MITI

ELLENI
Greci

MITI ELLENICI
IL VASO DI PANDṒRA
I MALI E LA SPERANZA
Un dono, un «bel male», completa la vendetta di Zeús nei confronti dell'umanità.
Pandṓra, superba nei suoi ornamenti, viene accolta dal malaccorto Epimētheús, e la razza delicata e funesta delle donne fa il suo ingresso nella vita degli uomini.
1 - UN MALE CHE RALLEGRA I CUORI

on fu certo lieto, Zeús, quando vide il fuoco brillare da lontano, sulla terra. Sdegnato, si rivolse a Promētheús, incatenato alla sue rupe, dicendo:

— O figlio di Iapetós, tu che sei il più ingegnoso di tutti, ti rallegri di aver rubato il fuoco e di avere eluso i miei voleri. Ma hai preparato grande pena a te stesso e agli uomini che dovranno venire. A loro, qual pena del fuoco, io darò un male del quale tutti si rallegreranno nel cuore, stringendosi con amore al loro malanno.

Così parlò, poi rise, il padre degli uomini e degli dèi.

Creazione di Pandṓra (1913)
John Dixon Batten (1860-1932)
2 - CREAZIONE DELLA DONNA

ubito, Zeús comandò ad Hḗphaistos, l'inclito ambidestro, di impastare la terra con l'acqua e dar forma a una figura del tutto simile nel volto e nel corpo alle dee immortali, e che vi infondesse voce umana e vigore. Disse ad Athēnâ di insegnarle a tessere la tela, e all'aurea Aphrodítē di versare intorno al suo capo la grazia, i tormentosi desideri e le pene d'amore che fiaccano le membra. Ma ordinò infine ad Hērms, il suo araldo argifonte, di conferirle un'indole ingannatrice e il cuore sfacciato di una cagna.

In questo modo, egli parlò, e subito gli immortali obbedirono all'ordine di Zeús. Senza indugio, Hḗphaistos plasmò dalla terra una creatura simile a una vereconda fanciulla, e Athēnâ le diede la sua cintura, la ornò di una candida veste e le fece scendere addosso un velo che lei stessa aveva riccamente decorato, meraviglia a vedersi. Le Khárites e la veneranda Peithṓ (la persuasione), le misero delle collane d'oro; le Hṓrai dalle belle chiome la incoronarono di fiori di primavera. Sempre Athēnâ occhi azzurri, dopo averle messo amabili ghirlande fatte di fiori freschi di prato, le pose sul capo una corona d'oro, che Hḗphaistos aveva forgiato con le sue mani, per far cosa grata a Zeús: in essa aveva cesellato un gran numero di figure di strani e terribili animali, quanti nutre la terra e il mare, lavorati con tale arte da sembrar vivi.

Per ultimo, Hērms ripose nel petto della fanciulla menzogne e seducenti discorsi, e un carattere scaltro. Le infuse infine la parola, e la chiamò Pandṓra, in quanto tutti gli abitatori dell'Ólympos le avevano elargito i propri doni. Ma forse, con ingannevole significato, in quanto gli dèi la diedero in dono agli esseri umani, a eterna sciagura per quanti si nutrono del pane.

Presentazione di Pandṓra (1834)
Henry Howard (1779-1847). Olio su pannello di mogano, 82 x 249 cm.
Sir John Soane’s Museum, Londra (Regno Unito)
3 - PANDṒRA ED EPIMĒTHEÚS

quando Hḗphaistos ebbe plasmato, invece di un bene, lo splendido malanno, condusse Pandṓra, superba dell'ornamento donatole da Athēnâ, là dove stavano gli dèi e gli uomini. Meraviglia prese gli immortali e i mortali, quando videro il fatale inganno, senza rimedio per gli esseri umani.

Subito Zeús ordinò ad Hērms di condurre Pandṓra da Epimētheús.

Sedotto dalle grazie della fanciulla, il malaccorto titán dimenticò la raccomandazione che a suo tempo gli aveva fatto suo fratello Promētheús: non accettare in nessun caso un dono da Zeús, ma di rimandarlo indietro, affinché non fosse di danno ai mortali. Al contrario, Epimētheús prese in sposa Pandṓra, e troppo tardi si avvide del proprio errore.

Hērmês conduce Pandṓra da Epimētheús (1834)
Henry Howard (1779-1847). Olio su pannello di mogano, 76,5 x 166,6 cm.
Sir John Soane’s Museum, Londra (Regno Unito)
4 - IL VASO DI PANDṒRA

ogliendo il grande coperchio al píthos che aveva con sé, Pandṓra disperse sulla terra tutti i mali che esso conteneva. Se fino a quel giorno, le stirpi umane avevano vissuto sulla terra prive delle fastidiose malattie che recano gli acciacchi e le morte, da allora ogni sorta di dolorosi affanni si riversò sul genere umano.

Sul fondo di quell'orcio infrangibile rimase, da sola, Elpís, la speranza, e non poté volar fuori perché Pandṓra riuscì a rimettere il coperchio sul vaso, per volere di Zeús egioco.

Invece, le altre sciagure, in numero infinito, si aggirano in mezzo ai mortali, riempiendo la terra e il mare. Le malattie giungono infatti agli uomini di giorno e di notte, in silenzio, perché Zeús ha tolto loro la parola.

Non è assolutamente possibile sfuggire al disegno di Zeús.

Apertura del vaso di Pandṓra (1834)
Henry Howard (1779-1847). Olio su pannello di mogano, 76,6 x 166,5 cm.
Sir John Soane’s Museum, Londra (Regno Unito)
5 - UNA RAZZA DELICATA E FUNESTA

ino a quel giorno, gli uomini nascevano cadendo dai frassini, come frutti maturi. Ma con Pandṓra, Zeús donò all'umanità il genere femminile, un malanno che gli uomini accettarono con gioia.

Móskhos, idillio III (1922)
William Russell Flint (1880-1969). Illustrazione (Lang 1922)

Da Pandṓra discende infatti la razza delicata e funesta delle donne, le quali andarono a vivere con gli uomini, tormentandoli con le loro pretese e le loro molestie. E come i fuchi rimangono negli ombrosi alveari, mentre le api si affrettano sollecite per tutto il giorno, fino al tramonto del sole, riempiendo di nettare e miele i bianchi favi, così le donne raccolgono nel loro ventre la fatica degli uomini.

Ma doppiamente astuto si rivelò Zeús, perché al male aggiunse un altro malanno ancora. Se qualche uomo, infatti, riusciva a sfuggire alle nozze e arrivava alla vecchiaia scansando le donne, si ritrovava poi privo di un sostegno nella tarda età. Se ricco, poi, le sue proprietà le dividevano i parenti lontani.

A chi capita in sorte una buona moglie, saggia nell'animo, può nella vita bilanciare il male con il bene. Ma chi va a sbattere in una donna di stirpe funesta, vive portando in petto un'angoscia incessante, e il suo male è senza rimedio.

Questa fu la vendetta di Zeús.

Fonti

1 Hēsíodos: Érga kaì Hēmérai [-]
Hēsíodos: Theogonía [-]
2 Hēsíodos: Érga kaì Hēmérai [-]
Hēsíodos: Theogonía [-]
Apollódōros: Bibliothḗkē [I: 7]
Pausanías: Periḗgēsis [I: 24, ]
Hyginus: Fabulae [142]
3 Hēsíodos: Érga kaì Hēmérai [-]
Hēsíodos: Theogonía [5-]
Hyginus: Fabulae [142]
4 Hēsíodos: Érga kaì Hēmérai [-]
5 Hēsíodos: Theogonía [-]

I - IL MITO DI PANDṒRA

Pandṓra (1881)
Sir Lawrence Alma-Tadema (1836-1912)

Il complesso e stratificato mito di Promētheús, che abbiamo analizzato nella pagina precedente ①, trova il suo completamento e la sua conclusione nell'episodio di Pandṓra. Le due vicende, sebbene appaiano avere origini indipendenti, vengono combinate nella tradizione esiodea in un affresco unitario, il cui argomento è la caduta dell'uomo dal suo stato felice stato primordiale, o piuttosto atemporale, al mondo che noi conosciamo, caratterizzato dall'obbligo del lavoro e della fatica, dalla presenza delle malattie e dalla necessità della divisione in sessi e del matrimonio.

Fonte del mito di Pandṓra è soprattutto Hēsíodos, che lo tratta con minime differenze – in entrambe le sue opere: Theogonía [-] ed Érga kaì Hēmérai [-]. Apollódōros ne fa un sunto minimale in Bibliothḗkē [I: 7], e Hyginus in Fabulae [142]; entrambi dipendono però da Hēsíodos. Insignificanti citazioni si rinvengono pressi altri autori.

