DALLA TERRA, L'UOMO
L'idea, antichissima, che l'uomo sia stato creato dalla terra, � probabilmente il risultato della semplice
osservazione che, dopo la morte, il corpo umano si disf� e torna a essere tutt'uno con la terra. Mentre la nascita sembra legata all'acqua, la morte �
connaturata alla terra. I nostri antenati dovettero dedurre, e giustamente, che
il corpo umano aveva la stessa natura e origine della terra impastata con
l'acqua, morbida e malleabile. Ma al contrario di quella, che era solo materia
inanimata, l'immagine umana era viva e calda, cosciente e dotata di ragione.
C'era dunque, nella terra in cui era stato impresso lo stampo dell'uomo, un
misterioso ingrediente che sosteneva la magia della vita e l'enigma della
coscienza. Qualunque cosa fosse
questo respiro vivente che permeava la materia umana, abbandonava il corpo al
momento della morte, e l'uomo tornava a mescolarsi con la terra.
Questa concezione sembra connaturata all'idea che gli uomini
hanno sempre avuto della loro natura. In ebraico la parola āḏām �uomo�
� etimologicamente legata ad ăḏāmāh �terra�, e anche
in latino le parole homo e humus mostrano una certa correlazione.
Creato dagli d�i sulla ruota di un vasaio, quindi come creazione artigianale di
una divinit�, l'uomo presentava una natura che non poteva essere per�
ridotta alla pura materia che lo componeva. I miti antropogonici si premurano a
spiegare il mistero di questa presenza soprannaturale che tiene insieme la creta
altrimenti inanimata dei nostri corpi: siamo insieme materia e spirito, corpo
grossolano e anima soprannaturale. I miti cercano di spiegare la natura e il
perch� di questa scintilla divina e lo fanno mettendo in atto una
consustanzialit� tra l'uomo e il dio che lo aveva plasmato. Ma rimane il problema pi� grande: se un
dio ci ha creati e ci ha dato il suo sangue, il suo respiro, ci ha reso
partecipi della sua natura divina, perch� in noi esiste l'imperfezione? Perch�,
dopo averci creati, gli d�i ci hanno condannato al dolore, alla sofferenza e
alla morte?
|
Il Creatore, allorquando plasm� adorne forme e nature,
per qual ragione mai le gett� sotto imperio di morte?
Se ben riuscita era l'Opera, perch� mandarla in frantumi?
E se mal riuscita era, di chi, dunque, la colpa? |
ʿOmar Ḵayyām: Robāʾiyyāt
[31] |
Di chi, dunque, la colpa?
|
IN MESOPOTAMIA:
�QUANDO GLI D�I ERANO UOMINI�
 |
Tavolette del �Poema di Atraḫas�s� |
British Museum, Londra |
Iniziamo il nostro viaggio alle origini della condizione umana,
da un testo di epoca paleobabilonese, i cui primi frammenti furono trovati da
John Smith, negli anni '30 del secolo scorso, tra le rovine della Biblioteca di
A��ur-b�ni-apli (Assurbanipal, 668-627 a.C.), negli scavi dell'antica Ninive. Il testo
venne subito conosciuto come �poema di Atraḫas�s�, in quanto il
frammento che era venuto alla luce trattava una delle varie versioni
mesopotamiche del mito del diluvio e Atraḫas�s era appunto
il nome del no� in questa versione della vicenda. Si sarebbe poi scoperto che
il testo era solo una copia recente di un poema assai pi� antico. Nel corso
degli anni successivi vennero alla luce una ventina di altri frammenti,
appartenenti a epoche e luoghi diversi. Spesso si trattava di rielaborazioni di
testi pi� antichi piuttosto che copie fedeli, a testimonianza della fortuna del
poema originale. Il frammento pi� antico, minuziosamente ricopiato da un
�giovane scriba� chiamato N�r-Aya, risaliva al regno di Ammiṣad�qa (1646-1626 a.C.),
dunque di epoca paleobabilonese.
Il coscienzioso scriba aveva annotato anche la data precisa in
cui le tavolette erano state ultimate e vi aveva aggiunto dei sunti col numero di linee di
ogni tavoletta, nemmeno avesse previsto il duro lavoro di ricostruzione del
testo che avrebbe impegnato gli archeologi trentacinque secoli pi� tardi.
Soltanto nel 1956, dopo aver collegato tra loro tutti i frammenti, l'assiriologo
danese J. L�ss�e ricostru� l'ordine giusto del testo e dimostr� che il �Poema di Atraḫas�s� era in
realt� una sorta di Genesi
babilonese, che abbracciava tutta la storia dell'umanit� dalla
creazione alla nascita della civilt�.
Il titolo originale era En�ma il�
aw�lum �Quando gli d�i erano uomini�, dall'incipit
del poema.
i-nu-ma i-lu a-wi-lum
ub-lu du-ul-la iz-bi-lu �u-up-�i-[i]k-ka
�u-up-�i-ik i-li ra-bi-[m]a
du-ul-lu-um ka-bi-it ma-a-ad �a-ap-�a-qum
ra-bu-tum a-nun-na-ku si-bi-it-tam
du-ul-lam �-�a-az-ba-lu i-〈gi-gi〉
a-nu a-bu-�u-nu �a[r-r]u
[m]a-li-ik-�u-nu q�-ra-d[u] en-lil
[gu₅-u]z-za-lu-�u-n[u] [ni]n-urta
[�] gal-lu-�u-nu [en]-nu-gi
[q]a-tam i-ḫu-zu qa-ti-�a
is-q�-am id-du-� i-lu iz-zu-zu
〈a-nu〉 i-te-li �[a-me]-〈e〉-�a
[� �] � � � 〈er〉-ṣe-tam ba-�-la-〈tu〉-u�-�u
[�i-ga-ra n]a-aḫ-ba-li ti-a-am-tim
[it-ta-a]d-nu a-na en-ki na-a�-�i-〈ki〉
[i�-tu a-nu-u]m i-lu-〈� �a〉-me-e-�a
[� en-ki a-na a]p-si-〈i〉 [i]-ta-ar-du
...] � � [�]a-ma-i
...] � [e]-lu i-gi-gi
...] i-ḫe-er-ru-nim
...n]a-p�-�-ti ma-tim
...i]-ḫe-er-ru-nim
...na-p]�-�-ti ma-tim
...idi]glat na-ra-am
...] �-di/ki-tam |
Quando gli d�i erano uomini
erano di servizio e portavano il canestro di lavoro;
il canestro di lavoro degli d�i era troppo grande,
pesante il lavoro, infinita la fatica.
Infatti i grandi Anunnaki,
i sette,
avevano imposto il
servizio agli
Igigi!
Padre di tutti, Anu, ne era il re;
il prode Enlil il consigliere;
Ninurta, il comandante,
ed Ennugi il caposquadra.
Essi avevano battuto le mani (?)
gli d�i avevano gettato le sorti e suddiviso i propri domini:
Anu era salito in cielo;
Enlil aveva avuto la terra
come dominio (?),
[e il chiavistello] che barrica il mare
era stato assegnato al principe
Enki.
[Quelli di An]u salirono al cielo,
[quelli di
Enki] scesero nell'Aps�;
[allora gli Anunnaki] celesti
[imposero] agli Igigi il canestro di lavoro.
[E gli d�i] scavarono i corsi d'acqua,
[e aprirono canali] che vivificarono la terra.
[Gli Igigi] scavarono i corsi d'acqua,
[e aprirono canali] che vivificarono la terra.
[Cos� crearono] il corso del Tigri
e dopo [quello dell'Eufrate]. |
En�ma il� aw�lum [I: -] |
Troviamo, alle origini del mondo, una situazione di
semi-schiavit�. Divinit� maggiori che impongono il lavoro alle minori. Questo
testo non dice come gli d�i fossero nati, e nemmeno perch� appartenessero a due
schiatte distinte: gli Anunnaki e gli
Igigi, con i primi che impongono sui secondi la
loro autorit�. Il testo ci dice soltanto che i tre massimi d�i avevano tirato a
sorte i propri domini, e che Anu aveva ricevuto il
cielo, Enlil la terra e ad
Enki era stato assegnato il compito di trattenere al suo posto le
debordanti acque dell'abisso.
L'idea che gli d�i siano costretti a lavorare ha una
sua logica, in quanto nell'antichit� si riteneva che gli d�i venissero nutriti
dagli uomini attraverso i sacrifici. Offrire primizie o immolare
un agnello richiede un lungo lavoro preliminare: bisogna pascolare le greggi e
coltivare i campi; per far questo � necessario
che i pascoli siano fertili e i terreni ben irrigati: bisogna scavare canali e
portare l'acqua dal fiume. Bisogna costruire muretti divisori e rendere solidi i
canali, e servono dunque mattoni, e qualcuno dovr� trovare l'argilla,
impastarla, metterla negli stampi e farla seccare. Altri dovranno portare i
mattoni, e i capimastri dovranno vagliare i progetti. Ecco dunque che gli d�i
stessi sono costretti a sobbarcarsi questi ingrati lavori, affinch� le primizie
possano essere offerte e gli agnelli giungano agli altari.
Non c'� dunque da stupirsi se gli d�i pi� antichi obblighino
i pi� giovani a dure corv�e di lavoro. Integrando il testo di N�r-Aya, in questo
punto lacunoso, con la posteriore recensione assira, risultano fatiche
massacranti:
ma i-za-bi-lu tup-�i-ka
ma i-za-bi-lu tup-�i-ka
ma i-za-bi-lu tup-�i-ka
ma i-za-bi-lu tup-�i-ka |
[Per 10 (?) anni], essi
portarono il canestro di lavoro...
[Per 20 (?) anni], essi portarono il canestro di lavoro...
[Per 30 (?) anni] essi portarono il canestro di lavoro...
[Per 40 (?) anni] essi portarono il canestro di lavoro... |
En�ma il� aw�lum [K8562: -] |
E ritornando al testo paleobabilonese:
...k]a?-la �a-d�-i
[�an�tim im-nu-�] �a �u-up-�i-ik-ki
...] � ṣ�-ṣi-a ra-bi-a
[�an�tim im]-nu-� �a �u-up-�i-ik-ki
...] � 40 �an�tim at-ra-am
[� � du]-ul-lam iz-bi-lu mu-�i � ur-ri |
[Quando ebbero ammucchiato (?)] tutte le montagne,
[fecero il conto dei loro anni] di servizio.
[Quando ebbero organizzato (?)] la grande pianura
meridionale
[fecero il conto] dei loro anni di servizio:
[Duemila e] cinquecento anni, e pi�,
che essi avevano, giorno e notte, sopportato questo
pesante servizio! |
En�ma il� aw�lum [I: -] |
A questo punto gli Igigi si ribellano.
All'inizio sono un po' incerti sul da farsi e sperano che
Ninurta, il loro comandante, li sollevi dall'incarico, quindi decidono di
recarsi dallo stesso Enlil. Ma gli animi sono
esacerbati e la protesta si trasforma in aperta rivolta. Un dio il cui nome �
scomparso a causa di una lacuna della tavoletta, si leva e lancia un appello ai
suoi fratelli Igigi perch� dichiarino guerra
a Enlil. Allora gli Igigi
gettano nel fuoco le zappe, bruciano gli utensili, d�nno le gerle alle fiamme, e
nella notte illuminata dalla luce rossastra dei fuochi, si recano in massa
all'Ekur, la �casa-montagna�, e circondano il palazzo di Enlil. Si profila una vera e propria sommossa contadina, che il
testo descrive con estremo realismo. Sembra che le guardie dell'Ekur cerchino di
contenere la folla e si accende un tafferuglio che si propaga fino alle porte
del palazzo.
� Kalkal, il custode delle porte
dell'Ekur, a correre da Nuska, il messaggero di
Enlil, che a sua volta si precipita nella camera
dove il sovrano degli d�i sta riposando, ignaro di quanto sta accadendo
alle porte della sua dimora. Il testo insiste sulla totale ignoranza del dio
riguardo agli avvenimenti, quasi voglia mettere in evidenza il contrasto tra il
beato ozio di Enlil e la dura fatica a cui sono
costretti gli Igigi.
Enlil, sorpreso e spaventato per
l'arrivo degli insorti, fa subito barricare le porte.
Nuska gli dice: �Mio signore, sei
pallido per il terrore. L� fuori sono i tuoi figli: cosa temi?� Ma anche questo richiamo alla consanguineit� tra
Enlil e i
giovani Igigi, non calma il re degli d�i.
Allora Nuska consiglia a
Enlil di far scendere Anu dal cielo e di far
salire Enki dagli abissi per avere il loro aiuto.
Tutti gli Anunnaki
giungono nell'Ekur e si riuniscono in un'assemblea [puḫrum] assai
concitata. Enlil spiega ai grandi d�i la
situazione, dicendosi stupito che la folla degli Igigi
infuri dinanzi alla porta della sua dimora. Anu
suggerisce che Nuska vada a informarsi presso gli
Igigi della ragione che li ha spinti ad
agire con tanta violenza. Invece, Enlil ordina a
Nuska di presentarsi armato dinanzi agli d�i in
rivolta e di chiedere loro di denunciare gli istigatori della battaglia. La
differenza tra il consiglio moderato di Anu e il
messaggio che Enlil invia agli
Igigi attraverso Nusku,
rivela una diversa valutazione della situazione. Anu
ed Enlil sembrano rappresentare rispettivamente il
potere legislativo e quello esecutivo: il dio-cielo cerca di comprendere la
causa del malcontento, mentre il dio-vento non si interessa che alla ricerca di
un
colpevole da punire.
Nusku obbedisce, esce dal
palazzo e trasmette agli Igigi il messaggio
di Enlil. Il portavoce degli
Igigi risponde:
ni-i�-ku-u[n � � -ni]
i-na k[ala-ak-ki] [...]
�u-up-�i-ik-[ku at-ru id-du-uk-ni-a-ti]
ka-bi-it du-[ul-la-ni-ma ma-a-ad �a-ap-�a-qum] |
�Noi abbiamo impegnato tutte le
nostre [forze]
in questo [continuo smuovere terra (?)] [...]
l'eccessiva fatica ci ha uccisi!
Troppo pesante era il nostro [lavoro, infinita la nostra fatica]!� |
En�ma
il� aw�lum [I: -] |
Nusku riferisce al consiglio degli
Anunnaki la risposta degli
Igigi. A quelle parole,
Enlil comincia a versare lacrime, poi chiede ad Anu
di dividere con lui la funzione regale e di assumere il potere per fronteggiare
la guerra, e lo invita infine a convocare un dio fra gli ammutinati e dargli la
morte in presenza di tutti gli Anunnaki, per
impartire un esempio. Ma Anu ed
Enki sono pi� concilianti. Fanno notare che le
fatiche imposte agli Igigi sono
effettivamente troppo pesanti e che per troppo tempo il loro grido di protesta
� stato ignorato. Cos� agli d�i viene chiesto di trovare una soluzione, di
trovare un sostituto che possa sollevare gli Igigi
dal loro lavoro e che si accolli la fatica al loro posto.
Enki si rivolge allora alla dea
madre e le chiede di creare un lull�, un nuovo tipo di essere vivente,
perch� porti il giogo del lavoro in vece degli d�i. Costei viene qui chiamata
Nintu �signora del parto�, ma la tradizione
mesopotamica le attribuisce molti altri nomi, tra cui Mami
�levatrice� e, in accadico,
B�lit-il� �signora degli d�i�, mentre compare come
Aruru nello �a nagba �muru,
l'epopea di Gilgame�. Il poema prosegue in tal modo:
wa-a�-〈ba-at〉 b[e-le-et-�-l� ��-as-s]�-ru
[�]�-as-s�-ru li-gim?-ma?-a 〈li〉-ib-ni-ma
�u-up-�i-ik ilim a-wi-lum li-i�-�i
il-ta-am is-s�-� i-�a-lu
tab-s�-ut il� e-ri-i�-tam ma-mi
at-ti-i-ma ��-as-s�-ru ba-ni-a-〈at〉 a-wi-lu-ti
bi-ni-ma lu-ul-la-a li-bi-il₅ ab-�a-nam
ab-�a-nam li-bi-il �i-p�-ir en-l�l
�u-up-�i-ik ilim a-wi-lum li-i�-�i |
�Poich�
B�lit-il� � qui,
� lei che metter� al mondo e creer�
l'uomo per compiere il lavoro degli d�i!�
Interpellando dunque la dea domandarono
alla levatrice degli d�i,
Mami l'esperta:
�Sarai tu la matrice per produrre gli uomini?
Crea il prototipo umano [lull�]: che porti il nostro giogo
che porti il giogo imposto da
Enlil.
Che l'uomo si carichi della fatica degli d�i!� |
En�ma
il� aw�lum [I: -] |
Ha inizio cos� lo splendido e complesso racconto della creazione dell'uomo.
Per cominciare, la dea esige che Enki le porti l'argilla adatta con cui operare, la
quale costituir� materia prima da cui saranno tratti i feti.
Enki prepara dei bagni di purificazione, perch� ora
sar� necessario procedere al sacrificio di un dio: ma ci� non avverr� per dare
l'esempio agli insorti, come Enlil aveva proposto,
ma perch� solo cos� � possibile conferire alla nuova creatura uno spirito
immortale.
en-ki pi-a-�u i-pu-�a-am-ma
is-s�-qar a-na il� ra-bu-ti
i-na ar-ḫi se-bu-ti � �a-pa-at-ti
te-li-il-lam lu-�a-a�-ki-in ri-im-ka
ilam �-te-en li-iṭ-bu-ḫu-ma
li-te-el-li-lu il� i-na ṭi-〈i〉-bi
i-na �i-ri-�u � da-mi-�u
nin-tu li-ba-al-li-il ṭi-iṭ-ṭa
i-lu-um-ma � a-wi-lum
li-ib-ta-al-li-lu pu-ḫu-ur i-na ṭi-iṭ-ṭi
aḫ-ri-a-ti-i� u₄-mi up-pa i ni-i�-me
i-na �i-i-ir i-li e-ṭe-em-mu li-ib-�i
ba-al-ṭa it-ta-�u li-�e-di-〈�u〉-ma
a�-�u la mu-u�-�i-i e-ṭe-em-mu li-ib-�i
i-na pu-�ḫ-ri i-pu-lu a-an-na
ra-bu-tum a-nun-na
pa-q�-du �i-ma-ti |
Enki apr� allora la bocca
e si rivolse ai grandi d�i:
�Il primo del mese, il sette o il quindici,
decreter� una purificazione con abluzione.
Allora si immoler� un dio,
prima che (?) gli d�i si purifichino con l'immersione.
Con la sua carne e il suo sangue
Nintu mescoler� dell'argilla,
in modo che il dio e l'uomo,
siano mescolati insieme nell'argilla,
e d'ora innanzi, saremo liberi!
Grazie alla carne divina, vivr� nell'uomo uno spirito
che lo manterr� sempre vivo anche dopo la morte,
e questo Spirito esister� per preservarlo dall'oblio!�
E risposero �S�!� tutti insieme,
i grandi Anunnaki,
assegnatori dei destini. |
En�ma il� aw�lum [I: -] |
Il dio scelto per il sacrificio ha nome Weʾe
(o, secondo i sumerogrammi, Ge�ti-e).
Difficile dire chi sia questa divinit�, che non compare precedentemente,
a meno che non sia l'anonimo personaggio che aveva istigato gli
Igigi alla rivolta. Il testo lo presenta con
una frase assai significativa: �Weʾe il dio che ha l'intelligenza� [Weʾe ilu �a
i�u ṭ�ma] [I: ]. L'espressione Weʾe ilu, �Weʾe il dio�, � foneticamente simile alla parola
accadica per �uomo� [aw�lu/am�lu]. Ed � proprio nella differenza tra il
dio [ilu] e l'uomo [aw�lu] che gioca, anche sul piano linguistico,
l'intero poema; un gioco dichiarato fin dal suo paradossale incipit,
�quando gli d�i erano uomini�, con quell'allitterazione il� aw�lum,
che prelude gi� alla trasfigurazione Weʾe ilu → aw�lu.
we-e-i-la �a i-�u-〈�〉 ṭe-e-ma
i-na pu-�ḫ-ri-�u-nu iṭ-ṭa-ab-ḫu
i-na �i-ri-�u � da-mi-�u
nin-tu �-〈ba〉-li-il ṭi-iṭ-ṭa |
Weʾe il dio che ha
l'intelligenza
essi immolarono nell'assemblea.
Con la sua carne e il suo sangue
Nintu mescol� l'argilla. |
En�ma il� aw�lum [I: -] |
Mescolando la carne [�iru] e il sangue [damu] di
Weʾe con l'argilla che Enki le
ha
recato, la dea Nintu infonde nella materia
inanimata un eṭemmu, senza il quale l'argilla evidentemente non pu�
essere pervasa dal calore e dalla pulsazione della vita. E tale eṭemmu
sar� anche quell'elemento indeperibile che dopo la morte non ritorna alla
terra e non ridiventa polvere, ma continua ad esistere. L'eṭemmu
� il �doppio� dell'uomo, � l'anima che si cala negli inferi, oppure lo spettro
che si aggira per il mondo reclamando ai viventi offerte,
preghiere o una corretta sepoltura.
Creata cos� questa �argilla vivente�, Nintu chiama tutti i grandi d�i [il�ni rab�ti],
termine con cui non sono compresi soltanto gli
Anunnaki, ma anche, per la prima volta, gli
Igigi, ormai divenuti pari agli altri,
invitandoli a sputare nell'impasto, cosa che essi fanno. In questa azione �
certo presente l'uso dei vasai mesopotamici che sputavano
effettivamente sulla pasta prima di staccarne delle porzioni, ma sottolinea
anche il rifiuto da parte degli Igigi del
loro antico destino di manovalanza, destino di cui ora verr� caricata la nuova
creatura.
[m]a-mi pi-a-�a te-pu-�a-am-ma
[is-s]�-qar a-na i-li ra-bu-tim
[�i-i]p-ra ta-aq-bi-a-ni-im-ma �-�a-ak-l�-il
i-lam ta-aṭ-bu-ḫa q�-du ṭe-mi-�u
ka-ab-tam du-ul-la-ku-nu 〈�-�a-as〉-s�-ik
�u-up-li-ik-ka-ku-nu a-wi-[l]am e-mi-id
ta-a�-ta-ʾi-ṭa ri-ig-ma a-na 〈a-wi-lu〉-ti
ap-ṭ�-ur ul-la an-du-ra-[ra a�-ku-u]n |
Poi Mami apr� bocca
e si rivolse ai grandi d�i:
�[Il lavoro] che mi avete ordinato
io l'ho compiuto!
Voi avete immolato questo dio con la sua intelligenza,
io vi ho liberato dal vostro pesante lavoro,
io ho imposto la vostra fatica all'uomo.
Voi avete imposto il lamento all'umanit�,
io ho reciso la vostra catena e voi siete liberi!� |
En�ma il� aw�lum [I: -] |
A questo punto tutti gli d�i corrono grati ad abbracciare le
ginocchia di Nintu/Mami
e le d�nno il nuovo nome di B�lit-kala-il� �signora
di tutti gli d�i�. Ora non resta che trarre, dall'informe argilla, i primi
esseri umani, ma disgraziatamente il testo s'interrompe qui, essendo il seguito
andato perduto. Altri frammenti di diversa provenienza (uno da Ninive, un altro
neo-assiro, un terzo paleo-babilonese) ci aiutano tuttavia a ricostruire il
proseguo del mito.
L'azione si sposta nel b�t �imti, �la sala dei
destini�, dove assistiamo ai diversi processi che porteranno dalla formazione
del feto, dalla permanenza nell'utero fino alla sua espulsione al momento del
parto. Enki e Nintu
entrano da soli in questo sacro luogo, portandovi l'impasto di argilla e carne e
sangue, e iniziano un processo compiuto ora da Enki,
ora da Nintu, in cui l'alternanza dei gesti
permette a ciascuno di definire il campo d'azione che gli � proprio.
Enki provvede a plasmare l'argilla sotto gli occhi
di Nintu, la quale ripete le formule che
Enki le detta
coscienziosamente. Quando ha terminato di declamare le formule,
Nintu stacca quattordici pani d'argilla: ne mette
sette a destra e sette a sinistra di una bassa parete di mattoni. I quattordici
pani sembra vengano pressati in altrettanti stampi o �uteri�: da sette di essi
nasceranno degli uomini, dagli altri sette delle donne, i quali si disporranno
in altrettante coppie. Nintu stabilisce cos� le
regole della gravidanza e della nascita, che da allora faranno parte del mondo.
Il testo paleo-babilonese sembra descrivere la maturazione di questi archetipi
umani: lo sviluppo dei seni nelle fanciulle e l'apparire della barba nei
ragazzi. Nintu, accovacciata, tiene il conto del
tempo. Quando alla fine arriva il momento fissato per il parto, al
decimo mese lunare, la dea, felice e con la testa coperta, fa da levatrice.
