BIBLIOTECA

CELTI
Britanni

MITI CELTICI
YFR TALIESIN
LV
Canu y byd maỽr
Canto del grande mondo
ỺYFR TALIESIN
Ỻyfr Taliesin. Libro di Taliesin
x. Daronỽy
xxiii. Traỽsganu Cynan Garỽyn
xxvi. «...Y gofeisỽys byd»
xxvii. Ỻurig Alexander
xl. Marỽnad Ercỽlff
xliii. Marỽnad Dylan Eil Ton
xlvi. Marỽnad Cunedda
lv. Canu y byd maỽr
lvi. Canu y byd bychan
Avviso
Saggio introduttivo
Lezione dal ms. del Ỻyfr Taliesin
Testo medio-gallese normalizzato
Traduzione italiana
Traduzioni inglesi
Note
Download
Bibliografia
YFR TALIESIN
LV
Canu y byd maỽr
Canto del grande mondo
I DUE «CANTI COSMOLOGICI» DEL ỺYFR TALIESIN

Le composizioni intitolate Canu y byd maỽr («Canto del grande mondo») e Canu y byd bychan («Canto del piccolo mondo») sono disposte l'una di seguito all'altra, nel manoscritto del Ỻyfr Taliesin. Si tratta di composizioni erudite, di carattere gnomico-sapienziale, entrambe incentrate su temi cosmografici e cosmologici. Ciò giustifica il criterio compositivo del redattore medievale che ha giustapposto i due poemetti, conferendo loro una sorta di artificiosa complementarità con l'attribuzione dei due titoli con cui sono conosciuti. Peraltro le due composizioni sono diverse tra loro in stile, metrica, lunghezza e anche nel modo in cui viene svolto l'argomento: la prima mette in relazione la struttura del kósmos in relazione con la fisiologia umana; la seconda con un progetto universale di salvezza. Per tale ragione i titoli vengono di solito interpretati nel senso di «Canto del macrocosmo» e «Canto del microcosmo» (Haycock 2007).

LA COMPOSIZIONE

La composizione Canu y byd maỽr («Canto del grande mondo»), è un poema di sessantuno versi contenuto nel Ỻyfr Taliesin (nlw Peniarth, ms. 2, prima metà del xiv sec.), ai folii 38 e 38 (pagine 79 e 80). Il titolo attribuito alla composizione è riportato in inchiostro rosso sul lato destro dell'incipit: <Kanu ybyt maỽr>.

In particolare, il Canu y byd maỽr si presenta come un sunto della cosmografia tardo-antica e medievale,  secondo mappe reminiscenti soprattutto Isidorus Hispalensis, Bǣde Venerabilis e Honorius Augustodunensis, ma trattata in relazione alla fisiologia umana e secondo un'esposizione che segue criteri numerologici.

Dopo l'esordio in lode a Dio, che ha infuso sapienza nell'animo del compositore [1-4], questi enumera dapprima i sette elementi (ỻafanad) dai quale Dio lo avrebbe creato: fuoco, terra, acqua, aria, nebbia, fiori e vento del sud [5-10]. A questi seguono i sette sensi (synnyr), i quali coprono sia alcune funzioni vitali (espirare, inspirare, gridare), sia le attività sensioriali propriamente dette (gusto, vista, udito, olfatto) [11-20].

A questo punto, il poeta passa dal microcosmo al macrocosmo, associando la fisiologia umana alla struttura dell'universo, attraverso un'analoga enumerazione per sette elementi. Vi sono dunque i sette cieli e i tre mari [21-26], e quindi si enumerano i pianeti, dai nomi riportati in lezioni deformate [27-36]. Tradizionalmente in numero di sette, i pianeti risultano essere però otto: ma la duplicazione di Venus e Venerus è forse solo apparente, indicando l'astro nei suoi due aspetti di stella del mattino e della sera. A questo punto il poeta dà un rapido ragguaglio della cosmografia terrestre: elenca i cinque climi (gỽregys) della Terra [37-47] e quindi le tre tradizionali divisioni dell'oikouménē: Asia, Africa ed Europa [48-55],  secondo mappe che si rifanno soprattutto a Isidorus Hispalensis, a Bǣde Venerabilis e a Honorius Augustodunensis. Gli interpreti del testo hanno di solito considerato le due suddivisioni (per climi e per continenti) come alternative, ma è possibile che siano in realtà integrabili tra loro e reminescenti di concezioni cosmologiche più antiche, peraltro ben conservate nella letteratura celtica.

Nella chiusa il poeta si presenta come Taliesin, bardo di corte di Elffin [56-61], che sappiamo essere, da altri testi, padro adottivo del poeta e signore del Ceredigion.

La materia erudita del Canu y byd maỽr trova immediato riscontro in altri testi celtici. In ambito medio-irlandese si può citare la redazione recensiore del Tenga bithnua, la «Lingua semprenuova», un trattato cosmologico risalente nella sua prima redazione al ix secolo. Nella Vita Merlini di Galfridus Monemutensis, argomenti analoghi vengono svolti in un dialogo tra Merlinus e Talgesinus, dove il primo pone ardue questioni cosmologiche e il secondo fornisce erudite spiegazioni. Sebbene sia senz'altro possibile che Galfridus Monemutensis si sia ispirato a composizioni più antiche, analoghe alle due qui presentate, i fautori di una datazione bassa del corpus Talgesinianum non escludono che, viceversa, il compositore del Canu y byd maỽr possa aver preso ispirazione dalla Vita Merlini. Detto questo, bisogna però constatare che non vi sono evidenti parallelismi formulari e lessicali tra le due fonti, rendendo quanto meno ipotetica una relazione tra Galfridus e il testo qui presentato (Padel 2006; Haycock 2007).

John Gwenogvryn Evans, nella sua traduzione del Ỻyfr Taliesin, ignora questo canto, insieme ad altri di natura teologica, assegnandolo al secondo o terzo quarto del xiii secolo (Evans 1915).