Nella Theogonía, l'episodio di Pandṓra segue quello di Promētheús. Costui, ci informa Hēsíodos, era stato legato da Zeús a una colonna, con lacci inestricabili [-]. Ragione di questo supplizio era stato l'inganno che lo scaltro titán aveva ordito ai danni di Zeús, allorché, a Mēkṓnē, nello spartire un bue sacrificato, aveva assegnato agli uomini le carni e le parti commestibili e ha lasciato agli dèi le ossa unte di grasso [-]. Zeús, infuriato, aveva nascosto agli uomini le sorgenti della vita, condannandoli alla dura necessità del lavoro e della fatica, e tolto loro il fuoco. Ma Promētheús aveva rubato il fuoco agli dèi e l'avevo restituito ai mortali, insieme alla tekhnḗ necessaria per la sua accensione e conservazione [-]. «E senza indugio, in cambio del fuoco, [Zeús] apprestò un malanno per gli uomini» [autíka d' antì pyròs teûxen kakòn anthrṓpoisi] [], spiega a questo punto Hēsíodos, riferendosi alla creazione di Pandṓra.

Le Érga kaì Hēmérai collegano allo stesso modo i due temi mitici. Qui non si fa alcun accenno al supplizio di Promētheús; si accenna vagamente del sacrificio di Mēkṓnē e si parla del furto del fuoco [-]. Dopodiché, sdegnato, Zeús si rivolge al titán:

“Iapetionídē, pántōn péri mḗdea eidṓs,
khaíreis pŷr klépsas kaì emàs phrénas ēperopeúsas,
soí t’ auti méga pma kaì andrásin essoménoisin.
toîs d’ egṑ antì pyròs dṓsō kakón, hi ken hápantes
térpōntai katà thymòn, heòn kakòn amphagapntes”,
hṑs éphat, ek d egélasse patḕr andrn te then te.
“O figlio di Iapetós, tu che sei il più ingegnoso di tutti,
ti rallegri di aver rubato il fuoco e di avere eluso i miei voleri:
ma hai preparato grande pena a te stesso e agli uomini che verranno.
Qual pena del fuoco, io darò loro un male del quale si rallegreranno
in cuore, stringendosi con amore al loro stesso male.”
Così parlò, e poi rise, il padre degli dèi e degli uomini.
Hēsíodos: Érga kaì Hēmérai [-]

«Poi rise, il padre degli dèi e degli uomini». Ed è appunto un kalòs kakós, un «bel male», il dono che Zeús ha deciso di elargire agli esseri umani, quale punizione per l'hýbris di Promētheús. E questo male si chiamerà gynḗ «donna».

Ora, per quanto i testi greci non siano espliciti, su questo punto, l'umanità, in quei tempi primordiali, era costituita unicamente da maschi. «Hēsíodos e altri poeti hanno scritto che questa Pandṓra fu la prima donna, e che prima della sua nascita la stirpe delle donne non esisteva», osserva tuttavia Pausanías (Periḗgēsis [I: 24, ]). Agli dèi si accompagnavano le dee, e il mare e la terra erano gremiti di ninfe, naiadi e oceanine. Ma gli uomini appartenevano a un solo sesso, quello maschile. Così Zeús ordina ora che venga creata la femmina umana, a somiglianza delle dee. Hḗphaistos, il dio-artefice, modella la terra in una bellissima figura di fanciulla, mentre Athēnâ la veste e l'adorna. La Theogonía si dilunga a descrivere l'abbigliamento e gli ornamenti della prima donna mortale, segni concreti e visibili della sua femminilità e capacità seduttiva:

...gaíēs gar sýmplasse periklytòs Amphigyḗeis
parthénōı aidoíēı íkelon Kronídeō dia boulás.
Zse dè kaì kósmēse thea glaukpis Athḗnē
argyphéē esthti; kata krthen dè kalýptrēn
daidaléēn kheíressi katéskhethe, thaûma idésthai;
[amphì dé hoi stephánous, neothēléos ánthea poíēs,
himertoùs períthēke karḗati Pallas Athḗnē.
amphì dé hoi stephánēn khryséēn kephalphin éthēke,
tḕn autòs poíēse periklytòs Amphigyḗeis
askḗsas palámēısi, kharizómenos Diì patrí.
...infatti l'inclito amphigyḗeis [Hḗphaistos] formò con la terra
un'immagine di vergine vereconda, per il volere del figlio di Krónos,
l'ornò di cintura la dea glaukpis Athēnâ e la vestì
di candida veste; dall'alto del capo un velo
dai mille ricami di sua mano le fece vedere, meraviglia a vedersi;
e intorno collane di fiori d'erba appena fiorita
amabili, pose sulla sua testa Pallàs Athēnâ:
e intorno alla testa un aureo diadema le pose
che fabbricò apposta l'illustre ambidestro,
con le sue mani operando, per compiacere Zeús padre.
Hēsíodos: Theogonía [-]

Nelle Érga kaì Hēmérai, altre divinità affiancano Hḗphaistos ed Athēnâ nella creazione della prima donna. Viene così alla vita una bella fanciulla, virginale nel contegno, ma dal fascino irresistibile e dall'animo volubile e falso.

Hḗphaiston d’ ekéleuse periklytòn hótti tákhista
gaîan hýdei phýrein, en d’ anthrṓpou thémen audḕn
kaì sthénos, athanátēis dè theis eis pa eískein,
partheniks kalòn eîdos epḗraton: autàr Athḗnēn
érga didasksai, polydaídalon històn hyphaínein:
kaì khárin amphikhéai kephali khryséēn Aphrodítēn
kaì póthon argaléon kaì gyiobórous meledṓnas:
en dè thémen kýneón te nóon kaì epíklopon thos
Hermeíēn ḗnōge, diáktoron Argeiphóntēn.
[Zeús] comandò all'inclito Hḗphaistos che subito impastasse
terra con acqua e vi infondesse voce umana e vigore,
e il tutto fosse d'aspetto simile alle dee immortali, e di bella,
virginea, amabile presenza. E quindi che Athēnâ
le insegnasse le arti: il saper tessere trame ben conteste.
Di spargerle sul capo grazia, ordinò all'aurea Aphrodítē,
tormentosi desideri e le pene che struggono le membra;
e ad Herms, messaggero Argeiphn, di darle
un'indole ingannatrice e l'anima di una cagna.
Hṑs éphath’: hoi d’ epíthonto Diì Kroníōni ánakti.
autíka d’ ek gaíēs plásse klytòs Amphigyḗeis
parthénōi aidoíēi íkelon Kronídeō dià boulás:
zse dè kaì kósmēse theà glaukpis Athḗnē:
amphì dé hoi Khárités te theaì kaì pótnia Peithṑ
hórmous khryseíous éthesan khroḯ, amphì dè tḗn ge
Hrai kallíkomoi stéphon ánthesin eiarinoîsin:
pánta dé hoi khroï̀ kósmon ephḗrmose Pallàs Athḗnē.
En d’ ára hoi stḗthessi diáktoros Argeiphóntēs
pseúdeá th’ haimylíous te lógous kaì epíklopon thos
teûxe Diòs boulisi baryktýpou: en d’ ára phōnḕn
thke then kryx, onómēne dè tḗnde gynaîka
Pandṓrēn, hóti pántes Olýmpia dṓmat’ ékhontes
dron edṓrēsan, pm’ andrásin alphēstisin.
Così egli parlò; ed essi obbedirono al sovrano, il cronide Zeús.
E senza indugio, l'inclito ambidestro plasmò con la terra
un'immagine simile a una casta fanciulla, per volere del cronide;
Athēnâ occhi azzurri le annodò la cintura e l'adornò;
attorno al collo le Khárites e la veneranda Peithṓ
le misero aurei monili; la incoronarono
le Hrai, chiome fluenti, con fiori di primavera;
sul corpo le adattò ogni ornamento Pallàs Athēnâ.
Quindi, nel suo petto le infuse, l'araldo Argeiphn,
le menzogne, gli astuti discorsi e un 'indole ingannatrice,
così come voleva Zeús dal cupo fragore, e voce
infine le diede l'araldo divino. Questa donna fu chiamata
Pandṓra
perché tutti gli abitanti dell'Ólympos
le dettero doni, sciagura per gli uomini che si nutrono di pane.
Hēsíodos: Érga kaì Hēmérai [-]

Condotta da Hḗphaistos al consesso degli dèi, la prima femmina umana viene accolta con stupore e ammirazione. «Inganno senza scampo per gli uomini» la definisce Hēsíodos (Theogonía []). Il nome Pandṓra (da pâs «tutto» e dron «dono») può essere inteso come «ricca di doni», sia nel senso che ha ricevuto doni da tutti gli dèi, sia che elargisce gran copia di doni agli esseri umani. Con maggior sottigliezza, può anche essere inteso come «colei che tutti gli dèi hanno portato in dono». Ed è questo il destino della fanciulla, che gli dèi recano in regalo ad Epimētheús.

