MITI

AMERINDI
Maya

MITI ALTAICI
SIPAKNA
I GEMELLI PRODIGIOSI INGANNANO IL CAIMANO
Il possente Sipakna è il primo figlio di Wukub’ Kaqix. Dopo aver ucciso quattrocento giovani, finisce nelle mire di Junajpu e X’balanq’e, i quali escogitano un astuto tranello per toglierlo di mezzo.
Junajpu e Xb’alanq’e: la morte di Sipakna
Miguel Carmona, illustrazione
1 - SIPAKNA, IL CREATORE DELLE MONTAGNE

d ecco Sipakna, figlio del falso sole Wukub’ Kaqix.

Orgoglioso, così si vantava: — Io sono il creatore delle montagne!

Sipakna si stava bagnando sulla riva di un fiume, quando vide passare cinque volte ottanta ragazzi [o’ much’ k’ajolab’] alle prese con un imponente tronco d'albero.

— Che cosa state facendo, ragazzi? — chiese Sipakna. — Avete bisogno di aiuto?
— È questo palo. Non riusciamo a sollevarlo per trasportarlo.
— Lo porterò io per voi, non preoccupatevi. Dove va messo?
— È un architrave per la nostra capanna.
— Molto bene.

Il figlio di Wukub’ Kaqix era infatti dotato di una forza straordinaria. Sollevò senza fatica il tronco e lo condusse a casa dei ragazzi.

2 - «QUELLO CHE FA COSTUI NON VA BENE»

cinque volte ottanta ragazzi, vedendo la forza prodigiosa di Sipakna, ne ebbero timore, poiché un essere tanto vigoroso sarebbe stato in grado di fare qualsiasi cosa. Così, concluso il lavoro, gli rivolsero la parola:

— Potresti rimanere con noi, giovanotto. Hai una madre e un padre?
— No.
— Ci piacerebbe che ci dessi un aiuto domani per tagliare un palo per la nostra capanna.
— Bene.

Ma quando Sipakna se ne fu andato, i ragazzi si consultarono. — Dovremmo ucciderlo, perché quello che fa costui non va bene. Ha sollevato quell'enorme tronco tutto da solo. Scaviamo una profonda buca e gettiamolo dentro. Poi gli scaglieremo addosso un grande palo e lui morirà.

Così decisero di ordire una trappola alle spalle del figlio del falso sole.

3 - LA TRAPPOLA

l giorno seguente, i cinque volte ottanta ragazzi scavarono una buca, una buca molto profonda, poi chiamarono Sipakna e gli chiesero di scendere sul fondo per scavare ancora di più.

— Chiama quando avrai scavato abbastanza terra, quando sarai arrivato in profondità.

Sipakna acconsentì e si calò in fondo alla buca e si mise al lavoro. Ma dato che non era uno sprovveduto, aveva intuito le intenzioni dei ragazzi. Per questo, anziché scavare verso il basso, si creò una galleria laterale.

— A che punto sei? — gli gridarono dall'alto i ragazzi.
— Sto scavando velocemente. Vi chiamerò quando la buca sarà terminata! — rispose il figlio di Wukub’ Kaqix.

Dopo un po', infatti, chiamò a gran voce i giovani: — Lo scavo è finito! Sono giunto davvero in profondità. Non sentite che vi chiamo? Le vostre voci qui fanno eco. Sembra che siate su un altro eleb’al, o addirittura due eleb’al sopra di me...

I cinque volte ottanta ragazzi, convinti che Sipakna avesse realmente finito di scavare in profondità, scagliarono il tronco d'albero nel buco. Poi si nascosero e bisbigliarono tra loro:

— Aspettiamo finché non udiamo il suo grido. Allora sapremo che sarà morto.

Sipakna m protetto nel suo nascondiglio, nella galleria che si era scavato, levò un grido per far credere ai giovani che il tronco d'albero l'avesse colpito.

Quando i ragazzi udirono il falso urlo di dolore, esultarono per la gioia.

— Bene, lo abbiamo ucciso!
— Ce l'abbiamo fatta, è morto!
— Che cosa sarebbe successo se avesse continuato con le sue imprese?
— Sarebbe divenuto primo tra noi e avrebbe preso il nostro posto!

