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II - IL CALENDARIO CELTICO E LA RUOTA DEL
TEMPO
Robert Graves (1895-1986), poeta, romanziere, esperto della
tradizione mitologica mediterranea, ha proposto ingegnose idee sul
pensiero pre-indoeuropeo, basato sul culto di una ipotetica «Dea
Bianca», che egli pretenderebbe di mettere a base della cultura
«dionisiaca» neolitica, poi soppiantata dalla cultura
«apollinea» importata dagli invasori indoeuropei. La summa
del pensiero gravesiano è un po' La Dea Bianca, un'affascinante viaggio negli
occulti significati del mito e della poesia. Qui Graves propone, tra
l'altro, l'idea di un oscuro calendario arboreo, che i Celti
avrebbero derivato dagli antichi popoli pre-indoeuropei, le cui
tracce si troverebbero nascoste nell'alfabeto ogamico e, in maniera
più criptica, nella poesia sapienziale dei Celti insulari, come
il Canto di Amairgin o la
Battaglia degli Alberi. Graves disseziona
tali canti, li riordina secondo i suoi criteri, li trasforma in
indovinelli e riesce a trarne un'infinità di significati. Il
risultato è una lettura affascinante, che ha ispirato
celtofili, romanzieri e sognatori, ma purtroppo del tutto
inattendibile dal punto di vista scientifico. (Graves
1948-1961)
Un'idea di quale potesse essere il calendario celtico, non
è certo l'ipotetico «Calendario degli Alberi»
di Robert Graves:
non esistono prove atte a suggerire che i Celti dividessero l'anno in
mesi degli alberi, e le iscrizioni ogamiche costituiscono un alfabeto
arboreo e non un calendario. Senza dubbio a tempi diversi dell'anno
erano associati simboli diversi.
Che il tempo annuale venisse considerato dai Celti in forma
circolare non è certo una novità: il Medioevo europeo conobbe il medesimo
concetto, esemplificate dalle figurazioni della
«ruota dell'anno», in cui i mesi procedevano
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