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Il lettone è, assieme al lituano, una lingua appartamente al ramo baltico della famiglia indoeuropea. Lingua nazionale della Repubblica di Lettonia, è parlato da circa due milioni di persone.
Nonostante il ricco materiale popolare (ballate, canzoni, proverbi), risalga in certi casi a una remota antichità, la letteratura lettone è piuttosto recente. La prima pubblicazione, un catechismo, apparve nel 1585. Ma non si può parlare di vera e propria letteratura fino alla seconda metà del '700, allorché i due Stenders, padre e figlio, utilizzarono il lettone per la poesia e il teatro. Il loro esempio fu seguito da altri autori, al cui fervore si oppose la censura zarista. Tra il 1860 e il 1890, col sorgere della coscienza nazionale, esplose il movimento letterario. Fu in questo periodo che Andrej Pumpurs diede alla Lettonia il suo poema epico nazionale, il Lāčplēsis.
La morfologia è semplificata rispetto a quella del lituano: mancano neutro e duale, i casi della declinazione si riducono in sostanza a cinque; vi è ancora una ricca coniugazione ma parecchi tempi sono rappresentati da un'unica forma invariabile. Il lessico è analogo, ma non identico, a quello lituano e le radici non sempre coincidono.
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L'ortografia lettone non ha una sua precisa fisionomia fino a tutto il XIX secolo, in quanto si preferisce utilizzare i sistemi ortografici tedeschi e polacchi per rendere i suoni della piccola lingua baltica. Il moderno alfabeto nasce, in sostituzione dei caratteri gotici in uso da secoli, soltanto con l'indipendenza della Lettonia, nel 1921. Una seconda e definitiva riforma ortografia viene fatta solo a metà degli anni '30 da J. Endzelins e K. Mühlenbach.
Il moderno alfabeto lettone è mirabilmente preciso. Sua caratteristica principale è una ricca serie di consonanti palatilizzate, segnate con una virgola (o una cedilla) sotto il corpo della lettera. Altra particolarità, è la distinzione tra vocali brevi e lunghe, queste ultime contraddistinte da un macron.
Vocali del lettone sono le cinque regolari.
La loro pronuncia è la medesima dell'italiano, tranne per o che suona un po' dittongata (quasi fosse uo). Le rimanenti quattro vocali, possono essere sia lunghe che brevi. Nella forma lunga vengono distinte da un macron:
Il lettone ha sei dittonghi, che si pronunciano come i relativi accumuli vocalici:
Tutti i dittonghi hanno intonazione discendente, cadendo l'accento sul primo elemento del dittongo. Questa è la ragione per cui ie e ui si pronunciano sempre con i ed u toniche, come in "mie" e "lui".
Il consonantismo lettone non diverge molto da quello slavo.
Ci sono innanzitutto, comuni alla maggior parte delle lingue slave e baltiche, le tre lettere č š ž, le quali, contrassegnate dall'accento dolce, equivalgono rispettivamente ai gruppi c(i) e sc(i) dell'italiano e alla j francese.
Naturalmente, c senza diacritici è una z aspra [ts].
Caratteristiche del lettone sono le cinque consonanti palatilizzate ģ ķ ļ ņ ŗ, segnate nella grafia con una virgola o una cedilla posta sotto il corpo della lettera (o sopra, per motivi tipografici, nel caso della ģ minuscola). Si pronunciano come le equivalenti g k l n r, ma seguite nella pronuncia da una subitanea [j] semiconsonante. In particolare, ģ e ķ si leggono come le iniziali delle parole italiane "chiesa" e "ghiaia", ma se possibile ancora più schiacciate; ļ è equivalente alla gl(i) italiana; ņ alla gn italiana; infine ŗ, ormai caduta in disuso, era un suono simile alla r(i) italiana della parola "aria", ma più schiacciata ancora.
Vediamo qualche esempio:
Vi sono infine in lettone i due digrammi
Questi gruppi, che il lettone ha in comune con altre lingue slave e baltiche, si pronunciano rispettivamente come la z dolce e la g(i) dolce italiane.
L'accento in lettone cade sempre sulla prima sillaba.
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