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EPICA ANTICO-INGLESE

[DĒOR]

[IL LAMENTO DI DĒOR]
► EPICA ANTICO-INGLESE
Sæcc Mǣldūnes
Sæcc Brunanburh
► Dēor
Avviso e dedica
Schema
[DĒOR]- Saggio
[DĒOR]- Testo
Note
Bibliografia

Titolo (informale)

Dēor
«Il lamento di Dēor»

Genere Poema storico
Lingua Antico inglese
Epoca
Composizione:
Redazione:
  < 950
X secolo

Manoscritti

Exeter,  Exeter Cathedral Library ms. 3501, ff. 100-100

EPICA ANTICO-INGLESE

[DĒOR]

[IL LAMENTO DI DĒOR]
Il poema
Il manoscritto
La questione dell'oralità
La traduzione
 

IL POEMA

Il poemetto di 42 versi allitteranti non rimati noto come Dēor (presumibilmente dal nome dell'autore, come ci viene suggerito al v. 37), giuntoci nell'unica redazione dell'Exeter Book, sui folii 100a-100b da una data difficilmente individuabile (si pensa comunque a prima del 950) rappresenta uno dei massimi esempi di poesia antico-inglese, andandosi a inserire in particolare nei filoni elegiaco ed eroico. Il poema ci racconta della sorte sfortunata di uno scop (lo scaldo anglosassone) di nome Dēor, il quale, perso il favore del suo signore, si ritrova a vagare esule, augurandosi che i suoi dolori possano svanire e paragonando il suo destino a quello di alcuni personaggi molto rilevanti, che ci permettono di ascrivere il poema al genere eroico.

Se infatti l'apparente intento dell'autore è quello di consolare un lettore sofferente e allo stesso tempo lamentare la propria sorte sventurata, egli lo fa portando a esempio diverse figure fortemente consolidate nell'ambito della poesia epico-eroica germanica: troviamo infatti il leggendario fabbro Ƿēland (presente anche in Bēoƿulf e Ƿaldere oltre che nella Vǫlundarkviða della Ljóða Edda) e la moglie/vittima Beadohild, il crudele Eormanrīc e un non meglio identificato Ðēodrīc (forse Teoderico I di Austrasia o il re dei goti d'Italia).

Nonostante l'abile connubio tra i due generi, ciò che rende questo poema così importante è senza ombra di dubbio l'atipico utilizzo di un ritornello (þæs oferēode, þisses sƿā mæg, «quello è passato, possa questo allo stesso modo»), il quale dà un senso di regolarità al testo poetico, privo di strofe di uguale lunghezza, e le cui interpretazioni tendono generalmente verso un intento di tipo pratico, come un ottimistico consiglio erede del genere della consolatio.

Il ritornello permette inoltre di suddividere il poema in sei sezioni (o cinque, come vedremo) che tratteremo più approfonditamente nelle note, ma che per ora possiamo così elencare:

I-II. le sventure di Ƿēland e di Beadohild, le quali possono essere unite poiché facenti parte dello stesso mito;
III. le sventure di Mǣðhild e del Gēata (unici personaggi di difficile identificazione);
IV. le sventure subite o inflitte da Ðēodrīc;
V. le sventure patite dai sudditi di Eormanrīc;
VI. considerazioni generali sulla sventura e lamentatio.

Poiché nonostante la presenza di un'immagine tipica della poesia scaldica (le serpi intese come spade) il lessico è quello tipico della poesia antico-inglese, non è chiaro se i numerosi riferimenti a miti e personaggi presenti in buona parte della poesia nordica siano da intendere come frutto di influssi scandinavi o come elementi facenti parte della tradizione narrativa germanica in generale.

