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ALFABETO ARABO
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L'arabo appartiene al ramo semitico della grande famiglia afro-asiatica. Originariamente idioma delle tribù beduine del deserto arabo, venne diffusa tra il VII e il XII secolo, sull'onda delle grandi conquiste islamiche, in tutto il nord Africa, dove venne ad affiancarsi ai dialetti berberi, e in un'ampia fascia che copre tutto il Medio Oriente fino ai confini della Persia. Oggi è la lingua ufficiale di tutti i ventun paesi che aderiscono alla Lega Araba: Kuwayt, Baḥrayn, Qatar, Emirati Arabi Uniti, ´Oman, Yemen, Arabia Saudita, ´Irāq, Siria, Giordania, Libano, Egitto, Sudan, Gibuti, Somalia, Libia, Tunisia, Marocco, Mauritania, essendo il ventunesimo membro la problematica Palestina. Incalcolabile è il numero di persone che parla arabo come seconda lingua, lingua veicolare o lingua del culto. La letteratura araba è immensa e ricchissima. Tale letteratura prende l'avvio con le Mu´allaqāt, splendide poesie di argomento lirico, erotico o guerresco, scritte nel VI secolo da un gruppo di poeti nell'ambiente dei beduini nomadi, tra cui spiccano ´Antar e Imru al-Qays. A queste opere segue strettamente la compilazione del Qur`ān, parola divina trasmessa dall'arcangelo Gabriele al Profeta Muḥammad (pace e benedizioni su di lui), con la quale si apre l'immenso capitolo dell'Islām. La perfezione formale, la bellezza e l'alta poesia del Libro Sacro sono considerate indicazioni, se non prove, dell'origine sovraumana della Rivelazione. Sia come sia, il Qur`ān rappresenta un inizio sfolgorante di quella che, nei secoli successivi, si rileverà come una delle più vaste e feconde letterature del mondo. Le opere di narrativa, storia, filosofia, teologia, poesia, sia originali sia di derivazione greca e persiana, che meriterebbero di essere menzionate, sono innumerevoli. Ricordiamo l'antologia Alf layla wa layla «Le mille e una notte», che tuttora continua ad affascinare l'umanità nelle sue innumerevoli traduzioni e riscritture. Da allora, l'arabo non ha mai smesso di essere, per centinaia di milioni di persone, una ricca e validissima lingua letteraria. Di grammatica non semplice, l'arabo presenta, come le altre lingue semitiche, la flessione interna dei sostantivi e dei verbi. Soltanto lo scheletro consonantico delle parole rimane invariato, mentre infissi e vocali si combinano per ottenere le più sottili sfumature. Ricca di uvulari, aspirate e faringali ostiche agli Europei, l'arabo è tuttavia una lingua molto melodiosa. Oggi l'arabo si presenta in un gran numero di dialetti, non sempre mutualmente comprensibili, mentre la lingua classica è da tutti conosciuta come lingua dei media, delle pubblicazioni, della religione e dei rapporti internazionali del mondo arabo. |
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LESSICO FONDAMENTALE
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ALFABETO
L'alfabeto arabo, come la maggior parte delle scritture semitiche, è costituito dalle sole consonanti, in questo caso 28. Corre da destra a sinistra, altra caratteristica comune alle scritture del Medio Oriente. Di grande eleganza, questa scrittura si presta meravigliosamente ad essere vergata a mano, fornendo splendidi esempi di arte calligrafica. Perfettamente connaturato con la lingua araba, l'alfabeto ne segnala con precisione il complesso sistema consonantico, con una perfetta corrispondenza tra grafema e fonema. |
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Le 28 lettere dell'alfabeto arabo completano perfettamente il sistema consonantico della lingua. (Qui le elenchiamo, contrariamente all'uso arabo, da sinistra a destra, in modo da farle corrispondere alle lettere latine.)