Viene cos� creato l'uomo, che pu� accollarsi
il duro lavoro che era stato degli d�i.
al-li ma-ar-ri ib nu-� e�-[re]-ti
i-ki ib-nu-� ra-bu-t[im]
bu-bu-ti-i� ni-�i ti-i-ti-i� [i-li] |
[E gli uomini] costruirono nuovi picconi e zappe,
poi edificarono grandi dighe di irrigazione
per provvedere alla fame degli uomini e al cibo degli d�i. |
En�ma
il� aw�lum [I: -] |
Altri testi mesopotamici � sumeri e accadici � narrano differenti versioni del mito antropogonico. Nella
maggior parte di esse viene confermato il ruolo creatore di
Enki/Ea nel plasmare
l'umanit� dall'argilla, e viene anche confermato che gli uomini esistono per sopperire al lavoro degli d�i. Nel mito antropogonico della tavoletta KAR 4, informalmente intitolato dagli
studiosi �Racconto bilingue della
creazione� o �Sacrificio degli d�i alla�, un testo sicuramente anteriore alla fine del II millennio,
di cui possediamo una trascrizione goffamente redatta in duplice versione
sumerica e accadica, l'impresa viene compiuta in un luogo chiamato �fabbrica della
carne� [uzu.mu₂.a]:
|
E i grandi d�i, l� presenti, con gli
Anunnaki che assegnano i destini,
risposero in coro ad Enlil:
�Nella fabbrica della carne [uzu.mu₂.a] di Duranki [Nippur]
dobbiamo immolare due (?) alla divini,
e dal loro sangue far nascere gli uomini!
Il lavoro degli d�i sar� il loro lavoro:
delimiteranno i campi una volta per tutte,
e prenderanno in mano zappa e cesta,
per il profitto della casa dei grandi d�i, degna sede dell'alto podio!
Aggiungeranno zolla a zolla,
delimiteranno i campi una volta per tutte.
Metteranno in funzione il sistema d'irrigazione
per irrigare ovunque
e far germogliare ogni specie di pianta...� |
KAR 4
[-] |
Viene cos� generata la prima coppia umana:
Ullegarra e Annegarra,
rispettivamente �creato per il cielo� e �creato per l'eternit�. I loro compiti
sono dichiarati dal testo: essi dovranno far prosperare i campi di grano degli
Anunnaki, curare il bestiame, accrescere
l'abbondanza del paese e celebrare a tempo debito le feste degli
d�i.
Chi siano esattamente gli alla (o lamga
come si leggeva nelle vecchie traduzioni) non lo sappiamo: ma � evidente che anche
qui la creazione degli uomini, destinati al lavoro e alla
fatica, viene compiuta tramite il sacrificio di uno o due d�i. Come nell'En�ma
il� aw�lum, si riteneva evidentemente che lo spirito umano non potesse essere
un prodotto dell'argilla di cui l'uomo era composto, ma potesse provenire soltanto dagli d�i. Questo motivo ricomparir� ancora nell'En�ma el�
babilonese, dove � Ea
(nomen babilonese di
Enki) a creare l'umanit�, ma questa volta a essere
sacrificato � Qingu, alleato e amante di
Ti�mat, che Marduk
aveva sconfitto nella grande battaglia contro le acque primordiali. Questa scena
aggiunge ben poco a ci� che sappiamo dell'antropogonia mesopotamica, ma conferma i punti fino ad ora enumerati.
|
[Marduk] apr� dunque la bocca e disse a Ea
spiegandogli il progetto che aveva chiuso nel cuore:
�Voglio condensare del sangue, costituire un'ossatura
e creare cos� un prototipo di essere che si chiamer� Uomo!
Questo prototipo, questo Uomo, voglio crearlo
perch� gli siano imposte le fatiche degli d�i e che essi
abbiano tempo libero.
Nuovamente, voglio render pi� gradevole la loro esistenza,
affinch� anche se separati in due gruppi siano ugualmente
onorati�.
Come risposta, Ea gli pronunci� queste parole,
comunicandogli il suo progetto per il divertimento degli
d�i:
�Che mi sia dato uno dei loro fratelli:
costui perir� perch� siano creati gli uomini!
Che i grandi d�i si riuniscano
affinch� sia scelto il colpevole, gli altri saranno sani e salvi!�
Marduk, radunati dunque gli
d�i,
li comand� benevolmente e diede i suoi ordini;
e quando apr� la bocca tutti gli d�i ascoltarono con
rispetto.
Il re [Marduk] rivolse dunque queste parole agli
Anunnaki:
�Fino ad ora voi non avete mai detto che la Verit�, certo!
Ebbene, non pronunciate ancora che parole veritiere!
Chi ha ordito il combattimento,
spinto alla rivolta Ti�mat e organizzato la battaglia?
Che me lo si porti, colui che ha ordito il combattimento,
che gli infligga il suo castigo affinch� voi stiate in
ozio!�
Gli Igigi, i grandi d�i, gli risposero,
a lui, lugal-dimmer-an-ki-a, il re del cielo e della terra, loro signore:
�Qingu soltanto ha ordito il
combattimento,
spinto alla rivolta Ti�mat e organizzato la battaglia!�
Venne dunque [Qingu] incatenato e messo di fronte ad
Ea:
poi per infliggergli il suo castigo, fu dissanguato,
e con il suo sangue Ea cre� l'Umanit�
alla quale impose il lavoro degli d�i liberando questi
ultimi. |
En�ma el� [VI: -]
|
Nell'En�ma el� il motivo
della creazione dell'uomo � secondario: lo troviamo associato alla grande narrazione
della guerra che oppone gli d�i ad Aps� e
Ti�mat e coscienziosamente sbrigato prima di
passare alla glorificazione di Marduk. Tutti i
dettagli narrati nell'En�ma il� aw�lum qui si d�nno
per scontati: agli autori dell'En�ma el�
preme soltanto di dividere tra
Enki/Ea e
Marduk la responsabilit� della creazione dell'uomo.
L'antica antropogonia sumerica viene integrata nell'En�ma
el� ed adattata alle nuove necessit� teologiche.
Il sacrificio del dio Weʾe, nell'En�ma il�
aw�lum, si era reso necessario per creare l'uomo e
risolvere l'incresciosa situazione di liberare gli
Igigi dalla necessit� e dal peso del lavoro; anche se permane il dubbio che proprio
Weʾe fosse stato l'istigatore della rivolta degli
Igigi, la sua uccisione non si configura,
nel testo, come una vera e propria punizione. � vero,
Enlil aveva richiesto un castigo, ma alla sua rabbia erano subentrati gli inviti alla moderazione di Anu ed
Enki. Al contrario, Weʾe
sembra essere stato ucciso perch� dotato di �intelligenza� [ṭ�mu]. La sua carne e il
suo sangue, mescolati con l'argilla, costituiscono la materia prima del
prototipo
umano, ma � proprio dall'�intelligenza� [ṭ�mu] di Weʾe
che deriva lo �spirito� [eṭemmu] dell'uomo.
Invece, nell'En�ma
el�, Qingu viene punito per essersi ribellato. In questo testo la fedelt� di tutti gli d�i al
loro nuovo re Marduk � totale, e anzi, d�i sembrano
ben felici e ansiosi di compiacere Marduk con le
loro opere. � lo stesso Marduk, sovrano benigno e
compiacente, che si premura a liberarli in anticipo del gravame del loro lavoro.
La novit� del poema babilonese � che qui � Marduk
ad avere l'idea di creare un �prototipo di uomo�, anche se il delicato
compito della creazione spetta, come sempre, al saggio
Enki/Ea.
Ed � sempre
Enki/Ea, qui come nell'En�ma il�
aw�lum,
a richiedere il sacrificio di un dio affinch� la nuova creatura possa venire
creata. La punizione di Qingu servir� affinch� gli
d�i possano �stare in ozio�. Sussiste dunque qui la duplice motivazione: viene
ribadita l'autorit� giudiziaria di Marduk, e
intanto dal sacrificio di Qingu sar� creato l'uomo. |
IN GRECIA:
ANTROPOGONIE IN COMPETIZIONE Il mito della creazione
dell'uomo non � centrale nella mitologia greca, assai pi� interessata a
descrivere le relazioni, sempre conflittuali e appassionate, tra divinit� ed esseri umani.
Scartabellando la vastissima letteratura classica, non si fatica a trovare accenni a molti
distinti motivi antropogonici, evidente risultato di una complessa
stratificazione di miti e leggende, ed � arduo riuscire trarne un quadro
unitario. Manca in Grecia, ancor pi� che in Mesopotamia, un racconto
�canonico�, che possa fungere da guida attraverso le frastagliate contraddizioni
del corpus mitologico ellenico. E se da un lato la cosa � meno perdonabile, vista la maggiore
coerenza linguistica e culturale che la Grecia presenta rispetto alla
sovrapposizione di popoli dell'antico Medio Oriente, dall'altro,
la presenza, nel mondo ellenico, di tante distinte tradizioni in
competizione tra loro, rende la nostra analisi assai pi� interessante.
Scartabellando il materiale greco, rinveniamo molte distinte modalit� sul
modo in cui l'uomo venne ad esistere:
- I primi uomini spuntano dal suolo, figli della madre terra
G�. � una tradizione di origine pre-ellenica, attestata in
diverse versioni regionali (in Beozia, ad esempio, si
diceva che Alalkomene�s fosse stato il primo
uomo a scaturire dalla terra; in Arcadia, Pelasg�s
era emerso dal suolo gi� prima che in cielo splendesse la luna; a
Eleusi il primo uomo a sorgere dalla terra fu Dysa�lēs,
etc.), come testimonia Hippolytus Romanus (Refutatio Omnium Heresium [V:
vi: 3]).
Secondo una notizia riferita da Pl�tōn, gli ateniesi si ritenevano
autoctoni del fertile suolo attico, dal quale affermavano di essere
spontaneamente scaturiti (Men�xenos [237d-237e]).
- Gli uomini nascono dalle pietre. Variante del precedente mitema,
attestata nel mito di Deukal�ōn e
P�rrha, dove le pietre sono le �ossa� della
madre terra.
- Gli uomini si originano dagli alberi. Hēs�odos afferma che Ze�s
trasse la stirpe violenta dell'et� dell'oro dai frassini
(�rga ka� Hēm�rai [-]). � un mitema di probabile origine indoeuropea, almeno a
giudicare dai motivi omologhi attestati in Īrān e in Scandinavia.
- Gli uomini vengono plasmati nella terra, inumidita con l'acqua, per
opera di uno o pi� demiurghi. A effettuare l'operazione � di solito
Promēthe�s,
ma possono comparire nel ruolo anche
Hḗphaistos, Athēn�
o lo stesso Ze�s. Di probabile origine medio-orientale, � il mitema pi� diffuso presso gli autori antichi.
- Tra le varianti minori, ricordiamo la nascita degli Sparto� da una
seminagione di denti di drago, attestata nel mito di
K�dmos, e quella del popolo dei Myrmid�nes, creato da
Ze�s a partire dalle formiche dell'isola di
Egina.
In questa straordinaria variet� di fantasie antropogoniche,
quella che interessa a noi � l'operazione demiurgica, nella quale un dio plasma
i primi uomini a partire dalla terra, inumidita nell'acqua o
seccata dal fuoco. Il mito greco assegna questo compito a uno dei personaggi pi�
misteriosi e affascinanti del mito greco,
Promēthe�s.
Sanctius his animal mentisque capacius altae
deerat adhuc et quod dominari in cetera posset:
natus homo est, sive hunc divino semine fecit
ille opifex rerum, mundi melioris origo,
sive recens tellus seductaque nuper ab alto
aethere cognati retinebat semina caeli.
quam satus Iapeto, mixtam pluvialibus undis,
finxit in effigiem moderantum cuncta deorum,
pronaque cum spectent animalia cetera terram,
os homini sublime dedit caelumque videre
iussit et erectos ad sidera tollere vultus:
sic, modo quae fuerat rudis et sine imagine, tellus
induit ignotas hominum conversa figuras. |
Ma ancora mancava un essere pi� nobile di questi [gli
animali]
dotato di di pi� alto intelletto e capace di dominare sugli altri.
Nacque l'uomo, o fatto con divina semenza
da quel grande artefice, principio di un mondo migliore,
o plasmato dal figlio di Iapet�s [Promēthe�s],
a immagine degli d�i che tutto regolano,
impastando la terra ancora recente con acqua piovana,
che, da poco separata dall'alto etere, ancora conservava qualche germe celeste.
Mentre gli altri animali stanno curvi e guardano il suolo,
all'uomo egli dette un viso rivolto verso il cielo
e ordin� che fissasse, eretto, il firmamento.
Cos�, quella terra che fino a poco prima era grezza e informe,
sub� una trasformazione e assunse figure mai viste di uomini. |
Publius Ovidius Naso:
Metamorphoseon [I: -]
|
� la penna leziosa di Ovidius a fornirci il paradigma di sette secoli di
speculazione mitologica. Certo, siamo nel periodo augusteo, alla fine del
percorso mitografico classico. Il mito � ormai diventato materia
per artisti, e Ovidius ci gioca senza nemmeno pi� crederci. Rimane tuttavia la
consapevolezza, fortissima, che la creta umana debba possedere un quid
impalpabile, e con un colpo di genio Ovidius fa arrivare la scintilla divina al
prototipo umano mescolando l'impasto terreo con l'acqua pluviale, che ancora
contiene in s� la natura soprannaturale dell'etere celeste.
Che nel mito classico l'uomo sia creato a �immagine divina� [in effigiem
deorum], ci stupisce molto meno: � anzi, un divertente rovesciamento logico,
visto che i Greci, prima dei Romani, avevano disegnato le loro divinit� con
spiccati tratti antropomorfi. Un secolo e mezzo pi� tardi, il siriano Loukian�s Samosate�s (120-180/192) affronta il racconto antropogonico con
piglio irriverente, e cos� imbastisce l'autodifesa di
Promēthe�s,
a cui gli d�i contestano il �delitto� di aver voluto creare il genere umano, di
cui non si sentiva affatto il bisogno.
�Vengo ora a parlare della formazione degli uomini.
Questa accusa, o Hērm�s, ha due parti; e io non so
di che pi� m'incolpate, o che gli uomini non dovevano esistere affatto, ed era
meglio che rimanevano terra inerte ed informe; o pure che dovevano esser fatti,
ma di forma e d'aspetto diversi da quel che sono. [...]. In principio v'era la
sola specie divina e abitatrice del cielo; la terra era una cosa selvaggia ed
informe, tutta ispida di foreste dove non penetrava il giorno, e non aveva
altari n� templi: dov'erano allora le statue, i simulacri, e gli altri monumenti
che or si vedono dovunque, e con tanto onore venerati? Io, che sempre penso al
bene comune, e considero come accrescere la gloria degli d�i, [...] mi dissi che
sarebbe stata una cosa buona prendere un po' di creta, e comporne degli animali
dando loro una forma simile alla nostra [...]. Per� volli che quest'essere fosse
mortale, ma pieno d'industria, di senno, e di sentimento del bene. E dunque
mescendo terra ed acqua, come dicono i poeti, e fattane una poltiglia, plasmai
gli uomini: e chiamai Athēn� per aiutarmi
nell'opera. [...]. |
�Il bene che io ho fatto agli d�i per mezzo degli uomini,
vedilo, getta uno sguardo su la terra non pi� squallida ed orrida, ma abbellita
di citt�, di campi coltivati, di alberi fruttiferi; vedi il mare coperto di
navi, le isole abitate, altari, sacrifici, templi, solennit� in ogni parte,
piene tutte le vie e le piazze di immagini di Ze�s.
[...]. Non essendovi gli uomini, la bellezza dell'universo sarebbe rimasta senza
spettatori; e noi immortali saremmo ricchi di una ricchezza priva di ammiratori.
[...]. |
�Ma gli uomini sono ribaldi tra loro, tu mi dirai;
compiono adulteri, si sgozzano nelle guerre, sforzano le sorelle, insidiano alla
vita dei genitori. E fra noi non si fanno assai di queste cose? Dobbiamo allora
accusare Ouran�s e G� che ci han data l'esistenza? Forse mi dirai, che
per aver cura degli uomini � necessit� che ci sobbarchiamo la noia di molte
faccende. Dunque anche il pastore si lamenter� di possedere greggi, perch� poi �
costretto ad averne cura. Questa fatica � in realt� una dolcezza. � un pensiero
non privo di diletto, perch� ci d� un'occupazione. Che faremmo noi se non
avessimo a pensare a nulla? Ce la passeremmo in ozio a bere il nettare, a
riempirci d'ambrosia, senza far niente. Ma il maggior mio dispetto � che voi, i
quali mi biasimate di aver formati gli uomini, e massimamente le donne, vi
innamorate di esse, e non cessate di scender sulla terra divenendo ora tori, ora
satiri, ora cigni, e non disdegnate di generare semid�i con esse. |
�Ma si doveva, forse dirai, plasmare gli uomini, s�, ma
d'altra forma, e non simili a noi. E quale altra forma migliore della nostra, di
cui conosco l'altissima bellezza, avrei mai potuto propormi? Conveniva forse che
l'uomo fosse un animale stupido, feroce, e selvaggio? E come avrebbe fatto
sacrifici agli d�i, e resi altri onori a voi, se egli non fosse stato quale egli
�? Eppure quando vi offrono le ecatombe, voi non le rifiutate, ancorch� doveste
andare sino all'Oceano, agl'incolpabili Etiopi.� |
Loukian�s h� Samosate�s:
Promēthe�s ē Ka�kasos |
Alla poesia leziosa di Ovidius, Loukian�s oppone una
penna intinta nel vetriolo. Scrittore piacevolissimo e intelligente, Loukian�s
utilizza l'antichissimo tema antropogonico a fini
polemici, ma mostra di averne ben presenti gli addentellati mitici. � d'accordo
con Ovidius sul fatto che gli uomini partecipino della natura divina, anche se
nel caustico retore siriano non sono soltanto le facolt�
razionali e spirituali, che gli uomini hanno in comune con gli d�i, ma anche la capacit� di compiere misfatti e indulgere
ai vizi. In un mondo che oppone
uomini teomorfi a divinit� antropomorfe, questo rapporto di �immagine e
somiglianza� tra mortali e immortali copre l'intero spettro del nostro agire,
sia in quel che ci riempie di orgoglio, sia in ci� di cui dovremmo vergognarci.
Il secondo motivo, accennato in Ovidius ma meglio sviluppato in Loukian�s, �
che la presenza umana sia un ulteriore passo nel discorso cosmogonico. Che senso
avrebbe avuto un mondo deserto e selvaggio? L'uomo pu� addomesticarlo con strade
e citt�, civilizzarlo con edifici e giardini; colmarlo di letteratura, opere
d'arte e poesia. I miti antichi non
distinguono tra elementi naturali e culturali: il mondo presuppone allo stesso
modo gli uni e gli altri.
L'antropizzazione del territorio � il necessario punto di arrivo nel processo dal ch�os al k�smos.
Ma c'� ancora un altro punto, sul quale � bene insistere, sebbene sia assente
in Ovidius e sia appena accennato in Loukian�s: cosa sarebbe la divinit� senza
uno specchio in cui confrontarsi? Gli uomini sacrificano agli d�i. Senza
il genere umano, gli d�i sarebbero rimasti privi di onori, offerte e sacrifici. Loukian�s la prende alla lontana ma, come vedremo, il mito
antropogonico greco � come quello mesopotamico � non fa che girare attorno
a questo punto fondamentale.
 |
Promēthe�s modella il primo uomo, Athēn� gli
infonde il pensiero |
Frammento di un sarcofago romano (180-190 a.C.)
Museo del Prado, Madrid (Spagna) |
|
PROMĒTHE�S, IL DEMIURGO
Siamo partiti da Ovidius e Loukian�s perch� sono loro a tirare le somme della
mitografia classica, in epoca tarda, e anche perch� ci forniscono alcuni degli
esempi letterariamente pi� completi del mito della creazione dell'uomo per mano
di Promēthe�s.
Ma questo racconto era affiorato pi� volte nel corso della sterminata letteratura
greca e romana, a volte divenendo motivo centrale in opere di altissimo valore
poetico o filosofico. Non � agevole fornire una cernita
completa delle testimonianze letterarie su
Promēthe�s, ma non si pu� trascurare di citare innanzitutto il ciclo di
tragedie
che gli dedic� Aisch�los (525-456 a.C.). Di tre, ci resta solo la prima, il
Promēthe�s
desmṓtēs (�Promēthe�s
incatenato�), dove il figlio di Iapet�s
� presentato come creatore, maestro e difensore dell'uomo.
Pl�tōn (428/427-348/347 a.C.)
prende spunto dal mito di Promēthe�s
per trarne un interessante apologo sulla natura politica dell'uomo. Uomini e animali vengono creati insieme nel
sottosuolo. Giunto il momento di farli emergere sulla superficie della terra, Epimēthe�s
si offre di distribuire equamente le capacit� tra tutte le specie, in modo da dare a ciascuna i mezzi
adeguati per sopravvivere. Ma dopo aver operato un'attenta suddivisione, Epimēthe�s
si accorge di aver esaurito tutte le qualit� con gli animali e di aver lasciato
gli esseri umani
nudi e indifesi. Suo fratello Promēthe�s,
dona allora agli uomini il fuoco e la t�chnē,
rubati rispettivamente ad Hḗphaistos e ad
Athēn�: per questo furto verr� punito. In
seguito Ze�s doner� agli uomini la sapienza
politica, in modo da permettere loro di unirsi in gruppi sociali e collaborare per il
comune vantaggio. (Prōtag�ras [320c-320d]).
Echi del mito compaiono in molte altre fonti: un frammento di Sapphṓ
[207] e un altro di
Kall�machos
[493] si limitano a citarlo en passant.
Il favolista A�sōpos (�620-�560 a.C.) ne effettua delle variazioni
allegoriche [515 | 516 | 517 | 527 | 530 | 535].
Ma stiamo parlando di rielaborazioni letterarie, in cui il racconto prometeico viene piegato a fini poetici, polemici, drammaturgici,
filosofici, moralistici. Nessuna di queste fonti riferisce il racconto nella
sua nudit� �originale�. Unico mitografo, Apoll�dōros risolve il mito antropogonico in due
sole righe:
Dall'acqua e dalla terra,
Promēthe�s plasm� gli uomini e inoltre don� loro il fuoco
racchiudendolo, di nascosto da Ze�s, dentro una
canna. |
Apoll�dōros: Bibliothḗkē
[I: 7] |
Nient'altro. Ma che il mito demiurgico su
Promēthe�s fosse ben conosciuto a livello popolare, lo attesta il geografo Pausan�as (110-180), con una
deliziosa indicazione turistica: a Panope�s, nella Focide, si potevano
ammirare due macigni argillosi, del colore e del profumo della pelle umana; la
gente del luogo affermava fossero il residuo dell'impasto utilizzato da Promēthe�s per modellare i primi uomini
(Periḗgēsis [X: 4]).
Nonostante le numerose citazioni e rielaborazioni che s'inseguono in
un millennio di letteratura classica, il racconto demiurgico su
Promēthe�s sembra mancare di una versione principale. Gli autori greco-latini
non fanno che rifarsi a una tradizione comune e diffusa, ma non abbiamo
una Urquelle, una fonte primaria, originale. Se risaliamo fino
all'epoca pre-classica, quando la letteratura e la filosofia greca sono ancora a
stento distinguibili dal substrato mitologico, il mito antropogonico si fa
vago, evanescente, e ci scompare tra le dita. Escluso H�mēros,
assai pi� interessato alle imprese dei suoi re e guerrieri, rimane Hēs�odos,
nostra unica guida in questi stadi antichissimi. � con Hēs�odos che i miti
ellenici assumono la configurazione destinata a divenire canonica per la civilt� occidentale. E Promēthe�s � un
personaggio chiave nei due libri di Hēs�odos, per quanto non venga mai
presentato come creatore dell'uomo.
La porta per entrare nel mondo esiodeo � un verso degli
�rga ka� Hēm�rai,
le �Opere e i giorni�, dove leggiamo che...
...hōs hom�then geg�asi theo� thnēto� t' �nthrōpoi. |
...uomini e d�i hanno la stessa origine. |
Hēs�odos: �rga ka� Hēm�rai [] |
I primi tre d�i della stirpe olimpica, Ze�s, Poseid�n
e Aḯdēs, erano figli di Kr�nos,
il pi� giovane dei Tit�nes. Il
racconto viene sviluppato da
Hēs�odos nell'altra sua opera, la
Theogon�a, dove Ze�s
sconfigge i Tit�nes
in un'apocalittica battaglia, e, spodestato il padre Kr�nos,
diviene il nuovo re dell'universo.
A questo punto, affidandosi alla sorte, Ze�s
divide la potest� sull'universo con i suoi fratelli, e ciascuno prende possesso della sua
timḗ, in una scena calma e maestosa:
Tre�s g�r t' ek Kr�nou eim�n adelpheo� ho�s t�keto
Rh�a
Ze�s ka� egṓ, tr�tatos d' Aḯdēs en�roisin an�ssōn.
trichth� d� p�nta d�dastai, h�kastos d' �mmore tim�s;
ḗtoi egṑn �lachon poliḕn h�la nai�men aie�
pallom�nōn, Aḯdēs d' �lache z�phon ēer�enta,
Ze�s d' �lach' ouran�n eurỳn en aith�ri ka� neph�lēısi;
ga�a d' �ti xynḕ p�ntōn ka� makr�s �lympos. |
Tre sono i figli di Kr�nos
che Rh�a gener�.