Promētheús lo aveva avvertito: «Non accettare doni da Zeús». Ma Epimētheús è indifeso, di fronte alla sfrontatezza di Zeús, e ancor più dinanzi al fascino irresistibile di Pandṓra. Coerente con il suo nome, il «postveggente», cade nella trappola ordita dagli dèi e sposa la fanciulla. Il povero Epimētheús si accorgerà dell'inganno solo quando sarà troppo tardi: il «bel male» è ormai entrato a far parte della vita umana.

II - SIGNIFICATO MITICO DELLA MISOGINIA

Affermare che l'umanità, prima dell'introduzione di Pandṓra, fosse costituita unicamente da maschi, contiene in realtà una sorta di forzatura logica. Il maschile è tale solo in relazione al femminile: mancando l'altro polo della sessualità umana, esso non è più distinguibile dal concetto stesso di umanità. Poiché la posta in gioco è proprio l'estensione di tale concetto, Hēsíodos ne incentra la questione su un attento gioco di termini. Prima della nascita di Pandṓra, egli usa sempre, per indicare gli «uomini», la parola ánthrōpoi, che in greco indica gli esseri umani in generale, distinti dagli dèi. Ma è solo dopo la creazione di Pandṓra che gli «uomini» cesseranno di essere chiamati ánthrōpoi e diverranno ándres, «maschi», cioè solo una metà dell'umanità.

Ts gar olṓión esti génos kaì phûla gynaikn,
pma még’ haì thnētoîsi met’ andrási naietáousin
ouloménēs peníēs ou sýmphoroi, alla kóroio.
Da lei [Pandṓra] infatti discende la stirpe nefasta e la razza delle donne
che, sciagura grande per i mortali, fra gli uomini [ándres] hanno dimora,
compagne non di rovinosa indigenza ma d'abbondanza.
Hēsíodos: Theogonía [-]

Si noti ancora che tutta la scena della creazione della donna viene svolta da Hēsíodos utilizzando il genere neutro, come per sottolineare l'innaturalità della sua origine e conferire una sorta di artificiosità alla comparsa del genere femminile. La donna è dunque una costruzione, un simulacro, un dáidalon vivente. Nel mito greco, l'essenza femminile, sottolinea Nicole Loraux, si racchiude in una sorta di paradosso, dove «la donna assomiglia a una donna». A differenza delle servitrici d'oro di Hḗphaistos, automi meccanici che imitano gli esseri viventi (Iliás [XVIII, -]), Pandṓra è un artificio vivente. Essa polarizza l'umanità, trasformando gli ánthrōpoi in ándres, ma non sembra appartenere davvero al genere umano (Loraux 1989). Non è inutile ricordare che la pratica sociale e politica dei Greci concedeva diritti solo agli ándres, e non è difficile indovinare nel loro pensiero mitico un certo rimpianto per il tempo precedente al giorno funesto in cui le donne furono create e il desiderio di potersi riprodurre senza di esse (cfr. Eurypídēs: Mḗdeia [-]; Hippólytos stephanophóros []).

Nessuna sorpresa se il mito di Pandṓra sia svolto da Hēsíodos in senso fortemente misogino. Primo esemplare femminile del genere umano, Pandṓra è l'archetipo e l'antenata di tutte le donne, genere creato da Zeús con il fermo proposito di rovinare la vita degli uomini. E in una lunga tirata, Hēsíodos ci ricorda tutte le molestie provocate dalle donne:

Hōs d’ hopót’ en smḗnessi katērephéessi mélissai
kēphnas bóskōsi, kakn xynḗonas érgōn;
haì mén te própan mar es ēélion katadýnta
ēmátiai speúdousi titheîsí te kēría leyká,
hoì d’ éntosthe ménontes epērephéas kata símblous
allótrion kámaton sphetérēn es gastér’ amntai;
hṑs d’ aútōs ándressi kakòn thnētoîsi gynaîkas
Zeùs hypsibremétēs thken, xynḗonas érgōn
argaléōn; héteron dè póren kakòn ant’ agathoîo;
hós ke gámon pheúgōn kaì mérmera érga gynaikn
mḕ gmai ethélēı, oloòn d’ epì gras híkoito
khḗteϊ gērokómoio; hó g’ ou biótou epideyḕs
zṓei, apophthiménou dè dia ktsin datéontai
khērōstaí; hı d’ aûte gámou meta moîra génētai,
kednḕn d’ éskhen ákoitin arēruîan prapídessi,
tōı dé t’ ap’ ainos kakòn esthlōı antipherízei
emmenés; hòs dé ke tétmēı atartēroîo genéthlēs,
zṓei enì stḗthessin ékhōn alíaston aníēn
thymōı kaì kradíēı, kaì anḗkeston kakón estin.
Hṓs ouk ésti Diòs klépsai nóon oudè pareltheîn.
Come quando negli alveari ombrosi le api
nutrono i fuchi, partecipi di opere cattive:
esse per tutto il giorno, fino al tramonto del sole,
ogni giorno s'affrettano sollecite e fanno i bianchi favi,
ma quelli restando dentro gli ombrosi alveari
l'altrui fatica nel loro ventre raccolgono;
così per gli uomini mortali un male, le donne,
Zeús alto tonante fece, partecipi d'opere
moleste, e un altro male diede in cambio d'un bene.
Colui che fuggendo le nozze e le moleste opere delle donne
non vuole sposarsi e giunge alla triste vecchiaia
privo di chi della sua vecchiaia abbia cura, costui non di vitto mancante
vive, ma lui morto, i suoi beni dividono
remoti cognati; per colui invece a cui le nozze diedero il destino
ed ebbe una buona sposa, saggia nel cuore,
per lui per tutta la vita, il male contende col bene,
senza sosta; ma chi s'imbatte in una funesta genìa
vive tenendo dentro al petto incessante dolore,
nel cuore e nell'anima, e il male non ha medicina.
Così non si può ingannare il volere di Zeús, né ad esso sottrarsi...
Hēsíodos: Theogonía [-]

È difficile sfuggire all'impressione di trovarci di fronte a un elenco di luoghi comuni, sia pure espresso in suggestivo linguaggio poetico. Hēsíodos sta parlando delle origini dell'universo, delle genealogie degli dèi, del formarsi del mondo che tutti noi conosciamo. Lo schema è teleologico. L'incontro tra i due sessi è per noi parte integrante dell'esistenza umana ma, vista da una prospettiva mitica, questa compresenza di maschile e femminile va spiegata e giustificata. Il mito della creazione di Pandṓra viene appunto incontro a questa necessità. Ma perché presentarla da un punto di vista tanto prevenuto?

Pandṓra condotta da Hērmês
Jean Alaux (1786-1864)

L'impressione è che l'eclatante misoginia di Hēsíodos non centri il vero bersaglio. Il poeta sta cercando di convincerci dei motivi per cui le donne sarebbero un male per gli uomini, ma non fa che imbastire insignificanti chiacchiere da osteria. Hēsíodos sta probabilmente cercando di fornire una giustificazione superficiale laddove gli manca un motivo assai più diretto e profondo.

Ma sforziamoci di ragionare secondo uno schema teleologico. Cos'ha comportato l'introduzione del genere femminile? poiché stiamo parlando di miti, possiamo riformulare la domanda in questo modo: com'era il mondo, prima che Zeús ci fornisse le donne? Senza le gioie e i travagli del sesso, ovviamente, ma soprattutto senza la necessità del sesso. Il mito ellenico non fornisce informazioni su come i primi uomini si riproducessero. Ma ha poca importanza se essi spuntassero dalla terra o cadessero dagli alberi, come paiono suggerire alcune varianti del mito greco. Il passato «assoluto», secondo la bella formula di Michail Bachtin, è un'epoca che precede l'inizio del tempo, e che ci viene mostrata solo nel momento in cui si conclude. Non è una fase storica, ma un calco in negativo del mondo che oggi conosciamo: dissociato nella complementarietà dei due sessi, nella necessità dell'incontro, della seduzione, del matrimonio, della riproduzione. Ed è solo questo che conta, ai fini del mito.