ي وه ن م ل ك ق ف غ ع ظ ط ض
ص ش س ز ر ذ د خ ح ج ث ت ب ا
Tale alfabeto segnala con precisione il complesso sistema consonantico della lingua araba, ricca di tutte le tipiche classi di suoni (aspirate, glottidali, faringali) delle lingue semitiche. In particolare notiamo l'importantissima lettera segnata in trascrizione con lo spirito dolce del greco:
ا
Si tratta della famosa alif, l'indispensabile consonante muta presente in tutte le più antiche lingue semitiche nonché in antico egiziano. In arabo, all'inizio di parola alif funge da aggancio vocalico (e in questo caso viene omessa in trascrizione), mentre nel mezzo della parola, quando si trova associata al simbolo detto hamza, corrisponde all'occlusiva glottale sorda [ʔ], un colpo di glottide che produce un istantaneo arresto nell'emissione del suono. In questo caso, alif-hamza viene notata con lo spirito dolce del greco. Ma vedremo poi nei dettagli l'uso di hamza. Caratteristica fonologica dell'arabo è che molti suoni vengono articolati molto più indietro, di quanto non accada in italiano e nella maggior parte delle lingue indoeuropee, tanto che l'arabo si è fatto la fama di possedere una serie di suoni impossibili da distinguere quanto da pronunciare. Non è così, ma vediamo di fare un po' d'ordine, elencando questi suoni così ostici per gli europei.
ه
La lettera h è la fricativa glottale sorda [h] e corrisponde all'h aspirata iniziale della parola inglese house.
Le lettere h̬ e ġ rappresentano le fricative velari sorda [x] e sonora [Ɣ], cioè il ch finale del tedesco Bach e la g dello spagnolo daga.
Le lettere ḥ e ‘ sono rispettivamente la fricativa faringale sorda [ħ] e sonora [ʕ], quest'ultima resa in trascrizione come lo spirito aspro del greco. Essendo pronunciati al livello della faringe, hanno il punto di articolazione più arretrato di tutti gli altri suoni, consistendo in pratica in una sorta di «raschio» ottenuto col passaggio forzato dell'aria attraverso la glottide. È difficile descriverne la pronuncia, non esistendo equivalenti delle lingue europee. In particolare, ḥ suona come una specie di h pronunciata in posizione ancora più arretrata e fortemente strozzata, mentre ‘ viene percepita dall'orecchio di un europeo solo come un curioso schiacciamento della vocale successiva.
ق
La lettera q è l'occlusiva uvulare sorda [q], una sorta di k articolata in fondo al velo palatino, simile alla c italiana di cubo ma ancora più arretrata. Va tenuta ben distinta da k [k] che è invece il normale suono velare di china.
Le lettere s e z corrispondono alla fricativa dentale sorda [s] e sonora [z], cioè rispettivamente alla s sorda di sole e alla s sonora di rosa.
ش
La lettera š corrisponde alla fricativa postalveolare sorda [ʃ], cioè il suono sc(i) dell'italiano sciocco.
ج
La lettera ğ è l'affricata palatale sonora [ʤ], cioè la g(i) dell'italiano giardino (nell'arabo classico manca del tutto l'occlusiva velare sonora [g], il suono della g dura di gatto).
Abbiamo con t e d (diacriticate con un submacron) le due fricative interdentali, sorda [θ] e sonora [ð]. Corrispondono rispettivamente al th inglese di thing e that.
Un importante asse di opposizione, tipico delle lingue semitiche, oppone alle normali consonanti una classe di consonanti dette «enfatiche» ṣ ḍ ṭ ẓ, da esse distinte grazie a un punto che viene posto sotto la lettera stessa. Esse sono pronunciate faringalizzate [sˤ] [dˤ] [tˤ] [ðˤ], ovvero accompagnate da un simultaneo strozzamento della faringe. Nel parlato, esse possono essere anche pronunciate velarizzate [sˠ] [dˠ] [tˠ] [ðˠ]. La possibilità di un'alternativa tra faringalizzazione e velarizzazione è può essere indicata con una tilde posta di traverso al simbolo IPA [s̴] [d̴] [t̴] [ð̴], ma di seguito in questo articolo utilizzeremo, nell'indicazione della pronuncia delle «enfatiche», la semplice faringalizzazione.
