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IL GRAN PRINCIPE DI KIEV E I SUOI CAVALIERI
anto
tempo fa, o fratelli, prima che Mamaj arrivasse dall'oriente per portare pianto
e afflizione sull'umida terra di Rus', la grande e splendente città di Kiev era
la madre di tutte le città russe. Allora regnava sulla Santa Rus' il gran
principe Vladimir, detto «Piccolo Sole». La Rus' era al sicuro, a quel tempo, e
nulla potevano i peceneghi e i cumani e i tatari e tutti i feroci neri popoli
della steppa, e nemmeno i giganti e le streghe e le creature pagane, perché il
gran principe Vladimir si circondava di una schiera di valenti cavalieri, i
bogatyri, i quali proteggevano validamente il territorio e le frontiere da
tutti i nemici.
I nomi dei bogatyri
sono ricordati nelle starine: Čurila Plenkovič, Djuk Stepanovič, Suchman,
Mikhajl Potyk, Samson Kolyvanovič, Godenko Bludovič, Vasilij Kasimirovič, Dunaj
Ivanovič, ma la fama di tutti è superata dai tre che furono i più grandi e
famosi:
- Il'ja Ivanovič della grande città di Murom.
- Dobrynja Nikitič della grande città di Rjazan'.
- Alëša Popovič della grande città di Rostov.
E questa è la loro storia.
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Tre bogatyri |
Dipinto di Viktor Vasnecov (1848-1926) |
Si riconoscono: Dobrynja Nikitič (con la spada),
Il'ja Muromec (con la mazza e la lancia), Alëša Popovič (con l'arco). |
MUSEO: [Vasnecov]► |
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SVJATOGOR
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Svjatogor (✍
1985) |
Aleksandr Koškin (1950-), illustrazione
(Warner 1985) |
In russo Svjatogor vuol dire «Monte santo» con
riferimento forse ai monti dove l'eroe dimorava, che potrebbero essere gli
Svjatye Gory
che si ergono non lontano da Pškov. Svjatogor è un eroe dai tratti arcaici,
sopravvissuto in qualche modo nelle byliny del ciclo di Kiev. |
aestoso
titano di un tempo antico, ai tempi del gran principe Vladimir il vecchio
Svjatogor si muoveva ancora per i confini della Santa Rus', nonostante la fede
ortodossa fosse ormai giunta dalla Grecia e gli antichi dèi pagani non avessero
più il potere di un tempo. Relitto di un tempo scomparso, Svjatogor guidava il
suo cavallo per l'aperta ampia steppa. Così gigantesca era la sua corporatura
che era costretto addirittura camminare sulle cime dei monti per evitare che la
terra sprofondasse sotto il suo stesso peso.
Ma nonostante il suo tempo fosse ormai trascorso, Svjatogor ancora traboccava
di orgoglio per la propria potenza, che sentiva diffondersi per le membra e i
tendini come argento vivo. — Se la terra avesse un anello, — si vantava, —
potrei rovesciarla su un fianco!
Mentre così andava per l'aperta ampia steppa, vide al suolo abbandonata la
piccola bisaccia perduta da un pellegrino. La toccò con la punta della lancia ma
non gli riuscì a spostarla. Allora si chinò dal cavallo per afferrarla, ma la
bisaccia non si staccò da terra.
— Molti anni ho viaggiato per il mondo ma non ho mai trovato un simile
portento — disse Svjatogor. — Una piccola bisaccia che non si muove dal posto
dove si trova!
Allora Svjatogor scese maestosamente da cavallo, si chinò e afferrò la
bisaccia con entrambe le mani e tirò con tutte le sue forze. La bisaccia si
sollevò fino all'altezza dei suoi ginocchi... ma fino ai ginocchi era
sprofondato Svjatogor nella nera terra. Sul pallido viso del gigante non
scorsero lacrime, ma sangue. Lì Svjatogor s'incastrò, l'orgoglioso titano dei
tempi andati, e, dicono alcuni, dovette restarvi finché giunse la sua morte.
Ma altri narrano in altro modo la storia della sua fine, come poi vedremo.
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La fine di Svjatogor |
Illustrazione di Ivan Vasil'evič Simakov
1917 |
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GUARIGIONE E PRIME IMPRESE DI IL'JA MUROMEC
l
giovane Il'ja era nato a Karačarovo, un piccolo villaggio presso la grande città
di Murom. Il padre Ivan era un contadino che lavorava la terra dall'alba al
tramonto, e avrebbe davvero avuto bisogno di un paio di braccia in più che
l'aiutassero nel suo lavoro, ma purtroppo il povero Il'ja non poteva aiutarlo,
essendo nato paralitico. Non sapeva camminare, né disporre delle mani. Ed era
ben triste per i genitori assistere questo povero ragazzo che trascorreva tutta
la sua fanciullezza su un giaciglio all'interno dell'izba, intristito per
essere di peso alla sua famiglia, con il rimpianto di una intera vita di
occasioni perdute.
Il'ja aveva trent'anni, l'estate in cui tre vecchi pellegrini bussarono alla
sua porta e per tre volte gli chiesero:
— Àlzati, Il'ja, Il'ja Ivanovič. Dacci da bere, che abbiamo sete. Dacci da
bere a sazietà!
Non vi era nessuno in casa, i genitori di Il'ja erano fuori a lavorare nei
campi, e per tre volte rispose il giovane dal suo giaciglio: — Volentieri vi
darei da bere, vi darei da bere fino a inebriarvi. Ma per trent'anni di lunga
vita non seppi camminare sui miei piedi e non seppi disporre delle mani.
E dissero allora i pellegrini: — Àlzati, Il'ja, Il'ja Ivanovič. Con i tuoi
piedi tu sai camminare, delle tue mani tu sai disporre!
E circonfuso di una strana forza, Il'ja si alzò prodigiosamente sulle bianche
gambe e levò gli occhi verso l'icona. — Oh, gloria al Signore! Iddio mi ha
concesso di camminare, ha infuso forza nelle mie mani, il Signore!
E corse nelle cantine e portò da bere ai pellegrini, i quali dissero: — E
ora, o Il'ja, scendi di nuovo nelle cantine, porta su una coppa colma fino
all'orlo e bevi anche tu alla tua salute!
Il'ja fece come gli era stato detto e bevve. E d'incanto sentì sorgere in sé
una forza smisurata.
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Il'ja Muromec |
Illustrazione di V. Lukjanec
1969 |
Il'ja di Murom, il vecchio cosacco, è il prototipo
dell'eroe leale e generoso. Rappresenta la classe contadina, legata alla terra e
al lavoro dei campi. |
— Che cosa senti dentro di te, Il'ja?
— Sento una grande forza in tutte le membra. Se sull'umida terra ci fosse un
anellino, rovescerei la terra sul fianco!
— Allora, o Il'ja, scendi ancora una volta nelle cantine, porta su un'altra
coppa colma fino all'orlo e bevi ancora!
Il'ja ubbidì e dopo ch'ebbe bevuto una seconda volta, constatò: — Ora la
forza in me è calata fino alla metà.
Allora i vecchietti lo benedissero e lo salutarono con queste parole: — Vivi,
Il'ja, per essere guerriero! In terra morte non t'è destinata, in lotta morte
non t'è destinata!
E subito Il'ja corse nei campi dai genitori, i quali si stupirono molto nel
vederlo arrivare sulle sue gambe e lodarono Dio per il miracolo che aveva
compiuto. E Il'ja dimostrò loro la sua forza sradicando una quercia smisurata e
gettandola di traverso sul fiume Nepra. In questo modo Il'ja fece un ponte per
passare dall'altra parte del fiume e comprese che l'aprire strade sarebbe stato
sempre e dovunque il suo destino.
— Tu adesso padre, e anche tu madre, datemi la vostra benedizione. Io intendo
partire per la grande città di Kiev, dal principe Vladimir, il piccolo sole, per
mettere la mia forza al suo servizio.
— O figlio diletto — risposero i genitori. — Parti dunque per la grande città
di Kiev. Grande forza ti ha dato Dio, ma tu vivi in grande umiltà e tieni a
freno il tuo fervido cuore.
E allora Il'ja condusse fuori di primo mattino il suo cavallo grigio. — Ora,
mio Sivko, bianca criniera, ruzzola un po' nella rugiada del mattino, affinché
il pelo si ricambi. Da oggi galopperai nelle aperte ampie steppe e servirai il
prode Il'ja, Il'ja Ivanovič di Murom!
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IL BRIGANTE SOLOVEJ
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Il'ja Muromec e Solovej |
Illustrazione di Ivan Bilibin (1876-1942) |
In russo, Solovej Ražbojnik vuol dire «Usignolo
Brigante». La scena di Solovej che fischia dall'alto degli alberi ricorda un
passo del
Canto della Schiera di Igor', dov'è citato
Divŭ, un essere demoniaco che ulula dai rami degli alberi, lanciando sui russi
presagi di sventura. |
Il'ja Muromec partì dal suo villaggio, diretto alla grande città di Kiev.
Indossava un abito semplice e pratico, e aveva con sé una spada, una lancia, un
arco e una clava pesante novanta pud. Salutò i genitori e promise loro
che durante il viaggio non avrebbe sparso sangue: solo una volta giunto alla
meta avrebbe sguainato la spada e mostrato il suo valore.
Ben deciso a giungere a Kiev nel volgere di un giorno, Il'ja partì al galoppo
per le aperte ampie steppe. Ma giunto nei pressi della grande città di Černigov,
si avvide che era assediata da un'orda di tatari ben decisi a massacrare tutti
gli abitanti e a radere al suolo le chiese. Pregando Dio di liberarlo dal voto,
Il'ja spronò il cavallo e calò sulle schiere pagane, sbaragliandole. Infilzò con
la lancia, scagliò dardi, tirò frecce, tagliò con l'aspra spada e tutti calpestò
i tatari pagani. Allora si aprirono le porte di Černigov e gli abitanti della
città uscirono a fargli festa e gli proposero di divenire loro
voevod. Il'ja rifiutò, e si limitò a chiedere la strada per giungere a
Kiev.
Rispose la gente di Černigov:
— Da trent'anni nessuno transita più per la strada per Kiev, ormai bloccata
da cespugli ed erbacce, poiché nei boschi di Brjansk, presso il fiume Smorodina,
su sette querce ha fatto il suo nido il brigante Solovej. Appena trilla Solovej
come un usignolo, tutte le erbe dei prati s'intrecciano, gli alberi si sradicano
e quanti sono nei pressi cadono morti a terra!
Bisognava prendere un'altra strada, più lunga e tortuosa, ma Il'ja si era
ripromesso di arrivare a Kiev in giornata. Così imboccò per i boschi di Brjansk,
facendosi strada attraverso l'intricata vegetazione. Arrivato al fiume
Smorodinka, il brigante Solovej si sporse dall'alto della sua quercia e gli
lanciò un fischio lacerante, tanto che il bravo cavallo Sivko si paralizzò dal
terrore.
Subito Il'ja trasse l'arco. — Parti fischiando, dardo rovente, come lama
affilata di coltello, colpisci Solovej e fallo cadere dall'albero! — E scoccò la
freccia. Colpì Solovej in un occhio e il brigante piombò giù dall'albero. Allora
Il'ja lo afferrò, lo legò al pomo della sella di cuoio circasso e riprese la via
per Kiev.
Ma non si avvide, Il'ja, di passare accanto al nido di Solovej, nel quale
vivevano le tre figlie del brigante con i loro mariti. Non appena le figlie
videro il padre legato alla sella di Il'ja, chiamarono i mariti perché
intervenissero. Questi si affacciarono dal nido e chiamarono Il'ja:
— Vieni, robusto bravo giovane, sii nostro ospite nel nido. Ti offriremo cibi
prelibati e dolci bevande, e ti doneremo doni preziosi.
Ma Il'ja Muromec non si fece ingannare. Non appena fu entrato nel nido,
trasse la spada e fece tutti quanti a pezzi. Poi, sempre col brigante legato
alla sella, riprese il viaggio. Giunto che fu alle porte d'oro della grande
città di Kiev, Il'ja entrò nel palazzo del gran principe e s'inchinò di fronte a
tutti i nobili e i boiari e, ancora di più, di fronte al gran principe Vladimir.