Il racconto del sacrificio di Mēkṓnē e l'episodio della creazione di Pandṓra sono due momenti simmetrici, complementari, di un più complesso mito della caduta dell'uomo. La dura reazione di Zeús ha ridimensionato la natura umana colpendola in due punti fondamentali, l'alimentazione e la sessualità. E dell'una e dell'altra punizione, Promētheús ed Epimētheús paiono essere i diretti responsabili:

  1. Sacrificio di Mēkṓnē (Promētheús) → Alimentazione: lavoro quotidiano per strappare il cibo alla terra
  2. Dono di Pandṓra (Epimētheús) → Sessualità: introduzione della divisione in sessi e dell'accoppiamento

Gli dèi ci hanno nascosto le sorgenti della vita, e dunque dobbiamo lavorare, faticare, strappare alla terra il nutrimento necessario per sopravvivere. Siamo esseri effimeri, mortali, e ci perpetuiamo solo attraverso i nostri figli: l'introduzione della morte richiede la scoperta della riproduzione, e dunque della scissione dei sessi. Cibo e sesso diventeranno le due necessità, e insieme le due condanne, che definiscono i limiti della condizione umana.

III - LA CREAZIONE DI PANDṒRA, ELEMENTI DI UN MITO ANTROPOGONICO

Pandṓra
Jules Joseph Lefebvre (1836–1911)

Apparentemente poco interessati al problema antropogonico, i Greci ci hanno trasmesso diversi racconti sulla nascita o la creazione del genere umano. A seconda delle tradizioni, fanno spuntare gli uomini dalla terra, li fanno cadere dagli alberi, o li dicono plasmati dal fango per mano di un demiurgo. Hēsíodos, che è la nostra fonte cosmogonica più antica e autorevole, non fa quasi parola della nascita degli uomini. Ma sebbene sembri ignorare il mito antropogonico, ne recupera alcuni motivi proprio nell'episodio della creazione di Pandṓra.

Alcuni elementi del mito di Pandṓra trovano, infatti, puntuali punti di confronto con le più antiche antropogonie attestate nel Medio Oriente e in Egitto. La stessa operazione demiurgica che vede il fango, l'argilla o la creta quale materia prima per la creazione dell'uomo è elemento comune alle tradizioni dell'area mediterranea e medio-orientale. Nel mito biblico, Yǝhwāh lōhîm plasma Āḏām raccogliendo la polvere dal suolo; nelle antropogonie mesopotamiche è Enki a plasmare gli uomini dall'argilla; in quella egiziana, Ḫnûm modella gli uomini sulla ruota del vasaio. In Grecia, tocca a Promētheús modellare i primi uomini utilizzando la terra inumidita con l'acqua piovana ①.

La Theogonía di Hēsíodos presenta schemi che rimandano alla mitologia mesopotamica, e più precisamente alla cosmogonia dell'Enûma ilû awîlum, testo paleobabilonese meglio conosciuto con il titolo informale di «poema di Atraḫasîs». Ma vedremo nel dettaglio le corrispondenze tra gli eventi tracciati dal poema greco e quello mesopotamico quando tratteremo del mito del diluvio ②. In questo schema, ci occuperemo ora delle relazioni tra il mito di Pandṓra e il racconto antropogonico dell'Enûma ilû awîlum.

Il mondo mesopotamico giustifica la creazione dell'uomo con la necessità di una mano d'opera che si sobbarchi l'onere di coltivare i campi e allevare gli animali, in modo che gli dèi possano venire adeguatamente nutriti con offerte e sacrifici ③. In particolare, l'Enûma ilû awîlum presenta – così come la Theogonía – una rivolta degli dèi appartenenti alla giovane generazione, gli Igigi, condannati a portare il «canestro del lavoro», contro gli dèi più anziani, gli Anunnaki, i quali vivono nell'ozio. Al contrario della titanomachia esiodea – che rimanda però a un diverso schema mitico –, la protesta degli dèi mesopotamici non arriva mai ad aperta battaglia. Gli Anunnaki, preso atto della giustezza delle rivendicazioni degli Igigi, decidono di creare un nuovo essere, l'uomo [awîlu], che si carichi della fatica e del sacrificio del lavoro:

wa-aš-⸢ba-at⸣ b[e-le-et-ì-lí šà-as-s]ú-ru
[š]à-as-sú-ru li-gim?-ma?-a ⸢li⸣-ib-ni-ma
šu-up-ši-ik ilim a-wi-lum li-iš-ši
il-ta-am is-sú-ú i-ša-lu
tab-sú-ut ilî e-ri-iš-tam ma-mi
at-ti-i-ma šà-as-sú-ru ba-ni-a-⸢at⸣ a-wi-lu-ti
bi-ni-ma lu-ul-la-a li-bi-il₅ ab-ša-nam
ab-ša-nam li-bi-il ši-pí-ir en-líl
šu-up-ši-ik ilim a-wi-lum li-iš-ši
«Poiché Bêlit-ilî è qui,
è lei che metterà al mondo e creerà
l'uomo per compiere il lavoro degli dèi!»
Interpellando dunque la dea domandarono
alla levatrice degli dèi, Mami l'esperta:
«Sarai tu la matrice per produrre gli uomini?
Crea il prototipo umano [lullû]: che porti il nostro giogo
che porti il giogo imposto da Enlil.
Che l'uomo si carichi della fatica degli dèi!»
Enûma ilû awîlum [I: -]

In Hēsíodos, al contrario, gli esseri umani già abitano la terra, mentre Olympikoí e Titânes si affrontano nelle loro fiammeggianti battaglie. Si parla però dell'istituzione dei sacrifici che dovranno alimentare gli dèi, e l'inganno di Promētheús a Mēkṓnē potrebbe avere una correlazione quella del sacrificio del dio Weʾe nell'Enûma ilû awîlum. È un tema complesso, che abbiamo affrontato altrove ④. Entrambi i miti, pur nelle differenti impostazioni, tendono però a una medesima conclusione:

Krýpsantes gàr ékhousi theoì bíon anthrṓpoisin:
rhēidíōs gár ken kaì ep’ ḗmati ergássaio,
hṓste se keis eniautòn ékhein kaì aergòn eónta:
aîpsá ke pēdálion mèn hypèr kapnoû katatheîo,
érga bon d’ apóloito kaì hēmiónōn talaergn.
allà Zeùs ékrypse, kholōsámenos phresìn hisin,
hótti min exapátēse Promētheùs ankylomḗtēs.
Gli dèi tengono infatti nascosta agli uomini la fonte della vita;
se così non fosse, in un sol giorno ti procureresti di che vivere
magari per un anno, e rimartene in ozio,
e subito al focolare appenderesti il timone,
tralasciando il lavoro dei buoi e delle mule pazienti.
Ma Zeús l'aveva nascosta, sdegnato nell'animo,
ché Promētheús, l'astuto, l'aveva ingannato.
Hēsíodos: Érga kaì Hēmérai [-]
Pandṓra (1872)
Jules Joseph Lefebvre (1836–1911)
Museo de Bellas Artes, Buenos Aires (Argentina)

Hēsíodos dipende da schemi mitici medio-orientali, arrivati in Grecia per probabile mediazione anatolica. In Mesopotamia, il destino dell'uomo a una vita di lavoro e di fatica è un elemento ontologico primario, indispensabile al processo antropogonico; in Grecia viene invece presentato come una punizione successivamente inflitta da Zeús al genere umano, e quindi come elemento secondario. Sebbene sotteso a una comune teleologia sempre si tratta di una giustificazione a posteriori della condizione umana , il racconto ellenico ha subito una profonda rielaborazione ideologica.

Questa è la ragione per cui molti elementi dell'antropogonia mesopotamica li troviamo riutilizzati, in senso peculiare, nel racconto esiodeo della creazione di Pandṓra.