YFR TALIESIN
LV
Canu y byd maỽr
Canto del grande mondo
Kanu ybyt maỽr, lezione dal ms. del Ỻyfr Taliesin
Canu y byd maỽr, testo medio-gallese normalizzato
Canto per il grande mondo, versione italiana
The Song of the great World, traduzione inglese di William Forbes Skene
The greater Song of the World, traduzione inglese di David William Nash
  Lezione dal ms. del Ỻyfr Taliesin  
79:8
79:9
79:10
79:11
79:12
79:13
79:14
79:15
79:16
79:17
79:18
79:19
79:20
79:21
79:22
79:23
79:24
79:25
79:26
                                                                                                                         Kanu
Gvolichaf vyn tat. vyn ꝺuỽ   ybyt maỽr
vyn neirꟌat. ꝺoꝺes trỽy vyat eneit
ym pỽyllat. m ꟊoꝛuc ynꟊỽylat. vy feitꟌ llaf
anat. o tan aꝺayar aꝺỽfyr ac awyr. nyỽl ablo
ꝺeu aꟊỽynt ꟊoꝺeꟌeu. Eil ſynꟌỽyr pỽyllat ym
pỽyllỽys vyn tat. vn yỽ arynnyaf. ꝺeu atyn
af.  tꟌꝛi aweꝺaf. pꟌetwar a vlaſſaaf. pꟌymp
awelaf. cꟌỽecꟌ aꟊlyỽaf. seitꟌ aaroꟊleuaf.
ac a aꟊꝺiwꝺaf. SeitꟌ awyr yſſyꝺ oꝺucꟌ ſyỽeꝺyꝺ.
tꟌeir ran ymyr moꝛ ynt amryꟊyr. Moꝛ uaỽꝛ
aryfeꝺ ybyt nat vn weꝺ. Ryꟊoꝛuc ꝺuỽ vꝛy ary
planete. ryꟊoꝛuc ſola. ryꟊoꝛuc luna. ryꟊoꝛuc
marca ymarcarucia. Ryꟊoꝛuc venuſ. ryꟊoꝛuc
venerus. ryꟊoꝛuc ſeueruſ. eitꟌueꝺ ſaturn?
Ryꟊoꝛuc ꝺuỽ ꝺa. pymp ꟊỽꝛeꟊys terra pyꟌyt
yt para. Vn yſſyꝺ oer. ꝺeu yſſyꝺ oer. r tryꝺyꝺ
yſſyꝺ wres aꝺyofac anlles. Petweryꝺ paraꝺỽys
ꟊỽerin aꟊynnỽyſ. PymꟌet artymꟌeraỽꝺ
80:1
80:2
80:3
80:4
80:5
80:6
  a pyrtꟌ y veꝺyſſaỽt. yntri yt rannat. yn amꟊen
pỽyỻat. vn yỽ yrasia. ꝺeu yỽ yr affrica. Tꝛi yỽ
europa beꝺyꝺ ꟊyꟊwara. Ꟍyt vꝛoꝺic yt para.
pan varnꟌer pop tra. Ryꟊoꝛuc vy aỽen yvoli
vyren. Myꝺỽy talieſſin areitꟌ lif ꝺewin para
Ꟍaỽt Ꟍyt fin yꟊkynnelỽ elpꟌin.
Canu y byd maỽr
Dal Llyfr Taliesin, nlw Peniarth, ms. 2.
folii
38 (p. 79) e 38 (p. 80)
    Canu y byd maỽr Canto per il grande mondo
 

1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
17
18
19
20
21
22
23
24
25
26
27
28
29
30
31
32
33
34
35
36
37
38
39
40
41
42
43
44
45
46
47
48
49
50
51
52
53
54
55
56
57
58
59
60
61

  Gỽolychaf fyn Tad,
fyn Duỽ, fyn neirthad,
a ddodes trỽy fy iad
eneid y'm pỽyỻad.
A'm gorug yn gỽylad
fy seith ỻafanad:
o tan a dayar,
a dỽfyr ac aỽyr,
a nyỽl a blodeu,
a gỽynt goddeheu.
Eil synnyr pỽyỻad
y'm pỽyỻỽys fyn Tad:
un yỽ a ryniaf,
a deu a tynnaf,
a thri a gỽaeddaf,
a phetỽar a blasaf,
a phymp a gỽelaf,
a chỽech a glyỽaf,
a seith a arogleuaf,
ac a agdiỽedaf.
Seith aỽyr ysydd
odduch syỽedydd;
a their rhan y mŷr
mor ynt amrygyr.
Mor faỽr a rhyfedd,
y byd nad un gỽedd.
Ry gorug Duỽ fry
ar y planete:
ry gorug Sola,
ry gorug Luna,
ry gorug Marca,
[a] Marcarucia;
ry gorug Venus,
ry gorug Venerus,
ry gorug Severus,
a seithfed Saturnus.
Ry gorug Duỽ da
pymp gỽregys terra
pa hyd yt para
Un ysydd [ad]oer,
a deu ysydd oer,
ar trydydd y sydd gỽres,
a dyofag anỻes;
pedỽerydd, paradỽys,
gỽerin a gynnỽys;
pymhed ardymheraỽd
a pyrth y bydysaỽd.
Yn tri yt rannad
yn amgen pỽyỻad:
un yỽyr Asia,
deu yỽ yr Affrica,
tri yỽ Europa,
bedydd gyngỽara:
hyd frodig yt para,
pan farnher pob tra
ry gorug fy aỽen
y foli fy rhen.
Mydỽy Taliesin
areith lif deỽin:
parahaỽd hyd ffin
yg cynnelỽ Elffin.
Lodo il Padre mio
il mio Dio, la mia forza
che mi infuse attraverso la fronte
l’anima nel pensiero.
E creò per rendermi felice
i miei sette elementi:
di fuoco e terra
e acqua e aria
e nebbia e fiori
e vento del sud.
Altri sensi per la riflessione
mio Padre progettò per me:
uno è per espirare,
e due, per inspirare,
e tre, per gridare,
e quattro, per assaporare,
e cinque, per vedere,
e sei, per udire,
e sette, per odorare,
e io concludo.
Ci sono sette cieli
al di sopra dell'astronomo,
e tre parti dei mari,
quanto sono agitate!
Quanto vasto e meraviglioso,
il mondo nei suoi molteplici aspetti!
Creò Dio dall'alto
dapprima i pianeti:
creò Sole,
creò Luna,
creò Marca,
e Marcarucia,
creò Venus,
creò Venerus,
creò Severus,
e settimo Saturnus.
Il buon Dio creò
i cinque climi della terra
finché essa durerà:
uno, è freddo;
e due, è freddo;
e terzo, è caldo
e genera danno;
quarto, il Paradiso
accoglierà il popolo;
quinto, [è] temperato
e nutre il mondo.
In tre fu divisa [la terra]
secondo un diverso intendimento:
una, l’Asia,
due, l’Africa,
tre, l’Europa,
dimora del battesimo:
durerà fino al giorno del giudizio
allorché ogni cosa sarà giudicata.
Il mio aỽen mi indusse
a elogiare il mio Signore.
Io sono Taliesin,
sciolta parola di profeta,
e lo sarò fino alla fine
per la protezione di Elffin.
         