Ma per essere totalmente sicuri della morte del loro nemico, decisero di attendere ancora, prima di scendere.

— Su, ora andiamo a preparare il dolce ki’. Domani e dopodomani vedremo se verranno su le formiche. Questo sarà il segno che il corpo di quel maledetto sta imputridendo e puzzando.

Il termine k’iche’ eleb’al significa «luogo di uscita», ma è probabile che in questo contesto voglia dire «altitudine», o anche «livello», coerentemente con l'idea mesoamericana di un mondo ipoctonio a strati.
4 - LE FORMICHE E LA VENDETTA

alla galleria, Sipakna aveva udito le parole dei cinque volte ottanta ragazzi e aveva escogitato la propria vendetta. Il secondo giorno, quanto i giovani tornarono sul luogo del misfatto, videro file di formiche che andavano e venivano dal cratere, portando con sé i capelli e le unghie di Sipakna. Ovviamente il figlio di Wukub’ Kaqix si era solo strappato i capelli e mangiucchiato le unghie affinché le formiche portassero quei resti in superficie.

— Ce l'abbiamo fatta! Il buffone è morto! Guardate qui come lo hanno spogliato le formiche. Quelli che vedete sono i suoi capelli, quelle che vedete sono le sue unghie!

Convinto che il loro nemico fosse morto, i cinque volte ottanta ragazzi iniziarono a festeggiare la sua sconfitta. Il terzo giorno il ki’ era ormai pronto ed essi si ubriacarono e si addormentarono profondamente.

In questo modo Sipakna poté risalire dalla voragine e utilizzare la propria forza per far crollare la casa sui ragazzi immersi nel sonno. Tutti i giovani morirono schiacciati sotto le macerie della loro stessa abitazione. In seguito essi furono trasportati in cielo e oggi li possiamo ancora ammirare nella costellazione del Motz.

Il ki’ «dolce» (o «veleno») è una bevanda alcolica. La si ritiene prodotta dalla fermentazione del maguey (Agave americana), così come il pulque messicano. Altri autori la ritengono invece prodotta dalla fermentazione del mais o di un altro cereale: in tal caso potrebbe essere affine alla chicha.
 
Motz, «centinaio», corrisponde all'ammasso aperto delle Pleiadi, visibile vicino alla costellazione del Toro. Il nome è forse derivato per paraetimologia con o’ much’, «cinque volte ottanta».
5 - IL GRANCHIO FINTO

Junajpu e Xb’alanq’e approntano il granchio (1913)
Gilbert James, illustrazione (Spence 1913)

a fine dei cinque volte ottanta ragazzi non era certo passata inosservata agli occhi di Junajpu e Xb’alanq’e. I cuori dei gemelli si rattristavano al pensiero di quelle vite acerbe che erano state spezzate da Sipakna. Perciò essi decisero di punire severamente il figlio di Wukub’ Kaqix, sfruttando i suoi vizi.

Sipakna aveva un debole per i pesci e i granchi, ai quali non sapeva resistere. Egli era solito cacciarli in riva a un fiume. Consci di questa debolezza, Junajpu e Xb’alanq’e fabbricarono un granchio finto, usando fiori di bromelia in luogo delle chele e una pietra piatta per il dorso, e lo posero sul fondo di un burrone chiamato Meawan.

Subito dopo, i due gemelli incontrarono Sipakna sulle rive di un fiume.

— Dove vai, giovane? — chiesero i gemelli, fingendo di non conoscere il figlio di Wukub’ Kaqix.
— Da nessuna parte. Sto solo cercando del cibo.
— E qual è il tuo cibo?
— Pesci e granchi, ma non riesco a trovarne — rispose amaramente Sipakna. — È da ieri che non mangio, e non riesco più a sopportare la fame.
— Sul nostro cammino abbiamo visto un granchio enorme — esclamarono i due fratelli. — Però appena abbiamo provato ad acchiapparlo ci ha morso. Non torneremmo a prenderlo per nulla al mondo!

Alle parole dei gemelli, Sipakna interruppe la propria ricerca e levò gli occhi bramosi di cibo.