IL MANOSCRITTO

Exeter Book
ms. 3501, folium 100,
Exeter, Cathedral Library

Come già detto, il carme ci è noto attraverso l'unica copia contenuta nell'Exeter Book (Exeter, Cathedral Library, ms. 3501), il più voluminoso ed eterogeneo tra i quattro principali codici poetici redatti in antico-inglese (Junius XI, Exeter Book, Vercelli Book e Cotton Vitellius A xv), il quale conserva, nonostante alcune lacunae, 34 poemi e 95 indovinelli metrici. La redazione può essere datata al 975 ca. (Francini 2017), e si pensa che essa sia avvenuta per opera di un'unica mano. Il volume, donato alla cattedrale da Leofric (morto nel 1072), primo vescovo di Exeter, viene descritto, nella lista delle donazioni da lui elargite, come i mycel englisc boc be gehƿilcum þingum on leoðƿisan geworht («un grande libro inglese su opere poetiche riguardo cose di ogni tipo»). Il codice è composto da 131 folii, numerati da 1 a 130 a partire dal secondo foglio. Il codice vero e proprio, così come fu donato da Leofric nell'XI secolo, è compreso nei folii 8-130, in quanto, in un dato momento nella sua storia, furono integrati otto fogli aggiuntivi, i quali contengono documenti legali e vari registri in latino e inglese, scritti da una mano del XII secolo. Come già detto, il manoscritto ci è giunto in condizioni tutto sommato buone, nonostante alcune lacunae visibili già a partire dal fol. 8a, raschiato con un coltello. Battaglia, nel descrivere la struttura del codice, parla di «una sorta di antologia scolastica analoga a un celebre manoscritto del sec. XI di autori latini […] custodito a Cambridge (University Library, ms. Gg. 5.35)» (Battaglia 2016). In effetti, ciò che colpisce di questo manoscritto, oltre alla sua notevole dimensione, è proprio l'eterogeneità delle tipologie dei componimenti ivi contenuti, in quanto al suo interno troviamo lunghi componimenti incentrati sulla figura di Gesù (Crīst, I-III, generalmente attribuiti a Cyneƿulf), testi di natura agiografica (Juliana, Gūðlāc A e B), altri con finalità didattiche (Anima e corpo, II), i già citati enigmi e, infine, testi appartenenti a un genere equivocamente etichettato come «elegie pagane», di cui fa parte proprio il nostro poemetto. Questi componimenti (Errante, Navigante, Poemetto rimato, Ƿulf ed Eadƿacer, Lamento della moglie, Rassegnazione A e B, Dēor, Ƿīdsīð, Messaggio del marito e Rovina) sono riflessioni sulla precarietà dell'esistenza incentrate sul tema della privazione (sia essa della patria, della fama, della famiglia o della felicità in generale), le quali si sviluppano attraverso un continuo paragone «prima – adesso» allo scopo di sottolineare la provvisorietà di ogni cosa terrena e invitare così a una riflessione che può essere sia religiosa, sia laica e filosofica.

LA QUESTIONE DELL'ORALITÀ

Come è ben noto, fino all'avvento del cristianesimo (ma sarebbe più opportuno dire «fino alle singole conversioni al cristianesimo»), le culture germaniche sono state culture a oralità primaria, ossia affidavano alla tradizione orale le loro leggi, i loro costumi, la loro «storiografia» e, soprattutto, le loro leggende. Leggende che, spesso e volentieri, andavano mescolandosi con la realtà storica, producendo racconti mitici che, col passaggio da oralità a scrittura, sono stati massimamente rappresentati dal fenomeno letterario delle saghe scandinave e, per esempio, dalla lunga e nutrita tradizione della materia nibelungico-volsungica. In questi testi non è strano incontrare eroi inventati e divinità insieme a personaggi la cui reale esistenza è più che assodata (Attila, Teoderico, la stirpe burgunda etc.). Il poemetto che prendiamo in esame non è da meno e, anzi, costituisce un documento di fondamentale importanza. L'autore dimostra infatti di conoscere bene quelle leggende che sono alla base della narrativa germanica, così come conosce bene la storia «ufficiale», o per lo meno i racconti che da quella sono stati originati. Se infatti la conoscenza da parte dell'autore di Dēor dell'opera di Severino Boezio (De consolatione philosophiae), così spesso e a ragione chiamata in causa, non è dimostrata da riferimenti precisi, quella delle vicende di Ƿēland (leggenda) e di quelle di Teoderico (realtà) è ben visibile e assodata. Allora come mai, ci si potrebbe chiedere, l'autore si sofferma così brevemente sulle singole vicende? La risposta più probabile è che egli sapesse che gli eventi cui faceva riferimento erano già parte della cultura orale anglosassone, cosa resa evidente (se accettiamo la proposta di Malone) dalla sezione su Mæđhild e il Gēata, che ci sono noti solo attraverso questo componimento. Che bisogno aveva il nostro scop di proporre nuovamente la vicenda del fabbro imprigionato, o dell'esilio di Teoderico? Il pubblico le conosceva già bene, non era quello lo scopo del componimento. La lunga tradizione orale ha dunque permesso al poeta di creare immagini tanto vaghe quanto efficaci, perfette per trasmettere il messaggio di fondo del poema e confermare ancora una volta la «validità» di quelle storie, vere colonne portanti della cultura popolare germanica.