YFR TALIESIN
LV
The Song of the Great World
English Translations
  The Song of the Great World
  Translation of William Forbes Skene
The greater Song of the World
Translation of David William Nash

1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
17
18
19
20
21
22
23
24
25
26
27
28
29
30
31
32
33
34
35
36
37
38
39
40
41
42
42a
43
44
45
46
47
48
49
50
51
52
53
54
55
56
57
58
59
60
61

I will adore my Father,
my God, my strengthener,
who infused through my head
a soul to direct me.
Who has made for me in perception,
my seven faculties.
Of fire and earth,
and water and air,
and mist and flowers,
and southerly wind.
Other senses of perception
thy father formed for me.
One is to have instinct
with the second I touch,
with the third I call,
with the fourth I taste,
with the fifth I see,
with the sixth I hear.
with the seventh I smell.
And I foresay,
seven airs there are,
above the astronomer,
and three parts the seas.
How they strike on all sides.
How great and wonderful,
the world, not of one form,
did God make above,
on the planets.
He made Sola,
he made Luna,
he made Marca
and Marcarucia,
he made Venus,
he made Venerus,
he made Severus,
and the seventh Saturrnts,
the good God made
five zones of the earth,
for as long as it will last.
One is cold,
and the second is cold,
and the third is heat,

Disagreeable, unprofitable.
The fourth, paradise,
the people will contain.
The fifth is the temperate,
and the gates of the universe.
Into three it is divided,
in the minstrelsy of perception.
One is Asia,
the second is Africa,
the third is Europa.
The baptism of consolation,
until doomsday it will continue,
when everything will be judged.
My Awen has caused me
to praise my king.
I am Taliessin,
with a speed flowing as a diviner.
Continuing to the end
in the pattern of Elphin.
I praise my Father,
my God, my strength,
who has given me in my head
soul and reason,
and has made for my advantage
my seven senses,
and fire and earth,
    and water and air,
and clouds and flowers,
and wind and trees.
Other reasoning faculties
my Father has endowed me with:
one is perceiving,
the second is feeling,
the third is speaking (?),
the fourth is tasting,
the fifth is seeing,
the sixth is hearing,
the seventh is smelling.
As before mentioned,
seven firmaments there are
high above the stars,
and three divisions of the sea.
The sea is beating on all sides;
the sea is very wonderful;
it entirely surrounds the earth.
God made the (firmament) above
for the planets.
He made the sun (Sola);
he made the moon (Luna);
he made Mars (Marca),
and Mercury (Marcarucia);
he made Venus;
he made Venerus;
he made Seuèrus,
and seventhly Satwrnus.
The good God made
five zones to the earth
for as long as it shall last;
one is cold,
and the second is cold,
and the third is hot,
and injurious to flowers,
disagreeable and destitute.
The fourth is Paradise,
the people shall be admitted to it.
The fifth is the temperate,
the pleasantest part of the universe;
it is divided into three parts,
mentioned in song.
The one is Asia,
the second is Africa,
the third is Europe
blest with baptism:
it shall last till the day of judgment,
and all wickedness shall be judged.
Very great is my Muse
in praising my King.
I am Taliesin,
I speak with a prophetic voice,
continuing until the end
for the deliverance of Elphin.
    Traduzioni: [Download]▼

NOTE

3     <ꝺoꝺes trỽy vyat> | a ddodes trỽy fy iad

  • trỽy è «attraverso», ma anche «per mezzo di, a causa di»
  • iat, qui tradotto «fronte», è il sommo del capo, parola non comune in poesia.

    <eneit ym pỽyllat.> | eneid y'm pỽyỻad.

  • <eneit> eneid è «spirito» (in opposizione al corpo), termine di uso comune nel significato di «vita», mentre il significato di pỽyỻat oscilla attraverso un ampio spettro semantico a indicare molte delle attività del pensiero: «intenzione, pensiero, contemplazione, deliberazione, considerazione». Il significato generale dei vv. [3-4] sembra essere che Dio ha posto lo spirito nella mente dell'uomo («attraverso la fronte»). La distinzione tra mente e spirito ha una connotazione arcaica, sebbene qui abbia probabilmente un significato teologico; nelle concezioni ebraiche si distingue tra la neeš, la coscienza intellettiva, posseduta in gradi diversi dagli animali e dall'uomo, e il rûḥ, lo spirito che Yǝhwāh lōhîm ha insufflato nell'uomo, rendendendolo a «immagine e somiglianza» di Dio. Troviamo un motivo analogo nel cosiddetto «canto di Amairgin», antico poema irlandese attribuito al mitico bardo Amairgin Glúngel, il quale – alla fine di una lunga serie di autoidentificazioni che richiamano un analogo tropo talegesiniano – si autodefinisce «il dio che accende il fuoco nella testa» [dé delbas do chind codnu] («Am gáeth i m-muir» [14]).

    <vy feitꟌ llafanat> | fy seith ỻafanad

  • In gallese ỻafanad è «sostanza, elemento». In questo poema i ponderum sono detti essere sette; in un altro poema si parla invece delle «nove forme elementali» [naỽ rith ỻafanad] (Kat godeu [154]). Secondo la Haycock, il termine <llafanat> ỻafanad potrebbe essere derivato, attraverso metatesi, dal termine elfen (< latino elementum) più una desinenza -ad. I testi sapienziali gallesi variano il numero di elementi costitutivi dell'uomo tra sette e nove (Haycock 2007). In un testo presente in un codice latino del IX secolo, gli elementi sono sette per l'uomo e nove per la donna:

    Incipit de septem ponderibus, unde factus est Adam, fides. Pondus limis: quae de limo factus est. Pondus maris: inde sunt lacrimae salsae. Pondus ignis: inde sunt alita caldas. Pondus uenti: indes est flatus frigitus. Podus rux: inde sudor humano corpore. Pondus floris: inde est uarietas oculorum. Podnus feni: inde est diuersitas capillorum. Pondus nuuium: inde est stauilitas in mente. Mulier autem ex noue pundera facta est.