In entrambi gli schemi, è un dio supremo a incaricare una coppia di divinità nel compito demiurgico. Nell'Enûma ilû awîlum, Enlil impone ad Enki e Nintu a creare gli esseri umani; nella Theogonía, Zeús ordina a Hḗphaistos e Athēnâ di creare la prima donna. La presenza di Hḗphaistos quale demiurgo in luogo di Promētheús, a cui è generalmente assegnata la creazione degli esseri umani, non desta gravi problemi: Hḗphaistos e Promētheús sono due personaggi in parte sovrapponibili, caratterizzati da un fertile ingegno e da una spiccata capacità creativa, e in certi casi addirittura interscambiabili (come nel mito della nascita di Athēnâ). In quanto alla stessa Athēnâ, viene di solito presentata o raffigurata nell'atto di infondere l'intelligenza alla forma d'argilla plasmata da Promētheús. ⑤

Enûma ilû awîlum Theogonía

Enlil

Zeús

 

 

Enki

e

Nintu

Hḗphaistos

e

Athēnâ

⇓ ⇓ ⇓ ⇓ ⇓ ⇓ ⇓ ⇓ ⇓ ⇓
Creazione degli uomini Creazione della prima donna

Nel racconto paleobabilonese, la creazione dell'uomo si svolge in un luogo sacro chiamato bît šimti, «la sala dei destini». Qui Enki e Nintu vi portano un particolare impasto d'argilla, in cui sono stati mescolate la carne e il sangue del dio Weʾe, sacrificato allo scopo di conferire agli uomini un eṭemmu, o sorta di anima immortale. Enki provvede a plasmare l'argilla, mentre Nintu ripete le formule che l'altro le detta coscienziosamente. Poi, Nintu stacca quattordici pani d'argilla: ne mette sette a destra e sette a sinistra di una bassa parete di mattoni. I quattordici pani sembra vengano pressati in altrettanti stampi o «uteri»: da sette di essi nasceranno degli uomini, dagli altri sette delle donne, i quali si disporranno in altrettante coppie. Nintu stabilisce così le regole della gravidanza e della nascita, che da allora faranno parte del mondo. Il testo paleo-babilonese sembra descrivere la maturazione di questi archetipi umani, mentre Nintu, accovacciata, tiene il conto del tempo. Quando alla fine arriva il momento fissato per il parto, al decimo mese lunare, la dea, felice e con la testa coperta, fa da levatrice. ⑥

La presenza di una coppia di demiurghi, nel racconto antropogonico, è però assai più antica. In un testo sumerico risalente al II millennio a.C., l'Ud reata (titolo informale: «Enki e Ninmaḫ»), è la dea madre Namma a ordinare ad Enki di creare i primi esseri umani. Enki si mette al lavoro, assolve una serie di operazioni preliminari di cui non è facile definire la natura, viste le difficoltà interpretativae di questo testo. Poi si rivolge a Namma e le chiede di dare forma all'argilla prelevate dalle sponde dell'Abzu, l'oceano cosmico. La avverte che sarà aiutata dalla dea Ninmah, a sua volta affiancata da sette dee in qualità di levatrici:

šag₄ im ugu abzu-ka u₃-mu-e-ni-in-šar₂
SIG₇.EN.SIG₇.DUG₃ im mu-e-kir₃-kir₃-re-ne za-e
    me-dim₂ u₃-mu-e-ni-al₂
nin-maḫ-e an-ta-zu ḫe₂-ak-e
nin-imma šu-zi-an-na nin-ma-da nin-barag
nin-mug ŠAR.ŠAR.GABA nin-gun₃-na
tu-tu-a-zu ḫa-ra-gub-bu-ne
Dopo che avrai mescolato l'argilla presa dalle sponde dell'Abzu,
si darà forma (?) all'argilla di questa matrice (?),
    e quando vorrai, tu stessa, modellarne (?) la natura (?).
Ninmaḫ ti assisterà:
Ninimma, Šuzianna, Ninmada, Ninbarag,
Ninmug, Dududuḫ ed Erešgunna
saranno le tue aiutanti!
Ud reata [-]

Si noti che in Hēsíodos, nelle Érga kaì Hēmérai, Hḗphaistos e Athēnâ non lavorano da soli, ma sono adiuvati da una serie di altre divinità. In primo luogo Aphrodítē ed Herms, in ruoli a loro congegnali: la prima al fine di rendere Pandṓra irresistibile agli uomini; il secondo per plasmarle un animo menzognero e volubile. È pure significativa la presenza di sette ulteriori dee che intervengono nell'operazione: le tre Khárites (le «grazie»), Peithṓ (la «persuasione») e le tre Hrai (le «stagioni»), che sembrano occupare la nicchia delle sette dee che affiancano Ninmaḫ nell'Ud reata.

Miti: [Creazione degli uomini. Promētheús, il demiurgo]►
Miti: [Deukalíōn e Pýrrha. Il diluvio elladico]►
Studi: [Argilla, spirito e carne > In Mesopotamia: «quando gli dèi erano uomini»]►
Studi: [Argilla, spirito e carne > Weʾe e Promētheús: intelligenze a confronto]►
Studi: [Argilla, spirito e carne > Promētheús, il demiurgo ]►
Studi: [Argilla, spirito e carne > In Mesopotamia: «quando gli dèi erano uomini»]►

IV - LA «STORIA DEI DUE FRATELLI», UNA PANDṒRA EGIZIANA?

Nella favola egiziana Bâta ỉḫr Anûp, informalmente nota come «Storia dei due fratelli», conservata nel Papiro D’Orbiney (Papyrus British Museum 10183) e risalente al regno del faraone Setẖî-merî-na-Ptaḥ (Seti II, 1209-1205 a.C.),  dinastia, Ḫnûm, il dio criocefalo, demiurgo del genere umano, viene chiamato a plasmare una moglie per il protagonista che è rimasto solo, e il testo ci informa che nel momento stesso della creazione, il destino della donna è stato già deciso e già assicurato:

Raʿ-Hšaraḫt disse a Ḫnûm: — Fabbrica una donna per Bata, che non sieda più solo. — Allora Ḫnûm gli fece una compagna: era bella di corpo più di ogni donna che fosse nella terra intera e il seme di ogni dio era in lei. Allora le sette Ḥût-ḥûr vennero a vederla e dissero a una sola bocca: — Farà una morte d'arma tagliente».
Bâta ỉḫr Anûp

Nelle sette Ḥût-ḥûr non vediamo soltanto le sette levatrici che adiuvano Ninmaḫ nel decidere il destino del primo uomo creato, o le sette dee che si riuniscono attorno ad Hḗphaistos ed Athēnâ per vestire e ornare Pandṓra; qui hanno la stessa funzione delle Moîrai o Parcae, le dee del destino che filano la vita degli individui nel mito classico, e addirittura preludono alle fate madrine delle fiabe medievali, che si radunano intorno alla culla dei neonati per deciderne il corso della vita.

Si è anche pensato che la scena della creazione della moglie di Bata sia alla base del mito della creazione della stessa Pandṓra, pure plasmata nella creta da un dio-artigiano e adornata dai doni di tutti gli dèi, come narra Hēsíodos nelle Érga kaì Hēmérai. Il progetto di Zeús di modellare Pandṓra per arrecare infinite miserie e disgrazie al genere umano, non coincide con lo spirito filantropico di Ḫnûm, artigiano evidentemente innamorato del suo lavoro. Vi sono comunque molte attinenze tra la storia di Pandṓra e la vicenda di Bâta ỉḫr Anûp, che gli studiosi hanno puntualmente rilevato. In entrambi i casi, la donna creata dal dio artigiano (Ḫnûm/Hḗphaistos) sarà oggetto di una fatale contesa.

V - PANDṒRA, DALLA TERRA

Creazione di Pandṓra  (✍ 475-425 a.C.)
Kratḗr attico a figure rosse
Ashmolean Museum, Oxford (Regno Unito)
Da sinistra: Diónysos, Hermês, Hḗphaistos e Pandṓra; in alto a destra, Érōs.

Sebbene Hēsíodos sia l'unica fonte letteraria di un certo peso su Pandṓra, non dobbiamo sottovalutare l'importanza della documentazione iconografica. Ci sono infatti pervenute alcune immagini di Pandṓra che ne rappresentano la creazione e la vestizione; da queste immagini si possono trarre interessanti dettagli che ci aiutano a definire il carattere e la natura della nostra eroina.

Assai importante, al riguardo, un kratḗr attico a figure rosse, risalente alla metà del V sec. a.C., il quale mette in scena una versione alternativa della creazione della prima donna: la fanciulla, vestita di tutto punto, velata e col capo incoronato, è raffigurata dalla vita in su, mentre emerge dalla terra. Reggendo nella mano destra un martello da scultore, Hḗphaistos stende verso di lei la sinistra. Sul capo di Pandṓra si libra un piccolo Érōs alato. A sinistra, si riconoscono Diónysos ed Herms.

L'immagine sembra combinare insieme due modalità antropogoniche: il mitema dell'emersione degli uomini dal suolo e l'opera demiurgica di Hḗphaistos. A seconda di come leggiamo la figura, il dio-artigiano potrebbe essere colto nell'atto di invitare Pandṓra a venir fuori dalla terra, quanto in quello di modellarla nella creta. Mentre nel caso della creazione degli uomini le due modalità ci sono pervenute come miti alternativi, in quest'immagine della nascita di Pandṓra appaiono essere strettamente intrecciate: l'antropogonia propone qui una combinazione tra concorso femminile (l'emersione dalla madre terra) e concorso maschile (il lavoro del demiurgo). ①

Creazione di Pandṓra  (±470 a.C.)
Kýlix attico a figure rosse (fondo bianco), attribuito al Pittore di Tarquinia
British Museum, Londra (Regno Unito)
Da sinistra: Athēnâ, Anēsídōra, Hḗphaistos.