Vladimir lo accolse con garbo: — Da dove vieni, robusto bravo giovane? Chi è
tuo padre, chi è tua madre, qual è la tua stirpe?
— O gran principe, piccolo sole, io provengo dal villaggio di Karačarovo,
presso la grande città di Murom. Sono Il'ja Ivanovič e sono giunto alla grande
città di Kiev attraverso i boschi di Brjansk, per servirti in fede e verità,
proteggere la Santa Rus' e difendere la chiesa ortodossa.
— Ti vuoi prendere gioco di me! — esclamò Vladimir. — Da trent'anni nessuno
transita più per i boschi di Brjansk,. Presso il fiume Smorodinka ha il suo nido
il terribile brigante Solovej!
— O gran principe, piccolo sole, Solovej il brigante è adesso nel tuo
cortile, legato alla sella di cuoio circasso del mio cavallo.
Allora Vladimir e tutti i suoi boiari, increduli e perplessi, si recarono in
cortile, e qui trovarono il brigante Solovej legato alla sella di Sivko. Subito
cominciarono a ridere ed a prenderlo in giro:
— Trilla, adesso, Solovej, come un usignolo! Trilla, Solovej!
Ma Solovej dichiarò, con la bocca incrostata di sangue, che avrebbe obbedito
solamente a colui che l'aveva catturato. Allora Il'ja gli diede da bere un
secchio di
vodka e gli ordinò di fischiare, ma solo a mezza forza, per non far
danni.
Solovej pensò però che non aveva più niente da perdere e fischiò con quanto
fiato aveva in gola. Esplosero le finestre di cristallo del palazzo, i cavalli
scapparono, si sradicarono gli alberi e molte persone caddero morte a terra. Il
gran principe Vladimir si salvò per miracolo.
Allora Il'ja afferrò Solovej per i capelli e lo condusse nella steppa, dove
gli mozzò il capo. Metà del corpo lo diede in pasto ai lupi grigi, metà ai corvi
neri, e questa fu la fine del brigante.
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Il'ja Muromec e Solovej |
Arte popolare russa. |
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IL'JA MUROMEC INCONTRA SVJATOGOR
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Svjatogor |
Illustrazione di Sergej Petrovič Panasenko
1990 |
La storia di Il'ja che si nasconde nel suo guanto
ricorda la leggenda scandinava di Þórr che si nascose nel guanto del gigante
Skrýmir. |
ivenuto
bogatyr' alla corte di Kiev, Il'ja di Murom si trovò a riflettere sulla
predizione dei santi pellegrini che l'avevano guarito.
— Vivi, Il'ja, per essere guerriero! — gli avevano detto. — In terra morte
non t'è destinata, in lotta morte non t'è destinata!
— Che specie di guerriero son io? — si domandava Il'ja. — In terra morte non
m'è destinata, in lotta morte non m'è destinata! Cavalcherò dunque verso i monti
e cercherò il più possente e più antico dei bogatyri, il grande
Svjatogor. Lui mi consentirà di mettere alla prova la mia forza con la sua e da
lui saprò che cosa significa essere un vero bogatyr'.
Così Il'ja lasciò Kiev e partì per i Monti Santi. E mentre vagava per quelle
terre deserte, ecco che vide avanzare un cavallo gigantesco, in groppa al quale
si trovava un cavaliere che col pennacchio dell'elmo sfiorava le nuvole. Era
Svjatogor. Allora Il'ja spronò il bravo Sivko e prese la rincorsa. Balzò fino
alla testa del gigante e gli vibrò un enorme colpo della sua mazza ferrata. Ma
Svjatogor nemmeno se ne accorse.
— Cos'è successo alla mia forza prodigiosa? — si domandò Il'ja, perplesso. —
Fino a qualche giorno fa abbattevo interi eserciti, e adesso...
Provò a vibrare un colpo ad una quercia e quella andò in pezzi. Dunque aveva
ancora la sua forza. Il'ja tornò all'attacco e picchiò un altra possente mazzata
al capo di Svjatogor. Ma nemmeno stavolta il gigante parve molto turbato.
Il'ja tentò una terza volta e, facendo appello a tutte le sue forze, colpì
Svjatogor sul petto. Questa volta il gigante oscillò leggermente, poi, muovendo
la mano come se dovesse schiacciare una zanzara, afferrò Il'ja per i capelli e
se lo ficcò distrattamente in una tasca.
Dopo non molta strada il cavallo di Svjatogor cominciò ad incespicare.
Lo redarguì Svjatogor: — Che ti succede, possente destriero? Ti si piegano le
zampette e inciampi?
E il cavallo: — Mi si piegano, sì, le zampette e inciampo! Due bogatyri
in groppa su di me, bravo cavallo, sono un pesante fardello!
Allora il gigante trasse di tasca Il'ja e lo esaminò, e finalmente si avvide
che era un cavaliere. — Ah, dunque fosti tu che osasti colpirmi per tre volte!
Chi sei, buon valoroso prode?
— Sono Il'ja Ivanovič della grande città di Murom — si presentò Il'ja. —
Volevo far conoscenza con te e con te misurare la mia forza, o famoso Svjatogor.
Svjatogor rise. — I tuoi colpi mi son parsi punture di zanzara. Buon per te
che non ti ho colpito, altrimenti ti avrei polverizzato gli ossicini. Ebbene,
prode Il'ja Muromec, sii il mio fratello minore. Io sarò per te il maggiore.
Il'ja accettò e i due bogatyri andarono insieme per molti e valli,
scambiandosi i racconti delle loro imprese.
Sarebbe molto lungo narrare le avventure che vissero insieme Svjatogor e
Il'ja Muromec. Dell'amata fanciulla che Svjatogor custodiva in una teca di
cristallo e di come Il'ja la sedusse, del fabbro che batteva sull'incudine i
destini del mondo, del possente padre di Svjatogor e di come strinse tra le mani
una clava arroventata credendo che fosse la mano di Il'ja.
Un giorno, mentre i due compagni vagavano sul monte Eleon, s'imbatterono in
un immenso sarcofago di pietra. Il'ja provò ad entrarvi, ma il sarcofago era
troppo lungo e troppo largo per lui.
— Non è per te il sarcofago, è chiaro — disse Svjatogor. — Piuttosto sembra
della mia misura. Fammi entrare e prova a chiudere il coperchio.
Il'ja tentò di dissuaderlo ma il gigante non gli diede ascolto. Si distese
nel sarcofago e Il'ja gli mise sopra il coperchio.
Poi Svjatogor chiese di uscire. Il'ja fece per smuovere il coperchio, ma
quello si era saldato al sarcofago. Inutilmente Il'ja tentò di infrangerlo con
la mazza: il coperchio resisteva ai suoi colpi più possenti.
— Prendi la mia spada — gli consigliò Svjatogor dal sarcofago. — Con quella
riuscirai a infrangere questo sarcofago!
— Inutile — disse Il'ja. — Non riesco nemmeno a sollevarla da terra.
— Allora avvicìnati a questa fessura — disse Svjatogor. — Ti aliterò la mia
forza, così potrai sollevare la mia spada.
Il'ja avvicinò il volto alla fessura e dall'interno Svjatogor gli alitò tutta
la sua forza. Il'ja sentì allora il suo vigore moltiplicarsi e sollevò la spada
del gigante con uno sforzo minimo. Ma ad ogni colpo che menava contro il
sarcofago, magicamente apparivano cerchioni di ferro ancora più robusti.
Svjatogor si rese conto alla fine che non poteva sfuggire al suo destino. —
Desisti, Il'ja, compagno mio. Qui finisce la vita di Svjatogor. Prendi il mio
buon cavallo e legalo qui accanto, perché perisca accanto al suo padrone e
nessun altro lo possieda.
Il'ja fece come gli era stato chiesto e tristemente se ne andò. E questa fu
la fine di Svjatogor.
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DOBRYNJA NIKITIČ
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Dobrynja Nikitič |
Illustrazione di V. Lukjanec
1969 |
Dobrynja Nikitič, il secondo dei grandi cavalieri
russi, rappresenta i nobili e in generale la classe elevata. |
iveva
un tempo, nella grande città di Rjazan', il nobile Nikita Romanovič.
Morendo, il nobile Nikita, lasciò una giovane vedova, Mamelfa, e a lei, quale
unico diletto, lasciò un bambino, Dobrynja.
A cinque anni, il piccolo Dobrynja giocava con i suoi coetanei e già
manifestava una forza prodigiosa: se a uno prendeva la mano destra, gli staccava
la mano destra; se a uno prendeva il piede sinistro, gli staccava il piede
sinistro. E quando Dobrynja divenne grande, la fama della sua forza superò le
mura della città e si sparse intorno per la nera umida terra di Rus'.
E venne un giorno a Rjazan' il prode bogatyr' Il'ja Muromec, che aveva
avuto notizia delle prodezze del piccolo Dobrynja ed era ben deciso a
sperimentarne la forza. Non entrò dalle porte della città ma balzò direttamente
oltre il muro di cinta. Poi vide alcuni bambini giocare e chiese loro dove
abitasse il piccolo Dobrynja.
Lo udì la madre di Dobrynja e si affacciò alla finestra. — Non è in casa
l'amato mio figlio. È andato a cavalcare per l'aperta ampia steppa per quiete
imprese di primavera: per cacciare oche e bianchi cigni, e pennute anatrelle
grige.
— Tu menti, Mamelfa! — gridò Il'ja.
— Ahimé, Il'ja Muromec! Tu troverai il figlio mio amato e lo ucciderai! Non
farlo, abbi pietà! Non rovinare la casa di una povera vedova!
Non mise tempo in mezzo, Il'ja Muromec, ma galoppò subito per l'aperta ampia
steppa. E vide da lungi il giovane Dobrynja cavalcare a sua volta gridando: —
Non esiste un rivale che possa stare alla pari con me!
Tanta vanagloria non piacque affatto al vecchio cosacco, che subito attaccò
il giovane Dobrynja. Si scontrarono nella steppa i due bogatyri, si
colpirono con la clava, ma senza che uno dei due riuscisse ad abbattere l'altro.
E allora si colpirono con le spade affilate, ma senza che uno dei due riuscisse
a prevalere sull'altro. E allora smontarono da cavallo e si afferrarono,
provando ciascuno la sua forza contro quella dell'altro. E urlarono, e
sprofondarono in terra fino alle ginocchia. Ma d'un tratto cedette a Il'ja il
piede sinistro, cedette a Il'ja la mano destra, e il vecchio cosacco si rovesciò
sull'umida terra.
Dobrynja lo schiacciò sotto di sé e gli chiese: — Ehi, tu, bravo robusto
cavaliere! Qual è la tua città, quale il paese? Di quale padre, di quale madre?
— Se stessi io sopra il tuo bianco petto, non chiederei la famiglia e la
razza. Invece il bianco petto ti aprirei e guarderei nel tuo focoso cuore! —
rispose fieramente Il'ja. — Io sono della città di Murom, sono il forte cosacco
Il'ja Ivanovič Muromec.
Allora Dobrynja si rialzò e aiutò Il'ja a rialzarsi a sua volta. — Perdonami,
Ilejuška, di averti atterrato. Se avessi saputo chi eri, non ti avrei mai
colpito.
I due divennero fratelli-di-croce e Il'ja condusse Dobrynja alla corte di
Kiev, dove il gran principe Vladimir chiese chi mai fosse quel bravo giovane.
Rispose Il'ja Muromec: — Il suo nome è Dobrynja Nikitič!