     
    De plasmatione Adam

9     <nyỽl abloꝺeu> | a nyỽl a blodeu

  • La presenza dei «fiori» (blodeu) come elemento costitutivo dell'uomo ha un ovvio riferimento al mito di Blodeuỽedd, la donna creata con i fiori, nel racconto mabinogico Mâth fab Mâthonỽy.

11     <Eil ſynꟌỽyr pỽyllat> | Eil synnyr pỽyỻad

  • La parola <synhỽyr>, da normalizzare in synnyr, dal significato principale di «senso», copre in realtà tutta la sfera dell'attività mentale, significando anche «mente, ragionamento, conoscenza opinione, esperienza, coscienza». Questa fusione semantica tra percezione ed elaborazione mentale sembra creare una sorta di interazione tra oggettivo e soggettivo, annullando – da un punto di vista semantico – la distanza tra il soggetto e l'oggetto della conoscenza. Da qui la difficoltà dei traduttori di rendere l'ampia sfera dei possibili significati del verso: «other senses of perception» (Skene 1868), «other reasoning faculties» (Nash 1868).
  • Altrettanto ambigua la parola pỽyỻad: «intenzione, scopo», ma anche «pensiero, meditazione». La Haycock la intende come «schema», da cui la sua traduzione del verso: «the design of the senses» (Haycock 2007).
  • L'elencazione dei «sensi» seguirà nei successivi versi [12-18], ciascuno introdotto da un numero cardinale preceduto (tranne naturalmente il primo) da una congiunzione a, «uno... e due... e tre...», etc. Come vedremo sono elencati sette sensi. Normalmente le fonti medievali elencano cinque sensi: gusto, vista, udito, odorato e tatto, ma in alcuni testi classici e medievali il loro numero viene portato a sette. Nell'elencazione fornita dal nostro testo sembrano elencati soltanto quattro dei cinque sensi tradizionali, essendo il senso del tatto ignorato nella lista, oppure dissimulato nella problematica interpretazione del verso [14]. Essi vengono fatti precedere – se la delicata traduzione è corretta– dalle funzioni dell'ispirazione, dell'espirazione e della vocalizzazione.

13     <vn yỽ arynnyaf> | un yỽ a ryniaf

  • <rynnyaf>, ryniaf, è forma lenita (?) di gryn(n)iaf, «tirar fuori», «espellere», ma anche appunto «espirare, ansimare».

14     <ꝺeu atynaf> | a deu a tynnaf

  • <tynaf>, tynnaf, ha come significato principale «spingere, trascinare, tirar dentro», ma anche «inspirare, respirare». Il campo semantico di questo verbo è piuttosto vasto, potendo indicare, all'occorrenza, azioni come «togliere, estrarre, rimuovere, spogliarsi, cogliere», ma anche attività logico-matematiche «dedurre, inferire, derivare, sottrarre». Anche «dipingere, ritrarre, plasmare» possono essere possibili traduzioni del verbo tynnu. Da qui è facile capire come i traduttori storici del poema abbiano proposto dei significati piuttosto differenti di questo verso. Skene traduce «with the second I touch» (Skene 1868), ristabilendo così il senso del tatto, altrimenti mancante nell'enumerazione; Nash è più vago: «the second is feeling» (Nash 1868). La traduzione della Haycock tiene presente il fatto che i verbi grynnaf e tynnaf, ai [13-14], hanno significati opposti, e quindi ipotizza un parallelismo: «one, by which I exhale / and two, by which I draw breath»  (Haycock 2007). Seguiamo il suo suggerimento e traduciamo con «espirare» e «inspirare».

15     < tꟌꝛi aweꝺaf> | a thri a gỽaeddaf

  • <ỽedaf>, se inteso come gỽaedaf, vuol dire letteralmente «sanguinare». Gli interpreti preferiscono tuttavia intendere il termine come gỽaeddaf, «urlare, gridare». Così Skene: «with the third I call» (Skene 1868). Nash appone un prudente punto interrogativo in coda al verso: «the third is speaking (?)» (Nash 1868). La Haycock segue la medesima linea, «and three, by which I give voice», sebbene non ritenga impossibile l'interpretazione alternativa (Haycock 2007).

21     <SeitꟌ awyr yſſyꝺ> | Seith aỽyr ysydd

  • La parola «cielo» non è qui resa con nef, termine generico posto a indicare tanto il cielo fisico e visibile (inglese sky), tanto il cielo immateriale e metafisico (inglese heaven), ma con il più colto termine aỽyr (< latino aer), che ha un il significato primaria di «aria, atmosfera», ma può essere usato altrettanto bene in senso cosmologico.
  • Lo schema di un numero variabile di cieli è attestato in un gran numero di cosmologie presenti in tutto il mondo, con particolare riferimento alle culture sciamaniche dell'Eurasia settentrionale. La loro presenza nell'Europa medievale e, in particolare, nella letteratura celtica, trova probabilmente la sua origine negli scritti apocrifi di autori giudaico-cristiani, dove essi sono solitamente elencati in numero di sette. Il riferimento originario è alle sette sfere planetarie ma, nel corso dell'elaborazione delle fonti, il numero dei cieli e la loro natura hanno subìto profondi processi di astrazione. Si pensi alla cosmologia celeste della Commedia dantesca, dove i cieli planetari e quelli delle stelle fisse sono inseriti in un contesto metafisico e soteriologico, interpretazione che troviamo già in un testo irlandese, il Fís Adamnáin. Sette cieli compaiono anche nel Tenga bithnua, dove sono essi sono descritti nei dettagli: un primo cielo nuvoloso dove brillano la luna e le stelle cadenti (?); due cieli brillanti di fuoco, attraversati dal vento e dagli angeli; un quarto cielo gelato e azzurro brillante, in cui splende il sole; altri due cieli ardenti; e un ultimo cielo altissimo e di vasto splendore, sopra il quale è posta la sfera dei ríched (Dottin 1907 | Cataldi 1999 | Haycock 2007). Nel Liber de numeris iberno-latino i sette cieli sono elencati come segue: «aria, etere, olimpo, firmamento, cielo di fuoco, cielo degli angeli, cielo della Trinità» (Haycock 2007). Nella Vita Merlini, Talgesinus fornisce una complessa ma confusa uranologia, in cui è tuttavia arduo individuare il numero e la posizione dei cieli: vi è innanzitutto un cielo atmosferico, sede dei fenomeni meteorologici, quindi un cielo siderale, dove si trovano le stelle del firmamento, e al di sopra di esso un etere abitato dagli angeli, dove si trova anche il sole. Al di sotto però si trova un cielo aereo dove splende la luna, ricco di schiere di spiriti empatici che si compiacciono e si allietano quando gli esseri umani provano tali sentimenti: tali spiriti portano sapienza e sogni agli uomini nonché le preghiere degli uomini attraverso l'aria, affinché arrivino a Dio. Ma oltre la luna vi è ancora uno spazio pieno di demoni malvagi e spiriti incubi (Vita Merlini [753-787]). Nel nostro testo il numero dei cieli, sette, ha probabilmente ragioni numerologiche più che cosmologiche.

