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MITI CELTICI
GUNDESTRUP KARRET
IL CALDERONE DI GUNDESTRUP
 
Schema
GUNDESTRUP KARRET - Introduzione
GUNDESTRUP KARRET - Galleria
GUNDESTRUP KARRET - Appendici iconografiche
Bibliografia
 
Genere Altorilievo d'argento parzialmente dorato
Luogo Rævemose, Himmerland (Jutland, Danimarca)
Epoca Fine II sec. a.C.
GUNDESTRUP KARRET

IL CALDERONE DI GUNDESTRUP

IL CALDERONE DI GUNDESTRUP

Calderone di Gundestrup
Nationalmuseet, København (Danimarca)

Il calderone di Gundestrup (danese Gundestrup karret) è un recipiente d'argento, dal diametro di 69 cm, alto 42 cm, e dal peso di quasi nove chilogrammi. Fu rinvenuto il 28 maggio 1891 in una piccola torbiera chiamata Rævemose, nell'Himmerland (Jutland, Danimarca). I raccoglitori di torba che lo scoprirono ebbero in seguito a discutere aspramente tra loro per la divisione della ricompensa elargita loro dal governo danese.

Il calderone è formato da tredici pannelli: cinque interni rettangolari e sette esterni quadrati, più uno circolare che ne costituisce il fondo. Si ritiene che un ottavo pannello esterno sia andato perduto, in quanto la circonferenza dei sette pannelli esterni è minore della circonferenza dei cinque interni.

I pannelli presentano raffinate figure umane, immagini di divinità o raffigurazioni dall'apparente significato religioso, che ne fanno una delle più importanti opere d'arte della protostoria europea.

Il calderone fu rinvenuto smontato, insieme a due frammenti dei tubi d'argento che formavano l'intelaiatura e un pezzo di ferro che era forse parte di un anello inserito all'interno dei tubi. L'accurato impilamento dei pannelli fa pensare a un tentativo di nascondere l'oggetto o di renderlo poco appariscente. Dall'analisi dei pollini risulta che il calderone era stato deposto in un luogo originariamente asciutto; la torbiera si sarebbe dunque formata soltanto in un secondo tempo. Armi e ornamenti raffigurati sul calderone rendono ragionevole l'ipotesi che sia stato fabbricato verso il 100 a.C., mentre vi sono differenti opinioni circa il suo luogo di origine.

Attualmente il calderone si trova al Nationalmuseet di København (Danimarca).

IL PROBLEMA DELL'ORIGINE

Ampiamente dibattute le opinioni circa il luogo d'origine del calderone, ma le preferenze sono andate a due regioni: la Gallia centrale e la regione del basso Danubio. Il motivo di tali divergenze va cercato nell'ambivalenza della testimonianza offerta dall'oggetto: da un lato lo stile e la lavorazione sono chiaramente traci, dall'altro alcuni dei motivi sono inequivocabilmente celtici e alcuni di essi sono frequentissimi in Gallia.

È troppo lungo qui descrivere nei dettagli quali particolari sono traci e quali celti. In primo luogo, il bacile stesso risponde a una tipologia celtica mai riscontrata tra i Traci; d'altro canto la tecnica – argento sbalzato ad alto rilievo e parzialmente dorato – è tipica dell'artigianato tracio tra il IV e il I sec. a.C.. Dei vari motivi presenti sul calderone alcuni sono celtici, altri traci, altri presentano tipologie ambigue. Ad esempio, la maniera in cui è eseguito il pelame degli animali è decisamente tracia come rivelano il motivo a forma di penne per il pelo lungo e quello a file di tratti trasversali per il pelo più corto. La presenza di cani e certuni animali fantastici, come i grifoni, è pure indicativa di una stretta correlazione tra le immagini del calderone e l'arte tracia. Infine, uno stilema particolare è rappresentato dal ricciolo sulle fronte del toro raffigurato sul pannello circolare di base. Sebbene questi vortici o trisceli siano ben noti nell'arte celtica, mai in essa ricorrono sulle fronti dei tori, mentre questa caratteristica sembra tipicamente tracia.

Affinità nello stile delle teste umane sono rilevabili sia in Tracia che in Gallia. In quanto agli abiti dei personaggi rappresentati sul calderone, è difficile tracciare paralleli soddisfacenti, ma un confronto assai stringente lo si ha in una phalera tracia ritrovata in una tomba a Čatalka, presso Stara Zagora (Bulgaria): in essa compare un eroe (Hēraklês?) che combatte contro il leone vestito con un abito in tutto e per tutto identico a quello più volte visibile sul calderone: la blusa e i calzoni aderenti sopra il ginocchio, con i loro motivi a strisce. Anche le ampie cinture sono del tutto simili. ①