Ma c'è veramente differenza tra le due modalità antropogoniche, o esse vengono in qualche modo a coincidere? In fondo, l'argilla utilizzata dai vari demiurghi per plasmare gli esseri umani viene essa stessa dalla terra. È facilmente rilevabile la correlazione para-etimologica tra «uomo» e «terra», sia in ebraico (āḏām e ăḏāmāh) che in latino (homo e humus). Il nome Pandṓra, «tutti i doni», è un trasparente epiteto della dea-terra G.

Il mitema dell'ánodos, ovvero, dell'emersione dalla terra, è tipico delle potenze ctonie e della fecondità. In uno skýphos attico a figure rosse, anch'esso risalente alla metà del V secolo a.C., una donna spunta parimenti dal suolo, mentre due panískoi – evidenti simboli della fertilità della natura – danzano ai due lati. La figura in questione non porta alcun nome: la sua identificazione con Pandṓra deriva dal confronto con l'immagine precedente, ma molti studiosi sono persuasi che la figura femminile qui rappresenti proprio G. [immagine]✦

Su una kýlix attico a figure rosse del 470 a.C., sono raffigurati Hḗphaistos e Athēnâ evidentemente intenti ad acconciare e vestire Pandṓra. Il nome della fanciulla è qui riportato nella forma Anēsídōra, «[colei che] manda su i suoi doni», e questo è appunto un altro nome della dea-terra G.

Se gli esseri umani sono emanazioni del suolo materiale, Pandṓra lo è in un senso assai più esplicito. È la Terra stessa che prende vita e si fa donna.

VI - IL PÍTHOS E I SUOI ENIGMI

L'espressione «vaso di Pandora» viene ancora oggi usata metaforicamente per alludere all'improvvisa scoperta di un problema che, una volta manifesto, non è più possibile tornare a celare.

Ma il proverbiale «vaso» era più precisamente un píthos, un orcio o una giara di forma caratteristica, dalla base stretta e l'imboccatura ampia e larga. Comuni già in epoca minoica, i píthoi venivano utilizzati per immagazzinare cereali, vino o olio. Alcuni erano abbastanza grandi per contenere dei corpi umani: ed è proprio in un píthos che si nasconde re Eurysteús quando Hērakls gli porta il cinghiale che ha catturato. I píthoi erano fatti generalmente di ceramica, spesso decorati con figure a rilievo, e con larghi manici nella parte superiore.

Il mitico episodio del «vaso» di Pandṓra viene riportato unicamente da Hēsíodos:

Prìn mèn gàr zṓeskon epì khthonì phŷl’ anthrṓpōn
nósphin áter te kakn kaì áter khalepoîo pónoio
noúsōn t’ argaléōn, haí t’ andrási Kras édōkan.
aîpsa gàr en kakótēti brotoì katagēráskousin.
Allà gynḕ kheíressi píthou méga pm’ apheloûsa
eskédas̱’: anthrṓpoisi d’ emḗsato kḗdea lygrá.
Moúnē d’ autóthi Elpìs en arrhḗktoisi dómoisin
éndon émimne píthou hypò kheílesin, oudè thýraze
exéptē: prósthen gàr epéllabe pma píthoio
aigiókhou boulisi Diòs nephelēgerétao.
Álla dè myría lygrà kat’ anthrṓpous alálētai:
pleíē mèn gàr gaîa kakn, pleíē dè thálassa:
noûsoi d’ anthrṓpoisin eph’ hēmérēi, hai d’ epì nyktì
autómatoi phoitsi kakà thnētoîsi phérousai
sigi, epeì phōnḕn exeíleto mētíeta Zeús.
Fino ad allora viveva sulla terra, lontana dai mali, la stirpe mortale,
senza la sfibrante fatica e senza il morbo crudele
che trae gli umani alla morte:
rapidamente, infatti, invecchiano gli uomini nel dolore.
Ma la donna, levando di sua mano il grande coperchio del píthos,
disperse i mali, preparando agli uomini affanni luttuosi.
Soltanto Elpís, la speranza, là nella casa intatta,
dentro rimase sotto i labbri del píthos, né volò fuori,
perché prima Pandṓra rimise al vaso il coperchio,
secondo il volere dell'egioco Zeús, adunatore di nembi.
Ma gli altri, i mali infiniti, errano in mezzo agli umani;
piena, infatti, di mali è la terra, pieno ne è il mare,
e le malattie si aggirano di notte e di giorno fra gli uomini,
in silenzio portando dolore ai mortali;
e questo perché Zeús tolse loro la voce.
Hēsíodos: Érga kaì Hēmérai [-]

Píthos a quattro anse
Minoico recente II (±1500 a.C.), da Knōsós, Creta (Grecia).
Musée du Louvre, Parigi (Francia)

Il testo originale è piuttosto avaro di dettagli. Non viene detto da dove venisse il píthos, né come fosse finito tra le mani di Pandṓra. Non sappiamo per quale ragione la fanciulla ne sollevò il coperchio, ma le sue motivazioni personali passano in secondo piano, rispetto al fatto che tutto avveniva per volere di Zeús. Riconosciamo di essere di fronte a un motivo letterario: un passo di Hómēros parla di due vasi, piazzati sulla soglia della dimora di Zeús, da cui tutte le cose buone e le cose cattive venivano distribuite ai mortali (Iliás [XIV: -]).

Tra le domande e le perplessità sollevate dal píthos di Pandṓra, una delle più durature riguarda la natura dei kakoí, o «mali», che ne sarebbero usciti fuori. Hēsíodos li descrive come malattie che abbreviano e rendono penosa l'esistenza umana, e conferisce loro vita propria, rendendoli assai simili ai Nyktîdai, le schiera di personificazioni astratte generate da Nýx (Theogonía [-]) ①. I kakoí di Hēsíodos si muovono a loro piacere tra gli uomini, in silenzio, di giorno e di notte, portando malattie e sofferenze. Inoltre, Zeús ha tolto loro la voce, in modo che non possano avvertire gli uomini del loro malefico appressarsi.

Anche i popoli del Medio Oriente personificavano il propagarsi delle malattie nell'immagine di dèmoni vaganti, invisibili, spietati. Si confronti la descrizione dei kakoí fornita da Hēsíodos con questo scongiuro paleobabilonese contro i dèmoni:

  Essi sono liberi di muoversi,
essi schiamazzano sopra, essi schiamazzano sotto.
Essi sono la bile venefica degli dèi.
Essi sono una grande tempesta proveniente dal cielo;
essi sono la civetta che alberga in città.
Essi sono generati dal seme di An, essi sono i figli partoriti dalla terra.
Sugli alti tetti e sulle ampie terrazze essi turbinano come una tempesta.
Essi non sono impediti né dalle porte né dai chiavistelli,
essi sgusciano attraverso le porte come i serpenti.
Essi portano via la moglie dal seno del marito,
essi rimuovono il bambino dalle ginocchia del padre;
essi portano via il fidanzato della casa del suocero;
essi sono il silenzio e lo stupore che perseguita l'uomo alle spalle...
Udug-ḫul-a-meš [V: i: 3-8]

Pandṓra (1879)
Dante Gabriel Rossetti (1828-1882)
Faringdon Collection Trust, Buscot Park (Regno Unito)

In uno studio elaborato più sul piano simbolico che mitologico, Charles Penglase suggerisce che il vaso di Pandṓra potesse essere una rappresentazione del mondo infero; l'associazione sarebbe stato forse fissata dall'uso di raccogliere nei píthoi le ceneri e le ossa dei defunti. Di conseguenza, anche il Tártaros, dimora delle anime dei morti, poteva essere descritto in forma di vaso: un'immensa voragine cui si accedeva attraverso una stretta apertura superiore (Theogonía [-]). Di conseguenza, i kakoí che sprigionano dal píthos andrebbero intesi come le malefiche esalazioni provenienti dal mondo infero. (Penglase 1994)

Consideriamo piuttosto improbabili le conclusioni dello studioso australiano, che vedrebbero nel tema dell'ánodos, l'emersione dalla terra di Pandṓra – testimoniata nell'iconografia –, una sorta di risalita dal mondo infero, affine al ritorno di Inanna dal regno di Arali. Il mito greco, a nostro avviso, appartiene a un tema affatto diverso. Rimane però comune ai due miti il motivo della vestizione: sia nel caso di Inanna, che di Pandṓra, gli ornamenti e i gioielli di cui l'eroina viene vestita e adornata sono manifestazioni tangibili della sua femminilità e capacità seduttiva. (Penglase 1994)

Si noti che i paesi di lingua anglosassone hanno sostituito il «vaso» di Pandṓra con uno «scrigno». L'errore sembra sia dovuto a un'errata traduzione di Erasmus da Rotterdam che, riportando la storia di Pandṓra dal greco in latino, confuse la parola píthos «vaso» con pyxís «scatola». Tale errore è stato poi rinforzato dai libri di divulgazione, dai dipinti e dalle figurazioni degli artisti (esemplari le «Pandore» di Dante Gabriel Rossetti, di cui riproduciamo qui accanto una delle varie versioni), dove la giovane maliarda è solitamente raffigurata nell'atto di aprire il coperchio, appunto, di uno scrigno o di una piccola scatola.