Ze�s, io [Poseid�n], e terzo Aḯdēs
signore degli inferi.
E tutto in tre fu diviso, ciascuno ebbe una parte:
a me tocc� di vivere sempre nel mare canuto,
quando tirammo le sorti, Aḯdēs ebbe l'ombra
nebbiosa,
e Ze�s si prese il cielo fra le nuvole e l'etere;
comune a tutti la terra e l'alto �lympos rimane. |
H�mēros: Ili�s [XV: -] |
Se al lettore cominciano a fischiare le orecchie, ne ha ben donde: non
avevamo forse letto una scena simile nell'En�ma il�
aw�lum, anzi, talmente vicina al testo greco, da rappresentarne un
calco impressionante? I tre maggiori d�i, anch'essi tirando le sorti, si dividono la potest�
sulle sfere cosmiche che costituiscono l'universo:
[q]a-tam i-ḫu-zu qa-ti-�a
is-q�-am id-du-� i-lu iz-zu-zu
〈a-nu〉 i-te-li �[a-me]-〈e〉-�a
[��]��� 〈er〉-ṣe-tam ba-�-la-〈tu〉-u�-�u
[�i-ga-ra n]a-aḫ-ba-li ti-a-am-tim
[it-ta-a]d-nu a-na en-ki na-a�-�i-〈ki〉 |
Raggiunto un accordo (?)
i grandi d�i avevano estratto a sorte i propri domini:
Anu era salito in cielo;
Enlil aveva avuto la terra
come dominio (?),
[e il chiavistello] che barrica il mare
era stato assegnato al principe
Enki. |
En�ma il� aw�lum [I: -] |
Sappiamo come prosegue il mito mesopotamico: Anu e il suo seguito salgono in cielo,
Enki e il suo corteo
scendono nell'Aps�,
Enlil diviene signore della
terra; quindi gli Anunnaki
impongono agli Igigi
il canestro del lavoro, al fine di produrre la materia prima per i sacrifici.
In seguito questi ultimi si ribellano ed Enki,
dopo aver sacrificato uno degli Igigi,
impasta il suo sangue alla creta e crea
l'uomo affinch� si sobbarchi il mantenimento gli d�i.
La
Theogon�a esiodea mette in scena
un'analoga serie di rapporti di potere, risolvendoli in vario modo. Ze�s
usa dapprima la forza
contro i Tit�nes
e, dopo averli sconfitti, li scaraventa nel T�rtaros;
si affida poi a un tiro di astragali per dividere le tima� con i suoi fratelli. Se il
secondo motivo deriva direttamente dal tema mesopotamico, la battaglia tra
Ol�mpioi e Tit�nes
sembra derivare da un mitema differente: qui i collegamenti sono piuttosto indoeuropei. Nello schema,
tuttavia, la titanomachia occupa
la nicchia che in Mesopotamia � assegnata alla ribellione degli
Igigi.
A questo punto, il mito paleobabilonese metteva in scena la creazione
dell'uomo. Il racconto ellenico sembra prendere una strada diversa... ma non
fermiamoci all'apparenza. Ricordiamoci dell'affermazione di
Hēs�odos: �uomini e d�i hanno la stessa
origine�. Affermazione destinata a rimanere ingiustificata, in quanto
Hēs�odos, pur narrando delle primissime et� del
genere umano, � piuttosto reticente sui dettagli antropogonici. Non lo �
tuttavia su molti altri elementi. Infatti, mentre da Kr�nos
discendono gli Ol�mpioi, suo fratello Iapet�s
� padre di
Promēthe�s, il creatore del genere umano.
Questo Iapet�s
non � che una trasparente ellenizzazione di Yāẹṯ,
uno dei tre figli di
Noḥ, biblico antenato delle stirpi elleniche e indoeuropee in
generale. In un passo degli Oracoli Sibillini, testi apocalittici
giudaico-ellenistici, composti tra il II e il I sec. a.C., la divisione del
mondo in tre parti veniva effettuata tra i fratelli Kr�nos, Iapet�s
e
Tit�n, dopo il crollo della torre di Babele
(Oracula Sibyllina [III: -]). Tale
tradizione sembra fosse una versione ellenizzata del mito biblico di �ēm,
Ḥām e Yāẹṯ,
i quali si spartirono il mondo dopo il diluvio.
L'andamento della
Theogon�a non � sempre
consequenziale: Hēs�odos si muove avanti e
indietro, svolgendo i molteplici fili delle sue genealogie; sovente usa la
tecnica dell'h�steron pr�teron, raccontando i fatti a partire dalle loro
conseguenze, rendendoci difficile il compito di disporre gli eventi in un sicuro
percorso cronologico. � il caso della titanomachia. Quando Tit�nes
e Ol�mpioi sono sul punto di ormai
scagliarsi gli uni contro gli altri, e il lettore � carico nella spasmodica
attesa della grande battaglia, Hēs�odos si
blocca, cambia discorso e, agguantato un altro dei suoi innumerevoli fili, si
mette a parlarci della discendenza di Iapet�s. E
che discendenza! Quattro figli, tutti quanti eccessivi nella loro ambizione,
forza, sottigliezza o imprevidenza; tutti situati ai margini dell'ordine
cosmico, se non apertamente ribelli.
Ko�rēn d� Iapet�s kall�sphyron Ōkean�nēn
ēg�geto Klym�nēn ka� hom�n l�chos eisan�bainen.
Hḗ d� hoi �tlanta krater�phrona ge�nato pa�da;
t�kte d� hyperk�danta Meno�tion ēd� Promēth�a,
poik�lon aiol�mētin, hamart�no�n t� Epimēth�a,
h�s kak�n ex arch�s g�net� andr�sin alphēst�sin... |
Iapet�s, l' oceanina,
fanciulla dalle belle caviglie
spos�, Klim�nē, e ascese il suo talamo.
Ed ella gener�
�tlas dal cuore violento,
e partor� l'orgoglioso Meno�tios, e
Promēthe�s
versatile e astuto, e Epimēthe�s senza senno,
che fu causa del male per gli uomini che mangiano pane... |
Hēs�odos:
Theogon�a [-] |
I figli di Iapet�s sono destinati tutti, in un modo o nell'altro, a
venire puniti, o a divenire essi stessi strumenti di punizione. �tlas
verr� condannato a sostenere il cielo sulle spalle, sembra in punizione di aver guidato i Tit�nes
nella battaglia contro gli Ol�mpioi; Meno�tios
cadr�
fulminato dallo stesso
Ze�s a causa della sua arroganza e scelleratezza;
Promēthe�s finir� incatenato alle rocce del
Caucaso, Epimēthe�s verr� indotto ad accettare il
�male� costituito dalla prima donna, una condanna destinata a ripercuotersi su tutto
il genere umano. Ma non anticipiamo il nostro dramma, e procediamo un
passo alla volta.
� una strana coppia contrastiva, quella costituita da
Promēthe�s ed Epimēthe�s.
Due personaggi dai nomi parlanti: il �preveggente�
e il �postveggente�, il primo presentato fin da subito come �versatile� [poik�los]
e �astuto� [aiol�mētis], il
secondo �senza senno� [amart�noon].
Stando ad Aisch�los,
Promēthe�s fu
stratega di Ze�s durante la titanomachia, e possiamo immaginare quali preziosissimi servigi gli
abbia recato nel corso della
battaglia, contribuendo alla sua vittoria finale. Ma mentre la tragedia di Aisch�los insiste su questi dettagli,
Hēs�odos li ignora per concentrarsi su
un episodio �minore�: quello del sacrificio di Mēkṓnē
(� questo l'antico nome della citt� di Siky�nos/Sicione, nel
nord del Peloponneso).
L'incipit �
enigmatico:
Ka� gar h�t� ekr�nonto theo� thnēto� t� �nthrōpoi
Mēkṓnēı... |
Infatti, quando la loro contesa dirimevano gli d�i e i
mortali
a Mēkṓnē... |
Hēs�odos:
Theogon�a
[-] |
Una contesa tra d�i e uomini mortali? Di cosa stiamo parlando? Il problema non � da poco, tantopi�
che, fino ad ora, la
Theogon�a � stata tutto un susseguirsi di
generazioni titaniche e divine: non si era mai parlato di esseri umani. � solo
negli �rga ka� Hēm�rai che Hēs�odos
ci assicurer� sul fatto che essi esistevano gi� all'epoca di
Kr�nos. La
Theogon�a d� per scontata la loro esistenza,
e se ne ricorda d'un tratto.
Giunto al punto in cui
Ol�mpioi e Tit�nes
stanno ormai per scagliarsi
gli uni contro gli altri, nella grande battaglia che decider� il destino
dell'universo, Hēs�odos interrompe il racconto e,
lasciandoci con il fiato sospeso, inizia la non breve divagazione del sacrificio
di Mēkṓnē,
e la inizia in modo abrupto, dando tutte le premesse per scontate.
A questa ignota contesa tra d�i e uomini mortali accenna forse Aisch�los,
nel suo
Promēthe�s desmṓtēs, in cui il tit�n
afferma di essere intervenuto per salvare gli uomini da
Ze�s, che voleva sterminarli.
|
�Come si assise al trono di suo padre
[Ze�s]
divise le tima� tra gli d�i,
a ognuno i suoi, distribu� i poteri:
e non cont� i mortali, gl'infelici,
ma voleva annientare il loro seme
e seminare un'altra stirpe umana.
Nessuno gli si oppose, tranne me.
Io l'osai. E liberai i mortali
dall'essere dispersi nella morte.� |
Aisch�los:
Promēthe�s desmṓtēs |
Sappiamo poco o nulla su questo mito, che pure ha un riscontro nel seguito
dell'En�ma il� aw�lum, dove il crudele
Enlil tenta di distruggere a pi� riprese il genere
umano, ma Enki riesce ogni volta a salvarlo. Il
braccio di ferro tra le due divinit�, che ha per posta la sopravvivenza umana,
culmina, sia in Mesopotamia che in Grecia, nel diluvio universale, scatenato
rispettivamente da Enlil e da
Ze�s, e nel quale tutta l'umanit� viene annegata. Ma di nuovo, saranno
Enki e Promēthe�s, nei rispettivi
miti, a suggerire ai due no� della situazione (Atraḫas�s
e Deukal�ōn) di costruire un'arca per salvarsi. Ma
tratteremo in altra sede del diluvio: ci preme ora sapere con quali argomenti Promēthe�s
abbia potuto convincere Ze�s a risparmiare il
genere umano.
Gli argomenti in realt� sono abbastanza ovvi. Sono gi� presenti nella
brillante autodifesa che Loukian�s mette in bocca a Promēthe�s,
nel suo
Promēthe�s ē Ka�kasos, ma anche nelle antropogonie
mesopotamiche: gli uomini sono indispensabili agli d�i in quanto tributano loro
un culto e li nutrono con offerte e sacrifici. Ed � con un ovvio sacrificio che
Atraḫas�s si riappacifica con
Enlil, dopo il diluvio; e
Nōḥ non si comporter� in maniera differente nel mito ebraico.
Ma a ben guardare, c'� in atto un sacrificio anche a Mēkṓnē,
e sembra posto a chiusura dell'enigmatica �contesa� tra uomini e d�i, contesa di
cui Hēs�odos non specifica la natura.
Quel che gli interessa � che Promēthe�s sia
stato chiamato a officiare al sacrificio.
Ka� gar h�t� ekr�nonto theo� thnēto� t� �nthrōpoi
Mēkṓnēı, t�t� �peita m�gan bo�n pr�phroni thymōı
dass�menos pro�thēke, Di�s n�on exapaph�skōn.
To�s m�n gar s�rkas te ka� �ŋkata p�ona dēmōı en hrinōı kat�thēke kal�psas gastr� boe�ēı, tōı d� a�t� ost�a leyka bo�s dol�ēı ep� t�chnēı euthet�sas kat�thēke kal�psas arg�ti dēmōı.
Dḕ t�te min pros�eipe patḕr andr�n te the�n te; �Iapetion�dē, p�ntōn aride�ket' an�ktōn, � p�pon, ōs heterozḗlōs died�ssao mo�ras�. Hṓs ph�to kertom�ōn Ze�s �phthita mḗdea eidṓs.
T�n d'
a�te pros�eipe Promēthe�s aŋkylomḗtēs �k' epimeidḗsas, dol�ēs d' ou lḗtheto t�chnēs;
�Ze� k�diste m�giste the�n aieigenet�ōn, t�n d' h�le', hoppot�rēn se en� phres� thym�s anṓgei�. Ph� hra dolophron�ōn... |
Infatti, quando la loro contesa dirimevano gli d�i e i
mortali
a Mēkṓnē, [Promēthe�s]
con subdola mente, spart� un bue
dopo averlo diviso, volendo ingannare la mente di
Ze�s.
Da una parte egli pose le carni e le interiora
ricche di grasso nella pelle del bue, ben coperte nel ventre,
dall'altra dispose ad arte le candide ossa
spolpate, nascoste nel bianco grasso.
E allora [Ze�s], padre
degli uomini e degli dei, disse:
�Figlio di Iapet�s, illustre fra tutti i signori,
mio caro, con quanta ingiustizia hai fatto le parti!�
Cos� disse Ze�s che conosce gli eterni consigli;
E Promēthe�s dai torti pensieri rispose,
ridendo sommesso, e non dimenticava le arti dell'inganno:
�Nobilissimo Ze�s, sommo tra gli d�i immortali,
scegli la tua parte come ti suggerisce il cuore�.
Cos� disse, tramando l'inganno... |
Hēs�odos:
Theogon�a [-] |
Promēthe�s
esegue per la prima volta gli stessi gesti che i Greci
ripeteranno sui loro altari nei secoli a venire. Il bue viene abbattuto e
scuoiato. Le ossa delle zampe, i cosiddetti ost�a
leuk�, vengono accuratamente spolpati. Dopodich�, l'astuto tit�n
fa un bel mucchietto delle ossa del bue e lo copre con uno strato di
grasso, bianco e appetitoso. Poi,
raccoglie tutti i kr�a, le carni commestibili, staccate dalle ossa, e le
mette dentro la gastḗr, lo stomaco del bue, viscido e poco
gradevole a vedersi. Sono queste le due porzioni che il figlio di Iapet�s
pone dinanzi a Ze�s, il quale nota quanto
disuguale sia la suddivisione: � evidente che quel furbacchione di
Promēthe�s
ne ha
escogitata una delle sue. Ze�s lo spia beffardo, e Promēthe�s
gli ricambia uno sguardo malizioso. Hēs�odos
dirige la scena con mano lesta e sicura.
Quando il tit�n offre a Ze�s di scegliere,
tra i due mucchi, quello che preferisce, il lettore sa subito cosa sta per
accadere. Tra un attimo, il goloso re degli d�i sceglier� il pacco che gli appare pi�
appetitoso ma, sotto lo strato di grasso, trover� solo un mucchio di bianche
ossa. Cos� immancabilmente avviene:
...Ze�s d� �phthita mḗdea eidṑs
gn� hr' oud' ēgno�ēse d�lon; kaka d' �sseto thymōı thnēto�s anthrṓpoisi, ta ka� tel�esthai �mellen. Chers� d' h� g' amphot�rēısin ane�leto leyk�n �leiphar. Chṓsato d� phr�nas amph�, ch�los d� min h�keto thym�n, ōs �den ost�a leyka bo�s dol�ēı ep� t�chnēı.
Ek to� d� athan�toisin ep� chthon� ph�l� anthrṓpōn
ka�ous� ost�a leyka thyē�ntōn ep� bōm�n. |
...ma Ze�s che conosce gli
eterni consigli
riconobbe la frode, non gli sfugg�; e nel suo cuore
meditava sciagure contro i mortali e si preparava a porle in essere.
Raccolse il bianco grasso con ambedue le mani,
si adir� nell'animo e l'ira raggiunse il suo cuore,
quando vide le ossa bianche del bue, frutto dell'inganno:
da qui proviene l'usanza per cui gli uomini bruciano
le ossa bianche sugli altari fragranti per gli immortali. |
Hēs�odos:
Theogon�a [-] |
E cos� immancabilmente � avvenuto. Ma Hēs�odos,
invece di prendere la strada diritta, � avanzato per un sentiero irto di
ambiguit�. Ze�s sapeva, aveva riconosciuto
l'inganno. E allora perch� ha scelto di cadere nel tranello? Suona sinistro quel
preludio
ai mali che Ze�s �meditava dentro il
suo cuore per gli uomini mortali�.
A gli uomini sono toccate invece le carni gustose e croccanti? �Che le
mangino crude!� � la reazione di Ze�s, che toglie il
fuoco agli uomini, per punirli dell'inganno. Si diparte qui un altro
grandioso racconto, ch� Promēthe�s
dovr� andare a rubare il fuoco agli d�i per restituirlo agli esseri umani: per
punirlo, Ze�s lo incatener� alle rocce del Caucaso.
Ma questo � un mitema differente, che dovr� essere affrontato
separatamente.
Il terreno di Mēkṓnē, su cui stiamo avanzando, � ben noto agli
interpreti del mito, che lo
hanno calcato ripetutamente per pi� di duemilacinquecento anni: eppure, conserva ancora i suoi
enigmi, le sue asperit�. Quello a cui abbiamo assistito �
Hēs�odos lo dice chiaramente
� � il mito di istituzione della pratica sacrificale. Da questo momento,
per tutti i secoli a venire, gli uomini immoleranno bestie sugli altari: per gli
d�i, saranno bruciate le ossa, mentre le parti commestibili verranno consumate
dagli uomini. L'inganno di Promēthe�s
si risolve, insomma, nelle modalit� di istituzione dei sacrifici. L'umanit� sar� legata, in Grecia come in Mesopotamia, al mantenimento degli
d�i attraverso le pratiche cultuali.
Ma questa � solo l'eziologia, il mito di istituzione del rapporto
che, nei secoli a venire, legher� d�i e uomini nel reciproco vincolo
dell'esistenza, con gli d�i che conservano i presupposti del k�smos e
della vita, e gli uomini che mantengono in essere le divinit� con offerte e
sacrifici. Ma nell'iniqua spartizione del bue effettuata da
Promēthe�s, viene
tracciata una linea ancora pi� sottile, ed � quella che divide tra loro mortali
e immortali. � un punto che Jean-Pierre Vernant ha opportunamente sottolineato:
nella divisione tra ossa e carni, le une destinate agli d�i e le altre agli
uomini, la parte peggiore � proprio la seconda.
Le ossa sono infatti � al contrario delle carni � la parte indeperibile degli
animali. Sono l'architettura del corpo, il loro archetipo immutabile ed eterno.
Agli d�i basta annusarne il profumo, quando le ossa ingrassate bruciano sugli
altari, per condurre un'esistenza immortale. Gli uomini no: gli uomini hanno
continuo bisogno di alimentarsi, per mantenere la propria esistenza; gli uomini
sono fatti di carne, si nutrono di carne; e al contrario delle ossa, la carne si
decompone, � paradigma di natura mortale. Che agli uomini tocchi la parte
commestibile del bue � indice dei bisogni e delle necessit� della condition
humaine. Nel fare le parti del bue, Promēthe�s
tira una riga, dividendo per sempre mortali e immortali.
H�mēros fa scorrere non sangue, ma una sostanza chiamata ichṓr, dal
polso della dea Aphrod�tē, ferita mentre tenta
di salvare il figlio Aine�as dalla furia di Diomḗdēs.
E puntualizza:
Ou g�r s�ton �dous', ou p�nous' a�thopa o�non,
to�nek' ana�mon�s eisi ka� ath�natoi kaleontai. |
Essi [gli d�i] non mangiano pane, non bevono vino di
fiamma,
non hanno sangue perci�, e son chiamati immortali. |
H�mēros: Il�as [V: -] |
Il pane e il vino sono dunque cibo degli uomini: l'alimentazione, a cui Promēthe�s
condanna il genere umano, � ragione della loro mortalit�. Questo d� una nuova
profondit� all'espressione, dal sapore quasi proverbiale, con cui
Hēs�odos indica gli esseri umani:
�uomini che mangiano pane� [andr�i alphēste�s]
(Theogon�a []).
Tale espressione non � una banale specificazione alimentare, ma oppone gli
esseri mortali agli d�i che non hanno bisogno di nutrirsi con il nostro stesso
cibo. Plo�tarchos spiega il distico omerico in modo assai chiaro, sebbene un po'
razionalizzando: �[Il pane] non � solo un mezzo che contribuisce alla vita, ma �
anche uno strumento di morte. � dal cibo infatti che si sviluppano le malattie
che invadono il corpo...�
(Moralia: T�n hept� soph�n symp�sion [16]).
L'inganno di Promēthe�s si ripercuote
sull'intero genere umano. La necessit� di procurarsi giornalmente il cibo comporta l'inizio del
lavoro e della fatica. Come gli uomini della Mesopotamia vengono creati per
lavorare, al fine di mantenere gli d�i con i loro sacrifici, i loro affini, in
Grecia, subendo l'inganno di un fraudolento sacrificio, si ritrovano condannati
al medesimo fato. Il mondo diviene quello che noi conosciamo:
Kr�psantes g�r �chousi theo� b�on anthrṓpoisin:
rhēid�ōs g�r ken ka� ep� ḗmati erg�ssaio,
hṓste se keis eniaut�n �chein ka� aerg�n e�nta:
a�ps� ke pēd�lion m�n hyp�r kapno� katathe�o,
�rga bo�n d� ap�loito ka� hēmi�nōn talaerg�n.
all� Ze�s �krypse, cholōs�menos phres�n h�isin,
h�tti min exap�tēse Promēthe�s ankylomḗtēs. |
Gli d�i tengono infatti nascosta agli uomini la fonte
della vita;
se cos� non fosse, in un sol giorno ti procureresti di che vivere
magari per un anno, e rimartene in ozio,
e subito al focolare appenderesti il timone,
tralasciando il lavoro dei buoi e delle mule pazienti.
Ma Ze�s l'aveva nascosta, sdegnato nell'animo,
ch�
Promēthe�s, l'astuto, l'aveva ingannato. |
Hēs�odos: �rga ka� Hēm�rai [-] |
L'analisi del mito rischia di rivelarsi piuttosto intricata, per non dire
ambigua. Se Promēthe�s � il �preveggente�,
come leggiamo sull'etichetta, perch� il suo agire ai danni di
Ze�s si ripercuote poi sugli uomini mortali? E se
Ze�s era conscio del tranello, perch� finge di
caderci, per poi punire gli uomini? � difficile districarsi da questo gioco di
cause ed effetti, che paiono contraddirsi le une con le altre.
Hēs�odos ha risistemato dei miti antichissimi secondo le concezioni teologiche del suo tempo; sul canone esiodeo, gli autori successivi hanno sovrapposto le loro interpretazioni,
rendendo la materia ancora pi� stratificata e complessa.
 |
Promēthe�s modella l'uomo (�1515) |
Dipinto di Piero Di
Cosimo (1461-1522) Olio su tavola, 68x120 cm. Alte Pinakothek, Monaco
(Germania) |
|
WEʾE E PROMĒTHE�S:
INTELLIGENZE A CONFRONTO
In questa comparazione tra il mito antropogonico paleobabilonese,
rappresentanto dall'En�ma il� aw�lum, e quello ellenico, costruito
dai due testi di Hēs�odos, ci troviamo di
fronte
a due personalit� �ribelli�, o comunque associate a schieramenti che si
oppongono all'ordine divino: Weʾe e
Promēthe�s.
Una comparazione tra i due personaggi � destinata a rimanere sul piano della
semplice analogia. Il terreno su cui ci stiamo avventurando � irrimediabilmente
fragile: se Promēthe�s � un personaggio
concreto, dalle molte e interessanti sfaccettature, la figura di Weʾe
rimane indefinita, priva di spessore. Il suo dossier �
piuttosto scarno e non offre elementi su ci lavorare: ma quei pochi
trovano regolari agganci con il mito prometeico.
Entrambi i personaggi sono caratterizzati in primis dalla loro
intelligenza. Weʾe era definito tout-court
come �il dio che ha l'intelligenza� [ilu �a i�u ṭ�ma]
(En�ma il� aw�lum [I: ]);
Promēthe�s viene presentato tramite le sue qualit� di astuzia e
scaltrezza. Si tratta per� di due intelligenze diverse: in accadico, ṭ�mu
indica l'attivit� del pensiero in senso generale, e dunque la capacit� di
comprendere, pensare, esprimere giudizi e pigliare decisioni. L'�intelligenza�
di Weʾe � la facolt� razionale, facolt� che
gli uomini condividono con gli d�i. Nel concetto di ṭ�mu sembrano anche
comprese la coscienza individuale e la personalit�. Certamente, � dal ṭ�mu
di Weʾe che deriva � anche etimologicamente � l'eṭ�mmu
posseduto dagli esseri umani, cio� la loro parte divina, la continuit�
spirituale, l'anima indeperibile ed eterna.