L'attribuzione della Gallia orientale come luogo d'origine del calderone, oggi superata, è basata su una serie di elementi inequivocabilmente celtici. Il più appariscente è rappresentato dall'immagine del «dio dai palchi cervini», ma anche il simbolo del serpente criocefalo è celtico. I volti presentano collegamenti con le maschere di bronzo rinvenute nella Gallia nord-orientale (Compiègne, Danicourt, Evreux), mentre la maggior parte dei torques appartengono con ogni evidenza a tipi celtici frequentissimi in occidente, sebbene anche usati da Celti orientali e sudorientali (due di essi possono però essere ricondotti a un raro tipo di torques non celtici, la cui origine va probabilmente individuata sulla sponda del Mar Nero). Gli elmi visibili sul bacile sono celtici, soprattutto quelli aventi per cimiero uccelli rapaci o cinghiali, e anche gli scudi lunghi sono tipicamente celtici (sebbene ritrovamenti in Bulgaria e in Romania provano che scudi del genere fossero usati da tribù non celtiche). Infine, il lungo corno a testa d'animale rappresentato sul calderone, il carnyx, è rappresentato con una certa frequenza in Europa occidentale e mai in quella orientale. Se l'ipotesi occidentale fosse tuttavia confermata, la fabbricazione del caldaio andrebbe postdatata al III-IV sec.

Si ritiene che  la miglior soluzione sull'origine del calderone sia costituita dagli Scordisci, una tribù che nel III sec. a.C. si stanziò in parte nella regione del basso Danubio. Soprattutto in Bulgaria, parecchie necropoli documento una coesistenza, apparentemente pacifica, tra la tribù trace dei Triballoí e quella celtica degli Scordisci. È probabile che il calderone sia stato fabbricato in una zona con ampia compenetrazione culturale tra i due gruppi. Probabilmente non si saprà mai come il calderone sia giunto in Danimarca. Forse vi fu portato dalla popolazione germanica dei Cimbri, che durante i loro spostamenti ebbero contatti anche con gli Scordisci. Sconfitti dai Romani intorno al 110 a.C., i Cimbri emigrarono in parte verso il nord, stanziandosi proprio nell'Himmerland, regione di ritrovamento del calderone.

Immagine: [Phalera di Čatalka]▼

METALLURGIA E LAVORAZIONE

Particolare del pannello esterno c
Nationalmuseet, København (Danimarca)

Il calderone di Gundestrup è composto quasi interamente d'argento, ma è stato anche impiegato dell'oro per le dorature e stagno per la saldatura; gli occhi delle figure sono in vetro. L'argento fuso è stato colato in lingotti piatti e martellato fino a ottenere pannelli intermedi. Il foglio d'argento è stato poi sbalzato a rilievo con l'ausilio di successive temprature; i rilievi sono stati quindi decorati con punzoni e/o altri strumenti. I fogli, inizialmente piatti, sarebbero stati quindi piegati e saldati insieme. Le varie parti che compongono il recipiente non risalgono alla stessa epoca ma sono stati probabilmente aggiunti in momenti successivi. L'analisi del microscopio a scansione ha permesso a Benner Larson di individuare ben quindici diversi punzoni utilizzati sui pannelli, ripartiti in tre set di strumenti distinti. Nessun pannello riporta segni da più di un set, rimandando dunque al lavoro di tre distinti argentieri, i quali potrebbero aver lavorato forse nell'arco di molti anni, forse addirittura di secoli. Inoltre, il diverso stile tra i pannelli interni rettangoli, dalle immagini complesse e dinamiche, finemente rifinite, e i pannelli esterni quadrati, dominati da figure centrali, lisce, rappresentate in posture statiche e simmetriche, conferma che furono almeno due gli artisti che hanno istoriato i pannelli. Il calderone presenta anche diversi restauri e riparazioni, di qualità inferiore rispetto alla maestria originale.

L'argento è stato ottenuto attraverso coppellazione di piombo argentifero. Confrontando la concentrazione degli isotopi del piombo si è potuto stabilire che l'argento utilizzato per il calderone di Gundestrup sia stato raccolto da diversi depositi di minerale sparsi tra il nord della Gallia e la Germania occidentale, nel periodo preromano. Per il recipiente sono stati utilizzati da tre a sei partite distinte d'argento. È possibile che il metallo sia stato riciclato fondendo precedenti manufatti d'argento. In particolare, il pannello circolare alla base, può avere avuto origine come phalera – un disco decorativo utilizzato per decorare tanto le armature che i finimenti dei cavalli – e si ritiene sia stato saldato sul fondo del calderone soltanto in un secondo tempo, per riparare un foro.

Due le qualità d'oro utilizzate per il calderone, distinguibili in base alla diversa concentrazione d'argento e rame. Gli intarsi eseguiti con oro più puro aderiscono meglio all'argento rispetto agli altri. La doratura eseguita con metallo meno puro è meno raffinata e potrebbe individuare una successiva riparazione. L'assenza di mercurio suggerisce che non venne usata la tecnica della doratura a fuoco; la doratura risulta applicata con mezzi meccanici, come risulta dalle punzonature ravvicinate presenti nelle aree dorate.

Il vetro utilizzato per gli inserti, infine, contiene elementi che suggeriscono l'uso di sabbia calcarea e carbonato di sodio, tipica della costa orientale del Mediterraneo. Le analisi hanno anche permesso di stabilire l'epoca di produzione del vetro tra il II sec. a.C. e il I sec. d.C.

