LETTERATURA
► Ascendenza
Mezza fanciulla e mezza serpente, Échidna fa la sua comparsa nella
Theogonía di Hēsíodos, e viene dipinta intenta a partorire mostri nel cavo di una grotta sotterranea,
in una
descrizione vivida e inquietante:
Hḗ d’ étek’ állo pélōron amḗchanon, oudèn eoikòs
thnētoîs anthrṓpois oud’ athanátoisi theoîsin,
en spi éni glaphyrōj theíēn krateróphron’ Échidnan,
hḗmisy mèn nýmphēn helikṓpida kallipárējon,
hḗmisy d’ aûte pélōron óphin deinón te mégan te
aiólon ōmēstḕn zathéēs hypò keúthesi gaíēs... |
Costei generò un altro mostro invincibile,
in nulla
simile
agli uomini mortali o agli dèi immortali,
nel cavo d'una grotta, la divina Échidna dal cuore violento,
metà fanciulla dagli occhi splendenti e dalle belle guance
ma metà prodigioso serpente terribile e grande,
astuto, crudele, della divina terra sotto i recessi... |
Hēsíodos:
Theogonía [295-300] |
Chi è la madre di Échidna, al v. [295]
della
Theogonía? Si ritiene sia
Ketṓ, poiché il passo appartiene
all'enumerazione della discendenza di
Phórkys e
Ketṓ. Tuttavia, appena sopra, un inciso
[280-294] trattava di
Chrisáōr, nato dalla testa troncata di Médousa,
e del figlio Gēryṓn che questi aveva avuto da
Kalliróē. È dunque possibile che «costei» sia
Kalliróē e non
Ketṓ.
All'ambiguità del testo esiodeo fa eco
Apollódōros, il quale afferma che Échidna fosse
figlia di Tártaros e G
(Bibliothḗkē [II: 1]).
È possibile che
Apollódōros si confonda con Typhn,
ma non dimentichiamo che Échidna, mezza donna e mezzo serpente, sembra
avere poco a che fare con la stirpe marina dei Pontídai; l'ofidomorfismo,
nel mito greco, era un chiaro segnale ctonio. Échidna è una creatura
appartenente alla terra più che del mare.
► Discendenza
A Échidna viene attribuita la maternità di quasi tutti i più tremendi
mostri del mito greco, anche se le fonti non mostrano un accordo perfetto sui
loro nomi. Il loro padre è, nella maggior parte dei casi,
Typhn.
Nella
Theogonía, Hēsíodos racconta che Échidna si unì in amore a
Typhn, il quale la rese madre dei cani
Órthros [309] e
Kérberos [311], della
Lernaía Hýdra [314] e della
Chímaira
[319]. Successivamente, giacendo con
Órthros, Échidna avrebbe generato la
Sphíŋx [326] e il
leone di Neméas [Léōn tēs Neméas]
[327]. Ma anche qui vi è
un'ambiguità, in quanto non è chiaro se Hēsíodos stia
proseguendo ad elencare la discendenza di Échidna o sia tornato a
ricapitolare quella di Ketṓ, e dunque vi
è la possibilità che questi ultimi
due mostri siano figli di Ketṓ e non di
Échidna.
Nella sua Bibliothḗkē,
Apollódōros fornisce un'altra lista dei mostri che
Échidna avrebbe generato da Typhn,
parzialmente diversa da quella di Hēsíodos. Sarebbe stata infatti madre
della
Chímaira [II: 3], di
Órthros [II: 10], del
drago che custodiva i pomi delle Hesperídes (Ládōn)
[II: 11], dell'aquila del Caucaso [Aetós Kaukasíos]
[II: 11], della
Sphíŋx [III: 8]
e della scrofa Phaía di Krómmyōs
[Ep. 1].