L'intelligenza di Promēthe�s �
assai pi� specializzata. Hēs�odos lo definisce
aiol�mētis �scaltro� [],
poikil�boulos �dalle molte astuzie�
[], aŋkyl�mētis �dai torti pensieri�
[]. E non a torto:
Promēthe�s � ingegnoso, creativo, astuto, dispettoso. Egli possiede al
massimo grado la m�tis, l'intelligenza astuta. � in grado di congegnare
piani contorti e di portarli a compimento. E sebbene Ze�s
si sia affidato al suo consiglio in questioni di primaria importanza, come nel
corso della titanomachia,
Promēthe�s rimane un elemento imprevedibile, a
volte sleale, spesso ribelle. Il suo amore per il genere
umano, si sviluppa soltanto nei testi pi� tardi, nelle tragedie di Aisch�los; in
Hēs�odos, Promēthe�s
non sembra affatto animato dalla volont� di aiutare gli uomini, ma solo da
quella di prendersi gioco di Ze�s. Non �
semplice arrivare a una conclusione. La figura di
Promēthe�s � stato certamente rielaborata nel corso del tempo, ma anche
una rigida ermeneutica esiodea difficilmente ci
consegner� una fedele rappresentazione del personaggio in epoca arcaica. Il mito
di Promēthe�s rivela elementi di diversa origine e
provenienza, che non � possibile ricondurre a un'unica fonte.
Hēs�odos lascia affiorare soltanto la punta dell'iceberg.
Entrambi definiti per via delle loro capacit� intellettive, sia
Promēthe�s che Weʾe contribuiscono alla
creazione degli esseri umani e, in particolar modo, sono responsabili della
presenza di quel quid di natura divina presente nell'uomo.
Weʾe lo � maniera
passiva: egli viene sacrificato dagli Anunnaki
affinch� la sua carne e il suo sangue, mescolati all'argilla, forniscano
all'uomo l'eṭemmu. Al contrario, Promēthe�s
agisce attivamente, come demiurgo, creando gli esseri umani contro il volere
degli d�i. La partecipazione dell'uomo alla natura divina, in Grecia, � vista
innanzitutto come somiglianza fisica. Nel dialogo di Loukian�s,
Promēthe�s si difende dall'accusa di aver voluto fabbricare gli
uomini a immagine degli d�i, immagine che si riflette inevitabilmente sia sul
piano della facolt� razionale, sia su quello etico. In diverse figurazioni
antiche, Athēn� � rappresentata accanto a
Promēthe�s, nell'atto di toccare la testa dell'uomo appena creato,
per infodergli le capacit� razionali. Il motivo, escogitato da Ovidius,
della terra impastata con l'acqua piovuta dal cielo, appare di troppo, nel mondo
ellenico.
I Greci sono fin troppo concreti per perdersi dietro le speculazioni
metafisiche di stampo semitico: l'intelligenza che avvicina gli uomini agli d�i
� definita piuttosto dalla conoscenza, che � innanzitutto conoscenza pratica,
t�chnē. � attraverso l'istruzione che Promēthe�s
libera gli uomini dalla bestialit� e li consegna all'esistenza come individui
civili.
Il motivo � ben sottilineato da Aisch�los, il quale mette in bocca a
Promēthe�s queste parole:
|
�[Gli uomini] avevano occhi e non vedevano,
avevano le orecchie e non udivano,
somigliavano a immagini di sogno,
perduravano un tempo lungo e vago
e confuso, ignoravano le case di mattoni,
le opere del legno:
vivevano sotterra come labili
formiche, in grotte fonde, senza il sole;
ignari di certi segni dell'inverno
o della primavera che fioriva,
o dell'estate che portava i frutti,
operavano sempre e non sapevano,
finch� indicai come sottilmente
si conoscono il sorgere e il calare
degli astri, e infine per loro scoprii
il numero, la prima conoscenza,
e i segni scritti, come si compongono,
la memoria di tutto, che � la madre
operosa del coro delle Mo�sai...� |
Aisch�los:
Promēthe�s desmṓtēs |
Il testo si prolunga elencando tutte le tecniche, le arti e le conoscenze che
Promēthe�s ha introdotto presso gli uomini, tra cui le corrette
pratiche di sacrificio e, in ultimo, il dono inestimabile del fuoco, rubato agli
d�i ed elargito al genere umano. �Sappilo in breve�, � l'amara conclusione del
tit�n, �tutto ci� che gli uomini
conoscono, viene da Promēthe�s�.
Una volta individuata un'omologia tra due schemi mitologici e messi in
parallelo i punti fondamentali dell'uno e dell'altro scenario, cos� da rivelare
la presenza una medesima struttura di base, si pu� scoprire che le differenze
sono altrettanto interessanti delle somiglianze. La forma in cui un medesimo mitema affiora in luoghi e tempi diversi ci insegna sempre qualcosa sui
contesti culturali che l'hanno rielaborato e interpretato. Il sacrificio di
Weʾe, che nel mito mesopotamico � propedeutico alla
creazione dell'uomo come essere dotato di anima e ragione, in quello greco si
configura come punizione per aver conferito agli uomini conoscenze e tecniche
possedute dagli d�i, in particolare per aver restituito loro l'uso del fuoco.
Per tali azioni, Promēthe�s, come sappiamo, verr�
incatenato ai monti del Caucaso.
|
ACCADI
(En�ma il� aw�lum) |
ELLENI
(Hēs�odos et al.) |
1 |
I tre d�i maggiori si dividono a sorte il
dominio dell'universo: Anu
prende il cielo, Enlil
la terra ed Enki
l'abisso acqueo. |
I tre d�i maggiori
si dividono a sorte il dominio dell'universo:
Ze�s prende il cielo,
Poseid�n il mare ed
�ıdēs gli inferi. La
terra rimane territorio comune. |
2 |
Gli Igigi si
ribellano agli Anunnaki,
governati da re Enlil. |
Scontro tra i Tit�nes
e gli Ol�mpioi, guidati dal futuro re
Ze�s. |
3 |
Tra gli Igigi,
Weʾe � definito il �dio che ha intelligenza� |
Tra i
Tit�nes,
Promēthe�s � caratterizzato da
un'intelligenza astuta e contorta |
4 |
Enki e
Nintu plasmano i primi
uomini dall'argilla. |
Promēthe�s plasma il genere
umano dall'argilla, dandogli l'aspetto e
l'intelligenza degli d�i. In alcune
figurazioni � Athēn� a
conferire loro le capacit� razionali. Insegna agli uomini
tecniche e arti per migliorare la loro esistenza, e
gli restituisce il fuoco rubato agli d�i. |
5 |
Dalla carne e dal sangue di
Weʾe, mescolati
all'argilla, deriva l'eṭemmu, lo spirito
immortale che permette agli uomini di partecipare
all'essenza divina. |
6 |
La creazione degli uomini � finalizzata al
mantenimento dei sacrifici e del culto degli d�i. |
Promēthe�s istituisce le
pratiche sacrificali, a Mēkṓnē, e
stabilisce quali parti debbano toccare agli d�i. |
7 |
Weʾe � stato sacrificato dagli
Anunnaki (� possibile che ci� sia
avvenuto in punizione per la ribellione degli
Igigi). |
L'avere sostenuto
gli uomini a danno degli d�i costa a
Promēthe�s un'atroce punizione: incatenato da
Ze�s alle rocce del Caucaso. |
|
FIGLI DI UN DIO UBRIACO
Ma ora dobbiamo lasciare un attimo la Grecia per tornare
in Mesopotamia. Lo schema mitico che stiamo esplorando presenta ancora molte
lacune. Un dio ha permesso all'uomo di partecipare alla natura divina, ma il prezzo � stato alto: Weʾe � stato
ucciso, Promēthe�s incatenato alle rocce del
Caucaso. Ma, grazie ai loro sforzi, ai loro sacrifici, ora l'uomo detiene
un'anima immortale, possiede la coscienza e l'intelligenza degli d�i.
Ma tra uomo e dio � stata tirata una linea ben definita. Nonostante
siano simili agli d�i in aspetto e in facolt� razionali, gli esseri umani rimangono soggetti alla
malattia e alla morte. E sebbene le pratiche cultuali e sacrificali abbiano
stabilito una sorta di contratto tra mortali e immortali, lo iato tra gli uni e
gli altri rimane incolmabile. Il contratto tra le due specie � un contratto-capestro, a tutto
vantaggio degli d�i, i quali non si faranno problemi a violarlo a loro capriccio.
La vita umana, in Mesopotamia, appare totalmente inserita in un progetto originario superiore, che fa capo al mondo divino.
Ogni essere umano, fin dalla nascita, si ritrova incastrato in un sistema serratissimo, regolato dalla religione, dallo status sociale,
dall'ideologia; un sistema dove il destino individuale sembra stenti ad esistere
come tale. Egli esiste all'unico fine di mantenere il lavoro
necessario al culto divino: e attraverso la continua riattualizzazione degli
antichi miti, i re e le caste sacerdotali possono mantenere lo status quo,
e con esso, i loro privilegi e il loro potere.
Nella sua grandiosa giustificazione del destino umano, l'En�ma
il� aw�lum � forse il documento pi� compiuto, di pi� ampio respiro,
giunto a noi dalla letteratura mesopotamica. Ma non � certo l'unico: il
principio dell'uomo-lavoro era gi� presente, nella sua ideologia, nei pi�
antichi testi sumerici. In un poema del II millennio, l'Ene nidue
pa naamined, meglio conosciuto come �Invenzione della zappa� o
�Lode alla zappa�, Enlil costruisce per prima cosa
l'utile strumento e, dopo averlo adornato, lo usa per raccogliere una zolla
di terra, che depone nel primo stampo umano, nella �fabbrica della carne� [uzu-mu₂-a]
di Duranki. L'uomo viene creato in funzione dell'attrezzo agricolo che �
destinato ad essere da lui maneggiato:
en-e al mu-un-�id nam mi-ni-ib-tar-re ki-in-du men kug sa-a₂ mu-ni-in-al₂ uzu-mu₂-a al am₃-mi-ni-in-du₃
sa nam-lu₂-ulu₃ u₃-�ub-ba mi-ni-in-ar en-lil₂-�e₃ kalam-ma-ni ki mu-un-�i-in-dar-re sa gig₂-ga-ni-�e₃ igi zid mu-�i-in-bar a-nun-na mu-un-na-sug₂-sug₂-ge-e� �u-bi giri₁₇-ba mu-un-ne-al₂ en-lil₂ a-ra-zu-a mu-ni-in-ḫu-e-ne u₃ sa gig₂-ga al mu-un-da-be₂-ne |
Dopo aver ammirato la zappa, il signore [Enlil]
ne fiss� il destino,
e dopo averla cinta di una corona verdeggiante (?)
la porta in Uzumua, la fabbrica della carne.
Depone la forma dell'umanit� nello stampo.
� allora che, davanti a lui, il popolo germoglia come erba sulla terra!
[Enlil] guarda benevolmente le sue teste nere.
Gli Anunna che formano la sua corte,
alzano le mani, con gesto pio, sulla bocca,
lodano allora Enlil con le loro preghiere
e trasmisero la zappa alle teste nere. |
Ene nidue pa naamined [-] |
Ma se l'uomo ha natura divina, perch� � soggetto alla sofferenza e alla
morte? Se un dio lo ha creato, perch� lo ha
gettato in balia del male? Una risposta interessante, e nient'affatto
consolante, ci arriva da un testo sumerico risalente all'inizio del II millennio
a.C., la cui ricostruzione, eseguita su una mezza dozzina di esemplari
frammentari, ha messo a dura prova gli orientalisti. Termini sconosciuti e
loci obscuri ne hanno reso azzardata la lettura e, in diversi, punti, le
traduzioni degli specialisti divergono notevolmente. Questo testo, il cui titolo
informale � �Enki e Ninmaḫ� (quello originale era forse
Ud reata, �Nei
giorni remoti�), oltre ai temi che gi� conosciamo � creazione dell'uomo al fine di sostenere il lavoro cultuale
�, si interroga sull'origine e la natura del male e
della sofferenza.
L'incipit ci riporta, ancora una volta, ai tempi primordiali, subito
dopo separazione tra il cielo e la terra. La situazione �
parallela a quella dell'En�ma
il� aw�lum: gli d�i sono divisi in due classi, con le divinit�
maggiori [diir �ar₂-�ar₂] che costringono le
divinit� minori [diir tur-tur] al lavoro:
scavare canali, accumulare terra, dragare il fango; ad eseguire quelle faticose,
noiose operazioni necessarie per far arrivare le vittime agli altari.
ud re-a-ta ud an ki-bi-ta ba-an-[dim₂-ma-ba]
i₆ re-a-ta i₆ an ki-bi-ta 〈ba〉-[an-dim₂-ma-ba]
[mu re]-a-〈ta〉 mu nam
ba-[tar-ra-ba]
[a]-〈nun〉-na-ke₄-ne
ba-tu-ud-da-a-ba
ama-inana nam-NIR.PA-�e₃ ba-tuku-a-ba
ama-inana an ki-a ba-ḫal-ḫal-la-a-ba
ama-inana [...] ba-a-pe� u₃-tu-da-a-ba
diir kurum₆-ma-bi A � � unu₂?-bi-�e₃ ba-ab-KE�₂-a-〈ba〉
diir �ar₂-�ar₂ ki₂-a₂ al-sug₂-ge-e�
diir tur-tur du₂-lum im-il₂-il₂-e-ne
diir id₂ <im> dun-dun-u₃-ne saḫar-bi
ḫa-ra-li im-dub-dub-be₂-ne
diir im-ur₅-ur₅-re-ne zi-bi inim am₃-ma-ar-re-ne |
Nei giorni antichi, nei giorni in cui cielo e terra
furono [separati]
nelle notti antiche, nelle notti in cui cielo e terra furono [separati]
negli anni antichi, negli anni, in cui i destini furono [fissati],
quando gli Anunna furono generati,
quando le dee furono prese in moglie,
quando le dee furono assegnate al cielo e alla terra,
quando le dee furono messe incinte e partorirono,
quando gli d�i erano obbligati al duro lavoro per il sostentamento,
i grandi d�i sorvegliavano il lavoro
e i piccoli portavano il canestro del lavoro!
Gli d�i scavavano i canali
e accumulavano terra in Ḫarali;
essi dragavano il fango e si lamentavano della loro vita! |
Ud reata [-] |
Mentre i piccoli d�i crollano sotto l'immane fatica, uno dei grandi d�i
riposa nell'ozio pi� beato. Non � Enlil, questa
volta, ma lo stesso Enki, il �saggio per
eccellenza�, il �creatore che ha fatto esistere tutti gli d�i�. I piccoli d�i
piangono e si lamentano, ma nessuno osa ribellarsi, nessuno osa entrare nella stanza
dove Enki dorme. � per� Namma,
la madre primigenia, �colei che ha partorito tutti gli d�i�, a destare Enki,
con queste parole:
� mu-un-�i-nu₂-u₃-nam u₃ mu-un-�i-ku-ku-na-nam
[�]-TE BA [... nu-mu-un]-zi-zi
dim₃-mi-ir �u dim₂-dim₂-ma-zu � gu₂?-bi im-tu₁₀-tu₁₀-ne
du₅-mu-u₁₀ ki-nu₂-zu zig₃-ga
[i₃-bi₂]-ma-al-la-zu-ta na-a₂-kug-zu u₃-mu-e-ki₂-a₂
ki₂-sig₁₀ dim₃-mi-ir-e-ne-ke₄
u₃-mu-[e]-dim₂ du₂-lum-bi ḫa-ba-tu-lu-〈ne〉 |
�Figlio mio, tu giaci, tu in verit� dormi,
[...] e non ti alzi!
Gli d�i percuotono il corpo delle loro creature!
Figlio mio, �lzati dal tuo letto,
tu che in virt� della tua saggezza comprendi ogni arte;
crea un sostituto degli d�i,
affinch� essi possano liberarsi del canestro del lavoro!� |
Ud reata [-] |
Enki si leva dal suo giaciglio e, dopo una lunga
riflessione, si mette al lavoro. L'operazione antropogonica � risolta in pochi
versi. Enki crea dapprima un SIG₇.EN.SIG₇.DUG₃,
parola interpretata come �utero, matrice, ovaie�.
Sembra che un feto venga fatto crescere all'interno di questa specie di
incubatrice, a cui Enki infonde parte della sua
intelligenza... ma il testo � di difficile lettura, e gli studiosi hanno dato
anche altre interpretazioni, del tutto diverse.
Poi, Enki si rivolge a sua madre Namma e le d�
delle istruzioni, anche qui irte di difficolt� interpretative:
ama-u₁₀ mud mu-ar-ra-zu
i₃-al₂-la-am₃ zub-sig₃ diir-re-e-ne KE�₂-i₃
�ag₄ im ugu abzu-ka u₃-mu-e-ni-in-�ar₂
SIG₇.EN.SIG₇.DUG₃ im mu-e-kir₃-kir₃-re-ne za-e
me-dim₂ u₃-mu-e-ni-al₂
nin-maḫ-e an-ta-zu ḫe₂-ak-e
nin-imma �u-zi-an-na nin-ma-da nin-barag
nin-mug �AR.�AR.GABA nin-gun₃-na
tu-tu-a-zu ḫa-ra-gub-bu-ne
ama-u₁₀ za-e nam-bi u₃-mu-e-tar
nin-maḫ zub-sig₃-bi ḫe₂-KE�₂ |
�Madre mia, alla creatura che avrai formato,
imponi il canestro del lavoro!
Dopo che avrai mescolato l'argilla presa dalle sponde dell'Abzu,
si dar� forma (?) all'argilla di questa matrice (?),
e quando vorrai, tu stessa, modellarne (?) la natura (?).
Ninmaḫ ti assister�:
Ninimma, �uzianna,
Ninmada, Ninbarag,
Ninmug, Dududuḫ ed
Ere�gunna
saranno le tue aiutanti!
Tu fisserai allora il suo destino, o madre mia,
e Ninmaḫ
gli ordiner� di lavorare per gli d�i� |
Ud reata [-] |
L'impressione � quella di assistere a un parto, a cui
attendono alcune dee. La prima di esse, colei che sembra ricoprire il ruolo di
levatrice, � Ninmaḫ, la �nobile signora�, anche
chiamata nei testi sumerici con il nome di Ninḫursa,
�signora della montagna�. Si tratta probabilmente della stessa
Nintu che avevamo visto all'opera nell'En�ma
il� aw�lum: di certo ha un ruolo analogo. Le sette dee che
assistono alla nascita del prototipo umano non sono ben conosciute, ma le
ritroveremo ancora, sotto vesti inaspettate, in altre tradizioni mitologiche. In quanto a
Namma, � difficile definire il suo ruolo: nella traduzione di Jean
Bott�ro, spetta a lei stabilire il destino della creatura che sta per nascere;
in quella di Giovanni Pettinato, � proprio lei a partorire. Per correttezza, ci
asteniamo dall'approfondire la questione.
In una serie di versi rovinati e incomprensibili
[-] doveva essere narrata la nascita degli uomini. Quando il testo si
rende di nuovo intellegibile, gli d�i stanno celebrando la riuscita antropogonia
con un banchetto in onore di Namma e Ninmaḫ. Sono stati arrostiti dei capretti e scorre
birra a profusione. Tutti gli animi sono lieti, i cuori allegri. Gongola
Enki, oggetto dei pi� ammirati complimenti da parte
di tutti gli d�i. Quando d'un tratto, Ninmaḫ, che
immaginiamo incupita dalla birra e dalla gelosia, esordisce con una
cupa riflessione: �Poich� la natura degli uomini pu� essere sia buona che
cattiva, io potrei assegnar loro un destino, lieto o infelice, a mio
piacimento!�
Ribatte
Enki, anche lui piuttosto brillo: �Se cos� �, io in persona corregger�
quel destino, buono o infelice che sia!�
Raccolta dell'argilla dalle rive dell'Abzu,
Ninmaḫ la modella fino a farne un uomo con le
braccia deformi e anchilosate, incapace dei lavori pi� futili.
Enki lo osserva e sorride: �Ebbene, costui entrer�
al servizio del lugal, il re!�
Ninmaḫ non si d� per vinta e, raccolto un
altro grumo di argilla, insiste nella grottesca sfida che le � stata lanciata, e
foggia un uomo senza occhi, cieco: Enki gli
conferisce il dono
del canto. Ninmaḫ produce allora uno storpio,
dalle gambe paralizzate, incapace di camminare: Enki lo
assegna ai lavori di argenteria.
Per quarto, Ninmaḫ foggia un uomo incapace
di trattenere l'urina o lo sperma: Enki lo guarisce
con un lavacro e un appropriato esorcismo. Per quinto, Ninmaḫ
plasma una donna sterile, incapace di avere figli: Enki la assegna alla �casa
delle donne�. Il sesto che Ninmaḫ
produce, non ha n� pene n� vulva: Enki lo conduce dal re affinch� lo usi come
eunuco.
�A ognuno degli esseri che tu hai prodotto, io ho assegnato un destino e dato
di che guadagnarsi il pane� sogghigna Enki. �Ma
ora, vediamo se tu riuscirai ad assegnare un destino a ci� che io produrr�.
Enki si mette al lavoro e, sotto lo sguardo
di Ninmaḫ, produce un umul, un
individuo orribilmente deforme. Ninmaḫ gli rivolge
la parola, ma l'umul non � in grado di rispondere; gli offre dal pane, ma
l'umul non pu� afferrarlo. Incapace di stare in piedi,
incapace di coricarsi; impossibilitato a compiere i gesti pi� semplici, l'umul
non � n� morto n� vivo. La reazione di Ninmaḫ � di
rabbia: una lacuna nel testo ci impedisce per� di comprenderne le conseguenze.
La dea ha perso la scommessa, Enki ha trionfato
ancora una volta, e la tavoletta termina con una lode al dio creatore.
Lode che a noi suona piuttosto cupa. I nostri Sumeri sanno essere
cinici al punto giusto. Quale altra ragione, se non l'ubriachezza di un dio, pu�
giustificare i mali che affliggono l'umanit�? Se gli d�i ci hanno plasmati a
loro immagine, se ci hanno conferito qualcosa della loro sostanza divina,
a cosa dobbiamo i nostri limiti fisici? Perch� le deformit�, le malattie, la
sofferenza, la vecchiaia, la morte? Una contraddizione non da poco, che i Sumeri
risolvono mettendo in scena una scommessa tra due divinit� ubriache.
Anche il mito cinese chiama in causa una coppia primordiale di
demiurghi, F� Xī e Nǚ Wā.
Quest'ultima, crea l'umanit�, raccogliendo manciate di terra gialla dal letto
del fiume Jiāng (lo Y�ng Zǐ) e modellando bamboline fatte a sua immagine, che subito prendono
vita, balzandole intorno con grida di gioia. All'inizio, Nǚ
Wā modella le bambole una ad una con le sue mani. Ma dopo un po',
comincia a stancarsi: l'impresa di popolare il mondo plasmando gli uomini uno ad
uno sembra superiore alle sue forze. Cos� infila una canna di giunco nel
fango del fiume, e come la scuote, gocce di fango cadono sul terreno,
rapprendendosi in forme umane approssimative e scadenti. Perci�, gli
uomini modellati con la terra gialla, diverranno i progenitori dei nobili; i
secondi, quelli plasmati col fango, diverranno gli individui di bassa estrazione
sociale, rozzi, ignoranti e sgradevoli alla vista.
Al confronto di Enki e di Nǚ
Wā, Ze�s non ha neppure l'attenuante
dell'ubriachezza, o della noia. Anch'egli riempir� il mondo di mali e perfidie,
ma agir� per astio, per vendetta, in modo sottile e subdolo.
|
LA PRIMA DONNA: LA
CADUTA DELL'UOMO Abbiamo lasciato
Promēthe�s incatenato alle rocce del
Caucaso. � nudo, esposto al sole, sferzato dal vento e dalla pioggia, mentre le
stagioni scorrono lente sul suo capo e gli anni si susseguono generazione dopo
generazione. Ogni giorno, un'aquila di bronzo scende dal cielo e, con il becco
affilato, gli strappa crudelmente un pezzo di fegato. La notte, il fegato
ricresce nell'addome di Promēthe�s. Per l'astuto
tit�n, l'immortalit� � un'indicibile sofferenza.
Cos� Ze�s gli aveva sibilato:
Iapetion�dē, p�ntōn p�ri mḗdea eidṓs,
cha�reis pŷr kl�psas ka� em�s phr�nas ēperope�sas,
so� t� aut�i m�ga p�ma ka� andr�sin essom�noisin.
to�s d� egṑ ant� pyr�s dṓsō kak�n, h�i ken h�pantes
t�rpōntai kat� thym�n, he�n kak�n amphagap�ntes,
hṑs �phat�,
ek d�
eg�lasse patḕr andr�n te the�n te. |
�O figlio di Iapet�s, tu
che sei il pi� ingegnoso di tutti,
ti rallegri di aver rubato il fuoco e di avere eluso i miei voleri:
ma hai preparato grande pena a te stesso e agli uomini che verranno.