22     <oꝺucꟌ ſyỽeꝺyꝺ> | odduch syỽedydd

  • <oduch>, da normalizzare in odduch, odduỽch, vuol dire «al di sopra» (< odd-, «da» + uỽch, «sopra»).
  • syỽedydd vuol dire principalmente «astronomo» o «astrologo», naturalmente senza una distinzione tra le due nozioni, ma anche «indovino, mago», oppure «erudito, sapiente, poeta».
  • Nash accoglie la lezione del Myvyrian Archaiology of Wales (Myfyr ~ Pughe 1801-1807) e sostituisce <oduch> con <uwch ben> (dove ben è forma lenita di pen, «testa, cima»), espressione idiomatica che significa «ancora più in alto». Riportato il verso nella lezione <uwch ben sywedydd>, Nash lo traduce quindi con «high above the stars», interpretando forse l'ultima parola come un plurale di sêr, sŷr, «stella» (in realtà serau, «stelle») (Nash 1868).

23     <tꟌeir ran ymyr> | a their rhan y mŷr

  • Che il mare sia diviso in tre «parti» (rhan) è una nozione ben attestata nella letteratura celtica. Nel Tenga bithnua si afferma che «tre sono i corpi del mare intorno al mondo»: un mare che circonda il mondo, le cui parti compongono i sette mari che penetrano nelle terre; un mare salato, azzurro brillante, da cui si muovono le onde di marea; e un mare fiammeggiante (Haycock 2007). Anche nella Vita Merlini, Talgesinus descrive un mare ripartito: una parte che ribolle attorno a un baratro infuocato, ed è dove vanno a precipitare le anime dei malvagi; una parte ghiacciata, che genera gemme scintillanti dalle virtù risanatrici e beatificanti; e una terza parte temperata, quella più vicina al nostro mondo, che nutre i pesci e gli uccelli marini, produce il sale e trasporta le imbarcazioni (Vita Merlini [788-819]). L'immagine, ben chiara nell'ultimo testo, è in realtà cosmologica: il mare temperato, che circonda il mondo, corrisponde al fiume Oceano, da cui provengono tutti i mari interni, i golfi e i fiumi che scorrono sulla Terra. Astronomicamente il suo confine coincide con l'eclittica. Anche gli altri due «mari» sembrano avere una natura astronomica: sono probabilmente gli «oceani» che si trovano sotto il tropico del Capricorno e sopra il tropico del Cancro.

24     <moꝛ ynt amryꟊyr> | mor ynt amrygyr

  • La traduzione letterale sembra essere «quanto sono agitate!», riferito alle tre parti dei mari. L'aggettivo amrygyr vuol dire «occupato, senza pace, senza requie», ma anche «straziato, fatto a pezzi». I traduttori ottocenteschi interpretano il testo in modo piuttosto libero: «How they strike on all sides» (Skene 1868),  «The sea is beating on all sides» (Nash 1868). Più letterale la Haycock: «how restless they are» (Haycock 2007).

25     <Moꝛ uaỽꝛ aryfeꝺ> | Mor faỽr a rhyfedd

  • L'espressione mor faỽr a rhyfedd viene solitamente interpretata come «quanto grande e meraviglioso...» (dove faỽr è forma lenita di maỽr, «grande»). Da qui le traduzioni storiche: «How great and wonderful» (Skene 1868). Tuttavia la Haycock nota che rhyfedd, «meraviglioso, strano, inusuale», può essere anche letto come sostantivo, quindi «meraviglia, miracolo, sorpresa». Il significato preciso dell'espressione sarebbe dunque «quale grande meraviglia», da cui la traduzione proposta dall'autrice: «What a great wonder» (Haycock 2007).
  • A una prima occhiata, la «meraviglia» in questione sembrerebbe essere il «mondo», come chiarito al successivo verso [26]. Ma Nash ritiene che essa sia invece il «mare» dei vv. [23-24], e traduce eliminando l'ambiguità: «the sea is very wonderful» (Nash 1868)

26     <ybyt nat vn weꝺ> | y byd nad un gỽedd

  • bid è «mondo»; nad è particella che introduce una relativa negativa, «che non»; gỽedd vuol dire «forma, aspetto, immagine, apparenza». Difficile da rendere in traduzione, il significato del verso letterale è «il mondo che non [ha un] unico aspetto», con probabile riferimento alla «meraviglia» del verso precedente. Skene traduce infatti alla lettera «the world, not of one form» (Skene 1868), mentre la Haycock sceglie una soluzione più libera, «that the world is not all the same» (Haycock 2007). Il solo Nash, ritenendo che i vv. [23-26] si riferiscono interamente ai mari, dà un'interpretazione piuttosto personale di questo verso: «[the sea] it entirely surrounds the earth» (Nash 1868).