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Bogatyr' al galoppo |
Dipinto di Viktor Vasnecov (1848-1926) |
MUSEO: [Vasnecov]► |
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DOBRYNJA NIKITIČ INCONTRA DUNAJ IVANOVIČ
n
giorno il valoroso
bogatyr'
Dobrynja Nikitič, mentre vagava per le steppe della Sacra Rus', trovò una tenda
di nera tela, chiusa sul davanti da un lucchetto, sul quale stava scritto:
CHI NELLA TENDA
ENTRERÀ MAI PIÙ VIVO NE USCIRÀ
Avvampò il cuore nel petto del guerriero e Dobrynja spezzò il lucchetto con
un pugno. All'interno della tenda vi erano lunghe tavole imbandite. Còlto
dall'ira, Dobrynja non pensò neppure a mangiare quel ben di Dio. Gettò tutto a
terra, spaccò i piatti e pestò le vivande. Infine, preso dal sonno, cadde
addormentato.
La tenda apparteneva al bogatyr' Dunaj Ivanovič, il quale trovò
Dobrynja addormentato in mezzo alle tavole rovesciate e alle stoviglie
distrutte. Dunaj infiammò di rabbia a quella vista, protese la lancia e per un
attimo fu sul punto di trafiggere il giovane Dobrynja. Ma poi pensò che non era
leale uccidere un avversario indifeso, quindi balzò sul cavallo di Dobrynja e
svegliò l'eroe con l'asta della lancia.
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Dunaj Ivanovič scopre Dobrynja Nikitič |
Illustrazione di V. Lukjanec
1969 |
Vestito solo di una bianca camicia e senza calzari, Dobrynja balzò in piedi,
afferrò la clava e cominciò a parare i colpi dell'avversario. Dunaj a cavallo e
Dobrynja a piedi, combatterono per tre giorni e tre notti, mentre il frastuono
del combattimento si udiva come un temporale sulle steppe e la madre umida terra
tremava sotto i loro piedi.
Avvertì quel fracasso il vecchio cosacco Il'ja Muromec, che sellò il suo
cavallo e corse sulla vetta della montagna, dove trovò i due guerrieri che si
battevano. Allora Il'ja afferrò Dobrynja col braccio destro e Dunaj col
sinistro, dividendoli. — Oh, voi, possenti guerrieri! Perché mai vi battete e
combattete?
Dunaj rispose: — Come posso non battermi e combattere? Avevo nella tenda
tavole imbandite e cibi in bella mostra. E questo Dobrynja Nikitič ha versato a
terra tutto e tutto con i piedi ha calpestato!
Dobrynja rispose: — Come posso non battermi e combattere? È lui, cane e
brigante, che mise la falsa scritta: «Chi nella tenda entrerà, mai più vivo ne
uscirà». Ed io uscire voglio e vivo uscire!
Allora Il'ja Muromec li esortò a domare il loro focoso cuore di guerrieri e
diventare fratelli-di-croce. E così li placò e li calmò, ed essi cessarono di
battersi e di combattere.
I tre eroi si recarono poi a Kiev, dove Dunaj Ivanovič entrò al servizio del
gran principe Vladimir, piccolo sole.
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Dunaj Ivanovič contro Dobrynja Nikitič |
Illustrazione di V. Lukjanec
1969 |
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DUNAJ IVANOVIČ PRONUBO PER CONTO DEL GRAN PRINCIPE
VLADIMIR
ualche
tempo dopo si tenne un banchetto alla corte di Kiev, presso il gran principe
Vladimir, piccolo sole.
Disse Vladimir: — Voi tutti, principi e boiari, tutti possenti bogatyri,
mercanti e gente di campagna! Tutti al banchetto siete ammogliati, solo io non
ho una sposa. Conoscete per me una principessa che sia di alta statura,
rotondetta di corpo e leggiadra di viso, d'andatura veloce e di voce soave, con
cui io potessi vivere, scambiare pensieri e trascorrere lunghi anni?
Tutti al banchetto ammutolirono, neppure uno rispose. Soltanto un prode bravo
giovane, Dunaj Ivanovič, uscì fuori dalla tavola di quercia e, battendosi la
fronte, fece un inchino e disse:
— Vladimir, gran principe di Kiev! Io conosco una principessa che vi possa
essere consorte. Il re della prode Lituania ha due figlie non maritate. La
figlia maggiore ha nome Nastas'ja, compie prodi imprese in campo, guerriera
sempre in cerca di avventure. La minore vive in casa e ha nome Apraksija, alta
di statura, rotondetta di corpo e leggiadra di viso, d'andatura veloce e di voce
soave. Con lei, gran principe di Kiev, potreste vivere, scambiare pensieri e
trascorrere lunghi anni.
Furono gradite queste parole al gran principe, e disse Vladimir: — Tu, Dunaj
Ivanovič! Prendi da me quarantamila uomini e di tesoro diecimila grivne,
parti per quel paese, per la prode Lituania, e con buone parole combina il mio
matrimonio con la principesse Apraksija. E se non la dànno volentieri, prendila
con la forza!
— Non mi occorrono né uomini né ricchezze — rispose Dunaj. — Dammi solo un
compagno, il prode compagno Dobrynja Nikitič!
E Dunaj partì alla volta della Lituania, accompagnato da Dobrynja Nikitič. I
due bogatyri si recarono al palazzo reale e Dunaj disse a Dobrynja di
aspettare nel cortile: l'avrebbe chiamato in caso di necessità. Dopodiché Dunaj
si recò nella sala del trono e s'inchinò dinanzi al re come convenuto.
Il re di Lituania ben conosceva Dunaj, che era stato molti anni al suo
servizio. Gli diede da mangiare e da bere e lo interrogò: — Dimmi, dimmi,
valoroso Dunaj, non mi celare, che cosa sei venuto a fare qui nella prode
Lituania?
— O batjuška, re della prode Lituania, sono venuto per una buona
impresa, per fidanzare tua figlia Apraksija col gran principe di Kiev, Vladimir,
piccolo sole.
Il re balzò in piedi. — Che cosa? Vuoi fidanzare la minore e trascurare la
maggiore? — Chiamò le guardie tatare. — Soldati! Prendete Dunaj per le bianche
mani e conducetelo nel sotterraneo! Chiudete con grate di ferro e serrate con
sbarre di quercia!
Allora Dunaj si levò, afferrò la tavola su cui stava mangiando e la rovesciò
contro i soldati, sbaragliandoli. Invano il re chiamò altri uomini: giunsero i
servi dal cortile gridando:
— Sire, c'è nel cortile un giovanotto con una gran mazza saracena: ha ucciso
tutti i soldati tatari fino all'ultimo e non ne ha lasciati neppure per la
razza!
Allora il re non poté fare a meno di cedere. — Sta bene, Dunaj Ivanovič!
Prendi pure la mia figlia principessa e conducila dal tuo gran principe
Vladimir.
E Dunaj e Dobrynja partirono così alla volta della grande città di Kiev, e
con loro era la principessa Apraksija. Cavalcavano per le aperte ampie steppe,
quando si accorsero che qualcuno li inseguiva di gran carriera. Era un cavaliere
tataro, con lancia e scudo. Affidata Apraksija a Dobrinja, Dunaj tornò indietro
e affrontò l'inseguitore.
— Férmati, tataro, nell'aperta ampia steppa! E dimmi, non mi celare, chi sei,
qual è il tuo nome, quale la tua razza?
Per tutta risposta il tataro colpì Dunaj con tanta forza da rovesciarlo al
suolo. Ma subito il bogatyr' colpì l'avversario di piatto con una lancia,
disarcionandolo a sua volta, gli saltò addosso e gli strappò di dosso
l'armatura, deciso ad affondargli la spada nel cuore. Ma tosto trattenne il suo
colpo, accorgendosi che il petto del suo avversario era un soffice seno di
donna.
— Dunaj, non mi riconosci? — lo redarguì la ragazza. — Tre anni interi
vivesti da noi nella prode Lituania. E non cavalcammo per gli stessi sentieri,
non sedemmo sullo stesso sgabello, non mangiammo dallo stesso piatto?
— Tu sei la principessa Nastas'ja! — fece Dunaj. E ammirato dal coraggio
della fanciulla, l'aiutò a rialzarsi e la condusse con sé a Kiev. Così, qualche
giorno dopo, mentre il gran principe Vladimir sposava Apraksija, Dunaj sposava
Nastas'ja.
La festa di nozze durò tre giorni. I guerrieri mangiarono e bevvero e, quando
furono ubriachi, cominciarono a vantarsi delle proprie prodezze.
— In tutta la grande città di Kiev non c'è un giovane che sia elegante
e ardito come me! — disse Dunaj. — E non uno che mi batta nel tiro con l'arco!
— Tu, Dunaj, mio caro marito! — rise Nastas'ja. — Non ti stai vantando
invano? Non è da molto che sono stata in città, ma ho visto parecchie cose. Per
eleganza ti sopravanza Dobrynja Nikitič, per ardimento ti sopravanza Il'ja
Muromec, e per l'abilità di tirare l'arco, ebbene, per quella ti sopravanzo io.
Sono capace di tirare una freccia contro la lama affilata di un coltello e
tagliare la freccia in due metà esatte.
Irritato per essere state ripreso davanti a tutti, e in realtà piuttosto
brillo, Dunaj afferrò Nastas'ja per un braccio e la portò nell'aperta ampia
steppa per dimostrare se quel che aveva detto rispondeva a verità. Le diede un
arco e una freccia e pose lontano un coltello affilato. Nastas'ja tirò e, come
aveva detto, la freccia colpì diritta il coltello e si spaccò in due esatte
metà.
Allora tirò Dunaj. Scoccò una freccia: troppo lontano. Ne scoccò un'altra:
troppo vicino. Ne scoccò una terza: fallì il bersaglio. Furibondo Dunaj girò
l'arco e puntò il dardo contro il petto di Nastas'ja.
— No, Dunaj, caro marito! — gridò lei. — Piuttosto, battimi nuda con una
frusta, trascinami pure col cavallo per l'aperta ampia steppa, mettimi fino al
petto nell'umida terra e picchiami con pungoli di quercia, ma prima lascia che
dia alla luce il bambino che ho nel ventre. Fino ai ginocchi ha gambe d'argento,
fino ai gomiti ha braccia d'oro, ha i riccioli cosparsi di stelle e il sole gli
brilla in fronte!
Ma Dunaj non la ascoltò. Scoccò la freccia e Nastas'ja cadde morta.
Svaniti i fumi dell'ebbrezza, Dunaj si accorse di quale misfatto avesse
compiuto. Si avvicinò al corpo della moglie, le squarciò il ventre con la spada
e scoprì che ella non aveva mentito. Il bambino era davvero come l'aveva
descritto: fino ai ginocchi aveva gambe d'argento, fino ai gomiti aveva braccia
d'oro, aveva i riccioli cosparsi di stelle e il sole gli brillava in fronte.
In preda al rimorso, Dunaj si gettò sulla sua spada, morendo accanto alla
moglie.
Si dice che due fiumi nacquero dal luogo in cui marito e moglie erano caduti:
uno fu il grande fiume Dunaj [il Don], e l'altro il suo affluente Nastas'ja.
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Dunaj e Nastas'ja (✍
1985) |
Aleksandr Koškin (1950-), illustrazione
(Warner 1985) |
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ALËŠA POPOVIČ
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Alëša Popovič corteggia una ragazza |
Illustrazione di Konstantin Alekseevič Vasil'ev (1942-1976) |
Alëša Popovič, terzo dei grandi cavalieri russi,
rappresenta invece (e con molta ironia) il clero ortodosso. Dei tre cavalieri, è
proprio Alëša il più dissoluto e infido.. |
alla
grande città di Rostov partirono un giorno, come due splendenti falchi,
partirono due possenti bogatyri e cavalcarono per l'aperta ampia steppa.
Il primo aveva nome Alëša, ma poiché era il figlio del vecchio pope Leontij
della cattedrale della città, tutti lo chiamavano Alëša Popovič. L'altro era il
suo giovane amico Ekim Ivanovič.
Cavalcavano i bogatyri
spalla a spalla, staffa contro staffa. Cavalcarono per l'aperta ampia steppa
finché giunsero in un luogo dove tre ampie strade si diramavano e, tra quelle
strade, si levava una grossa pietra iscritta.
— Ehi, tu, fratello Ekim Ivanovič, tu che sei esperto di lettere! — disse
Alëša. — Guarda l'iscrizione sulla pietra, guarda e dimmi quel che vi sta
scritto.