Per concludere, w e y sono le approssimanti velolabiale [j] e palatale [w], ovvero la u e la i semiconsonanti nelle parole italiane uomo e ieri. |
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SCHEMA GENERALE DELLE CONSONANTI In arabo non esiste differenza tra maiuscole e minuscole, né tra stampato e corsivo, epperò la forma della consonante muta, più o meno sensibilmente, a seconda della posizione che occupa nel corpo della parola, se sia isolata, iniziale, mediana o finale. Un po' come nella nostra scrittura corsiva, ogni lettera dell'alfabeto arabo si lega alla precedente ed è legata alla successiva. Le sei lettere ’ d d r z w non posseggono le forme iniziali e mediane; queste lettere interrompono di fatto la continuità grafica della parola e la consonante che segue, anche se fa parte della stessa parola, dovrà ripartire di nuovo dalla forma iniziale.
Poiché molte consonanti hanno forma simile, bisogna fare attenzione a non confonderle. In questo caso i punti diacritici posti sopra o sotto le lettere graficamente simili aiutano a distinguerle, come ad esempio
Ma vediamo delle parole complete, così da imparare a distinguere le singole consonanti che le compongono:
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Nella scrittura, specie nella scrittura d'arte, càpita che coppie di consonanti vengano legate tra loro secondo forme stilizzate, in modo che non sia più possibile distinguere con certezza le singole lettere. In questo caso la lettura richiede da parte del lettore una certa esperienza della lingua e delle regole callibrafiche. La correttezza dei dizionari, unita all'uso sempre più intensivo del mezzo elettronico, ha tuttavia portato a un sempre maggior rigore della scrittura ed a un'eliminazione progressiva di molte delle legature tradizionali.
Alcune legature sono tuttavia standardizzate. È il caso di lām-alif, successione di lām e di alif, da alcuni considerata una lettera a sé stante e che ha una sua forma particolare.
Un altro importante nesso grafico è il nome di Dio, Allāh (gloria a Lui l'altissimo), che viene scritto con una sorta di «simbolo» a sé stante, quasi un ideogramma, in cui sono tuttavia ancora parzialmente riconoscibili le lettere che lo compongono:
Si noti che nella pronuncia del nome divino e dei suoi derivati, la lettera l viene pronunciata faringalizzata [allˤa:h] o velarizzata [allˠa:h]. È l'unica attestazione di questo fonema nel lessico arabo. |
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SUFFISSO FEMMINILE: TĀ’ MARBŪṬA In arabo, i nomi femminili terminano normalmente per -a; si usa per indicare questa terminazione una particolare t finale detta tā` marbūṭa «t legata». Le origini etimologiche di questa tā` sono giustificate dal fatto che nelle lingue semitiche l'originaria desinenza del femminile è generalmente -t, com'è anche evidente in molti sostantivi e pronomi arabi (es. bint «figlia» contro ibn «figlio»).
Vediamo il suo uso in alcuni sostantivi femminili:
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Lingua così ricca e varia nelle consonanti, l'arabo classico è al contrario assai povero di vocali, contemplandone soltanto tre: /a/ /u/ /i/.