RICOSTRUZIONE

Particolare della saldatura dei pannelli D, B, A
Nationalmuseet, København (Danimarca)

Dal momento che il calderone è stato trovato in pezzi, ha dovuto essere ricostruito. Un possibile ordine dei pannelli è stato determinato dall'archeologo danese Sophus Otto Müller (1846-1934), il primo studioso ad analizzare la caldaia, il quale si è basato innanzitutto sulle posizioni della traccia di saldatura intorno al bordo del recipiente. In due casi, il segno di una punzonatura che ha interessato sia un pannello esterno che uno interno ha aiutato a stabilirne la disposizione. Nel loro ordine definitivo, le piastre esterne risultano disposte in un alternarsi di rappresentazioni di figure femminili e maschili, assumendo che il pannello mancante riporti un'immagine femminile.

Ma non tutti gli studiosi sono d'accordo con la ricostruzione di Müller. Timothy Taylor ha sottolineato che, a parte i due casi di perforazione, l'ordine non può essere stabilito con certezza dai soli allineamenti della saldatura. Non possiamo perciò essere certi che le illustrazioni suggeriscano la narrazione proposta da Garrett Olmsted [infra]▼. Taylor ipotizza che i pannelli non fossero direttamente adiacenti gli uni agli altri, ma fossero separati da uno spazio di almeno due centimetri. (Taylor 1992)

INTERPRETAZIONE

Sui pannelli del calderone di Gundestrup appaiono volti umani, immagini di guerrieri, animali reali o fantastici. Le figurazioni sono generalmente interpretate come ritratti di divinità, oppure come scene mitologiche, sebbene non sia stato possibile darne un'interpretazione convincente.

Veduta dall'alto del caldaio
Nationalmuseet, København (Danimarca)

Per molti anni gli studiosi hanno cercato di interpretare le immagini del calderone in termini di pántheon celtico. La figura con i palchi cervini sul pannello A è stato comunemente identificato con il Cernunnos attestato sul pilastro dei Nautae Parisiaci; per la figura che tiene la ruota sulla lamiera C si è pensato, con un maggior margine di incertezza, a Taranis, lo Iuppiter gallico. Non c'è consenso per quanto riguarda le altre figure. Alcuni celticisti hanno spiegato gli elefanti sul pannello B come un riferimento al passaggio di Ḥannibaʿal sulle Alpi. I due «cavalli marini» sorretti dalla figura sul pannello b hanno fatto pensare al dio irlandese Manannán mac Lir. Nella figura femminile affiancata da due volatili sul pannello f si è voluta vedere l'eroina gallese Rhiannon, il canto dei cui uccelli poteva «risvegliare i morti e addormentare i vivi».

Un complesso lavoro di interpretazione è stato proposto da Garrett Olmsted, il quale ha letto le immagini presenti nei vari pannelli come illustrazioni di una versione continentale del Táin Bó Cúailnge. Secondo Olmsted, gli animali presenti sul pannello A rappresenterebbero le trasformazioni a cui, nell'epopea irlandese, vanno incontro i due tori Finnbennach e Donn Cúailnge, rappresentati alle due estremità dell'immagine. La figura centrale sul pannello B andrebbe invece identificata con la regina irlandese Medb, che Olmsted vuole seduta su un carro: gli animali rappresenterebbero il suo carattere bellicoso, il carro la sua natura territoriale. I due personaggi che si contendono la ruota sul pannello C sarebbero invece Cú Chulainn e Fergus mac Róich; il serpente criocefalo rappresenterebbe invece la dea Mórrígan, la quale, in un episodio dell'epopea, si trasforma in anguilla e ha le costole fratturate sotto i piedi di Cú Chulainn. Nella figura barbuta sul pannello a, ritratta nell'atto di sorreggere due piccole figure umane, le quali tendono a loro volta le mani verso dei piccoli cinghiali, Olmsted vede ingegnosamente Cú Roí mac Dáiri, intento a giudicare i campioni dell'Ulaid nella contesa per la curadmír, la porzione del campione al banchetto degli Ulaid, in un remscél del Táin Bó, il Fled Bricrenn. La figura che regge due cavalli marini, sul pannello b, è Fróech, personaggio che combatte contro un mostro acquatico nel Táin Bó Fraich. La donna affiancata da due piccoli uomini, sul pannello d, è stata interpretata come Medb affiancata dal  marito Ailill mac Róich e dall'amante Fergus mac Róich (pure presente sul pannello C). La signora con gli uccelli sul pannello f potrebbe invece essere, per Olmsted, la stessa Mórrígan, la quale appariva sovente in forma di corvo, oppure Medb, circondata dai suoi animali domestici. (Olmsted 1979).

Le ipotesi di Garrett Olmsted, per quanto ingegnose, si basano però su interpretazioni spesso piuttosto deboli. Sebbene molti episodi del Táin Bó Cúailnge e dei suoi remscéla mostrino omologie con miti indoeuropei, l'epopea della «grande razzia» è il risultato di una giustapposizione di vicende originariamente separate, assemblate in Irlanda forse solo a partire dal V secolo, e la sua collocazione risente in maniera decisiva del territorio e della storia irlandese. Nulla ci fa pensare che l'epopea possa essere conosciuta fuori dall'Irlanda (ad esempio, non ne abbiamo traccia in Galles); ciò rende piuttosto difficile immaginare che i Celti dell'Europa sud-orientale potessero conoscere una versione tanto simile a quella irlandese.