Qual pena del fuoco, io dar� loro un male del quale si rallegreranno
in cuore, stringendosi con amore al loro stesso male.�
Cos� parl�, e poi rise, il padre degli d�i e degli uomini. |
Hēs�odos: �rga ka� Hēm�rai [-] |
Ora, per quanto i testi ellenici non siano molto espliciti,
l'umanit�, in quei tempi primordiali, era costituita unicamente da
maschi. Agli d�i si accompagnavano le dee, e il mare e la terra
erano gremiti di ninfe, naiadi e oceanine. Ma gli
uomini appartenevano
a un solo sesso, quello maschile.
Ed � appunto un kal�s kak�s, un �bel male�, il dono che
Ze�s ha deciso di elargire a questa primordiale razza di maschi,
quale punizione per l'h�bris di Promēthe�s.
Cos� come Promēthe�s aveva plasmato l'uomo a
immagine degli d�i,
Ze�s ordina ora di creare la donna [gynḗ] a somiglianza
delle dee.
Hḗphaistos, il dio-artefice, modella allora
la terra in una bellissima figura di fanciulla, ed Athēn�
la veste e l'adorna. La
Theogon�a si dilunga a descrivere l'abbigliamento e gli
ornamenti della prima donna mortale, segni concreti e visibili della sua femminilit� e capacit� seduttiva:
...ga�ēs gar s�mplasse periklyt�s Amphigyḗeis
parth�nōı aido�ēı �kelon Kron�deō dia boul�s.
Z�se d� ka� k�smēse thea glauk�pis Athḗnē
argyph�ē esth�ti; kata kr�then d� kal�ptrēn
daidal�ēn che�ressi kat�schethe, tha�ma id�sthai;
[amph� d� hoi steph�nous, neothēl�os �nthea po�ēs,
himerto�s per�thēke karḗati Pallas Athḗnē.
amph� d� hoi steph�nēn chrys�ēn kephal�phin �thēke,
tḕn aut�s po�ēse periklyt�s Amphigyḗeis
askḗsas pal�mēısi, chariz�menos Di� patr�. |
...infatti l'inclito ambidestro [Hḗphaistos]
form� con la terra
un'immagine di vergine vereconda, per il volere del figlio di
Kr�nos,
l'orn� di cintura la dea glauk�pis Athēn� e
la vest�
di candida veste; dall'alto del capo un velo
dai mille ricami di sua mano le fece vedere, meraviglia a vedersi;
e intorno collane di fiori d'erba appena fiorita
amabili, pose sulla sua testa Pall�s
Athēn�:
e intorno alla testa un aureo diadema le pose
che fabbric� apposta l'illustre ambidestro,
con le sue mani operando, per compiacere Ze�s
padre. |
Hēs�odos:
Theogon�a
[-] |
Accennato nella
Theogon�a, il mito viene sviluppato da Hēs�odos nelle
�rga ka�
Hēm�rai, dove altre divinit� affiancano
Hḗphaistos ed Athēn� nella
creazione della prima donna. Il risultato � un cocktail micidiale: una
bella fanciulla, virginale nel contegno, ma dal fascino irresistibile e dall'animo
volubile e falso.
Hḗphaiston d� ek�leuse periklyt�n h�tti t�chista
ga�an h�dei ph�rein, en d� anthrṓpou th�men audḕn
ka� sth�nos, athan�tēis d� the�is eis �pa e�skein,
parthenik�s kal�n e�dos epḗraton: aut�r Athḗnēn
�rga didask�sai, polyda�dalon hist�n hypha�nein:
ka� ch�rin amphich�ai kephal�i chrys�ēn Aphrod�tēn
ka� p�thon argal�on ka� gyiob�rous meledṓnas:
en d� th�men k�ne�n te n�on ka� ep�klopon �thos
Herme�ēn ḗnōge, di�ktoron Argeiph�ntēn. |
[Ze�s] comand� all'inclito
Hḗphaistos che subito impastasse
terra con acqua e vi infondesse voce umana e vigore,
e il tutto fosse d'aspetto simile alle dee immortali, e di bella,
virginea, amabile presenza. E quindi che
Athēn�
le insegnasse le arti: il saper tessere trame ben conteste.
Di spargerle sul capo grazia, ordin� all'aurea Aphrod�tē,
tormentosi desideri e le pene che struggono le membra;
e ad Herm�s, messaggero Argeiph�n, di darle
un'indole ingannatrice e l'anima di una cagna. |
Hṑs �phath�: hoi d� ep�thonto Di� Kron�ōni �nakti.
aut�ka d� ek ga�ēs pl�sse klyt�s Amphigyḗeis
parth�nōi aido�ēi �kelon Kron�deō di� boul�s:
z�se d� ka� k�smēse the� glauk�pis Athḗnē:
amph� d� hoi Ch�rit�s te thea� ka� p�tnia Peithṑ
h�rmous chryse�ous �thesan chroḯ, amph� d� tḗn ge
H�rai kall�komoi st�phon �nthesin eiarino�sin:
p�nta d� hoi chro�̀ k�smon ephḗrmose Pall�s Athḗnē.
En d� �ra hoi stḗthessi di�ktoros Argeiph�ntēs
pse�de� th� haimyl�ous te l�gous ka� ep�klopon �thos
te�xe Di�s boul�isi barykt�pou: en d� �ra phōnḕn
th�ke the�n k�ryx, on�mēne d� tḗnde gyna�ka
Pandṓrēn, h�ti p�ntes Ol�mpia dṓmat� �chontes
d�ron edṓrēsan, p�m� andr�sin alphēst�isin. |
Cos� egli parl�; ed essi obbedirono al sovrano, il
cronide Ze�s.
E senza indugio, l'inclito ambidestro plasm� con la terra
un'immagine simile a una casta fanciulla, per volere del cronide;
Athēn� occhi azzurri le annod� la cintura e
l'adorn�;
attorno al collo le Ch�rites e la
veneranda Peithṓ
le misero aurei monili; la incoronarono
le H�rai, chiome fluenti, con fiori di primavera;
sul corpo le adatt� ogni ornamento Pall�s Athēn�.
Quindi, nel suo petto le infuse, l'araldo Argeiph�n,
le menzogne, gli astuti d'scorsi e un 'indole ingannatrice,
cos� come voleva Ze�s dal cupo fragore, e voce
infine le diede l'araldo divino. Questa donna fu chiamata
Pandṓra perch� tutti gli abitanti dell'�lympos
le dettero doni, sciagura per gli uomini che si nutrono di pane. |
Hēs�odos: �rga ka� Hēm�rai [-] |
Tutta la scena della creazione della donna viene svolta da Hēs�odos
utilizzando il genere neutro, come per sottolineare l'innaturalit� della sua
origine e conferire artificiosit� alla comparsa del genere femminile. La donna �
una costruzione, un simulacro, un d�idalon vivente. L'essenza femminile
si racchiude qui in una sorta di paradosso, dove �la donna assomiglia a
una donna� (Loraux 1989). A differenza delle
servitrici d'oro di Hḗphaistos, automi meccanici
che imitano gli esseri viventi (Ili�s [XVIII,
-]), Pandṓra
� un artificio vivente.
Il mito antropogonico, perduto come racconto primario, viene
recuperato da Hēs�odos nell'episodio della creazione
di Pandṓra. Il
confronto con le antropogonie mesopotamiche � piuttosto agevole, a partire dal
fatto che, in entrambi gli schemi, � una coppia di d�i a impegnarsi nell'opera
demiurgica. A Enki
e Nintu (creatori dell'umanit� nell'En�ma il� aw�lum), o Enki
e Ninmaḫ (nell'Ud
reata), corrispondono qui
Hḗphaistos ed Athēn�.
La presenza di Hḗphaistos in luogo di
Promēthe�s non desta problemi: i due
personaggi sono in parte sovrapponibili, entrambi caratterizzati da un fertile ingegno e
dalla capacit� creativa, e in certi casi addirittura interscambiabili (si veda
il rispettivo ruolo nelle versioni del mito della nascita di
Athēn�).
Le �rga ka� Hēm�rai
fanno intervenire anche Aphrod�tē ed
Herm�s, in ruoli a loro congegnali: la prima al
fine di rendere Pandṓra irresistibile agli
uomini; il secondo per plasmarle un animo menzognero e volubile. Curiosa la
presenza delle sette dee che intervengono all'operazione: le tre
Ch�rites (le �grazie�),
Peithṓ (la �persuasione�) e le tre H�rai (le
�stagioni�), che sembrano occupare la nicchia delle sette dee che affiancano
Ninmaḫ nell'Ud
reata.
 |
Creazione di Pandṓra
(✍ �475-425 a.C.) |
Cratere attico a figure rosse
Ashmolean Museum, Oxford (Regno Unito) |
Da sinistra: Di�nysos, Herm�s,
Hḗphaistos e Pandṓra; in alto a
destra, �rōs. |
Sebbene
Hēs�odos sia l'unica fonte letteraria importante su
Pandṓra, sono pervenute alcune immagini che
ne rappresentano la creazione e vestizione. In particolare, un
cratere attico a figure rosse, risalente al V secolo a.C., sembra mettere in
scena una versione alternativa della creazione di Pandṓra:
la fanciulla, vestita di tutto punto, velata e col capo incoronato, � raffigurata dalla
vita in su, mentre emerge dalla terra; accanto a lei, reggendo nella
mano destra un martello da scultore, Hḗphaistos
stende verso di lei la sinistra. Sul capo di Pandṓra
si libra un piccolo �rōs alato; a sinistra si riconoscono Herm�s
e Di�nysos.
L'immagine sembra combinare due modalit� antropogoniche: il
mitema degli uomini che emergono dalla terra e l'opera demiurgica di Hḗphaistos.
A seconda di come leggiamo la figura, il dio-artigiano potrebbe essere
colto nell'atto di invitare Pandṓra a uscire dalla
terra, quanto in quello di modellarla nella creta. Mentre nel caso della
creazione maschile le due modalit� ci sono pervenute come miti
alternativi, nell'immagine della nascita di Pandṓra sono strettamente intrecciate: l'antropogonia
propone qui una combinazione tra concorso
femminile (l'emersione dalla madre terra) e concorso maschile (il lavoro del demiurgo).
Ma c'� veramente differenza tra le due modalit� antropogoniche,
o esse vengono in qualche modo a coincidere? In fondo, l'argilla utilizzata dai
vari demiurghi per plasmare gli esseri umani viene essa stessa dalla terra.
Abbiamo gi� rilevato la correlazione tra āḏām
e ăḏāmāh, e tra homo e
humus. Il nome Pandṓra,
�tutti i doni�, � un trasparente epiteto della dea-terra
G�. Se gli esseri umani sono emanazioni del suolo
materiale, Pandṓra lo � in un senso assai pi�
esplicito. � la Terra stessa che prende vita e si fa donna.
Condotta da Hḗphaistos al
consesso degli d�i, la prima femmina umana viene accolta con stupore e
ammirazione. �Inganno senza scampo per gli uomini� la definisce
Hēs�odos
(Theogon�a []). Ed a ben ragione. Il nome Pandṓra pu� essere inteso come �colei a cui tutti
gli d�i hanno elargito doni�, oppure, con maggiore sottigliezza, �colei che
tutti gli d�i hanno portato in dono�. E � proprio questo il destino della fanciulla,
che gli d�i recano in regalo ad Epimēthe�s.
Promēthe�s lo aveva avvertito: �Non accettare
doni da
Ze�s�. Ma Epimēthe�s �
indifeso, di fronte alla sfrontatezza di Ze�s, e
ancor pi� dinanzi al fascino irresistibile di Pandṓra.
Coerente con il suo nome, il �postveggente�, cade nella trappola ordita dagli
d�i e sposa la fanciulla. Il povero Epimēthe�s si accorger�
dell'inganno solo quando sar� troppo tardi: il �bel male� � ormai entrato a
far parte della vita
umana. A questo punto, Hēs�odos tira un sospiro rassegnato,
elencandoci tutte i danni e le molestie provocati dalle donne:
T�s gar olṓi�n esti g�nos ka� ph�la gynaik�n,
p�ma m�g� ha� thnēto�si met� andr�si naiet�ousin
oulom�nēs pen�ēs ou s�mphoroi, alla k�roio.
Hōs d� hop�t� en smḗnessi katēreph�essi m�lissai
kēph�nas b�skōsi, kak�n xynḗonas �rgōn;
ha� m�n te pr�pan �mar es ē�lion katad�nta
ēm�tiai spe�dousi tithe�s� te kēr�a leyk�,
ho� d� �ntosthe m�nontes epēreph�as kata s�mblous
all�trion k�maton sphet�rēn es gast�r� am�ntai;
hṑs d� a�tōs �ndressi kak�n thnēto�si gyna�kas
Ze�s hypsibrem�tēs th�ken, xynḗonas �rgōn
argal�ōn; h�teron d� p�ren kak�n ant� agatho�o;
h�s ke g�mon phe�gōn ka� m�rmera �rga gynaik�n
mḕ g�mai eth�lēı, olo�n d� ep� g�ras h�koito
chḗteϊ gērok�moio; h� g� ou bi�tou epideyḕs
zṓei, apophthim�nou d� dia kt�sin dat�ontai
chērōsta�; h�ı d� a�te g�mou meta mo�ra g�nētai,
kednḕn d� �schen �koitin arēru�an prap�dessi,
tōı d� t� ap� ai�nos kak�n esthlōı antipher�zei
emmen�s; h�s d� ke t�tmēı atartēro�o gen�thlēs,
zṓei en� stḗthessin �chōn al�aston an�ēn
thymōı ka� krad�ēı, ka� anḗkeston kak�n estin.
Hṓs ouk �sti Di�s kl�psai n�on oud� parelthe�n. |
Da lei [Pandṓra]proviene
il nefasto genere femminile,
grande sciagura per gli uomini mortali,
poich� non sono compagne della povert� ma del lusso.
Come quando negli ombrosi alveari le api
nutrono i fuchi, che sono compagni di opere malvagie:
esse per tutto il giorno si affrettano sollecite
e riempiono i candidi favi, sino al tramonto del sole;
i fuchi rimangono dentro gli ombrosi alveari,
raccolgono nel ventre la fatica altrui;
cos�, a danno degli uomini, Ze�s alto tonante
pose le donne, compagne di opere malvagie;
e un altro male inflisse, al posto di un bene.
Colui che fugge le nozze e le moleste opere delle donne
non si sposa e giunge alla triste vecchiaia
privo di sostegno; nulla gli manca,
ma alla sua morte i lontani parenti
si divideranno i suoi beni; chi si sposa,
anche se trova una buona moglie, saggia nel cuore,
per tutta la vita bilancia il bene con il male.
Ma chi si imbatte in una schiatta funesta,
vive tenendo nel petto un dolore incessante,
nel cuore e nell'animo, e non c'� rimedio per il suo male.
Non si pu� ingannare il volere di Ze�s, n� ad esso
sottrarsi... |
Hēs�odos:
Theogon�a
[-] |
Ma l'eclatante quanto banale misoginia di Hēs�odos
non centra mai il vero bersaglio. Il poeta sta cercando di convincerci dei
motivi per cui le donne sarebbero un male per gli uomini, ma non fa che
imbastire un elenco di insignificanti luoghi comuni, di chiacchiere da osteria. La nostra impressione � che Hēs�odos stia
cercando di mettere una pezza, di fornire una giustificazione, laddove gli manca
un motivo assai pi� netto e profondo.
Non siamo in una commedia di Moli�re, o di Goldoni, ma nel territorio del mito.
Stiamo indagando gli archetipi stessi della natura umana, e lo schema �
teleologico. Cosa ha comportato l'introduzione del genere femminile?
Riformuliamo la domanda: com'era il mondo, prima che Ze�s
ci fornisse le donne? Senza le gioie e i
travagli del sesso, � ovvio. Ma soprattutto senza la necessit� del
sesso. Il mito non fornisce informazioni su come gli uomini si
riproducessero, prima di incontrare le donne. Ma ha poca
importanza se spuntassero dalla terra o cadessero dagli alberi. Hēs�odos ci
fa balenare suggestivi scenari delle pi� et� remote dell'uomo (dell'oro,
dell'argento, del bronzo, etc.), caratterizzate perlopi� da uno stato di
paradisiaca innocenza (�rga ka� Hēm�rai
[-]): ma sono immagini che appartengono a una
tradizione parallela, non direttamente comparabili con il nostro problema
immediato.
Tra l'altro, affermare che l'umanit�, prima
dell'introduzione di Pandṓra,
fosse costituita unicamente da maschi, contiene una sorta di forzatura logica.
Il maschile � tale solo in relazione al femminile: mancando l'altro polo della
sessualit� umana, esso non � pi� distinguibile dal concetto stesso di umanit�.
Poich� la posta in gioco � proprio l'estensione di tale concetto, Hēs�odos ne
incentra la questione su un attento gioco di termini. Prima della nascita di Pandṓra,
egli usa sempre, per indicare gli �uomini�, la parola �nthrōpoi, che in
greco indica gli esseri umani in generale, distinti dagli d�i. � solo dopo la
creazione di Pandṓra
che gli �uomini� cesseranno di essere chiamati �nthrōpoi e diverranno
soltanto �ndres �maschi�
(Theogon�a []), cio� met� dell'umanit�.
Il prima non ha importanza. Stiamo parlando di un passato
�assoluto�, secondo la bella formula di Michail Bachtin, di un'epoca che si
colloca prima del tempo. Non va spiegata, tantomeno dobbiamo sforzarci di
renderla coerente dal punto di vista logico. Bisogna solo accettarla
come punto di partenza: � un calco, in negativo, del mondo che conosciamo. �
un'epoca che ci viene mostrata solo nel momento in cui termina. Da allora in poi il genere umano
sar� com'� sempre stato:
dissociato nella complementariet� dei due sessi, nella necessit� dell'incontro,
della seduzione, del matrimonio, della riproduzione. Ed � solo questo che conta, ai
fini del mito.
A partire sacrificio di Mēkṓnē, da quella linea tirata a separare i destini
degli d�i e dell'umanit�, la natura umana ne � uscita drasticamente
ridimensionata. Gli d�i hanno nascosto le sorgenti della vita, dice
Hēs�odos, e dunque dobbiamo lavorare, faticare, strappare alla terra il nutrimento
necessario per sopravvivere. Siamo esseri effimeri, mortali, e ci perpetuiamo attraverso i
nostri figli. L'introduzione della morte richiede la scoperta della
riproduzione, e dunque della scissione dei sessi. Non � difficile indovinare,
nel pensiero mitico greco, un certo rimpianto per il tempo precedente al giorno
funesto in cui le donne furono create e il desiderio di potersi riprodurre senza
di esse (cfr. Euryp�dēs: Mḗdeia [-];
Hipp�lytos stephanoph�ros []).
La condanna di Ze�s colpisce l'umanit� in due punti fondamentali, l'alimentazione e la sessualit�, di cui Promēthe�s ed
Epimēthe�s appaiono essere i diretti responsabili:
- Sacrificio di Mēkṓnē (Promēthe�s) →
Alimentazione: lavoro quotidiano per strappare il cibo alla terra
- Dono di Pandṓra (Epimēthe�s)
→ Sessualit�: introduzione della divisione in sessi e
dell'accoppiamento
Cibo e sesso sono le due necessit�/condanne dell'esistenza
umana. Ma l'esito finale del nostro stato sulla terra non � stato ancora
raggiunto: Pandṓra ha una
ancora una freccia al suo arco. Anzi, un vaso.
L'episodio del proverbiale p�thos di
Pandṓra produce pi� problemi di quanti non ne risolva. L'unica fonte del
mito rimane Hēs�odos, che peraltro ci lascia pieni di
domande e non entra in dettagli. Lasciamo a lui la parola:
Pr�n m�n g�r zṓeskon ep� chthon� phŷl� anthrṓpōn
n�sphin �ter te kak�n ka� �ter chalepo�o p�noio
no�sōn t� argal�ōn, ha� t� andr�si K�ras �dōkan.
a�psa g�r en kak�tēti broto� katagēr�skousin.
All� gynḕ che�ressi p�thou m�ga p�m� aphelo�sa
esk�das̱�: anthrṓpoisi d� emḗsato kḗdea lygr�.
Mo�nē d� aut�thi Elp�s en arrhḗktoisi d�moisin
�ndon �mimne p�thou hyp� che�lesin, oud� th�raze
ex�ptē: pr�sthen g�r ep�llabe p�ma p�thoio
aigi�chou boul�isi Di�s nephelēger�tao.
�lla d� myr�a lygr� kat� anthrṓpous al�lētai:
ple�ē m�n g�r ga�a kak�n, ple�ē d� th�lassa:
no�soi d� anthrṓpoisin eph� hēm�rēi, hai d� ep� nykt�
aut�matoi phoit�si kak� thnēto�si ph�rousai
sig�i, epe� phōnḕn exe�leto mēt�eta Ze�s. |
Fino ad allora viveva sulla terra, lontana dai mali, la
stirpe mortale,
senza la sfibrante fatica e senza il morbo crudele
che trae gli
umani alla morte:
rapidamente, infatti, invecchiano gli uomini nel
dolore.
Ma la donna, levando di sua mano il grande coperchio del p�thos,
disperse i mali, preparando agli uomini affanni luttuosi.
Soltanto
Elp�s, la speranza, l� nella casa intatta,
dentro
rimase sotto i labbri del p�thos, n� vol� fuori,
perch� prima
Pandṓra rimise al vaso il coperchio,
secondo il
volere dell'egioco Ze�s, adunatore di nembi.
Ma gli
altri, i mali infiniti, errano in mezzo agli umani;
piena, infatti, di mali � la
terra, pieno ne � il mare,
e le malattie si aggirano di notte e di giorno fra gli uomini,
in silenzio portando dolore ai mortali;
e
questo perch� Ze�s tolse loro la voce. |
Hēs�odos: �rga ka� Hēm�rai [-] |
Il testo originale � piuttosto scarno. Non viene detto da dove venisse il vaso, n� come fosse finito tra le mani di
Pandṓra. Non sappiamo per quale ragione la
fanciulla ne sollev� il coperchio, ma le sue motivazioni personali passano in
secondo piano, rispetto al fatto che tutto avveniva per volere di
Ze�s. Riconosciamo per� di essere di fronte a un motivo
letterario: un passo di H�mēros parla di due vasi, piazzati sulla soglia della
dimora di Ze�s, da cui tutte le cose buone e le
cose cattive vengono distribuite ai mortali (Ili�s
[XIV: -]). Ma rimane il fatto che, nel mito esiodeo,
Ze�s si serva proprio di una donna per colmare di
mali la vita degli uomini. Pi� esattamente della prima donna,
archetipo di tutto il genere femminile.
Ancora un motivo medio-orientale? Sembrerebbe proprio di s�.
Hēs�odos descrive i suoi kak�i
soprattutto come malattie che abbreviano e rendono penosa l'esistenza umana.
Anche nel mito mesopotamico, Ninmaḫ � responsabile
di tutti i malanni e le deformit�, e le trovate di Enki
di ricondurre ogni tipo di disgrazia a un ordine delle cose appare, ai nostri
occhi, un tentativo fino imbarazzante di integrare gli handicappati nel tessuto
sociale. Alla
fine, � la presenza stessa della sofferenza nel mondo a rimanere irrisolta: il
gratuito capriccio di due divinit� ubriache.
Ma i kak�i di Hēs�odos
hanno vita propria: si muovono a loro piacere tra gli uomini, in silenzio, di
giorno e di notte, portando malattie e sofferenze. I popoli del Medio Oriente personificavano
il propagarsi delle malattie nell'immagine di d�moni vaganti,
invisibili, spietati. Si confronti la descrizione di
Hēs�odos
con questo
scongiuro paleobabilonese contro i d�moni:
|
Essi sono liberi di muoversi,
essi schiamazzano sopra, essi schiamazzano sotto.
Essi sono la bile venefica degli d�i.
Essi sono una grande tempesta proveniente dal cielo;
essi sono la civetta che alberga in citt�.
Essi sono generati dal seme di An, essi sono i
figli partoriti dalla terra.
Sugli alti tetti e sulle ampie terrazze essi turbinano come una tempesta.
Essi non sono impediti n� dalle porte n� dai chiavistelli,
essi sgusciano attraverso le porte come i serpenti.
Essi portano via la moglie dal seno del marito,
essi rimuovono il bambino dalle ginocchia del padre;
essi portano via il fidanzato della casa del suocero;
essi sono il silenzio e lo stupore che perseguita l'uomo alle spalle... |
Udug-ḫul-a-me� [V: i: -] |
L'ultimo dramma si � concluso. Il mondo � ormai divenuto come noi lo
conosciamo. Ma prima di sbarcare in altri e nuovi lidi, alla ricerca di schemi e
omologie, concediamoci un piccolo intermezzo nella profumata terra d'Egitto.
 |
Mito di Promēthe�s ed Epimēthe�s
(✍ �1515) |
Dipinto di Piero Di
Cosimo (1461-1522) Olio su tavola, 64x116 cm. Mus�e des Beaux-Arts,
Strasburgo (Francia) |
|
DALL'EGITTO: UOMINI COME
VASI
Se in Mesopotamia la creazione dell'uomo si configurava come
un progetto tracciato a tavolino da divinit� ciniche e interessate, gli Egiziani preferivano vedervi
piuttosto l'opera di un abile artigiano. Alle incubatrici e le �fabbriche della
carne� in cui Enki aveva posto argilla mista a
sangue, corrispondevano in Egitto eleganti ruote di vasaio su cui il dio
Ḫn�m lavorava
morbide masse del fertile limo del Nilo.