a u i Esse possono essere sia brevi che lunghe. In trascrizione, le lunghe vengono contrassegnate con un macron:
ā ū ī La pronuncia delle vocali è abbastanza varia. Alle tre vocali arabe corrispondono in pratica delle vocoidi che occupano un'area di pronuncia assai più ampia di quanto non avvenga per i rispettivi suoni nelle lingue europee. Ad esempio, a /a/ può realizzarsi, a seconda dei casi, nei vari allofoni [ɑ] [a] [æ]; u /u/ può essere pronunciata indifferentemente [u] [ʊ] [o]; i /i/ può assumere gli esiti [i] [ɪ] [e]. Generalmente però le vocali lunghe ā ū ī vengono pronunciate in maniera netta e decisa ([a:] [u:] [i:]), rispetto alle rispettive brevi a u i ([ɑ ~ æ] [ʊ] [ɪ]) le quali si collocano in posizione intermedia. Queste variazioni di pronuncia sono dovute al fatto che l'emissione dei suoni [a] [u] [i], posti ai vertici del quadrilatero vocalico, richiede un'energia maggiore rispetto alle vocali intermedie, e poiché in arabo non vi è alcun rischio di confusione, ecco che nel parlato quotidiano la pronuncia delle vocali a u i può perdere energia ed esse si realizzano come suoni intermedi. Tali dizioni non vanno considerate errate, in quanto la distinzione tra i vari esiti è soltanto fonologica. È questa la ragione per cui la località di al-Alamayn, teatro di una famosa battaglia, viene generalmente pronunciata [ælɑlɑmæjn]; e il nome del Profeta, la cui grafia corretta è Muḥammad, viene in genere pronunciato [mʊħammæd]. Da qui la grafia popolare occidentale dei due nomi, *al-Alamein e *Mohammed. Nella nostra trascrizione fonetica renderemo sempre i fonemi /a/ /u/ /i/ come [a] [u] [i]. |
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VOCALI BREVI
Le vocali brevi a u i sono implicite nella scrittura araba, che si limita a segnare soltanto le consonanti. Per la loro lettura ci si affida alla conoscenza della lingua da parte del lettore. Si noti come, negli esempi che seguono, le vocali sono presenti soltanto in trascrizione, mancando del tutto nella grafia araba:
Quando la vocale breve cade all'inizio della parola, viene utilizzata, per indicarne la presenza, un particolare segno diacritico chiamato hamza sostenuto dalla consonante debole alif. La hamza viene posta sopra il corpo della alif se questa funge da aggancio ad a o i, sotto la alif se funge da aggancio ad i.
Vediamo qualche esempio:
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MOZIONI VOCALICHE: FATḤAH, ḌAMMAH, KASRA E SUKUN In arabo le vocali brevi di norma non vengono indicate. Quando però è necessario evitare degli errori (ad esempio nel caso particolare della lettura coranica, dove la tradizione pretende la massima correttezza nella lettura), allora vengono usati tre segni diacritici, le cosiddette «mozioni vocaliche», fatḥah, ḍammah, kasra, le quali, poste su una consonante, indicano che quella consonante porta una vocale implicita, cioè rispettivamente a u i. Vi è inoltre un quarto segno, il sukūn «quiete», che indica assenza di vocale e viene posto sulla consonante seguita da altra consonante o su una consonante finale. Nello specchietto che segue, il cerchio grigio rappresenta la consonante su cui si poggia la vocale implicita.
Vediamo in questa serie di esempi qual è il corretto impiego delle mozioni vocaliche:
In tutti gli esempi che seguiranno, le mozioni vocaliche - com'è di regola nella scrittura araba - non saranno segnalate. |
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Mentre la scrittura araba non nota le vocali brevi, contrassegna le vocali lunghe ā ū ī facendo seguire, alla consonante che porta la vocale implicita, una consonante di prolungamento (mater lectionis), che sarà rispettivamente una delle tre consonanti deboli ’ w y [alif wāw yā`]. Nello specchietto che segue, la consonante con la vocale implicita è contrassegnata da un cerchio grigio.