E balzò Ekim giù dal bravo cavallo e studiò l'iscrizione sulla pietra. — Dice
solo che la prima strada conduce a Murom, la seconda a Černigov, la terza alla
grande città di Kiev, dove risiede il gran principe Vladimir, piccolo sole.
— Meglio sarà per noi, allora, andare nella grande città di Kiev, dove
risiede il gran principe Vladimir, piccolo sole — concluse il giovane Alëša.
Si accamparono lunga la strada, nei pressi del fiume Safat, e là rizzarono le
tende. Il mattino successivo si destò Alëša assai presto, di buon mattino, si
rivolse verso oriente e pregò Iddio. Mentre sellavano i bravi cavalli, pronti
per partire, a loro si appressò un pellegrino.
— Ehi, voi prodi e bravi giovani! — chiamò. — Vengo or ora dall'aperta ampia
steppa, dove ho appena incontrato Tugarin, il figlio del serpente! È alto più di
un uomo, ha spalle larghe e poderose, il suo cavallo è come una belva feroce e
dalla sua bocca divampano fiamme!
— Presto, viandante! — esclamò Alëša. — Dammi i tuoi abiti, e scambiali con i
miei!
E Alëša si rivestì così degli abiti del viandante. Si mise il suo ricco
mantello, il berretto greco sul capo, prese il suo bastone da viaggio, solido e
pesante. Quindi si pose di traverso sul fiume Safat, in attesa che Tugarin si
mostrasse.
Tugarin comparve presto nell'aperta ampia steppa. La sua cintola aveva il
diametro di una quercia, gli occhi gli distavano l'uno dall'altro un tiro di
freccia, le orecchie erano lunghe due buoni palmi. Non appena vide da lontano
Alëša, Tugarin emise un grido così forte che l'intero querceto ne tremò.
— Ehi tu, viandante! Hai visto per caso dei bogatyri russi, qua
intorno? Con la lancia li infilzerò, li infilzerò con la lancia e nel fuoco li
brucerò!
Rispose allora Alëša: — Ehi, Tugarin Zmeevič, figlio del serpente! Non sento
quello che dici, fatti più vicino!
E s'appressò Tugarin Zmeevič e Alëša lo colpì col bastone da viaggio, con
tanta forza che gli sfondò il cranio. Piombò Tugarin sull'umida terra. Gli balzò
Alëša sul nero petto e trasse il coltello.
— Ehi tu, viandante pellegrino! Ti riconosco adesso, sei il valente Alëša
Popovič della grande città di Rostov! — esclamò Tugarin. — Non uccidermi, ti
supplico. Anzi, affratelliamoci, io e te!
Alëša non prestò fede al nemico e gli mozzò il capo impetuoso.
E restituiti gli abiti al viandante e indossati di nuovo i propri, Alëša
Popovič ripartì per la grande città di Kiev, seguito dal fedele Ekim Ivanovič.
E giunti alla grande città di Kiev, legarono nel cortile i bravi destrieri ed
entrarono nel salone del gran principe. S'inchinarono alle immagini sacre, alle
quattro direzioni, e quindi al gran principe Vladimir e alla principessa
Apraksija.
— O voi, robusti bravi giovani! — disse il gran principe. — Dite con quale
nome vi chiamano. Secondo il nome vi sarà dato un posto, secondo i vostri padri
vi si darà il benvenuto!
— Io sono chiamato Alëša Popovič. Sono il figlio del vecchio pope della
cattedrale della grande città di Rostov.
— Benvenuto, allora, giovane Alëša! Per via di tuo padre, siedi nel posto
migliore, nella panca di quercia davanti a me.
Ma Alëša preferì sedere in cima alla stufa, posto riservato ai mendicanti, da
dove era possibile vedere tutto il salone senza doversi piegare all'etichetta.
Durante la cena si spalancarono le porte e la sagoma di un gigante irruppe
nella sala. Alëša fu assai stupito nel riconoscere Tugarin Zmeevič, il figlio
del serpente, a cui lui stesso, non era trascorso nemmeno un giorno, aveva
mozzato il capo impetuoso.
Tugarin sedette tra il gran principe Vladimir e la principessa Apraksija, e
subito gli accorti cuochi gli portarono cibi prelibati e dolci bevande. Ma
Tugarin non era certo raffinato: divorava pagnotte intere con un boccone e si
versava in gola coppe intere di birra. Nel frattempo, non trascurava di
allungare le mani sulla principessa, di stringerla a sé e di baciarla sulle
dolci labbra.
— O tu, grazioso gran principe Vladimir! — esclamò Alëša dall'alto della
stufa. — Che razza di maleducato è entrato qui? Rozzamente siede alla tavola
principesca. Alla principessa, il cane, mette le mani addosso, la bacia sulle
dolci labbra. Di te, gran principe, si fa beffe!
Tugarin si impadronì di un arrosto, inghiottendolo intero, e Alëša non poté
fare a meno di commentare: — Mio padre, il pope Leontij, aveva un cane che è
morto soffocato da un osso. Spero che a Tugarin capiti lo stesso! — Poi, quando
Tugarin bevve un intero secchio di birra: — Mio padre, il pope Leontij, aveva
una vacca che è scoppiata per aver trangugiato un tino di birra. Spero che a
Tugarin capiti lo stesso!
Voltandosi di scatto, Tugarin lanciò contro Alëša un coltello affilato. Mancò
il bersaglio ed Ekim s'impadronì del coltello. — Glielo vuoi rilanciare tu,
Alëša, o lo farò io?
— Nessuno dei due, caro Ekim. Domani me la vedrò con Tugarin. Un'altra volta,
domani, nell'aperta ampia steppa mi batterò con lui per una grande posta. Non
per cento grivne, non per mille, ma per il mio capo impetuoso!
Tugarin si alzò e uscì. Il suo cavallo aveva grandi ali artificiali, fatte di
carta, e quando Tugarin montò in sella, quello si levò in volo sotto il cielo.
Poi Alëša ed Ekim balzarono in groppa ai loro cavalli e cavalcarono
nell'aperta ampia steppa. Quella sera, mentre riposavano nelle bianche tende,
non dormì Alëša, ma pregava Dio dicendo: — Ti prego, o Signore, crea una
tremenda nube, una nube con rovesci di pioggia!
Il giorno dopo, recatosi al luogo convenuto, vide Tugarin arrivare volando
sotto il cielo, in groppa al suo cavallo. Le grandi ali di carta erano spiegate.
Ma in quel momento, Dio mandò l'acquazzone per il quale Alëša aveva pregato
tutta la notte. Con le ali inzuppate e incapace di volare, il cavallo di Tugarin
dovette scendere a terra.
Allora Alëša sguainò la spada e partì al galoppo.
Nel vederlo arrivare, si fece nero, Tugarin, come notte d'autunno. — O tu,
giovane Alëša Popovič! Vuoi forse che ti bruci col fuoco? Col cavallo vuoi che
ti calpesti? Oppure vuoi che t'infilzi con la lancia?
E gridò Alëša: — O tu, Tugarin Zmeevič, figlio del serpente! Non hai più una
grande forza, ora, contro di me, non è vero?
Vomitando fiamme, Tugarin incitò il cavallo al fine di schiacciare
l'avversario. Ma quando i due destrieri furono vicini, Alëša si gettò sul fianco
dell'animale e la sciabola del mostruoso predone non trovò la sua testa là dove
si era avventata. Alëša non perse la sua occasione. Balzò di nuovo in sella,
mosse la sua sciabola d'acciaio ed a Tugarin mozzò il capo impetuoso. E crollò,
la testa di Tugarin, sull'umida terra, come pentola di birra.
Questa volta Alëša fu più accorto. Non lasciò la testa lì dov'era caduta. La
raccolse, e giunto nella grande città di Kiev, la gettò nel bel mezzo del
cortile. Il gran principe Vladimir, piccolo sole, fece entrare Alëša nel salone
e lo mise a sedere sulle tavole imbandite.
— O tu, Alëša Popovič il giovane! Mi hai procurato un'ora luminosa! Ti sia
grato vivere alla grande città di Kiev, servendo me, il principe Vladimir. E io
ti darò tutti i doni che vuoi!
E da quel giorno Alëša Popovič entrò nel numero dei bogatyri del gran
principe di Kiev.
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Alëša Popovič contro Tugarin (✍
1985)
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Aleksandr Koškin (1950-), illustrazione (Warner
1985)
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Dobrynja e il drago |
Dipinto di Viktor Vasnetsov (1848-1926) |
DOBRYNJA NIKITIČ E IL DRAGO
l
valoroso bogatyr' Dobrynja Nikitič si recò un giorno nell'aperta ampia
steppa, quando da sotto il cavallo comparvero molti feroci serpenti, piccoli e
grandi, e lui tutti li uccise e li schiacciò. Quando tornò nel suo palazzo e
raccontò quel che gli era accaduto alla madre Mamelfa, la donna fu presa da
grande timore:
— Se tu hai ucciso serpenti feroci, piccoli e grandi, allora, o mio amato
Dobrynja, sta' alla larga dai famosi monti di Soročinsk, dove vi sono serpenti
ancora più grandi che vorranno vendicarli, e soprattutto non ti bagnare nel
fiume Pučaj, che quel fiume crudele ha due correnti: la prima è veloce, la
seconda è di fuoco!
Ma il giovane Dobrynja non ascoltò i consigli della cara madre e gli venne
voglia di andare proprio là dove gli era stato sconsigliato di recarsi. Così
partì per l'aperta ampia steppa e dopo molti giorni di viaggio giunse ai monti
di Soročinsk. Giunto che fu al fiume Pučaj, Dobrynja si spogliò nudo e si tuffò
in acqua.
Le ragazze che si trovavano lì a lavare i panni lo presero in giro, perché i
bravi ragazzi non si bagnano nudi, ma con fini camicie di tela. Dobrynja rispose
loro con spirito malizioso. A un certo punto si udì un rombo di tuono e un'ombra
immane si stese sull'allegro gruppetto. Le ragazze fuggirono. Dobrynja volse in
su il capo e vide calare del cielo un mostruoso e gigantesco serpente con tre
teste e dodici code.
Era la draghessa dei monti Soročinsk, la quale aveva nome Gorynyšče, ed era
la madre dei piccoli serpenti che Dobrynja aveva ucciso. Furibonda, rapiva
fanciulle e cavalieri e li portava tra le sue montagne. La draghessa s'avventò
contro il giovane Dobrynja sibilando: — Dobrynja, adesso sei nelle mie mani,
nelle mie mani e in mio potere! Quello che voglio con te posso fare, se mi va,
il giovane Dobrynja prenderò prigioniero, se mi va, l'arderò con il fuoco, se mi
va, lo divorerò!
Dobrynja nuotò sott'acqua ed emerse sulla riva opposta del fiume, ma
Gorynyšče gli alitò una ventata di fuoco e faville che gli bruciò il petto. Non
avendo né il suo cavallo né la sua lancia, niente avendo per opporsi al drago,
Dobrynja si sentì perduto. Per fortuna trovò sulla riva un colbacco della terra
greca. Dato che propria dalla Grecia era giunta in Russia la fede ortodossa, e
poiché la draghessa era una creatura pagana, il bogatyr' poté usare il
colbacco come un'arma e con quello colpì la draghessa con quanta forza aveva nel
petto. Gorynyšče stramazzò al suolo e Dobrynja le saltò sul petto pronto a
tagliarle le teste impetuose.
— O giovane Dobrynja! — implorò allora la draghessa: — Non uccidermi, povero
zmej, per il bianco mondo lasciami volare. Tra te e me voglio fare un patto,
un grande patto, non un patto piccolo: mai e poi mai scontrarci nelle aperte
ampie steppe, non fare lotta e zuffa, né spargimento di sangue, tra te e me,
mai!
Dobrynja si levò dal petto della draghessa e giurarono essi di osservare il
loro patto.
Così la draghessa volò via e Dobrynja, rivestitosi, saltò in groppa al suo
cavallo e riprese la strada per la grande città di Kiev.