Un altro studioso, Timothy Taylor, si è spinto assai oltre il territorio celtico presentando una visione multiculturale delle immagini sul calderone. Egli, ad esempio, paragona Rhiannon – che secondo lui è la figura del pannello f – con la demoniessa Hārītī della mitologia indoiranica; sottolinea inoltre la figura femminile del pannello B con la dea indiana Lakṣmī, che è spesso affiancata da elefanti. La ruota presente sul pannello C rimanderebbe invece al cakra, uno dei simboli di Viṣṇu. (Taylor 1992). Seppure ingegnose, le ipotesi di Taylor offrono però ben pochi appigli, visto che, una volta allargato il campo di comparazione fino all'India, la possibilità di trovare immagini pertinenti sale di conseguenza, con il rischio, alla fine, di non dimostrare nulla.

Sebbene possano mostrare affinità sia con il mondo mitologico celtico che con quello dacio o trace, le immagini sul calderone di Gundestrup appartengono a una cultura che non ha lasciato alcuna fonte scritta, rendendoci arduo qualsiasi tentativo di decifrarle. Buona parte di esse sembra rimandare a una sfera religiosa e si può presumere che il calderone fosse impiegato a uso cultuale. Può darsi che servisse come bacinella per raccogliere il sangue nel corso dei sacrifici, come suggerisce l'immagine del toro sul piatto di base, la cui prospettiva suggerisce una visione dall'alto. Ma siamo sempre nel campo delle ipotesi. È probabile che il calderone continuerà a lungo a conservare i propri enigmi e il proprio fascino.

d
GUNDESTRUP KARRET

IL CALDERONE DI GUNDESTRUP

Il Calderone di Gundestrup

Peso: 9 kg
Diametro: 69 cm
Altezza: 42 cm

Pannello interno A. Il dio dai palchi cervini

Il personaggio dalle corna di cervo è solitamente identificato con il Cernunnos raffigurato nel pilastro dei Nautae Parisiaci, sebbene l'assenza di iscrizioni renda del tutto ipotetica l'identificazione. La figura è accosciata in una posizione assai inusuale nell'iconografia celtica, nella quale si sono voluti riconoscere influssi orientali. Regge con la mano destra un torques, con la sinistra un serpente criocefalo, entrambi elementi tipicamente celtici.

Tra gli animali che circondano la figura centrale, si riconoscono a sinistra un cervo e un toro. A destra, un cane è rivolto  verso il personaggio centrale. Sopra di esso un animale non bene identificato è voltato nella direzione opposta: potrebbe essere un mastino o un leone. Curiosa la piccola figura dell'uomo che cavalca un animale ittiomorfo; questo è in genere identificato con un delfino, ma la lavorazione a squame del suo dorso e la presenza delle pinne anali fanno piuttosto pensare a un pesce, probabilmente a uno storione, come si evince dalle barbe sotto il muso. All'estrema destra viene replicato il medesimo toro già presente a sinistra. In basso a destra, i due animali che si fronteggiano sono generalmente interpretati come leoni, per quanto la strana criniera e il corpo coperto di una lavorazione a scaglie suggeriscono piuttosto qualche tipo di animale mitologico. Anch'essi sembrano suggerire elementi iconografici orientali.

Pannello interno B. La dea degli elefanti

Il pannello mostra una disposizione simmetrica di animali disposta ai due lati di un busto femminile. La donna – quasi identica alla figura che compare sul pannello g – è caratterizzata da ciocche di capelli a S e sopraccigli che formano una T con il naso. La resa delle braccia è simile a quella della figura sul pannello e. Ai lati della figura compaiono due rose esafolie, motivo assai diffuso nell'Europa dell'età del bronzo. Sebbene l'immagine sia stata a volte interpretata come se la dea fosse seduta su un carro, la rosa è un motivo non confondibile con quello della ruota (invece presente sul pannello C).

La figura è affiancata da una coppia di elefanti che si confrontano tra loro, sotto i quali compaiono due grifoni. Gli elefanti sono a volte attestati nell'arte celtica orientale e, nel caso del calderone, potrebbero anche rappresentare un'influenza della monetazione romana (il denarius fatto coniare da Caesar intorno al 50 a.C., per celebrare la vittoriosa campagna gallica, ritrae un elefante con la proboscide sollevata). L'animale qui raffigurato, pur avendo proboscide e zanne da elefante, sembra incorporare le zampe posteriori e la coda del toro sul pannello D e il tronco del leone sul pannello C. Anche i grifoni, ritratti con le zampe anteriori sollevate, mostrano un influsso orientale (li si confronti con quelli presenti sull'elmo geto-dacio di Coțofenești ①). In basso, al centro del piatto, è posto un cane (o forse un leone?) con le zampe dotate di artigli. Le decorazioni degli animali – puntini per gli elefanti, linee per i grifoni e per il cane – sono caratteristici delle argenterie traciche.

Immagine: [Elmo di Coțofenești]▼

Pannello interno C. Il dio con la ruota

L'iconografia del pannello C è piuttosto intrigante. Al centro del piatto, un busto maschile, barbuto, il quale sembra impugnare, nella mano destra, metà di una ruota. La figura è quasi identica al piccolo busto posto sulla spalla destra della figura femminile sul pannello e. A sinistra, un giovane raffigurato nell'atto di spiccare un salto, tiene anch'essa la ruota con il braccio destro. Quest'ultimo è vestito in modo simile ai personaggi presenti sui pannelli A ed E, ma indossa anche un elmo con le corna a manubrio. Ai suoi piedi, un serpente criocefalo.