Vediamo alcuni esempi (dove le mozioni vocaliche non sono segnalate):
È evidente che quelle che le vocali lunghe ā ū ī non sono altro che lo sviluppo dei tre dittonghi misti a’ uw e iy, formati da una vocale e da una consonante di prolungamento, e così infatti sono intesi nella fonetica e nell'ortografia araba. All'inizio della parola, le vocali lunghe sono contrassegnate da alif hamza, esattamente come le brevi, ma seguite in questo caso dalla consonante debole di prolungamento (mater lectionis). Dunque per ī iniziale si ha alif hamza seguìta da yā` di prolungamento. Per ī iniziale si ha alif hamza seguìta da wāw di prolungamento. Per ā iniziale si dovrebbe dunque scrivere alif hamza seguìta da alif di prolungamento, ma non essendo possibile scrivere due alif una di seguito all'altra, si usa la cosiddetta alif madda «allungata», ovvero una particolare alif sormontata da una seconda alif più piccola, posta trasversalmente sopra la prima.
Vediamo qualche esempio:
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USO DELLA HAMZA
Come abbiamo visto, all'inizio di parola, la hamza è il segno diacritico che, posto sopra (o sotto) alif, regge la vocale breve che dà inizio alla parola stessa. Ma la hamza è una vera e propria lettera, la prima dell'alfabeto arabo. Essa segnala l'occlusiva glottale sorda [ʔ], un colpo di glottide che avvia o arresta l'emissione del suono.
Se all'inizio di parola la hamza coincide in pratica col suono della vocale, all'interno della parola la si percepisce nettamente come un rapido stacco rispetto alla sillaba precedente. In questo caso la hamza viene trascritta con lo spirito dolce del greco. Hamza necessita in tutti i casi di un sostegno, che può essere una delle tre consonanti deboli: alif, wāw o yā` (quest'ultima scritta in questo caso senza i puntini sotto):
L'ortografia della hamza è piuttosto complicata. Al centro di parola, la hamza viene retta da alif, wāw o yā`, a seconda della vocale breve (rispettivamente a u i) che viene articolata con essa.
In altri casi la hamza si regge sulla vocale (lunga o breve) della consonante che la precede.
Analogamente, hamza finale ha per supporto la vocale della consonante precedente. Se la consonante precedente è priva di vocale implicita (avendo il sukūn), o è una alif o wāw di prolungamento, allora hamza si scrive senza sostegno. Anche in tale posizione, hamza corrisponde all'occlusiva glottale sorda [ʔ], percepibile come un semplice colpo di glottide alla fine della parola.
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Un diacritico chiamato tašdīd o šadda, posto sopra la consonante, serve a raddoppiare la stessa, che verrà pronunciata con maggior forza, analogamente alla geminazione segnata dall'ortografia italiana.
Vediamo qualche esempio:
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Il tašdīd serve anche a indicare l'assimilazione nel caso l'articolo determinativo al «il» preceda un sostantivo iniziante per lettera «solare». Infatti l'arabo distingue le lettere in «solari» e «lunari» le prime producono assimilazione con l'articolo, le seconde no. Vediamo come il tašdīd assimila l'articolo al con la successiva parola iniziante per lettera solare:
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Una particolare serie di diacritici, chiamati tanwīn, consistenti nel raddoppiamento delle mozioni vocaliche, segnano il fenomeno fonetico della "nunazione", che consiste in pratica nell'aggiungere in coda alla parola una vocale nasalizzata, cioè seguita da suono nasale, in questo caso la lettera nūn. A seconda della vocale, abbiamo il tanwīn fatḥah (per -an), il tanwīn kasra (per -in) e il tanwīn ḍammah (per -un).