Ḫn�m
era uno dei pi� antichi d�i egizi, adorato sin dall'epoca predinastica nella
regione della prima cateratta del Nilo, sul confine meridionale dell'Egitto. Il
suo centro di culto si trovava ad Ab� (Elefantina), capitale del primo nom�s
dell'Alto Egitto. La cittadina sorgeva su un isolotto in mezzo al Nilo, di
fronte all'odierna citt� di Aswān. Ḫn�m era il custode delle caverne dell'isola di
Senmet (ar. Bigaḥ), oggi sommersa,
donde si credeva si trovassero le sorgenti del Nilo. Reggendo le briglie del
fiume, Ḫn�m ne
dirigeva le piene, lasciando che ogni anno il Nilo straripasse ricoprendo i
campi e che, ritraendosi, vi depositasse il suo fertile strato di limo. Su
questa terra, gli agricoltori egizi coltivavano orzo, frumento e granturco in
abbondanza. Ḫn�m
era il primo dispensatore della fertilit� e della prosperit� dell'Egitto.
 |
Tempio di Ḫn�m a Isnā |
Sala ipostila romana (I sec.) |
In origine Ḫn�m era forse venerato in aspetto di ariete, o pi�
esattamente dell'ariete dalle corna piatte [Ovis longipes pal�o�gypticus]
anticamente diffuso nell'Alto Egitto e gi� estinto gi� intorno al 2000 a.C. Gi� nell'Antico Regno l'immagine del dio si era antropomorfizzata, conservando
dell'animale soltanto la testa. Ma l'ariete che ne rappresentava la
manifestazione divina sulla terra non perse per questo il suo carattere sacro:
la necropoli di Ab� ci ha restituito i corpi mummificati degli arieti,
seppelliti in sarcofagi di legno dorato. Dio-ariete, Ḫn�m
era legato al vigore sessuale, e quindi all'incessante procreazione del mondo
naturale. Era il dio della forza irresistibile della vita. Nessuna sorpresa che,
nel culto che gli veniva tributato a Sen�t (ar. Isnā, it. Esna), nell'Alto Egitto,
Ḫn�m fosse finito per essere considerato il dio-artigiano
che modellava le forme umane sulla sua ruota da vasaio.
Il santuario principale del dio era per� il tempio di Sen�t,
costruito soltanto verso la fine della storia egizia e consacrato non solo a
Ḫn�m, ma anche a
diverse altre divinit�. Oggi la citt� di Isnā � uno squallido agglomerato
urbano e tutto ci� che sopravvive del tempio � la grande sala ipostila con
ventiquattro colonne, eretta dagli imperatori Claudius e Vespasianus nel I secolo.
Pareti e colonne sono iscritte a geroglifici, ed � proprio da tali iscrizioni
che veniamo a conoscere pi� chiaramente il ruolo di Ḫn�m nella creazione degli uomini. I miti eliopolitani ed
ermopolitani si occupavano poco della creazione dell'uomo, preferendo dedicarsi
alle grandi cosmogonie; il mito esnaico si concentra invece sul dettaglio umano,
mostrandoci come fosse proprio Ḫn�m, il dio criocefalo, a determinare il legame tra gli
d�i e gli abitanti del mondo. Nell'inno a lui dedicato, la scienza
anatomica si fondeva all'artigianato, l'una e l'altra trasfigurate su un piano
metafisico.
|
Egli [Ḫn�m] ha creato l'uomo
riproduttore
e ha posto sulla terra la stirpe femminile.
Egli ha organizzato la corsa del sangue nelle ossa
formando all'interno del suo laboratorio a forza di
braccia.
Ed ecco che il soffio della vita impregnava ogni cosa
mentre il sangue formava [...] con il germe nelle ossa
per costruire la materia prima di [nuove] ossa.
Egli ha fatto che gli esseri femminili partoriscano
quando il loro ventre ha raggiunto il momento giusto
[...].
Egli ha diminuito le sofferenze secondo il loro cuore;
egli ha confortato le gole
dando l'aria a quelli che respirano
allo scopo di animare di vita le creature giovani
all'interno del seno materno.
Egli ha fatto crescere i ciuffi di capelli,
egli ha fatto spuntare la capigliatura
modellando la pelle sulle membra.
Egli ha costruito il cranio;
egli ha modellato il volto
per dare un aspetto caratteristico alle facce.
Egli ha fatto aprire gli occhi;
egli ha aperto l'accesso alle orecchie.
Egli ha posto il corpo in contatto stretto con
l'atmosfera;
egli ha fatto la bocca per mangiare;
egli ha costruito la dentatura per masticare.
E cos� ha staccato la lingua perch� essa si esprima
e le due mascelle, in modo da poterle allargare.
La gola per deglutire e la faringe per ingoiare
ma anche per spuntare.
La spina dorsale per sostenere [...].
L'ano per compiere la sua funzione,
la faringe per ingoiare,
le mani con le loro dita per compiere la loro opera,
il cuore per servire di guida,
i testicoli per portare il fallo
e anche per l'atto sessuale.
Gli organi anteriori per consumare ogni cosa,
l'organo posteriore per fornire l'aria ai visceri,
e anche per star comodi al momento dei pasti,
per dar vita agli organi interni al momento della notte.
Il membro per l'unione sessuale
e l'organo femminile per ricevere il seme
e moltiplicare le generazioni in Egitto.
La vescica per urinare [...]
il membro vivile per eiaculare
e per aumentare quando � stretto fra le due gambe.
Le tibie per camminare,
le cosce per andare,
mentre le ossa adempiono alla loro funzione
a disposizione del cuore. |
Inno a Ḫn�m |
Come nel movimento circolare della ruota la massa inizialmente amorfa della
creta viene trasformata nell'elegante simmetria di un vaso, cos�
Ḫn�m modellava gli
uomini con perfetta conoscenza dell'anatomia umana. Nel suo inno, l'opera antropogonica viene descritta nei
pi� minuti dettagli anatomici. E non si tratta pi� della misurata operazione dei
miti mesopotamici, ma di un atto che � �creativo� anche in senso artistico. Vi �
ammirazione nel modo in cui Ḫn�m fa scorrere il sangue sulle ossa e attacca la pelle
al corpo, escogita il sistema respiratorio e quello digerente, fa in modo che
gli organi sessuali consentano il massimo piacere senza perdere in efficienza
durante l'accoppiamento, progetta corpi femminili in modo che supportino tutte
le fasi della gravidanza, dal concepimento al parto.
Ma Ḫn�m fa molto di pi� di questo, perch� in questo caso la
creazione dell'uomo, a differenza della maggior parte delle altre mitologie, non
� un evento mitico fissato una volta per sempre nel passato, ma � continuo e
puntuale. Ḫn�m
non si limita a plasmare il primo uomo, ma ripete il miracolo della creazione
per ogni singolo essere umano: ogni volto viene singolarmente modellato dal dio
in modo che abbia una sua fisionomia, un aspetto caratteristico, un carattere
unico e irripetibile. Le ruote di vasaio di Ḫn�m si identificano con l'utero femminile.
In molti testi, Ḫn�m viene chiamato in causa nella nascita di qualche
personaggio pi� o meno importante. Nell'iscrizione che il presuntuoso sacerdote
Ḏed-ḫonsu-ef-ʿanḫ, vissuto durante la XXII dinastia, fece
incidere sul suo monumento, leggiamo:
Ḫn�m mi ha formato al suo tornio da vasaio come un savio, come un
consigliere perfetto. Egli ha fatto il mio carattere migliore di quello delle
altre persone. Egli ha diretto la mia lingua verso la perfezione... |
Iscrizione di
Ḏed-ḫonsu-ef-ʿanḫ |
Dunque Ḫn�m non si limitava a plasmare soltanto i corpi degli
uomini sulla sua ruota di vasaio, ciascun viso secondo il suo aspetto
caratteristico, ma per ogni uomo ne forgiava il carattere, l'intelligenza, le
capacit�, le qualit� morali e le caratteristiche interiori. Da
Ḫn�m provenivano
tutti i costituenti dell'essere. Nella metafisica egiziana, ogni uomo era
formato da tutta una serie di princ�pi spirituali che ne definivano e ne
stabilivano la natura pi� intima e il destino escatologico. Non � facile
penetrare le concezioni antroposofiche degli antichi egizi e gli stessi studiosi
tradiscono il loro imbarazzo quando si trovano a dover definire il preciso
significato di ogni termine di questa antichissima terminologia. A scorrere la
letteratura scientifica, le definizioni si confondono le une con le altre. �
triste constatare che le lingue moderne, con la loro generica nozione di
�anima�, sono poca adatte per penetrare le sottigliezze dell'antica metafisica
egiziana.
Possiamo dunque dire che secondo gli egiziani ogni essere
umano era composto da:
- Ḫat - Corpo materiale privo di spirito vitale.
- Get - Corpo materiale vivificato dallo spirito vitale.
- K� - La forza vitale universale, ma anche il �doppio�
dell'individuo.
- Ren - Il nome, la firma dell'essere, la sua identit�.
- b - L'intelligenza profonda, che aveva sede nel
cuore.
- Ḫaybit - L'anima che si stacca dal corpo
alla morte, la proiezione eterica, il fantasma.
- Ba - L'anima-uccello che esce dal defunto per riunirsi
al principio da cui proviene.
- ��t - L'ombra, la proiezione metafisica
di ogni corpo, anche in funzione artistica.
- �ḫ - L'individuo nel suo aspetto trascendente.
Questi costituenti dell'essere erano irrinunciabili all'essere umano,
connaturati nella sua natura metafisica. Ma facendo
parte dell'uomo nella sua completezza fisica e metafisica, dovevano venire
anch'essi plasmati, insieme all'individuo, sulla ruota di vasaio di
Ḫn�m. Una serie di
iscrizioni incise sulle pareti dell'imponente Ḏeser Ḏeser�, il tempio funerario della faraonessa
Hat�eps�t (1479-1457 a.C.), presso W�st (gr. Th�bai, it. Tebe), riportano la storia del concepimento e
della nascita della stessa regina, da cui traspaiono le concezioni degli
egiziani riguardo le tecniche e le modalit� di creazione dell'uomo. Nella
storia, lo stesso dio Am�n-Raʿ, colpito dalla
grande bellezza della regina Aḥm�se, avrebbe assunto l'aspetto del faraone
�-Ḫepr-ka-Raʿ per unirsi a lei. La scena � di grande bellezza e suggestione:
Cos�
Am�n, signore dei troni delle Due Terre, prese l'aspetto del regale sposo
di lei [Aḥm�se], il re della Valle e re del Delta �-Ḫepr-ka-Raʿ, e la trov� che
si riposava nei penetrali del suo palazzo. Ella si dest� al profumo divino e
sorrise alla sua maest�. Ed ecco, egli [Am�n] le fu subito accanto, arse d'amore di lei, e pose in lei il
suo desiderio. Egli le concesse di contemplarlo nel suo aspetto divino, e dopo
essersi accostato a lei che esultava a vedere la sua bellezza, egli ebbe
desiderio di possederla nelle sue membra. E il palazzo era inondato dal profumo
del dio, intenso come tutti i balsami della terra di Punt. [...]. La maest� di
questo dio fece tutto quel che desiderava con lei, ed essa lasci� che egli
godesse di lei, e lo baci�... |
Iscrizione funeraria del tempio di Haʾt�eps�t
|
 |
Ḫn�m crea Ha�t�eps�t e il suo k�,
assistito da Ḥeqet |
Rilievo nel tempio funerario di Ha�t�eps�t
Dayr al-Baḥrī (Egitto) |
Da questa unione nasce una figlia, il cui stesso nome viene
suggerito dal dio alla regina da lui amata e che � destinata a ereditare il
potere di suo padre sull'Alto e sul Basso Egitto. Ḫn�m si mette al lavoro per crearla. In un rilievo su
pietra calcarea rinvenuto nel medesimo tempio, � raffigurata una scena dove il
criocefalo � seduto su uno sgabello, davanti alla sua ruota da vasaio, intento a
plasmare l'immagine della futura regina. La cosa curiosa � che le figurine sulla
ruota sono due: Ḫn�m
sta infatti plasmando contemporaneamente Hat�eps�t
e il suo k�. Le sue mani sono protese su entrambe le statuette. �
evidente che il lavoro di creazione effettuato da Ḫn�m procede contemporaneamente sia sul piano materiale
che su quello metafisico. Inginocchiata ai piedi del criocefalo,
Ḥeqet, la dea-levatrice dalla testa di rana, tiene
nella mano destra un ʿanḫ, che sta avvicinando alle due
immaginette plasmate da Ḫn�m, simbolo della vita che sta per essere insufflata in
esse, mentre regge un secondo ʿanḫ nella sinistra. Nei testi che
accompagnano l'immagine, il dio Ḫn�m viene chiamato per adempiere alla volont� di
Am�n.
Nel testo, Ḫn�m spiega ad
Am�n:
�Ho creato questa tua figlia Ka-maʿt-Raʿ [Hat�eps�t]
con vita forza e salute; con offerte, con abbondanza, con rispetto, con amore,
con ogni cosa bella. Innalzo la sua immagine fino agli d�i nella sua nobilt�
grande di re della Valle e re del Delta...� |
Iscrizione funeraria del tempio di Haʾt�eps�t
|
E poi Ḫn�m aggiunge, evidentemente rivolto all'immagine della
regina che sta plasmando sulla ruota:
�...Io vengo a te per crearti
dappi� di tutti gli d�i. Io do a te ogni vita e stabilit�, durata, gioia che �
in mio potere. Io ti do tutta la salute e tutti i paesi. io ti do tutti i paesi
stranieri e tutti i suoi popoli quali sudditi. Io ti do tutte le offerte e ogni
abbondanza. Io ti do di sorgere sul trono di Ḥ�rr
come Raʿ. Io ti do di essere alla testa dei
k� di tutti i viventi, quando tu sorgi come re della Valle e re del Delta, nel sud
e nel nord, come ha decretato il padre tuo Am�n-Raʿ
che ti ama.� |
Iscrizione funeraria del tempio di Haʾt�eps�t
|
Da questo punto si evince un altro punto molto interessante.
Nel momento della creazione, come abbiamo visto, Ḫn�m plasma le membra, l'aspetto personale e il carattere
dell'individuo, e anche i suoi costituenti metafisici, a partire dal k�.
Ma fa di pi�: egli traccia anche la vita, le imprese, il destino di ciascuno,
iscrivendolo a quanto pare nello stesso limo da cui trae il loro corpo e la loro
anima. Ad ogni persona da lui modellata, Ḫn�m concede un punto di vista prestabilito, quello che
gli egiziani chiamavano �ay �ci� che �
deciso�, talvolta impersonato da una dea a s� stante. � quel principio che i
Greci resero poi col loro concetto di agathoda�mōn. In questa ottica di
Ḫn�m quale dio
del fato, � evidente come le dee del destino Mesḫenet e
Renen�tet finirono poi per essere considerate le
inseparabili compagne del criocefalo.
Nella favola egiziana B�ta ḫr An�p
informalmente nota come �Storia dei due fratelli�, conservata nel Papiro d'Orbiney (Papyrus
British Museum 10183) e risalente al regno del faraone Setẖ�-mer�-na-Ptaḥ
(Seti II, 1209-1205 a.C.), XIX dinastia, Ḫn�m viene chiamato a plasmare una moglie per il
protagonista che � rimasto solo, e il testo ci informa che nel momento stesso
della creazione, il destino della donna � stato gi� deciso e gi� assicurato:
Raʿ-H�araḫt disse a
Ḫn�m: �Fabbrica una
donna per Bata, che non sieda pi� solo�. Allora
Ḫn�m gli fece una compagna: era bella di corpo pi�
di ogni donna che fosse nella terra intera e il seme di ogni dio era in lei.
Allora le sette Ḥ�t-ḥ�r vennero a vederla e dissero a una sola bocca:
�Far�
una morte d'arma tagliente�. |
B�ta ḫr An�p |
Il destino della donna � gi� stabilito fin dalla nascita. Nelle sette
Ḥ�t-ḥ�r non vediamo soltanto le
sette levatrici che adiuvano Ninmaḫ nel decidere il
destino del primo uomo creato, o le sette dee che si riuniscono attorno ad
Hḗphaistos ed Athēn�
per vestire e ornare Pandṓra; qui hanno
la stessa funzione delle Mo�rai o
Parc�, le dee
del destino che filano la vita degli individui nel mito classico, e addirittura
preludono alle fate madrine delle fiabe medievali, che si radunano intorno alla
culla dei neonati per deciderne il corso della vita.
Si � anche pensato che la scena della
creazione della moglie di Bata sia alla base del
mito della creazione della stessa Pandṓra,
pure
plasmata nella creta da un dio-artigiano e adornata dai doni di tutti gli d�i,
come narra Hēs�odos nelle
�rga ka� Hēm�rai. Il progetto di Ze�s di modellare
Pandṓra per arrecare infinite miserie e disgrazie
al genere umano, non coincide con lo spirito filantropico di
Ḫn�m, artigiano
evidentemente innamorato del suo lavoro. Vi sono comunque molte attinenze tra la
storia di Pandṓra e la vicenda di
B�ta ḫr An�p, che gli
studiosi hanno puntualmente rilevato. In entrambi i casi, la donna creata dal
dio artigiano (Ḫn�m/Hḗphaistos) sar� oggetto di una fatale contesa.
Il motivo tuttavia degli uomini creati sulla ruota di vasaio,
comune anche in altri miti mediorientali, si diffonder� nei secoli, lungo i
mille rivoli della cultura umana. Ne ritroviamo un eco in Irān, nelle splendide
quartine di ʿOmar Ḵayyām, laddove il motivo � invertito. Qui sono i vasai
a fare anfore e vasi dai corpi degli uomini, tornati dopo la morte ad essere
terra:
|
Fin quando saremo prigionieri di questo dozzinale
intelletto?
Che importan cent'anni nel mondo, che importa un sol giorno?
Versa tu, nella coppa Vino limpido, prima
che mipasti vasi di noi, nell'officina, il Vasaio. |
ʿOmar Ḵayyām: Robāʾiyyāt
[126] |
� un circolo immenso, aperto nell'antico Egitto tremila anni
prima di Cristo, che viene a chiudersi idealmente in Irān, quattromila anni
dopo... |
PRESSO GLI
EBREI: ĀḎĀM E ḤAWWĀH
Il mito mesopotamico � indispensabile per comprendere le
origini del pi� famoso mito antropogonico dell'occidente, quello biblico. Come
detto altrove, la Bibbia fu compilata probabilmente durante l'epoca della
deportazione babilonese (586-538 a.C.) o subito dopo, e i teologi che si
occuparono di dare una forma canonica agli scritti sacri cucirono testi di
diversa antichit� e provenienza. Gli antichi miti ebraici provenivano dal comune
fondo mitologico cananeo, nel quale si intrecciavano concezioni di provenienza mesopotamica. Durante il periodo dell'esilio
a Babilonia, gli Ebrei vennero in stretto contatto con la raffinata teologia
babilonese, il cui confronto fu decisivo per l'elaborazione e la distinzione dei
miti ebraici.
Secondo l'ipotesi documentaria, messa a punto dal biblista
tedesco Julius Wellhausen (1844-1918) ai primi del XX secolo, il Pentateuco
sarebbe il risultato del lavoro di cucitura di quattro tradizioni distinte, diverse
nel tono e non sempre coerenti tra loro. I biblisti si riferiscono ad esse come alla tradizione Yahvista (J), Elohista (E),
Deuteronomista (D) e Sacerdotale (P). La tradizione Yahwista (J)
� la pi� antica: risalente al periodo monarchico (circa 850-700 a.C.), quando l'Assiria
era il regno pi� potente della Mesopotamia, raccoglie le pi� arcaiche leggende
diffuse tra le genti di Israele e di Giuda. Dio vi � descritto in termini
antropomorfici ed � chiamato Yǝhwāh. Questo nome �
il frutto di una convenzione creatasi col tempo nel tentativo di evitare di
pronunciare il Nome Divino: allo scheletro consonantico del nome,
YHWH [יהוה], venivano aggiunte le
mozioni vocaliche della parola
Ăḏōnāy
�signore� e, con qualche passaggio fonetico, si arrivava alla forma Yǝhwāh
o
Yǝhōwāh. La Tradizione Elohista (E) si sarebbe
formata in epoca successiva, dopo la divisione del regno di Israele; sicuramente prima
del 720 a.C., data in cui il Regno Settentrionale fu conquistato dagli Assiri.
Dio � qui chiamato lōh�m, plurale di maest� del
termine generico el �dio�, ed � descritto con accenti piuttosto astratti.
Secondo Wellhausen, le due tradizioni vennero integrate tra il 720
e il 620 a.C. La tradizione Deuteronomista (D), cos� chiamata perch�
prevalente nei Dǝḇār�m, o �Deuteronomio�, e
di carattere prevalentemente giuridico, risalirebbe al VII secolo a.C. Ultima,
infine, la tradizione Sacerdotale (P) risulta essere un insieme di testi molto
antichi, sviluppati all'epoca della cattivit� babilonese (VI sec. a.C.).
Dio vi � chiamato sia lōh�m che
Yǝhwāh, presenta una teodicea trascendentale ed � del tutto
esente dagli antropomorfismi: motivo che sar� ancor pi� sviluppato nel
giudaismo successivo. In epoca post-esilica, la tradizione Sacerdotale,
utilizzata quale impianto cronologico e teologico della storia sacra, servir� ai
compilatori del Pentateuco come cornice per inquadrare i temi tramandati dalle
altre tradizioni.
Nel corso del XX secolo, gli apporti dell'archeologia, la migliore conoscenza della storia e della cultura
dell'antico Medio Oriente, nonch�
delle letterature sumerica, accadica, ḫittita, cananea ed egiziana, l'affinarsi
del metodo comparativo in critica e in filologia, hanno messo in crisi la
cronologia di Wellhausen. Nonostante ci�, l'ipotesi documentaria � ancora
efficacemente utilizzata dai biblisti, almeno nei suoi contorni generali.
Ma concentriamoci sul Bǝrēʾ��ṯ,
la �Genesi�, il primo e pi� giustamente famoso dei libri mosaici.
Il mito di creazione dell'uomo risulta essere una giustapposizione delle
tradizioni Yahwista e Sacerdotale. Quest'ultima � astratta,
stringata, e sembra presentare una creazione simultanea dell'uomo e della donna.
Wayyōʾmẹr lōh�m naʿăśe āḏām bǝṣalmēn�; kiḏm�ṯēn�; wǝyird�
biḏaṯ hayyām w�ḇǝʿ� ha��āmayim, w�ḇabbǝhēmāh w�ḇǝḵāl-hāʾārẹṣ w�bǝkāl-hārẹmẹs,́
hārōmēś ʿal-hāʾārẹṣ. |
Finalmente lōh�m disse: �Facciamo l'uomo a norma della nostra immagine,
come nostra somiglianza, affinch� possa dominare sui pesci del mare sui
volatili del cielo, sul bestiame e sulle fiere della terra e sopra tutti i
rettili che strisciano sulla terra�. |
Wayyiḇrāʾ lōh�m ẹṯ-hāʾāḏām bǝṣalm�,
bǝṣẹlẹm lōh�m bārāʾ ōṯ�: zāḵār w�nǝqēḇāh, bārāʾ ōṯām. |
Ed lōh�m cre� gli uomini a norma della sua immagine, a norma
dell'immagine di lōh�m
li cre�, maschio e femmina li cre�. |
Wayḇārẹḵ ōtām
lōh�m wayyōʾmer lāhẹm lōh�m
pǝr� w�rǝḇ� w�milʾ� ẹṯ-hāʾārẹṣ, wǝḵiḇ�uhā; w�rǝḏ� biḏaṯ hayyām, w�ḇǝʿ� ha��āmayim, w�ḇǝḵāl-ḥayyāh hārōmẹśẹṯ ʿal-hāʾārẹṣ. |
Quindi lōh�m li benedisse e
disse loro lōh�m:
�Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra, e soggiogatela e abbiate
dominio sui pesci del mare, sui volatili del cielo, sul bestiame e su tutte le
fiere che strisciano sulla terra�. |
Bǝrēʾ��ṯ (P) [1: -] |
Null'altro viene aggiunto dalla tradizione Sacerdotale. � soltanto l'istantanea
della creazione. Il passaggio dell'uomo dal non-essere all'essere �
completamente sostenuto da un'unica parola, il verbo
�cre�, e qualunque particolare � subordinato all'unico
dettaglio che l'autore del testo avverta come importante:
�a norma dell'immagine di lōh�m
li cre�. Non vi � altro da aggiungere. La tradizione Sacerdotale si risolve in questa unica definitiva
illuminazione.