Il pannello sembra illustrare qualche narrazione, o forse un perduto mito celtico continentale, sebbene nessuno tentativo di dare un senso alla scena abbia dato risultati convincenti. Non è nemmeno chiaro se la ruota sia davvero spezzata – come sostengono alcuni studiosi – o se l'artista ne abbia raffigurata soltanto metà per esigenza di spazio. Quale che sia il suo significato, la ruota è un simbolo ben noto all'arte celtica ed è un attribuito di Taranis, lo Iuppiter gallico. Identificare la divinità barbuta su questo pannello con Taranis è tuttavia piuttosto azzardato: le ruote sono un motivo piuttosto comune nelle incisioni rupestri della tarda età del bronzo e dell'età del ferro.

Ai lati delle figure centrali, due cani (leoni? linci?) sono rivolti verso destra; nella parte inferiore del pannello, tre grifoni sono invece rivolti verso sinistra. Gli uni e gli altri rassomigliano agli animali ritratti sul pannello B.  Lo spazio tra il gruppo superiore i quello inferiore è riempito con motivi botanici a forma di goccia, interpretati come viticci di edera.

Pannello interno D. Caccia o sacrificio

Questo pannello è generalmente interpretato come una scena di caccia o di sacrificio. Oggetto dell'uccisione sono tre grossi animali ungulati, generalmente interpretati come tori. L'identificazione dell'animale è però resa problematica dall'unico corno visibile, perlopiù collocato in una posizione assai inusuale: lo si confronti con le due corna dei tori raffigurati nel pannello A. Rimane dunque il dubbio che si tratti non di tori, ma di qualche tipo di bestia mitologica, forse addirittura unicorne. Le bestie sono collocate in orizzontale, rivolte nella stessa direzione. Hanno corpi molto robusti, con colli imponenti e grandi cosce. Sul lato inferiore destro di ogni toro/unicorno, un uomo è in procinto di attaccarlo con una spada. A fianco di ogni uomo, sotto gli zoccoli dell'animale, è raffigurato un cane nell'atto di correre verso sinistra, mentre una creatura felina fugge nella medesima direzione nello spazio libero sopra la groppa del toro/unicorno. Gli spazi tra le figure sono riempiti con motivi vegetali a forma di goccia.

La composizione triplice di questo pannello ha fatto pensare al tipico schema mitologico attestato nella letteratura gallese e irlandese in cui le azioni degli eroi e le uccisioni dei mostri sono fissati in gruppi di tre. La struttura, in questo caso, non è completamente identica, in quanto la figurina umana centrale indossa blusa e brache, mentre le altre due sono a torso nudo. Il dettaglio forse non è significativo. Poiché i tori e le figure umane sono rappresentati in modo stilizzato, con postura è statica, quasi monumentale, la scena va probabilmente intesa in senso artistico-espositivo, senza alcuna pretesa di realismo narrativo (Ellis Davidson 1993).

Pannello interno E. Immersione e rinascita (?)

È forse il più strutturato ed enigmatico dei pannelli, dominato, sul lato sinistro, da una figura di dimensioni assai maggiori di tutte le altre. La figura è in piedi, abbigliata con la blusa e le brache a strisce presenti anche negli altri pannelli, e con in testa un berretto di maglia terminante con una coda o un fiocco. Tiene un piccolo uomo a testa in giù al di sopra di un oggetto a forma di secchio, nel quale sembra immergerlo o tirarlo fuori.

Nel resto della scena, due file di guerrieri si muovono ai lati di un fusto d'albero disposto orizzontalmente: la fila superiore è costituita da quattro cavalieri; la fila inferiore da sette fanti. I cavalieri si muovono verso destra e due di loro sono armati di lancia. I fanti si muovono verso sinistra: impugnano nella destra un gladio che rizzano verso l'alto, fino a sfiorare il fusto, e imbracciano con la sinistra uno scudo dalla forma allungata. Il settimo della fila tiene però la spada appoggiata alla spalla ed è privo di scudo: il cimiero a forma di cinghiale che orna il suo elmo lo qualifica, forse, come il comandante del gruppo. Un cane sembra accogliere, aggredire o fare le feste al primo dei fanti. Sul lato destro del pannello, tre uomini soffiano in altrettanti carnyces, lunghi corni con il tubo verticale e la svasatura in forma di testa di cinghiale, con le ganasce spalancate e la criniera sporgente sul retro ①. Sopra si riconosce il serpente criocefalo.

Se il carnyx è uno strumento tipicamente celtico, anche gli elmi dei cavalieri presentano decorazioni celtiche: uno presenta un cimiero a forma di cinghiale, il secondo ha un paio di corna sottili simile a manubri, il terzo porta una decorazione a forma di mezzaluna con le punte rivolte verso il basso, il quarto un uccello con le ali spiegate (quest'ultimo assai simile a un elmo dacio-celtico del IV secolo rinvenuto a Ciumești, Romania ②). Questi elmi coincidono con le descrizioni che ne dà Poseidṓnios. Anche gli scudi con gli umboni circolari sembrano quelli presenti in Europa centro-occidentale ③. Altri dettagli rimandano però a testimonianze extra-celtiche: le phalerae che ornano le cinghie dei cavalli hanno riscontri nell'Europa sud-orientale. Anche la disposizione delle figure nel pannello, su due file rivolte in direzione opposta, sopra e sotto un tralcio orizzontale, è presente sull'elmo geto-dacio di Coțofenești ④.