— Dove l'avete visto? Mostratemelo, vi prego.
— No, non vogliamo, ma tu vai avanti. Segui il fiume, vai diritto e arriverai sotto una montagna. È in fondo a una gola e fa un gran rumore.
— E se poi non lo trovo? Aiutatemi, ragazzi. Se verrete con me vi mostrerò un posto dove ci sono moltissimi uccelli e voi potrete cacciarli a volontà.

Ci volle un po' per convincere i gemelli ad accompagnarlo al burrone dove si trovava il granchio, perché Junajpu e Xb’alanq’e fingevano di temere che la creatura potesse far loro del male un'altra volta. Alla fine i gemelli acconsentirono, dicendo: — Va bene, ti accompagneremo, ma non verremo fino in fondo al burrone. Volevamo mangiare quel granchio e ci siamo avvicinati prima proni, poi supini, ma senza riuscire ad acchiapparlo. Per poco non era lui che mordeva noi. Quando vedrai il granchio, andrai tu solo a prenderlo.

6 - MORTE DI SIPAKNA

tre si incamminarono e arrivarono al burrone. Come concordato, i gemelli si fermarono all'entrata del dirupo e Sipakna, appena vide il granchio, rilucente nel suo rosso carapace, scese lungo il burrone per tentare di acchiapparlo.

L'operazione non fu certo facile. Sipakna strisciò giù per il burrone. Prima avanzò prono, ma il granchio si fece trovare prono a sua volta e gli montò sopra.

— Lo hai preso? — chiesero i gemelli.
— Non ancora. Proverò ad avvicinarmi supino.

Sipakna avanzò di nuovo verso il granchio, strisciando sul dorso e scomparve fino alle ginocchia. Grande fu la sua soddisfazione. Ma d'un tratto, la montagna crollò sopra di lui e gli schiacciò il petto. Il figlio di Wukub’ Kaqix non riuscì mai a uscire da quella trappola mortale e si trasformò in pietra.

In questo modo Sipakna venne sconfitto da Junajpu e Xb’alanq’e, i quali vollero vendicare la morte dei giovani e punire l'orgoglio del primogenito di Wukub’ Kaqix.

Junajpu e Xb’alanq’e uccidono Sipakna
Diego Rivera (1886-1957), dipinto
Fonti

1-6

Popol Wuj [-]

I - I CROSTACEI SONO AFRODISIACI?

Tutta la scena dell'adescamento di Sipakna da parte di Junajpu e Xb’alanq’e e del grottesco tentativo di quest'ultimo di catturare il granchio presenta, nell'originale k’iche’, una serie di allusioni sessuali, puntualmente sottolineate da Andrés Xiloj, un informatore k’iche’ che Dennis Tedlock cita nelle note alla sua traduzione del Popol Wuj.

Secondo Xiloj, tutto l'episodio è giocato su una serie di doppi sensi. Quando Sipakna esclama «Non riesco più a sopportare la fame!» [mawi kanuch’ij chik waij] (Popol Wuj []), utilizza una metafora per indicare l'appetito sessuale. È a questo punto che Junajpu e Xb’alanq’e gli dicono di aver visto un granchio in fondo a un cañón. Il «granchio», spiega Xiloj, è in realtà una donna.  Ancora oggi, i Maya di lingua mopan utilizzano la parola «granchio», yux, come metafora per la vulva. Per meglio rendere questa ambivalenza, in traduzione Tedlock attribuisce al granchio un pronome femminile, sebbene in k’iche’ i pronomi non abbiano distinzioni di genere. (Tedlock 1985)

Junajpu e Xb’alanq’e affermano significativamente di non essere riusciti a catturare il granchio ma, anzi, di aver rischiato di essere divorati a loro volta. L'affermazione sembra implicare un difetto di virilità da parte dei gemelli, cosa che rende comprensibile la risposta di Sipakna: «Se verrete con me vi mostrerò un posto dove ci sono moltissimi uccelli» [kixb’e na k'u nu wab’a’: k’o k’i xo wi ri tz’ikin] (Popol Wuj [-]). La battuta contiene un ulteriore doppio senso, visto che tz’ikin «uccello» è la metafora più diffusa presso i Maya per indicare il pene, attestata già nei dizionari coloniali (Tedlock 1985). «Granchio» e «uccelli» sono gli eufemismi tra cui oscillano le frecciate che si scambiano i personaggi. In pratica Sipakna sta rispondendo ai gemelli: «D'accordo, ragazzini, avete fatto cilecca con una donna. Ci penserò io a lei. In compenso, vi indicherò un posto dove potrete essere trattati da finocchi».