Tornato che fu a Kiev, Dobrynja scoprì che, durante la sua assenza, Gorynyšče
era piombata sulla città ed aveva rapito la leggiadra Zabava Putjatična, la
nipote favorita di Vladimir, piccolo sole. Il gran principe era disperato, i
suoi bogatyri non sapevano che fare, nessuno aveva il coraggio di salire
sui monti di Soročinsk per riprendersi la principessa. E quando Dobrynja entrò
nella sala, Alëša Popovič lo indicò dicendo: — Che ci vada lui, sui monti di
Soročinsk, che vada a riprendersi la leggiadra Zabavuška! Corre voce che sia
amico della draghessa, corre voce che questa lo chiami fratello!
Il gran principe Vladimir, furibondo, si rivolse allora a Dobrynja. — Allora
va' tu nell'aperta ampia steppa, va' tu verso quei gloriosi monti di Soročinsk,
va' tu in quelle tane di drago! Cerca mia nipote, la leggiadra Zabavuška, e
riconducila alla grande città di Kiev! Altrimenti ti farò mozzare il capo
impetuoso!
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Dobrynja e il drago |
Illustrazione di Konstantin Alekseevič Vasil'ev (1942-1976)
1974 |
Il giovane Dobrynja si rattristò per l'arduo compito che gli era stato
affidato e tornò mesto a casa dalla propria madre. Mamelfa gli chiese il perché
della sua afflizione e Dobrynja le riferì l'ordine di Vladimir. La madre lo
consolò e lo mandò a dormire. Il mattino seguente lo svegliò: — Va', adesso,
Dobrynja, adempi questo gran servigio che t'è stato ordinato.
Dobrynja si levò dal letto, per bene si lavò e si vestì a puntino, quindi
uscì dal palazzo, prese il destriero dalla scuderia e partì al galoppo, via, per
l'aperta ampia steppa. A questo punto Mamelfa scoppiò in un pianto disperato: —
Ahimé, ho messo al mondo un figlio sfortunato! Come entrerà lui nelle tane dei
draghi? Dilanieranno il suo corpo e si berranno il suo sangue!
Giunto tra le aspre scarpate dei monti di Soročinsk, Dobrynja venne aggredito
dai figli della draghessa, orribili serpenti che dovette abbattere uno dopo
l'altro. Per un giorno intero il cavallo schiacciò serpenti sotto gli zoccoli ed
a sera tremava dalla fatica. Dobrynja allora cominciò a batterlo con la sferza,
tra le orecchie e tra le zampe, spietatamente, finché l'animale riprese forza e
vigore.
E giunse Dobrynja alle tane dei draghi, che erano chiuse da chiavistelli di
rame e puntelli di ferro. Allora il bogatyr' cominciò a forzare una ad
una quelle porte, uccideva i serpenti che ne sortivano e quando penetrava nelle
tane, vi trovava molti prigionieri russi: vi erano principi e boiari , vi erano
possenti bogatyri, vi erano fanciulle da marito. Una gran quantità di
prigionieri liberò così, Dobrynja.
E infine giunse alla tana della draghessa Gorynyšče e, quando ne ebbe forzato
le porte, vi trovò prigioniera la leggiadra principessa Zabava.
— Esci, Zabavuška, corri! — ke gridò Dobrynja. — Da lontano ho attraversato
le aperte ampie steppe e sono giunto nelle tane dei draghi per cercarti! Presto,
vieni fuori! Dobbiamo tornare alla grande città di Kiev, dal gran principe
Vladimir, piccolo sole!
Ma d'improvviso comparve la draghessa Gorynyšče e si levò alta sopra
Dobrynja, spuntando fiamme ardenti. — Dobrynja, ragazzo! Non ricordi il patto
che noi due abbiamo stretto? Non più far lotta tra noi, questo abbiamo promesso!
Eppure tu sei giunto sui monti di Soročinsk, tutti i dragoncelli hai calpestato,
tutti i prigionieri hai liberato! Ora pretendi anche la leggiadra Zabavuška? A
te non la darò, ricorda!
E gridò Dobrynja: — Tu, draghessa maledetta! Perché volasti, tu, sulla grande
città di Kiev? Perché rapisti la leggiadra principessa Zabava e la prendesti
prigioniera?
Allora la draghessa attaccò Dobrynja e i due combatterono strenuamente per
tre giorni e tre notti, senza mai fermarsi. La draghessa lanciando fiamme
ardenti, Dobrynja difendendosi con scudo e mazza. Trascorsi quei tre giorni, il
bogatyr' era distrutto dalla fatica e disperava ormai di poter vincere. Ma
in quel momento una voce proveniente dal cielo lo esortò: — Giovane Dobrynja,
combatti per altre tre ore! — Dobrynja fece appello a tutte le sue forze e
riuscì a reggere per il tempo convenuto. Alla fine la draghessa giaceva morta ai
suoi piedi.
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Dobrynja salva Zabava |
Illustrazione di Ivan Bilibin (1876-1942) |
Ma i pericoli non erano finiti, ché la terra si rifiutava di accogliere il
sangue del mostro e il bogatyr' si ritrovò al centro di un lago cruento e
letale. Di nuovo Dobrynja disperò di cavarsela e di nuovo la voce dal cielo gli
diede un buon consiglio: — Colpisci l'umida madre terra con la lancia e parlale.
Dobrynja colpì il terreno con la punta della lancia: — Apriti, umida madre
terra! Apriti, e accogli il sangue del drago. — Subito, si aprì un crepaccio in
cui il lago di sangue rifluì lasciando emergere la terra asciutta e riarsa..
Dobrynja finalmente scese da cavallo, prese Zabava per le bianche mani e via
la condusse dalla tana del drago. Tutti gli altri prigionieri lo seguirono
finché non furono nell'aperta ampia steppa e quindi ciascuno prese la via per il
proprio paese. Dobrynja issò Zabava sulla sella del destriero e lui stesso montò
dietro di lei.
E così riportò la fanciulla nella grande città di Kiev restituendola al gran
principe Vladimir.
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IL MATRIMONIO DI ALËŠA POPOVIČ CON LA MOGLIE DI
DOBRYNJA NIKITIČ
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Dobrynja e Nastas'ja |
Illustrazione di V. Lukjanec
1969 |
n giorno Dobrynja Nikitič dovette partire per andare a combattere in un paese
lontano e sua madre pianse nel salutarlo. Poi Dobrynja andò nel palazzo a
cercare la sua cara sposa, la giovane Nastas'ja, la quale si accomiatò da lui
con grande tristezza:
— Quando tornerai a casa, caro Dobrynja? Quanto dovrò aspettarti dalle aperte
ampie steppe?
— O mia cara Nastas'juška, giacché me l'hai domandato, io ti risponderò. Per
tre anni aspetta Dobrynja, se non ritorno aspettane altri tre. Se trascorsi
questi sei anni non sarò ancora tornato, allora potrai ritenere morto Dobrynja.
A quel punto il tuo volere sarà libero, Nastas'ja, vivi da vedova o riprendi
marito, prenditi un principe, oppure un bojaro o anche un possente bogatyr'
russo. Unico, non sposare Alëša Popovič.
E così prese ad attendere lo sposo, la giovane Nastas'ja. Giorno dopo giorno,
come pioggia cade. Settimana dopo settimana, come erba cresce. Anno dopo anno,
come fiume scorre. Trascorsero tre anni e non tornò Dobrynja dall'aperta ampia
steppa. E per altri tre anni prese ad attendere lo sposo, la giovane Nastas'ja.
Giorno dopo giorno, come pioggia cade. Settimana dopo settimana, come erba
cresce. Anno dopo anno, come fiume scorre. Erano ormai passati sei anni e
Dobrynja non era tornato dall'aperta ampia steppa.
Allora Alëša Popovič giunse nella grande città di Kiev e portò una notizia
non lieta. Disse che non viveva più Dobrynja Nikitič, ma giaceva morto nel
campo, il capo impetuoso fracassato, le spalle possenti trafitte.
Per il gran dolore, la madre Mamelfa pianse lacrime di sangue. E Nastas'ja
annunciò che prima di riprender marito avrebbe atteso altri sei anni. Allora il
gran principe Vladimir si recò dalla giovane vedova: — Come puoi vivere,
Nastas'juška, così trascorrere la tua giovane età? Prendi un marito, un
principe, un bojaro o un possente bogatyr' russo, oppure l'ardito Alëša
Popovič.
Non andò sposa a un principe, Nastas'ja, né a un bojaro, né a un possente
bogatyr' russo, ma andò in sposa proprio ad Alëša Popovič. Il banchetto di
nozze durò tre giorni e il terzo giorno si recarono alla chiesa di Dio per
celebrare il matrimonio.
Ma Dobrynja Nikitič non era morto! Aveva combattuto terribili battaglie, il
valente bogatyr', e ora tornava da Costantinopoli. D'un tratto il cavallo
prese a inciampare.
— Ehi tu, cibo da lupi, pasto per orsi! — proruppe Dobrynja. — Perché oggi
stai inciampando?
E rispose il bravo cavallo: — O tu, padrone mio amato, del guaio che
t'incombe tu non sai. Sono trascorsi i sei anni e la tua giovane Nastas'ja
Nikulična è andata in sposa all'ardito Alëša Popovič. Da tre giorni stanno
banchettando e si recano adesso nella chiesa di Dio per celebrare il matrimonio.
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Dobrynja suona la gusli alle nozze di Alëša |
Illustrazione di V. Lukjanec
1969 |
S'adirò allora Dobrynja Nikitič. Il bravo cavallo frustò e quello cominciò a
compiere balzi da monte a monte, da colle a colle, a oltrepassare fiumi e laghi,
a lasciarsi sotto le zampe vaste pianure e tratti di steppa. Giunto alla grande
città di Kiev, Dobrynja andò per prima cosa dalla madre Mamelfa, superò i servi
e s'inchinò di fronte a lei. La donna stentò a riconoscerlo, in quanto Alëša
Popovič aveva diffuso la notizia della sua morte. Felicissima di ritrovare il
figlio vivo, lo abbracciò e gli baciò gli occhi e la bocca.
Dobrynja ordinò alla madre di andargli a prendere la gusli di platano,
quindi, vestito da giullare, si recò impetuosamente nella reggia del gran
principe Vladimir, dove si teneva il banchetto di nozze. Alëša Popovič sedeva
vicino a Nastas'ja e non perdeva occasione di baciarla e accarezzarla. Facendo
finta di nulla, Dobrynja salutò il gran principe, si sedette sulla stufa
smaltata e cominciò a pizzicare le corde della gusli e a cantare una
dolce melodia.
E cantò tanto bene, che il gran principe lo invitò a tavola con loro e gli
chiese che cosa desiderasse in cambio di un così bel canto. Dobrynja rispose
subito che avrebbe voluto versare una coppa di vino alla sposa. Avuta la coppa,
vi lasciò cadere dentro l'anello d'oro e porse il tutto a Nastas'ja, dicendole:
— Giovane Nastas'ja! Prendi questa coppa con una sola mano e bevi la coppa di
un solo fiato: se berrai fino alla fine, un bene vedrai, se non berrai fino alla
fine, un bene non vedrai.
Lei bevve la coppa di un fiato e trovò l'anello. Poi si rivolse a Vladimir e
annunciò:
— Vladimir, piccolo sole di Kiev! Non è mio marito chi siede accanto a me,
mio marito è chi sta davanti a me! — Si gettò ai piedi di Dobrynja. — Perdonami,
Dobrynjuška! Perdona la mia colpa, la mia stoltezza, ché il tuo ordine non ho
seguito, l'ardito Alëša ho preso per marito!
— Non mi stupisce il senno femminile, ché le donne lunghe hanno le chiome ma
la mente corta. Dove le portano, là esse vanno; dove le guidano, là esse
vengono. — Dobrynja scrollò il capo. — Ma mi stupisce il gran principe Vladimir,
piccolo sole, che ha sposato la vedova di un uomo ancora vivo!
Subito tutti riconobbero Dobrynja Nikitič e ne ebbero grande stupore. A quel
punto Alëša Popovič si gettò ai piedi di Dobrynja: — Perdonami, tu che sei mio
fratello-di-croce, se mi sono messo con la tua amata sposa, con la giovane
Nastas'ja.