VII - «ANCHE LA SPEME, ULTIMA DEA»

L'ultimo nodo da sciogliere riguarda Elpís, la «speranza», rimasta all'interno del píthos non troppo prontamente richiuso da Pandṓra.

Moúnē d’ autóthi Elpìs en arrhḗktoisi dómoisin
éndon émimne píthou hypò kheílesin, oudè thýraze
exéptē: prósthen gàr epéllabe pma píthoio
aigiókhou boulisi Diòs nephelēgerétao.
Soltanto Elpís, la speranza, là nella casa intatta,
dentro rimase sotto i labbri del píthos, né volò fuori,
perché prima Pandṓra rimise al vaso il coperchio,
secondo il volere dell'egioco Zeús, adunatore di nembi.
Hēsíodos: Érga kaì Hēmérai [-]

Questo passo – al di là delle frettolose interpretazioni dei soliti divulgatori – è in realtà irto di difficoltà. Il primo problema è legato al significato della parola elpís, che viene generalmente tradotto con «speranza», pur avendo in greco molte diverse sfumature di significato («aspettazione, sollecitudine, timore», ma anche «opinione, pensiero»), con senso non necessariamente positivo; il verbo élpō copre un'ampia area semantica, significando via via «sperare, attendere, supporre, pensare». A seconda dei punti di vista, dunque, la «speranza» può essere percepita come una passiva e inutile illusione; oppure, come una forza che ci sostiene nelle avversità e ci spinge a migliorare la nostra condizione. Il fatto che Elpís si trovasse nel vaso, insieme ai kakoí, induce a pensare che fosse anch'essa intesa come un male. La parola elpís è altrove utilizzata dallo stesso Hēsíodos in senso negativo: essa è definita «vuota» [] e «non buona» [], perché induce gli uomini a nutrire illusioni sulla loro sorte futura trattenendoli dall'agire attivamente per migliorarla.

Pollà d' aergòs anḗr, keneḕn epì elpída mímnōn,
khrēízōn biótoio, kakà proseléxato thymı.
Elpìs d' ouk agathḕ kekhrēménon ándra komízei,
hḗmenon en léskhēı, tı mḕ bíos árkios eíē.
Spesso in difetto di viveri, basandosi su una vuota speranza,
l'uomo inoperoso, indirizza al suo animo gravi parole.
La speranza non buona accompagna l'uomo inoperoso
che, seduto nel cortile, non ha mezzi sufficienti per vivere.
Hēsíodos: Érga kaì Hēmérai [-]

Alcuni interpreti hanno proposto una traduzione neutra della parola elpís, quale «aspettazione». Ma di nuovo, aspettazione del bene o del male? Gli studiosi hanno sostenuto l'una e l'altra tesi. E, a seconda di come si intende la parola elpís, il fatto che Elpís rimanga confinata all'interno del vaso può assumere un senso positivo o negativo.

Il píthos va dunque inteso come una prigione o piuttosto come un contenitore? Richiudendo il vaso dopo averne fatto uscire i kakoí, Pandṓra vi ha imprigionato Elpís, o piuttosto l'ha messa al sicuro? In altre parole, ha escluso definitivamente la «speranza» dalla vita degli uomini, oppure, evitando che si disperdesse, l'ha conservata in attesa di un suo futuro impiego? Le questioni sono strettamente legate le une alle altre, e tutte quante dipendono a loro volta dal valore della parola elpís in Hēsíodos. I dati a nostra disposizione non permettono di definire con esattezza quali fossero le intentiones auctores, e i vari interpreti hanno fornito le interpretazioni più differenti. Rinchiudendo per sempre Elpís all'interno del vaso, Pandṓra ha reso l'esistenza umana una vana sequela di dolori e sofferenze, completamente priva non solo di riscatto, ma anche dell'illusione di un riscatto? Oppure possiamo ancora trovare un sollievo alla nostra condizione umana, in fondo al píthos di Pandṓra?

Le letture classiche di questo mito propendono per l'ultima ipotesi. Il favolista Aísōpos, circa un secolo dopo Hēsíodos, ci presenta una variazione letteraria del mito del vaso, lasciando la porta aperta a un cauto ottimismo:

  Zeús raccolse insieme tutte le cose buone in un píthos e le sigillò richiudendo il coperchio. Poi lasciò il vaso nelle mani degli uomini. Ma un uomo non riuscì a controllarsi e volle sapere cosa c'era nel vaso, dischiuse il coperchio e tutte le cose buone fuggirono via e tornarono al cospetto degli dèi. In tal modo le buone cose abbandonarono la terra, tranne Elpís, la speranza. Richiuso il coperchio, ella rimase all'interno del vaso. Questa è la ragione per cui tra la gente si trova ancora la speranza di riottenere tutte quelle buone cose che ci hanno abbandonato.
Aísōpos: Mŷthoi [526]

Nella versione aesopea, Pandṓra è sostituita da un anonimo personaggio maschile, e alcuni studiosi hanno proposto di vedervi una variante tradita dove è Epimētheús, e non sua moglie, ad aprire il vaso. Più probabile, però, è che si tratti di una semplice rielaborazione morale di un motivo letterario originariamente dissociato dalla figura di Pandṓra. Il fatto che il vaso contenga qui le «cose buone», e non i kakoí esiodei, è una variazione di poco conto, e il fine dell'apologo rimane invariato: una volta aperto il vaso, la vita umana diverrà preda del male e della sofferenza. Vero è che l'ottimismo di Aísōpos suona piuttosto sarcastico: Elpís è una speranza vuota e infondata, che pure, illudendoci, ci rende sopportabile la vita. Si tenga anche conto che, sullo stesso soggetto, Aísōpos ha composto una seconda favola, dove le «cose cattive» piombano dal cielo sulla terra, per rendere ardua la vita al genere umano; ma Zeús impedisce alle «cose buone» di fare lo stesso, e permette loro di scendere sulla terra solo una alla volta. E questa è la ragione per cui il male è assai più frequente del bene (Mŷthos [525]).

Il poeta Théognis, più o meno contemporaneo di Aísōpos, è assai più sconsolato e pessimista:

  Elpís, la speranza, è l'unica buona cosa che sia rimasta tra gli uomini; tutte le altre ci hanno lasciato e sono tornate sull'Ólympos. Pístis, la potente fiducia, è partita; Sōphrosýnē, la moderazione, ha lasciato gli uomini; le Khárites, le grazie, amico mio, hanno abbandonato la terra. Dei giuramenti e dei giudizi degli uomini non c'è più da fidarsi, e nessuno più venera gli dèi immortali. La razza degli uomini pii è perita, e coloro che sono rimasti non conoscono più né regole né pietà.
Théognis: Phragmenta [I, 1135]

Tutte le buone cose, lasciando la terra, hanno semplicemente svelato la cruda e malvagia realtà della natura umana.

VIII - PANDṒRA E ḤAWWĀH, DUE PRIMEDONNE A CONFRONTO

Nessuna sorpresa se, fin dagli esordi degli studi mitologici, Pandṓra sia stata confrontata con la biblica Ḥawwāh. Ma sebbene ci troviamo di fronte a un tema comune, anticamente diffuso nel mediterraneo orientale e nel Medio Oriente, un confronto tra Pandṓra e Ḥawwāh non è agevole come potrebbe sembrare a prima vista. Vero, sono entrambe delle «prime donne», modello e archetipo del sesso femminile, nonché causa della caduta dell'uomo dal suo stato di primordiale innocenza e dell'ingresso del male del mondo; ma i loro tratti non sono direttamente confrontabili. Non di meno, un lavoro comparativo può portare a risultati piuttosto interessanti.

Rispetto all'uomo, plasmato per primo, Ḥawwāh e Pandṓra vengono create in un momento successivo, ma per differenti finalità. Nel mito greco, Zeús ordina la creazione della donna senza che l'uomo ne avverta la necessità, al puro scopo di rovinargli la vita; in quello ebraico, Yǝhwāh si accorge della solitudine di Āḏām e gli fornisce una donna che gli faccia da compagna ①. E mentre Pandṓra viene creata separatamente, ripetendo le modalità demiurgiche già attuate da Promētheús per plasmare gli uomini, nel mito biblico Ḥawwāh viene tratta dal fianco di Āḏām (Bǝrēʾšîṯ [2: -]). Così, mentre in Grecia la donna risulta una copia antisimmetrica dell'uomo, presso gli Ebrei è considerata la sua metà complementare.