Ad esso fa eco un frammento di Kóintos
Smyrnaíosa, il quale cita «Kérberos, che Échidna
partorì a Typhn nel buio di una dirupata grotta,
ai confini della notte eterna» (Tà metà tòn Hómēron
[VI: 260]). Sempre Kóintos afferma che Kérberos
avesse per fratello
Órthros [VI: 249],
confermando quindi la discendenza di quest'ultimo da Échidna.
Che Kérberos
fosse figlio di Échidna, lo confermano sia Kallímachos (Phragmenta
[515]) che Bakchylídēs (Phragmenta
[5]).
Publius Ovidius Naso, nelle sue Metamorphoseon,
annovera, tra i figli di Échidna, Kérberos
[VII: 408] e la
Lernaía Hýdra
[IX: 69 | IX: 158].
Curiosa la figliolanza di Échidna
che Hyginus astronomo fornisce, per due volte, nelle sue Fabulæ,
senza preoccuparsi neppure di mantenere una coerenza interna:
Ex Typhone et Echidna; Gorgon, Cerberus, draco qui
pellem auream arietis Colchis seruabat, Scylla quae superiorem partem feminae,
inferiorem canis habuit, [quam Hercules interemit] Chimaera, Sphinx quae fuit in
Boeotia, Hydra serpens quae nouem capita habuit, quam Hercules interemit, et
draco Hesperidum. |
Da Typhn ed Échidna
nacquero: Gorgṓ, Kérberos,
il drago che custodiva il vello d'oro nella Kolchís [Drákōn
Kolchikós], Skýlla che aveva corpo di
donna nella parte superiore e cane in quella inferiore, e che fu uccisa da
Hērakls, la Chímaira, la
Sphíŋx che abitava in Boiōtía, il serpente
Hýdra, che aveva nove teste e che pure fu ucciso da
Hērakls, e il dragone nelle
Hesperídes. |
Hyginus: Fabulæ [Prologo: 39] |
Ex Typhone gigante et Echidna Gorgon, canis Cerberus
triceps, draco qui mala Hesperidum trans oceanum seruabat, hydra quam ad fontem
Lernaeum Hercules interfecit, draco qui pellem arietis Colchis seruabat, Scylla
quae superiorem partem mulieris, inferiorem canis et canes sex ex se natos
habebat, Sphinx quae in Boeotia fuit, Chimaera in Lycia quae priorem partem
leonis figuram, posteriorem draconis habebat, media ipsa Chimaera. |
Da Typhn ed Échidna
nacquero: Gorgṓ, Kérberos,
il cane a tre teste, il drago che custodiva il vello d'oro nella Colchís [Drákōn
Kolchikós], Skýlla, che aera
donna nella parte superiore del corpo e cane in quella inferiore, e aveva
attaccati sei cani nati da lei, la
Sphíŋx che abitava in Boiōtía, la Chímaira
licia che era leone davanti, serpente dietro e nel mezzo capra (appunto,
chimera). |
Hyginus: Fabulæ [151] |
Nel De Astronomia, Hyginus ci informa che, tra i suoi figli, si
è annoverata anche l'aquila del Caucaso [Aetós Kaukasíos],
già citata da
Apollódōros (e aggiunge che secondi altri tale
aquila era
invece figlia di Tártaros e
G,
mentre altri ancora la volevano forgiata da Hḗphaistos
allo scopo apposito di tormentare Promētheús)
[II: 15].
► Dimora
Riguardo al luogo dove Échidna
aveva la sua dimora, è Hēsíodos a descriverlo per primo, affermando si
tratti di una dirupata caverna posta nel sottosuolo, nel paese degli Arímoi.
Éntha dé hoi spéos estì kátō koílēj hypò pétrēj
tēloû ap’ athanátōn te then thnētn t’ anthrṓpōn;
énth’ ára hoi dássanto theoì klyta dṓmata naíein.
