓtiston hypēnémion Nỳx hē melanópteros ōión,
ex oû peritelloménais hṓrais éblasten Érōs ho potheinós,
stílbōn nton pterýgoin khrysaîn, eikṑs anemṓkesi dínais,
hoûtos dè Kháei pteróenti migeìs nýkhios katà Tártaron eurýn,
eneótteusen génos hēméteron, kaì prton anḗgagen eis phs.
Próteron d'ouk hn génos athanatōn, prìn Érōs xynémeixen hápanta;
xymmeignyménōn d' hetérōn hetérois génet' Ouranòs Ōkeanós te
kaì G pántōn te then makárōn génos áphthiton.
Da principio c'erano Kháos, Nýx, Érebos nero e l'ampio Tártaros,
ma non c'era terra, aria né cielo, e nel seno sconfinato di Érebos,
Nýx dalle nere ali genera anzitutto un uovo sollevato dal vento,
da cui nel cerchio delle stagioni sbocciò Érōs il desiderabile
dal dorso fulgente di due ali d'oro, simili a rapidi turbini di vento.
E costui di notte, unendosi con Kháos alato, nell'ampio Tártaros,
fece schiudere la nostre stirpe e per prima la condusse alla luce.
Allora non c'era stirpe immortale, prima che Érōs tutto fondesse,
ma essendo fuse le une alle altre, nacquero Ouranós e Ōkeanós,
e G e la stirpe senza distruzione di tutti gli dèi felici.
Aristophánēs: Órnithes [-]

Anche qui Kháos è citato per primo e, insieme ad esso, vi sono gli elementi oscuri dell'universo primigenio: Nýx, Érebos e Tártaros. Siamo in un ordine di idee primordiale, in cui predominano il vuoto e il buio. Érōs – esplicitato come entità a parte – viene generato da un uovo deposto da Nýx, motivo che rimanda alle concezioni orfiche. Solo in seguito vengono generati, tutti e tre a un medesimo livello, Ouranós e Ōkeanós e G, vale a dire i tre «regni» che compongono il mondo percepibile dall'uomo, il cielo, il mare e la terra (con Ōkeanós che sostituisce il Póntos esiodeo).

Questa struttura si riflette in una concezione attestata in Italia, dove Terra, Cælum, Mare (G, Ouranós e Póntos) sono i tre figli di Æther e Dies (Aithḗr ed Hēméra). Ne troviamo traccia in uno scritto di Cicero (De Natura Deorum [III: 44]), ma è esplicitarla è Hyginus astronomo, il quale scrive:

Ex Aethere et Die Terra Caelum Mare.

Da Æther e Dies: Terra, Cælum. Mare.
Hyginus: Fabulae [Praefatio: II]
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BIBLIOGRAFIA
Intersezione: Aree - Holger Danske
Sezione: Miti - Asteríōn
Area: Ellenica - Odysseús
Testi di Daniele Bello.
Ricerche di Daniele Bello e Dario Giansanti.
Theogonía: traduzione di Daniele Bello.
Creazione pagina:03.07.2011
Ultima modifica: 16.10.2015
 
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