28     <ary planete> | ar y planete

  • Sebbene il testo non espliciti il numero dei pianeti, ci si aspetta di trovare anche qui una elencazione di sette elementi: in realtà, come vedremo, le voci sono otto, stante la problematica duplicazione di Venus e Venerus.
  • <ary> viene solitamente letto come ar, «prima», + y, articolo; la Haycock propone di emendarlo in ara, «piacevole, felice, delizioso». I vv. [27-28] vengono quindi tradotti dalla studiosa come «God on high made the fine planets» (Haycock 2007).

31     <ryꟊoꝛuc marca> | ry gorug Marca

  • La lezione <marca>, laddove ci si aspetterebbe piuttosto un latino Mars (> gallese Maỽrth) è problematico. Dipende forse dall'alternanza ortografica -ti-/-ci- registrata in alcuni nomi latini, come Martius/Marcius o, in questo caso, Martianus/Marcianus, sebbene non sia giustificata nel caso in oggetto. La medesima lezione compare anche in un altro luogo talgesiniano, in Canu y gwynt [xvii, 93].

32     <ymarcarucia> | a Marcarucia

  • La lezione <marcarucia>, laddove ci si aspetterebbe piuttosto un latino Mercurius (> gallese Mercher, Merchyr) è probabilmente influenzata dal precedente <marca>. La y iniziale, che nel suo significato immediato denota l'articolo determinativo (italiano «il», «la»), è forse un errore per ym, «in», o a, congiunzione «e».

33-34     <Ryꟊoꝛuc venuſ. ryꟊoꝛuc venerus> | ry gorug Venus, ry gorug Venerus,

  • La duplicazione del pianeta Venere (latino Veneris > gallese Gỽener) nella coppia formata da Venus e Venerus sembra essere un unicum in tutta la letteratura medievale. Si ritiene solitamente che si voglia distinguere qui il pianeta quale stella del mattino (Lucifer) e stella della sera (Vesper). In tal caso è forse possibile che Venerus sia un errore scribale per Vesperus. Si noti che Venerus è apparentemente utilizzato per indicare il pianeta Venere in Canu y gwynt [xvii, 93].

35    <ryꟊoꝛuc ſeueruſ> | ry gorug Severus

  • La sorprendente lezione Severus dove ci si aspetterebbe in realtà il pianeta Giove (latino Iovis > gallese Iau), non ha ancora avuto una spiegazione convincente, tanto più che il corretto nome del pianeta è attestato nella lezione Iubiter in Canu y gwynt [xvii, 93]. Certamente, Iubiter non fa rima con il Venerus al verso precedente, cosa che avrebbe potuto portare lo scriba ad alterare il nome del pianeta, ma è difficile comprendere la logica che abbia portato alla lezione Severus. Tra l'altro, il significato dell'aggettivo latino seuerus («grave, severo, serio») contrasta con il carattere gioioso e festivo solitamente attributo al pianeta Giove. Una possibilità, sebbene non convincente, è che la lezione sia sorta per errata lettura di un Ieu uerus, «Giove vero» (Haycock 2007).

38    <pymp ꟊỽꝛeꟊys terra> | pymp gỽregys terra

  • La parola gỽregys (cfr. antico irlandese criss), vuol dire letteralmente «cintura, circolo». Sebbene venga spesso tradotta come «zona, regione», la traduzione più corretta, proiettandosi nella cosmografia antica e medievale, è «clima» (dal greco klíma, «inclinazione», da intendersi l'inclinazione apparente del cielo con il progredire della latitudine). In questo caso, i cinque climi sembrano intesi come fasce poste a diverse latitudini, di cui soltanto il clima centrale corrisponde al mondo abitato dagli uomini, l'oikouménē. La ripartizione in cinque climi distingue una regione del mondo destinata agli uomini da altre quattro poste oltre l'esperienza umana: un motivo cosmologico ben attestato nella mitologia universale (i nagi˒ānu della cosmografia mesopotamica, i sette karvąr avestici, i sette dvīpa indiani, o la ripartizione in nove mondi della cosmografia scandinava). In ambito celtico, la divisione della terra in cinque climi è attestata tanto nel Tenga Bithnua, tanto nella Vita Merlini, dove leggiamo:

    Vique sua stantem nec se leuitate mouentem supposuit terram partes in quinque resectam quarum que media non est habitanda calore extremeque due pre frigore diffugiuntur temperiem reliquis permisit habere duabus has homines habitant uolucres que greges que ferarum

    E pose in basso la terra, che sta per forza propria e non ha leggerezza per muoversi, distinta in cinque parti, delle quali la centrale non è abitabile per il calore e le due estreme vengono sfuggite a causa del freddo. Concesse alle parti restanti una temperatura moderata: sono queste che abitano gli uomini e i volatili e i branchi degli animali selvatici.
    Vita Merlini [747-752]

40    <Vn yſſyꝺ oer> | Un ysydd adoer

  • <oer>, oer, «freddo», viene emendato in adoer, di medesimo significato, per evitare una monorima con la stessa parola nei vv. [40] e [41] (Haycock 2007).

42    <r tryꝺyꝺ yſſyꝺ wres> | ar trydydd ysydd gỽres,

  • La Haycock propone di emendare trydyd, «terzo», in thri, «tre», per riportare il verso alle regolari cinque sillabe (Haycock 2007).

42a    ac an bludd afles

  • Questo verso spurio, assente nel manoscritto originale, viene interpolato (con quale autorità?) nel testo antologizzato nel Myvyrian Archaiology of Wales (Myfyr ~ Pughe 1801-1807), forse nel tentativo di produrre una rima con l'anỻes del verso successivo. Ignorato da Skene è però presente nel lavoro di Nash, che lo collega al verso precedente e lo traduce come «and injurious to flowers» (Nash 1868). Anche la Haycock naturalmente lo ignora.