Wǝ hannāḥāš hāyāh ʿārûm mikkōl ḥayyaṯ haśśaḏẹh, ăšẹr ʿāśāh Yǝhwāh lōhîm wayyōʾmẹr ẹl-hāʾiššāh a kî-ʾāmar lōhîm, lōʾ ṯōʾḵǝlû mikkōl ʿēṣ haggān. Ora il serpente era astuto più di tutte le fiere della steppa che Yǝhwāh lōhîm aveva fatto, e disse alla donna: “È dunque vero che lōhîm vi ha detto: «Non dovete mangiare di tutti gli alberi del giardino?»
Wattōʾmẹr hāʾišsāh, ẹl hannāḥāš: mippǝrî ʿēṣ-haggān nōʾḵēl. Rispose la donna al serpente: “Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare.
Wûmippǝrî hāʿēṣ ăšẹr bǝṯôkǝ-haggān āmar lōhîm lōʾ ṯōʾḵǝlû mimmẹnnû wǝlōʾ ṯiggǝʿû bô: pẹn-tǝmuṯun. “Ma del frutto dell'albero che sta in mezzo al giardino, lōhîm ha detto: Non lo dovete mangiare e non lo dovete toccare, per paura che ne moriate.
Wayyōʾmẹr hannāḥāš, ẹl-hāʾiššāh: lōʾ-moṯ, tǝmuṯûn. Ma il serpente disse alla donna: No, voi non morirete.
Kî yōḏēʿ lōhîm, kî bǝyôm ăḵālkẹm mimmẹnnû wǝniqǝḥû ʿênêḵẹm; wihyîṯẹm, kēʾlōhîm yōḏǝʿê, ṭoḇ wārāʿ. Anzi, lōhîm sa che il giorno in cui voi ne mangerete, si apriranno allora i vostri occhi e diventerete come lōhîm: conoscitori del bene e del male.
Wattērẹʾ hāʾišsāh kî ṭoḇ hāʿēṣ lǝmaʾăḵāl wǝḵî ṯaʾăwāh-hûʾ lāʿênayim, wǝnẹḥmāḏ hāʿēṣ lǝhaśkîl wattiqqaḥ mippiryô, wattōʾḵal wattittēn gam-lǝʾîšāh ʿimmāh, wayyōʾḵal. Allora la donna vide che l'albero era buono a mangiarsi, e che esso era seducente per gli occhi e che era, quell'albero, desiderabile per avere la conoscenza; perciò prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche a suo marito, che era con lei, ed egli ne mangiò.
Wattippāqaḥnāh, ʿênê sǝnêhẹm wayyēḏǝʿû kî ʿêrummim hēm... Allora si aprirono gli occhi di ambedue e conobbero che essi erano nudi...

Bǝrēʾšîṯ [3: -]

Il racconto biblico attinge a mitemi affatto diversi da quello greco. Tuttavia Epimētheús ed Āḏām sono entrambi vittime di un inganno che ha il suo strumento proprio nella donna che è stata loro recapitata a domicilio: Zeús sa che Pandṓra scoperchierà il fatidico píthos, una volta indotto l'ignaro Epimētheús a sposarla; e il serpente convince Ḥawwāh ad assaggiare il frutto dell'albero della conoscenza, non ignorando che lei lo offrirà ad Āḏām. In entrambi i casi vi è violazione di un consiglio o divieto: Promētheús aveva ben avvertito Epimētheús a non accettare alcun dono da Zeús; Yǝhwāh aveva proibito ad Āḏām di mangiare il fatidico frutto. E mentre Epimētheús trasgredisce per stolidità, Āḏām per debolezza.

Subito dopo, avvertendo i passi di Yǝhwāh che camminava nel giardino di ʿĒḏẹn, Āḏām e Ḥawwāh fuggono a nascondersi, consapevoli della propria nudità. Yǝhwāh comprende immediatamente che i due hanno disubbidito al suo ordine. Maledice innanzitutto il serpente. Poi si rivolge all'uomo e alla donna e, prima di cacciarli per sempre dal giardino, così stabilisce:

El-hāʾiššāh ʾāmar, harbāh ʾarbẹ ʿiṣṣǝḇônēḵ wǝhērōnēḵ-bǝʿẹṣẹḇ tēlǝḏî ḇānîm wǝʾẹlʾîšēḵ, tǝšûqātēḵ wǝhûʾ yimšāl-bāḵ. [Yǝhwāh] disse alla donna: “Farò numerose assai le tue sofferenze e le tue gravidanze; con doglie partorirai i figli, tuttavia la passione ti spingerà verso tuo marito, ma lui vorrà dominare su di te”.
Wûlǝʾāḏām āmar, kî-šāmaʿtā lǝqôl ʾištẹḵā wattōʾḵal minhāʿēṣ ʾăšẹr ṣiwwîṯîḵā lēʾmōr lōʾ ṯōʾḵal mimmẹnnû-ʾărûrāh hāʾăḏāmāh, baʿăḇûrẹḵā bǝʿiṣṣāḇôn tōʾḵǝlẹnnāh kōl yǝmê ḥayyêkā. E disse all'uomo: “Perché hai ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato dell'albero, circa il quale t'avevo dato un comando, dicendo «Non ne devi mangiare», maledetto sia il suolo per causa tua. Con fatica ne trarrai il nutrimento tutti i giorni della tua vita.
Wǝqôṣ wǝḏardar taṣmîaḥ lāḵ; wǝʾāḵaltā ẹṯʿēśẹḇ haśśāḏẹ. Ti germoglierà spine e cardi e tu mangerai le graminacee della campagna.
Bǝzēʿaṯ appêḵā tōʾḵal lẹḥẹm, ʿaḏ šûḇǝḵā ẹl-hāʾăḏāmāh kî mimmẹnnāh luqqāḥtā: kî-ʿāār ʾattāh, wǝʾẹl-ʿāār tāšûḇ. Con il sudore del tuo volto mangerai pane, finché tornerai nel suolo, perché da esso sei stato tratto: infatti sei polvere e in polvere devi ritornare”.

Bǝrēʾšîṯ [3: -]

Le conseguenze per il genere umano sono le medesime che avevano già trovato in Hēsíodos. Il poeta greco era stato chiaro a riferire i due punti dove s'incardina la caduta dell'uomo dallo stato primordiale: alimentazione e riproduzione, ovvero la necessità del lavoro e l'inevitabilità della riproduzione sessuata. Le condanne di Yǝhwāh vertono sui due medesimi elementi:

  1. Condanna di Āḏām Alimentazione: lavoro, fatica e sudore della fronte;
  2. Condanna di ḤawwāhRiproduzione: concupiscenza, sessualità, gravidanza e dolori del parto.

Alla diffusione dei mali sulla terra, dovuto all'apertura del vaso di Pandṓra, corrisponde nel mito biblico la maledizione che investe l'intera terra, la quale, da quel momento, «germoglierà spine e cardi». Hēsíodos riferisce che i mali liberati da Pandṓra porteranno ai mortali «affanni luttuosi», accorciando le loro vite nel dolore e nella sofferenza, laddove Yahweh è esplicito a ricordare ad Āḏām la propria mortalità: egli è destinato a «tornare alla terra».

L'uomo entra nella storia e la sua vita d'ora in poi sarà una lotta quotidiana per la sopravvivenza, un cumulo di dolori e di fatiche per strappare alla terra il necessario nutrimento; l'atemporalità si chiude, l'uomo conosce la malattia, la vecchiaia e la morte, e ciò richiede l'introduzione della sessualità e della riproduzione. Di tutto questo, la donna è tramite e strumento. ②

Studi: [Argilla, spirito e carne > Presso gli Ebrei: Ādām e Ḥawwāh]
Studi: [Argilla, spirito e carne > Femmine, inganni e serpenti]

Eva prima Pandora (±1550)
Jean Cousin l'Ancien (1490-1560)
Pittura su legno, 150 x 97 cm. Musée du Louvre, Parigi (Francia).
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BIBLIOGRAFIA
Intersezione: Aree - Holger Danske
Sezione: Miti - Asteríōn
Area: Ellenica - Odysseús
Testi di Daniele Bello.
Ricerche di Daniele Bello e Dario Giansanti.
Theogonía: traduzione di Daniele Bello.
  PROMĒTHEÚS INCATENATO
Il furto del fuoco
  MITI ELLENICI   DEUKALÍŌN E PÝRRHA
Il diluvio elladico
 
Creazione pagina:14.11.2012
Ultima modifica: 28.10.2015
 
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