La versione pi� popolare, quella a cui dobbiamo i dettagli
pi� pittoreschi e gustosi dell'antropogonia biblica, ci deriva invece dalla tradizione
yahwista, che, nel secondo capitolo del
Bǝrēʾ��ṯ,
ri-narra daccapo la creazione del mondo e dell'uomo, talora concordando
nei dettagli col primo testo, talora distaccandosene, il tutto con un tono
affatto diverso e che per molti versi ci ricorda le pi� antiche cosmogonie
semitiche. Cos� infatti inizia:
...Bǝy�m ʿăś�t Yǝhwāh lōh�m ereṣ wǝ�āmāyim, |
...Quando Yǝhwāh lōh�m
fece la terra e il cielo, |
wǝkōl ś�ḥa haśśāḏeh ṭerem yihǝyeh
ḇāʾārεṣ wǝkāl-ʿēśεḇ
haśśāḏeh ṭerem yiṣǝmāḥ k� lōʾ himǝṭ�r Yǝhwāh
lōh�m ʿal-hāʾāreṣ wǝʾāḏām ayin
laʿăḇōḏ ʾet-hāʾăḏāmāh |
ancora nessun cespuglio
della steppa vi era sulla terra, n� ancora alcuna graminacea della steppa
vi era spuntata, perch� Yǝhwāh lōh�m
non aveva fatto piovere sulla terra, n� c'era l'uomo a coltivare il terreno |
Wǝʾēd yaʿăleh min-hāʾāreṣ wǝhi�ǝqāh et-kāl-pǝn�-hāʾăḏāmāh. |
e a far salire dalla
terra un canale per irrigare tutta la superficie del terreno. |
Wayy�ṣer Yǝhwāh lōh�m et-hāʾāḏām
ʿāār min-hāʾăḏāmāh
wayyippaḥ bǝʾapp�w ni�ǝmat ḥayy�m wayǝh� hāʾāḏām lǝnee� hayyāh. |
Allora Yǝhwāh lōh�m dalla polvere
del terreno modell� l'uomo, e soffi� sulle sue narici un alito di vita e l'uomo
divenne un essere vivente. |
Bǝrēʾ��ṯ (J) [2: -] |
�N� c'era l'uomo a coltivare il terreno
e a far salire dalla terra un canale per irrigare tutta la superficie del
terreno�.
In questo passo sentiamo riecheggiare l'En�ma il�
aw�lum, laddove gli
Anunnaki avevano creato gli
Igigi affinch� scavassero corsi d'acqua e
aprissero canali che vivificassero la terra, lavoro che dopo la ribellione degli
Igigi passa all'umanit�. Nel testo biblico
la situazione, per quanto pi� astratta, non appare diversa: sicuramente ha
ereditato il motivo dell'uomo-lavoro dal mito mesopotamico.
Yǝhwāh lōh�m, dopo aver creato il cielo e la terra, si
trova di fronte una terra ancora priva di vita, e questo perch� non aveva ancora
mandato la pioggia, ma anche perch� non c'era ancora l'uomo a costruire canali e
irrigarne la superficie. Allora, dice il testo,
Yǝhwāh lōh�m modell� l'uomo.
Traspare da questo
�allora� l'intenzione teleologica: il motivo
antropogonico sembra ancora una volta finalizzato al lavoro che l'uomo dovr�
fare per coltivare e irrigare la terra, ch� tale lavoro completer� l'opera della
creazione iniziata da dio.
� lo stesso motivo che avevamo colto sulle parole del
Promētheus di Loukian�s: la creazione dell'uomo �
propedeutica al completamento del k�smos, in quanto � solo con il lavoro
e l'opera umana che il mondo sar� amministrato e ordinato, per conto e in onore
degli d�i.
�Il bene che io ho fatto agli d�i per mezzo degli uomini,
vedilo, getta uno sguardo su la terra non pi� squallida ed orrida, ma abbellita
di citt�, di campi coltivati, di alberi fruttiferi; vedi il mare coperto di
navi, le isole abitate, altari, sacrifici, templi, solennit� in ogni parte,
piene tutte le vie e le piazze di immagini di Ze�s.
[...]. Non essendovi gli uomini, la bellezza dell'universo sarebbe rimasta senza
spettatori; e noi immortali saremmo ricchi di una ricchezza priva di
ammiratori.� |
Loukian�s h� Samosate�s:
Promēthe�s ē Ka�kasos |
Siamo in pieno discorso eziologico. Il mondo che si offre
all'esperienza umana appare perfettamente ordinato e completo cos� com'�
composto, nel suo insieme indiscindibile di leggi naturali e costumanze sociali.
L'immaginazione mitogenetica, fissando la realt� circostante come inevitabile
punto d'arrivo, ne srotola il passato e definisce il processo creativo che,
inevitabilmente, porta al mondo che l'uomo conosce.
Ma torniamo alla Bibbia e concentriamoci sul versetto
decisivo:
Wayy�ṣer Yǝhwāh lōh�m et-hāʾāḏām
ʿāār min-hāʾăḏāmāh wayyippaḥ bǝʾapp�w ni�ǝmat ḥayy�m wayǝh� hāʾāḏām
lǝnee� hayyāh. |
Allora
Yǝhwāh lōh�m con la polvere
del terreno modell� l'uomo, e soffi� sulle sue narici un alito di vita e l'uomo
divenne un essere vivente. |
Bǝrēʾ��ṯ (J) [2: ] |
Abbiamo ancora una volta un'operazione di modellamento della
prima figurina umana a partire con la polvere del suolo. Di nuovo l'uomo che
viene dalla terra, che � tutt'uno con la terra. E in quanto generato dalla
terra, ăḏāmāh, il nuovo essere
verr� chiamato āḏām, �uomo�. Non si tratta di un semplice
processo di derivazione: ăḏāmāh � femminile, āḏām
maschile. L'uomo �nasce� dalla terra, cos� come il bambino nasce dalla madre.
Alcuni passi biblici parlano dell'uomo, prima di essere creato, come di un
�embrione� intessuto nelle profondit� della terra. Come nei
Tǝhill�m, i
�Salmi�, dove leggiamo:
Lōʾ-nikǝḥaḏ ʿāṣǝm� mimmekā ă�er-ʿuśś�t� ḇassēter
ruqqamǝt� bǝtaḥǝtiyy�t āreṣ. Gōlǝm� rāʾ� ʿ�n�k wǝʿal-siǝrǝk
kullām yikātēḇ� yām�m yuṣṣār� wǝlōʾ eḥād bāhem. |
Non ti erano nascoste le mie ossa mentre ero formato nel
segreto e intessuto nelle profondit� della terra. I tuoi occhi hanno visto il
mio embrione e nel tuo
libro erano tutti scritti i giorni che mi eran destinati, quando nessuno d'essi
era sorto ancora. |
Tǝhill�m [139:
-] |
Anche tra gli Ebrei, l'antropogonia demiurgica non esclude
quella per emersione dalla terra, anzi, s'intreccia con essa: la nascita dell'āḏām,
come quella di ogni uomo, richiede un concorso femminile (la terra) e uno
maschile (Yǝhwāh).
 |
Ĕlōh�m crea Āḏām
(✍
1795) |
William Blake (1757-1827).
Incisione |
Derivato dalla terra, ăḏāmāh,
fisicamente ed etimologicamente, āḏām � l'uomo per
antonomasia. Egli non ha un nome definito: i primi capitoli del
Bǝrēʾ��ṯ
lo citano sempre preceduto dall'articolo: hāʾāḏām,
�l'uomo�. � solo a partire dal quinto capitolo, quando si ricapitoler� la sua
discendenza, che hāʾāḏām diviene esplicitamente Āḏām.
Molto si � speculato, successivamente, sul nome di Āḏām.
Le tre lettere ebraiche che lo compongono (אדם),
si riteneva rivelassero gli
elementi formativi della sua creazione: ēer
�cenere�, dām �sangue�, mārāh
�fiele�. Perch� se un uomo manca di questi tre elementi in uguale misura, si
ammala e muore.
Molteplici sono le tradizioni ebraiche sull'origine della
polvere scelta da
Yǝhwāh per creare il primo uomo. Naturalmente si tratta della terra pi� pura: quella del monte Ḥǝḇr�n o del sacro monte M�riyyāh. Nei
Targ�m�m e nei
Midra��m si afferma che alla terra del monte
M�riyyāh venne aggiunta una mescolanza di terra presa dai quattro angoli del
mondo, irrorata con acqua tratta da ogni fiume e da ogni mare esistente.
Servendosi di polvere presa da ogni parte del mondo,
Yǝhwāh ebbe la certezza che, in qualunque luogo vivessero i discendenti
di Āḏām, la terra li
avrebbe sempre accolti. Altrimenti, se un orientale fosse andato a occidente, o
un occidentale fosse andato a oriente, e la morte li avesse colti, il suolo
avrebbe rifiutato di accoglierne la polvere.
Questa tradizione � ripresa dalla versione slava del
Sēẹr Ḥăn�q, il �Libro di
Enoch�, a sua
volta basata su un originale greco, dove si dice che il nome di Āḏām
fosse formato su un acrostico delle parole greche Anatolḗ �oriente�,
D�sis �occidente�, �rktos �settentrione� e Mesēmbr�a
�meridione�
(Slavjanskaja kniga Enocha
[30: ]).
Nella
Spelunca Thesaurorum siriaca si dice che gli
angeli videro la mano destra di Dio stesa sopra il mondo e la videro raccogliere
polvere da ogni luogo della terra, una goccia d'acqua da ogni mare, un rivolo
d'aria da ogni vento e un poco di calore da tutti i fuochi dell'universo,
radunando i quattro elementi nel cavo della sua mano e creando cos�
Āḏām. Nella versione islamica, Allāh mand� i quattro arcangeli
Ǧibrīl,
Mīḫāʾīl,
Isrāfīl e
ʿAzrāʾīl
ai quattro angoli della terra, e con essa cre� il corpo di
Ādam: per formare il suo cuore e la sua testa,
tuttavia, Allāh scelse polvere da un sito vicino alla Makka, dove pi� tardi
sarebbe sorta la Kaʿba.
In tutti questi miti, derivazione da un comune archetipo,
l'uomo veniva dunque ad essere una sorta di microcosmo che riassumeva nella sua
piccola forma umana l'intero mondo. Vi era insomma una consustanzialit� tra
l'uomo e il mondo. In molte versioni si dice che
Āḏām, subito dopo la creazione, aveva un corpo cos� grande che quando era
disteso arrivava da un angolo della terra all'altro, e quando stava eretto la
sua testa era al livello del trono divino, e di tale bellezza e fulgore che al
solo vederlo gli angeli fuggirono tremanti del cielo chiedendosi: �Possono
esservi due poteri divini, uno qui e l'altro sulla Terra?� Per calmarli, Dio
pos� la sua mano su
Āḏām
e ridusse le dimensioni di lui a cento cubiti. In seguito le avrebbe ancor pi�
ridotte dopo la caduta.
Ma ritorniamo ancora una volta al nostro versetto:
Wayy�ṣer Yǝhwāh lōh�m et-hāʾāḏām
ʿāār min-hāʾăḏāmāh wayyippaḥ bǝʾapp�w ni�ǝmat ḥayy�m wayǝh� hāʾāḏām
lǝnee� hayyāh. |
Allora
Yǝhwāh lōh�m con la polvere
del terreno modell� l'uomo, e soffi� sulle sue narici un alito di vita e l'uomo
divenne un essere vivente. |
Bǝrēʾ��ṯ (J) [2: ] |
Abbiamo gi� visto all'opera questo �alito di vita� [ni�ǝmat ḥayy�m]
nella pagina precedente. � il r�ḥ, lo spirito di Dio che, nel secondo
versetto del Bǝrēʾ��ṯ,
avevamo visto aleggiare sulle acque abissali, indicazione di una potenza che
scende a vivificare la materia, traendola dallo stato di indeterminatezza
primordiale per conferirgli una natura dinamica e vibrante. � una parola che si
estende dall'indefinibile spazio divino fino all'intimo pulsare della vita. �Il
principio dinamico di ogni cosa�, spiega l'ebraista Giulio Busi. Abbiamo
anche visto come alla base di questa parola, r�ḥ, vi sia l'onomatopea
dell'erompere improvviso del vento, quello stesso vento che nei miti
mesopotamici serviva come arma al dio di turno per ammansire e separare le acque
primordiali. � un termine che nella traduzione greca dei Settanta, sar� resa con
pne�ma, indicante qualcosa tra la vita, il respiro e l'anima, e quindi in
latino con l'importante parola spiritus.
Abbiamo visto che nella tradizione mesopotamica era stato
necessario uccidere un dio, Weʾe, e mescolare il
suo sangue e la sua carne all'argilla mortale, affinch� il simulacro
d'uomo potesse acquistare vita e coscienza, oltre a uno
spirito divino e immortale [eṭemmu]. La medesima cosa avviene nel mito
ebraico senza che sia necessario alcun deicidio. Lo spirito divino [r�ḥ]
passa da Dio all'uomo con la dolcezza di un soffio. Come la forma
di polvere di Āḏām conteneva in s� la totalit� della
terra, attraverso lo spirito di vita insufflato nelle sue narici, ha
in s� anche una scintilla della natura divina. Ecco cos'� l'uomo: il mondo che
prende coscienza di s� stesso e che attraverso la coscienza si avvicina a Colui
che l'ha creato. � un processo che in un certo senso gi� prelude al moderno
principio antropico.
La creazione della donna, nella tradizione Yahwestica, avviene in un secondo tempo.
Yǝhwāh, rendendosi conto che l'uomo era solo,
decide di fargli un aiuto degno di lui, e conduce presso l'uomo ogni sorta di
animali e tutti i volatili del cielo, e a tutti Āḏām impone nomi. Ma non
trova nessuna creatura che sia lui adatta. Allora...
Wayyappēl Yǝhwāh lōh�m tardēmāh ʿal-hāʾādām
wayy�ān wayyiqqaḥ aḥat miṣṣalǝʿōt�w wayyisǝgōr bāśār taḥǝtennāh. |
Allora Yǝhwāh lōh�m fece cadere un
sonno profondo sull'uomo, che si addorment�; gli tolse quindi una delle costole
e richiuse la carne al suo posto. |
Wayyiḇen Yǝhwāh lōh�m et-haṣṣēlāʿ ă�er-lāqaḥ min-hāʾāḏām
lǝʾi��āh wayǝḇiʾehā el-hāʾāḏām. |
E Yǝhwāh lōh�m
costru� la costola, che aveva tolto all'uomo, formando una donna; poi la
condusse all'uomo. |
Wayyōʾmer hāʾāḏām zōʾt happaʿam ʿeṣem mēʿăṣāmay
�ḇāśār mibbǝśār� lǝzōʾt yiqqārēʾ i��āh k� mēʾ� luqŏḥāh-zz�ʾt. |
Allora l'uomo disse: �Questa volta � osso delle mie ossa e carne
della mia carne. Costei si chiamer� donna perch� dall'uomo fu tratta
costei�. |
ʿAl-kēn yaʿăzāḇ-� et-ʾāḇ�w wǝʾet-imm�
wǝḏāḇaq
bǝʾi�ǝt�
wǝhāy� lǝḇāśār eḥāḏ. |
� per questo che l'uomo abbandona suo padre e
sua madre e si unisce alla sua donna e i due diventano una carne sola. |
Bǝrēʾ��ṯ (J) [2: -] |
Ecco fatto. Tutti gli attori sono in scena, tranne
uno. Sta per
iniziale il dramma pi� essenziale e pi� definitivo della storia umana...
|
L'UOMO DI CRETA: IL GŌLẸM
Secondo la teofisica ebraica, che deve qualcosa a
quella egiziana e sarebbe stata elaborata via via da tutta la cabalistica
successiva, tre princ�pi contribuivano a definire la natura umana. La ḥayy�t era la vitalit� interna posseduta da tutte le creature,
dunque la stessa energia vitale che sosteneva allo stesso modo le piante e gli
animali. A un livello superiore vi era la nee�, la coscienza
intellettiva, posseduta in gradi diversi dagli animali e dall'uomo. Ma il
r�ḥ, lo spirito che Yǝhwāh lōh�m
aveva insufflato nell'uomo, era qualcosa che
distaccava l'uomo da tutte le altre creature e lo rendeva a �immagine e
somiglianza� di Dio.
Cosa sarebbe stato mai l'uomo senza lo spirito divino? Nella
tradizione ebraica esistono, a spiegare questo mistero, una parola e una serie
di strane leggende. La parola � gōlẹm, gi� comparsa nello
straordinario passo dei �Salmi� che avevamo gi� citato, e che riportiamo ancora
una volta:
Lōʾ-nikǝḥaḏ ʿāṣǝm� mimmekā ă�er-ʿuśś�t� ḇassēter
ruqqamǝt� bǝtaḥǝtiyy�t āreṣ. Gōlǝm� rāʾ� ʿ�n�k wǝʿal-siǝrǝk
kullām yikātēḇ� yām�m yuṣṣār� wǝlōʾ eḥād bāhem. |
Non ti erano nascoste le mie ossa mentre ero formato nel
segreto e intessuto nelle profondit� della terra. I tuoi occhi hanno visto il
mio embrione [gōlǝm�] e nel tuo
libro erano tutti scritti i giorni che mi eran destinati, quando nessuno d'essi
era sorto ancora. |
Tǝhill�m [139:
-] |
� una scena di grande suggestione: l'uomo pre-creato,
�intessuto nelle profondit� della terra�.
L'enunciazione dell'appartenenza di un oggetto informe che in realt� �
invisibile persino per chi parla. La radice GLM, che forma
lo scheletro etimologico di questa straordinaria parola, ha in s� l'idea di
�avvolgere un tessuto�. Presenta dunque delle forme potenziali,
annunciate ma non dichiarate, non ancora dispiegate nella loro natura completa.
Giulio Busi d� riscontro a questa radice col latino glomus
�gomitolo�, da cui il verbo glomerare, che esprime l'azione di addensare
qualcosa in una massa confusa e informe. Questa strana espressione nei
Tǝhill�m, che la traduzione corrente rende con �embrione�, viene resa
nella traduzione greca dei Settanta con la parola
akat�rgast�n, �non lavorato�, parola a cui fa eco l'amorfōton,
�informe�, usato da Symmachus.
Si ha l'impressione che quando i testi mesopotamici parlino
di �prototipo d'uomo� [lull�], intendino qualcosa di simile al concetto
ebraico di gōlẹm. I racconti rabbinici sulla creazione degli āḏām�m ribadiscono un momento
intermedio nella genesi dell'uomo. Il primo impiego ebraico di questa parola con
una forte connotazione simbolica, si ha in un detto risalente probabilmente al IV
secolo,
che cos� enuncia:
Quando il Santo, sia Egli benedetto, cre� il primo uomo,
lo cre� informe [gōlẹm] ed egli si stendeva da un'estremit� all'altra del
mondo. |
Bǝrēʾ��ṯ rabbāh
[VIII: 1] |
Come fa notare Busi, �il termine gōlẹm
rappresentava una rara occasione di semantizzare lo spazio confuso che sta prima
di ci� che non � ancora, o dopo quanto non � pi�, dominio solitamente taciuto
dal linguaggio, eppure d'importanza fondamentale per i dotti ebrei di et�
talmudica�. Sebbene nella letteratura ebraica di epoca tardo-antica la parola
non venga ancora direttamente associata al concetto di individuo creato con
l'impiego della magia, come avverr� a partire dal medioevo, furono queste
premesse culturali a sostenere l'idea che fosse possibile, all'uomo esperto di
arti occulte, creare un corpo inerte dall'argilla o dalla creta e farlo muovere
utilizzando il Nome Divino.
 |
Il gōlẹm di Praga |
Fotogramma dal film
Der Golem (1915) di Paul Wegener |
Secondo una leggenda riferita dal Talm�ḏ
babilonese, rabb� Rabbāh (�270-�350), sapiente attivo in Babilonia,
cre� un uomo e lo mand� da rabb� Zẹyrāʾ. Questi cerc� di parlare con
lui ma non ne ebbe risposta. Allora disse: �Tu vieni senz'altro dai miei
colleghi, ritorna alla tua polvere�. E il
gōlẹm si disfece. (Sanhedrin [65b]).
Al poeta e filosofo andaluso �ǝlōmōh bẹn Yĕh�ḏāh bẹn Gaḇ�r�l
(�1021-1058) fu attribuita la creazione di un gōlẹm femmina da pezzi di legno;
denunciato alle autorit�, �ǝlōmōh pot� dimostrare che la sua creatura non era
perfetta, facendola tornare al suo stato originario (Taʿăl�m�ṯ ḥoḵmāh). Ma la storia pi� nota � quella sul
gōlẹm che rabb� Yĕh�ḏāh L�w bẹn Bezalʾēl (1525-1609) cre� nel ghetto di Praga,
modellando una
statua di creta e facendola vivere inserendo sotto la sua lingua un rotolo col
Nome Divino. Secondo un'altra versione, sulla sua fronte erano incise le tre
lettere che in ebraico compongono la parola mẹṯ [אםת]
�verit�; per far tornare la creatura al suo stadio originario bastava raschiare
la ale e lasciar affiorare la parola mēṯ [םת]
�morto�. Questo tipo di operazioni erano divenute cos� popolari nel mondo dell'esoterismo
ebraico, che Elǝʿāzār bẹn Yĕh�ḏāh di Worms (1165-1230), il principale esponente
del misticismo a�kenazita nel medioevo, arriver� al punto di istruire i suoi
adepti nella costruzione dei gōlẹm�m, nei commentari del
Sēer yǝṣ�rāh.
L'argomento golemico � affascinante e il lettore ci scuser� se abbiamo divagato. |
FEMMINE, INGANNI E
SERPENTI
La tradizione Yahwista � lo abbiamo visto � pone l'accento
sul fatto che l'uomo venne creato prima, e la donna dopo (Bǝrēʾ��ṯ [2: -]). Se il motivo pu� avere qualche analogia con il
mito greco della creazione di Pandṓra, separata e
successiva a quella dei maschi, niente del genere si pu� dire
riguardo alla materia prima utilizzata nell'operazione.
Pandṓra viene plasmata con la terra (o dalla terra),
cos� come Promēthe�s aveva operato per creare
l'uomo. Invece, nel mondo ebraico,
Yǝhwāh lōh�m forma la donna a partire da una
materia gi� lavorata: dalla costola tolta all'uomo. Mentre l'uomo viene min-hāʾăḏāmāh,
�dalla terra�, la donna viene min-hāʾāḏām,
�dall'uomo�, a indicare una dipendenza ontologica, destinata a venire
inevitabilmente riflessa sul piano sociale.
 |
Ḥawwāh (✍
1896) |
Dipinto di Lucien L�vy-Dhurmer (1865-1953)
Pastello e guazzo, 49 x 46 cm. Collezione privata. |
Ma perch� proprio una costola? La parola ṣelāʿ
viene citata quarantun volte nel canone biblico e ha il significato di �fianco,
lato�, anche in contesti non anatomici (es. ṣelāʿ ha-mi�kān
�lato del tabernacolo�). �Costola� �, tuttavia, il significato etimologico
primario del termine, derivante dalla radice ṢLʿ [צלע]
�curva�, affine all'accadico (assiro)
ṣ�lu �costola�. La traduzione greca dei Settanta ricalca da vicino
l'originale ebraico e usa al riguardo il termine greco
pleur�, che pu� significare sia �costola� sia, al plurale, �fianco�. Da qui,
le traduzioni latine e nelle lingue moderne. L'ambiguit� del testo originale,
d'altronde, pu� sia indicare una singola costola della gabbia toracica ma
anche, in generale, il fianco intero, come a significare che la donna sia la
�met� dell'uomo. Ma al di l� del senso letterale, � ovvio che la tradizione Yahwista, come quella Sacerdotale, intendeva porre l'attenzione sul fatto che
uomo e donna sono fatti della stessa carne (e che nel matrimonio ritorneranno ad
essere �una sola carne�).
In sumerico la parola
�costola� � formata da (₃, ₃) �vita�, preceduto dal determinativo
�carne�. Il sumerogramma �vita� era
rappresentato dall'immagine stilizzata di una freccia, in quanto
�freccia� e �vita� erano omofoni, pronunciandosi ti.
Risalente all'inizio del II millennio, il racconto sumerico
�Enki e Ninḫursa�, secondo il titolo informale datogli dagli autori moderni (il
titolo originale era forse Iri kugkuggam,
�Pura � la citt�), mette in scena una vicenda ambientata nel paese di
Dilmun, generalmente considerato un protomitema del
giardino di ʿĒḏẹn. Nella
seconda met� del racconto, Enki, maledetto dalla
sposa Ninḫursa, giace come morto. Ma
Ninḫursa lo perdona e gli partorisce otto divinit�
specializzate nella cura delle altrettante malattie che affliggono il dio. La
settima, Ninti, viene creata per guarire il male
alle costole. Il suo nome pu� essere letto indifferentemente come �Signora della
vita� o �Signora della costola�.