44    <Petweryꝺ paraꝺỽys> | pedỽerydd, paradỽys

  • Anche qui, come al v. [42], la Haycock emenda pedỽerydd, «quarto», in pedỽar, «quattro», per riportare il verso alle regolari cinque sillabe (Haycock 2007).
  • Che il Paradiso Terrestre – giardino di immortalità – fosse collocato in un «clima» fuori dal mondo, irraggiungibile dagli esseri umani, è una concezione mitologica che risale agli albori della storia. Tra le sue più antiche formulazioni ricordiamo il pû-nārāti, la «confluenza dei fiumi» dell'epopea di Gilgameš e il kpos Hesperídōn, il «giardino delle Hesperídes», del mito greco. In ambito celtico questo mitema trova facile collegamento con il motivo dei síde, le favolose isole d'oltroceano dei racconti irlandesi, quali la mitica Emain Ablach, «Emain dei meli», che trova immediato riscontro con Ynys Afaỻon del racconto britannico, l'isola dove fu condotto Arthur per vivere una vita eterna. Abbastanza interessante, ai nostri fini, la concezione di Kosmâs Indikopleústēs, un mercante e viaggiatore siriano del vi secolo che, di ritorno dall'India, sviluppò un'interessante cosmografia, dai tratti straordinariamente arcaici, dove – tra l'altro – il mondo abitato (l'oikouménē) era circondato da quattro terrae ultra Oceanum, inaccessibili al genere umano, di cui quella orientale coincideva appunto con il giardino di ʿĒḏẹn.
Planisfero di Kosmâs Indikopleústēs
Riproduzione schematica

46    <PymꟌet artymꟌeraỽꝺ> | pymhed ardymheraỽd

  • Anche qui, come ai vv. [42] e [44], la Haycock propone di emendare pymhed, «quinto», in pymp, «cinque», per riportare il verso alle regolari cinque sillabe (Haycock 2007).
Mappamondo a «O-T».
British Library. Ms. C-5933-06; Royal 12 F. IV; f. 135.

Da un manoscritto delle Etymologiae di Isidorus Hispalensis custodito nella British Library, un bellissimo mappamondo medievale, con l'orbe terrestre suddiviso in Asia, Africa ed Europa. I bracci della T rappresentano in senso orario: il Nilo, il Mediterraneo e il Mar Nero.

47    <a pyrtꟌ y veꝺyſſaỽt> | a pyrth y bydysaỽd.

  • La parola <veꝺyſſaỽt>, da normalizzare in bydysaỽd, bedysiaỽd, deriva dal tardo latino baptiziatio ed ha il significato primario di «cristianità». In senso generico significa anche «mondo, orbe, universo».

48    <yntri yt rannat> | Yn tri yt rannad.

  • La divisione della terra in tre parti, Europa, Asia e Africa, può essere ben visualizzata nel noto schema medievale del mappamondo a «O-T». L'Asia, che da sola comprende metà dell'orbe, è orientata nella parte superiore dello schema: Europa e Africa occupano un quarto ciascuno.

49    <yn amꟊen pỽyỻat> | yn amgen pỽyỻad

  • Il gallese pỽyỻ(i)ad, presenta inannzitutto, nel suo vasto campo semantico, un'idea di finalità: «intenzione, scopo, progetto», ma può voler dire anche «pensiero, meditazione, decisione». Il termine deriva da pỽyỻ, «saggezza, prudenza, giudizio», ma anche «natura, disposizione, temperamento» o, in termini più astratti, «senso, significato» (Pỽyỻ è il nome del protagonista del primo cainc del Mabinogion). D'altra parte, il significato di amgen è «altro, diverso, alternativo», ma anche «superiore, eccellente». L'interpretazione del verso è intesa in maniera piuttosto divergente dai traduttori storici, che lo intendono nel senso di una tradizione poetica: «in the minstrelsy of perception» (Skene 1868),  «mentioned in song» (Nash 1868). Più pratica la Haycock: «according to a different scheme» (Haycock 2007).
  • Dalla scelta dei precisi significati dipende la relazione che si può stabilire tra i due criteri di divisione del mondo forniti dal poema: la prima ripartizione in cinque climi, e la seconda ripartizione in tre continenti (Asia, Europa, Africa). Se intendiamo yn amgen pỽyỻat nel significato di «secondo uno schema differente», d'accordo con la Haycock, i due criteri rispecchierebbero delle cosmografie alternative. Il fatto, tuttavia, di trovarle non solo conciliabili tra loro, ma integrabili in schemi ben noti a molte concezioni mitiche e conosciuti anche nel Medioevo, dove l'oikouménē, in questo caso tripartita, corrispondeva a uno dei cinque «climi» in cui era diviso il mondo, siamo portati a scartare quest'ordine di significato. A essere differente non è l'intero schema cosmografico, bensì il fine divisorio dell'oikouménē, e che trova la sua ragione d'essere nelle interpretazioni che il Medioevo poneva nella forma e struttura dello stesso mappamodo a «O-T». Si conferiva alla complessa simbologia del mappamondo (la T a rappresentare la Croce, la posizione centrale di Gerusalemme, etc.) un valore assai più importante, ancorché coincidente, del suo valore di semplice rappresentazione geografica.

56    <Ryꟊoꝛuc vy aỽen> | ry gorug fy aỽen

  • aỽen, termine intraducibile, è l'ispirazione, il dono poetico, la gioia della composizione.

58    <Myꝺỽy talieſſin> | Mydỽy Taliesin

  • mydỽy è una formula di autopresentazione (contrazione di mi + yd(d) + wyf) dal significato di «io sono». Con questa formula, il bardo «firma» la composizione introducendovi il suo nome, secondo uno schema assai diffuso, per non dire abusato, nella poesia antica e medievale. La pseudoepigrafia, ovvero l'attribuzione di un'opera a un personaggio illustre del passato, in questo caso Taliesin, permetteva di conferiva autorità a un testo favorendone la diffusione.
  • Una formula analoga, attribuita a Taliesin, compare anche in Angar Cyfyndaỽt [VII: 53-56].

59   <paraꟌaỽt Ꟍyt fin> | parahaỽd hyd ffin

  • Il senso del verso sembra chiaro: parahaỽt è voce del verbo parhaf, «continuare»; <fin>, da normalizzare in ffin (< latino finis), vuol dire «confine, limite, frontiera» e, naturalmente, «fine». La parola è naturalmente finalizzata a produrre una rima con l'Elphin del verso successivo. Il significato complessivo del verso è probabilmente da intendere come «continuando fino alla fine della mia vita», cioè «fino alla morte». La Haycock presume tuttavia che il senso possa essere «fino alla fine del mondo», «fino alla fine del tempo» (Haycock 2007).