LA TRADUZIONE

La seguente traduzione del Lamento di Dēor e le relative note sono state realizzate da Giorgio Lucarelli, il quale si è avvalso dell'ausilio del testo edito da Kemp Malone per la Metheuen's Old English Library e di quello edito da W.S.Mackie per The Early English Text Society.

Per quanto riguarda lo studio della lingua, il traduttore si è affidato all'ottimo manuale (A guide to Old English) di Bruce Mitchell e Fred C. Robinson, completo di una dettagliata introduzione alla linguistica anglosassone, di una selezione di brani celebri e di un utile glossario  (Mitchell ~ Robinson 2012). Per maggiori dettagli sul lessico, si consiglia caldamente di consultare il dizionario online Bosworth-Toller. <http://bosworth.ff.cuni.cz/>.

EPICA ANTICO-INGLESE
[DĒOR]
[IL LAMENTO DI DĒOR]
[Dēor], testo antico inglese
[Il lamento di Dēor], traduzione italiana
Note
    
 [DĒOR] [IL LAMENTO DI DĒOR]  
     
1 Ƿēlund him be ƿurm{a} ƿrǣces cunnade Ƿēland stesso presso le serpi conobbe l'agonia, Nota
2 anhȳdig eorl, earfoþa drēag, l'uomo deciso soffrì sventure,  
3 hæfde him tō gesīþþe sorge ond longaþ, ebbe per compagni dolore e anelito,  
4 ƿintercealde ƿræce, ƿēan oft onfond miseria invernale. Trovò spesso afflizione  
5 siþþan hine Nīðhād on nēde legde da quando Nīðhād pose catene su di lui, Nota
6 sƿoncre seonobende on syllan monn. flessibili lacci sull'uomo migliore. Nota
7 Þæs oferēode, þisses sƿā mæg. Quello è passato, possa questo allo stesso modo. Nota
8 Beadohilde ne ƿæs hyre brōþra dēaþ Beadohild non fu per la morte dei suoi fratelli Nota
9 on sefan sƿā sār sƿā hyre sylfre þing, in cuor suo così addolorata come per la sua stessa condizione,  
10 þæt hēo gearolīce ongieten hæfde che chiaramente realizzò  
11 þæt hēo ēacen ƿæs; ǣfre ne meahte di essere incinta. Non avrebbe mai potuto Nota
12 þrīste geþencan hū ymb þæt sceolde. accettare con risolutezza il destino.  
13 Þæs oferēode, þisses sƿā mæg. Quello è passato, possa questo allo stesso modo.  
14 Ƿē þæt Mǣðhilde monge gefrugnon Molti di noi hanno saputo di quella Mǣðhild. Nota
15 ƿurdon grundlēase Gēates frīge, Divenne sconfinata la passione del gēata,  
16 þæt hi{m} sēo sorglufu slǣp ealle binōm. tanto che il doloroso amore lo privò del tutto del sonno.  
17 Þæs oferēode, þisses sƿā mæg. Quello è passato, possa questo allo stesso modo.  
18 Ðēodrīc āhte þrītig ƿintra Ðēodrīc ebbe per trenta inverni Nota
19 Mǣringa burg; þæt ƿæs mongegum cūþ. il forte dei Mǣring; questo fu saputo da molti. Nota
20 Þæs oferēode, þisses sƿā mæg. Quello è passato, possa questo allo stesso modo.  
21 Ƿē geāscodan Eormanrīces Abbiamo saputo dei pensieri crudeli  
22 ƿylfenne geþōht; āhte ƿīde folc di Eormanrīc. Resse in largo il popolo Nota
23 Gotena rīces. Þæt ƿæs grim cyning. del regno dei Gotan. Egli fu un re truce.  
24 Sæt secg monig sorgum gebunden Molti uomini sedettero incatenati al dolore  
25 ƿēan on ƿēnan, ƿȳscte geneahhe in attesa di sventura, desiderarono incessantemente  
26 þæt þæs cynerīces ofercumen ƿǣre. che fosse rovesciato quel regno.  
27 Þæs oferēode, þisses sƿā mæg. Quello è passato, possa questo allo stesso modo.  
28 Siteð sorgcearig sǣlum bidǣled, Siede l'affranto privato delle gioie,  
29 on sefan sƿeorceð, sylfum þinceð si incupisce nel cuore, gli sembra  
30 þæt sȳ endelēas earfoða dæl. che la moltitudine dei suoi guai sia senza fine.  
31 Mæg þonne geþencan þæt geond þās ƿoruld Può allora pensare che attraverso questo mondo  
32 ƿītig dryhten ƿendeþ geneahhe, il saggio Signore si muove costantemente,  
33 eorle monegum āre gescēaƿað a molti uomini mostra l'onore  
34 ƿislīcne blǣd, sumum ƿēana dǣl. e una fama certa, ad alcuni [invece] un gran numero di pene.  
35 Þæt ic bī mē sylfum secgan ƿille Questo voglio dire riguardo a me stesso,  
36 þæt ic hƿīle ƿæs Heodeninga scop che per lungo tempo fui poeta degli Heodening, Nota
37 dryhtne dȳre. Mē ƿæs Dēor noma; caro al signore. Il mio nome era Dēor. Nota
38 āhte ic fela ƿintra folgað tilne, Per molti inverni ebbi un buon ufficio  
39 holdne hlāford oþ þæt Heorrenda nū e un buon signore, finché ora Heorrenda, Nota
40 lēoðcræftig monn londryht geþāh uomo abile nel canto, ha ricevuto i beni  
41 þæt mē eorla hlēo ǣr gesealde. che il protettore degli uomini una volta diede a me.  
42 Þæs oferēode, þisses sƿā mæg. Quello è passato, possa questo allo stesso modo.  
       