Ma vediamo l'exploit di Sipakna nel testo originale:

Tzalam k’u la’ ri tap.
Kaq wakawoj ula rij xe’ siwan.
Ri’ k’ute ki kumatzij.
«Utz b'a la',» chiki'kot k'u ri Sipakna.
Karaj taj,
Xkok ta pu chi’,
rumal qitzij kutzin chi waij.
Xraj kutij ri’,
xa xraj jupunik,
xraj okik.
Paqal k’u ri tap xaq’anik,
k’ate k’ut xel chu uloq.
«Mawi xariqo?» xuchax k’ut.
«Maja b’i.
Xa paqalik
kaq’anik.
Xa nab’e sqaqi’n chik
mawi mi xnuriqo.
K’ate utz lo kipak’e’ik
kinok ub’ik» xcha chi k’ut.
K’ate k’ut pak’al chik
ta xok ub’ik.
Xk’is k’u ok ub’ik:
xa u wi’ u ch’ek chik xk’utun uloq.
Xk’is b’iq’itajik.
Là è il granchio;
rosso brillante è il suo dorso tra le rocce,
là è la loro invenzione.
Ottimo!» Sipakna ora è felice.
La desiderava moltissimo,
la voleva far entrare nella sua bocca
così da porre rimedio alla sua fame.
La voleva mangiare,
la voleva prona,
voleva entrare.
Ma perché gli saliva sopra supina
tornò fuori di lì.
«Non l'hai acchiappata?» gli chiesero.
«Non ancora.
Supina
mi saliva sopra.
Al primo tentativo
l'ho mancata per poco.
Così sarà meglio che supino
io entri» disse lui allora.
Allora supino
entrò di nuovo.
Entrò tutto intero:
solo le ginocchia si vedevano.
Dette un ultimo sospiro e fu calmo.
Popol Wuj [-]

Il testo originale sottolinea, in maniera piuttosto esplicita, le posizioni con le quali Sipakna tenta di approcciare il «crostaceo» (jupulik «prono» e pakalik «supino»). Nonostante i tentativi di Sipakna di «montare» virilmente la preda, è il granchio a salirgli sopra. Vi è una competizione in cui ciascuno cerca di sottomettere sessualmente l'altro, tanto alla fine è lo stesso Sipakna ad avvicinarsi in posizione supina, assai poco virile. A quanto pare l'operazione riesce, perché Sipakna «entrò tutto intero: solo le ginocchia si vedevano», situazione che Xiloj considera comica e paradossale. Fino al sospirato, ovvio finale: «Dette un ultimo sospiro e fu calmo».

Prima del crollo della montagna.

Bibliografia
  • CRAVERI Michela, Voci e canti della civiltà maya. Jaca Book, Bologna 2006.
  • COE Michael D., Reading the Maya Glyphs. Thames and Hudson, London. → ID. Gli ideogrammi maya. I principi fondamentali della scrittura dell'antica civiltà precolombiana. Vallardi, Milano 2003.
  • GIFFORD Douglas, Warrior, Gods & Spirits from Central and South American Mythology. Eurobook, London 1983. → ID. Dèi e eroi della mitologia dell'America Centrale e Meridionale. Mondadori, Milano 1983.
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  • LONGHENA Maria. Scrittura maya. Ritratto di una civiltà attraverso i suoi segni. Mondadori, Milano 1998.
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  • SPENCE Lewis, The Myths of Mexico and Perú. Ballantine, London 1913.
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  • TENTORI Tullio (a cura), Popol Vuh. Il libro sacro dei Quiché. Tea, Milano 1988.
BIBLIOGRAFIA ►
Intersezione: Aree - Holger Danske
Sezione: Miti - Asteríōn
Area: Amerindia - Hutzilopochtli
Ricerche e testi di Greta Fogliani
Cura di A. Laura Perugini.
Creazione pagina: 01.05.2014
Ultima modifica: 25.09.2017
 
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