60   <yꟊkynnelỽ elpꟌin> | yg cynnelỽ Elffin

  • Il nome <elphin> (< latino Alpinus), da normalizzare in Elffin, è citato in altri luoghi del Ỻyfr Taliesin come signore presso la cui corte attendeva come bardo lo stesso Taliesin (cfr. [vii, xiv, xv, xviii]); egli è pure citato in alcune liriche medievali gallesi. La vicenda completa è tuttavia narrata nel Hanes Taliesin, una tarda narrazione in prosa inclusa nella Cronicl o ỽech oesoedd («Cronaca delle sei età») di Elis Gruffydd (1490–1552). Qui Elffin, figlio di Gỽyddno Garanhir, un decaduto ysgwïer (< inglese squire) del Ceredigion, recupera un sacco rimasto impigliato nella chiusa dei salmoni, lo apre e dentro vi trova un bellissimo bambino. “Che fronte splendente!”, esclama nel vederlo, e da questa esclamazione (tal iesin) il bimbo prende nome Taliesin. Fin da piccolo, il giovane manifesta spiccate attitudini bardiche. Anni dopo, Elffin, essendosi vantato della fedeltà di sua moglie e dell'abilità dei suoi bardi, viene imprigionato dall'invidioso Maelgn, re del Gỽynedd. Il giovane Taliesin, pur avendo soltanto tredici anni, non soltanto consiglia la moglie di Elffin di scambiarsi di posto con la serva, evitando così di venire violentata dal lubrico Rhun ap Maelgn, ma tosto si reca alla corte del re e, con la sua eloquenza e sapienza poetica, riduce al silenzio tutti i bardi del re e il loro capo, Heinin Ffard, finisce col balbettare come un bambino.
Download
Llyfr Taliesin
by W.F. Skene.
±500 kb
Llyfr Taliesin
by D.W. Nash.
±500 kb

Il Ỻyfr Taliesin, tradotto in italiano da Valeria Muscarà sulle versioni inglesi di William Forbes Skene (1868) e David William Nash (1868). I due files verranno aggiornati man mano che verranno aggiunte altre composizioni del Corpus Talgesinianum.

Per il disclaimer, fare riferimento alla pagina Avviso.

Bibliografia
  • BENOZZO 1998. Poeti della marea. Testi bardici gallesi dal vi al x secolo, a cura di Francesco Benozzo. In «In forma di parole», xviii, 2. Bologna, 1998.
  • DAVIES¹ 1809. Edward Davies, The Mythology and Rythes of the British Druids ascertained by National Documents. J. Booth, London 1809.
  • DAVIES² 2001. Daniel R. Davies, The Development of Celtic Linguistics, 1850-1900. Torino 1985.
  • DOTTIN 1907. Teanga bithnua. Une rédaction moderne, traduzione di Georges Dottin. H. Champion 1907.
  • EVANS² 1910. Facsimile & Text of the Book of Taliessin, a cura di John Gwenogvryn Evans. Tremban, Llanbedrog 1910.
  • EVANS² 1915. Poems from the Book of Taliessin, cura e traduzione di John Gwenogvryn Evans. Tremban, Llanbedrog 1915.
  • HAYCOCK 2007. Legendary Poems from the Book of Taliesin, a cura di Marged Haycock. CMCS, Aberystwyth 2007.
  • HAYCOCK 2013. Prophecies from the Book of Taliesin, a cura di Marged Haycock. CMCS, Aberystwyth 2013.
  • MacCULLOCH 1988. John A. MacCulloch, The Religion of Ancient Celts. Edimburgh 1911. → John A. MacCulloch, La religione degli antichi Celti. Vicenza 1998.
  • MORGANWG 1862. Edward Williams [Iolo Morganwg], Barddas. A Collection of original Documents, illustrative of the Theology, Wisdom and Usages of the Bardo-druidic System of the Isle of Britain (2 volls.), a cura di John Williams ab Ithel (Welsh Manuscripts Society). D.J. Roderick, London 1862-1874.
  • MORRIS-JONES 1918. Sir John Morris-Jones, Taliesin. In «Y Cymmrodor», XXVIII. Society of Cymmrodorion, London 1918.
  • MYFYR ~ PUGHE 1801-1807. Owen Jones [Owain Myfyr], William Owen Pughe, Myvyrian Archaiology of Wales (3 volls.)Gwyneddigion Society / Cymdeithas y Gwyneddigion, London 1801-1807.
  • NASH 1868. David William Nash, Taliesin; or, the Bards and Druids of Britain. John Russel Smith, London 1868.
  • PADEL 2006. Oliver J. Padel, Geoffrey of Monmouth ad the development of the Merlin legend, in «Cambrian Medieval Celtic Studies», 51, Cambridge 2006.
  • PUGHE 1832. William Owen Pughe, Dictionary of Welsh Language, explained in English (2 volls.). E. Williams, London 1803; Thomas Gee, London 1849.
  • SKENE 1868. William Forbes Skene, Four Ancient Books of Wales (2 volls.). Edmonston & Douglas, Edinburgh 1868.
  • STEPHENS ~ EVANS¹ 1849. Thomas Stephens, Daniel Silvans Evans, The literature of the Kymry; being a critical essay on the history of the language and literature of Wales during the twelfth and two succeeding centuries, containing numerous specimens of ancient Welsh poetry in the original and accompanied with English translations. Longmans, London 1849.
BIBLIOGRAFIA
  Ỻyfr Taliesin
XXIII - TRAỼSGANU CYNAN GARỼYN
    Ỻyfr Taliesin
LVI - CANU Y BYD BYCHAN
 
Biblioteca - Guglielmo da Baskerville.
Area Celtica - Óengus Óc.
Traduzioni dall'inglese di Valeria Muscarà.
Confronto sul testo gallese di Valeria Muscarà, in collaborazione con Dario Giansanti.
Si ringrazia Colin Parmar per i preziosi suggerimenti.
======= 18.01.2019 ======= <<<<<<< HEAD 18.01.2019 ======= 18.01.2019 >>>>>>> faafe89b3a03278308709c403e265a76a4da38fd >>>>>>> 5cbd8780b9b44688f09d997adca8edbccad1f622
Creazione pagina: 20.05.2015
Ultima modifica: <<<<<<< HEAD 18.01.2019
 
POSTA
© BIFRÖST
Tutti i diritti riservati