§ 6 - Il regno dei morti, i síde, l'oltremondo. La parola síd è probabilmente derivante da *sedos e sêd [«dimora»]. È anche possibile che la parola sia connessa con il latino sidus [«costellazione»]. Non è facile cercare una formula generale od una regola che ci permetta di analizzare a fondo le concezioni irlandesi sui síde o sull'oltremondo. I primi sono più precisamente i regni incantati posti all'interno delle colline irlandesi. I secondi sono luoghi paradisiaci posti al di là dal mare o sotto il mare. Gli uni e gli altri, però, sembrano prendere vita dalle concezioni irlandesi sull'aldilà. Queste sono ovviamente derivate dalle più antiche concezioni celtiche, ed a quel poco che sappiamo i celti concepivano l'aldilà in due modi distinti. 1. Il defunto dimora nella sua tomba sottoterra. Probabilmente in Irlanda si credeva che i morti rivivessero nei síde. Ed i síde, prima di essere le colline fatate del folklore erano evidentemente tumuli funerari. Ma i síde sono anche i luoghi dove si erano ritirati i Túatha Dé Dánann dopo l'invasione dei Gaeli, o dovremmo meglio dire, dove l'avvento del Cristianesimo aveva relegato gli dèi celtici d'Irlanda, privandoli dei loro poteri e trasformandoli da divinità a semplici esseri soprannaturali. Tant'è vero che in seguito i Túatha Dé Dánann diventeranno dapprima i Daoine Síde [«gente delle colline fatate»], e poi direttamente il «piccolo popolo» del moderno folklore irlandese. 2. Il defunto dimora nell'isola dei morti. Quest'ultima sembra essere un'antica concezione celtica, correlata forse alla concezione delle Isole dei Beati della mitologia greca. Si ricordi la sorprendente notizia di Procopio di Cesarea (Ý 562) [IV: 48-57], secondo la quale i Bretoni traghettavano le anime dei loro morti su un'isolotto presso la costa. Questa leggenda è simile a quella della morte di Donn figlio di Míl, il quale si sfasciò con la nave contro un'isoletta presso la costa d'Irlanda, ed alla cui casa [Tech nDúinn] Amairgin figlio di Míl disse che i Gaeli sarebbero andati dopo la morte. Entrambe queste idee si ritrovano nelle concezioni irlandesi sull'altro mondo. Da un lato, l'idea dei síde, dei mondi favolosi occultati all'interno delle colline d'Irlanda. Dall'altro, l'idea delle isole paradisiache poste oltre il mare o sotto il mare. Come nota De Vries (1961), dopo l'avvento del cristianesimo, allorché furono eliminati i confini tra i vari esseri soprannaturali, il popolo dell'oltremondo venne a diventare un confuso intruglio delle più diverse specie di esseri soprannaturali. Dai testi pervenutici (tutti di epoca cristiana) sembrerebbe che nell'oltremondo vivessero, l'uno accanto all'altro e quasi sullo stesso piano, gli antichi dèi, le fate e le anime dei morti. Ma sicuramente i celti pagani distinguevano tra gli dèi, le anime dei morti ed i molteplici esseri soprannaturali che popolavano il loro mondo. Del resto sarebbe assurdo che i druidi non abbiano sistemato e catalogato le proprie idee teologiche. In effetti sembra di capire che una distinzione vi fosse. Nel Cath Maige Tuired si dice che i Fomóire vivevano nelle isole intorno ad Ériu, sotto il mare e nei síde. E all'inizio del Mesca Ulad (che è un racconto che fa parte del «Ciclo dell'Ulaid»), si dice chiaramente che quando i Túatha Dé Dánann si ritirarono nei síde, assoggettarono gli esseri che già vi abitavano. Qui bisogna rifarci alle concezioni cosmologiche irlandesi. Come abbiamo già detto, la mitologia irlandese ha subìto gli effetti di un fenomeno di etnocentrismo, in cui l'Irlanda è venuta ad indicare l'intero mondo umano, circondato da ogni lato dall'oceano, che gli antichi irlandesi chiamavano bíth o lér. Ogni volta che si parla di terre poste al di là dal mare, come le famose «isole settentrionali del mondo» dove i Túatha Dé Dánann avevano acquistato la loro scienza druidica, o anche quando che siano