�e�-u₁₀ a-na-zu a-ra-gig ti-u₁₀ ma-[gig]
nin-ti im-ma-ra-an-[tu-ud] |
�[Enki], fratello mio, cosa
ti fa male?�
�Le mie costole, mi fanno male.�
Allora [Ninḫursa] partor�
Ninti. |
Iri kugkuggam
[-] |
Nel mito ebraico, la donna riceve il suo nome nel momento in
cui viene cacciata da ʿĒḏẹn:
ed esso �
Ḥawwāh, �vivente� (a sua
volta da ḥay �vita�, cfr.
ḥayy�t, la vitalit� caratteristica di tutte le creature), nel senso
di �[signora dei] viventi�. La traduzione greca ne rende il nome con Zṓē �vita�.
Non sosteniamo alcun tipo di omologia tra
Ninti ed Ḥawwāh:
i due racconti sono diversissimi e un'etimologia tanto vaga non basta a
individuare la bench� minima associazione tra le due figure. Rimane il sospetto,
tuttavia, che nel corso dell'elaborazione del canone ebraico, vi sia stato uno
slittamento di significato che ha portato gli autori della Bibbia a
interpretare l'ultimo atto della creazione, quello della donna, come il
risultato di un'operazione eseguita su una costola. Il testo � assai preciso su
tutta l'operazione:
Yǝhwāh attua perfino una specie di anestesia, addormentando
Āḏām prima di togliergli la costola e richiudere la
carne. Persino l'etimologia delle parole i� e i��āh viene piegata
nel testo per spiegare come la donna sia venuta dall'uomo. Gioco di parole che
risulta agevole in latino (virago da vir) e persino nella
Bibbia inglese di re James (woman da man), ma non in italiano.
Si tratta forse dell'ultima interpretazione di un mito
antichissimo, in cui l'uomo originario aveva in s� entrambe le potenzialit� del
maschio e della femmina e solo in seguito sia stato scisso nei due sessi
distinti e separati? Qualcuno lo ha asserito con una certa enfasi. La cultura
patriarcale degli autori della
Bibbia avrebbe poi spinto verso un'interpretazione di
superiorit� dell'uomo rispetto alla donna, facendo intendere che l'uomo fosse
stato creato prima e la donna venuta da lui. Gli studiosi hanno indicato, al riguardo,
un famoso brano del Symp�sion, dialogo
platonico che tratta la natura e le origini dell'amore, dove Aristoph�nēs cita un curioso mito delle origini (se non � piuttosto
un'invenzione letteraria dello stesso Pl�tōn, espressa nel linguaggio del mito).
Ma eccolo:
Anzitutto occorre che conosciate
la natura umana e i suoi casi: giacch� la natura di noi uomini, un tempo non era
la stessa quale � ora per noi, ma diversa. Per prima cosa tre erano i generi
della stirpe umana, non due come ora, maschio e femmina, ma ve n'era anche un
terzo che era comune ad ambedue questi, del quale, oggi, resta soltanto il nome,
ma esso si � perduto. Infatti l'androgino allora era un genere a s� e aveva
forma e nome in comune del maschio e della femmina, ora invece non c'� pi�, ma
resta il nome sotto forma di ignominia. La forma di ciascun uomo era rotonda:
aveva la schiena e i fianchi di aspetto circolare, aveva pure quattro mani,
quattro gambe e due volti su un collo rotondo, del tutto uguali. Sui due volti
che poggiavano su una testa sola dai lati opposti, vi erano quattro orecchie,
due organi genitali e tutto il resto come pu� immaginarsi da tutto questo. Si
camminava in posizione eretta, come ora e ove si voleva; e quando si disponevano
a correre velocemente, come i saltimbanchi, a gambe levate, fanno capitomboli di
forma circolare, cos� essi, facendo perno sulle otto gambe, si muovevano
velocemente in cerchio. [...] |
Quanto a forza e vigore erano
terribili e nutrivano un sentire orgoglioso [...].
Ze�s dunque e gli altri d�i si radunarono a
consiglio per stabilire cosa dovevano fare, ma si trovavano nell'incertezza. Non
avevano infatti come sopprimerli e farne sparire la razza come i Giganti
fulminandoli (sarebbero scomparsi infatti tutti gli onori e i sacrifici degli
uomini nei loro riguardi), n� d'altra parte come lasciarli andare all'insolenza.
Ma Ze�s dopo aver
pensato e con fatica disse: �Penso di avere
un mezzo per il quale gli uomini possano sussistere e cessare la loro
insolenza,divenendo pi� deboli. Dunque ora taglier� ciascuno di essi in due
parti eguali, e cos� diverranno pi� deboli e insieme pi� utili per noi per
essere pi� numerosi, e cammineranno in posizione eretta, su due gambe. Se parr�
poi che persistano nella loro insolenza e non vorranno starsene in pace, li
taglier� di nuovo in due, tanto che cammineranno su una gamba sola come quelli
che si tengono dritti su un piede solo�.
|
Pl�tōn: Symp�sion |
Ma non divaghiamo, ch� la creazione della donna comporter�,
nel mito ebraico, altrettanti problemi che in quello greco. �Chi dice donna dice
danno� sembra essere una costante di certi miti patriarcali, ed
Āḏām ed Epimēthe�s
si sarebbero certamente trovati d'accordo. Sembra fuor di dubbio che
Yǝhwāh fosse animato dalle migliori intenzioni,
quando cre� una donna per Āḏām. Lo stesso non si
pu� dire di Ze�s, assai pi� malizioso nel recare il suo kal�s kak�s in dono al malaccorto
Epimēthe�s. Ma mentre la creazione di
Pandṓra era stata messa in atto
separatamente, ripetendo le modalit� demiurgiche gi� utilizzate da Promēthe�s
per dare vita agli uomini, nel mito biblico
Ḥawwāh veniva tratta dal fianco di Āḏām.
Cos�, mentre in Grecia la donna risultava una copia antisimmetrica dell'uomo,
presso gli Ebrei era considerata la sua met� complementare.
Detto questo, gli studiosi del mito hanno sempre
trovato naturale confrontare
Ḥawwāh e Pandṓra: due
�prime donne� responsabili, ciascuna a suo modo, della caduta dell'uomo e
dell'ingresso del male nel mondo.
Poich� ci siamo dilungati su Pandṓra,
non sar� male affrontare ora il racconto biblico. Questo � assai ben conosciuto,
e lo riportiamo solo per chiarezza d'esposizione:
Wǝ hannāḥā� hāyāh ʿār�m mikkōl ḥayyaṯ
haśśaḏẹh, ă�ẹr ʿāśāh Yǝhwāh
lōh�m wayyōʾmẹr
ẹl-hāʾi��āh a k�-ʾāmar
lōh�m, lōʾ ṯōʾḵǝl� mikkōl ʿēṣ haggān. |
Ora il serpente era astuto pi� di tutte le fiere della
steppa che Yǝhwāh lōh�m
aveva fatto, e disse alla donna: �� dunque vero che lōh�m
vi ha detto: �Non dovete mangiare di tutti gli alberi del giardino?�� |
Wattōʾmẹr hāʾi�sāh, ẹl hannāḥā�: mippǝr� ʿēṣ-haggān
nōʾḵēl. |
Rispose la donna al serpente: �Dei frutti
degli alberi del giardino noi possiamo mangiare. |
W�mippǝr� hāʿēṣ ă�ẹr bǝṯ�kǝ-haggān āmar
lōh�m
lōʾ ṯōʾḵǝl� mimmẹnn� wǝlōʾ
ṯiggǝʿ� b�:
pẹn-tǝmuṯun. |
�Ma del frutto dell'albero che sta in mezzo al giardino, lōh�m
ha detto: �Non lo dovete mangiare e non lo dovete toccare, per paura che ne
moriate�.� |
Wayyōʾmẹr hannāḥā�, ẹl-hāʾi��āh: lōʾ-moṯ,
tǝmuṯ�n. |
Ma il serpente disse alla donna: �No,
voi non morirete. |
K� yōḏēʿ lōh�m, k� bǝy�m ăḵālkẹm
mimmẹnn� wǝniqǝḥ� ʿ�n�ḵẹm; wihy�ṯẹm, kēʾlōh�m
yōḏǝʿ�, ṭoḇ wārāʿ. |
�Anzi, lōh�m
sa che il giorno in cui voi ne mangerete, si apriranno allora i vostri occhi e
diventerete come lōh�m:
conoscitori del bene e del male�. |
Wattērẹʾ hāʾi�sāh k� ṭoḇ hāʿēṣ lǝmaʾăḵāl
wǝḵ� ṯaʾăwāh-h�ʾ lāʿ�nayim, wǝnẹḥmāḏ hāʿēṣ
lǝhaśk�l wattiqqaḥ mippiry�, wattōʾḵal
wattittēn gam-lǝʾ�āh ʿimmāh, wayyōʾḵal. |
Allora la donna vide che l'albero era buono a
mangiarsi, e che esso era seducente per gli occhi e che era, quell'albero,
desiderabile per avere la conoscenza; perci� prese del suo frutto e
ne mangi�, poi ne diede anche a suo marito, che era con lei, ed egli
ne mangi�. |
Wattippāqaḥnāh, ʿ�n� sǝn�hẹm
wayyēḏǝʿ� k�
ʿ�rummim hēm... |
Allora si aprirono gli occhi di ambedue e
conobbero che essi erano nudi... |
Bǝrēʾ��ṯ
[3: -] |
 |
Ḥawwāh (✍
1885) |
Anna Lea Merritt (1844-1930)
Pastello e guazzo, 49 x 46 cm. Collezione privata. |
Il racconto biblico del frutto della conoscenza attinge a
mitemi affatto diversi da quello
del p�thos scoperchiato da
Pandṓra: non bisogna forzare i dati per indovinarvi a
tutti i costi uno schema. Tuttavia
Epimēthe�s ed Āḏām
sono vittime di un
inganno che ha il suo strumento proprio nella donna che �
stata loro recapitata a domicilio:
Ze�s sa bene che
Pandṓra scoperchier� quel vaso, una volta
indotto l'ignaro Epimēthe�s
a sposarla; e il serpente convince
Ḥawwāh ad assaggiare il frutto
dell'albero. In entrambi i casi vi � la violazione di un'ingiunzione: Promēthe�s
aveva avvertito Epimēthe�s
a non accettare alcun dono da Ze�s;
Yǝhwāh aveva proibito ad
Āḏām
di mangiare il fatidico frutto. Epimēthe�s
trasgredisce per stolidit�, Āḏām
per debolezza.
Parleremo in un'altra sede del giardino e del serpente: ora concentriamoci
piuttosto
sulle conseguenze del peccato. Subito dopo, avvertendo i passi di
Yǝhwāh che camminava nel giardino di ʿĒḏẹn alla brezza del
giorno, Āḏām
e Ḥawwāh
fuggono nel folto, per non lasciarsi scorgere, consapevoli della
propria nudit�. Yǝhwāh comprende immediatamente che
la prima coppia umana ha disubbidito al suo ordine. Maledice per primo il
serpente. Si rivolge poi all'uomo e alla donna e, prima di cacciarli per sempre
dal giardino, cos� stabilisce:
El-hāʾi��āh ʾāmar, harbāh ʾarbẹ ʿiṣṣǝḇ�nēḵ
wǝhērōnēḵ-bǝʿẹṣẹḇ tēlǝḏ� ḇān�m
wǝʾẹlʾ�ēḵ,
tǝ��qātēḵ wǝh�ʾ yim�āl-bāḵ. |
[Yǝhwāh] disse alla donna: �Far� numerose assai le
tue sofferenze e le tue gravidanze; con doglie partorirai i figli, tuttavia la
passione ti spinger� verso tuo marito, ma lui vorr� dominare su di te�. |
W�lǝʾāḏām āmar, k�-�āmaʿtā lǝq�l ʾi�tẹḵā
wattōʾḵal minhāʿēṣ ʾă�ẹr ṣiww�ṯ�ḵā lēʾmōr
lōʾ ṯōʾḵal mimmẹnn�-ʾăr�rāh hāʾăḏāmāh, baʿăḇ�rẹḵā
bǝʿiṣṣāḇ�n tōʾḵǝlẹnnāh kōl yǝm� ḥayy�kā. |
E disse all'uomo: �Perch� hai ascoltato la voce di tua
moglie e hai mangiato dell'albero, circa il quale t'avevo dato un comando,
dicendo �Non ne devi mangiare�, maledetto sia il suolo per causa tua. Con fatica
ne trarrai il nutrimento tutti i giorni della tua vita. |
Wǝq�ṣ wǝḏardar taṣm�aḥ lāḵ;
wǝʾāḵaltā ẹṯʿēśẹḇ
haśśāḏẹ. |
�Ti germoglier� spine e cardi e tu mangerai le graminacee
della campagna. |
Bǝzēʿaṯ app�ḵā tōʾḵal lẹḥẹm, ʿaḏ ��ḇǝḵā
ẹl-hāʾăḏāmāh k� mimmẹnnāh luqqāḥtā: k�-ʿāār
ʾattāh, wǝʾẹl-ʿāār tā��ḇ. |
�Con il sudore del tuo volto mangerai pane, finch� tornerai
nel suolo, perch� da esso sei stato tratto: infatti sei polvere e in polvere
devi ritornare�. |
Bǝrēʾ��ṯ
[3: -] |
Le conseguenze per il genere umano sono le medesime che
avevano gi� trovato in
Hēs�odos. L'antico poeta greco era stato chiaro a
riferire i due punti dove s'incardina la caduta dell'uomo
dallo stato primordiale: alimentazione e riproduzione, ovvero la necessit� del lavoro e l'inevitabilit� della riproduzione sessuata.
Le condanne di Yǝhwāh vertono
sui due medesimi elementi:
- Condanna di Āḏām →
Alimentazione: lavoro, fatica e sudore della fronte;
- Condanna di
Ḥawwāh → Riproduzione: concupiscenza,
sessualit�, gravidanza e dolori del parto.
Analogamente, alla diffusione dei mali sulla terra, dovuto all'apertura del
vaso di Pandṓra, corrisponde nel mito biblico la maledizione che
investe l'intera terra, la quale, da quel momento, �germoglier� spine e cardi�.
Inoltre, Hēs�odos riferisce che i mali liberati da
Pandṓra porteranno ai mortali �affanni luttuosi�, accorciando le loro
vite nel dolore e nella sofferenza, laddove Yahweh
� esplicito a ricordare ad Āḏām la propria
mortalit�: egli � destinato a �tornare alla terra�.
L'uomo entra nella storia e la
sua vita d'ora in poi sar� una lotta quotidiana per la sopravvivenza, un cumulo
di dolori e di fatiche per strappare alla terra il necessario nutrimento; l'atemporalit�
si chiude, l'uomo conosce la malattia, la vecchiaia e la morte, e questo richiede l'introduzione della
sessualit� e della riproduzione.
Un confronto tra il mito ellenico e quello � ebraico � d'obbligo. La seguente tabella
� essenzialmente analogica. Il punto
1 � un locus comune a molte tradizioni e non comporta necessariamente
un confronto diretto; i punti dal 2 al 6 sono da considerarsi
semplice analogie, quando non hanno addirittura senso opposto; in particolare, il motivo del tab� violato, al punto 5,
fa parte dei pi� comuni meccanismi fiabeschi; il punto 7 � invece l'unica
probabile omologia dell'intero schema.
|
ELLENI
(Hēs�odos et al.) |
EBREI
(Bǝrēʾ��ṯ, J) |
1 |
Promēthe�s
crea gli uomini a partire dalla terra inumidita con l'acqua, e lo rende
simile agli d�i, in immagine e capacit� intellettive. (Aisch�los, Ovidius,
Loukian�s) |
Yǝhwāh crea l'uomo (Āḏām)
a sua immagine e somiglianza, insufflando il r�ḥ nella polvere del
suolo. |
2 |
In un secondo tempo, Ze�s ordina ad
Hḗphaistos di creare la donna, a danno dell'uomo. |
In un secondo tempo, Yǝhwāh decide di
creare la donna affinch� tenga compagnia all'uomo. |
3 |
Hḗphaistos foggia Pandṓra
a partire dalla creta. Athēn� lo coadiuva.
Intervengono anche Aphrod�tē,
Herm�s e altre sette dee. |
Yǝhwāh crea Ḥawwāh a partire da una costola tolta ad Āḏām. |
4 |
Herm�s conduce Pandṓra
ad Epimēthe�s, che, irretitito dal fascino della
ragazza, la sposa. |
Yǝhwāh presenta Ḥawwāh
ad Āḏām, che la riconosce come sua
consustanziale. |
5 |
Promēthe�s
aveva avvertito Epimēthe�s di non accettare
doni da Ze�s. Il consiglio sar� disatteso. |
Yǝhwāh ordina ad Āḏām
e Ḥawwāh
di non mangiare il frutto dell'albero al centro del giardino. L'ordine
sar� violato. |
6 |
Ze�s, dopo aver fatto sposare
Pandṓra ed Epimēthe�s, fa s� che la donna
scoperchi il p�thos che conteneva tutti i mali del mondo. |
Il serpente, ingannando Ḥawwāh, la induce a
mangiare il frutto dell'albero della conoscenza, e induce
Āḏām a mangiarlo a sua volta. |
7 |
Si chiude la felice epoca primordiale. L'inganno di
Ze�s comporta una serie di conseguenze per
l'intero genere umano: |
Si chiude l'epoca edenica. L'inganno del serpente comporta una serie di conseguenze per
l'intero genere umano: |
a) le fonti della vita vengono nascoste, e l'uomo � costretto al duro
lavoro dei campi per sopravvivere; |
a) la terra non produce che spine e cardi, e l'uomo dovr� guadagnarsi il
pane con il sudore del volto; |
b) le donne faranno parte della vita umana, ormai ristabilita sulle
modalit� riproduttive; |
b) si introduce la sessualit� tra uomo e donna; le gravidanze saranno
faticose, i parti dolorosi; |
c) le malattie e la vecchiaia entrano nel mondo; la vita umana si riduce
e si riempie di sofferenza e di miseria. |
c) l'uomo � destinato alla sofferenza e alla morte. |
 |
Eva prima Pandora (✍
�1550) |
Jean Cousin l'Ancien (1490-1560)
Pittura su legno, 150 x 97 cm. Mus�e du Louvre, Parigi (Francia). |
|
DI CHI DUNQUE LA COLPA?
Il mito mesopotamico e quello ebraico mostrano
una grande differenza nelle finalit� teleologiche. L'uomo mesopotamico era un
giocattolo che gli d�i avevano creato per la loro comodit�. L'uomo esisteva perch�
aveva il compito di lavorare e di servire gli d�i con la sua fatica. Se di
�caduta� si pu� parlare, questa era gi� inerente nella natura stessa dell'uomo,
che gli d�i avevano portato all'esistenza come loro schiavo, per sempre. Non vi
era, nella mitologia mesopotamica, l'idea di una redenzione. Le cose stavano
cos�: punto e basta.
Il mito ebraico, che da quello mesopotamico riprende le
modalit� tecniche della creazione (il primo prototipo umano creato
dall'argilla), � lontanissimo da quella concezione utilitaristica. Qui l'uomo
viene creato da Dio a sua �immagine e somiglianza�,
per nessun'altra ragione che non l'amore stesso di Dio per la creazione. Laddove
la speculazione ebraica vedeva, nella presenza del male del mondo, il risultato
del cattivo uso del libero arbitrio da parte dell'uomo e della sua naturale
inclinazione a peccare, non cos� nel mondo mesopotamico, dove il libero arbitrio
non esisteva e l'imperfezione era semplicemente connaturata
nell'uomo per la volont� imperscrutabile degli d�i (l'ubriachezza di
Enki). D'altra parte la mitologia mesopotamica
fondava i presupposti sociali di una societ� stratificata in
classi, di cui i teologi provvedevano a stabilire le basi ideologiche.
Tuttavia l'una e l'altra mitologia, mesopotamica ed ebraica,
erano concordi nell'affermare che questa statuetta di argilla che era il corpo
umano, veniva tenuta in vita da un quid di natura divina. Non � un caso che,
in Mesopotamia, Enki impasti l'argilla da cui dovr� venire il prototipo umano con la carne e il
sangue di un dio sacrificato allo scopo. Viene infusa in tal modo nella materia
inanimata quello che in accadico si chiamava eṭemmu, quell'elemento che dopo la morte non ritorna alla terra, ma
continua ad esistere perpetuando la personalit� e l'essenza dell'individuo.
Bisogna qui aggiungere che tali �anime�, nell'escatologia mesopotamica, venivano
tenute in scarsa considerazione, destinate a un'esistenza larvale nel
buio Arall�.
� un fato platealmente ingiusto, quello che gli d�i della Mesopotamia hanno
destinato alle loro creature. Una sorda disperazione, antica quanto l'uomo, i
cui rintocchi arrivano a noi
dal ciclo di Gilgame�...
|
Quando gli d�i crearono l'umanit�,
essi assegnarono la morte per l'umanit�,
tennero la vita nelle loro mani. |
Tavoletta di Berlin/London [-] |
Bisogna anche aggiungere, a onor del vero, che anche nella
religione primitiva di Israele l'aldil� non presentava tratti molto diversi. Il
triste �ǝʾ�l
era la comune destinazione di tutte le anime, buone o cattive, la cui esistenza
sarebbe stata solo un pallido riflesso di quella gi� vissuta sulla terra.
Saranno le idee filtrate dall'Īrān zoroastriano che, dall'epoca della
liberazione degli Ebrei da Babilonia, porteranno in occidente la concezione
consolatoria di un ritorno dei morti in ʿĒḏẹn attraverso l'immagine del giardino Paradiso. Tali
idee costrinsero i sacerdoti ebrei a rielaborare profondamente le loro idee mitologiche, permettendo loro di staccarsi dalle concezioni mesopotamiche per portare la loro teologia a un impianto
metafisicamente superiore. � difficile dire dove il Bǝrēʾ��ṯ, cos� come oggi
lo conosciamo, si situi lungo questo
processo di rielaborazione. Il quale prosegu� incessantemente per
i cinquecento anni successivi alla liberazione da Babilonia, influenzando
profondamente le idee che avrebbero portato al Cristianesimo.
� l'elemento divino presente nell'uomo
(sia esso il sangue del dio sacrificato nei miti mesopotamici, il r�ḥ
in quello ebraico) a definire l'essere umano in quanto tale. Vi � un senso
molto profondo della parola �vita�, che diventer� tanto pi� evidente nella
speculazione ebraica sul rapporto tra Dio e uomo e sul fatto che l'imperfezione
umana, col doppio legame tra il peccato e la morte, � conseguenza della rottura
che l'uomo, tempio dello Spirito, ha operato per suo stesso arbitrio col
principio divino da cui � provenuto. Il Cristianesimo, che � frutto della grande
rielaborazione del giudaismo operata in epoca post-esilica, intender� �vita� e
�morte� nel sigificato di comunione tra umano e divino, piuttosto che in senso
prettamente fisico.
Nella scena del sacrificio di
Ges� traspare in filigrana l'antico mito
mesopotamico. Il sangue di Cristo qui viene versato in riscatto dell'umanit�
peccatrice, che in tal modo passer� dalla morte del peccato alla vita dello
spirito. L'antico En�ma il� aw�lum pu�
gettare una luce inaspettata su un famoso passo dei Vangeli:
�Con la sua carne e il suo sangue
Nintu mescoler� dell'argilla,
in modo che il dio e l'uomo,
siano mescolati insieme nell'argilla,
e d'ora innanzi, saremo liberi!
Grazie alla carne divina, vivr� nell'uomo uno spirito
che lo manterr� sempre vivo anche dopo la morte,
e questo Spirito esister� per preservarlo dall'oblio!� |
En�ma il� aw�lum [I:
-] |
|
|
Mentre essi mangiavano, Ges� prese del pane, e dopo
averlo benedetto, lo spezz� e lo diede ai discepoli, dicendo:
�Prendete e mangiate, questo � il mio corpo�. Avendo poi preso il calice, reso che ebbe
grazie, lo diede loro dicendo: �Bevetene
tutti, perch� questo � il mio sangue del patto che sar� versato per molti in
remissione dei peccati�. |
Euaŋg�lion kat� Mattha�on [26:
-] |
|
Non si tratta dello stesso mito, ma piuttosto di
due distinte rielaborazioni dei medesimi simboli. La carne e il sangue del dio
sacrificato, nel mito mesopotamico, sono garanzie dell'immortalit� dell'uomo, il
cui spirito sopravvivr� al corpo materiale salvando l'individuo dalla morte
e dall'oblio. Nel messaggio cristiano, �
attraverso il sacrificio dell'uomo-dio che lo spirito umano potr� sopravvivere alla
morte ed accedere alla vita che � vera Vita. Il rito della comunione,
l'ingestione della carne e del sangue di Cristo, che vengono
a mescolarsi con la nostra argilla mortale, � atta a ricreare una
consustanzialit� dell'uomo con Ges�, il dio crocifisso, che in questo modo
riscatta l'uomo dal peccato inerente alla natura umana, sconfiggendo la morte.
Un'ultima, tarda eco del mito mesopotamico del dio sacrificato per donare
all'uomo uno spirito immortale. |
|