Per quanto riguarda il significato dell'immagine, sono state date differenti interpretazioni. La si interpreta solitamente come scena di un'immersione rituale e l'oggetto a forma di secchio viene letto come una sorta di calderone della rinascita. Questo lo si ritrova in varie leggende celtiche, in particolare nel mabinogi di Brân Bendigeidfran (Brânwen ferch Lŷr), dove i morti possono essere portati in vita se immersi in un magico calderone; nel Cath Maige Tuired, il guaritore Dían Cécht immerge morti e feriti in una speciale sorgente in grado di riportarli in vita e guarirli magicamente. A favore di questa interpretazione, Hilda Ellis Davidson legge il cane e il serpente criocefalo come simboli dell'altro mondo (Ellis Davidson 1993), sebbene essi siano presenti in altri pannelli. È stato ipotizzato che i fanti rappresentino i guerrieri morti che si recano al calderone, quindi, una volta resuscitati, si allontanano a cavallo, sebbene inon vi sia alcuna garanzia che tale interpretazione sia corretta. Garrett Olmsted sostiene che l'immagine rappresenti un mito di annegamento in una botte, come spesso si trova nei racconti irlandesi o scandinavi (si veda ad esempio la morte di re Muirchertaich mac Erca, narrata nell'Aided Muirchertaig maic Erca). Poco convincente l'interpretazione di Wolfgang Kimmig, il quale suggerisce che i soldati stiano portando un albero da collocarsi come offerta votiva in un pozzo sacro celtico (Kimmig 1965).

Immagine: [Carnyx]▼
Immagine: [Elmo di Ciumești]▼
Immagine: [Scudo di Battersea]▼
Immagine: [Elmo di Coțofenești]▼

Pannello di base. Il toro abbattuto

Un pannello circolare, aggiunto in un secondo tempo, forse per riparare un foro, è posto alla base del calderone. È dominato dall'immagine di un toro, visto evidentemente dall'alto. Il corpo robusto, tratteggiato con una sapiente serie di linee (punti nel caso delle parti in ombra) non appare sostenuto dalle zampe: il toro è infatti steso al suolo su un fianco, come se riposasse, o fosse stato abbattuto, dettaglio che forse conferma l'uso del calderone come recipiente in cui si lasciava colare il sangue nel corso dei sacrifici. Il toro è ancora vivo: la sua testa è parzialmente sollevata. Si vedono i fori in cui, in precedenza, erano state impiantate le corna.

Accanto alle zampe del toro l'immagine in rilievo di un animale dalla lunga coda, un topo o un mustelide, conferma la visione dall'alto del quadro. Vicino alla coda di quest'ultimo s'intravede il profilo di una bestiola acciambellata, simile a un gatto.

Nel lato accanto la groppa del toro, un uomo con blusa e brache al ginocchio, i capelli stretti in una coda o in uno chignon, sembra in procinto di colpire con una spada il posteriore di un cagnolino. Quest'immagine, al contrario del toro, non sembra destinata a una visione dall'alto. Tralci di edera fungono da ricorrenti motivi decorativi.

Pannello esterno a

Un personaggio maschile, con capelli riccioluti, lunghi baffi e una folta barba arrangiata in due trecce, ritratto nella cosiddetta «posizione dell'orante», regge per il braccio due piccoli uomini abbigliati con semplici brache. Questi ultimi sembrano reggere nel braccio libero due piccoli cinghiali, o piuttosto sembrano sollevare le braccia per sfiorarli. Sulle spalle della figura centrale, sotto i piccoli uomini, si trovano un cane (a sinistra) e un cavallo alato (a destra).

Pannello esterno b

Il personaggio maschile presente in questo pannello regge tra le mani due animali fantastici, sorta di draghi alati, con zampe anteriori provviste di zoccoli, costole ben evidenti e la parte posteriore che si sviluppa in una lunga coda serpentina. Alcuni studiosi hanno interpretato i due animali come cavalli marini, leggendo dunque il personaggio centrale come dio del mare, forse una versione continentale di Manannán mac Lir.

Assai interessante l'immagine in basso, dove una lunga creatura anfidroma assale, con entrambe le estremità dotate di zampe e testa, due uomini. Mostri di questo tipo sono ben presenti nell'iconografia tardo-antica e medievale, ma anche rimandano a un certo tipo di alari da focolare, di cui ne sono stati ritrovati esemplari nelle tombe celtiche tanto continentali quanto insulari ①, i quali portavano alle estremità teste di tori, arieti o altri animali. Hilda Ellis Davidson ritiene dunque che i due uomini stiano in realtà banchettando accanto a un focolare e che questa immagine sia una rappresentazione della festa dei defunti, suggerendo un legame tra la divinità rappresentata e l'altro mondo (Ellis Davidson 1993).