NOTE
 

vv. 1-7

1Ƿēland: leggendario fabbro della mitologia germanica, la cui storia di prigionia e vendetta è qui riportata a esempio. Citato nel Bēoƿulf e nella Þiðrekssaga, il personaggio è centrale nella Vǫlundarkviða della Ljóða Edda. È anche raffigurato sul Cofanetto Franks.

Particolare dal Franks Casket
Scrigno anglosassone in osso di balena (VIII sec.). British Museum, Londra.
Il particolare sulla sinistra rappresenta re Niðhad di fronte al fabbro Ƿēland.

Vista completa del cofanetto: [QUI] ✦

be ƿurman: da noi tradotto «presso le serpi»: non è chiaro se l'espressione sia un riferimento al pozzo dei serpenti, noto supplizio dell'epica anglosassone e norrena, oppure sia da intendere come heiti per «spade», immagine tipica della poesia scaldica, forse originata dalla tendenza dei fabbri germanici ad adornare le else delle spade con immagini serpentiformi. In realtà, Giulia Mazzuoli Porru (1996) rifiuta entrambe le soluzioni proposte da Kemp Malone, l'una per la sua illogicità, l'altra per la sua artificiosità (Malone 1933), e propone quindi ti intendere «presso le serpi» come metafora per «presso i tormenti» (Porru 1996). Torna al testo

5 Niðhad: malvagio regnante della tradizione germanica, nemesi di Ƿēland, facente parte della sua leggenda e citato nelle stesse opere. Torna al testo

6seonobende: da noi tradotto come «lacci»; se analizzato alla lettera è in realtà un riferimento ai tendini che Niðhad fece tagliare a Ƿēland per costringerlo in prigionia. Torna al testo

7 —  þisses sƿā mæg: il noto refrain, diversamente interpretato in chiave talvolta ottimistica talaltra fatalmente pessimistica, ha suscitato più di un interrogativo a causa della presenza dei due genitivi þæs e þisses, ormai generalmente interpretati come genitivi di pertinenza o di relazione. Torna al testo


vv. 8-13

8 Beadohild, anche lei protagonista della leggenda di Ƿēland ed elemento di congiunzione tra le prime due sezioni del poemetto, è la principessa figlia di Niðhad e, a seconda delle versioni, vittima della vendetta di Ƿēland o sua futura moglie. Torna al testo

11 — Il figlio cui fa riferimento il poeta è probabilmente Vitige, re degli Ostrogoti dal 536 al 540 d.C. Torna al testo


vv. 14-17

14-15Mǣðhild e il Gēata rappresentano una nota crux del poema. Difficilmente individuabili all'interno dei maggiori componimenti germanici, sono stati accostati da Kemp Malone alla coppia Magnild e Gaute di alcune ballate scandinave tardomedievali (Malone 1933). Anche in questo caso, l'opinione della Porru si discosta da quella di Malone, proponendo quindi una versione più vicina al manoscritto, mæð Hilde, «l'oltraggio di Hilde», e interpretandola come un riferimento alla nota leggenda germanica del rapimento della valchiria Hilldr e della battaglia sempiterna che ne consegue, citata nella Ragnarsdrápa di Bragi Boddason, nel poemetto Háttalykill e nella Sǫrlaþattr, contenuta nel codice Flateyjarbók. Torna al testo


vv. 18-20

18Đeodric: non è chiaro se stia parlando di Teoderico, re degli Ostrogoti, ovvero il Þjóðrékr protagonista della Þiðrekssaga af Bern, o, come proposto da Malone, Teoderico di Austrasia, erede della dinastia merovingia (Malone 1933). Torna al testo