— Di questa colpa, fratello, ti perdoni Dio, se ti sei messo con la mia amata
sposa, con la giovane Nastas'ja — disse Dobrynja. — Ma dell'altra colpa,
fratello, non ti perdono, poiché sei venuto dall'aperta ampia steppa dopo sei
anni e hai portato una notizia non lieta, che non viveva più Dobrynja Nikitič,
ma giaceva morto nel campo, il capo impetuoso fracassato, le spalle possenti
trafitte. Per il gran dolore, la mia cara madre ha pianto lacrime di sangue. Di
questa colpa io non ti perdono.
E prese Alëša per i biondi riccioli, diede di piglio alla frusta e gliene
diede di santa ragione.
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Dobrynja Nikitič ed Alëša Popovič |
Illustrazione di V. Lukjanec
1969 |
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IL'JA MUROMEC E SALYGORKA
n
giorno si presentò alle porte della grande città Kiev una donna dei neri pagani,
una polenica, strega e guerriera al tempo stesso. Il suo nome era
Salygorka, era gigantesca e cavalcava un cavallo ancora più grande. Urlando così
forte da farsi sentire fin nella reggia del gran principe Vladimir, disse che,
se qualcuno non fosse venuto a misurare la forza con la sua, avrebbe sfondato le
porte d'oro di Kiev e sarebbe entrata in città per distruggere e uccidere:
— Se Vladimir, gran principe di Kiev, non mi darà un campione da sfidare e un
avversario che contro me lotti, sarà Vladimir in persona che abbatterò con la
mia spada, lo abbatterò con la mia spada, gli spiccherò il capo, mozzerò la
testa a tutti i suoi servi e scioglierò in fumo le chiese di Dio!
Vladimir, spaventato, si rivolse ai suoi bogatyri. — Se qualcuno di
voi, valenti bravi giovani, non scende a misurarsi con lei, con la terribile
Salygorka, ella sfonderà le porte d'oro ed entrerà in città per distruggere e
uccidere.
Per primo uscì dalle mura il giovane Alëša Popovič. Ma non appena la
terribile
polenica gli si mosse incontro, sogghignando da un orecchio all'altro, fu
preso da grande timore, Alëša Popovič, e tornò di corsa nella grande città di
Kiev con i capelli dritti in capo.
Dopo di lui andò alla carica Dobrynja Nikitič, ma bastò uno sguardo della
terribile donna per abbatterlo al suolo più morto che vivo.
Per ultimo uscì Il'ja Muromec. Il vecchio cosacco fronteggiò Salygorka. —
Eccoti qui, nera cagna dell'aperta ampia steppa! Fammi vedere, Salygorka, che
cosa sei capace di fare.
Salygorka rise e lanciò in alto la sua pesantissima clava, facendola arrivare
fin quasi alle nuvole, e quando la clava ricadde fischiando paurosamente,
l'afferrò con due sole dita.
Ma Il'ja non si lasciò intimorire. Sguainò la spada e mosse verso la
terribile avversaria.
Si affrontarono in uno scontro furibondo, Salygorka e Il'ja, il vecchio
cosacco. E poi Il'ja riuscì ad abbattere quel mostruoso cavallo e Salygorka
cadde a terra. Allora Il'ja l'afferrò per i riccioli biondi, la sollevò più in
alto della tua testa e la scagliò al suolo, schiacciandola col suo stivale dalla
suola di legno.
— Non sono pane per i tuoi denti, non tocca a te mangiarmi, non tocca a te
uccidere Il'ja Muromec!
— Non uccidermi, Il'ja Muromec, vecchio cosacco — implorò Salygorka. —
Risparmiami la vita ed io ti darò oro e argento a profusione.
— Non ho bisogno dell'oro né dell'argento, Salygorka, cagna pagana! — la irrise
Il'ja Muromec.
— Allora, se non hai bisogno dell'oro né dell'argento, ti darò il calore delle
mie bianche cosce. Un figlio ti darò, che sia uguale al padre.
Allora Il'ja tolse il piede dal petto della polenica e l'aiutò a
rialzarsi. Poi Salygorka prese la via dell'aperta ampia steppa e Il'ja la seguì.
Solo molto tempo dopo il vecchio cosacco ritornò nella grande città di Kiev.
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L'ARRIVO DEL GIOVANE EROE
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Il bogatyr' |
Dipinto di Michajl Vrubel' (1856-1910)
1898 |
MUSEO: [Vrubel']► |
n
giorno, sugli alti monti, posero i bogatyri una bianca tenda. C'era
dentro il vecchio cosacco Il'ja Muromec, e poi c'era Dobrynja Nikitič, e poi
ancora il giovane Alëša Popovič. Stavano di scolta ai confini della Santa Rus' e
vigilavano la bella città di Kiev, in difesa della fede ortodossa, delle chiese
di Dio, degli onorati monasteri.
Quella mattina, di buon'ora, Il'ja Muromec guardava lontano nell'aperta ampia
steppa ed ecco vide, il vecchio cosacco, nel campo cavalcare un bravo giovane,
diretto alla grande città di Kiev. Egli scagliava contro il cielo una lancia
aguzza: con una mano la scagliava con l'altra la riprendeva. Davanti a lui
correvano due lupi e due falchi bianchi teneva sulle spalle.
Il vecchio cosacco rientrò nella tenda e svegliò i compagni. — O voi, prodi
bravi giovani! Perché dormite? Sta arrivando un eroe dalla steppa e punta alla
grande città di Kiev!
Dobrynja e Alëša si levarono dal sonno, si asciugarono con bianche tele e
rivolsero le preghiere a Dio.
Alëša Popovič uscì dalla bianca tenda, bardò in tutta fretta il suo cavallo e
si lanciò al galoppo per l'aperta ampia steppa, ma per quanto corresse veloce
non riuscì a raggiungere il giovane eroe. Così tornò indietro dicendo: —
Cavalca, il prode giovane, non gli sono pari, non gli tengo dietro.
Allora partì Dobrynja Nikitič e galoppò nell'aperta ampia steppa; correva il
suo destriero che tremava la madre umida terra. E sfrecciò in un turbine di
fumo, si appressò al giovane al galoppo, lo superò e fermandosi si tolse il
berretto e fece un inchino. — Salute a te, prode bravo giovane! Qual è la tua
città, quale il paese, chi è tuo padre, chi è tua madre? Dove cavalchi, dove sei
diretto?
Si fermò il giovane e rispose: — Vado diretto alla grande città di Kiev,
espugnerò la capitale russa, catturerò vivo il gran principe Vladimir e sua
moglie Apraksija prenderò per moglie.
Dobrynja tornò rapido alla tenda e così parlò al vecchio cosacco Il'ja
Muromec:
— Non ha detto, il giovane bogatyr', la sua stirpe, la sua razza, né
di chi fosse figlio, il prode giovane. ha detto invece dove è diretto. È diretto
alla grande città di Kiev, vuole espugnare la capitale russa, catturare vivo il
gran principe Vladimir e sua moglie Apraksija prendere per moglie.
Si accese al vecchio cosacco il cuore focoso, ribollì in lui il sangue
ardente, tremarono d'ira le possenti spalle. Fischiò al cavallo, lo bardò
velocemente e si lanciò al galoppo nell'aperta ampia steppa, così veloce che gli
altri videro solo un turbine di polvere. Raggiunse il giovane, si affiancò a lui
e gli lanciò un urlo di sfida.
Il giovane, fermando il cavallo, disse ai due lupi, disse ai due falchi: —
Voi due, lupi grigi, fuggite negli oscuri boschi: è arrivato il mio antagonista!
E voi due, falchi bianchi, volate negli oscuri boschi, di voi più non mi
importa!
Non furono due monti che si urtarono, non due nubi che si avvinghiarono. Si
scontrarono il vecchio cosacco e il giovane guerriero. Si picchiarono con le
mazze e le impugnature si piegarono; si colpirono con le spade e le lame si
intaccarono; si scagliarono le lance e le aste si piegarono. Allora i due
saltarono giù da cavallo e si batterono corpo a corpo. Gridava il giovane
straniero e tremava la madre terra; urlava il vecchio cosacco e si frantumavano
i boschi. E arrise dapprima la fortuna al giovane straniero: s'intorpidì il
braccio destro a Il'ja Muromec, gli scivolò la gamba sinistra, il vecchio
cosacco cadde sull'umida terra. Il giovane gli si buttò sul petto e senza
chiedergli chi fosse e di quale padre e di quale madre, gli aprì la corazza di
ferro e trasse il pugnale dalla guaina, ben deciso a strappargli dal petto il
cuore impetuoso.
Chiese allora pietà il vecchio cosacco: — Salvami o Vergine madre di Dio!
Stetti per anni ed anni in difesa della fede ortodossa, salvami adesso!
E subito del vecchio cosacco si raddoppiò la forza. Sbalzò il giovane dal
bianco petto e lo gettò al suolo, schiacciandolo sotto di lui. E trasse il
pugnale dalla guaina, ma invece di strappargli dal petto il cuore impetuoso, gli
chiese: — O tu, robusto bravo giovane! Di quale città sei, di quale paese? Chi è
tuo padre, chi è tua madre? Con quale nome vieni chiamato?
— Quando ero su di te, — gli rispose sprezzante l'altro, — non t'ho chiesto
la stirpe, la razza; ti avrei tagliato il bianco petto, ti avrei guardato il
focoso cuore!
E ripeté Il'ja di nuovo la domanda. — O tu, robusto bravo giovane! Di quale
città sei, di quale paese? Chi è tuo padre, chi è tua madre? Con quale nome
vieni chiamato?
E lo straniero rispose: — Dal mare vengo, dall'azzurro mare, dalla casa della
vecchia Salygorka; io ho cavalcato, prode bravo giovane; sono suo figlio,
Sokol'nik, per tutto il mondo vado cavalcando.
Allora si alzò Il'ja sulle agili gambe, abbracciò il giovane e lo baciò sulle
labbra. Il vecchio cosacco si pacificò con suo figlio. Lo condusse quindi nella
bianca tenda e lo trattò con tutti gli onori.
Ma quella notte, mentre tutti dormivano, Sokol'nik si svegliò con fastidio. —
Mi sono umiliato col vecchio cosacco — disse tra sé e sé. — Il vecchio cosacco
con la lancia trafiggerò.
E si alzò, diede piglio alla lancia e l'abbassò contro il petto di Il'ja. Ma
la punta della lancia colpì la croce che Il'ja teneva sul petto. Il vecchio
cosacco si destò, afferrò Sokol'nik tra le bianche mani, lo scaraventò più in
alto del bosco. Ricadde Sokol'nik sull'umida terra, ricadde e si ruppe in
briciole.
Fu così che Il'ja Muromec trovò suo figlio e dovette ucciderlo.
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Battaglia tra Slavi e Sciti |
Dipinto di Viktor Vasnecov (1848-1926) |
MUSEO: [Vasnecov]► |
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L'ULTIMO VIAGGIO DI IL'JA MUROMEC
opo
molti anni di battaglie in difesa della Santa Rus' e della fede ortodossa, ormai
vecchio, Il'ja decise di partire per il suo ultimo viaggio. Dopo un lungo
cammino giunse a un crocicchio da cui si dipartivano tre strade. L'ardente
pietra di Latyr' era infissa al centro del crocicchio e sulla pietra stavano
incise queste parole:
AD ANDARE PER
LA PRIMA STRADA SI VIENE UCCISI
AD ANDARE PER LA SECONDA CI SI SPOSA
AD ANDARE PER LA TERZA SI DIVIENE RICCHI
Si arrestò il vecchio Il'ja e si meravigliò, poi scosse la testa e disse:
— Per quanti anni ho viaggiato per l'aperta ampia steppa, mai vidi un simile
portento. Ma perché andare per quella strada si diventa ricchi? Non ho una
giovane moglie, qualcuno per cui tenere tesori, per cui tenere abiti variopinti.