Immagine: [Alare di Garmond]▼


Pannello esterno c

Il personaggio presente in questo pannello, caratterizzato da una tripla treccia (krṓbylos) attorno al capo e una barba finemente lavorata, è ritratto anch'esso nella «posizione dell'orante», ma ha le mani vuote. Sulle sue spalle due figurine umane: a destra, un uomo in brache in posizione da pugile; a sinistra, una figurina con capelli lunghi o chignon, simile a quella ritratta sul pannello di base, sembra spiccare un salto. Sotto di essa, un minuscolo uomo a cavallo.

Pannello esterno d

Un personaggio riccioluto e barbuto, anch'esso nella «posizione dell'orante»,  tiene due cervi per la zampa posteriore. I cervi sono stati abbattuti, suggerendo forse il successo in una caccia. L'area compresa tra il capo e le braccia ha il fondo tratteggiato e termina, in alto, con un confine irregolare. Viticci di edera riempiono le parti vuote.

Poiché cinghiali, orsi e cervi sono stati tra i principali animali venerati dai Celti, gli studiosi si sono sentiti giustificati  nel sostenere il carattere gallico di questa immagine. Tali forme di zoolatria erano tuttavia diffuse anche presso molti altri popoli dell'Europa centrale o meridionale.


Pannello esterno e

Una figura centrale, femminile, con un krṓbylos attorno al capo e, ai lati, quelle che sembrano lunghe trecce. Ha un torques al collo e i seni appena accennati. A suoi lati, due figure maschili: a sinistra, un personaggio con la barba, assai simile a quello presente nel pannello interno C; a destra, una figura più giovane, sbarbata, anch'egli ornato con un torques. Gli spazi vuoti sono riempiti con tralci d'edera, mentre il fondale è interamente tratteggiato.

La disposizione simmetrica delle figure ha dato adito a molte interpretazioni. Che rapporto c'è tra la donna centrale e i due uomini? Questi ultimi sono figure differenti o si tratta di uno stesso personaggio in due contesti diversi? Le possibili risposte possono dipendere dal fatto che le immagini del calderone illustrino o meno dei racconti mitici e che i vari pannelli possano essere interconnessi.


Pannello esterno f

Il pannello porta al centro una figura femminile caratterizzata da lunghi capelli o trecce e da un complesso krṓbylos attorno al capo. La donna tiene la mano sinistra contro il petto mentre sulla destra, sollevata, è posato un uccellino. Ha un torques al collo e piccoli seni conici.

La donna è affiancata da altre due figurine femminili: sulla destra, una ragazza è in procinto di acconciarle una ciocca di capelli; sulla sinistra, una seconda ragazza è ritratta seduta sulla sua spalla. Di traverso lungo il suo braccio sinistro, inoltre, giace la figurina di un uomo; sul lato opposto compare un cagnolino steso sul dorso, le zampe in aria. È stato suggerito che la donna stia abbracciando o cullando il piccolo uomo. Ma l'ipotesi è difficile da sostenere: l'immagine suggerisce, al contrario, che l'uomo e il cane stiano cadendo.

I due uccelli che si stagliano, con perfetta simmetria, ai due lati del pannello sono verosimilmente aquile o corvi. Le penne e i particolari delle zampe sono evidenziati con perfetta maestria. A sinistra un leone è raffigurato nell'atto di balzare verso l'alto.

Gli studiosi hanno avanzato diverse ipotesi sull'identità della figura centrale. Garrett Olmsted ha pensato a una versione continentale della Mórrígan, la quale appariva sovente in forma di corvo, oppure alla regina irlandese Medb, circondata dai suoi animali domestici. (Olmsted 1979). Timothy Taylor vi ha visto Rhiannon con i suoi uccelli fatati, e ha anche proposto un paragone con la demoniessa Hārītī della mitologia indo-iranica (Taylor 1992).

Sebbene il contenuto dell'immagine non sia noto, Berquist e Taylor hanno puntato l'attenzione su una phalera del II sec. a.C., rinvenuta a Galiče (Bulgaria), dove compare un busto femminile con un uccello sopra ogni spalla ①. Dal momento che l'immagine del calderone e quello della phalera sono di stile molto diverso, è difficile sostenere una relazione stretta tra le due immagini. Tuttavia la struttura iconografica è simile, e possiamo verosimilmente chiederci se non vi sia, alla base delle due figure, un medesimo mito celtico o tracio. (Berquist ~ Taylor 1983)

Immagine: [Phalera di Galiče]▼


 

Pannello esterno g

Un'altra figura femminile, con lunghe ciocche ai lati, un krṓbylos attorno al capo e un torques al collo. Tiene le braccia incrociate contro il petto; i seni sono conici. Sulla sua spalla destra un uomo lotta con un leone; sulla sinistra, una figura dalla lunga chioma è colta nell'atto di spiccare un salto: è quasi identica a quelle presenti sul pannello c e sul pannello di base.

L'uomo a destra è di solito associato a Hēraklês che lotta con il leone di Neméa [Léōn tēs Neméas], ma in realtà il motivo è ben presente nell'iconografia dell'antico Vicino Oriente (Gilgameš).