19Mǣring: vista l'interpretazione di Malone si potrebbe pensare che venga chiamata in causa la dinastia dei Merovingi; in realtà lo stesso Malone spiega come ciò non sia fonologicamente e semanticamente corretto (Malone 1933). Pertanto, conosciamo soltanto il loro nome e quello del loro signore. Torna al testo


vv. 21-27

22Eormanrīc: "Ermanarico", re ostrogoto e noto tiranno della tradizione germanica (latino Ermanaricus; gotico *Aírmanareiks; norreno Jǫrmunrekr), citato negativamente già a partire dai Getica di Jordanes e la cui reputazione è sopravvissuta nella Þiðrekssaga, nel Bēoƿulf e nel Ƿīdsīð. Torna al testo


vv. 28-42

In questa sesta e ultima sezione il poeta ci propone quelle che potremmo definire considerazioni generali sul concetto di sventura (ovvero che la buona sorte, qui identificata con la benedizione divina, non si sofferma mai troppo a lungo sulle stesse persone e, se in un primo momento, alle une mostra la gioia e alle altre il dolore, può improvvisamente ribaltare tale condizione) e finalmente arriva a parlare della sua vicenda, fornendoci importanti informazioni: il proprio nome, quello del suo rivale e quello della dinastia da lui un tempo servita.

36Heodening: leggendaria dinastia della tradizione orale anglosassone e protagonista della Hjaðningavíg norrena, il cui discendente più noto è Heoden del quale, però, non viene qui narrata la vicenda. Torna al testo

37Dēor: scop citato solo nel presente poema, il cui nome, come quello dell'autore del Ƿīdsīð, è un nome parlante che significa «coraggioso», in riferimento all'intento di consolatio del poema. Torna al testo

39Heorrenda: scop che con il suo talento prende il posto dell'autore a corte e lo costringe all'esilio. Troviamo un corrispettivo Hôrant nella Kudrun medioaltotedesca e un antico islandese Hjarrandi, il quale, però, nella versione scandinava del mito, non è un bardo bensì padre di Heðinn (Heoden). Da notare come Hjarrandi sia anche uno degli heiti di Óðinn. Torna al testo
 

Bibliografia

  • BATTAGLIA 2016. Marco Battaglia, Medioevo volgare germanico, Pisa University Press, Pisa 2016.
  • BATTAGLIA 2017. Le civiltà letterarie del Medioevo germanico, a cura di Marco Battaglia, Carocci, Roma 2017.
  • BROWN ~ CRAMPTON ~ ROBINSON 1986. Modes of interpretation in Old English Literature, a cura di Phillis Rugg Brown, Georgia Ronan Crampton e Fred C. Robinson, University of Toronto Press, Toronto 1986.
  • FRANCINI 2017. Marusca Francini, La letteratura Anglosassone, in Battaglia 2017, pp. 137-275.
  • KRAPP ~ DONNIE 1936. The Exeter Book, a cura di George Philip Krapp e Elliott Van Kirk Donnie, Morningside Heights: Columbia University Press, New York 1936.
  • MALONE 1933. Deor, a cura di Kemp Malone, Metheuen's Old English Library, London 1933.
  • MITCHELL ~ ROBINSON 2012. Bruce Mitchell, Fred C. Robinson, A guide to Old English (8th Edition), Wiley-Blackwell, Hoboken 2012.
  • PORRU 1996. Dēor. Poemetto antico-inglese (VIII secolo), rilettura del testo, a cura di Giulia Mazzuoli Porru, Giardini Editori, Pisa, 1996.
BIBLIOGRAFIA
  Epica antico-inglese
SÆCC BRUNNANBURH
         
Archivio: Biblioteca - Guglielmo da Baskerville
Sezione: Fonti - Nabū-kudurri-uṣur
Area: Germanica - Brynhilldr
Introduzione, traduzione e note di Giorgio Lucarelli.
Creazione pagina: 05.03.2018
Ultima modifica: 25.12.2018
 
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