Il tanwīn alla fine della parola segna l'idea di indeterminazione (corrisponde cioè all'articolo indeterminativo italiano «un» «una» «uno» «degli» «delle», etc.). Si usa -un quando il sostantivo è in caso nominativo, -an quand'è in accusativo, -in quand'è in genitivo. Facciamo qualche rapido esempio:
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Un tipo particolare di dittongo, in irlandese, è il dittongo misto, formato dall'incontro di una vocale a i o con le consonanti lenite dh gh e bh mh. Ma vediamo meglio le varie combinazioni. Per quanto riguarda dh gh, abbiamo: adh idh odh
Ma anche i dittonghi ai ea ei oi possono essere combinati con dh e gh, formando i gruppi: aidh eadh eidh
oidh
Per quanto riguarda bh mh, abbiamo: abh amh obh omh La pronuncia è abbastanza regolare:
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MUTAZIONI INIZIALI
Caratteristici dell'irlandese sono i curiosi mutamenti fonetici che vengono inflitti alla lettera iniziale delle parole. La ragione di tali mutamenti va cercata nel fatto che le lingue celtiche sentono come unità minima del discorso non tanto la singola parola, quanto il sintagma, sistemi di parole strettamente congiunte come possono essere articolo e sostantivo, sostantivo e aggettivo, e così via. Ora l'irlandese ha una forte intonazione discendente: tende cioè ad anticipare il più possibile l'accento tonico. Può così capitare, nell'ambito di un sintagma, che un sostantivo abbia l'accento... sull'articolo, rimanendo completamente in posizione post-tonica. Poiché, come abbiamo visto, le consonanti post-toniche tendono a subire il fenomeno della lenizione, ecco che, in un sistema congiunto, le consonanti iniziali delle parole mutano di conseguenza. Per tali ragioni la declinazione irlandese risulta ardua per il forestiero, mentre il più incolto contadino del Donegal, guidato dall'intuito della lingua materna, domina con esattezza infallibile ogni schema. Facciamo un esempio: an bhó dubh «la mucca nera», e mostriamo quali mutamenti, un sostantivo preceduto dall'articolo e seguito da un aggettivo qualificativo, produrrà nel corso della declinazione.
Il primo di questi mutamenti fonetici è proprio la lenizione, di cui già abbiamo visto gli effetti. La consonante iniziale di un sostantivo viene lenita dopo l'articolo se il sostantivo è femminile o se il sostantivo maschile è in caso genitivo. I nomi propri femminili vengono invece leniti al genitivo. Un genitivo che segua un sostantivo femminile è lenito a sua volta, così alcune classi di pronomi possessivi leniscono il sostantivo a cui si riferiscono. Nello stesso modo agiscono alcune preposizioni, e via dicendo. Le regole insomma sono piuttosto complicate, ma sono anche utili, una volta che si sia fatto l'orecchio per la lingua, a captare alcune sottili distinzioni. Per esempio, «suo» in irlandese si dice a e, come in italiano, non specifica se il possessore sia uomo o donna. Tuttavia, qualora il possessore sia uomo, si produce una lenizione nell'oggetto posseduto, cosa che non succede se il possessore è donna. Ad esempio, «sua madre» in irlandese si dice a máthair (senza lenizione) se è la madre di lei, ma a mháthair (con lenizione) se si tratta della madre di lui. |
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H NUDA
Abbiamo visto che in irlandese moderno tutte le consonanti hanno un suono specifico, tranne
h Questa lettera, in irlandese, non si trova mai da sola, servendo come diacritico per indicare la lenizione di un'altra consonante. In realtà, h ha ancora un altro uso, che i grammatici chiamano «spogliamento» [lomadh]. In questa funzione, h viene posta dinanzi a un'altra vocale per impedire la liaison. Accade spesso che, nella declinazione di un sistema congiunto, due vocali finiscano col trovarsi vicine: allora viene interposta una h «nuda» per impedire il legame. Ad esempio, l'espressione an Éire «l'Irlanda» si declina al genitivo na hÉireann «dell'Irlanda». Questa seconda forma produrrebbe appunto un legame tra la vocale finale dell'articolo e quella iniziale del sostantivo, e per questo si inserisce tra l'una e l'altra una h eufonica, perfettamente muta. Tecnicamente lo «spogliamento» è una forma di lenizione della vocale. Riprendendo l'esempio fatto precedentemente, possiamo dire che «suo padre» in irlandese si dice a áthair (senza lenizione) se si tratta del padre di lei, ma a háthair (con h nuda lenitiva) se indichiamo il padre di lui. Il fenomeno dello spogliamento presenta tuttavia alcune eccezioni. In alcuni casi, è una t a venire prefissa ai nomi maschili inizianti per vocale. In altri casi, t viene prefissa ai nomi maschili inizianti per s. Quest'ultimo fenomeno, dapprima limitato alla lenizione tra articolo determinativo e sostantivo, si è in seguito esteso, almeno nel discorso parlato, ad altre combinazioni morfologiche. |
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ECLISSI
In irlandese esiste un altro tipo di mutazione consonantica detto «eclissi», in quanto un suono si sostituisce a un altro, di fatto eclissandolo. La grafia irlandese usa scrivere entrambi i suoni, quello che copre posto prima di quello coperto. Le parole che iniziano con un suono sordo (c t f p) mutano trasformandolo in sonoro (g d bh f); graficamente la consonante sonora viene fatta precedere alla corrispondente sorda.