perfettamente conosciute alla geografia (come ad esempio la Grecia e la Spagna), sono trattate nei testi irlandesi come luoghi posti al di là dal mondo, nell'aldilà, del tutto analoghi ai Giardini delle Esperidi del mito greco, o ancora di più, all'isola dei morti di cui parlava Procopio. Il mitologema dell'oltremondo irlandese è da ricercarsi nelle Isole dei Beati della mitologia greca, ed anche nel Paradiso Terrestre di cui parla la Bibbia. Che vi sia stata un'influenza cristiana è indubbio. Del resto nomi come Tír na mBeo [«Terra della Vita»], Tír na Sorcha [«Terra di Luce»], o Tír Tairngiri [«Terra di Promessa»], rieccheggino motivi biblici. In particolare, Emain Ablach [Emain dei meli] (che la letteratura identifica con l'isola di Arran), richiama l'isola fatata del mito gallese, Afallon, cioè l'Avalon del mito arturiano. I meli sono i frutti che si trovano anche nel Giardino delle Esperidi, ed è una mela il frutto d'immortalità che la dea ITunn custodisce nell'ÁsgarTr nel mito nordico. Nei testi irlandesi (cristiani) l'oltremondo è visto come una terra d'immortalità, dove il tempo scorre in maniera diversa, e dove gli eroi vivono per secoli senza nemmeno avvertire il trascorrere del tempo, ma quando tornano in patria, quando scendono dalla nave o da cavallo e toccano terra, si trasformano in polvere. È il caso di Lóegaire Liban o di Óisin figlio di Finn. Si tratta ovviamente di luoghi rimasti all'età dell'oro, mentre l'intero mondo è decaduto nell'età del ferro, della terra che ha conservato la Sapienza Primordiale e dunque è rimasta al di fuori del tempo e del peccato. Ma i copisti medievali trasformarono l'oltremondo in paradisi terrestri in cui non v'era posto per il peccato. Nell'oltremondo non costituisce peccato una vita di piaceri amorosi e di ininterrotte mangiate. Viene in mente il vecchio tema ebraico del Giardino dell'Eden, ma anche il mito dell'Agarttha tanto caro agli esoteristi. Ed i viaggi oceanici di S. Brandano e di Máel Dúin, quegli immrama che tanta fortuna ebbero tra i mistici medievali, rielaborarono le concezioni pagani in luce di itinerari spirituali. Da qui alla Divina Commedia il passo è assai breve. Il guaio, secondo De Vries (1961), è che gli abitatori dell'oltremondo vengono confusi con la gente dei Síde, mentre probabilmente erano, secondo la visione pagana, del tutto separati. Regna qui lo stesso confusionisme tanto spesso rilevato nei confronti del pantheon gallese. In questo caso il motivo sta nello sfacelo delle credenze religiose pagane che il cristianesimo le aveva ridotte a strumenti diabolici. Anche nelle leggende gallesi si parla di un fatato oltremondo, pur accomodato secondo le concezioni cristiane. Il principe Pwyll si reca ad Annwn, il regno della morte della mitologia gallese, come se si recasse in un'altra regione del Galles. Manawyddan figlio di Llyir ed i suoi uomini, tornati dall'Irlanda in Britannia, rimasero ottant'anni ad un meraviglioso banchetto, ma senza accorgersi del passare del tempo. In seguito, il mito della terra soprannaturale continua ad eccheggiare nelle leggende arturiane, dai racconti dei Mabinogion a quelli pienamente cristianizzati di Chrétien de Troyes, in cui il cavaliere, viaggiando in cerca di avventure, si ritrova sovente in giardini e castelli incantati. Anche l'isola sprofondata di Inís Bresail, di cui parla Giraldus Cambrensis, è analoga ad Ys o Lyonesse o infinite altre terre scomparse sotto il mare. Descritta come un'isola rotonda, divisa in due da un largo fiume, e le sue caratteristiche sono assai simili all'Atlantide di Platone (anche alcune delle isole incontrate da S. Brendan nel suo viaggio sono descritte divise da un fiume). Forse questo mito delle terre svanite sotto il mare non è altro che una triste allegoria della perdita dell'età dell'oro da parte dell'umanità.
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