Anders Berquist e Timothy Taylor hanno associato questa immagine a quella presente su una brocca d'argento da Orlovo, vicino Voronež (Russia), dove un volto femminile, circondato da motivi floreali, è affiancato da due figure maschili: a sinistra un individuo in piedi, a destra un uomo alle prese con un animale. (Berquist ~ Taylor 1983)

Una phalera d'argento tracia rinvenuta a Čatalka, presso Stara Zagora (Bulgaria), mostra un uomo (Hēraklês?) nell'atto di uccidere il leone con un pugnale. Per quanto la scena sia sottilmente diversa da quella qui raffigurata, gli abiti indossati dal personaggio sono gli stessi che compaiono nel calderone di Gundestrup. ①

Immagine: [Phalera di Čatalka]▼


GUNDESTRUP KARRET

APPENDICI ICONOGRAFICHE

Elmo di Coțofenești

Elmo geto-dacio (IV sec. a.C.) rinvenuto a Poiana Coțofenești (Romania). L'immagine mostra il lavoro sul lato posteriore dove una decorazione orizzontale divide due file di figure che si muovono in direzione opposte: una fila di persone rivolte a destra nel lato superiore, una fila di grifoni rivolti a sinistra nel lato inferiore.

Immagine: [Vista frontale dell'elmo]✦
Immagine: [Vista laterale dell'elmo]✦

Muzeul Naţional de Istorie a României, București (Romania)
Carnyx

Ricostruzione di due carnyces, i lunghi corni con le estremità decorate a teste di animale raffigurati nel pannello E del calderone di Gundestrup.

 
Elmo di Ciumești

Elmo celtico risalente al IV secolo a.C., con cimiero a forma di uccello, rinvenuto a Ciumești (Romania). Un elmo analogo compare nel pannello E del calderone di Gundestrup.

Muzeul Militar Naţional, București (Romania)
Scudo di Battersea

Scudo celtico dell'età del ferro (350-50 a.C.), rinvenuto nel fiume Thames presso Battersea Bridge (Inghilterra, Regno Unito). La forma oblunga, sviluppata in verticale, e l'umbone circolare sono molto simili agli scudi rappresentati nel pannello E del calderone di Gundestrup.

British Museum, London (Regno Unito)
Alare di Garmond

Alare per focolare rinvenuto a Garmond, risalente al periodo tra il 50 a.C. e il 50 d.C. La decorazioni con teste di animali rivolte in direzioni opposte, tipica di questi oggetti, è stata messa in relazione con la creatura bicefala presente nel pannello b.

Amgueddfa Genedlaethol / National Museum, Caerdydd/Cardiff (Galles, Regno Unito)
Phalera di Čatalka

Phalera tracia in argento dorato (II-I sec. a.C.), rinvenuta a Čatalka, presso Stara Zagora (Bulgaria). Sulla circonferenza è raffigurato un giro di leoni e grifoni; al centro, un eroe colpisce un leone con la spada: i suoi abiti sono identici a quelli delle figure presenti sul calderone di Gundestrup. Diametro: 17,8 cm.

Immagine: [Vista complessiva della phalera]✦

Okrǎžen Naroden Muzej, Stara Zagora (Bulgaria)
Phalera di Galiče

Phalera tracia in argento (II sec. a.C.), da Galiče (Bulgaria). Diametro: 18 cm. La figura femminile è caratterizzata dalla presenza di due uccellini posati sulle spalle, e per tale ragione è stata messa in correlazione con l'iconografia del pannello f del calderone di Gundestrup.

Nacionalen arheologičeski muzey, Sofia (Bulgaria)
BIBLIOGRAFIA
  • BERGQUIST ~ TAYLOR 1983. K. Bergquist, Timothy Taylor, Thrace and Gundestrup Reconsidered. In: «Proceedings of the Seventh International Congress of Celtic Studies», Oxford 1983.
  • ELLIS DAVIDSON 1993. Hilda Ellis Davidson, The Lost Belief of Northern Europe, Routledge, London 1993.
  • JOUTTIJÄRVI 2009. Arne Jouttijärvi, The Gundestrup Cauldron. Metallurgy and Manufacturing technical investigations. In: «Materials and Manufacturing Processes», 24. Taylor & Francis Group, London (?) 2009.
  • KAUL 1991. Flemming Kaul, Il calderone di Gundestrup. In: «I Celti», Bompiani, Milano 1991.
  • KIMMIG 1965. Wolfgang Kimmig, Zur Interpretation der Opferszene auf den Gundestrup-Kessel. In: «Sonderdruck aus Fundberichte aus Schwaben», Neue Folge xiv, 1965.
  • OLMSTED 1979. Garrett S. Omsted, The Gundestrup cauldron: its archaeological context, the style and iconography of its portrayed motifs and their narration of a Gaulish version of Táin Bó Cúailnge. Collection Latomus, 192. Bruxelles, 1979.
  • TAYLOR 1992. Timothy F. Taylor, The Gundestrup cauldron. In: «Scientific American». 1992.
BIBLIOGRAFIA
Intersezione Sezioni: Alianora
Sezione Museo: Līlīth
Area Celtica: Óengus Óc
Annotazioni di Eleonora Dispetti
Creazione pagina: 08.03.2004
Ristrutturazione pagina: 04.01.2014
Ultima modifica: 23.01.2016
 
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