Le parole che iniziano con un suono sonoro (g d b) mutano invece trasformandolo in nasale (ng n m); graficamente la consonante nasale viene fatta precedere alla corrispondente sonora.
Ne risultano delle parole inizianti per gruppi consonantici apparentemente complessi, in cui tuttavia la seconda consonante non si pronuncia essendo stata «eclissata» dalla prima.
Nel caso di parole inizianti con vocale, l'eclissi antepone una n- dinanzi alla parola stessa.
Gli esempi sono ovvi:
Un sostantivo può subire l'eclisse della consonante iniziale per molte ragioni. Quando essa viene a cadere dopo alcune proposizioni, come i «in», o dopo i pronomi possessivi plurali. Anche i numerali da sette a dieci causano il medesimo effetto. L'articolo produce eclissi in un sostantivo al genitivo plurale. Alcune forme verbali subiscono eclissi in particolari condizioni. Tutte queste difficoltà, di cui è irta la fonetica irlandese, rendono forse arduo l'apprendimento di questa lingua, ma contribuiscono moltissimo a crearne il fascino e la bellezza. |
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SCHEMA GENERALE |
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APPENDICE: NOTE SULL'ANTICO
IRLANDESE
Le regole ortografiche qui date riguardano l'irlandese moderno, la cui ortografia riconosciamo già nell'opera di Sethrún Céitinn (Geoffrey Keating). Ma si tratta solo del punto di arrivo di una lunga ricerca ortografica, che oltretutto segnò di pari passo un lento mutamento nella pronuncia. Chiunque si avvicini a dei testi scritti in antico irlandese, troverà delle grosse differenze rispetto alle regole dell'attuale ortografia. L'attuale parola irlandese per «libro», che è correttamente scritta leabhar, corrisponde in antico irlandese una forma lebor. È subito evidente che questa parola, così com'è scritta, non rispetta la regola del «larga con larga e stretta con stretta». L'opposizione tra consonanti «larghe» e «strette» era distintiva di significato già in irlandese antico e fin d'allora era invalso l'uso di contrassegnare le «strette» ponendole a contatto con una delle due vocali «strette» e o i, ma il sistema lasciava un certo grado di ambiguità, segnando comunque soltanto quelle vocali che venivano pronunciate, senza preoccuparsi di utilizzare vocali aggiuntive per separare una consonante da una vocale contrastiva. Dunque in irlandese antico non esistevano falsi dittonghi, ma soltanto vocali e dittonghi che andavano regolarmente pronunciati. C'è da dire che le vocali avevano una pronuncia più aperta e netta in irlandese antico di quanto non sia in irlandese moderno, ed anche se sussisteva una certa ambiguità nel modo di scrivere i dittonghi, questi erano soltanto cinque, pronunciati: [ai̥] [ui̥] [au̥] [eu̥] [iu̥]. A seconda delle parole, [ai̥] si poteva scrivere aí, áe, oí, óe, e nei testi più recenti anche aoi; [au̥] si scriveva áu o áo; [eu̥] éu, éo, e via dicendo. Assai diverso il sistema in cui l'antico irlandese segnava le consonanti lenite. In antico irlandese, come nel moderno, l'accento cadeva di regola sulla prima sillaba e le consonanti post-toniche risultavano indebolite. Questo fenomeno, allora come oggi, doveva interessare tutte le consonanti tranne l n r, tuttavia esso non veniva di regola indicato, lasciandolo implicito nella parola. Questa è la ragione per cui la forma antica lebar ha una semplice b laddove la moderna leabhar ha invece bh. Nella pronuncia, tuttavia, l'irlandese