E perché andare per quella nella quale ci si sposa? Ormai è passata la mia
giovinezza. Prenderne una giovane, le andrebbe dietro un altro; prenderne una
vecchia, se ne starebbe sulla stufa. Dovrò dunque andare per la strada in cui si
viene uccisi? Certo che io ho vissuto su questo mondo per tanto tempo...
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Bogatyr' al crocicchio |
Dipinto di Viktor Vasnecov (1848-1926) |
MUSEO: [Vasnecov]► |
Il motivo dei crocicchi provvisti di pietre con
strane indicazioni che segnalano il destino a cui andrà incontro viaggiatore, è
comune nelle ballate e nelle favole russe. |
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Ebbene, cavalcò Il'ja per la strada in cui si viene uccisi e percorse lunghe
verste di territori desolati e brulli. Poi d'un tratto lo scorsero i briganti e
il loro atamano ordinò l'attacco. Erano in quarantamila, i briganti, ma Il'ja
vedendoli non indietreggiò. — Ehi voi, quarantamila! Che idea, saltare addosso a
un vecchio! Non ha, il vecchio, un tesoro! Non ha, il vecchio, abiti variopinti!
Non ha, il vecchio, pietre preziose! Soltanto ha, il vecchio, un bravo cavallo
da bogatyr', perché possa cavalcare e fare guerra! E sulla testa ha, il
vecchio, un colbacco di ferro del peso di quaranta pud, perché possa
avanzare tra le schiere e battersi!
E difatti, roteando il suo colbacco di ferro, colpì i briganti da un lato e
dall'altro, e di quarantamila che erano li massacrò tutti, non lasciandone
nemmeno per la razza. Quindi ritornò al crocicchio e scrisse sulla pietra:
È RIPULITA QUESTA
STRADA DRITTA
Prese poi la strada che conduceva al matrimonio e giunse in un palazzo
bianco, dove una bellissima fanciulla lo invitò a entrare. Il'ja s'inchinò, ed
ella lo prese per le bianche mani lo fece sedere al tavolo di quercia e gli
chiese: — Dimmi, chi sei, di quale paese, di quale orda? Chi è tuo padre, chi è
tua madre?
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Il'ja Muromec libera i prigionieri |
Dipinto di Konstantin Alekseevič Vasil'ev (1942-1976)
1974 |
— Perché mi domandi questo, o fanciulla. Adesso io sono stanco, sono stanco e
voglio riposare.
Allora la ragazza lo condusse in camera da letto e gl'indicò un bel giaciglio
ornato dove stendere le sue bianche membra.
— Va' prima tu sul letto, o fanciulla! — disse Il'ja. Prese la ragazza per le
ascelle e la lanciò sopra il giaciglio. Si aprì il trabocchetto e la ragazza
cadde nel profondo sotterraneo. Il'ja fece uscire tutti i bogatyri che
ella aveva preso prigionieri. Solo la ragazza lasciò nel profondo sotterraneo.
Il vecchio Il'ja tornò dunque indietro e scrisse sulla pietra:
È RIPULITA QUESTA
STRADA DRITTA
Infine il bogatyr' prese la terza strada, quella per cui si diviene
ricchi. E nell'aperta ampia steppa trovò scrigni colmi di oro e di argento e di
pietre preziose. Il'ja spartì l'oro e l'argento ai mendicanti, l'oro e l'argento
agli orfani e alle vedove. E quindi tornò indietro e poté scrivere sulla pietra:
È RIPULITA QUESTA
STRADA DRITTA
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IL BANCHETTO DI IL'JA MUROMEC Un
giorno, il gran principe Vladimir indisse a Kiev un lauto banchetto. Invitò i
principi che reggevano le grandi città russe e i nobili del suo seguito, invitò
i boiari e i ricchi mercanti, i popi e i protopopi. E invitò i forti e
possenti
bogatyri, i guerrieri della Santa Rus'.
Gli ospiti sedettero vicini, intorno al gran principe, e mangiarono e
bevvero, tra grandi risate, e presero a lodarsi gli uni con gli altri. I boiari si vantarono di possedere ingenti ricchezze, e i mercanti risposero vantando
dovizie ancora maggiori.
A questo punto si levò il gran principe Vladimir, dicendo: — Smettetela tutti
quanti di vantarvi! Vi darò io, piuttosto, un premio. Darò a taluni argento
puro, ad altri oro prezioso, ad altri ancora donerò perle rotonde.
E chi già era ricco, Vladimir le rese ancor più ricco. A tutti elargì
munifici doni. Solo, dimenticò a un canto, il vecchio cosacco Il'ja Muromec. E
quando la principessa Apraksija gli ricordò che ad Il'ja non era stato fatto
alcun dono, Vladimir sbuffò e rispose:
— Tu, principessa, sei davvero irragionevole! Premierò l'audacia del vecchio
cosacco con i doni che mi sono stati mandati dai tatari e dai besurmani. Ecco,
gli donerò questa pelliccia di zibellino.
Si rabbuiò il cuore al vecchio cosacco, Il'ja Muromec fu preso da grande
sdegno. Ed egli si levò in piedi, furibondo, con la forza del bogatyr'
che gli ribolliva nelle bianche membra.
Intimorito, Vladimir cercò di correre ai ripari. — O Il'ja Ivanovič, prode
bravo giovane. Non sta bene adirarti col tuo principe. Piuttosto, bevi e mangia
con noi, e assumi la carica di voevod.
— Io non voglio bere e mangiare con voi — rispose fieramente il vecchio
cosacco. — E non voglio essere voevod per voi.
Di fronte a quell'orgoglioso rifiuto, il gran principe si rabbuiò come una
notte oscura. Chiamò i suoi uomini e ordinò loro di afferrare Il'ja e cacciarlo
via dal grande salone. Ma il vecchio cosacco stese al suolo chiunque provasse
solo ad avvicinarsi e, dopo aver abbattuto tutte le guardie, volse le spalle al
gran principe e uscì da solo dal grande palazzo.
Una volta che fu all'esterno, egli brandì il suo arco e trasse dalla faretra
un mazzo di frecce. — Volate, frecce roventi verso il cielo, e colpite le cupole
dorate! — gridò Il'ja, e prese a bersagliare le alte cupole del palazzo del gran
principe. Dopodiché si volse verso le chiese e, con sapienti colpi di freccia,
abbatté le alte croci dorate che si rizzavano sopra di esse, senza lasciarne più
nemmeno una.
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Il'ja in lite con Vladimir |
Dipinto di Konstantin Alekseevič Vasil'ev (1942-1976)
1974 (?) |
Poi, afferrate le croci sotto le braccia, Il'ja le portò in una vicina
osteria. Le rovesciò ai piedi dell'oste e chiese, in cambio, del vino. Ma poiché
l'oste non volle sottostare a quell'empio scambio, Il'ja lo tolse di mezzo con
uno spintone, spaccò con un calcio la porta della cantina e portò fuori tre
botti di verde vino: una sotto il braccio destro, un'altra sotto il sinistro, e
una terza spingendola avanti con il petto.
E portatosi nella piazza principale, proprio di fronte al palazzo del gran
principe, chiamò a raccolta gli abitanti della grande città di Kiev. — Paesani e
mužiki, straccioni e mendicanti!
Accorrete al banchetto di Il'ja Ivanovič! Bevete e non abbiate timori! Oggi io
sarò per voi il gran principe di Kiev, e voi sarete i miei boiari !
E tutti, uomini e donne, andarono al banchetto di Il'ja Muromec, e subito vi
fu una gran baldoria.
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Il banchetto di Il'ja Muromec |
Dipinto di Konstantin Alekseevič Vasil'ev (1942-1976)
1974 |
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I boiari corsero dal gran principe Vladimir. — O piccolo sole! Il'ja
Muromec
ha imbandito un banchetto davanti al tuo palazzo, ti sfida apertamente! Ha detto
che vuole divenire lui stesso gran principe e mettere il popolo al posto dei
nobili e dei boiari !
Allora gridò, Vladimir gran principe di Kiev,
con la sua voce sonora: — Prendete Il'ja Muromec, il vecchio cosacco,
afferratelo per le bianche braccia e gettatelo in una fossa profonda. Chiudete
con grate di ferro e serrate con sbarre di quercia! E non dategli da bere e da
mangiare per quaranta giorni. Che quel cane muoia di fame!
L'ordine venne puntualmente eseguito. Il'ja fu gettato in una profonda fossa,
e questo venne chiusa con una grata di ferro e serrata con sbarre di quercia.
Sopra di essa venne posta una pesantissima pietra, a sua volta ricoperta di
sabbia.
Ma sdegnati dal comportamento del gran principe, tutti gli altri bogatyr'
abbandonarono la grande città di Kiev e svanirono al galoppo nell'aperta ampia
steppa, per non farvi mai più ritorno. |
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Bogatyri in marcia |
Dipinto di Viktor Vasnecov (1848-1926) |
MUSEO: [Vasnecov]► |
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L'ARRIVO DI KALIN CAR'
Trascorsero vent'anni. E poi accadde che un'ombra nera si stese sulla grande
città di Kiev. Una nera nuvola si levò all'orizzonte, comprendo il bel sole, e
un lezzo profondo si posò sulla città, rendendo difficile persino il respirare.
Corsero le sentinelle dal gran principe, dicendo: — Vladimir, piccolo sole!
Hai visto quale portento si manifesta sulla grande città di Kiev? Non è la
polvere che si solleva dal campo, né la tempesta che si solleva dal mare! E non
è il fulmine del temporale, quello che balena all'orizzonte! È giunto il nero
esercito dei pagani, è arrivato Kalin Car'! Lo accompagnano quaranta re e ognuno
di essi ha quarantamila guerrieri al suo seguito.
A quelle parole, Vladimir e tutti i boiari furono presi da grande paura
e agitazione. Ma non vi era nulla che potessero fare. Vent'anni prima, i
bogatyri avevano abbandonato la grande città di Kiev, e non vi era più
nessuno che potesse difenderla.
Giunto nei pressi della grande città di Kiev, l'imponente esercito tataro si
accampò a sette verste di distanza, nei pressi del rapido Dnepr. Kalin rizzò una
tenda, sulla quale sventolava una nappa dorata. A quel punto, un messaggero
cavalcò verso la città e penetrò indisturbato attraverso le sue porte d'oro.
Lasciò il cavallo, senza legarlo, nel cortile del palazzo principesco, e con un
calcio sfondò le porte. Non s'inchinò, il cane, dinanzi al gran principe, né
alla principessa, tantomeno si prostrò di fronte ai boiari e agli altri
dignitari. Gettò sul tavolo di quercia una lettera scritta in lingua russa e si
allontanò senza dire una parola.
Vladimir chiese che la lettera venisse letta.
«Cedimi immantinente, gran principe Vladimir, la grande città di Kiev, senza
combattere e senza spargere inutilmente il sangue» ordinava Kalin Car'. «Se non
adempierai alla mia richiesta, io raderò al suolo la grande città di Kiev.
Scioglierò in fumo le chiese o le userò come stalle per i miei bravi cavalli. Le
icone le getterò nel fango e i monasteri li raderò al suolo. Degli abitanti di
Kiev, non ne lascerò nessuno in vita, ma tutti li passerò a fil di spada,
compresi i vecchi e i bambini. In quanto a te, gran principe Vladimir, sarai
piallato vivo, e la principessa Apraksija la prenderò come moglie. Questo
accadrà, se non ti arrenderai».
E il principe Vladimir fu preso da gran paura. Le sue vivace gambi si
piegarono, la forza abbandonò le sue bianche mai, la testa turbolenta gli rotolò
giù dalle spalle. Versò giù dagli occhi lacrime cocenti.
— Non c'è nulla da fare. La grande città di Kiev dovrà arrendersi senza
combattere, visto che nessuno dei bogatyri è qui a difenderla — si
lamentò. — A causa del banchetto, del banchetto d'onore, Il'ja Muromec fu
giustiziato e tutti gli altri bogatyri ci abbandonarono allontanandosi in
campo aperto. O moglie, mia adorata, principessa Apraksija! È giunto il momento
di consegnare la gloriosa capitale, al cane senza Dio, a Kalin Car'.