Hḗ d’ eryt’ ein Arímoisin hypò chthóna lygrḕ Échidna,
athánatos nýmphē kaì agḗraos ḗmata pánta. |
Là essa ha la spelonca, in basso, sotto la cava roccia,
lontano dagli dèi immortali e dagli uomini mortali,
perché là a lei diedero gli dèi di abitare l'illustre dimora,
e sta nel paese degli Arímoi, sotto terra, la lacrimevole Échidna,
immortale fanciulla e ancor giovane, sempre. |
Hēsíodos:
Theogonía [301-305] |
Hómēros afferma che Zeús flagellò la terra
sugli Arímoi, colpendola con i suoi fulmini nel corso del suo scontro con Typhn.
Hóte t' amphì Typhōéï gaîan himássēj:
ein Arímois, hóthi phasì Typhōéos émmenai eunás. |
...quando intorno a Typhn,
[Zeús ] flagellava la terra
sugli Arímoi, dove dicono che sia il giaciglio di Typhn. |
Hómēros:
Iliás [II: 783] |
In un frammento, Lykóphrōn aggiunge un interessante dettaglio: «Le
acque di palude dove la sposa di
Típhōn si corica nei cavernosi recessi del suo pauroso letto» (Alexándra [1353-1354]).
Gli studiosi hanno cercato di identificare questo «giaciglio di Typhn»,
spostandosi presso località dal nome simile ad Arímoi, dalla Grecia alla
Cilicia alla Siria (dove si trova il paese gli Aramei, nome trascritto nelle forme
A-ri-me o A-ri-mi nelle iscrizioni assire). Si è anche pensato al
popolo mitico degli Arimáspēs, che Hēródotos
colloca in Scizia
(Historíai
[IV: 13]). In realtà, il luogo in
questione è situato in Cilicia, presso l'antica città di Kṓrykos (attuale Kız
Kalesi, in Turchia), ed è una caverna chiamata «Antro Coricio» (turco Cennet ve Cehennem,
«cielo e inferno»). Strábōn lo descrive come un luogo brullo, quasi bruciato dai
fulmini, e situato nei pressi di vasti laghi d'acqua stagnante:
E qui collocano il racconto dei supplizi di Typhn
e gli Arímoi, e dicono che si tratta della Katakekauménē, la «terra
bruciata»; non esitano a supporre che le zone tra il fiume Maíandros [il Büyük
Menderes Irmağı] e la Lydia siano tutte di queste genere, sia a causa del gran
numero di laghi e fiumi, sia per le cavità sotterranee che si trovano in molti
luoghi. Il lago tra Laodikeía e Apámeia, che è come un mare chiuso, produce una
esalazione melmosa e di cloaca. |
Strábōn:
Geōgraphiká
[XII: viii: 19] |
►
Échidna, serpente velenoso
In un brillante passo delle Metamorphoseon,
Ovidius s'inventa un
«filtro mostruoso» [monstra veneni] posseduto da una delle Erinýes
e composto con la bava di Kérberos e il veleno di Échidna
[IV: 501]. D'altra parte, in un altro punto della
sua opera, egli
descrive le Erinýes con torce dello
Styx e serpenti [echidnis] gonfi di veleno
[X: 313].
►
La fine di Échidna
Apollódōros aggiunge che Échidna
depredava i viandanti lungo
le strade. Aggiunge che a ucciderla, sorprendendola nel sonno, sia stato
Árgos, il guardiano dai cento occhi.
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Si dice anche che [Árgos]
abbia sorpreso nel sonno e ucciso Échidna, figlia di
Tártaros e G, che
soleva depredare i viandanti. |
Apollódōros: Bibliothḗkē [II. 1] |
Ricordiamo infine che Pausanías, nella sua guida dell'Ellade, illustrando i
bassorilievi di una statua di Apollon ad Amýklai, in Lakōnía, afferma portassero
scolpiti sulla sinistra Typhn ed Échidna,
mentre sulla destra si stagliava Trítōnos, in modo
che le code di serpente dei primi bilanciassero la coda di pesce del secondo.
(Periḗgēsis [III: 18]).
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