antico presentava alcune differenze rispetto al moderno. Foneticamente, la forma lenita delle consonanti occlusive, le sorde [k] [p] [t] e le sonore [g] [b] [d], era il regolare risultato di un passaggio alla rispettiva pronuncia fricativa, sicché le consonanti finivano col pronunciarsi rispettivamente [x] [Φ] [θ] e [ɣ] [β] [ð]. L'ortografia venuta a segnalare un tale sistema, tuttavia, era un pochino più complessa. Nel sistema grafico sviluppato dall'antico irlandese, le consonanti occlusive c p t si leggevano sorde [k] [p] [t] in posizione pre-tonica, ma sonore [g] [b] [d] in posizione post-tonica e intervocalica; le consonanti occlusive g b d si leggevano sonore [g] [b] [d] in posizione pre-tonica, ma cessavano di essere occlusive e diventavano fricative [ɣ] [β] [ð] in posizione post-tonica e intervocalica. Soltanto fricative sorde [x] [Φ] [θ] erano segnalate con la presenza di una h, venendo scritte appunto ch th ph. (Di contro si sviluppò un'altra notazione, tutto sommato più coerente, in cui le occlusive sorde [k] [p] [t] in posizione post-tonica si scrivevano cc pp tt, e le sonore [g] [b] [d] si scrivevano gg bb dd.) Riassumendo, così funzionava la grafia delle occlusive nell'antico irlandese:
Le regole qui date sono poi complicate dalla scarsa coerenza dell'ortografia. La parola mac [mak] «figlio» secondo le regole date si dovrebbe leggere [mag]; invece si comportava come se fosse scritto macc e così in effetti si trova a volte nei manoscritti. I grammatici irlandesi avevano escogitato tali soluzioni dagli esempi attestati dalla letteratura classica, di cui erano buoni conoscitori. Ad esempio, l'uso di contrassegnare le fricative sorde [x] [Φ] [θ] con i gruppi ch th ph derivava dal fatto che così i romani trascrivevano le lettere greche χ θ φ. Ma l'irlandese leniva anche altre consonanti e fin dal medioevo i grammatici dovettero escogitare altre soluzioni. Ad esempio, per indicare s e f lenite, che nella pronuncia venivano praticamente a scomparire, si cominciò ad utilizzare un puntino posto sopra il corpo della lettera: anche questa soluzione era stata tratta dalla filologia classica: infatti i latini usavano segnalare con un punctum delens quelle lettere erroneamente vergate nei manoscritti, indicando così che tale lettere andavano espunte in fase di lettura. In questo modo, i copisti irlandesi cercavano di indicare che la pronuncia di quella s e di quella f andava lenita fin quasi a scomparire. In seguito, entrambi i modi di rendere la lenizione (con h o col punctum delens) vennero estesi a tutte le consonanti lenite e si crearono due grafie contrastanti, le quali, non di rado, si trovavano a convivere l'una accanto all'altra negli stessi manoscritti. Solo agli inizi del XX secolo la grafia in h ha preso definitivamente il sopravvento su quella col punctum delens, anche se, vuoi per vezzo o per gusto di arcaismo, non è difficile vedere ancora oggi iscrizioni gaeliche in alfabeto onciale con il punctum delens a indicare le consonanti lenite. Il problema è che, trattandosi di una lingua morta, l'ortografia dell'antico irlandese non può più essere riformata e resa coerente come quella delle lingue vive. |
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BIBLIOGRAFIA E LETTURE CONSIGLIATE
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Creazione pagina:
10.07.2005
Ultima modifica:
17.07.2006
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