Ma Apraksija, la principessa, rizzò le spalle. — Vladimir, piccolo sole. Non
è morto, Il'ja Muromec, ma è tra i vivi. Quando tu ordinasti di gettarlo in una
fossa e lasciarlo morire di fame, io stessa feci segretamente scavare un
passaggio e, da allora, con le mie bianche mani lo rifornii di cibo e di acqua,
di coperte e di cuscini.
Una luce di speranza accese accese lo sguardo del gran principe e chiese ad
Apraksija di fargli strada nel profondo sotterraneo. Questo era profondo
quaranta saženy e una lunghissima scala conduceva al luogo dove era stato
rinchiuso il vecchio cosacco. Apraksija chiamò Il'ja attraverso il pertugio da
cui gli porgeva il cibo e fu lo stesso
bogatyr' ad aprirsi la via, sbattendo da parte l'inferriata, spaccando il
macigno, rovesciando via la sabbia, svellendo i tronchi di quercia e le sbarre
di ferro. Invecchiato, apparve dunque, Il'ja Muromec. I lunghi bianchi capelli
lo avvolgevano come un mantello, ma nelle sue membra scorreva ancora la forza di
un
bogatyr'.
E Vladimir si gettò ai suoi piedi e gli rivelò del pericolo in cui versava la
grande città di Kiev. Ma il vecchio cosacco rimase immobile, gli occhi fissi a
terra, e a nulla valsero a smuoverlo le parole del gran principe, né i ricchi
doni che gli promise in cambio del suo aiuto.
— Ti prego, Iljušenka, difendi la grande città di Kiev , difendi la chiesa
della santa madre di Dio e i suoi monastri. Difendi il gran principe Vladimir e
la principessa Apraksija! — lo pregava Vladimir.
Ma Il'ja Muromec si ostinava a fissare il suolo, senza parlare.
— No, non farlo, Iljušenka, per il principe Vladimir — intervenne d'un tratto
Apraksija. — Né per me, la principessa Apraksija. Non per la grande città di
Kiev, non per le chiese e i monasteri. Ma fallo per la terra russa, per la fede
ortodossa. Fallo per le vedove, gli orfani e i poveri.
Si scosse allora il vecchio cosacco. — Sì. Io andrò a combattere per la fede
ortodossa, e per la terra russa, e per le vedove, gli orfani e i poveri. Andrò
anche per te, onesta principessa Apraksija. Ma sappi che per quel cane di
Vladimir, non uscirei nemmeno dalla fossa.
Emerso dopo vent'anni alla luce del sole, Il'ja scrutò lontano nel campo
aperto e, per la prima volta, sentì la paura nel cuore. L'esercito di Kalin Car'
si stendeva sterminato dinanzi alla grande città di Kiev, e non si riusciva
neppure a stimare il numero dei soldati. Il vecchio cosacco comprese che
difficilmente, da solo, avrebbe potuto farcela, e decise di prendere tempo.
Mandò un ambasciatore da Kalin Car', chiedendogli di concedere tre giorni alla
grande città di Kiev, affinché tutti i suoi abitanti si preparassero a morire
cristianamente. Quindi si rivolse a Vladimir:
— Hai tre giorni di tempo, gran principe. Chiudi le porte, saldamente, e
fissale con sabbia gialla e pietre. Io uscirò nel campo aperto, alla ricerca dei
valenti bogatyri.
E montò in groppa al bravo cavallo e partì per l'aperta ampia steppa. Cavalcò
dal mattino alla sera, per uno, due, tre giorni, scrutando nel campo aperto,
galoppando di collina in collina, salendo fin sulla cima delle montagne, ma non
gli riuscì di vedere da nessuna parte le bianche tende dei bogatyri. Solo
al tramonto del terzo giorno, sulla riva del fiume Pučaj, scorse l'accampamento.
E giunse Il'ja alla tenda più grande, in cima alla quale brillava una nappa
dorata. Si trovava, all'interno, Samson Kolyvanovič, il più anziano dei
bogatyri. Ricevette Il'ja con gioia ma, quando questi gli narrò del pericolo
che correva la grande città di Kiev, Samson scosse il capo.
— Figlioccio, vecchio cosacco Il'ja Muromec! Certo ne hai di coraggio, a
venire a chiedere aiuto per conto del gran principe Vladimir, dopo tutto quello
che lui ha fatto a te e a noi. Il gran principe ascolta solo i suoi boiari e ci ha tenuto lontani da Kiev per vent'anni. Perciò noi non selleremo i nostri
buoni cavalli e non cavalcheremo in campo aperto. Noi non difenderemo la grande
città di Kiev, né la chiesa della madre di Dio. Non difenderemo la principessa
Apraksija, né il gran principe Vladimir.
Fallita l'impresa di convincere i suoi vecchi compagni a difendere Kiev,
Il'ja torna solo alla grande città. I tre giorni erano ormai scaduti e lo
sterminato esercito di Kalin Car' già marciava verso le mura di Kiev. Si
appannarono gli occhi chiari del vecchio cosacco, s'infiammò il suo vecchio
cuore e Il'ja non vide più la luce del giorno. Si allargarono le sue possenti
spalle, si agitarono le sue bianche mani e si rizzò in sella al suo bravo
cavallo come una quercia centenaria. E spronato il destriero, si lanciò da solo
contro nemici.
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Bogatyr' in azione |
Illustrazione di V. Lukjanec
1969 |
No, non era un falco che si gettava sulle oche e sulle anatrelle, ma era il
bogatyr' della Santa Rus', Il'ja Muromec, che cavalcava verso l'immenso
esercito tataro. Pugnò, il vecchio cosacco, dal mattino fino a sera, e quindi
combatté tutta la notte fino all'alba, senza bere o mangiare, e senza dar riposo
a sé, né al bravo cavallo.
Falciati come il grano nei campi, i tatari decisero di tendere a Il'ja un
tranello e scavarono una fossa profonda, nascondendola con arbusti e foglie.
Presagendo un pericolo, il destriero del bogatyr' si rifiutò di
proseguire, ma Il'ja lo spronò, vincendo a frustate la sua riluttanza, finché il
cavallo si slancià in avanti e cadde dritto nella fossa, insieme al suo
cavaliere. Subito, i tatari si gettarono su Il'ja e, fattolo prigioniero, lo
condussero in catene nella tenda di Kalin Car'.
Ma ecco, inaspettatamente, il nero zar dei tatari accogliere Il'ja Muromec
con onore e rispetto. Ordinò che gli si togliessero le catene e gli offrì un
posto alla sua tavola, proprio accanto a lui. — Sarai uno dei miei migliori
condottieri, se lo desideri, o valoroso Il'ja Ivanovič — lo blandì. — Avrai il
mio tesoro a tua disposizione e non vi saranno onori e ricchezze che non
dividerò con te.
Si oscurò il cuore del vecchio cosacco, constatando che Kalin gli offriva
tutto ciò che egli non aveva mai avuto da Vladimir. Ma ciononostante, nessun
dubbio scalfì il suo animo russo. Spezzò le catene e, afferrato il primo uomo
che gli capitò davanti – l'ambasciatore che i tatari avevano inviato a Kiev – lo utilizzò come clava, sbaragliando tutti gli uomini di Kalin Car'.
— Venite in mio soccorso, possenti bogatyri! — gridò. — Venite,
fratelli conosciuti per nome!
E agguantato un arco, scagliò una freccia verso il cielo.
Il dardo rovente si alzò sotto le nubi e ricadde nella tenda di Samson
Kolyvanovič. Si destò il vecchio campione e, compreso all'istante osa stesse
accadendo, chiamò a raccolta tutti i bogatyri. Sellati i bravi cavalli, i
valenti campioni russi piombarono sulle schiere di Kalin Car'. Il'ja già
combatteva in mezzo ai nemici. Samson si schierò a destra, Dobrynja Nikitič e
Alëša Popovič si schierarono a sinistra. Godenko Bludovič era con loro, e vi era
poi Vasilij Kasimirovič, e con lui Vasilij Buslaevič e Ivan Kupecič. Tutti
insieme, si lanciarono contro i neri pagani. Colpi di lancia, di clava e di
scure. I bogatyri non ne squartarono quanti i cavalli ne calpestarono.
Durò la battaglia tre ore e tre minuti, poi la schiera pagana venne fatta a
brandelli.
Il'ja staccò la testa di Kalin e la issò sulla picca, mentre gli altri
bogatyri finivano di eliminare i tatari, senza lasciarne vivo nemmeno uno. |
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Il'ja Muromec contro Kalin Car' |
Arte popolare russa. |
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I BOGATYRI
SCOMPAIONO DALLA SANTA RUS'
onclusa
la feroce battaglia, cavalcarono nel rosso tramonto del sole, i valenti
bogatyri. E mentre tornavano alle loro tende, presero a vantarsi tra loro: —
Le nostre gagliarde spalle non si son mosse abbastanza, non abbastanza han corso
i nostri bei cavalli, le nostre spade d'acciaio non han perduto il taglio!
E sopra a tutti, Alëša Popovič gridò: — Venga pure una forza che non sia di
questo mondo, venga, e noi la vinceremo, noialtri valenti bogatyri!
E quando sorse al mattino il sole rosso, Il'ja di Murom si levò prima degli
altri e uscì sul fiume Safat per lavarsi. E qui vide con orrore, il vecchio
cosacco, che i pagani che avevano sterminato la sera prima erano tornati in
vita, e gridavano con voce risonante: — Lottate con noi, lottate, bogatyri!
E urlò Il'ja, il vecchio cosacco: — Dove siete,
possenti bogatyri, fratelli conosciuti per nome?
A quel richiamo, tutti i bogatyri uscirono dalle tende e, non appena
videro la spettrale armata, tutti si fermarono, increduli, sulle sponde del
fiume Safat. E i guerrieri morti non cessavano di gridare: — Lottate con noi,
lottate, bogatyri!
Alëša Popovič si sdegnò a quelle parole, spinse avanti il focoso cavallo,
volò verso i primi due e, con due colpi di spada, li tagliò in due dalle spalle
in giù.
Essi divennero quattro, tutti vivi. — Lottate con noi, lottate, bogatyri!
Dobrynja volò su di loro e li tagliò tutti quanti in due.
Essi divennero otto, tutti vivi. — Lottate con noi, lottate, bogatyri!
Il'ja Muromec volò su di loro e li tagliò ancora una volta in due.
Essi aumentarono di numero ed erano sempre vivi. — Lottate con noi,
lottate...
Tutti i bogatyri si lanciarono su quella forza, per spaccarla e
massacrarla, ma la forza crebbe, crebbe sempre, e sopravanzò i bogatyri,
per forza e per numero, e crebbe ancora. Chi veniva tagliato in due, da questi
ne nascevano due. E da chi veniva tagliato in tre, nascevano tre uomini.
L'esercito nemico non faceva che aumentare.
I bogatyri si batterono per tre giorni, tre ore e tre minuti. Le loro
gagliarde spalle si mossero abbastanza, abbastanza corsero i loro bei cavalli,
le loro spade d'acciaio persero il taglio! E la forza nemica cresceva, cresceva
sempre, e sovrastava i guerrieri della Sacra Rus'.
Allora Il'ja comprese che la battaglia non poteva essere vinta. — Non
possiamo più batterci, fratelli! Si battono i vivi contro i morti!
Allora i bogatyri ebbero paura, corsero nella montagna di pietra,
corsero nelle oscure caverne: ma appena un paladino giungeva alla montagna, si
trasformava in ardente pietra. Per primo Godenko Bludovič, secondo Vasilij
Kasimirovič, e con lui Vasilij Buslaevič, divenne pietra poi Ivan Kupecič, si
pietrificò quindi il giovane Alëša Popovič, e dopo di lui Dobrynja Nikitič il
prode, e per ultimo il vecchio cosacco Il'ja Muromec.
E così, i possenti bogatyri scomparvero dalla Santa Rus'.
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Dopo la battaglia |
Dipinto di Viktor Vasnecov (1848-1926) |
MUSEO: [Vasnecov]► |
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